Sembra proprio che Cassa Depositi e Prestiti abbia un debole per Venezia. La società del Ministero per l’Economia continua a fare affari in laguna.
Dopo l’ex Ospedale al Mare del Lido, le ex Carceri di San Severo a Castello, l’ex Casotto Capogruppo di San Pietro in Volta e l’isola di San Giacomo in Paludo, i Palazzi Diedo, Gradenigo e Donà. Non semplici immobili, ma edifici che costituiscono a tutti gli effetti la storia della città. Solo il primo non più parte del pacchetto di immobili del Fondo Immobiliare Città di Venezia, gestito da EstCapital per conto dell’Amministrazione. Ma nelle differenze un minimo comun denominatore. Tutti e tre costituiscono cubatura da riutilizzare secondo la mission di Cdp di valorizzazione del Patrimonio immobiliare. L’ultima offerta, di circa 20 milioni di euro, per i primi due palazzi, preceduta da una serrata contrattazione. Tra le due proposte d’acquisto, anche il ricorso, da parte del commissario straordinario del Comune Vittorio Zappalorto, ad un esperto indipendente, la Yard Valtech srl, incaricato di stabilire un prezzo equo. Ma a quanto sembra il Comune sembra ormai pronto ad accettare, come indizia l’inserimento dei due immobili nel piano delle alienazioni approvato il 19 novembre.Palazzo Donà
Per Palazzo Diedo, a Santa Fosca, edificio settecentesco forse progettato da Andrea Tirelli, ricco di decori, stucchi e figurazioni allegoriche, ex sede della Procura della Pretura, c’è già il cambio di destinazione d’uso e il permesso di costruire appena approvato. Il progetto, quello presentato da EstCapital quando il palazzo faceva ancora parte del Fondo Immobiliare Città di Venezia. Un progetto che prevede la creazione di servizi igienici e magazzini al piano terra, funzionali al ristorante che si prevede di realizzare al piano ammezzato dell’edificio, mentre il primo e secondo piano saranno riservati a negozi e l’ultimo piano a due appartamenti.
Quel che più conta che i due palazzi dopo anni di tentativi di vendita e di vari utilizzi, sembrano davvero prossimi ad essere anch’essi “sacrificati al turismo”, come denunciava nel 2012 Italia Nostra. Ma c’è anche un terzo edificio sul quale Cassa Depositi e Prestiti ha puntato il suo interesse. E’ Palazzo Donà, in Campo Santa Maria Formosa, la struttura cinquecentesca, attuale sede della Direzione Politiche sociali, partecipative e dell’accoglienza e del servizio sociale della Municipalità, oltre che dell’archivio della Procura della Repubblica.
La città lagunare sempre più una città solo per turisti. Una città per la quale l’unica alternativa al riutilizzo di luoghi della sua storia, a parti del suo Paesaggio, come hotel, o centri commerciali come si verificherà a San Giacomo in Paludo sembra essere l’abbandono, come accade all’ex Ospedale al Mare del Lido, che la Cassa Depositi e prestiti ha deciso di affidare a Hines.
Così Venezia rischia davvero di morire. Tra l’immobilità di molti e gli interessi di pochi.
Falsi allarmi, veri affari, ferocia di classe sono le parole chiave delle ultime cronache da Venezia. Il 25 novembre, data in cui si celebra ... (continua a leggere)
Falsi allarmi, veri affari, ferocia di classe sono le parole chiave delle ultime cronache da Venezia. Il 25 novembre, data in cui si celebra la lotta contro la violenza sulle donne, è apparsa la notizia che, il giorno prima, era stato vietato l’accesso a piazza San Marco a una turista che indossava il burqa. L’episodio è stato presentato come una prova dell’efficacia delle misure “antiterrorismo” adottate per il funerale di Valeria Solesin, durante il quale si poteva entrare in piazza solo attraverso cinque varchi controllati dalla polizia, mentre 400 agenti armati si aggiravano tra la folla e numerosi tiratori scelti erano appostati sui tetti.
“Una piazza di civiltà”, ha sentenziato il Corriere della Sera, mentre le autorità hanno espresso soddisfazione perché i cittadini non hanno protestato contro la limitazione della loro libertà di movimento. «È andata benissimo … la gente ha capito» ha detto il comandante dei vigili, spiegando che non si è trattato di un caso eccezionale, ma della “prova generale” di quello che avverrà in occasione di altri grandi eventi, a cominciare dall’inaugurazione del Giubileo con l’apertura della porta santa della basilica san Marco, il prossimo 13 dicembre. Alle parole del capo dei vigili si è associato il Primo procuratore di san Marco Carlo Alberto Tesserin, già consigliere regionale di NCD, che ha aggiunto: «oggi per il funerale è stato più facile», perché «tra le autorità ci si conosce tutti, almeno di vista», ma per il Giubileo stiamo studiando un sistema di «identificazione dei fedeli». Così, mentre il Papa camminava nelle bidonvilles di Nairobi e nei campi profughi di Bangui, le autorità veneziane hanno deciso che alla Messa del 13 dicembre si potrà assistere solo “per inviti” e in chiesa entreranno solo i “fedeli accreditati”.
La privatizzazione/militarizzazione di quello che era il cuore della città non è una novità. Proposte di chiuderne gli accessi e consentire l’ingresso, a pagamento, o comunque a discrezione di chi ne millanta la proprietà, si sono moltiplicate negli ultimi mesi, ma la loro applicazione è stata finora rallentata dalla contrapposizione dei diversi interessi di chi controlla il turismo “straccione” e dei padroni delle botteghe di lusso. Gli unici che, secondo il sindaco Brugnaro, alfiere della tolleranza zero contro i mendicanti che rovinano lo spettacolo ai turisti, hanno diritto di parola sulla questione. «E’ ovvio, ha detto, che un’ipotesi cosi estrema dovrebbe essere condivisa con le categorie, in primis commercianti e albergatori».
Intanto, mentre le “categorie” si spartiscono il territorio, è arrivato il ministro Alfano ed ha annunciato il piano “Venezia sicura”, che consiste nell’invio di “105 rambo per blindare la città” contro il terrorismo e contro il commercio abusivo. «Una città speciale merita un piano speciale» ha detto. Ed è solo l’inizio, se, come sembra, verrà accolta la richiesta del governatore del Veneto Zaia, di far arrivare cani che “fiutano l’esplosivo” nei “luoghi sensibili” della regione, cioè: Venezia e il suo carnevale, la basilica di sant’Antonio a Padova e Gardaland, accomunate in un osceno miscuglio di sacro e profano in quanto locations che attirano il maggior numero di visitatori paganti. Contemporaneamente, l’assessore alle politiche sociali del comune ha annunciato l’installazione di tornelli contro i barboni in biblioteca, misura, «necessaria per evitare che i senza dimora si siedano ai tavoli di studio insieme ai ragazzi che preparano gli esami per l’università».
«Vista dall’alto e senza illusioni, la Venezia verso la quale stiamo andando è un città la cui vita dipende in modo quasi esclusivo dal turismo. Il quadro del domani ci mostra che le sue case si sono svuotate di residenti per riempirsi di visitatori di pochi giorni». La Nuova Venezia, 2 dicembre 2015 (m.p.r.)
Come dei gitanti che attraversano un bosco, noi veneziani rischiamo di perdere l’orientamento se non alziamo frequentemente lo sguardo al di sopra del singolo albero o dell’intoppo sul sentiero che ci costringe a una deviazione. Combattiamo, almeno quelli di noi che si preoccupano per il bene comune, contro la vendita dell’ennesimo palazzo che si vuole trasformare in albergo, contro l’ingresso delle navi da crociera in laguna, contro il proliferare dei B&B in calli e campielli. Ma intanto la città si trasforma. Il suo futuro viene disegnato passo passo, in modo impercettibile ma che la coinvolge tutta. Come il gitante che si addentra nel bosco rischiamo di perdere l’orientamento e, mentre riusciamo ad aggirare un pericolo visibile, stiamo per finire dentro una selva senza uscita.
«Abbiamo appreso con soddisfazione che il porto di Venezia è il porto più verde del mondo». I danni alla laguna, la monocultura turistica che uccide la città, i mestieri che scompaiono a causa di questo fanno parte di una narrazione che non interessa il partito unico delle grandi opere/grandi affari. La Nuova Venezia, 13 novembre 2015 (m.p.r.)
Il Pd regionale con il capogruppo Alessandra Moretti a fianco del Porto e degli interessi di chi lavora nel settore della crocieristica e teme di perdere il posto di lavoro. Lo conferma la presa di posizione di ieri della Moretti e dei consiglieri regionali Francesca Zottis, Bruno Pigozzo (Pd) e Franco Ferrari (Gruppo Moretti Presidente), che hanno tenuto un incontro con il presidente dell’ Autorità Portuale di Venezia Paolo Costa e di quello della Vtp (Venice Terminal Passeggeri) Sandro Trevisanato.
«L’associazione “Poveglia per Tutti” presenterà ricorso al Tar contro il recente diniego del Demanio alla concessione, mentre sul fronte dell’amministrazione comunale si attende ancora un appuntamento». La Nuova Venezia, 11 novembre 2015 (m.p.r.)
L’associazione “Poveglia per Tutti” non ha più tempo da perdere e ora vuole vederci chiaro sul futuro dell’isola. Tra pochi giorni verrà ufficialmente depositato il ricorso al Tar contro il recente diniego del Demanio alla concessione, mentre sul fronte dell’amministrazione comunale si attende ancora un appuntamento, chiesto ormai da tempo. Fino ad adesso l’associazione ha seguito tutti i passaggi istituzionali al fine di ottenere la concessione dell’isola, ma la strada non è in discesa.
La prima difficoltà è proprio il Demanio che, dopo aver visionato il progetto dell’associazione che in 100 pagine ha spiegato quali interventi si volessero fare nell’isola entrando anche nel dettaglio economico, ha risposto picche, spiegando che «occorre valutare, di concerto con l’amministrazione comunale recentemente insediatasi, il più proficuo percorso da avviare nell’interesse del territorio e del bene stesso».
La seconda difficoltà, con radici che risalgono ancora a quando l’attuale sindaco Luigi Brugnaro aveva partecipato all’asta come Umana, è con l’attuale amministrazione comunale che, nei panni della vice sindaco Luciana Colle - attuale assessore al federalismo demaniale ed ex dirigente del Demanio - ha detto che la proposta di Poveglia verrà valutata al pari delle altre proposte di privati.
L’associazione non si è lasciata intimidire. Ieri mattina gli avvocati Raffaele Volante e Francesco Mason hanno spiegato il motivo del ricorso e dimostrato, facendo richiesta agli atti, che le proposte di altri privati sono inconsistenti. Il ricorso si basa sul fatto che la risposta del Demanio è altamente insufficiente in quanto non solo non spiega il diniego, ma dà peso al parare del Comune che non ha voce in capitolo in quanto il bene è dello Stato.
Per quanto riguarda le sette proposte il cui nome si saprà una volta che il ricorso verrà depositato: si tratta di sette manifestazioni di interesse, spesso scritte da un mediatore, senza nessuna esplicitazione di progetti, né riferimenti economici, ma solo richieste di informazioni.
«Sembra che lo Stato», ha detto Giancarlo Ghigi, «non accetti l’idea che la comunità abbia fatto meglio di lui in 47 anni di abbandono. Dopo aver rifiutato tramite il federalismo demaniale la possibilità di avere Poveglia, ora scopriamo che il Comune ha un progetto. Vorremmo sapere dal Demanio perché il nostro non funziona e parlare con l’Amministrazione».
«“Faremo gli studi, ma la città ha deciso”. E attacca la Municipalità: “Arroganti”. In pista anche le ipotesi Marghera e Lido». La Nuova Venezia, 11 novembre 2015 (m.p.r.)
«Zanda non vuole i nuovi canali? Ha fatto un buon discorso ma devono capire che la decisione è presa. La gente ha votato. Faremo gli studi necessari ma andiamo avanti. Abbiamo 5 mila posti di lavoro da difendere». Il sindaco Brugnaro archivia in tempo reale la presa di posizione del presidente dei senatori Pd, molto vicino a Matteo Renzi. In una sala San Leonardo strapiena, Zanda ha ribadito il principio di precauzione. «Dobbiamo fare attenzione a quello che facciamo, valutare bene le conseguenze a lungo termine. Lo scavo di un canale è dannoso per la laguna e per la conservazione di Venezia». Un «no» all’ipotesi Tresse sostenuta invece da Brugnaro e dal presidente del Porto Paolo Costa.
Le alleghiamo queste belle righe del costituzionalista Paolo Maddalena sulla vicenda Poveglia.
«Poveglia non è proprietà dello Stato, ma, come da tempo ha affermato l’illustre amministrativista Massimo Severo Giannini, è proprietà del popolo veneziano. Si tratta di “proprietà collettiva demaniale” e il “Demanio” è solo gestore e tutore dell’integrità di questo luogo.
Poiché l’isola risulta abbandonata e priva di cure, i cittadini veneziani, veri proprietari dell’isola, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione, possono svolgere attività dirette a salvare l’isola, secondo il principio di sussidiarietà.
Direi che non occorre una specifica autorizzazione, ma solo una preventiva comunicazione da parte di un gruppo di cittadini, che agiscano come “parte” dell’intera cittadinanza veneziana, nella quale si spieghi cosa si ha intenzione di fare. In caso di mancata risposta entro un congruo termine indicato nella comunicazione, si dovrà ritenere che il Demanio è d’accordo in base al principio, oramai generale per l’ordinamento giuridico italiano, del “silenzio-assenso”. In caso di risposta negativa, occorrerà impugnare il rifiuto davanti al TAR. Ma a questo punto, i funzionari del Demanio si assumerebbero una grave responsabilità per danno alla Collettività veneziana».
«Il presidente dei senatori Pd traccia la linea in una sala strapiena. “Bisogna fare presto, ma soprattutto fare bene”». La Nuova Venezia, 10 novembre 2015 con postilla (m.p.r.)
«Bisogna fare in fretta. Ma prima di tutto bisogna fare bene. Valutare le conseguenze di interventi e scavi che potrebbero compromettere in futuro l'equilibrio della laguna. Venezia è vissuta mille anni, dobbiamo fare in modo che resista almeno per altrettanti». Sala San Leonardo strapiena, ieri pomeriggio, per l'intervento del capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda. Invitato dal circolo di Cannaregio del Pd veneziano e dalla sua segretaria Marina Rodinò per dire una parola chiara sulle grandi navi e le proposte alternative sul tappeto. In mattinata Zanda ha incontrato parlamentari e dirigenti del partito. Al termine dell'incontro, un comunicato rassicurante improntato all'unità.
«Il buon senso ci dice che nessuno dei suddetti progetti andrebbe promosso, semmai rigorosamente bocciati. Eppure ad ogni nuova proposta sembra formarsi subito una solida alleanza pubblica e privata che ne è entusiasta“. Lettere al giornale. La Nuova Venezia, 8 novembre 2015 (m.p.r.)
Quando negli Stati Uniti vogliono vederci chiaro su qualche faccenda pubblica che non sembra affatto limpida, si dice Follow the Money, cioè segui il denaro, e sicuramente capirai. Il susseguirsi di presentazioni di progetti da parte del Non Porto di Venezia, con o senza sostegni politici locali, regionali o nazionali, ha del ridicolo. Terminali di qua e di là, canali di su e di giù. E tutto giustificato dal fatto che in fondo è la città che chiede al Porto di trovare quella particolare soluzione al problema “Grandi Navi”.
Continuo a ripetere che il problema “Grandi Navi” non è un problema ambientale o di sicurezza. Il problema è semplicemente di natura socio-economica: il turismo generato dal crocierismo sfrenato è a tutti gli effetti paragonabile al più becero turismo mordi e fuggi che tutti dicono di non volere, e, quindi, va ridimensionato e assolutamente non incentivato, tantomeno utilizzando dei soldi pubblici. E se il problema del rilancio di Venezia fosse soltanto una questione di reddito e di posti di lavoro, come sembra suggerire il sindaco di Venezia Brugnaro, basterebbe seguire il modello Amsterdam anni settanta e trasformare il centro storico nel più grande e più vecchio bordello con coffee shop e casinò annesso del mondo.
La questione Venezia è, per fortuna, molto più complessa. Partendo da questa premessa, il buon senso ci dice che nessuno dei suddetti progetti andrebbe promosso, ma che tutti andrebbero semmai rigorosamente bocciati. Eppure, nella realtà, ad ogni nuova proposta sembra formarsi subito una solida alleanza pubblica e privata che ne è entusiasta. Il che mi riporta alla prima frase di questo breve intervento. Di fronte all’ultima trovata, cioè la proposta “Tresse Nuovo”, quanto “consenso” si può creare con 140 milioni di investimenti pubblici? Just follow the money!
Jan Vand Der Borg è Docente di Economia del Turismo a Ca’ Foscari, Venezia
Quando a speculare è la pubblica amministrazione. Non per soddisfare bisogni dei cittadini, ma per far quadrare bilanci. Il territorio ci perde sempre, i cittadini due volte: perdono un bene pubblico e si ritrovano con un debito di 36 milioni. E la storia continua. La Nuova Venezia, 1 novembre 2015 (m.p.r.)
Venezia. Non sono spiantati come Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni nel film I soliti ignoti ma restano la banda del buco. Un signor buco, quello del Palacinema del Lido: uno sbancamento ripristinato, un nulla di fatto costato 36 milioni di euro, pagati da voi che state leggendo. Questo vergognoso esempio di spreco è raccontato da Sergio Rizzo e Giancarlo Carnevale, ex preside di architettura, in 8 terrificanti minuti, registrati su Youtube il 3 giugno scorso. Provate ad ascoltarli.
Una buona notizia grazie un'iniziativa intelligente dei cittadini veneziani (e al Demanio statale). Forse salvato un importante bene pubblico nella Laguna di Venezia che correva il rischio di diventare un ghetto per ricchi come è successo per altre isole. La Nuova Venezia, 17 ottobre 2015, con postilla
Poveglia tornerà di nuovo all’asta, ma a condizioni diverse. Il nuovo bando potrebbe infatti essere redatto sulla base di quello appena lanciato per i fari, in modo cioè da favorire iniziative che partono dai cittadini, come la proposta dell’Associazione Poveglia. La notizia arriva proprio dal direttore nazionale del Demanio, Roberto Reggi, che giovedì ha incontrato nella sede romana una delegazione di quattro persone dell’associazione veneziana (Lorenzo Pesola, Giancarlo Ghigi, Sandro Capparelli e l’avvocato Francesco Mason).
postilla
Ci siamo occupati spesso dell'isola di Poveglia, una delle più interessanti della Laguna: per le sue dimensioni (con i suoi 7 ettari è una delle più vaste tra le "isole minori"), per la sua facile accessibilità (è a poche centinaia di metri dal Lido), per la presenza di molti edifici facilmente riutilizzabili (nell'antichità era un popoloso borgo), per l'ampio terreno utilizzabile per l'agricoltura, per gli antichi e ancora vivissimo legami con Venezia (è luogo di frequenti scampagnate). In questo sito trovate numerosi articoli sulle vicende recenti dell'isola: basta che scriviate "poveglia" sulla casella sensibile in cima a ogni pagina, a sinistra della piccola lente d'ingrandimento) e ottenete il collegamento a tutti gli articoli qui raccolti.
Un episodio significativo, che non stupisce ci ricorda le iniziative che l'attuale sindaco di Venezia assunse per contrastare chi si opponeva ai Grattacieli del mare. La Nuova Venezia, 9 agosto 2015, con postilla
A fermare la mostra sulle grandi navi di Berengo - con il catalogo già in stampa, come riferisce anche il grande fotografo nell’intervista che pubblichiamo a fianco - è stato infatti il nuovo sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Il sindaco infatti ha convocato i vertici della Fondazione Musei - con il presidente Walter Hartsarich e il direttore Gabriella Belli - per comunicare loro l’opportunità di far slittare l’esposizione a data da destinarsi.
Il motivo? Perché la mostra non suscitasse polemiche e non desse un’immagine solo in negativo del passaggio delle grandi navi a Venezia, in un momento tra l’altro cruciale, con un vertice ministeriale sul problema atteso tra pochi giorni, dopo che il Tar del Veneto ha definitivamente “silurato” il progetto alternativo dello scavo del Canale Contorta-Sant’Angelo, prima sostenuto dall’Autorità portuale di Venezia.
L’idea esposta da Brugnaro - secondo quanto riferisce anche lo stesso Berengo Gardin - è quella che le sue immagini-denuncia sul passaggio delle grandi navi siano esposte in contemporanea con le tavole del nuovo progetto alternativo al transito in Bacino San Marco, a cui il presidente dell’Autorità portuale di Venezia Paolo Costa e il sindaco stanno lavorando in sintonia. Quello del cosiddetto progetto “Tresse Est”, che prevede lo scavo del Canale Vittorio Emanuele e che è già stato “annunciato” come Variante del Contorta-Sant’Angelo alla commissione “Via” del ministero dell’Ambiente, entro novanta giorni. In questo modo - secondo l’impostazione del sindaco - ci sarebbe nella mostra il momento di denuncia del problema, con le immagini di Berengo Gardin. Ma anche quello della sua soluzione, con il progetto alternativo “targato” Costa-Brugnaro, che il Governo dovrebbe fare proprio. Togliendo in pratica - con questo “fritto misto” espositivo - ogni valenza originale alle immagini di Gianni Berengo Gardin e creando così, di fatto, le condizioni per una sua rinuncia.
Di nuova data della mostra al Ducale, infatti, per ora non si parla, anche se si ventila la possibilità che possa essere prevista a fine ottobre. Ed è singolare che la nuova proposta di Brugnaro ricordi molto quella che il suo “alleato” Costa aveva già fatto a Berengo Gardin lo scorso anno, dopo le polemiche seguite alla sua denuncia di non aver potuto esporre le sue immagini a Venezia. «Quello che Le propongo», aveva scritto allora Costa al fotografo, ricevendone un cortese rifiuto, «è che, proprio partendo dalle sue opere, negli spazi della mostra si organizzino convegni e incontri sul tema di Venezia e della sua portualità. Una serie di incontri e seminari che affrontino ogni aspetto della saga sulle grandi navi in una sorta di confronto tra “verità” - più o meno scientifica - e “verità” fotografica». Un modo astuto, insomma, per “annacquare” l’effetto delle immagini di Berengo Gardin in una sorta di “festival” della crocieristica.
Ora si andrebbe oltre, perché la mostra del Ducale diventerebbe di fatto uno “spot” del progetto Tresse-Vittorio Emanuele. Usando, anche in questo caso, le immagini di Berengo come sfondo. Difficile - come pare di capire anche dalle sue dichiarazioni che riportiamo qui a fianco - che un grande fotografo con la reputazione di Gianni Berengo Gardin accetti questa mostra “a mezzo servizio”. E allora se - come è possibile - rifiuterà, la responsabilità sarà ufficialmente solo sua e il Comune potrà archiviare senza danni questa esposizione “scomoda”, che è evidentemente meglio che a Venezia non si veda.Almeno fino a quando i “giochi” sulle grandi navi e i progetti alternativi non siano finalmente conclusi.
postilla
Interessante il confronto tra i due personaggi, Gianni Berengo Gardin e Luigi Brugnaro. Berengo Gardin è certamente uno dei maggiori poeti della fotocamera, è un maestro che è il prodotto (e il dono) di un'antica cultura della bellezza e della sua rappresentazione. Luigi Brugnaro è felicemente rappresentato ed espresso da questo episodio, che Tantucci ben racconta. Due mondi incomunicabili, tra loro in opposizione. Peccato che i nostri tempi vedano la vittoria dei Brugnaro. Potrebbe forse far comprendere ai non veneziani che cosa significa il disastro delle Grandi navi in Laguna, così amate da Brugnaro, un'ideuzza, che lanciamo qui: perché non organizzare un tour europeo della mostra di Berengo Gardin? Alcune battagli per la salvaguardia di Venezia furono vinte ottenendo l'adesione del parlamento italiano e dall'opinione pubblica europea. alle proteste dei veneziani. Sul parlamento italiano c'è poco da sperare. Ma il resto dell'Europa?
«Alcol, rumore e party selvaggi: ormai la situazione è fuori controllo. Sospese le licenze per nuovi alloggi». Dicono: non vogliamo fare la fine di Venezia: raccoglierà qualcosa da questa provocazione qualche decisore che abita questo sito, trasformato da vivace città immmersa in un vitale ecosistema lagunare a torbida e maleodorante palude in disfacimento? Io non sono sereno. La Repubblica, 7 luglio 3015
«Non vogliamo fare la fine di Venezia». Appena insediata nel suo nuovo ufficio di sindaco di Barcellona, Ada Colau ha lanciato l’allarme. E ovviamente non si riferiva al problema dell’acqua alta. La “marea” che cresce fino a far temere un’inondazione catastrofica è quella del turismo fuori controllo, che inquieta le autorità municipali e soprattutto fa infuriare i residenti della capitale catalana, esasperati al punto da esporre in qualche caso inequivocabili cartelli ai balconi con l’imperativo «Tourists go home!».
Il clima ritorna incandescente con la ripresa della stagione turistica, nei quartieri eletti dai visitatori come destinazione privilegiata del “luna park” Barcellona, dal Barri Gòtic alla Sagrada Familia alla Barceloneta. Qui l’estate scorsa erano scesi in piazza a più riprese sollecitando provvedimenti contro il proliferare di appartamenti senza licenza, dove le notti ad alto tasso alcolico e musica a tutto volume sono la regola da giugno a settembre. Il risultato è stato un numero (insuffiente) di perquisizioni e appena 300 multe ai proprietari fuorilegge. È l’eredità che la vecchia amministrazione nazionalista ha lasciato alla nuova “alcaldesa” eletta con l’appoggio di Podemos. Colau ha deciso di prendere di petto il problema con una decisione drastica destinata a far discutere: ha sospeso «almeno per un anno» la concessione di licenze per nuovi alloggi turistici. Senza fare distinzioni: si va dagli hotel a cinque stelle agli ostelli giovanili, dai residence agli appartamenti. L’unico risultato sicuro è che, per il momento, vengono penalizzate le multinazionali del settore alberghiero che avevano già programmato investimenti per circa 400 milioni di euro: Four Seasons, Hilton, Marriott, Hyatt. Bloccati almeno trenta progetti già avviati (dovevano essere trasformati in hotel di lusso la Torre Agbar, l’emblematico grattacielo a forma di siluro progettato da Jean Nouvel, oltre alla vecchia sede di Deutsche Bank e della Henkel), mentre altre decine di iniziative sono state rinviate a tempi migliori. In questo modo vanno in fumo migliaia di possibili nuovi posti di lavoro in un settore che già contribuisce per il 14 per cento al prodotto interno lordo della città e che dà occupazione a 120mila persone.
Come riconosce lo stesso Comune, il turismo è una preziosa fonte di entrate che porta 25 milioni di euro al giorno in una città di un milione e mezzo di abitanti con 27 milioni di visitatori l’anno. Nel 1991, alla vigilia dei Giochi Olimpici che segnarono l’inizio della grande trasformazione di Barcellona, i turisti erano appena un milione e 700mila. Secondo il geografo Francesc Muñoz, che conosce da vicino anche il caso di Venezia perché vi ha abitato, «oggi è molto ingenuo e naif porre limiti al turismo, dire no all’industria del XXI secolo». Però i residenti, che ormai si sentono stranieri in casa, pretendono regole. Convivere con orde di invasori che indossano sombreri messicani, bevono un liquido tossico spacciato per sangrìa e fanno incetta dei più assurdi souvenir è diventato un incubo quotidiano. E soprattutto notturno, quando i patiti del “pub crawl”, i tour etilici low-cost destinati a un publbico giovanissimo soprattutto anglosassone diventano padroni della città tra schiamazzi e comportamenti incivili.
Il sindaco Colau prova a mettere un freno con la sua moratoria. Ma gli albergatori non sono convinti che sia la via giusta, nonostante il numero di posti letto sia passato dai 24mila del 1991 a circa 70mila: «Magari i nuovi hotel si installeranno nelle località vicine», prevede il direttore del consorzio Turisme de Barcelona, Jordi William Carnes. E l’invasione della città continuerà esattamente come prima.
«Intervista alla neo presidente del Consiglio comunale, Ermelinda Damiano, 27 anni, laureata in Legge. "Non ho esperienza in politica, ma giudicatemi da ciò che farò, non da una vecchia foto"». Forse il boss Brugnaro l'ha fatta eleggere perché è femminista. La Nuova Venezia, 4 luglio 2015
Da miss a presidente. E in mezzo il lavoro, gli studi e la laurea in legge. Le sue foto da ragazzina stanno facendo il giro del web. Commenti non sempre signorili, battute. Paragoni con le “veline” del governo Berlusconi. Ma anche gente che si mobilita in sua difesa. Eccola Ermelinda Damiano, detta Linda, 27 anni, la nuova presidente del Consiglio comunale di Venezia. Giovane, gentile, educata. Una faccia nuova eletta al vertice dell’assemblea municipale con i voti della maggioranza Brugnaro, 25 su 36.
Una storia particolare, il padre che lascia la famiglia quando lei è piccola, la madre bidella costretta ad arrangiarsi. Il viaggio da Napoli e l’arrivo a Venezia alla ricerca di un lavoro. E adesso il lancio nella politica. Luigi Brugnaro che vince le elezioni, lei che diventa consigliera e dopo pochi giorni, presidente. La più giovane nella storia di Ca’ Loredan a soli 27 anni.
Contenta?
«Molto. Ma la gioia della nomina me l’hanno subito rovinata, la prima sera. Hanno detto che facevo la modella, la ballerina».
Non è vero?
«Ho lavorato per pagarmi gli studi. Ho fatto anche l’accoglienza in discoteca, non certo la ballerina, portavo la gente ai tavoli. Non mi pare un crimine. Lavoro da quando avevo 15 anni, ho cominciato al liceo, nei mesi estivi, quando gli altri andavano al mare. Per aiutare mia madre. Siamo solo io e lei. Ho un fratello ma non lo vedo da tanti anni. Ho fatto la commessa, la barista al bar dell’orologio. Non mi vergogno, anzi».
Gli studi adesso li ha finiti.
«Sono laureata in giurisprudenza, mi sarebbe piaciuto che qualcuno lo avesse ricordato invece di cercare le mie vecchie foto in costume per mettermi in cattiva luce. Sto facendo pratica in uno studio legale di Mestre».
Dall’avvocato Giorgio Chinellato, già consigliere comunale della Margherita, ex presidente della Reyer basket femminile. Come lo ha conosciuto?
«Ho portato il curriculum a tutti gli avvocati della città come si fa in questi casi. Lui mi ha risposto. Non ho mai chiesto l’aiuto di nessuno, mi sono sempre arrangiata da sola. Da quando siamo venuti con mia mamma da Napoli. Mia mamma, il grande pilastro della mia vita».
È vero che faceva la ballerina al Molo 5?
«No. Al Molo 5 ho lavorato, sì. Accompagnavo ai tavoli la gente. Sempre per lo stesso motivo: guadagnarmi due lire e pagarmi l’Università. Ho fatto anche la modella, certo. Se volevo potevo andare avanti nel mondo dello spettacolo ma non mi interessava. Ho preferito laurearmi e dal dicembre 2013 ho cambiato vita».
Quando ha conosciuto Luigi Brugnaro?
«Quattro anni fa. Volevo lavorare anche la domenica, ho trovato questa occasione. Ne ho parlato con lo staff, mi hanno preso per fare la hostess alle partite della Reyer. Con me è stato molto gentile».
Quando nasce la sua candidatura a presidente?
«Ne abbiamo parlato in gruppo. Si è pensato di lanciare una persona giovane, una donna. Le donne sono sempre state ai margini della politica».
Pensa di avere i requisiti per ricoprire quel ruolo? Che esperienze ha in politica?
Non la spaventa questo nuovo ruolo?
«Direi di no. Ho già cominciato a lavorare, ho inviato mail a tutti i gruppi per avviare l’attività. Aspetterò lunedì per sapere i nomi di tutti i capigruppo, poi convocherò credo giovedì la conferenza dei capigruppo».
Quando sarà il primo consiglio comunale?«Credo tra una decina di giorni. Ci sono da affrontare molte questioni, a cominciare dal bilancio. Quest’anno le ferie ce le scordiamo».
In un’intervista apparsa sulla stampa locale il 7 dicembre, Renata Codello, Soprintendente per i Beni Architettonici, ha ribadito il suo convincimento ... >>>
Più che il contenuto di tali dichiarazioni, che poco aggiunge ad altre sue precedenti, sorprende il silenzio della Soprintendente a proposito della decisione - resa nota due giorni prima, il 5 dicembre- assunta dal commissario prefettizio Vittorio Zappalorto di «cedere» le Procuratie Vecchie, che pure fanno parte della piazza, alle Assicurazioni Generali. Tale decisione è l’ultimo tassello di una lunga contrattazione avviata dalle precedenti amministrazioni comunali con i proprietari del complesso architettonico, su una parte del quale “grava” il vincolo di uso pubblico.
L’idea dell’ex sindaco Orsoni era di togliere il vincolo di destinazione d’uso al compendio, fatta eccezione per circa 3000 metri quadri con affaccio sulla piazza, che sarebbero dovuti rimanere per trent’anni nella disponibilità del comune, se le Generali avessero versato qualche milione di euro. A suo tempo, l’offerta venne giudicata non abbastanza vantaggiosa dalle Generali che, ben coscienti che «questa proprietà è una cosa unica al mondo…. ha un valore inestimabile», hanno saggiamente aspettato le svendite al ribasso del commissario.
Ora, infatti, il comune rinuncerà ad ogni contenzioso e siglerà un accordo bonario che riduce da 3000 a 800 metri quadrati la parte da destinare ad usi pubblici. «In cambio, ha detto il commissario, la compagnia verserà alcuni (?) milioni per la valorizzazione immobiliare nel frattempo avvenuta dell’area delle Procuratie». Più che soddisfatti sono anche gli amministratori delle Generali, che hanno dichiarato: «al momento non è stata ancora individuata la destinazione, ma sarà compatibile e in perfetta sintonia con la città di Venezia e con la monumentalità del posto… detto questo, gli spazi sono nostri». Bontà loro, che non hanno (non ancora) accatastato la piazza a proprio nome.
Se la contemporaneità delle dichiarazioni del commissario e quelle della soprintendente è ovviamente casuale, induce però a porsi almeno due domande. La prima è se il processo di valorizzazione immobiliare di cui parla Zappalorto non coincida con la riqualificazione esaltata dalla sopraintendente, ed in vista di quali utilizzatori finali siano state restaurate le pietre della piazza. E’ una domanda retorica, dal momento che è dimostrato che il degrado viene tollerato, se non promosso (almeno a partire dal concerto dei Pink Floyds) dalle pubbliche amministrazioni finche lo spazio è pubblico, ma diventa intollerabile quando riduce le amenità ambientali incorporate dai privati investitori.
La seconda questione è se la ripulitura della piazza, in senso fisico e umano – è di oggi la notizia di un “presidio fisso interforze per blindare San Marco” - sia un elemento non secondario del processo in corso di feudalizzazione della società, e quindi degli spazi urbani ai quali i cittadini hanno diritto di accedere o tramite un pagamento o grazie alla concessione di un signore.
Se è così, aspettiamoci, magari con il prossimo patto di stabilità, la recinzione dello square e la consegna delle chiavi ai proprietari che vi si affacciano e che vi possono atterrare con le loro mongolfiere.
«Il turismo di massa reca danni ingenti. La crescita del numero di visitatori e l’abbassamento della loro qualità sono intrinseche all’attuale sistema turistico veneziano. Solo con una politica turistica precisa e innovativa, questo circolo vizioso potrà essere interrotto». La Nuova Venezia, 28 ottobre 2014 (m.p.r.)
Una rassegna stampa sui fatti della settimana don articoli di Vitucci, Pirani e Erbani, e l'intervista a Luigi D'Alpaos. La Nuova Venezia e la Repubblica, 11-17 ottobre (m.p.r.)
Il terremoto Mose. Il progetto, che ora ha iniziato il cammino della Via, la Valutazione d'impatto ambientale, è patrocinato dall'Autorità portuale di Venezia ed è creatura del suo presidente, Paolo Costa. L'idea prende le mosse dal decreto degli allora ministri Corrado Passera e Corrado Clini per allontanare le navi da San Marco dopo il disastro della Concordia al Giglio e per trovare vie alternative. Economista, ex rettore di Ca' Foscari, ex sindaco della città ed ex ministro dei Lavori pubblici, Costa, Margherita poi Pd, è una specie di doge, l'ultimo, in una città scossa e ammutolita dallo scandalo Mose che ha decapitato un'intera classe dirigente. Il sindaco Giorgio Orsoni, patteggiata una condanna, è dimissionario e le elezioni si terranno in primavera. Giancarlo Galan è finito in carcere a Milano e ha patteggiato. Il Consorzio Venezia Nuova, grande motore della corruzione, secondo la Procura, ha le penne abbassate (ma intanto il Mose va avanti). Il Magistrato alle acque è in via di dismissione. Resta Costa, che difende il suo canale aggiungendo che l'operazione non serve solo ad allontanare le navi dal bacino di San Marco, ma ripristina una corretta morfologia della laguna. È, insomma, un progetto ad alta valenza ambientale.
La polemica infuria. Comitati di cittadini, associazioni ambientaliste e uno dei più esperti ingegneri idraulici, Luigi D'Alpaos, professore a Padova, una sterminata bibliografia sulla laguna di Venezia, sostengono una tesi opposta: lo scavo del Contorta Sant'Angelo è una duplicazione del canale dei petroli che ha prodotto già tanti disastri. Farvi transitare navi di quelle dimensioni - anche tre o quattro al giorno in certi periodi, lunghe 300 metri e alte 60 - è sconvolgente per il fondale. Come dimostrano cinquant'anni di esperienza del canale dei petroli, ogni volta che una nave container lo imbocca per raggiungere Marghera, la prua genera un'onda che si propaga sulla superficie dell'acqua e solleva una grande quantità di materiale dal bassofondo. In parte questi materiali, passata la nave, vengono risospinti indietro e vanno a depositarsi nel canale (che infatti deve essere continuamente dragato: tra il 2004 e il 2012 è stato necessario scavare 7 milioni di metri cubi da questo e da altri canali a uso industriale). In parte, rimasti sospesi, quei materiali vengono allontanati dalle correnti verso il mare aperto.
Questo fenomeno si moltiplicherebbe con il passaggio delle navi da crociera non solo nel canale dei petroli, ma anche nel Contorta. E andando avanti così, questa è l'accusa, la laguna vedrà sparire definitivamente la ramificazione di piccoli canali nei quali si inalveano le correnti, determinando quel processo idrodinamico che la tiene in vita. La laguna rischia inoltre di diventare un cratere: cent'anni fa, calcola D'Alpaos, la profondità media era di 40 centimetri, ora, a causa di un milione di metri cubi di sedimenti che finiscono in mare aperto ogni anno, siamo a un metro e mezzo. E se non si porrà rimedio, fra cinquant'anni si scende a due e mezzo. La laguna sarà un braccio di mare. Già oggi fa impressione mettere a confronto l'immagine della laguna intorno al canale dei petroli (un'area grande 30 chilometri quadrati) e quella a nord, oltre l'isola di Murano, nei pressi dell'aeroporto di Tessera: questa appare simile a un tessuto fitto di venature, quella ha un colore blu, compatto e uniforme.
La laguna è protetta dall'Unesco tanto quanto Venezia. In un rapporto del 2006 si sostiene che le barene, le terre che emergono appena sopra il pelo dell'acqua, "necessitano di tutela come le chiese e i palazzi della città". "Non è un'indistinta distesa d'acqua", spiega Lidia Fersuoch, presidente di Italia Nostra di Venezia. "Se guardiamo le cartografie antiche, scorgiamo arabeschi variegati di colori tra il blu, l'azzurro, il verde e il marrone: sono i canali con le loro diverse sezioni e profondità e le terre variamente emerse, a seconda dell'altezza delle maree: quelle sotto la superficie sono le velme, quelle sopra sono le barene, quelle stabilmente all'asciutto sono le isole come il Lido o come Murano".
Le barene e le velme fanno funzionare la laguna. In particolare le prime "dissipano le energie delle correnti, proteggendo le aree stabilmente emerse, partecipano alla fitodepurazione e con la loro particolarissima vegetazione catturano i sedimenti sospesi nelle correnti. Di fatto sono capaci di rigenerarsi costantemente, a patto, però, che l'idrodinamica lagunare sia corretta e non sconvolta dal passaggio di navi". Le barene, però, stanno sparendo: nel '600, stando agli studi di D'Alpaos, occupavano una superficie di 255 chilometri quadrati, oggi siamo appena a 47, ma nel 1901 erano ancora 170.
Nelle intenzioni di Costa, lo scavo del Contorta procurerebbe 6 milioni di metri cubi di materiali con i quali si costruiranno barene a protezione del canale e anche di quello dei petroli. È qui, secondo il presidente del porto, il significato ambientale del progetto. La replica di Fersuoch è secca: "È un paradosso: si scava un canale distruggendo la laguna e poi si realizzano barene. Inoltre in quell'area barene non ce ne sono mai state e quelle che si vorrebbero costruire non sono vere barene, ma arginature molto rigide".
Costa non vuol rinunciare alle crociere. Secondo un calcolo dell'autorità portuale, sarebbero oltre 1 milione 800mila i passeggeri che ogni anno arrivano a Venezia con le navi (su 30 milioni di turisti totali). Erano 880mila nel 2006. Le crociere generano un indotto, assicurano al porto, di 4.250 occupati. Alto il giro d'affari: nel febbraio del 2013 Costa lo attestò a 430 milioni l'anno, il 5,4 per cento del Pil cittadino. Questi dati sono stati poi contestati da un economista di Ca' Foscari, Giuseppe Tattara: 86 milioni il valore delle crociere, 2mila addetti, il 2 per cento del Pil.
Lo scontro è serrato. Gli ambientalisti sostengono che, scavato il Contorta, sarà necessario allargare anche il canale dei petroli, per garantire il via vai delle navi, operazione già bocciata dalla Commissione di Salvaguardia per Venezia. Ribatte Costa: non è vero, le navi transiteranno a senso unico alternato. Ora si attende la decisione della Via. Ma nel settembre del 2013, la stessa Via aveva espresso un parere molto critico sul progetto preliminare. Una mozione del Pd e di Sel in Senato, primi firmatari Felice Casson, Luigi Zanda e Loredana De Petris, chiede che si valutino diverse soluzioni (delle quali si parla in un altro articolo di quest'inchiesta) e denuncia la "scarsa chiarezza" e "l'evidente conflitto di interessi in capo all'Autorità Portuale di Venezia, che si presenta come "progettatore", "istruttore" e "decisore in parte qua" che fa temere "procedure contorte e ai limiti della liceità, anche penale, sulla scia di quanto già successo per le vicende criminali del Mose - Consorzio Venezia Nuova".
Ecco di nuovo affiancati il Mose e il Contorta. Opere entrambe di forte impatto che dovrebbero salvare Venezia e la laguna, secondo alcuni. Che, secondo altri invece, rischiano di trascinare entrambe in una condizione di irreversibile sofferenza.
Prego, professor D'Alpaos.
"Quando si parla di Venezia e della sua laguna, molti sono portati a pensare che l'unico problema da risolvere sia la difesa della città dal fenomeno delle acque alte".
E non è questo il problema principale?
"È un problema, certo. Ma non è il solo. Tempo fa, con il gusto del paradosso, Massimo Cacciari disse che la soluzione consisteva nel tenere a portata di mano un paio di gambali di gomma".
Un paradosso, certo.
"Purtroppo, concentrandosi sulla città, viene lasciato sullo sfondo o addirittura ignorato il tema della morfologia lagunare e della sua salvaguardia. Che è invece una questione centrale".
Lei è considerato il massimo esperto dell'idraulica lagunare: la questione è centrale anche ora, a proposito del progetto di scavare un nuovo canale in laguna, il canale Contorta?
"Certamente sì. È un intervento non basato su studi rigorosi e che non tiene per nulla in conto gli effetti gravi già prodotti nella laguna dal canale Malamocco-Marghera, il canale dei petroli".
Effetti che lei ha documentato negli anni.
"Effetti studiati e verificabili empiricamente".
Eppure il presidente dell'Autorità Portuale di Venezia, Paolo Costa, sostiene che sia stato lei a suggerirgli nel 2004 lo scavo del Contorta.
"Costa utilizza solo una piccola parte di un breve documento che gli inviai e che si riferiva a considerazioni generali sulle correnti in laguna. Ma irresponsabilmente tace un'altra parte, quella in cui segnalavo la necessità di verificare gli effetti che avrebbe provocato la navigazione nel canale. Ed è proprio questo il punto critico: le navi che passerebbero nel canale, come quelle che passano nel canale di petroli, arrecano danni irreparabili alla laguna. Lo scrivo dal 1979. E non ho mai cambiato idea".
Lei sostiene che la laguna di Venezia è stata maltrattata lungo tutto il Novecento.
"La grandissima parte degli interventi non ha mirato alla salvaguardia di questo bene ambientale, ma a difendere alcuni portatori di interessi particolari. Si è aumentato a dismisura il processo di erosione, che è il vero guaio della laguna. La laguna è stata destinata ad accogliere navi sempre più grandi, senza limiti e senza vincoli. L'impatto più sconvolgente lo ha avuto il Malamocco-Marghera, che negli anni Sessanta ha devastato circa 30 chilometri quadrati di laguna".
Ma non è stato anche causa dell'acqua alta a Venezia?
"Lo si è sostenuto a lungo. Ma gli studi dimostrano che la sua incidenza è stata minima. Massima è stata invece la sua responsabilità nella distruzione della morfologia lagunare. L'erosione è documentata in tutta l'area centrale della laguna, con approfondimento generalizzato dei fondali, spianamento e scomparsa di molti canali minori. L'erosione, inoltre, aumenta il moto ondoso che tanti danni arreca agli edifici di Venezia".
Ma quale può essere la soluzione?
"Bisogna estromettere dalla laguna le navi superiori a una certa stazza. Non vedo alternative. Ma purtroppo a carico della laguna, negli ultimi cinquant'anni e ancora adesso, si opera violando le regole auree che per secoli hanno vigilato e che sono scritte anche nella Legge speciale per Venezia: tutti gli interventi in questo delicatissimo ambiente devono essere graduali, reversibili e sperimentali. E il canale Contorta non fa parte di questa categoria".
La Nuova Venezia, 14 ottobre 2014
Contorta, ancora ricorsi. Mira diffida il ministero
di Alberto Vitucci
Una diffida al ministero e un possibile ricorso al Tar. Sul fronte anti-Contorta scende in campo anche il comune di Mira. Il sindaco grillino Alvise Maniero e l’assessore all’Urbanistica Luciano Claut annunciano azioni decise contro una procedura che esclude il loro territorio da ogni decisione. «Non abbiamo ricevuto il progetto, eppure il nostro Comune è il più interessato al progetto», dice Claut, «nei prossimi giorni prenderemo iniziative forti». Non solo lo scavo del canale, ma anche le nuove barene e le arginature del canale Malamocco-Marghera. E poi il passaggio delle grandi navi passeggeri. Una «dimenticanza» denunciata qualche giorno fa dall’ex assessore all’Ambiente del Comune di Venezia Gianfranco Bettin. Che adesso potrebbe inficiare l’intera procedura. «Credo che se questa cosa fosse confermata», dice Bettin, «si dovrebbe ricominciare tutto daccapo. I lavori del Contorta interessano per oltre un chilometro il comune di Mira». Procedura già sotto accusa con le osservazioni presentate nei giorni scorsi dai professori Stefano Boato e Andreina Zitelli e da Italia Nostra. Viene contestata la procedura rapida per la Valutazione ambientale, dal momento che lo scavo del Contorta «non è inserito tra le opere prioritarie del Cipe in Legge Obiettivo». La polemica non si placa.
Ieri il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, a Venezia per un convegno, è tornato sull’argomento. «C’è una decisione molto precisa assunta un mese e mezzo fa dal Consiglio dei ministri», ha detto Franceschini, «e cioè che dal primo gennaio 2015 le grandi navi da crociera non passeranno più davanti a San Marco. Nel frattempo si sta studiando una soluzione alternativa che naturalmente deve essere compatibile con le nostre norme, compreso l’impatto ambientale». Le alternative rimaste in campo sono due. Lo scavo del canale Contorta-Sant’Angelo voluta dal porto. Dieci metri di profondità, sei milioni e mezzo di metri cubi di fanghi da scavare, con cui saranno costruiti 400 ettari di barene. I termini per le osservazioni alla Via scadono dopodomani. E il terminal al Lido, anch’esso sottoposto a Via.
La Repubblica, 13 ottobre
Solo l'Unesco in difesa della laguna
di Pirani Mario
Se solo il Sultano del Qatar con l'alleanza degli altri Emirati del Golfo riuscirà a salvare Venezia e la sua Laguna dalla distruzione in atto ad opera dei giganteschi vascelli barbareschi muniti della libera licenza a solcare oltre ogni limite i confini del più straordinario bacino idrico che la natura abbia regalato all'uomo. Se ci riferiamo all'emiro del Qatar non è per una improvvisa riscoperta delle Mille e una Notte quanto per l'atto di amore e di allarme per Venezia espresso nella capitale dell'Emirato, a Doha, nel giugno scorso dal Comitato del Patrimonio Mondiale dell'Unesco dove capi di Stato e ministri di mezzo mondo «hanno manifestato la propria preoccupazione per l'entità e la scala dei progetti infrastrutturali, di navigazione e di costruzione di grandi dimensioni in Laguna che possono potenzialmente compromettere l'eccezionalevaloreuniversalegenerando trasformazioni irreversibili sul paesaggio del sito, il territorio e l'ambiente marittimo».
L'Unesco «richiede inoltre allo Stato Parte, cioè all'Italia, di effettuare valutazioni sulle potenziali modificazioni della Laguna e del suo territorio, al fine di evitare trasformazioni irreversibili». La denuncia naturalmente si accompagna alla indicazione delle cause provocate dalla continua e crescente preoccupazione per gli impatti ambientali negativi innescati da imbarcazioni di medio motore fino alle navi di elevato tonnellaggio (già si comincia a parlare della costruzione di navi da 600.000 tonnellate ) che hanno progressivamente provocato l'erosione dei fondali lagunari, delle veline e delle barene, e che potrebhero rappresentare una potenziale minaccia per il valore universale del sito.
In effetti sta avvenendo il contrario, quasi che il potere assoluto fosse caduto nelle mani di una autorità politico-militare che approfittando del naufragio del sindaco e della giunta, travolti dallo scandalo del Mose, possa imporre a una delle più belle città del mondo la legge di una vera e propria pirateria con poteri di devastazione per ridurre la Laguna ad una rete di canali di transito. La creazione di un megacanale S. Angelo-Contorta ( le cui drammatiche prospettive sono state da noi descritte nella "Linea di Confine" di maggio 2014 ) che darebbe il via a questa fase di devastazione potrebbe essere decisa a giorni, con la benedizione del ministro per le Infrastrutture Lupi e dell'Autorità Portuale, che probabilmente ha preso per uno scherzo il "bollino rosso" emesso dell'Unesco che esprime la propria preoccupazione per come lo Stato italiano non sembri in grado di tutelare l'integrità della Laguna di Venezia e la difesa della città dall'assalto del turismo di massa e dal degrado.
"Bollino rosso" come premessa alla cancellazione della città dal novero delle città soggette a tutela mondiale. A maggior chiarezza lo stesso organismo ha contemporaneamente esortato il nostro governo a vietare il passaggio delle grandi navi e delle petroliere nella Laguna e chiesto inoltre allo Stato di adottare, in via d'urgenza, un documento legale che introduca tale processo. «Risulta però che al ministero dell'Ambiente sia stato avviato l'esame del Progetto Contorta senza che questo stesso abbia i requisiti di approvazione del Cipe e senza che il canale sia previsto dal Piano Morfologico, lo strumento richiesto dalla Commissione europea a definizione delle compensazioni ambientali dei lavori eseguiti in Laguna. Per contro esiste un altro progetto della DP Consulting e Duferco (presentato all'Ateneo Veneto) che prevede la costruzione di un Terminal passeggeri alla Bocca di Porto di Lido ( progetto chiamato anche De Piccoli dal nome dell'ex viceministro alle Infrastrutture).
Questo avrebbe un ridotto impatto ambientale e il vantaggio di mantenere le grandi navi fuori dalla Laguna. Altre ipotesi di creazione di un terminal crocieristico nella Prima zona industriale di Marghera sono state discusse in modo preliminare, ma non approfondite. Queste avrebbero il vantaggio di poter affrontare la problematica della crescita dei flussi turistici nei prossimi vent'anni. L'Unwto stima infatti che il turismo internazionale raggiungerà 1,8 miliardi di persone nel 2030. Se applicato proporzionalmente a Venezia, questo vorrebbe dire che nel 2030 ci saranno 45 milioni di turisti invece che i 24 milioni annui attuali. I suddetti progetti dovrebbero essere valutati in termini di costi e di impatti in alternativa allo scavo del canale Contorta. Speriamo che l'allarme Unesco venga recepito dalle forze politiche nazionali e dal governo che non possono abbandonare le sorti di Venezia, priva in questo momento di una sua rappresentanza democratica, soltanto alla benemerita iniziativa della sia pur maggiore organizzazione di tutela culturale internazionale.
La Nuova Venezia, 11 ottobre 2014
Contorta, l'ira dei pescatori in Regione
di Vitucci Alberto
Il mondo della pesca contro lo scavo del canale Contorta. Una delegazione agguerrita di pescatori ha manifestato l'altro giorno in Regione. Le quattro cooperative più importanti di pescatori (Lega pesca, Feder-pesca, Agc e Coldiretti) hanno presentato un documento tecnico che dimostrerebbe l'esistenza di molte criticità, e chiesto di incontrare i vertici dell'assessorato e l'assessore Manzato. E stanno preparando un duro documento contro l'ipotesi di scavo del nuovo canale. Che distruggerebbe un'ampia porzione di laguna centrale dove è florida la pesca e la coltivazione dei molluschi.
Una nuova grana per il progetto, all'esame dell'Impatto ambientale in Regione e Comune. «Non è di nostra stretta competenza», commenta l'assessore alla pesca Franco Manzato, «ma siamo intenzionati a chiedere il rispetto di alcune garanzie. Non si possono fare interventi senza prima sentire gli interessati, in questo caso i pescatori. Inserendo nel progetto mitigazioni ambientali e se necessario anche risarcimenti». Era già successo con la Valutazione ambientale del progetto di off shore, per cui sono previsti alcuni indennizzi per i coltivatori di vongole. Ma a molti non basta: «I danni alla laguna ci sono comunque».
E il progetto Contorta va avanti. Ma potrebbe adesso arenarsi di fronte e aun nuovo ostacolo. L'ex assessore all'Ambiente del Comune Gianfranco Benin ha infatti inviato al ministero una segnalazione chiedendo il rispetto delle procedure. «Ci sono troppe cose che non vanno, e sarebbe bene seguire la via maestra», dice, «perché la vicenda Mose insegna». La scoperta riguarda il fatto che il tracciato del nuovo canale (quattro chilometri di lunghezza, profondo dieci metri e largo 120, con 6 milioni e mezzo di metri cubi di fanghi da scavare) interessa per circa un chilometro anche il territorio del comune di Mira. Che a differenza di Venezia e Campagna Lupia non ha però ricevuto il progetto dal ministero per l'Ambiente per le osservazioni. «La procedura dovrebbe ripartire», dice Benin, «perché non si può evitare di coinvolgere un comune direttamente interessato.
Già pende come un macigno la forzatura di aver considerato il progetto come un «adeguamento» di un canale esistente. Sarebbe come definire adeguamento la trasformazione di una sterrata di campagna in autostrada». C'è il rischio concreto che la procedura si blocchi, dunque. Anche perché il ministero per l'Ambiente è in attesa di ricevere le risposte ai quesiti inviate alle Infrastrutture, per i dubbi sollevati nelle osservazioni da Andreina Zitelli, Stefano Boato, Italia Nostra: «Perché il Porto ha proposto il progetto e perché si è scelta la strada delle procedure abbreviate se non è inserito nella Legge Obiettivo?». Un progetto che fa discutere. E ha provocato l'alzata di scudi anche dell'Unesco, che minaccia di depennare Venezia dai siti protetti se non si invertirà la rotta. I termini per la Via scadono il 17 ottobre. E nel frattempo anche un altro progetto alternativo per togliere le grandi navi da San Marco, quello firmato da De Picco-li-Duferco, è all'esame della Via.
Anche la soprintendenza ai beni culturali avalla l'accordo tra la decaduta giunta Orsoni e il nefasto Ente porto, volto a rafforzare la presenza della Grandi navi nella città antica, ad aprire il varco all'ingresso delle automobili e a ridurre gli spazi pubblici in un settore densamente popolato di Venezia. La NuovaVenezia, 17 luglio 2014
Dalla maggioranza di centrosinistra del Consiglio comunale di Venezia un ulteriore contributo al degrado del patrimonio culturale , alla svendita (per meno di 30 denari) della proprietà pubblica, alla mercificazione della città, nonché alla diffusione dell’”antipolitica". La Nuova Venezia, 12 marzo 2013
La battaglia per il Fontego finisce a tarda sera, con voti sugli emendamenti a colpi di maggioranza e le proteste di opposizioni, consiglieri «dissidenti» e comitati, che hanno organizzato durante la sospensione dei lavori una vera «assemblea» nell’aula di Ca’ Loredan. Convenzione votata tra il Comune – con la Variante e il cambio d’uso che dà il via libera ai lavori di restauro – e Edizione property, la finanziaria del gruppo Benetton per trasformare lo storico Fondaco dei tedeschi in un moderno centro commerciale. Respinti quasi tutti gli emendamenti che proponevano una maggiore apertura pubblica del palazzo e l’aumento del corrispettivo (sei milioni) spettante al Comune per il cambio di destinazione d’uso. Polemica a tratti molto dura sul valore dell’edificio acquistato cinque anni fa da Benetton per 60 milioni di euro. E sul rapporto «pubblico-privato». Convenzione che penalizza il Comune, secondo i dissidenti. «Valorizzazione di un bene oggi degradato e chiuso al pubblico», secondo la giunta e i partiti di di maggioranza, Pd, Idv, In Comune. Il sindaco Giorgio Orsoni nella sua replica ha spiegato il perché si sia giunti a questo punto. La convenzione firmata dal sindaco con Benetton, due anni fa, è stata definita «un atto che rende questo Consiglio più libero di decidere perché garantisce il rispetto di alcuni obblighi per il privato. «Ci sono dei dati di fatto», ha detto il sindaco, «che chiunque non abbia pregiudizi non può non vedere. Il primo è che questo palazzo è di proprietà privata e che la precedente amministrazione ha deciso di non esercitare il diritto di prelazione». «A quel punto», ha detto ancora il sindaco, «a noi non restava che cercare di ottenere i maggiori vantaggi possibili per la collettività. Così abbiamo fatto, ottenendo la disponibilità pubblica del cortile, con dieci giorni dedicati a spettacoli esclusivi del Comune, l’uso dello spazio all’ultimo piano. E sei milioni di euro, che ci sembrano congrui. Anche perché non è scontato che si possa recuperare utilità pubblica sulla proprietà privata». Anche dal punto di vista del progetto, Orsoni ha ricordato che l’ipotesi originaria è stata modificata. Con lo stralcio delle scale mobili colorate nel cortile e e della grande terrazza. Dibattito proseguito fino a tarda ora, con la discussione di decine emendamenti. Bocciata per soli tre voti la proposta avanzata dal consigliere del Gruppo Misto Nicola Funari di rinviare tutto in commissione, vista la «non adeguata valutazione effettuata dagli uffici». Ma per tre voti la proposta non è passata. Non hanno votato tra l’altro anche consiglieri critici con la delibera, come Jacopo Molina, Saverio Centenaro, Valerio Lastrucci. Durissimi gli interventi delle opposizioni. Renato Boraso, Cesare Campa, Marta Locatelli (Pdl), Giovanni Giusto (Lega). Jacopo Molina (Pd) hanno accusato la giunta di aver già deciso, nel momento in cui il sindaco aveva firmato la convenzione con Benetton, due anni fa. Renzo Scarpa (Misto) ha accusato di illegittimità gli atti in approvazione. Stessa linea per Gianluigi Placella (Cinquestelle), applauditissimo dall’aula. Favorevoli al restauro i consiglieri Pd Borghello e Pagan, Beppe Caccia (In Comune), Giacomo Guzzo (Italia dei Valori) che ha invitato a tener presente il beneficio economico dei 400 posti di lavoro. Attacchi alla giunta e alla «necessità di far cassa». L’assessore Ezio Micelli ha replicato difendendo la bontà dell’accordo, che «precisa gli elementi dell’intesa sulla base del progetto definitivo approvato dalla Soprintendenza».
Ecco un'immagine del Fontego dei tedeschi, futura Rinascente