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I neobarbari al lavoro. Lotta dura per un maggiore sfruttamento della città da parte del complesso turistico-immobiliare, leader il sindaco in carica. la Nuova Venezia, 4 giugno 2017

Blocco di nuovi alberghi e bed & breakfast nella città storica con lo stop ai cambi di destinazione d'uso. Ma, caso per caso, a discrezione del Comune e con un'ampia gamma di deroghe che potranno consentire il via libera anche per "monetizzare" i permessi di costruire, a vantaggio delle casse comunali. A leggerla bene, la delibera del Comune appena licenziata e che martedì approderà in Commissione consiliare per essere discussa prima del voto in Consiglio comunale, appare molto meno "severa" di come è stata presentata anche dall'assessore all'Urbanistica Massimiliano De Martin e lascia a Ca' Farsetti un'ampia discrezionalità per dare il via libera a nuovi interventi di carattere alberghiero in città.

La chiave è nell'articolo 21-bis. Al punto 1 infatti si scrive che per tutelare la Città antica di Venezia dalla pressione turistica, dal proliferare incontrollato di attività ricettive, a discapito della residenza e dei servizi agli abitanti e dalla perdita di identità del patrimonio edilizio storico, a partire dalla data di adozione della presente variante non sono ammessi nuovi insediamenti o ampliamenti di attività ricettive alberghiere e complementari». Ma al punto 2, ecco la gamma delle deroghe. «L'amministrazione comunale può autorizzare l'insediamento o l'ampliamento di attività ricettive alberghiere e complementari tramite permesso di costruire in deroga», «ove ne ravvisi il pubblico interesse, avendo riguardo, in particolare, alla qualità delle strutture e l'alta gamma di servizi offerti, alla loro localizzazione nell'ambito del centro storico, alla loro capacità di innescare processi di riqualificazione degli spazi pubblici circostanti, all'uso razionale ed unitario degli immobili, all'impatto occupazionale e indotto economico derivante, all'entità del contributo straordinario di cui all'articolo 16, comma 4, lettera d-ter) del D.P.R. 380/2001».
Si tratta, in pratica della monetizzazione di parte dell'incremento di valore atteso per la struttura con il cambio di destinazione d'uso, legato anche agli oneri di urbanizzazione. Se insomma l'albergo è bello, darà lavoro a un buon numero di persone, o se il nuovo proprietario sarà disposto a riconoscere un congruo beneficio economico al Comune, la struttura potrà essere utilizzata nonostante il blocco, essendoci per Ca' Farsetti un pubblico interesse. Come quello, ad esempio, riconosciuto in Consiglio comunale tra le polemiche al cambio di destinazione d'uso a fini alberghieri che ha interessato la consigliera comunale della Lista Brugnaro Marta Locatelli. Pertanto, anche se sarebbero già annunciati un buon numero di ricorsi al Tar contro la delibera da chi teme di veder pregiudicata l'apertura di nuovi alberghi o bed & breakfast, il "menù" delle deroghe che essa offre, potrebbe facilmente accontentare molti.
Prevista anche la possibile monetizzazione da parte del Comune dei parcheggi pubblici che dovrebbero essere messi a disposizione con l'insediamento o l'ampliamento di attività ricettive alberghiere e complementari e di medie o grandi strutture di vendita commerciali. Una strategia che la giunta Brugnaro ha già seguito in occasione del nuovo parcheggio in Marittima da realizzare con l'Autorità Portuale, dove una parte dei posti-auto riservati ai veneziani sono stati appunto "monetizzati" dall'Amministrazione.
L'altra critica diffusa riguarda il fatto che nel frattempo i buoi sono appunto già usciti dalla stalla. Già autorizzata una proliferazione di nuovi alberghi in arrivo - da quello previsto in Marittima, nell'ambito dell'operazione del nuovo garage, a quello in via di realizzazione a due passi da piazzale Roma, a quelli che saranno realizzati a Murano al posto di vetrerie e fornaci - per cui lo stop, ammesso che tale sia, arriva in grandissimo ritardo. Ma incombe anche il "verdetto" dell'Unesco su Venezia e questa delibera sembra fatta anche per tranquillizzare l'organismo internazionale sul fatto che Venezia sul turismo ha "cominciato a fare i compiti"

Annunciato il blocco dei cambi di destinazione d'uso che hanno cambiato il volto della città di Venezia. Articoli di Leonard Berberi, Alberto Vitucci, Francesco Bottazzo. Corriere della Sera, la Nuova Venezia, Corriere Veneto, 2 e 3 Giugno 2017 (m.p.r.)

Corriere della Sera
VENEZIA
LA GUERRA DEI POSTI LETTO

di Leonard Berberi

Un passaggio della proposta di delibera dice già tutto. «Disposizioni per tutelare la città antica di Venezia dalla pressione turistica, dal proliferare incontrollato di attività ricettive e dalla perdita d’identità del patrimonio edilizio storico». Perché di questo passo, con 55 mila residenti (in calo rilevazione dopo rilevazione) e oltre 47 mila posti letto a disposizione (in crescita), tra poco finirà per esserci un materasso destinato ai visitatori per ogni iscritto all’anagrafe nel cuore del capoluogo veneto.

La giunta lagunare guidata da Luigi Brugnaro prende di mira il capitolo ospitalità e propone di bloccare sia la possibilità di trasformare gli immobili del centro in strutture ricettive, sia le richieste di ampliamento di quelle esistenti. Niente più nuovi hotel e, soprattutto, bed & breakfast. «Non ci saranno più cambi di destinazione d’uso degli stabili», spiegano dal Municipio e sottolineano come in realtà nel mirino finisca di più la micro-ospitalità come Airbnb che al 1° giugno contava 5.923 tra appartamenti e stanze disponibili sulla piattaforma.

Ogni nuova richiesta di apertura o eventuali modifiche saranno quindi valutate dal consiglio comunale. «E non si potrà fare che si propone di trasformare un appartamento in b&b perché o lo si fa per tutto lo stabile o niente». La delibera non ha effetto retroattivo ed esclude le isole, compresa la Giudecca. La proposta conta sette pagine e la «prima strategia a breve termine» si legge, ed è una citazione di un documento illustrato dal primo cittadino il 15 giugno 2016 - «è quella di contenere il fenomeno della progressiva occupazione del patrimonio residenziale cittadino da parte di attività ricettive alberghiere ed extra-alberghiere».

«Ora le attività del centro dovranno soggiacere a una politica qualitativa di ricezione», spiega Massimiliano De Martin, assessore all’Urbanistica. L’amministrazione ha già calendarizzato i passaggi. L’intenzione sarebbe anche quella di non dare la possibilità a chi esercita in modo abusivo di regolarsi prima che entri in vigore la delibera. Salvo sorprese l’ok del consiglio comunale dovrebbe arrivare a metà giugno, dopo i passaggi tecnici alla Municipalità di Venezia – Murano – Burano e alle commissioni.

Ma non c’è il rischio che lo stop a nuovi esercizi porti all’aumento dei prezzi? «Il rischio c’è, ma a Venezia i posti letto a disposizione non sono pochi», ragionano dal Comune. «E poi i prezzi degli alberghi qui sono già alti».

La delibera dovrebbe anche «accontentare» l’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite che l’estate passata lanciò l’ultimatum: o entro il 1° febbraio l’amministrazione si muove concretamente per risolvere i problemi che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di città storica - dall’assalto dei turisti al moto ondoso, alla riduzione costante di residenti - o il capoluogo veneto sarà cancellato dai siti patrimonio dell’Umanità ed entrerà a far parte di quelli a rischio

Questo è il secondo passo di Brugnaro per contenere i flussi arrivati a livelli critici. A fine aprile la giunta ha approvato la delibera quadro sul turismo che prevede, tra le altre cose, la sperimentazione di sistemi conta-persone per regolare gli ingressi, l’individuazione di nuove aree di ristoro per i visitatori, l’avvio di una campagna di comunicazione sulle giornate di maggior afflusso e l’incremento degli agenti di Polizia locale. Su quest’ultimo punto, in Municipio fanno notare che 70 vigili verranno assunti per un anno, altri cento per i quattro mesi di picco.

la Nuova Venezia,
STOP AI CAMBI D'USO
L'ORA DELLA VERITÀ

di Alberto Vitucci

De Martin: «30 giorni per le osservazioni, vedremo chi è contro». Boato: «Ritirare le licenze illegittime»

Stelline rosse per gli hotel, palline blu per i bed and breakfast, verdi per le locazioni turistiche. La nuova pianta di Venezia brulica di segnalazioni di attività ricettive turistiche. «Non resta molto spazio per le abitazioni», commenta un dirigente dell'Urbanistica. Dopo molti anni il Comune finalmente ha avviato un «censimento» di queste attività. E ci si è accorti che la situazione è al limite. Forse oltre il limite. Ecco la delibera che blocca i cambi d'uso.

«Andrà in commissione già la settimana prossima e in Consiglio comunale. Con l'adozione scatterà la clausola di salvaguardia», dice l'assessore all'Urbanistica Massimiliano De Martin, «poi ci saranno 30 giorni per presentare le osservazioni. Sarà il momento in cui vedremo chi è contrario a questo provvedimento». C'è anche il rischio dei ricorsi al Tar da parte di imprenditori che si ritenessero danneggiati e che in questi giorni tempestano geometri e architetti di loro fiducia di telefonate per avere «rassicurazioni». Remoto, perché il Comune ha stavolta studiato per bene i riferimenti di legge e le motivazioni della delibera. Ma non impossibile, vista la storia recente di questa città.
La delibera che blocca i cambi d'uso prevede anche eccezioni per i progetti già in itinere. Oppure per quelli che riguardino edifici già oggetto di cartolarizzazione, cioè messi in vendita dal Comune per fare cassa con allegata la Variante urbanistica. Oppure «progetti di interesse che dovranno essere esaminati dal Consiglio comunale». Ma la strada sembra segnata. E dopo molti anni di inerzia adesso c'è una delibera che prova a invertire la rotta. «Per vedere se l'amministrazione fa sul serio dovremo attendere i primi provvedimenti di revoca di autorizzazioni illegittime», dice Stefano Boato, urbanista e assessore alla fine degli anni Ottanta, «per tornare indietro dal disastro occorre annullare tutte le situazioni realizzate in modo non legittimo». «Lo faremo», dice De Martin, «quando si fa il censimento, chi non c'è è fuori. E la nuova norma impedisce di presentare un'altra richiesta di cambio d'uso. Ci tengo a dire che questi provvedimenti sono presi in sintonia con l'Unesco. Le loro preoccupazioni sul futuro della città sono anche le nostre».


Corriere del Veneto
STOP AGLI HOTEL
CORSA A DEROGHE E RICORSI
di Francesco Bottazzo

«Nel 2016 oltre dieci milioni di presenze in centro storico. Ferrazzi: così si consolidano i cambi già fatti». Dimenticando che le ultime amministrazioni PD hanno reso possibile tutto questo. (m.p.r.)

Venezia. Corsa contro il tempo per le deroghe, per evitare «l’obolo» al Comune e di passare attraverso il consiglio comunale. Qualche proprietario che oggi si trova nella condizione urbanistica di poter trasformare il suo immobile in albergo, ma che non ha ancora presentato alcun progetto a Ca’ Farsetti, è già pronto a fare ricorso contro il provvedimento dell’amministrazione che blocca l’apertura di nuovi alberghi, b&b, e l’ampliamento di quelli già esistenti. «Sapevamo di scontentare qualcuno, ma è la città che da tempo chiede un intervento per limitare le trasformazioni e i cambi d’uso», spiega l’assessore all’Urbanistica Massimiliano De Martin.

Un blocco totale - che segue quello già passato in consiglio comunale un mese fa su pizze al taglio, kebab e take-away - anche se saranno possibili deroghe, sulla base di criteri molto restrittivi, autorizzate dalla giunta e dal Consiglio e dopo il pagamento del beneficio pubblico e dello standard di parcheggio, oggi non previsto. I numeri degli arrivi e delle presenze turistiche sono già alti. Oltre 10 milioni e mezzo in centro storico nel 2016, con una permanenza media di 2,26 notti, più di tre volte dei turisti che si fermano in terraferma.

«Ma la giunta dovrebbe vedere il problema unitariamente mettendo insieme Venezia e Mestre, se sviluppiamo troppo la terraferma comunque non c’è il controllo del turismo - interviene il presidente dell’ordine degli Architetti Anna Buzzacchi - Invece la necessità di porre un freno alle trasformazioni è evidente per incentivare la residenzialità». Tecnicamente la delibera prevede una variante al «Piano degli interventi per la Città Antica». Dal blocco del cambio di destinazione d’uso in ricettivo, restano per ora escluse solo le locazioni turistiche (tipo AirBnb), per le quali ci sarà un provvedimento distinto in futuro, una volta risolto il problema giuridico se sia possibile limitare quel tipo di uso della propria abitazione. Perché anche questo provvedimento - sottolinea l’assessore al Turismo Paola Mar - fa parte delle 34 azioni che la giunta ha deciso di intraprendere da qui al 2019 per gestire i flussi, controllare i turisti e incentivare la residenzialità.
«Abbiamo tracciato una road map in cui sono previste una serie di azioni che settimana dopo settimana stiamo mettendo in atto per risolvere i problemi della città a 360 gradi», precisa Mar. E per dare una risposta all’Unesco che ha «minacciato» di cancellare Venezia dai siti del patrimonio dell’Umanità facendola entrare nella lista dei siti monumentali a rischio. «Abbiamo condiviso i timori e non abbiamo avuto difficoltà a trovare un’intesa» dice De Martin. Proprio la settimana prossima sarà quella decisiva in cui Ca’ Farsetti sarà all’Unesco il «Dossier Venezia» - forse già lunedì quando i rappresentanti dell’organizzazione saranno in città - con le azioni previste, quelle messe in atto e quelle che arriveranno come il nuovo regolamento di polizia municipale, e l’individuazione di spazi in centro storico attrezzati per il pranzo, cercando di eliminare i pic nic su gradini di musei e di chiese.

Ma è chiaro che l’incentivo alla residenzialità e il blocco delle trasformazioni dei palazzi in alberghi è fino a questo momento il provvedimento che fa più rumore. E non a caso la giunta vuole ridurre al minimo il tempo tra l’annuncio della variante (l’adozione c’è stata giovedì) e l’approvazione da parte del consiglio comunale per evitare la corsa a protocollare nuove istanze. Martedì è previsto il primo passaggio in commissione con l’auspicio dell’assessore di trovare il consenso di tutti. «Il nuovo provvedimento consolida e non blocca tutte le operazioni che sono state portate a termine in questi anni e che invece andavano fermate subito, votando la Mozione che abbiamo presentato il 2 novembre 2015 e che la maggioranza ha bocciato», dice però il pd Andrea Ferrazzi.



la Nuova Venezia, 3 giugno
POSTI LETTO(47.229) QUASI COME I RESIDENTI
di Alberto Vitucci

Le camere censite nella città storica sono 25.400. San Marco e Cannaregio ormai sature

Le palline rosse (hotel e attività ricettive) e quelle blu (extralberghiere) sono dappertutto. Un reticolo fitto fitto, che fa impressione. È l'elaborazione grafica fatta in questi giorni dall'assessorato all'Urbanistica sulle destinazioni d'uso degli edifici della città storica. Un modo per quantificare le attività a uso alberghiero ed extralberghiero, i bed and breakfast, gli appartamenti a locazione turistica. «Lavoro preliminare alla delibera, necessario per avere un quadro definito», dice il dirigente dell'Urbanistica Vincenzo De Nitto.Oggi le camere censite - e denunciate - nella città storica sono 25.400. I posti letto in totale 47.229. Una cifra enorme, e forse nemmeno definitiva, perché molte attività ancora sfuggono al controllo del Comune e del fisco.47.229. Quasi il numero degli abitanti di Venezia che sono oggi ridotti a 54 mila. Un numero, quello dei posti letto turistici, che è andato aumentando negli ultimi anni, con particolare incremento negli anni del Giubileo - dall'anno Duemila - e poi in anni recentissimi.

Tendenza di mercato che ha permesso nelle maglie di una normativa piuttosto permissiva, di trasformare case in alloggi turistici, palazzi in grand hotel. La linea rossa e blu è intensa nella «pancia» della città, tutta l'area intorno a San Marco. Stelle rosse - alberghi di pregio - sul Canal Grande a Rialto e verso Ca' D'Oro e San Marcuola, intorno a San Marco, densità notevole soprattutto per gli extralberghieri anche a Cannaregio. Ancora esente dall'occupazione turistica il sestiere di Castello, dove sono pochissimi i grandi alberghi, meno che a Cannaregio, San Marco e Dorsoduro-San Polo gli appartamenti destinati ad attività turistica. Più rada la densità delle strutture turistiche alla Giudecca e al Lido. Alla Giudecca gli alberghi si contano sulle dita di una mano, quasi inesistenti gli affitti turistici. Dunque, dal punto di vista dei numeri, ogni giorno in città ci sono quasi 50 mila abitanti in più. Il numero dei «residenti» raddoppia, anche se non si tratta di cittadini residenti ma di turisti. Il loro numero è in continuo aumento, e adesso la «mappa» elaborato dall'assessorato all'Urbanistica consente di avere una percezione esatta - ma anche visiva - dell'occupazione della città. «Fa impressione perché lo spazio libero rimasto è davvero poco», commenta amaro un dirigente del Comune. Sono un centinaio i palazzi di pregio diventati hotel negli ultimi anni.


la Nuova Venezia, 2 giugno
LA GIUNTA BOCCIA I CAMBI D'USO TURISTICI

di Alberto Vitucci

Approvata la variante urbanistica che "congela" le trasformazioni di palazzi in hotel e appartamenti in bed and breakfast

Stop alle nuove strutture turistiche. Il cambio d'uso degli appartamenti e di palazzi non sarà più automatico e non sarà consentito ad eccezione di alcune aree (la Giudecca e il Lido) e di progetti «di particolare interesse». Che andranno approvati in deroga dal Consiglio comunale. Lo prevede la nuova Variante Urbanistica al Piano degli interventi della Città Antica, approvata ieri dalla giunta Brugnaro. Provvedimento forse tardivo, ma senz'altro di impatto. Che blocca l'apertura di nuove strutture ricettive per i turisti. Alla fine la giunta mette giù il carico da novanta. Il giudizio dell'Unesco si avvicina, e l'organizzazione mondiale ha chiesto «provvedimenti concreti». Questo lo è sicuramente. Mette un freno a una situazione ormai ingovernabile. Pone anche le basi per controlli a tappeto. Chi non risulta in regola, infatti - e «non esiste» rispetto all'anagrafe comunale - perderà ogni diritto e non potrà più riaprire l'attività.
«È un punto chiave del nostro mandato», ha spiegato ieri l'assessore all'Urbanistica Massimiliano De Martin, «contrariamente a quanto è avvenuto finora, infatti, tutte le istanze di aprire nuove strutture ricettive o di ampliare quelle esistenti saranno congelate. La dimostrazione che come scritto anche nel programma del sindaco, questa amministrazione vuole invertire la tendenza». Il nuovo articolo 22-bis delle Norme tecniche di attuazione della VPRG per la Città antica, prevede adesso la «non ammissione», a partire dalla data di Adozione della variante da parte del Consiglio comunale, di «nuovi insediamenti o ampliamenti di attività ricettive alberghiere e complementari».
Blocco che non sarà totale. «Eventuali deroghe», si legge nella nota dell'assessorato, «potranno essere autorizzate dal Consiglio comunale, previa presentazione di un progetto, sulla base di alcuni criteri». Come «la qualità delle strutture, l'alta gamma dei servizi offerti, la loro localizzazione all'interno del centro storico, la capacità di innescare processi di riqualificazione degli spazi pubblici circostanti, l'impatto occupazionale, l'indotto economico». Esclusi anche gli edifici compresi nei piani di alienazione del Comune. E quelli per cui le domande sono già «in itinere». «La commissione valuterà le proposte», dice la presidente Lorenza Lavini. Il blocco dovrebbe scattare dalla metà di giugno, giusto il tempo di portare la delibera a conoscenza della Municipalità e della commissione consiliare e poi al voto in Consiglio comunale. «Una necessità per arginare la pressione turistica», ripete De Martin.
Le opposizioni ricordano di aver proposto un ordine del giorno bocciato dalla maggioranza due anni fa. «Ma non potevamo agire sull'onda dell'emotività», taglia corto De Martin, «prima dovevamo raccogliere i dati». Così nell'anno di grazia 2017, dopo decenni di allarmi e denunce non ascoltati, sappiamo finalmente «quanto» e «dove» sono le attività ricettive. E l'amministrazione ha capito che sono troppe e bisogna mettere uno stop. «Un provvedimento che farà voltare pagina», promette De Martin. V'è anche una norma che vieta di rilasciare licenze per locazioni turistiche in un edificio dove ci sia residenza. «Ma soprattutto», aggiunge De Martin, «non sarà più possibile il cambio d'uso. Adesso si può fare quando la superficie supera i 200 metri quadrati». Altra novità, chi apre un hotel a Venezia pagherà come in terraferma gli oneri peri parcheggi. La variante non si applica alla Giudecca dove gli alberghi «sono pochi» e al Tronchetto. Dove peraltro non sono previsti dal Prg.


A rischio di scomparsa un ecosistema unico al mondo, prodotto da millenni di lavorìo assiduo della natura, l'ultimo dei quali dedicato al saggio governo delle trasformazioni compatibili con la sua conservazione. Se ne discute ma la sua difesa era stata affidata ai suoi distruttori più recenti. la Nuova Venezia, 1 giugno 2017, con postilla

«Interessa ancora a qualcuno il riequilibrio della laguna?» Lorenzo Bonometto, naturalista ed esponente di spicco della Società di Scienze Naturali, se lo chiede da anni. «Nessuno mi ha mai risposto», dice sconsolato, «si parla di grandi opere in laguna, di navi e di nuovi canali. Di erosione e riequilibrio mai». Ieri pomeriggio lo ha spiegato in sala San Leonardo, nell'ambito di un convegno promosso dalla Municipalità di Venezia alla presenza di molti esperti di temi lagunari. E per la prima volta anche del presidente del Provveditorato alle Opere pubbliche (ex Magistrato alle Acque Roberto Linetti. «Non era mai succeso», ha detto con soddisfazione il moderatore del dibattito Stefano Boato, «che un presidente del Magistrato alle Acque venisse ad ascoltarci. Ci sono fenomeni che stanno mettendo a rischio l'antico equilibrio delle lagune e che il nuovo Piano Morfologico non prevede».

Uno strumento in discussione, elaborato dal Provveditorato e dal Consorzio Venezia Nuova, con l'aiuto di esperti esterni. Nel Piano si parla della laguna del futuro e della sua difficile convivenza con la pressione antropica. Ma anche di interventi possibili per mettere insieme la conservazione e lo sviluppo. Qualcuno lo ha letto come un glimaldello per lo scavo di nuovi canali. Come il Contorta prima, le Tresse poi. Entrambi pensati per le grandi navi, abbandonati adesso per la nuova soluzione, il Vittorio Emanuele. Che non va scavato da zero, ma riportato alla profondità di 9 metri, con l'estrazione di milioni di metri cubi di fanghi dai fondali.
«Non si parla mai però di quello che succede in laguna ogni giorno», dice Bonometto. Dopo lo scavo di nuovi canali, anche per la costruzione del Mose, l'equilibrio si è rotto. Quasi un milione di metri cubi di sedimenti se ne vanno in mare ogni anno. Da una parte la laguna si sta dunque trasformando in un braccio di mare, con la distruzione delle barene. Dall'altro la mancata circolazione verso la terraferma e l'area di gronda, provoca interramenti e anossia, per la concentrazione di alghe visibile anche in questi giorni. Lo ha spiegato Renzo Scarpa, consigliere comunale del Gruppo Misto, chiedendo al Magistrato alle Acque di riprendere l'antica opera di manutenzione della laguna.Un sistema complesso, per troppi anni trattato come un luogo dove costruire dighe e banchine portuali. Opere che invece di ridurre le acque alte hanno aumentato il «consumo» della laguna.

postilla

Non bastava l'escavo e l'approfondimento continuo dei canali progettati e realizzati con logiche autostradali; non bastava la continua riduzione del bacino lagunare; non bastava il moto ondoso provocato da grandi navi, vaporetti, taxi acquei, motori fuoribordo piccoli, grandi e grandissimi. Non bastava tutto ciò a tramutare la Laguna, da specchio d'acqua dal profilo modificato solo dagli effetti lenti, graduali e ripetitivi delle maree in un luogo turbinoso del quale stanno velocemente scomparendo vite vegetali e animali millenarie. Bisognava anche affidare la progettazione del "piano morfologico" della Laguna allo stesso consorzio di palazzinari, pluricriminale artefice del MoSE e delle sue opere. (e.s.)

«Venezia non è dei veneziani, è del mondo» Lo ricordi l'Unesco, che dovrà decidere se lasciare i veneziani della città insulare e della Terraferma arbitri unici del destino della città. È questione di grande rilievo, ma l'arbitro invocato ha il potere di rappresentare il mondo?La Nuova Venezia, 23 Maggio 2017

Si sta avvicinando la data (sarà tra il 2 e il 12 luglio) in cui un’Assemblea generale dell’Unesco dovrà decidere se i propositi del governo italiano e delle amministrazioni locali riguardo al futuro di Venezia sono tali da garantire un’accettabile tutela dei valori storici, culturali e ambientali di Venezia e laguna. Nel frattempo si avvicina la data di un referendum (il quinto) sulla separazione amministrativa dei comuni di Venezia e di Mestre. Le due scadenze ripropongono un problema serio che tocca la gestione dei beni privati o pubblici che possono avere un interesse comune: fino a che punto gli abitanti di un luogo hanno il diritto di farne l’uso che vogliono? Fino a che punto il resto della nazione (o dell’intero pianeta) hanno il diritto di interferire con la volontà e gli interessi di chi in un luogo abita e lavora?

Una giornalista del Guardian inglese mi ha posto pochi giorni fa una domanda che mi viene spesso rivolta: ritengo io che sia giusto separare le amministrazioni di Venezia e Mestre? Naturalmente il problema vero è se sia corretto che gli abitanti della terraferma possano, con la loro maggioranza, interferire sulla gestione della Venezia insulare. Non dovrebbero essere i veneziani che ci vivono a decidere sul numero degli alberghi in città? Ma i veneziani usufruiscono ormai quasi tutti dei proventi del turismo, anche di quello di massa. Se fosse per loro, tutte le case potrebbero diventare di affitto turistico, perché rendono molto, e i loro negozi potrebbero vendere ricordini e maschere da carnevale.
Al Guardian ho detto: Venezia non è dei veneziani, è del mondo. Se io possiedo un quadro di Tiziano, questo non mi autorizza a cambiare le sfumature di un colore o a rimuovere un pezzo della tela: io sono solo il custode di un bene comune. Per la stessa ragione non ho il diritto di mettere un tetto al Fontego dei Tedeschi, che è un edificio del Cinquecento costruito a copia di un caravanserraglio orientale. Ma i veneziani, come si comporterebbero? Sarebbero capaci di andare contro i loro interessi pecuniari immediati in favore di un interesse culturale mondiale? Ne dubito molto. Senza citare gli spropositi del sindaco Brugnaro, basta dare un’occhiata alle delibere del sindaco precedente, Giorgio Orsoni, residente sul Canal Grande: vendite continue di palazzi per uso alberghiero, tolleranza di moto ondoso, proliferare di B&B reali e finti.
Per la tutela dei valori culturali, storici e ambientali sarebbe azzardato rivolgersi ai residenti. I residenti sceglieranno sempre, salvo una minoranza altruistica, le risposte che portano più quattrini nelle loro profondissime tasche. I pretesti e le scuse non mancano, anche fintamente democratici: “Tutto il mondo ha diritto a venire a Venezia, e poi non si saprebbe dove mettere i tornelli, e poi se la casa è mia io l’affitto a chi voglio, e le navi da crociera creano posti di lavoro”.
Allora? Esiste una via per impedire che ignoranza e cupidigia trasformino un patrimonio di bellezza infinita e irripetibile in un ammasso di bancarelle e cartelloni pubblicitari? La risposta: non si può togliere agli abitanti il diritto di legiferare sul territorio, ma si può creare un organismo mondiale che valuti il loro comportamento, che suggerisca soluzioni ai problemi moderni e incoraggi scelte corrette, che metta in primo piano i valori della storia, della bellezza. Un organismo simile, in verità, esiste già ed è l’Unesco, con la sua lista dei beni Patrimonio dell’Umanità. Occorre potenziarlo e farne un vero guardiano dei patrimoni mondiali. Nessuna delibera dovrebbe diventare attiva se non dopo l’approvazione di quell’organismo (pensiamo per esempio all’Arsenale...). Si tratterebbe certamente di una diminuzione di autonomia per gli enti locali. Ma forse l’autonomia bisogna sapersela meritare, e il resto del mondo non può assistere passivamente alla distruzione di una delle testimonianze più alte della sua storia. *

Paolo Lanapoppi è Vicepresidente Italia Nostra, sezione di Venezia

«Appuntamento il 18 giugno, quando i NoGrandiNavi allestiranno 60 seggi, ambientalisti contro lo scavo del Vittorio Emanuele: “Impatto devastante”». La Nuova Venezia, 21 maggio 2017 (m.p.r.)

«Sarà un mese di “campagna elettorale” serrata: saremo in tutti i mercati, i campi, le feste, le sagre perché non solo il 18 giugno vogliamo vincere, ma vogliamo che la partecipazione sia altissima, per non dare a alibi a nessuno». A parlare è Tommaso Cacciari, portavoce del Comitato NoGrandiNavi, nell’annunciare - nel corso di un’assemblea pubblica in sala San Leonardo - l’appuntamento con il referendum fai-da-te che gli ambientalisti hanno organizzato per domenica 18 giugno.

Il quesito è chiaro: «Vuoi che le grandi navi da crociera restino fuori dalla laguna di Venezia e che non vengano effettuati nuovi scavi all’interno della laguna stessa? ». Tradotto: “No” allo scavo del canale Vittorio Emanuele per portare le grandi navi in Marittima, via Canale dei Petroli e Marghera, al quale stanno lavorando Porto e ministero Infrastrutture, con il sostegno del sindaco Brugnaro, dopo l’arrivo alla presidenza del Porto di Pino Musolino, l’abbandono dello scavo del Contorta prima e del progetto Tresse poi. “Sì”, invece, al progetto firmato da Duferco e Cesare De Piccoli (ieri a San Leonardo), per uno scalo in bocca di porto al Lido, l’unico sinora ad aver ottenuto il via libera dalla commissione Valutazione di impatto ambientale, ma che vede contrario il Porto e il vicino comune di Cavallino Treporti.
«Allestiremo 60 seggi tra Venezia e Mestre e naturalmente lo scrutinio delle schede sarà pubblico, a partire dalle 20, in campo Santa Margherita», prosegue Cacciari, «poi il 24 settembre, ci sarà a Venezia una grande manifestazione nazionale, alla quale hanno già aderito No Tav della Val di Susa e Terra dei fuochi. Sarà una grande festa, se non insisteranno su un progetto deleterio come il Vittorio Emanuele, altrimenti sarà più… incisiva». «Bloccheremo le navi», chiosa Luciano Mazzolin.
Sessantamila euro di multa.

Il Comitato lancia al contempo anche una campagna di raccolta fondi, per pagare le spese legali dei ricorsi contro i 60 mila euro di multa che la Capitaneria di porto ha fatto arrivare ai 30 manifestanti che due anni fa si tuffarono nel canale della Giudecca, bloccando il transito delle navi lungo il canale marittimo. Duemila euro a testa di sanzione già all’incasso, mentre altrettanti sono attesi per una seconda protesta in acqua.
Le ragioni del “no”.

Ieri in sala San Leonardo, il Comitato No Grandi Navi ha poi messo in fila i perché dell’opposizione allo scavo del Vittorio Emanuele, contro il quale è già stato presentato un esposto, chiedendo che il progetto Duferco-De Piccoli vada al Cipe per il finanziamento e la realizzazione. Se il Porto considera lo scavo, la semplice manutenzione di un canale portuale già esistente, gli ambientalisti replicano che risale al 1925, quando le navi erano più piccole e che oggi bisognerebbe scavare sei milioni di metri cubi di fanghi, «con effetti devastanti per la morfologia della laguna per l’erosione dei fondali prodotta dal dislocamento delle navi». Sotto accusa anche la commistione tra navi passeggeri e merci nel canale dei Petroli, il rischio chimico per la vicinanza con la zona industriale interessata dal’impianto Cracking Versalis. Infine, le interferenze con il Mose.

L'Università IUAV di Venezia e il MIT di Boston d'accordo con il condono permanente della legge Falanga e per la sanatoria dell'abusivismo del MoSE.«Accordo tra università di Architettura e Mit di Boston per riconvertire la distesa di cemento a S. Maria del Mare a Malamocco». La Nuova Venezia, 19 maggio 2017

Venezia. Una distesa di cemento sulla spiaggia di Santa Maria del Mare per costruire gli enormi cassoni del Mose. E un villaggio per gli operai che ci hanno lavorato. Opere impattanti, che dovevano essere smantellate. «È tutto provvisorio, alla fine dei lavori sarà tolto», prometteva allora il padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. Al contrario, la grande gettata in cemento è sempre lì – costa troppo smantellarla – e il villaggio diventare qualche altra cosa. Qualcuno già pensava a un possibile villaggio turistico, il primo nell’isola. Dieci anni dopo la costruzione e le polemiche, il commissario del Consorzio Venezia Nuova che si occupa della parte tecnica, l’ingegnere torinese Francesco Ossola, ha firmato una convenzione della durata di tre anni con l’Università Iuav per il riuso di quei luoghi.

Il protocollo d’intesa riguarda una collaborazione tra Iuav e una parte della prestigiosa università di Boston, Il Mit. Una Summer school aperta a studenti e docenti dal titolo «Reinventing places, Venice Mose. Studio in un sito temporaneo tra mare e laguna». Una specie di concorso di idee sul «che fare» di quell’area un tempo tra le più belle della laguna, da quasi dieci anni trasformata in grande cantiere. Prima per la costruzione dei cassoni di fondo, poi per la posa delle paratoie e il montaggio delle cerniere. Adesso adocchiata da Porto e Comune per farci una sorta di «mini off-shore», cioè una banchina per il porto dagli alti fondali. Un nuovo porto commerciale in mare a Malamocco, dunque.
Ma perché la convenzione con Iuav? L’Università di Architettura è stata negli anni tra i consulenti e i collaboratori del Consorzio. Dal Daest di Francesco Indovina ai progetti richiesti agli esperti, alle collaborazioni degli ex rettori Marino Folin e Carlo Magnani, a cui era stato commissionato uno studio per l’«abbellimento» delle opere già realizzate in laguna. Lo scandalo e gli arresti avevano bloccato tutto. E i commissari del Consorzio avevano messo nero su bianco che le spese sarebbero state ridotte e tagliati i costi non direttamente legati alla salvaguardia. Decine di milioni di euro nell’èra Mazzacurati.
Adesso invece si legge nella Convenzione che «il Consorzio Venezia Nuova intende «applicare e sviluppare metodologìe di ricerca nell’analisi delle trasformazioni urbane, con particolare riguardo ai luoghi interessati da cantieri provvisori». Un workshop che dovrebbe servire per pensare, sia pure con anni di ritardo, a come «rimediare» ai danni provocati dai cantieri della grande opera, sanzionati anche dall’Unione europea. Danni che il Consorzio avrebbe dovuto pagare con le opere di compensazione, il cui costo però (circa 500 milioni) è stato messo a carico dello Stato.
«Ma i tempi sono cambiati, questo seminario costerà poco e noi ci proponiamo di parlare con gli abitanti di Pellestrina e di cercare possibili soluzioni progettuali per il futuro di questi luoghi», dice Laura Fregolent, docente Iuav che insieme al rettore Alberto Ferlenga si occupa del progetto. I corsi prenderanno il via il 29 maggio e per ospitare docenti e studenti saranno rimesse a nuovo le casette usate in questi dieci anni per ospitare gli operai dei cassoni del Mose. Ma qualcuno storce il naso. Perché del progetto fanno parte anche esperti del Mit, che vent’anni fa aveva contribuito all’approvazione del progetto Mose con un «panel» di esperti di cui facevano parte anche i veneziani Andrea Rinaldo e Paola Malanotte.

Un autorevole e rispettato amministratore, iscritto al partito di Renzi e Franceschini (il partito preferito nelle parole e nei fatti, dal sindaco Brugnaro), sembra decidere che in un partito così lui non ci sta. La città guadagna una speranza. La Nuova Venezia, 18 maggio 2017

«Se le cose in città vanno avanti così, non rinnoverò la tessera Pd». L’annuncio, accompagnato da una lunga nota polemica e accorata, è del presidente della Municipalità di Venezia Giovanni Andrea Martini e il “cuore” del disagio è per lui la vicenda Grandi Navi a cominciare «dall’accordo annunciato, in occasione della visita del ministro Franceschini, tra Governo, Comune e Autorità portuale per la soluzione del Canale Vittorio Emanuele come scelta risolutiva per il problema delle grandi navi». Ricorda tra l’altro Martini: «Il programma con il quale ci siamo presentati alle elezioni per il Consiglio di municipalità nel 2015 riportava “no agli scavi e fuori le grandi navi dalla laguna”. Lo stesso programma con cui è stata eletta la nostra segretaria comunale nel 2016 parla chiaramente di “niente nuovi scavi in laguna”. Siamo la Municipalità di Venezia, un’istituzione che dal partito deve essere riconosciuta e ascoltata».

E rincara la dose: «Credo che occorra fare chiarezza. Non possiamo che ringraziare la segretaria comunale, attenta e in sintonia su questi temi, ma abbiamo constatato l’assenza al suo fianco dei rappresentanti più vicini a Renzi prima e a Gentiloni adesso. Abbiamo assistito sgomenti all’accordo dichiarato tra Franceschini, Brugnaro e Musolino sul Canale Vittorio Emanuele senza nemmeno un passaggio per il partito locale. Come possiamo riconoscerci nelle posizioni del Pd nazionale che decide senza fare ascolto? È sotto gli occhi di tutti che non c’è alcuna interlocuzione col partito nazionale, che sembra operare senza conoscere, o, peggio, senza essere messo nelle condizioni di conoscere la realtà. A questo punto, un chiarimento è necessario». Manifestando «l’intenzione, se non ci saranno evoluzioni concrete - scrive ancora Martini - di non rinnovare la tessera del partito, di un partito che sembra aver perso o di voler perdere contatto con la realtà locale. Sono certo che tutto si chiarirà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi e questo può accadere se i parlamentari del partito si faranno, cioè, portavoce del malessere della città, se manifesteranno il loro dissenso per la soluzione Canale Vittorio Emanuele e qualsiasi altro canale che possa condurre le navi in laguna».
Getta acqua sul fuoco il segretario comunale del Pd Maria Teresa Menotto: «Comprendo la posizione di Martini, anche se la ritengo un po’ eccessiva. Non c’è dubbio, però, che un maggior dialogo tra Pd veneziano e nazionale, anche con i suoi membri al governo, sia necessario». Più netto il capogruppo del Pd Andrea Ferrazzi: «I tre punti qualificanti del Pd sulla questione Grandi Navi sono sempre stati la difesa dell’home port di Venezia, la tutela della capacità economica e dei posti di lavoro e la sostenibilità ambientale degli interventi che dovranno superare la valutazione d’impatto. Mi sembra che li stiamo rispettando».
Fra i molti eventi organizzati a Venezia in concomitanza con l’apertura della Biennale d’arte, uno dei più importanti è stato l’inaugurazione di una retrospettiva, dedicata all’artista americano ...(segue)

Fra i molti eventi organizzati a Venezia in concomitanza conl’apertura della Biennale d’arte, uno dei più importanti è stato l’inaugurazione di una retrospettiva,dedicata all’artista americano MarkTobey, presso la Peggy Guggenheim collection. Durante la cerimonia, largo spazio è stato dato all’intervento diFrancesca Lavazza, direttore responsabile dell’immagine del marchio dellaomonima azienda, che ha parlato subito dopo il direttore del museo e prima della curatrice scientifica dellamostra.

La signora Lavazza, che si è presentata come “donna, mecenate e imprenditrice” (equindi in un certo senso simile a Peggy!), ha tenuto a ribadire che la sua ditta non è solo uno sponsor della mostra, che hadefinito “intima ed elegante”, ma un “globalpartner “ della fondazione Guggenheim. Secondo il modello introdotto da Tom Krens, durante la sua ventennale econtroversa direzione che ha trasformato il museo da tempio dell’arte moderna amarchio da sfruttare in franchising in ogni

parte del mondo, il global partner non eroga contributi occasionali per un singolo evento, ma si impegna a una collaborazione a lungo termine, ottenendo in cambio rilevanti benefici in termini di visibilità e di immagine, nonché di uso degli spazi fisici di proprietà della fondazione.

Fra i partners si annoverano grandi corporations come Delta airlines, BMW, Armani e Deutsche Bank. Quando, dopo quindici anni di collaborazione, nel 2014 Deutsche Bank ha disdetto l’accordo, al suo posto è arrivata Lavazza, impegnata sul fronte internazionale in una aggressiva campagna di penetrazione nel mercato nordamericano, e su quello nazionale nel peggioramento delle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti. Lavazza non ha mai reso noto l’entità della donazione/investimento, ma sembra difficile possa trattarsi di cifre molto diverse da quelle erogate da UBS, la banca svizzera altro attuale global partner, e che consistono in quaranta milioni di dollari. D’altronde, come ha detto Francesca Lavazza, che nel 2016 è stata anche “eletta” membro del board dei trustees della fondazione,” se l’Italia è la culla della cultura, Lavazza non può non avere nel proprio DNA una innata sensibilità per l’arte”. E forse è per dare prova di questa sensibilità che nei suoi manifesti pubblicitari deforma quadri come il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo o usa l’immagine dell’edificio di Frank Lloyd Wright come tazzina da caffè e coffee station.

Se la fondazione Guggenheim e la Lavazza s.p.a sono due entità private, due grandi corporations che uniscono le loro forze per aumentare i rispettivi giri d’affari e sono quindi libere di sottoscrivere gli accordi che vogliono, diversa invece è, o dovrebbe essere, la situazione quando uno dei contraenti è una pubblica istituzione, come la fondazione Musei civici di Venezia con la quale Lavazza ha in corso una collaborazione.

L’accordo, sottoscritto nel settembre del 2015, prevede il coinvolgimento dell’azienda nella promozione “sia dei grandi eventi – dal carnevale alle feste del Redentore – sia, più in generale, dell’immagine della città lagunare, che con i suoi straordinari tesori artistici e le sue incomparabili bellezze architettoniche rappresenta un patrimonio unico al mondo”. “Vogliamo contribuire a promuovere un territorio culturale ricchissimo”, aveva dichiarato all’epoca, Francesca Lavazza,

La fondazione Musei civici, oltre a ricevere un contributo destinato ad attività di restauro e conservazione delle collezioni, potrà “associare l’attività museale ad un brand di rilevanza internazionale valorizzando le collezioni e le attività scientifiche” (!), mentre per Lavazza l’accordo sottolinea ulteriormente la volontà di investire in una città “simbolo della cultura e dell’arte italiana nel mondo”. Come immediato ritorno dell’investimento l’azienda aveva ottenuto la possibilità di utilizzare l’area dell’Arsenale nord per attività ed esposizioni temporanee. Ed è alla Tesa 113 dell’Arsenale che, nel 2015, si è svolto “il primo degli appuntamenti che Lavazza offre alla città”, una mostra di “straordinarie fotografie accomunate dal filo conduttore del caffè”.

A buon titolo, quindi, Francesca Lavazza ha potuto concludere il suo intervento alla Guggenheim dicendo «per noi la location di Venezia è molto importante, qui passano milioni di persone alle quali possiamo far conoscere il nostro caffè … grazie a questa mostra, possiamo davvero essere come brand e ambassador della cultura italiana, ma anche offrire il nostro caffè a tutti i visitatori del museo».

«Il progetto Brugnaro-Tacopina è lo stesso che all’epoca non si fece fare all' allora presidente del Venezia, per la netta opposizione del Consiglio comunale all’idea di un centro commerciale privato ». La Nuova Venezia, 17 marzo 2017 (m.p.r.)

Venezia. Che sia la volta buona? Per il sindaco Brugnaro vendere ai privati i terreni del Quadrante di Tessera è l’unica opzione sul tavolo per fare quello stadio di cui si parla da oltre vent’anni: impianto e centro commerciale “Made by Tacopina” e Venezia Calcio, in cambio di soldi per ripianare i debiti dell’immobiliare del Casinò proprietaria dei terreni. Operazione irricevibile per l’opposizione Pd: lo vieterebbe il Piano di assetto territoriale approvato dalla giunta Orsoni. I progetti del Comune. «Sto lavorando con il presidente Tacopina per vendere le aree del quadrante di Tessera dell’immobiliare del Casinò, piena di debiti: i privati fanno stadio, centro commerciale, parcheggi. Non lo facciamo noi, lo fanno loro. Si dice da 20 anni e sto cercando di farlo», ha detto giovedì il sindaco Brugnaro in diretta Facebook, rispondendo alle domande dei redattori della pagina satirica de “Lo Schitto”.

Questione di soldi, chiarisce ora l’assessore al Bilancio e alle partecipate Michele Zuin: «È l’unico progetto fattibile. Cmv, l’immobiliare del Casinò, ha 37 milioni di euro di debiti con il Comune: non ci sono fondi per una nuova sede della casa da gioco e la vendita dei terreni del Quadrante è l’unica soluzione per ripianare i conti e per fare lo stadio. Io l’ho detto da subito che si doveva vendere a fronte dei debiti del Casinò da rilanciare. È anche la Corte dei Conti che ci chiede di tagliare il debito. Ne ho parlato con il sindaco mesi fa, poi è una partita che gestisce esclusivamente lui, in prima persona, con il presidente Tacopina». Questa è l’unica strada individuata dall’amministrazione Brugnaro per far quadrare conti e stadio. Se ne riparlerà tra due settimane, al ritorno del sindaco dal suo viaggio in Brasile.
Il “non si può” del Pd. Ma si può fare uno stadio nel quadrante? No, secondo il capogruppo Pd Andrea Ferrazzi: lo vieterebbero gli strumenti urbanistici e anche l’Ente nazionale per il volo, oltre che l’opportunità politica. «Il Pat, il piano di assetto territoriale, prevede per il quadrante di Tessera una cittadella dello sport e del divertimento, una destinazione direzionale e ricettiva e non è previsto alcun centro commerciale. È escluso perché non ce n’è alcun bisogno: la periferia di Mestre ne è stracolma, hanno impoverito il centro della città», dice Ferrazzi, «lo stesso Pat prevede poi il rilancio del casinò attraverso la realizzazione in quest’area della nuova sede, per renderlo forte e aggressivo sul mercato. Per rilanciare la casa da gioco, strategica per fare cassa per i servizi pubblici, non basta un maquillage, una piccola manutenzione: i casinò funzionano solo all’interno di una cittadella del divertimento». E lo stadio? «Lì non si può fare», insiste il capogruppo Pd, «l’Enac ha già espresso un parere tecnico positivo per il Masterplan 2031 dell’aeroporto, che presuppone vincoli.
Il Quadrante è un’area di pregio, al centro di strade e autostrada, con una fermata Smfr, l’aeroporto, che vale una cinquantina di milioni. La nuova sede del casinò ne costa 20: il Comune venda l’area a privati per realizzare la cittadella, si faccia costruire la nuova sede del Casinò e con la differenza in contanti saldi i debiti della casa da gioco. Il nuovo stadio si può fare sulle aree agricole più a nord: costano molto meno e il Venezia Calcio non dovrà così essere compensato con un centro commerciale del quale non c’è alcun bisogno, anzi».
Ma il Comune può cambiare il Pat: «Tra elaborazione dei progetti, osservazioni pubbliche, risposte alle osservazioni, parere della Regione, voto in Consiglio comunale, nuovo parere in regione passano tre anni». La storia infinita. E si torna alla domanda iniziale: sarà la volta buona? Nella sostanza il progetto Brugnaro-Tacopina è lo stesso che all’epoca non si fece fare all’allora presidente del Maurizio Zamparini, allora presidente del Venezia, prima (sindaco Cacciari) per la netta opposizione del Consiglio comunale all’idea di un centro commerciale privato (di cui poi si è saturata la provincia), poi perché la Regione bocciò il progetto presentato dalla giunta Costa per uno stadio pubblico sull’area, perché non accompagnato da una variante urbanistica. Ne riparlò l’ultima giunta Cacciari con i fratelli Poletti che si dichiaravano «pronti a farlo» e poi sono finiti a processo per bancarotta. Sembrava cosa fatta con la giunta Orsoni e il presidente russo del Venezia Korablin, e anche qui è finita con un fallimento. Ora Brugnaro e Tacopina ci riprovano. e si torna alla domanda iniziale: sarà la volta buona?

Un altro passo per la trasformazione della città in un mosaico di recinti. All’asta per essere "valorizzati " le isole di Sant’Andrea e Vignole, e il vasto complesso dell'Idroscalo. Articoli di Francesco Bottazzo e Alberto Vitucci, Corriere del Veneto e La Nuova Venezia, 10 aprile 2017 (m.p.r.)

Corriere del Veneto
«PROGETTO VENEZIA»
di Francesco Bottazzo

Milano. Fino agli anni Novanta era il luogo dove gli operatori finanziari ci facevano le aste a chiamata, quella Borsa «gridata » che è ancora oggi nell’immaginario collettivo. E non è un caso se in questa stessa sala il governo ha «messo all’asta» la caserma Miraglia delle Vignole, un’isola della laguna veneziana: «E’ un luogo significativo e abbiamo bisogno di trovare investitori», ha spiegato il ministro della Difesa Roberta Pinotti. In realtà l’obiettivo è razionalizzare, ridurre la spesa e valorizzare tutta l’isola. Perché ancor oggi in alcuni edifici ci sono i Lagunari che verrebbero spostati alla caserma Bafile di Mira dove saranno concentrate tutte le funzioni, anche quelle della caserma Matter di Mestre.

«Il sindaco ha accettato il piano a patto che ci rimangano vicini», sorride il ministro. «I lagunari sono i nostri marines e hanno sulla loro divisa il leone di San Marco. Vorrei che con questo accordo le Forze armate si sentissero a casa a Venezia perché per noi la sicurezza è di straordinaria importanza », incalza Luigi Brugnaro. Gli schermi di Palazzo Mezzanotte trasmettono le immagini dell’isola, dell’idroscalo e di quel canale attorno al quale sono stati costruiti tutti gli edifici, alloggi, officine, padiglioni e cavana. Per capire quello che è stato denominato «Progetto Venezia» bastano pochi numeri e un po’ di storia: 197 mila metri quadrati sulla laguna, trenta costruzioni e un canale navigabile di 800 metri di lunghezza e trenta di larghezza (l’idroscalo) da una parte; centro di addestramento militare fin dal 1884, base di partenza degli idrovolanti e di Gabriele D’Annunzio per molte delle sue imprese dall’altra.

Resort e marina la nuova vita dell’isola (ma senza nuovi edifici, i volumi dovranno rimanere quelli di oggi) dopo la gara per la concessione di 50 anni che bandirà Difesa Servizi, la società del ministero che si farà assistere nel ruolo di advisor della Cassa Depositi e prestiti. «Ma sarà un percorso partecipato con una consultazione pubblica per raccogliere idee», precisa Fausto Recchia, amministratore delegato di Difesa Servizi spa. Poi al suono della campanella (l’avvio del bando previsto a giugno) bocce ferme e spazio agli investitori che saranno chiamati a pensare a un’operazione che sfiorerà i duecento milioni di euro. «Venezia può contare su 30 milioni di turisti all’anno, è il posto più sicuro al mondo, ed è molto collegato - riflette Aldo Mazzucco, amministratore delegato della Cdp - Su questi tre pilastri si svilupperà la ricerca di investitori, presumibilmente grandi società di resort che hanno intenzione di puntare su attività convegnistiche e aziende internazionali».

Anche grazie alla posizione privilegiata a dieci minuti dal canale della Giudecca e da una quindicina da Murano. La parola d’ordine e valorizzare: restituire alla fruibilità collettiva luoghi fino a ieri nascosti e chiusi perché occupati dai militari, e far risparmiare il ministero che con l’operazione Venezia riesce a mettere da parte 2,6 milioni di euro all’anno anche grazie alla «chiusura» della caserma Matter di Mestre (con il conseguente trasferimento delle attività a Mira) che verrà modernizzata e probabilmente utilizzata per uffici della Pubblica amministrazione (quali l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza) e case. Il protocollo firmato ieri dal sindaco, dai ministri (Difesa, Infrastrutture e Cultura) e dal Demanio è tra i principali esempi di recupero e «restituzione » al territorio e alle comunità locali di un’area militare di interesse storico-culturale. Il tavolo tecnico costituito subito dopo (e coordinato dal Comune) dovrà individuare le linee guida e le procedure più semplici per eventuali varianti urbanistiche e vigilare sul protocollo.

Gongola il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro quando il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini parla di «collaborazioni pubblico-private, riqualificazione dell’esistente e di tutela del patrimonio storico e del paesaggio senza per questo voler dire no a tutto: anche la valorizzazione è una forma di tutela» sottolinea. È la linea su cui si sta muovendo il ministero anche sull’isola di Lazzaretto Vecchio («Stiamo pensando a come intervenire e rigenerare», spiega Franceschini) all’insegna di quello quello che rischia di sembrare uno slogan ma su cui scommette il collega delle Infrastrutture Graziano Delrio. «Venezia deve essere una città viva e abitata, la laguna deve vivere economicamente non solo di turisti». Oggi in mostra c’è la caserma Miraglia delle Vignole, ieri c’era l’isola d Poveglia (su cui l’allora solo imprenditore, e non ancora primo cittadino Luigi Brugnaro aveva previsto un centro per curare disturbi alimentari e un investimento di 40 milioni prima di naufragare sotto le proteste delle associazioni e il dietrofront del Demanio), domani tra gli altri anche gli isolotti (in portafoglio alla Cdp) di Sant’Angelo delle polveri e San Giacomo in Paludo. «Il tema vero del futuro sarà la velocità nel raggiungere gli obiettivi prefissati. La politica, se la vogliamo riformare, deve cambiare ritmo: deve essere meno di parte, più concreta e coraggiosa» sottolinea il sindaco.

La Nuova Venezia
“PROGGETTO VENEZIA”, ALBERGHI NELLE ISOLE
di Alberto Vitucci

«La cosiddetta valorizzazione dei beni demaniali si traduce spesso in una privatizzazione. Con una perdita del bene comune per la collettività».

Un albergo di lusso all’Idroscalo. Resort e casette per turisti nel cuore della laguna, nelle isole di Sant’Andrea e delle Vignole. È questo il destino imminente dei beni demaniali in laguna dopo la firma, avvenuta ieri a Milano del «Progetto Venezia», che riguarda la caserma Miraglia e il complesso dell’isola delle Vignole e di Sant’Andrea, per anni sede dei lagunari.

La chiamano «valorizzazione», in realtà è una privatizzazione di un bene pubblico prezioso, già vista in passato e tentata anche sull’Arsenale dieci anni fa dal governo Berlusconi. Adesso si è mosso mezzo governo Gentiloni per firmare a Milano, nella sede della Borsa italiana, il protocollo d’intesa con il Comune. I ministri della Difesa (Roberta Pinotti), dei Beni culturali (Dario Franceschini), delle Infrastrutture (Graziano Delrio), con il direttore dell’Agenzia del Demanio Roberto Reggi e l’ amministratore di Difesa servizi spa. Fausto Recchia. Insieme al sindaco Luigi Brugnaro.
Cosa succederà al complesso dell’Idroscalo-Sant’Andrea-Vignole? Entro un anno il tavolo tecnico, coordinato dal Comune, dovrà pubblicare il bando per cercare finanziatori del progetto. Si tratta di 197 mila metri quadrati con 43 piccoli edifici da restaurare. Le casette dei militari costruite una trentina di anni fa in riva alla laguna con vista mare, in deroga ai Piani regolatori e alle indicazioni della Soprintendenza. E l’Idroscalo, bacino di 800 metri per 70, ideale per le gare di canottaggio, darsena naturale che non ha bisogno idi interventi per essere «valorizzata». «Il complesso si trova in una posizione privilegiata della laguna», recita il comunicato finale, in perfetto stile da agenzia turistica, «a 10 minuti dal canale della Giudecca e a 15 dalla città (isola, ndr) di Murano, presenta condizioni eccezionali in termini di infrastrutture e spazi navigabili».
Sicuramente un boccone appetibile. Unico modo, dice il sindaco Brugnaro per risollevare l’area che ha bisogno di interventi per 300 milioni di euro. Il Comune riceverà in cambio spazi demaniali come la caserma Matter, mentre i lagunari saranno presto trasferiti nella caserma Bafile a Malcontenta. «Ringraziamo le Forze armate per quello che fanno», ha detto il sindaco. Che ha annunciato: «Con questa operazione riusciamo a valorizzare tre immobili del Demanio e a rinforzare la presenza dei lagunari nel territorio».
Resta il dubbio dello «sviluppo turistico» di un’area tra le più pregiate e belle della laguna. «La presenza del ministero dei Beni culturali è una garanzia», dicono in Comune. Ma sono in tanti a guardare con preoccupazione a quello che si annuncia come un possibile «stravolgimento» di un ambiente unico al mondo. Il Piano regolatore parla adesso di destinazione «turistico ricettiva» per le caserme dell’Idrsocalo. Proprio quello che aveva fatto gridare allo scandalo pochi mesi fa comitati e associazioni su un possibile riuso del Forte di Sant’Andrea. Ma in quel caso non si parlava di albergo, ma di una guardianìa per aprire al pubblico la storica struttura simbolo della Serenissima. La parte nord dell’isola è stata stralciata dal progetto che prevedeva di affidare la gestione del parco alla vicina società della Certosa, unificando Sant’Andrea, Vignole e Certosa con ponti mobili galleggianti.
Adesso i militari hanno deciso, attraverso la società Difesa servizi spa, di «valorizzare» il loro bene. E anche Sant’Andrea e le Vignole est diventeranno presto un’isola turistica. Utilizzo «privatistico» contro cui si batte da anni Italia Nostra anche a livello nazionale. «La cosiddetta valorizzazione dei beni demaniali», aveva detto a un recente convegno il presidente nazionale Marco Parini, «si traduce spesso in una privatizzazione. Con una perdita del bene comune per la collettività».

«L’idea di eddyburg: raccontare la vitalità veneziana, quella parte della società che non si è arresa, il bisogno di dinamismo di una popolazione trascurata. Abbiamo accennato solo ad alcune realtà associative veneziane: chiediamo l’aiuto dei lettori per arricchire la nostra lista».

«Possiamo salvare Venezia prima che sia troppo tardi?» si chiedeva il New York Times in agosto 2016. Il declino della città amata da gran parte del mondo sembra inesorabile. Le cronache raccontano di una lenta trasformazione verso un parco divertimenti per turisti, ormai perno dell’economia locale. Un’evoluzione che ha suscitato aspre critiche da parte della stampa internazionale e ha portato in luglio l’UNESCO a dare un ultimatum alla città: o si inverte la tendenza o Venezia rischia di non essere più riconosciuta patrimonio dell’umanità. Questo è solo la continuazione di un processo che Venezia vive da decenni e che ha lentamente portato allo spopolamento e alla decadenza della città. Questa tendenza storica si autoalimenta, a causa del continuo emigrare di giovani e famiglie e dall’aumento dei prezzi di case e beni quotidiani. Il processo continua, ma alcuni dei pochi veneziani rimasti tentano di fermare e di spingere indietro.

Nella società veneziana infatti c’è qualcuno che rema controcorrente. «R-esistiamo» diceva lo striscione dei ventenni di Generazione 90. A settembre hanno manifestato insieme a un migliaio di cittadini per dimostrare che la loro pazienza è al limite. Il corteo è stato la valvola di sfogo di una popolazione nuovamente delusa da istituzioni poco lungimiranti, che non immaginano un futuro per Venezia. Un malessere diffuso inonda la città e cresce di giorno in giorno. I pochi veneziani che sono rimasti non vogliono arrendersi alla logica del profitto da turismo imperante in città. Resistono all’esodo che ha portato il numero dei cittadini da 145 mila nel 1960 a meno di 55 mila nel 2016, mentre assistono a giovani coppie costrette a trasferirsi per potersi permettere di comprare una casa.

In città, gli appartamenti vengono affittati a settimana a turisti, un guadagno facile e conveniente, grazie soprattutto ai siti online che permettono di trovare nuovi inquilini ogni giorno. I prezzi gonfiati di negozi e ristoranti rincorrono il turista disposto a pagare più del dovuto e escludono la clientela locale, costretta a frequentare i soliti posti noti solo ai residenti. L’apertura di un nuovo negozio è ormai accolta con diffidenza e rassegnazione dai veneziani, che allo stesso modo scelgono di investire nel profitto più facile: attività rivolte ai turisti. L’apertura di un negozio di souvenir è la normalità, mentre quella di un negozio utile per la vita quotidiana è un miracolo.
I più giovani, già abbattuti dalla situazione nazionale, studiano e cercano lavoro altrove, in città che offrono più speranze di una Venezia che vive solo di attività turistiche e che loro stessi contribuiscono a indebolire. Gli studenti fuori sede che scelgono di studiare nelle famose università veneziane, non hanno i mezzi per fermarsi dopo gli studi: la città non propone agevolazioni negli affitti o sistemazioni apposite, i prezzi della vita sono alti e vi è bassa opportunità di lavoro, data la scarsa presenza di aziende. I veneziani stessi peggiorano questo spopolamento, diventando sempre più arrabbiati e arroganti, scoraggiando l’idea che Venezia sia una città in cui si può vivere, in cui ci si può trasferire e non solo scappare. Queste e altre dinamiche hanno innescato una spirale di rabbia e negatività, accentuata dalla cattiva gestione dell’amministrazione ordinaria e straordinaria dei problemi della città.

La “questione Venezia” è composita: numerosi problemi che devono essere affrontati con approcci diversi. Per questo parte dei veneziani non hanno aspettato una risposta delle istituzioni locali e nazionali, ma si sono attivati personalmente per tentare di riempire quel vuoto lasciato dalle istituzioni e da chi ha la responsabilità di cambiare le cose. Una vitalità alternativa è nata dall’esigenza: associazioni, gruppi, comitati si sono creati spontaneamente per dare dei segnali. I veneziani che hanno deciso di non arrendersi si sono rimboccati le maniche, hanno organizzato i bisogni, hanno steso statuti di associazioni e gruppi per tentare di migliorare la città.

Salvaguardia della laguna e delle sue tradizioni sono gli obiettivi cardine delle associazioni che tentano di proteggere l’unicità di Venezia e della sua conoscenza marinaresca. Così tre ragazzi con la passione per la voga hanno fondato Venice on board, per dare la possibilità di esplorare la città attraverso i canali in barche tipiche. E la più nota delle barche, la gondola, è protetta da El Felze, associazione dei mestieri che contribuiscono alla sua costruzione: dieci abilità artigianali diverse per comporre il simbolo di Venezia dallo scafo alla forcola, dal remo al fregio dorato. Il Caicio fa delle attività culturali svolte galleggiando sull’acqua il suo scopo primario. L’attività culturale veneziana è portata avanti anche dal Forcolaio Matto, giovane artigiano che nel suo negozio in Strada Nuova intaglia forcole e remi, proseguendo il tipico mestiere del remer. Queste e altre associazioni, come Viva voga Veneta e il Nuovo Trionfo si legano per il recupero delle tradizioni marinare, perché siano vissute così come lo erano in origine, promuovendo la conoscenza genuina dell’ambiente insieme ad un turismo più sostenibile.

Le associazioni agricole fanno del rispetto della Laguna e dei suoi prodotti la loro ragione d’essere. La società agricola La maravegia coltiva ortaggi nell’isola di Sant’Erasmo, ispirandosi al principio del “siamo ciò che mangiamo” e consegnando quotidianamente i prodotti ai clienti. Nella piccola isola si possono trovare anche I sapori di Sant’Erasmo dei fratelli Finotello, che coltivano piccoli orti per garantire ai propri concittadini prodotti gustosi e salutari. Le vigne di Sant’Erasmo sono curate dall’associazione Laguna nel bicchiere che dal 1993 si occupa di vini prodotti a Venezia e dintorni, con scopo didattico per gli studenti. L’obiettivo è quello di insegnare il territorio e i suoi prodotti, perché vengano valorizzati e salvaguardati. Attorno a Venezia vi è una produzione a chilometro zero, a dimostrazione che i cittadini si sono impegnati in piccole imprese quotidiane per mantenere la terra fertile e la città viva.

Altra caratteristica della Venezia viva è quella della cultura tradizionale e internazionale. Oltre ai numerosi circoli ARCI sparsi in tutta la città, Venezia ospita l’associazione Awai che tenta di costruire una comunità di artigiani e artisti con centro nel giardino degli Amai. Utilizzando materiali e tecniche diverse, promuovono espressioni innovative e tipiche, con attenzione alle proposte culturali in funzione alla città. I due fondatori di DoppioFondo hanno sfidato il modello di economia dominante e hanno fondato un laboratorio di stampa d’arte nel cuore di città, pensandolo come luogo di scambio e di incontro di persone e culture come lo era tradizionalmente Venezia. Il cambiamento della città è raccontato e denunciato dai fotografi di Awakening, affiggendo gigantografie delle situazioni più critiche della Venezia in trasformazione. La fotografia è anche il modo di esprimersi degli artisti di Isolab, centro di ricerca e laboratorio con obiettivo di diffondere progetti di autori emergenti. Venezia quindi gode di una vitalità culturale diffusa, merito anche del fascino della città che da sempre ispira artigiani e artisti.

A Venezia diversi gruppi si oppongono al declino della città: associazioni e gruppi chiedono un’inversione di marcia alle amministrazioni e una presa di coscienza dell’opinione pubblica. Così il sito Venessia.com utilizza la goliardia per commentare le trasformazioni e paragonarle al passato, tentando di delineare e preservare il cittadino “100% venessiano”. Approccio di protesta e proposta lo hanno anche i ventenni di Generazione ’90 che si battono per non essere l’ultima generazione che ha avuto la possibilità di crescere giocando nei campi di Venezia. Lo stesso obiettivo è perseguito dai Giovani Veneziani, associazione fondata nel 1994 come reazione all’immobilismo delle amministrazioni. La piattaforma civica 25 Aprile si impegna in quotidiana informazione attraverso il gruppo Facebook e iniziative periodiche locali per vigilare sull’operato delle istituzioni locali. Masegni e nizioleti, nata con l’obiettivo specifico di mantenere i nomi delle calli scritte sui tradizionali “lenzuolini” in veneziano e non in italiano, ora si batte per la cura e il rispetto del patrimonio culturale. Altrettanto specifico scopo ha l’associazione Mamme con le rampe: rendere Venezia più accessibile. Grande rilevanza è stata ottenuta da Poveglia per tutti, che si è opposta alla vendita da parte del demanio dell’isola, partecipando all’asta con un’offerta ottenuta grazie a quote versate dalla popolazione cittadina e internazionale.

L’esigenza di protestare contro l’operato delle amministrazioni nel tempo si è espressa in modo più incisivo con il comitato No grandi navi. Questo tenta di fermare l’invasione delle navi da crociera che attraversano la laguna, provocando danni ai fondali e producendo inquinamento. Il comitato No MoSe ha lottato contro la grande opera raggiungendo notevole eco, riuscendo a portare la popolazione in protesta per le strade e interessando la stampa nazionale. Questi due comitati rappresentano la reazione dei cittadini a due importanti cause del malessere di Venezia e allo stesso tempo testimoniano la sordità delle amministrazioni alle volontà popolari.

L’Assemblea Sociale per la Casa, invece, monitora le case di proprietà del Comune di Venezia e la loro cattiva gestione, denuncia gli sfratti ingiustificati e si propone come ente di protezione per le persone coinvolte. L’ASC tenta di rispondere all’esigenza di organizzazione del sistema casa, altra grande problematica veneziana e causa importante dello spopolamento di Venezia.

Venezia si può vantare di una serie di associazioni e gruppi, sintomo di una società interessata e interessante, non disposta ad assistere inerte al declino della città. Vi è una vitalità di base, che si rivolge alle istituzioni e a cui queste devono sempre guardare e riferire. I campi di intervento sono i più diversi, ma gli obiettivi si intersecano e tendono tutti verso la riqualificazione della società veneziana e la salvaguardia della tradizione. Nonostante questo, non sempre i gruppi hanno collaborato in modo organico e ragionato, minimizzando il loro impatto. Una collaborazione prolungata di queste associazioni potrebbe essere di grande utilità alla città, per mantenerla viva e unita. Conoscere le associazioni e i problemi che affrontano è il primo passo per incoraggiare un processo di condivisione per organizzare eventi che potrebbero risollevare l’interesse nazionale e internazionale alla questione Venezia, mostrando la vera faccia della città.

Da questa considerazione nasce l’idea di eddyburg: raccontare la vitalità veneziana, la società che non si è arresa, il bisogno di dinamismo di una popolazione trascurata. Abbiamo accennato solo ad alcune realtà associative veneziane: chiediamo l’aiuto dei lettori per arricchire la nostra lista. Vogliamo raccogliere ogni esperienza utile allo sviluppo positivo della città: mandateci le vostre segnalazioni di associazioni ed eventi per rendere questa rubrica completa. Vogliamo raccontare la Venezia decisa a invertire la rotta: Venezia è viva.

Riferimenti

Sulla trasformazione della città, oltre i materiali raccolti nella sezione di
eddyburg Venezia e la laguna, e a quelli raccolti nel sito SDE a proposito della recente iniziativa Venezia - Amministrare la città, si veda il cortometraggio La città di Guido Vianello del 1974.

«Il lavoro di Renzo Piano è iniziato 12 mesi fa, coadiuvato da Pantaleo e da tre giovani architetti, Anna Merci, Laura Mazzei e Nicola Di Croce. La filosofia del rammendo ha guidato la scelta degli interventi. Il metodo della partecipazione e delle connessioni sociali ha ritmato ogni passaggio». Corriere del Veneto, 15 gennaio 2017

Un hub civico e culturale nell’ex-scuola Edison a Marghera. E un giardino del fitorimedio, un lungo parco urbano da nord a sud: a un anno di distanza dalla decisione di Renzo Piano di portare a Marghera il G124, il suo team senatoriale sulle periferie, ora i progetti sono pronti. Il titolo è un programma: «Marghera terreno fertile. Dalle buone pratiche alle politiche».

«Una cosa è alla base di tutto, quasi un architrave», sottolinea Raul Pantaleo, il tutor locale dell’intervento, a sua volta membro dei TAMassociati, i curatori del Padiglione Italia nella Biennale appena chiusa. Quale? «Il regolamento sui beni comuni», messo a punto da Labsus, il laboratorio nazionale sulla sussidiarietà. Il gruppo di Renzo Piano chiede dunque al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, di adottare quel regolamento, che riconosce ai gruppi di vicinato, alle associazioni e ai singoli cittadini la possibilità di prendersi cura della propria città.

Sono tutte proposte che i progettisti del G124 consegneranno in dettaglio all’amministrazione di Venezia a fine mese, in un incontro pubblico all’ex-scuola Edison.

Il lavoro di Renzo Piano è iniziato 12 mesi fa, coadiuvato da Pantaleo e da tre giovani architetti, Anna Merci, Laura Mazzei e Nicola Di Croce. La filosofia del rammendo ha guidato la scelta degli interventi. Il metodo della partecipazione e delle connessioni sociali ha ritmato ogni passaggio: 7 esplorazioni a piedi, di cui tre con lo stesso senatore, hanno battuto palmo a palmo Marghera, dal Porto all’area agricola verso l’entroterra, dalla stazione a Forte Tron. Hanno incontrato decine di associazioni: «Qui c’è un tessuto culturale e sociale, spesso informale, di grande vitalità», sottolineano gli architetti. Ne è nata una rete: Orma, Officina Riuso Marghera, «non è una semplice cordata di associazioni - spiega Anna Merci - Ma un organismo civico, laico, innovativo che punta ad avere capacità contrattuale e creatività nelle pratiche». E infine hanno individuato una sezione di territorio dove intervenire, nella Marghera Sud, stretta tra l’ex-scuola Edison fino alla piccola Chiesa della Rana sperduta tra le fabbriche. «Ogni tappa è stata discussa, valutata, scelta con gli abitanti», continua Merci.

L’ex-scuola, innanzitutto: abbandonata nel 2007, in parte usata da alcuni enti (Protezione Civile, Prefettura, Dormitorio Caritas, la Palestra) e il resto (3650 mq sui 5300 complessivi) vissuto da gruppi come gli straordinari ragazzi del Parkour. E’ su quest’ultima parte che si è concentrato il progetto di messa a norma, recupero e ridisegno degli spazi. Dunque: laboratori artigiani, co-working, auditorium, aule per le attivissime scuole di musica del quartiere, stanze per danza e attività sportive. E all’esterno, l’abbattimento di muri e recinzioni, riconnettendo così il quartiere e dotandolo di una piccola piazza-parco. Un intervento stimato attorno ai 600 mila euro, da trovare magari attingendo al Fondo nazionale per le periferie urbane.

Più giù, a ridosso degli orti urbani, partiranno presto i lavori per il giardino del fitorimedio, in un fazzoletto di terra che si trasformerà in un angolo didattico e ricreativo con piante e siepi scelte per mitigare e assorbire gli inquinanti che qui infestano ovunque i terreni.

Un giardino-gioiello, dentro la città-giardino (così è nata Marghera) studiato con gli esperti dell’Università di Udine, Luca Marchiol e Guido Fellet. Strategica è l’idea, che i progettisti proporranno alla città, di dotarsi di una dorsale ecologica, che la attraverserebbe da nord a sud per quasi 3 km sul fianco ovest, quasi da contraltare all’asse brutale di via Fratelli Marghera.

Un sinuoso «corridoio ecologico» costruito tessendo la miriade di piccoli lotti e interstizi pubblici abbandonati o non utilizzati e mappati in corso d’opera. Un bosco nel cuore della città.

L’idea sarà recepita? Di sicuro, l’intera «strategia orizzontale», come la definisce Pantaleo e cara a Renzo Piano sembra quasi un controcanto rispetto alla città verticale di cui tanto si è ripreso a parlare.

Lo show del sindaco di Venezia: chiacchiere e promesse col naso lungo, sorrisi, allusioni e scambio di doni. Poi si vedrà. L'importante sono i soldi promessi da Roma. Corriere del Veneto, 25 gennaio 2017, con postilla

Dice Italia Nostra con il suo vicepresidente Paolo Lanapoppi: «Nella nostra lettera all’Unesco spieghiamo che nessuno dei 10 punti richiesti dalla Convenzione di Istanbul è stato rispettato. Non capisco come possono collaborare quando una delle richieste principali della commissione di Istanbul era di portare le grandi navi e le petroliere fuori laguna mentre il sindaco ha ribadito il progetto delle crociere in Marittima». In effetti l’interrogativo resta. E’ stato uno dei temi al centro della discussione di ieri pomeriggio su cui però la nota a margine del Comune dedica solo quattro righe.

«Non c’è stata nessuna vittoria, la decisione su Venezia sarà presa a luglio, e sarà il governo a dover dare una risposta, è tutto fumo, il disaccordo resta in primis sullo scavo delle Tresse». Così il portavoce del Gruppo 25 Aprile commenta la stretta di mano di ieri tra la direttrice dell’Unesco Bokova e il sindaco Luigi Brugnaro. «Non si capisce a cosa si riferisca il sindaco dove dice di aver presentato i progressi fatti da Venezia negli ultimi 15 mesi — interviene il capogruppo Pd in consiglio comunale Andrea Ferrazzi- siamo in attesa di progetti concreti».

Sulle stesse note il segretario di Confartigianato Venezia Gianni De Checchi: «Mi fa molto piacere che l’Unesco abbia visto proposte concrete nel documento di Brugnaro, speriamo di vederle anche noi veneziani». Sindaco, assessori e dirigenti hanno cercato di spiegarlo nel dossier presentato mescolando idee, sogni e cose fatte. Perché se ad esempio è stato condiviso che uno dei problemi più evidenti sia la proliferazione di strutture ricettive non alberghiere, dall’altro la soluzione è stata individuata nella modifica della legge regionale «per la cui formulazione il Comune ha da sempre fornito il proprio supporto». In attesa resta tutto com’è. Hanno parlato di sicurezza e della riqualificazione delle parti più degradate o isolate della città. Quello che sindaco e assessori hanno cercato di spiegare ieri è che con la riqualificazione urbanistica e ambientale, la rigenerazione di Porto Marghera, la rivitalizzazione del tessuto socio-economico, la valorizzazione delle periferie, si possa far crescere il centro urbano.

postilla
Il grande battage pubblicitario della gita della troupe del sindaco Brugnaro a Parigi (18 persone) si è conclusa come doveva: con molte pagine di pubblicità per il piccolo trumpista italiano, molte cortesie sulla Senna tra i soggetti titolati, e nessuna decisione nel merito. Qualcuno, in Laguna e dintorni, ha rilevato che Brugnaro e la sua corte non hanno dato una risposta soddisfacente a nessuna delle questioni solleva dall'Unesco.

Ma, a cose fatte, e nell'attesa del responso finale dell'agenzia dell'Onu (che verrà a luglio), una domanda s'affaccia: che cosa (e chi) guadagna o perde Venezia, se l'Unesco cancella la Capitale del Veneto dalla sua lista? E del resto, in che cosa l'inclusione di Venezia in quella lista aumenta davvero la possibilità che Venezia e la sua Laguna ne traggano beneficio e che i suoi attuali saccheggiatori siano ostacolati nel proseguire il saccheggio?
Grazie al meritorio lavoro della sezione Venezia di Italia Nostra l'Unesco ha posto precise domande e stringenti raccomandazioni al Comune e allo Stato: ma se il Comune e lo Stato rispondessero picche (invece di far finta di obbedire continuando a operare peggio di prima) che cosa potrebbe fare l'Unesco? Nessuna regola certa e chiara quell'Agenzia internazionale può proporre, e nessuna sanzione può comminare in caso di infrazioni. Del resto, è noto che l'influenza del governo italiano sull'Unesco è forte, e che l'uomo più potente di quell'organizzazione è ancora Francesco Bandarin, sostenitore, in Laguna, della "corrente di pensiero" favorevole al MoSE.

C'è poco da illudersi, la battaglia per salvare Venezia si vince o si perde nella città, del cui popolo il primo compito è sostituire a Brugnaro e alla sua corte una diversa compagine per il governo della città.

La Municipalità Venezia, Italia Nostra, le associazioni veneziane non si riconoscono con l'operato del sindaco Brugnaro sulla gestione della città e della sua Laguna. La Nuova Venezia, Italia Nostra Venezia, Gruppo 25 Aprile, 23 gennaio 2017 (m.p.r.)


Italia Nostra Venezia

LA MUNICIPALITÀ ALL'UNESCO:
I VENEZIANI PATISCONO MA NON SONO ASCOLTATI
Venezia: lo striscione mostrato all’Ateneo Veneto sabato 21 gennaio è già arrivato a Parigi davanti alla sede dell’Unesco). Dopo la lettera di Italia Nostra Venezia (inviata giorni fa alla direttrice dell’Unesco Irina Bokova e ai direttori delle commissioni incaricate di studiare la questione Venezia), ora anche la Municipalità di Venezia Murano Burano si rivolge ai vertici Unesco per annunciare i provvedimenti invocati dai rappresentanti dei cittadini residenti nella Venezia insulare, in probabile contrasto con quanto sindaco e governo nazionale andranno a presentare a Parigi (l’incontro è previsto per domani 24 gennaio).
Ricordiamo che la commissione Unesco per i siti Patrimonio dell’Umanità aveva riscontrato (su sollecitazione di Italia Nostra) gravi problemi nella gestione del sito “Venezia e la sua Laguna” e aveva concesso a Comune e Governo fino al 1 febbraio 2017 per presentare un piano per rimediare. La lettera della Municipalità ha un altissimo valore giuridico perché quell’istituzione rappresenta, come si dichiara nel testo, un corpo di cittadini regolarmente eletto (e non una semplice associazione come la nostra, per quanto prestigiosa). Implicito è il fatto che il volere dei cittadini veneziani è stato sopraffatto da quello dei residenti nella terraferma comunale, molto più numerosi.
Molto istruttiva la lista di provvedimenti invocati dalla Municipalità e ben sintetizzati nell’articolo della Nuova Venezia che proponiamo qui sotto. Di nostro aggiungiamo che l’idea di scrivere all’Unesco si è formata probabilmente nel corso della riunione sul “Futuro di Venezia” organizzata pochi giorni or sono dal gruppo 25 Aprile, alla quale aveva partecipato il presidente della Municipalità Andrea Martini assieme a rappresentanti dei sestieri e di tante associazioni, inclusa naturalmente Italia Nostra che aveva molto insistito sull’importanza del procedimento in corso a Parigi. Aggiungiamo ancora che stiamo in queste ore traducendo per i nostri lettori la lista delle criticità riscontrate dalla Commissione Unesco e delle relative richieste contenute in quello che è ormai noto come “l’Ultimatum del 1 febbraio” e che inseriremo la lista in italiano su questo sito appena sarà pronta.



La Nuova Venezia
«STOP AI TROPPI TURISTI
E AI CAMBI D'USO»
di Alberto Vitucci

»Il presidente della Municipalità Andrea Martini scrive alla direttrice Irina Bokova. «Dal Comune non ci hanno mai risposto»
«Stop allo scavo di nuovi canali in laguna, un tetto alla presenza dei turisti in città - non più di 50 mila persone al giorno - blocco dei cambi d'uso da residenza ricettivo e all'apertura di negozi non tradizionali, incentivi per chi affitta ai residenti». Sono alcuni dei punti definiti «improcrastinabili», dalla Municipalità, «perché sia davvero invertita la tendenza allo spopolamento e alla totale trasformazione della città antica in un parco a tema». Priorità assolute da attuare per dimostrare che il governo della città ha cambiato rotta.

Lo scrive il presidente della Municipalità di Venezia Andrea Martini, in una lettera aperta inviata ieri al direttore dell'Unesco Europa Irina Bokova. Alla vigilia del vertice con il sindaco Brugnaro a Parigi, la Municipalità ricorda i tanti problemi aperti e le «mancate risposte» ricevute dall'amministrazione. «Le scrivo come presidente democraticamente eletto della Municipalità di Venezia, Murano, Burano», attacca Martini, «organismo che rappresenta 63 mila cittadini veneziani. Sono proprio quelli maggiormente colpiti dalle criticità che il rapporto dell'Unesco ha con chiarezza descritto, richiamando su di esse l'attenzione mondiale. Criticità che i veneziani patiscono e che richiedono decisioni improcrastinabili». «Abbiamo indicato quali dovrebbero essere le scelte da fare subito per fermare il degrado di Venezia e della sua laguna», continua, «per regolamentare i flussi turistici, rilanciare la salvaguardia e difendere la residenzialità. Abbiamo inviato all'amministrazione documenti precisi non ricevendo purtroppo alcuna risposta».
Il primo, spiega il presidente, è stato approvato l'8 ottobre scorso. Il Consiglio «dichiara la propria totale e ferma contrarietà a qualsiasi progetto di escavo di nuovi canali», e prevede di «mantenere alla Marittima di Venezia solo attività compatibili e ricorrere all’esterno per ospitare navi over 40.000 tonnellate di stazza». Il secondo, dell'11 gennaio 2017, si occupa proprio del contenimento della pressione turistica. Prevede la prenotazione obbligatoria per i gruppi, limite complessivo, tra pernottanti ed escursionisti di 50.000 turisti al giorno, di non ampliare l’offerta di posti letto, di limitare le locazioni di appartamenti a turisti, di introdurre incentivi per chi affitta ai residenti. La Municipalità, scrive ancora il suo presidente, «ha organizzato incontri per la regolamentazione del traffico acqueo, la riduzione del moto ondoso, l’inquinamento. Ha espresso parere contrario alle deliberazioni dell’Amministrazione Comunale in merito alle alienazioni degli immobili del Comune, ai cambi di destinazione d’uso da residenziale a turistico, all’autorizzazione all’edificazione di nuovi alberghi, alla cancellazione del Parco della Laguna Nord».
«Aggiungo il mio vivo auspicio», conclude Martini, «che la clamorosa iniziativa prospettata dal prestigioso organismo da Lei diretto ottenga i positivi effetti sperati per la nostra città». Intervento pesante, di critica alle posizioni dell’amministrazione e di sollecito ad attuare «provvedimenti drastici». Si aggiunge a quello inviato dalla sezione veneziana di Italia Nostra all’Unesco. Anche qui si richiamano le emergenze e si denunciavano i mancati interventi negli anni assunti dall’amministrazione comunale».

Gruppo 25 Aprile on line
PARIS, BONJOUR! LETTERA E FLASHMOB ALL'UNESCO

Lo striscione da 4 metri lo conoscete: è quello che adornava il tavolo degli oratori venerdì, all’incontro conclusivo di #Veneziamiofuturo. Si è fatto un migliaio di chilometri per arrivare fin qui, al quartier generale dell’UNESCO che domani si appresta a ricevere la visita del Sindaco di Venezia:

I nostri pesciolini da Parigi salutano la mamma Anna Ferrigno ma non sono l’unica sorpresa: l’UNESCO oggi riceverà anche la lettera che qui trascriviamo, in cui viene denunciato il rischio di una violazione della Convenzione di Aarhus se veramente il “pacchetto di misure” annunciato alla stampa verrà presentato dal Sindaco senza alcuna forma di pubblica consultazione, che la Convenzione ratificata con Legge dello Stato nel 2001 ha reso obbligatoria anche in Italia.

Se invece il Sindaco ci va a mani vuote o per “sondare il terreno” vuol dire che il suo viaggio a Parigi potrà essere interpretato come una simpatica visita di cortesia che potrebbe anche avere un senso sempre che non si porti venti persone al seguito, dato che a pagarne il viaggio saremmo noi.

In entrambi i casi, la richiesta dei cittadini è semplice: essere informati sulle misure concrete che il Sindaco intende presentare all’UNESCO, dato che nemmeno il Consiglio comunale riunitosi il 19 gennaio lo è stato e per le “uova pasquali con sorpresina” è ancora presto, siamo solo a gennaio.

Diversamente dalle sue, le nostre proposte sono in rete dal 10 gennaio e sono il frutto di una consultazione pubblica; nella stesura definitiva distribuita all’Ateneo Veneto verranno pertanto depositate oggi all’UNESCO insieme con questa lettera:


Gruppo 25 aprile

Veneziamiofuturo

LE PROPOSTE
DEI SESTIERI DI VENEZIA
Ateneo Veneto 20 gennaio 2017
Premessa di metodo. Questo documento di sintesi riassume le proposte e le richieste raccolte negli incontri con i sestieri. Non ha natura esaustiva e non rappresenta la posizione di una singola associazione perché il nostro obiettivo è dare voce alle istanze del territorio (i sestieri) con riferimento ai problemi più sentiti nella “città d’acqua”. In questo senso è anche un “quaderno delle lamentele”, dove per ogni “lamentela” abbiamo elaborato una possibile risposta. Le proposte rispondono ai criteri che avevamo indicato all’inizio del ciclo di incontri: non chiediamo la luna, non vogliamo creare illusioni o fare demagogia; quelle di cui ci facciamo portatori sono richieste concrete, attuabili e realistiche. Ai rappresentanti eletti nelle Istituzioni chiediamo che ognuno faccia la sua parte e la faccia subito, perché Venezia si sente “assediata” e la situazione non ammette ritardi ulteriori.
Il dibattito all’Ateneo Veneto permetterà di discutere alcune proposte “prioritarie” e di affinarne altre, collocandole in una visione “di insieme” su ciò che è necessario e urgente per dare un futuro a Venezia: non parliamo del lungo periodo ma delle cose che andrebbero fatte subito, prima che sia troppo tardi; il resto è materia per un “programma di governo” di chi vorrà candidarsi alle prossime elezioni. Questa bozza preliminare è stata pubblicata per 10 giorni sulla nostra pagina facebook e sul nostro sito Internet per raccogliere i commenti e suggerimenti di chi ha partecipato agli incontri (sono oltre 500 persone) e anche di chi non lo ha fatto.
Il ciclo di incontri nei sestieri, compreso quello conclusivo all’Ateneo Veneto, è stato interamente auto-finanziato dai cittadini senza alcun appoggio di partiti o sindacati, aziende o cooperative, enti pubblici o Fondazioni. Non abbiamo etichette e non ne vogliamo, il nostro è soltanto un movimento di opinione che alle “ricette” calate dall’alto (spesso formulate da persone che non conoscono la città) ha preferito un approccio diverso: quello di proposte nate dal contatto quotidiano con il territorio, sestiere per sestiere.
A come Alloggi Alla Regione Veneto chiediamo: 1) la modifica urgente della legge regionale del 2013 che ha liberalizzato in modo selvaggio le locazioni turistiche; tale modifica potrà essere adottata in tempi brevi dato che si tratta soltanto di introdurre un’eccezione per i sestieri di Venezia, in omaggio alle esigenze specifiche di tutela del suo tessuto sociale, che è parte integrante della sua specialità, imponendo requisiti vincolanti anche in materia di scarico delle acque reflue, a tutela dell’igiene e dell’ambiente lagunare; 2) un intervento immediato sulla controllata ATER, il cui compito è “la costruzione ed il recupero di alloggi, da assegnare in locazione temporanea o permanente a canone calmierato” finalizzato all’assegnazione degli alloggi attualmente non utilizzati, eventualmente anche favorendo forme di auto-restauro a carico degli inquilini potenziali, e al completamento delle unità abitative i cui lavori sono stati avviati e non ancora ultimati.
B come Bricole Al Ministro delle Infrastrutture e Trasporti chiediamo: lo stanziamento dei fondi necessari per avviare un programma straordinario di manutenzione e sostituzione delle bricole, a completamento dei primi interventi avviati dal Provveditore interregionale per le Opere Pubbliche, sulla base della cartografia aggiornata realizzata su nostra richiesta nel maggio 2016.
C come Case e Cambi di destinazione d’uso Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: di bloccare immediatamente e per un paio d’anni almeno i cambi di destinazione d’uso da residenziale a turistico-ricettivo o alberghiero nei sestieri, facoltà che è già riconosciuta dal PAT (Piano di Assetto Territoriale) in vigore dal 2014 a tutela della residenzialità, che è precipitata ai minimi storici e in alcuni sestieri rischia di estinguersi in assenza di una terapia d’urto immediata. Questo provvedimento, di natura emergenziale e provvisoria, andrà accompagnato da misure “strutturali” e permanenti volte a incentivare le locazioni di lungo periodo rispetto a quelle di natura speculativa (vedasi anche lettera R come rifiuti, alla voce TARI, per l’utilizzo della leva fiscale a fini perequativi): quello che va costruito è un insieme di misure tali da costituire un patto comunale con i proprietari “virtuosi”.
D come Dignità Al Sindaco di Venezia e alla Giunta comunale chiediamo: di riconoscere e agevolare nei fatti il diritto di ogni persona a condurre un’esistenza dignitosa e decorosa. Il rispetto per gli anziani e i disabili non può limitarsi a qualche posto “riservato” a bordo dei vaporetti ma deve concretizzarsi in forme di sostegno mirate a sostenere la qualità della vita di queste fasce di cittadinanza. In questi settori il Comune di Venezia vanta una consolidata tradizione che è necessario preservare o ripristinare contro i tagli effettuati, anche incoraggiando le numerose forme di volontariato presenti sul territorio che spesso operano senza alcun contributo pubblico.
E come Educazione Nautica Alle scuole cittadine proponiamo: un progetto di educazione nautica, al quale siamo pronti a fornire il nostro contributo con docenti volontari ed esperti a titolo gratuito, in considerazione dei sempre più frequenti incidenti (a volte mortali) che in parte sono dovuti ad inesperienza e/o mancata conoscenza delle regole di base, dato che la normativa in vigore consente la navigazione senza patente per le imbarcazioni con motori di potenza non superiore ai 40 cavalli (che con semplici ritocchi alla portata di tutti salgono in realtà a 60).
F come Flussi turistici Al Sindaco di Venezia, al Consiglio e alla Giunta comunale chiediamo: di avviare al più presto un programma di gestione dei flussi turistici che permetta di alleggerire e diversificare (nel tempo e nello spazio) una pressione divenuta insostenibile e incompatibile con la possibilità stessa di offrire un’accoglienza degna della reputazione della Città; fra le proposte attualmente sul tavolo, quella protocollata da Roberta Bartoloni che è stata illustrata nell’incontro di Castello presenta caratteristiche di gradualità, flessibilità, fattibilità in tempi brevi, non discriminazione e contenimento dei costi che abbiamo particolarmente apprezzato – senza escluderne altre che potranno essere confrontate con questa al fine di prendere il meglio di ognuna.
G come Gestione dei beni comuni Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: di dare un segno tangibile di discontinuità rispetto alla politica di alienazione di beni pubblici avviata dalle amministrazioni precedenti, che nella situazione attuale di bilancio (con l’allentamento dei vincoli del patto di stabilità) risulta incomprensibile oltre che miope, e in alcuni casi si è tradotta in un gettito assolutamente irrisorio rispetto alla perdita definitiva per la collettività, come è stato per la casa del custode dei Giardini Papadopoli.
H come Hotels Basta alberghi nei sestieri! V. alla lettera C come “Case”.
I come Illuminazione Alla giunta e agli uffici comunali competenti chiediamo: illuminazione notturna e installazione di telecamere di sorveglianza in ruga degli Oresei, che di recente ha conosciuto episodi di barbara violenza ai danni di una esercente.
L come Lavoro Considerato che l’industria del turismo a Venezia è ormai quella che impiega il maggior numero di occupati, spesso precari e mal pagati rispetto al costo della vita [1] con la duplice conseguenza del pendolarismo dalla terraferma (30.000 persone circa) e di un sempre maggior numero di giovani veneziani che scelgono la via dell’espatrio[2] Al Sindaco di Venezia e alla Giunta comunale chiediamo: di superare la fase attuale di sfruttamento dell’Arsenale come spazio per feste esclusive quando invece dovrebbe essere perno naturale e fulcro ideale per la creazione di posti di lavoro qualificati, che non siano legati soltanto alla monocultura turistica; questo potrà avvenire progettando una cittadella della ricerca finalizzata agli studi marittimi in grado di ospitare istituzioni di ricerca italiane e straniere e offrendo spazi ad imprese compatibili con il complesso e impegnate nel settore marittimo (cantieristica, lavori marittimi…), dell’artigianato tradizionale (imprese fabbrili, falegnamerie…) e del restauro, all’interno di una cornice culturale unica al mondo. Per rispettare la promessa di “restituzione alla città” a suo tempo fatta, chiediamo inoltre l’apertura dell’Arsenale alla cittadinanza abbattendo le barriere attuali per permettere un percorso di visita unico (anche negli spazi occupati dalla Biennale) che potrebbe anche generare reddito con visite guidate a pagamento per piccoli gruppi. [1] Dato Unioncamere: il 77% dei posti di lavoro creati nella città metropolitana di Venezia nel 2016 erano precari. Più della metà delle offerte di lavoro (4.350 su 8.000 circa) riguardava le attività ricettive e della ristorazione. Al secondo posto (3.600 circa) le posizioni “non qualificate” nel commercio e nei servizi. Fonte: Nuova Venezia 8 novembre 2016. [2] Veneziani stabilmente residenti all’estero nel dicembre 2016 (fonte: liste elettorali referendum costituzionale): 12.296, numero superiore alla somma dei residenti nei sestieri di San Marco e San Polo!
M come Museo Correr Alla Fondazione Musei Civici di Venezia ricordiamo che: il Museo Correr, fondamentale Istituzione nella vita culturale della Città, deve questo nome al suo fondatore, Teodoro Correr: un nobiluomo veneziano che negli anni seguenti alla caduta della Repubblica era riuscito a raccogliere un’enorme quantità di opere artistiche e cimeli veneziani delle più svariate epoche, salvandoli dalla dispersione e costituendo il primo nucleo del Museo. Grazie a ulteriori importanti donazioni e acquisti, come quello effettuato dal Comune di Venezia a fine ‘800 dei cimeli del Doge Francesco Morosini, il Museo Correr andò sempre più ampliandosi e divenne un importante punto di riferimento per studiosi e cittadini. Nel 1922 le Raccolte vennero trasferite in Piazza San Marco, in una nuova sede che si estendeva tra l’Ala Napoleonica e parte delle Procuratie Nuove. Assieme al Palazzo Ducale costituisce (o dovrebbe costituire) il fulcro espositivo di opere d’arte e collezioni storiche che ricordano la storia e la cultura della Serenissima. Purtroppo gli interventi radicali degli ultimi anni dimostrano come restauri e ripristini, anche corretti dal punto di vista formale, possono in realtà alterare gli scopi e le caratteristiche originarie di una Istituzione. La cittadinanza ha la sensazione che si sia persa di vista la valorizzazione degli aspetti più originali e fondamentali della storia e della civiltà di Venezia a favore di altri nel complesso storicamente più marginali. Alla Fondazione Musei Civici di Venezia chiediamo dunque di ritornare allo spirito e alla ratio che stanno alla base della nascita delle collezioni del Museo Correr, ricordando altresì che il recupero di dignità e di coscienza della città passa non solo da una maggiore attenzione alla sua storia e alla sua civiltà ma anche da un uso che non sia soltanto turistico e commerciale dei suoi monumenti simbolo, e sottolineando come il turismo di qualità che si dice di voler coltivare è in realtà interessato a conoscere la storia e le caratteristiche specifiche di una Repubblica marinara unica al mondo più che a ritrovare anche qui il tipo di cose che potrebbe trovare in qualsiasi altro museo.
N come Negozi di vicinato e botteghe artigianali Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: l’Adozione di un Regolamento comunale che, come già fatto dal Comune di Firenze, fissi un limite al proliferare di attività commerciali incompatibili con la tutela del patrimonio monumentale e immateriale (artigianato locale), avvalendosi delle disposizioni di legge recentemente adottate a livello nazionale[1] con l’obiettivo di privilegiare negozi di vicinato e attività artigianali; per tali attività chiediamo inoltre di attivare forme di agevolazione fiscale e incentivi compatibili con la norma “de minimis” (entro la soglia dei 200.000 euro pro capite, che permette di evitare l’obbligo di notifica alla Commissione europea). [1] Decreto legislativo n° 222 del 25 novembre 2016
O come Ospedale Una proposta innovativa e promettente che abbiamo ricevuto è quella di collegare il nostro ospedale all’Università di Padova e portare a Venezia gli specializzandi e i dottorandi. Sviluppando questo gemellaggio con la Università di Padova, Venezia potrebbe diventare sede di ricerche mediche avanzate allestendo, negli enormi e liberi spazi del convento dei domenicani (Ospedale Civile ), un centro di studi sanitari di eccellenza a livello mondiale come (in altro ambito) è stato fatto a Trieste con la SISSA. In questo modo si utilizzeranno al meglio gli spazi dell’ormai quasi vuoto convento di San Domenico evitando operazioni speculative di tipo turistico. In quei locali si potrà sviluppare la clinica e la ricerca, per cure innovative e di assoluta eccellenza. Questo farebbe del nostro Ospedale civile un polo di attrazione e rivitalizzerebbe tutta la zona circostante. Al Ministero della Salute chiediamo: il mantenimento del punto nascite dell’Ospedale civile di Venezia, in deroga alla soglia dei 500 parti all’anno, in considerazione dei tempi di percorrenza e delle modalità di trasporto tipiche della realtà lagunare, accogliendo in questo la richiesta già presentata dalla Regione.
P come Posti barca Al Sindaco di Venezia chiediamo: di sbloccare il bando per l’assegnazione dei posti barca vacanti nei sestieri e nelle isole, che gli uffici comunali hanno predisposto da più di un anno su indicazione dell’allora Commissario Zappalorto e che allo stato attuale risulta essere un obbligo disatteso dalla Giunta in carica, dato che il regolamento comunale applicabile ne prescrive la pubblicazione con cadenza biennale.
Q come Qualità dell’Aria Alla Regione Veneto chiediamo: un intervento immediato sull’Agenzia regionale per l’Ambiente (ARPAV) affinché venga finalmente installata una stazione di monitoraggio della qualità dell’aria nei sestieri, considerato che l’unica centralina presente in Laguna, è stata collocata a Sacca Fisola in tempi remoti quando le circostanze erano diverse da quelle attuali, non è rappresentativa dell’esposizione reale della popolazione residente a Venezia tanto che è classificata come “stazione di fondo” e pertanto non misura l’impatto delle fonti locali di inquinamento quali il traffico acqueo e marittimo. Un piano per l’adeguamento e la rottamazione dei motori marini più inquinanti, facendo uso dei fondi UE “strutturali” di competenza regionale o anche ai bandi di gara annuali quali ad esempio Life+.
R come Rifiuti Al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: la rimodulazione delle imposte comunali come la TARI (tassa sui rifiuti) con tendenziale abbattimento allo zero per le prime case e aliquota ridotta per le utenze domestiche in generale; nel breve termine, revoca immediata degli aumenti deliberati dal Consiglio comunale per il 2016, da finanziarsi con l’aumento dell’aliquota applicata ad alberghi e altre attività ricettive di tipo turistico.
S come scuole (e asili) comunali Al Sindaco di Venezia e alla Giunta comunale chiediamo: un rinnovato sostegno allo sviluppo degli asili nido e delle scuole materne che rappresentano un servizio fondamentale per la cittadinanza e che hanno sempre costituito uno dei fiori all’occhiello del Comune di Venezia. Si tratta di attività strategiche che mirano a fornire un ottimo livello di educazione dei piccoli e costituiscono un prezioso supporto, specialmente per quelle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, a tariffe compatibili con i livelli stipendiali attuali. Appare pertanto logico chiedere che, anche per il futuro, il Comune si impegni a garantire livelli qualitativi adeguati e sicurezze ai bambini e alle loro famiglie, nonché ai lavoratori del settore.
T come Traffico Acqueo Al Sindaco e al Consiglio comunale di Venezia chiediamo: elaborazione e attuazione di un piano per il riassetto del traffico acqueo che ponga come obiettivi primari: la salvaguardia del patrimonio immobiliare pubblico e privato contro gli effetti del moto ondoso; il controllo dell’inquinamento atmosferico; il controllo dell’inquinamento acustico; la sicurezza della navigazione con precedenza al trasporto pubblico di linea, comprese le gondole da parada o traghetti; la razionalizzazione del trasporto merci che è attualmente caratterizzato da barche in ferro sproporzionate alle necessità e alle caratteristiche dei rii interni.
U come Ultima spiaggia in assenza di una terapia d’urto immediata sul duplice fronte casa-lavoro, la curva demografica nei sestieri è tale che i residenti “sopravvissuti” a Venezia sono condannati all’irrilevanza da una classe politica cinica e miope (per non dire di peggio) che ragiona soltanto con il pallottoliere del “quanti voti porta” questa o quella comunità locale, non solo a livello regionale (nessuno consigliere regionale, allo stato attuale) ma anche nel loro stesso Comune: dalla Giunta in carica i segnali già accumulati in questo senso sono troppo numerosi per poter essere ignorati. Alla Regione Veneto chiediamo: la convocazione del referendum di iniziativa popolare per il ripristino di due Comuni autonomi (Venezia e Mestre) su cui sono state raccolte 9.000 firme, in modo tale che la popolazione possa esprimersi nel merito della questione, dato che l’istituzione della Città Metropolitana di Venezia permette di affrontarla in modo completamente diverso rispetto al passato e considerato che il Sindaco attuale ha ritirato le deleghe alle Municipalità, facendo con questo venir meno anche l’ultima flebile parvenza di decentramento amministrativo. Considerata l’imminente convocazione del referendum regionale sull’autonomia, un abbinamento delle due consultazioni referendarie permetterebbe di superare l’obiezione relativa ai costi del referendum che riguarda l’assetto territoriale dell’attuale Comune di Venezia. Alle Autorità italiane chiediamo: Il riconoscimento di uno Statuto speciale per Venezia, che permetta alla Città di: I° trattenere una quota del gettito fiscale prodotto anziché elemosinare periodicamente quanto le è in realtà dovuto se si considera il residuo fiscale accumulato ogni anno (la differenza fra imposte riscosse sul suo territorio e la somma di trasferimenti e servizi ricevuti dallo Stato); II° decidere in autonomia quali sono le priorità di intervento sul suo territorio, senza essere sacrificati sull’altare del pallottoliere elettorale che non prende in conto il valore universale di Venezia, le sue caratteristiche uniche al mondo e il suo status di Patrimonio dell’Umanità.
V come Venezia all’aperto Fra le richieste che abbiamo raccolto nei sestieri ci sono anche: 1. Il ripristino del cinema all’aperto di campo San Polo. 2. Il raddoppio della frequenza del mercatino di Santa Marta, che è particolarmente apprezzato dai residenti. 3. Il ripristino dei mercatini delle cose vecchie e del collezionismo, denominati “Mercatini dei Miracoli”, eliminando il requisito del 50% di venditori professionisti che ne ha determinato la scomparsa. 4. La manutenzione e ripristino della funzionalità delle fontane pubbliche, e più in generale di tutti i manufatti di proprietà comunale sulla pubblica via (panchine, fontanelle e segnaletica), che a volte si trovano in condizioni di incomprensibile abbandono. 5. Le strutture disponibili per le attività sportive (voga a parte) sono scarse, manca ad esempio una struttura per avvicinare i ragazzi all’atletica. Al Comune chiediamo di garantire un’offerta completa di attività sportive partendo dal miglior utilizzo delle strutture esistenti.

Il presente documento è stato consegnato ai mass media e ai partecipanti all’incontro pubblico del 20 gennaio, per essere poi pubblicato sulla pagina facebook di “Venezia mio futuro” e sulla pagina internet www.gruppo25aprile.org.

L'intervento del Vicepresidente di Italia Nostra Venezia sul delicato momento che Venezia sta vivendo con gli annosi problemi: Mose, navi, turismo. La Nuova Venezia, 28 gennaio 2016 (m.p.r.)

L'anno 2016 si conclude con tutti i grandi problemi di Venezia ancora irrisolti, mentre con il passare del tempo le situazioni gravi si cronicizzano. Com'è sempre accaduto a Venezia ciò metterà le generazioni future di fronte a fatti compiuti e irreversibili, con grande soddisfazione dei pochi che dallo stato esistente traggono rendite economiche e politiche. Il Mose è ancora incompleto. Dopo l'esplosione degli scandali, molto facilmente prevedibili e previsti, il carrozzone sussiste e barcolla ma continua a succhiare denaro. Le voci di chi era contrario fin dall'inizio e ora ha avuto platealmente ragione cadono ancora nell'indifferenza del potere; anzi, causano irritazioni aggiuntive.

Le navi da crociera continuano a passare davanti a San Marco, con stupore del mondo intero. Dopo anni di discussioni si è ancora incerti se portarle a Marghera o scavare canali per arrivare alla Marittima o creare banchine fisse o mobili alle bocche di porto. L'opzione più giusta, quella di liberare città e laguna da quell'incubo, non viene neppure considerata, nel nome di un malinteso vantaggio economico, che andrebbe solo a favore dei potenti organizzatori, con briciole di semi-stipendi per gli sfortunati figli di chi non possiede licenze di taxi, di gondole o di bancarelle finto-ambulanti. È esplosa la trasformazione degli appartamenti da case d'abitazione in strutture ricettive. Oltre seimila se ne contano su ventiquattromila utenze in città. Nessuno interviene e tra poco sarà troppo tardi. Sciami di lancioni depositano ogni ora migliaia di visitatori innocenti davanti alla Ca'di Dio, per ritornare a prenderli nelle prime ore del pomeriggio e riportarli agl'infernali trasporti su gomma per la corsa verso altre martirizzate città d'arte.
Una commissione indipendente dell'Unesco, e poi un'assemblea generale, hanno esaminato il quadro generale e concluso che Venezia rischia di venire inclusa tra i siti in pericolo. Dovrebbe presentare un piano di resurrezione entro il febbraio 2017 ma non sembra avere intenzione di farlo. Il sindaco di Venezia si è scagliato contro l'interferenza negli affari della sua città, dimostrando un'abituale grossezza di vedute con la dichiarazione che prima di parlare l'Unesco dovrebbe mandare dei soldi per aiutare Venezia a pareggiare i bilanci. I quali bilanci sono sempre in rosso malgrado trenta milioni di turisti nel 2016, cosa che spinge a vendere altri palazzi di pubblica proprietà e a concedere altri permessi per alberghi e centri di commercio turistico.
Di buono c'è che i cittadini non contagiati dalla generale miopia liberistica ancora resistono, ancora chiedono misure per salvare bellezza, cultura e qualità della vita e ancora mostrano a esempio le positive realtà di Barcellona, Amsterdam, San Francisco, perfino New York. In quest'ultima città, e nel suo intero Stato, non è possibile affittare un appartamento per meno di trenta giorni di fila: lungimiranza di amministratori che vedono un processo di degrado all'orizzonte e lo contrastano prima che sia troppo tardi. Oggi si cita con orrore un'ordinanza comunale del 1962 che obbligava a sversare in laguna tutti i materiali inquinanti prodotti dalle industrie di Porto Marghera. Domani lo stesso orrore sarà generato dall'indifferenza verso le grandi navi da crociera e verso il proliferare di plateatici, di affitti turistici, di ricordini fabbricati in Cina. Il 2016 ha dato una forte spinta in quella direzione. Il 2017 rischia di fare altrettanto e forse di più, data la composizione dell'attuale giunta comunale e del consiglio che la sorregge. Si va verso un anno di decisioni che non potranno essere che negative, date le premesse. Occorrerà resistere, mostrare che le strade alternative esistono e possono essere piene di luce. Anche quest'ondata di oscurantismo passerà, come tante altre in passato. * Vicepresidente Italia Nostra, Venezia

Difficile pensare che a Venezia, città di millenaria saggezza e civiltà, nei secoli accogliente di persone respinte dagli altri, potesse esprimere un sindaco la cui ideologia, sensibilità, cultura sia simile a quella declamata (ma non ancora praticata) da Donald Trump. Per fortuna che un prete c'è. Il Fatto Quotidiano on line, 20 dicembre 2016

Il sindaco Luigi Brugnaro non poteva scegliere momento meno opportuno per lanciare la sua crociata contro la povertà, o meglio contro la povertà visibile nel centro di Mestre, la città veneziana di terraferma. A pochi giorni dal Natale, con le strade abbellite dalle luminarie e con le vetrine dei negozi piene di merci che fanno stridere ancor di più i contrasti sociali, ha lanciato la proposta di realizzare una “cittadella della povertà”. Ha usato proprio questa espressione. Come esiste, a piazzale Roma, la “cittadella della giustizia”, ovvero il Tribunale lagunare, come a Venezia esiste da pochi mesi il “palazzo del lusso” a due passi di Rialto, allo stesso modo Brugnaro vuole localizzare, in un punto per ora imprecisato della periferia, una struttura dove possano essere dirottati barboni e clochard, poveracci italiani e immigrati in cerca di aiuto.

Il primo cittadino aveva cominciato la scorsa settimana dichiarando che è venuto il momento di spostare le mense dei poveri che ogni giorno sfamano a Mestre centinaia di persone. Via dal centro, dalla passeggiata pedonale di piazza Barche o piazza Ferretto, perché il via vai di disperati crea problemi di decoro e degrado urbano. A Mestre ci sono due mense, Ca’ Letizia in via Querini e una struttura gestita dai frati in via Cappuccina. Siccome entrambe sono della diocesi, il patriarca Francesco Moraglia non ha gradito l’entrata a gamba tesa in un campo, quello della carità, in cui la chiesa veneziana è impegnata da sempre. Così ha preso spunto da un incontro pubblico per esprimere il suo dissenso. “Una città non può emarginare realtà che appartengono al vivere sociale. Se ci sono problemi che richiedono di organizzare meglio le mense, ci impegneremo perché questo avvenga, ma portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica e sociale, questo no”. Parole severe contro gli steccati e l’illusione di risolvere i problemi buttando la polvere sotto il tappeto.

Moraglia ha aggiunto: “Immagino che l’iniziativa abbia buone intenzioni, eppure spostare le mense non è solo nascondere la povertà, ma è creare una disparità tra una società che crede di avere eliminato la sofferenza e una realtà che, per i suoi bisogni primari, vive al margine della società e accede alla società vedendola come un mondo proibito”. Poi ha concluso, escludendo l’eventualità di far traslocare le mense. “Se c’è da mettere a posto alcune organizzazioni dobbiamo farlo, perché dobbiamo evitare difficoltà anche a chi vive nel quotidiano, ma dobbiamo anche prendere atto che nella società ci sono ricchezza, povertà, bambini, nonni, adulti, sani e malati. E bisogna cercare, nel rispetto, di offrire servizi migliori a tutti rimanendo attenti all’uomo concreto, alle sue stagioni e sofferenze”.

La proposta di Brugnaro nasce dal fatto che i residenti della zona dove si trovano le mense si lamentano. Sostengono che è difficile la convivenza con i frequentatori, non solo stranieri, ma anche italiani. Da apripista aveva fatto l’assessore alla Coesione sociale, Simone Venturini, un paio di mesi fa. Poi il primo cittadino ha dato l’annuncio in modo ufficiale. Ieri, dopo le parole del Patriarca, Brugnaro è tornato sull’argomento: “Sto pensando a una cittadella della povertà. L’idea è di concentrare i servizi per avere più risultati”. E avrebbe anche individuato l’area, per ora top secret. Lapidario il vicario episcopale don Dino Pistolato: “Bisogna fare attenzione a costruire dei ghetti, non usiamo la politica per nascondere. Chi va nelle mense sono persone che si muovono, che senso ha costruire una città per loro? In tutte le grandi città, da New York a Parigi, i poveri stanno vicino a dove c’è la ricchezza”.

Una nuova proposta per portare i flussi del turismo "mordi e fuggi" a corrompere la città e i grattacieli del mare a distruggere la Laguna. Ma il nuovo progetto ha ancora più criticità dei precedenti, quindi verrà ugualmente bocciato. La Nuova Venezia, 2 dicembre 2016 (m.p.r.)

Il Patto per Venezia firmato tra il presidente del consiglio e il sindaco di Venezia ci ha [Lidia Fersuoch è presidente di Italia nostra - Venezia] preoccupato notevolmente per quanto concerne soprattutto l’inserimento nello stesso Patto del progetto di escavo del canale Tresse nuovo, un collegamento (proposto dal sindaco e dall’autorità portuale) tra il Canale dei Petroli e il Vittorio Emanuele, per far giungere in Marittima le navi crocieristiche. Il progetto appare dunque avere il sostegno e l’avallo di Renzi, nonostante il ministro delle infrastrutture nella sua recente visita non l’avesse preso in considerazione. Nel patto, inoltre, a rendere più “pesante” l’appoggio della Presidenza del consiglio compare l’asserzione della centralità di Venezia nel panorama nazionale e i molti milioni di euro finalmente sbloccati.

A ben guardare, però, recentemente la stampa ha dato notizia di un altro patto, stipulato con Milano. Entrambe le città - si può pensare - hanno gravi problemi, e probabilmente entrambe, per motivi diversi, sono centrali per il governo e lo Stato. Ma a scorrere le notizie di stampa degli ultimi mesi ci si accorge che Renzi ha firmato un patto per Genova, un patto per Firenze, un patto per Torino, per Palermo, per Cagliari, Reggio Calabria, Messina, Catania, Bari, Napoli (il presidente del consiglio si è perfino dichiarato pronto a firmare un patto per Roma). Sono stati firmati anche patti per regioni intere: c’è un patto per la Campania, la Sicilia, la Basilicata, la Puglia, il Molise, la Sardegna, l’Abruzzo, il Lazio.
Dimentico qualcosa? Tutti questi patti prevedono opere infrastutturali, grandi interventi, finanziamenti cospicui. Un vortice di milioni. E sono stati sottoscritti in questi ultimi mesi. L’opposizione - il senatore Casson - ha l’impressione «che il premier fino al prossimo 4 dicembre firmerebbe qualunque cosa». Ma anche altrove in molti sono critici: «quei soldi per interventi importanti a Marsala erano stati già previsti anni fa», mentre per la Calabria «non c’è alcun finanziamento aggiuntivo rispetto ai fondi europei e nazionali già stanziati» e per Milano «hanno spacciato come novità il prolungamento della M5 fino a Monza, che praticamente è già in costruzione». Inoltre, qualcuno ha quantificato i bonus elargiti da Renzi: si tratterebbe di una somma che supera i 12 miliardi a carico dello Stato.
Questo e altro si legge sui quotidiani nazionali, ma forse - è prudente considerarlo -, si tratta di organi di stampa politicamente avversi a Renzi. In ogni caso si può considerare l’appoggio al progetto del sindaco con meno preoccupazione. Brugnaro sulle Tresse sostiene: «quello è il progetto della città … lo ha capito Renzi che ha detto chiaro “è la città che decide”, lo capirà anche la Sambo».
Peccato però che se anche tutti i cittadini concordemente si dichiarassero sostenitori convinti del progetto Tresse ciò non basterebbe: il progetto non passerà la VIA. Questo progettato canale, infatti, presenta tutte le criticità del Contorta e ne aggiunge altre, come ad esempio il fatto di essere tracciato attraverso l’Isola delle Tresse, una mega discarica di fanghi inquinati (realizzata in regime commissariale, essendo vietatissima la realizzazione di imbonimenti in Laguna, ancor più di discariche).
Ma la criticità maggiore, che Italia Nostra contesta a qualunque progetto mirante a conservare le navi croceristiche in Laguna, è quello che deriva dal transito nel Canale dei petroli. Come tutti ormai sanno, il Canale dei petroli è responsabile della spaventosa erosione del bacino centrale, che ha distrutto la morfologia lagunare approfondendo i fondali e cancellando la rete naturale dei canali. Nella mostra Venezia 1966-2016. Dall’emergenza al recupero del patrimonio culturale. Storie e immagini dagli archivi della città (organizzata dalla Biblioteca Marciana e dall’Archivio di Stato nel mese di novembre presso le Sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana, e di cui sarà presto on-line il catalogo) Italia Nostra ha presentato uno scenario progettuale di ripristino di funzionalità idraulica e morfologica dell’area del Canale dei Petroli, curato da Lorenzo Bonometto e di prossima pubblicazione. La Laguna, patrimonio naturale e culturale dell’umanità, necessita di progetti volti al restauro morfologico e idraulico, e non certo di nuovi, devastanti canali.

Lidia Fersuoch è presidente della sezione di Venezia di Italia Nostra

Un volume decisivo per la comprensione della Laguna di Venezia, costruito da Lidia Fersuoch sulla base di un'mmensa congerie di documenti testuali e cartografici d'archivio è stato presentato recentemente a Venezia. Tra i commentatori Francesco Erbani, che ci ha concesso di pubblicare il testo del suo intervento. In calce il link all'audio dell'affollato evento

Lasciate come prima cosa che denunci l’imbarazzo per la mia scarsa titolarità quale relatore alla presentazione del volume di Lidia Fersuoch. Inadeguatezza nei confronti dell’oggetto, questo poderoso, fondamentale contributo alla storia, alla geografia e direi al presente vivo, un presente così minacciato della Laguna (con la L maiuscola, come ho imparato da Lidia: nomina sunt consequentia rerum). Inadeguatezza, poi, nei confronti degli altri due relatori, Luigi D’Alpaos e Francesco Vallerani, molto più accreditati di me a misurare l’entità scientifica di questo contributo.

Conosco Lidia Fersuoch da tanti anni. Siamo amici. Conosco la sua competenza sulle complesse, fascinose e drammatiche vicende della Laguna. Stimo la sua passione militante. Le volte che mi sono occupato di Laguna come cronista l’ho considerata al pari di una specie di Corte di Cassazione, ritenendola in possesso della parola per me definitiva, quella che consente di orientarsi, di non sbandare, di andare all’essenziale, di fiutare dove stanno le ragioni della Laguna e dove stanno quelle di chi, agli interessi della Laguna, antepone i propri.

Ora, con questo volume, Codex Publicorum. Atlante (edito dall’Istituto veneto di lettere, scienze ed arti) è possibile per me percepire più compiutamente la profondità storica delle competenze spese, insieme a Italia Nostra, nelle battaglie per l’integrità della Laguna, contro le Grandi Navi e i progetti di nuovi canali, contro il Mose. È una quantità di saperi che in questo volume transita dalle discipline umanistiche a quelle idrauliche con sorprendente agilità, per nulla fiaccata dalla mole di documentazione. È come se si completasse un circuito virtuoso fra cultura e politica, un circuito in cui l’una e l’altra si alimentano reciprocamente e che va dalle carte dell’Archivio di Stato alle bocche di porto e dalle bocche di porto torna all’Archivio di Stato.

Questo Atlante restituisce su mappe le misurazioni effettuate dai giudici del piovego, i giudici che dal XIII secolo avevano giurisdizione sulle proprietà pubbliche, erano addetti a redigere una specie di catasto di queste proprietà pubbliche e dunque vigilavano su canali, strade, saline, valli da pesca, barene, ponti, testimoniando attraverso le vicende processuali, i contenziosi, il mutevole assetto lagunare di quello e dei secoli successivi. Svolgevano quei giudici, se non capisco male, una fondamentale funzione di tutela del patrimonio pubblico e dunque in quelle sentenze si potrebbero rintracciare gli antecedente delle denunce, degli esposti, delle battaglie di questi anni.

D’altronde questo è il frutto di un lavoro ventennale, di cui con Lidia qualche volta ci siamo trovati a parlare e i cui presupposti sono in un lavoro che risale al 1995 e che sviluppava la sua tesi di laurea: San Leonardo in Fossa Mala e altre fondazioni medievali lagunari.

All’estremo opposto del volume di cui si parla questa sera, all’estremo opposto come dimensioni, ma non come peso specifico o intensità della riflessione, c’è Confondere la Laguna, 35 essenziali pagine nella coraggiosa, benemerita collana “Occhi aperti su Venezia” della Corte del Fontego di Marina Zanazzo. Lì si legge della “multiforme bellezza” della Laguna, del suo “equilibrio precario tra un orizzonte di mare e uno di terra”, dei “potenti e tortuosi canali che si diramano in venature di sempre minore sezione” a partire dalle tre bocche di porto, delle terre sommerse, i bassifondi, o a pelo d’acqua, le velme, oppure appena rilevate, le barene. Insomma, tutto, tranne che “un semplice e passivo vaso liquido”, tutto, tranne che “un’indistinta distesa d’acque”.

Per molti di noi, non veneziani, per molti di coloro che sono abituati a paesaggi più netti, più rocciosi, a mari profondi, di colore blu cobalto, oppure per chi è incapace di cogliere il dettaglio incerto di un paesaggio, il fascino che genera questa impressione di grigio, è una sorpresa salutare leggere le parole con le quali Lidia descrive il funzionamento delle barene, che proteggono le aree stabilmente emerse, le isole abitate della Laguna, partecipano alla fitodepurazione e sono dotate di una vegetazione capace di catturare i sedimenti sospesi nelle correnti, attuando così un perenne processo di autorigenerazione.

Sono terre, le barene, ma in fondo appartengono di più al mondo dell’acqua: ecco la loro seducente incertezza. Quell’incertezza, quella mutevolezza che induce a percepirle con pazienza, dubbiosi e incerti noi stessi, persino un po’ spaesati, a bandire oltre le osservazioni frettolose, anzi sbrigative, anche atteggiamenti sbrigativi, iniziative che non calcolano le conseguenze.

D’altronde anche questo Atlante del Codex publicorum, che Lidia assimila a un testo medievale, «costituito per gemmazioni successive», riferendosi ai territori della gronda lagunare «da San Martino in Strada a San Leonardo in Fossa Mala», come recita il sottotitolo, tratta di territori incerti e mutevoli, territori ai margini, paesaggi fragili, anfibi, già raccontati nella tesi di laurea e nel volume del ’95. È un paesaggio sfuocato, forse smarrito, che in queste pagine viene come rimesso a fuoco e persino resuscitato, fatto di «fiumi, di laghi, di punte di terra, di vigne». Un’altra Venezia, scrive Lidia Fersuoch, «largamente obliterata e perduta».

Sopravvive comunque e anzi invoca attenzione la trama di un sistema delicato, gli urbanisti lo definirebbero “territorio lento”, che sopporta interventi di salvaguardia, di cuci e scuci (oggi va di moda l’espressione “rammendo”) e che invece è destinato a soccombere se trattato con supponenza scientista, con prepotenza tecnologica. Sono luoghi che – leggo nell’Atlante – interessati dalle sentenze dei giudici «sono animati da vivide presenze, storie, controversie e rivalità», e recano segni di mestieri antichi che, pur inesorabilmente spariti, lasciano nella memoria un deposito di saperi e di metodi che ancora possono servire per orientarsi e non restare sopraffatti di fronte alle imposizioni globali. Hanno dunque bisogno, questi luoghi, di una parola che li descriva, di una rinominazione che restituisca loro vita e freschezza. Le sentenze e l’Atlante ci provano.

A Venezia invece si perdono incessantemente residenti e anche barene: Lidia racconta che nel Seicento una stima estende la superficie totale delle barene a 255 kmq, all’inizio del Novecento si era a 170, nel 2003 si è scesi a 47.

Prima si parlava di incertezza. Incerti, invece, leggendo i volumetti di Lidia, oltre Confondere la Laguna, anche A bocca chiusa, dedicato alle gravi criticità del Mose, e persino Nostro Fontego dei Tedeschi, che non parla di Laguna, ma anche i nuovi templi del lusso, micidiali attrattori turistici gravano sul fragile sistema Venezia-Laguna, e quindi questo poderoso Atlante, incerti, dicevo, non bisogna essere di fronte alla più terribile tragedia che può abbattersi in Laguna, il suo dissesto morfologico, la sua erosione.

Quali danni abbia provocato il Canale dei Petroli, realizzato a metà degli anni Sessanta, lo ha raccontato magistralmente D’Alpaos (il quale, con ragioni assai convincenti, lo ha indicato come responsabile solo parziale dell’alluvione di cinquant’anni fa). Non scenderò nei dettagli, nell’atrofizzazione della venatura di canali dovuta al fatto che la marea, controllata dal nuovo, più profondo e più largo canale, entrando in Laguna corre sulla superficie dei bassifondi e solleva materiali che vengono sospinti in mare aperto. Né mi soffermerò su quel che accade quando passano enormi navi che producono onde le quali anche loro sollevano grandi quantità di materiali dai fondali i quali poi tornano a depositarsi nel Canale dei Petroli o finiscono in mare aperto.

A proposito del passaggio delle navi nel Canale dei Petroli, ricordo il racconto che faceva Lidia (che poi ne parla nel volume del ’95 che citavo prima) delle ricerche dell’archeologo Ernesto Canal, il quale per individuare i resti della chiesa di San Leonardo in Fossa Mala attendeva, appunto, il passaggio di una nave e il risucchio che questo provocava. Poi Lidia ha adottato lo stesso accorgimento per fotografare quei resti prima sommersi e poi emersi.

La Laguna rischia di diventare un cratere: cent'anni fa, calcola D'Alpaos, la profondità media era di 40 centimetri, ora, a causa di un milione di metri cubi di sedimenti che finiscono in mare aperto ogni anno, siamo a un metro e mezzo. E se non si porrà rimedio, fra cinquant'anni si scende a due e mezzo. La Laguna sarà un braccio di mare.

Per me valgono a documentare plasticamente il dissesto che quotidianamente si perpetua da cinquant’anni in Laguna, due immagini: una cartografia della Laguna che restituisce, nella Laguna nord, l’ordito di canali, quasi fosse una forma vegetale che nella ramificazione custodisce l’essenza della propria vita; nella Laguna sud, invece, un azzurro intenso, compatto, una distesa liquida che è l’antitesi della Laguna (la Laguna sud è quella dove c’è il Canale dei Petroli); l’altra immagine è il video che documenta l’onda sollevata dal passaggio di una nave lungo il Canale dei Petroli, un’onda che poi spazza la superficie della Laguna per centinaia e centinaia di metri. Quella cartografia e quel video restano ai miei occhi la prefigurazione di quel che, moltiplicato, potrebbe accadere in Laguna se si scaveranno o si approfondiranno altri canali.

Ci sono altri fattori che alterano la morfologia lagunare. La velocità delle barche a motore e il moto ondoso che provoca. La coltivazione delle vongole. Ma intanto su questo dissesto, oltre che sull’assenza di politiche per regolare e contenere il turismo, sul passaggio in bacino San Marco delle Grandi navi, ha attivato la sua attenzione anche l’Unesco, sollecitato ancora nel 2011, sempre da Lidia Fersuoch e da Italia Nostra, e che nel luglio scorso ha spedito al Comune un voluminoso rapporto, 78 pagine, che si conclude con un ultimatum: se entro il primo febbraio del 2017 non verranno prese misure urgenti, Venezia finirà in una lista nera dell’Unesco, la List of the World Heritage in Danger. Un passaggio che può provocare l’uscita della città e della Laguna dai siti patrimonio dell’umanità (Venezia si era guadagnata il riconoscimento nel 1987).

II riconoscimento Unesco ha un valore culturale e politico, più che giuridico, perché dichiara patrimonio dell’umanità inscindibilmente città e Laguna, raccomandando la tutela di quest’ultima «al pari dei palazzi e delle chiese». E per questo l’organismo dell’Onu guarda con preoccupazione anche lo scavo di altri canali in Laguna per farvi passare le navi tenendole lontane da San Marco: prima il Contorta, più recentemente il Tresse. Secondo molti, un rimedio peggiore del male.

Sul futuro della Laguna nel suo insieme, comprendendo anche Venezia, gravano incertezze e minacce, cinquant’anni dopo quel 4 novembre 1966. Le Grandi navi, lo scavo di nuovi canali, il Mose: sono tre questioni maledettamente legate fra loro. Sembra già sfumato nel tempo il clima d’indignazione seguito all’inchiesta della Procura di Venezia del 2014 che ha rivelato quale gigantesca corruzione avvolgesse il Mose. E quale impressionante mistificazione scientifica, tecnologica e politica abbia oscurato le ragioni della salvaguardia della Laguna, che comprende la salvaguardia di Venezia dall’acqua alta, ma che non si riduce a questa.

Ebbene chi s’immergesse nella lettura dello studio di Lidia Fersuoch, approfondirebbe una storia che si riferisce ai secoli dal XIII in poi, ma ogni tanto solleverà lo sguardo all’oggi e ne ricaverà utilissimi elementi di conoscenza.

Collegamenti.


Qui il link alla registrazione video_ degli interventi, su you tube. Qui il link alla scheda illustrativa dell'opera

«Venezia è città complessa, policentrica, che si articola su almeno tre livelli: il centro storico, la terraferma e le isole. Bene hanno fatto le autrici di questa guida a inserire nella guida capitoli dedicati a tutti questi luoghi». Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2016 (m.p.r.)

“Venezia è ribelle già per sua natura: sfida il delicatissimo equilibrio tra terra e acqua, sorge su pali di legno piantati nella laguna, cresce ricca di edifici, chiese, palazzi e strade mettendo in discussione le leggi della fisica, sopravvive grazie a un continuo passo a due tra l’uomo e l’ambiente circostante”: con queste parole le due autrici Beatrice Barzaghi e Maria Fiano presentano la Guida alla Venezia ribelle, che vuole essere un manuale per un turismo alternativo, capace di proporre percorsi certo insoliti e forse lontani dalle consuete mete stereotipate, eppure per questo quanto più autentiche. Pubblicato dall’apprezzabile Voland, casa editrice che ha già dato alle stampe le «guide ribelli» a Roma, Parigi, Barcellona, il libro propone per ogni tappa consigli su canzoni, film, libri che permettano di approfondire gli argomenti trattati.

La guida ci invita a seguire itinerari, per l’appunto, ribelli, che raccontano di una città da sempre allergica alle imposizioni, capace di essere un punto di riferimento per la libertà di stampa nell’epoca della Controriforma, protagonista nel Risorgimento e durante la Resistenza antifascista, fino alle lotte operaie degli anni ’70 e alle rivendicazioni per il diritto alla casa negli ultimi decenni. E tutto questo è in contrasto con la visione di una Venezia in irreversibile decadenza, al massimo meta per i turisti delle Grandi Navi o di ricchi proprietari di seconde case.

Venezia è città complessa, policentrica, che si articola su almeno tre livelli: il centro storico, la terraferma (con Mestre e il complesso industriale di Marghera, che ha meno di cent’anni) e le isole. Bene hanno fatto le autrici a inserire nella guida capitoli dedicati a tutti questi luoghi, considerando giustamente Venezia come un tutt’uno multiforme in comunicazione ininterrotta (anche se la consapevolezza di questa unicità è cosa recente).

E se a Rialto la farmacia Morelli ospita in vetrina un contatore che indica come in un countdown il numero dei residenti del centro storico, in continuo calo e da molto sotto i 60mila, l’isola di Poveglia ha visto partecipare sostenitori da tutto il mondo alla raccolta fondi per il riacquisto dell’isola dal demanio, perché rimanesse un luogo accessibile a tutti, in un lavoro di recupero ambientale che ricorda, ad esempio, quello analogo portato avanti negli anni ’80 per rendere di nuovo agibile l’isola della Certosa.

Sono molte infatti le forme di resistenza, anche creativa, allo spopolamento ed alla svendita di edifici e di spazi preziosi per la collettività. Che danno vita a esperimenti civici, a nuove forme di condivisione, in un posto in cui è difficile costruire da zero e dove anche la vita dei luoghi si rinnova, e così le forme dell’abitare e di vivere la città. Città che diventa humus fertile per personaggi irregolari, geniali, spesso innovatori nei propri campi d’azione. Come l’artista Emilio Vedova, il compositore Luigi Nono o i coniugi Basaglia, che hanno rivoluzionato l’approccio alla psichiatria. E soprattutto, come sottolinea la storica Maria Teresa Sega nell’introduzione, “Venezia città delle donne ribelli”. Dove l’emancipazione spesso è passata attraverso il lavoro, come nel caso delle molte operaie attive nelle fabbriche cittadine, o grazie al riconoscimento dell’opera intellettuale, come capitato alla pittrice Rosalba Carriera, o a Elena Cornaro, prima donna laureata al mondo. Ed è anche da qui che emerge l’eccezionalità di una Venezia che possiamo vedere ora con occhi diversi.

La grande abilità di Giuseppe Salvaggiulo, che ha intervistato Luigi Brugnaro, sindaco protempore di Venezia, é che lo ha completamente spogliato e lo ha costretto a rivelarsi come realmente è. Purtroppo per la città. La Stampa, 4 novembre 2016

L’eloquio torrenziale («ho un convegno a San Donà, c’è tempo solo per un’ultima domanda», poi parla per un’altra mezz’ora), la gigantesca spilla dei pompieri di New York sul rever della giacca («mi hanno fatto vigile del fuoco onorario»), una certa idea dell’economia («le aziende in crisi devono fallire, i soldi pubblici servono a portare qui le multinazionali»), lo stile da parón che un anno e mezzo da sindaco non ha scalfito («vivo in trincea con 800 milioni di debiti, grazie a quindici anni di sindaci filosofi e professori»). Nel giorno in cui la città celebra l’anniversario dell’Aqua Granda, l’alluvione del 1966, Luigi Brugnaro, l’imprenditore che con una lista civica appoggiata dal centrodestra ha espugnato Venezia, svela le sue idee su turismo, Unesco, urbanistica, sviluppo industriale. Con un messaggio per Renzi.

Il turismo di massa è l’emergenza?
«Tutt’altro. Ma qualcuno, invece di sviluppare altri settori, vuole uccidere il turismo che ci dà da mangiare».

Qual è la sua ricetta?
«Prima sviluppiamo l’industria. Tutto dipende dal porto. Gli armatori acquistano navi più grandi e il nostro non è in grado di accoglierle. Allora dico a Renzi: facciamo un patto per Venezia».

In che cosa consiste?

«Nel 2002 accettammo il Mose in cambio di uno sviluppo del porto. Non s’è visto nulla. Bisogna fare un nuovo porto offshore per le navi oceaniche. I cinesi sono pronti a investire 600 milioni di euro, ma vogliono certezze».

Che altro c’è nel patto?
«Un nuovo tracciato per le grandi navi da crociera, peraltro già usato in passato. E Porto Marghera».

Chiede soldi?
«Quelli della legge speciale, doverosi. Per il resto, soprattutto regole. I privati vogliono sapere quanto costano le bonifiche e cosa possono costruire. Con un’autorizzazione unica e tempi rapidi».

Il suo piano per Porto Marghera?
«Sul waterfront grattacieli fino a cento metri con terziario e residenziale, alle spalle una zona industriale, sui canali la logistica».

Quanti grattacieli?
«Quanti ne vogliono. L’area è grande, non c’è limite».

Com’è il suo rapporto con il governo?
«Io sono filogovernativo per natura. Aspetto una risposta in un rapporto leale».

Dunque migliore di quello con l’Unesco, che potrebbe mettere Venezia nella black list dei siti a rischio.
«Noi ospitiamo una sede Unesco e paghiamo le spese, solo negli ultimi anni 1,4 milioni. Eppure l’Unesco ci manda un aut aut da Istanbul. Io dico: i turchi li abbiamo fermati a Lepanto, se volete parlarci venite qui».

Ne fa una questione di galateo?
«No, di sostanza. Ci minaccia un’organizzazione che cambia i nomi ai luoghi sacri di Gerusalemme. Ignobile. Non accetto giudici e controllori, ma proposte. A casa nostra i conti li facciamo da soli».

L’Unesco propone di vietare le grandi navi da crociera.
«Le vietassero a casa loro. E i cinquemila posti di lavoro poi chi ce li dà, l’Unesco?».

Dell’ecosistema lagunare non si preoccupa?
«Le grandi navi non fanno male a nessuno».

Le maree bene non fanno.
«Le maree? Non dia retta agli estremisti».

Uscire dall’Unesco?
«Sarebbe ininfluente. È l’Unesco che si fa pubblicità con Venezia, non il contrario. È l’Unesco che va salvata, non Venezia».

Unesco a parte, sul turismo di massa bisogna fare qualcosa? Veniamo da un weekend con punte di 150mila turisti al giorno, tre volte i residenti.
«Tutti ci danno lezioni, allora io ho istituito una commissione pubblica. Chiunque ha proposte le consegni. Ora o mai più. Noi accoglieremo quelle condivisibili e faremo le nostre».

Qual è la base della discussione?
«I turisti non vanno demonizzati, sono persone come noi. Senza turisti Venezia muore».

Anche i turisti trash?
«I maleducati ci sono anche a New York, inevitabile che a Ferragosto qualcuno si tolga la maglietta. Lo multeremo».

Vuole il numero chiuso?
«La città è aperta a tutti, non la vieterò mai a nessuno. Ma il turismo mordi e fuggi non dà grandi benefici e crea costi per la città, va regolamentato».

Come?
«La tassa di soggiorno non basta per finanziare i servizi utilizzati dai turisti. Penso a un contributo, un obolo inversamente proporzionale al tempo di permanenza. Chi arriva e parte in un solo giorno paga di più, ogni giorno di pernottamento fa calare l’entità del contributo».

Vale anche per i passeggeri delle grandi navi?
«Certo».

Come si può applicare?
«Con un sistema di prenotazioni online e di addebito sui biglietti dei vaporetti, delle navi e dei treni».

Venezia rischia di diventare una città per ricchi.
«No, per chi la ama e non si accontenta di qualche ora tra Rialto e San Marco».

Perché avete venduto l’aeroporto del Lido a 26 mila euro?
«Perché l’aeroporto funzioni. Il Comune non può fare l’imprenditore. È la valutazione in bilancio. Nessuna speculazione».

E la privatizzazione del giardino Papadopoli?
«Ma quale giardino! Era un ricettacolo di tossici, una fogna. Abbiamo accettato una proposta dell’hotel vicino, che lo sistema e custodisce utilizzandolo in via esclusiva per dieci giorni l’anno. A costo zero per il Comune: un affare».

La chiamano “sindaco fuori dal Comune” perché non vive a Venezia ma a Mogliano Veneto, Treviso. «Lavoro 16 ore al giorno, non prendo stipendio, mi pago staff, auto, barca, viaggi, non ho conflitti di interessi, non ho bisogno di rubare. Solo il caffè che abbiamo bevuto è a spese del Comune. Dove risiedo sono c...i miei».

Prosegue a Venezia l'eliminazione di spazi pubblici a vantaggio degli alberghi di lusso. Questa volta si tratta di un Istituto pubblico di assistenza e beneficenza «che ha confermato l’intenzione di mettere a reddito l’edificio - non vendendolo - ma affittandolo alla società che lo trasformerà in albergo». La Nuova Venezia, 29 luglio 2016 (m.p.r.)

La casa di riposo Ca’ di Dio sarà trasformata in un albergo di lusso anziché continuare a ospitare - come è stato da sempre - una residenze per anziani autosufficienti gestita dall’Ire, l’Istituto per il ricovero e l’educazione. Ieri in Commissione consiliare a Ca’ Farsetti si è discusso infatti della Variante al Prg che consentirà la trasformazione dopo che già il commissario straordinario Vittorio Zappalorto aveva approvato una delibera che elimina lo standard pubblico attuale che vincolava l’uso dell’edificio di origine duecentesca che si affaccia sulla riva dell’Arsenale e apre la strada, dunque alla trasformazione alberghiera. In cambio, saranno rafforzati gli standard delle altre due case di riposo dell’Ire alle Penitenti e alla Giudecca.

La residenza dispone di 78 stanze a un letto con bagno e 6 a due letti, per una ricettività complessiva di 90 posti-letti, ma attualmente sono ancora una dozzina gli anziani autosufficienti ospitati e che pagano rette abbastanza elevate, intorno ai duemila euro mensili. Per l’Ire, quella degli anziani autosufficienti è una categoria ormai residuali [sic! -ndr], visto che la maggior parte degli anziani ospitati nei circa 460 posti disponibili tra le sedi di San Lorenzo, Zitelle e San Giovanni e Paolo - che chiuderà tra pochi mesi per lasciare spazio alla nuova residenza di San Giobbe - non lo sono. Di qui la dismissione della Ca’ di Dio, già attrezzata per la trasformazione alberghiera.
L’Ire ha confermato infatti anche ieri l’intenzione di mettere a reddito l’edificio - non vendendolo -, però, ma affittandolo per circa 850 mila euro all’anno alla società che lo trasformerà in albergo - anche per finanziare altre operazioni immobiliari in corso, ma per cui mancano anche fondi come il complesso di appartamenti che dovrebbero essere realizzati al posto della casa di San Giovanni e Paolo. Proprio il fatto di non vendere l’edificio è una delle condizioni poste dal Comune per dare il via alla Variante. La nuova strumentazione urbanistica sancirà anche la trasformazione d’uso in Cittadella della Giustizia dell’ex Manifattura Tabacchi e proprio ieri nel corso del Consiglio Metropolitano il sindaco Luigi Brugnaro ha annunciato che il Comune cercherà di ottenere i fondi per il secondo lotto dei lavori da quelli che il Governo ha riservato ai progetti per le periferie.
Il giorno in cui l'Unesco prendeva la durissima e giustificata decisione il sindaco della disgraziata città concionava alla Biennale proclamando "Via l'Unesco da Venezia, la città sarà salvata dai suoi abitanti. La Repubblica, 15 luglio 2016
Rapporto shock dell’organismo delle Nazioni Unite: “Basta passaggio delle grandi navi e limite al numero di turisti entro febbraio 2017. In caso contrario non sarà più considerata patrimonio dell’umanità”. L’indagine è nata da un esposto di Italia Nostra
L’ultimatum è perentorio. Se entro il primo febbraio del 2017 non verranno prese misure urgenti, Venezia finirà in una lista nera dell’Unesco, la List of the World Heritage in Danger. Un passaggio che può provocare l’uscita della città e della laguna dai siti patrimonio dell’umanità (Venezia si era guadagnata il riconoscimento nel 1987). Lo ha deciso l’Unesco stesso, ieri a Istanbul, durante la quarantesima sessione del World Heritage Committee.
Con un voto all’unanimità è stato infatti approvato il rapporto che tre ispettori avevano redatto dopo la visita di una settimana compiuta a Venezia nell’ottobre scorso. Al rapporto, 78 densissime pagine, seguiva uno stringente elenco di criticità. Fra le questioni più roventi agli occhi dell’Unesco spicca il passaggio di Grandi Navi davanti al bacino di San Marco e in generale il transito sregolato e caotico di imbarcazioni a motore che alterano pericolosamente il moto ondoso. Altrettanto preoccupanti sono gli interventi in laguna, in particolare gli ipotizzati scavi o allargamenti di canali che sconvolgerebbero definitivamente l’equilibrio di quel pregiato specchio d’acqua. Infine desta allarme l’assenza di politiche turistiche, un settore nient’affatto governato, con flussi di visitatori incompatibili con la fragilità di Venezia, dove è consentita quasi senza limiti la possibilità di trasformare le abitazioni in residenze temporanee, per lo più bed & breakfast.

La richiesta di un intervento dell’Unesco risale al 2011 e fu avanzata da Italia Nostra veneziana, presieduta da Lidia Fersuoch. I cui rilievi sono in gran parte accolti nel rapporto. In questi anni l’organismo delle Nazioni Unite ha avviato tutte le procedure istruttorie per verificare se esistessero ancora le condizioni perché la città e la laguna potessero far parte dei 51 siti italiani patrimonio dell’umanità.

L’Italia è il paese con il più alto numero di siti, che nel mondo sono 1031. Negli ultimi anni hanno rischiato di essere esclusi, senza poi conseguenze, anche Villa Adriana a Tivoli, minacciata prima da una discarica, poi da un insediamento residenziale, e l’area archeologica di Pompei. Una procedura di verifica l’Unesco l’ha avviata qualche mese fa per Vicenza e il paesaggio palladiano: qui un gigantesco complesso edilizio è sorto a qualche centinaio di metri dalla Villa La Rotonda, mentre incalzano preoccupanti progetti per l’Alta Velocità.

Secondo Italia Nostra e altre associazioni, i presupposti sono venuti meno anche a Venezia. Le Grandi Navi transitano regolarmente nel canale della Giudecca per raggiungere la Stazione marittima. Ne arrivano ogni anno, dicono alcune stime, più di 700, il che vuol dire 1400 passaggi davanti a piazza San Marco. Gravissimi, stando sempre alle denunce, sono i danni da inquinamento e da moto ondoso, oltre all’impatto visivo. L’Unesco, nel rapporto, chiede che questi giganti del mare non entrino più in laguna.

Ma le Grandi Navi sono anche l’estremo simbolo di una città consegnata al turismo, 30 milioni di presenze l’anno, il che vuol dire che dalla primavera all’autunno i visitatori ogni giorno sono in numero di gran lunga superiore ai residenti nella città storica, scesi ormai a 56mila (sono 260mila se si comprende Mestre e la terraferma). Tutto, a Venezia, si va piegando alle esigenze turistiche, che sostituiscono i tratti essenziali di una dimensione urbana.

E poi fioccano i progetti alternativi al passaggio delle Grandi Navi. Alcuni prevedono lo scavo di altri canali in laguna per farvi passare le navi tenendole lontane da San Marco: prima il Contorta, più recentemente il Tresse. Su questi progetti il rapporto dell’Unesco esprime molte preoccupazioni per gli effetti di stravolgimento che potrebbero generare sui fondali della laguna stessa, deformandone la natura e trasformandola completamente in un braccio di mare. Il che avrebbe conseguenze drammatiche sulla città di Venezia, il cui benessere dipende molto dallo stato di salute della laguna. Non a caso l’Unesco dichiara patrimonio dell’umanità inscindibilmente città e laguna, raccomandando la tutela di quest’ultima «al pari dei palazzi e delle chiese».

«La proposta del personale? Prima i mezzi pubblici, poi tutti gli altri. «Stabilire la centralità di tutto è quella di considerare il servizio pubblico di trasporto essenziale e prioritario. Come è previsto in tutte le città in Europa». La Nuova Venezia, 23 giugno 2016 (m.p.r.)

Le parolacce non si contano, come pure gli insulti diretti ai comandanti e talvolta il rischio di passare dalle parole alle mani: di perdere il battello una, due volte, per far salire a bordo prima i “veneziani” non ne vogliono sapere quanti - tra turisti e visitatori occasionali - restano in attesa a bordo dei pontili dove si sta sperimentando l’accesso prioritario per i titolari di tessera unica. A calmare gli animi sopperisce Actv con un’iniezione di corse bis, ma se ne salta una, gli animi si accendono. A suonare la sveglia sono i piloti del Comitato lavoratori Actv, pronti a saltare la fermata di Rialto se seguiranno le intemperanze. «Accade spesso a Rialto nella seconda metà del pomeriggio, a piazzale Roma la mattina, al Lido la sera», racconta Nevio Oselladore, comandante Actv e presidente del Comitato.

«Le telefonate dei colleghi alla centrate operativa sono continue e c’è chi ha già annunciato che per motivi di sicurezza non ormeggerà più al pontile della Linea 2 di Rialto se si ripeteranno queste intemperanze, sempre più accese e, per altro, del tutto prevedibili: questo sistema di priorità non funziona». «Mi spiace dover contraddire chi pensa il contrario», prosegue Oselladore, «ma a piazzale Roma, Rialto, Lido i lavoratori in prima linea rischiano di essere oggetto di aggressioni. Le offese rivolte al personale Actv nei pontili ed a bordo dei battelli non si contano più. I preposti al comando continuano a manifestare estreme situazioni di pericolo e chiedono alla stazione radio di inviare nei pontili gli agenti della forza pubblica e nel contempo di tamponare la situazione con unità in corse bis. Alcuni piloti hanno anche avvisato che in caso di pericolo, non approderanno più a Rialto linea 2, ma effettueranno fermata straordinaria a Rialto linea 1. Tutto questo accade nelle ore di maggior afflusso nelle rispettive direttrici». Actv-Avm hanno aumentato il numero del personale ai pontili, ma non basta a placare gli animi, come non basta l’aver inserito corse bis tra Rialto e Piazzale Roma.
«C’è un grande, caotico dispendio di uomini e mezzi», conclude Oselladore, «perché non iniziare rimettendo i battelli ogni 10 minuti, su linea 1 e 2, invece dei 12 che si sono mangiati una corsa l’ora? Quanto costa alla collettività quest’operazione? Eppoi già viene mal sopportato la differenza del prezzo dei biglietti tra veneziani e turisti, se aggiungiamo anche la forte discriminazione per accedere ai mezzi pubblici, non potremmo nasconderci di fronte alle critiche che ci pioveranno addosso». La proposta del personale? Prima i mezzi pubblici, poi tutti gli altri. «Stabilire la centralità di tutto è quella di considerare il servizio pubblico di trasporto essenziale e prioritario. Come è previsto in tutte le città in Europa».

«“Serve un monitoraggio sugli effetti dei lavori alle bocche”. Un no deciso allo scavo di nuovi canali come il Tresse per le grandi navi». La Nuova Venezia, 21 giugno 2016 (m.p.r.)

I lavori del Mose hanno trasformato la laguna e cambiato le correnti. Aumentando la velocità dell’acqua e l’erosione, a volte modificando la direzione della marea. Uno stravolgimento che da tempo pescatori ed esperti segnalano inascoltati. Ora reso ufficiale da una delle maggiori autorità idrauliche del mondo scientifico. Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’Università di Padova, ha illustrato ieri sera a San Leonardo il risultato dei suoi studi. Lanciando l’allarme alle autorità che i occupano di acque e laguna con una rivelazione clamorosa.

«Siamo in possesso di dati», ha detto alla platea riunita per il convegno della Municipalità sullo scavo dei canali in laguna, «che dimostrano le modifiche apportate dai lavori del Mose alle bocche di porto. Ritardi di fase, ampiezza di marea, fenomeni eccezionali come le acque alte di questi giorni. L’elaborazione di questi dati ci fornisce una spiegazione scientifica a fenomeni segnalati da pescatori e frequentatori della laguna. Purtroppo non controllati e mai monitorati. Almeno si sarebbero potuti prendere provvedimenti per provare a rimediare». Tra i fenomeni osservati e adesso scientificamente testati, ha detto D’Alpaos, «il cambio di direzione della corrente in alcuni rii interni della città; l’aumento della velocità dell’acqua in entrata e in uscita; le correnti sotto il ponte translagunare, da sempre zona di spartiacque e dunque di acque ferme».
«Non si è fatto il monitoraggio, e gli unici studi portati a termine dal concessionario dello Stato», ha accusato D’Alpaos, sono quelli che riguardano la biologia. Ma è un errore, perché prima viene l’idraulica e l’idrodinamica. Così si possono spiegare i nuovi fenomeni biologici».
Pubblico numeroso e attento, quello riunito ieri sera a San Leonardo. Il presidente della Municipalità Andrea Martini ha deciso di convocare gli esperti per dare una risposta scientifica a chi – come il presidente di Confindustria Zoppas – chiede di accelerare lo scavo del canale Tresse in nome del rilancio della crocieristica. «La portualità e i canali navigabili non sempre sono compatibili con la salvaguardia della laguna», ha detto D’Alpaos. Che ha ribadito il suo «no» allo scavo di nuovi grandi canali. «Gli effetti locali vanno monitorati e fermati», ha detto l’ingegnere, «altrimenti faremo una replica esatta del canale dei Petroli. Nel 1979 con il professor Ghetti avevamo lanciato l’allarme sugli effetti di quell’autostrada in laguna. Nessuno ci ha ascoltato, e gli effetti li abbiamo visti, soprattutto sul fronte dell’erosione. Adesso siamo daccapo. Scavando un nuovo canale si distrugge la laguna. Meglio sarebbe stato fare arrivare in fondo le navi, scavare un bacino di evoluzione e poi far passare le navi per il già esistente canale Vittorio Emanuele».
Il Porto sostiene che D’Alpaos, qualche anno fa, aveva dato il via libera al Contorta. «Non è vero», in uno studio avevo detto che non ci sarebbero stati effetti generali sulle maree. Ma a livello locale sì, l’erosione aumenta». Per rendere concreto il concetto, il professore ha proiettato simulazioni su cosa succede in laguna al passaggio di una grande nave da 100 mila tonnellate. Spostamenti d’acqua, erosione, sedimenti che se ne vanno dalla laguna al mare. E difese che diminuiscono. «Bisogna fare scelte che non compromettano ancora di più l’equilibrio della laguna», ha concluso D’Alpaos. «Offriamo questo contributo scientifico», ha detto il presidente Martini, «alle autorità che devono decidere sui futuri scenari. Occorre aprire un dibattito sulle conseguenze che gli interventi in laguna possono avere sull’ecosistema»
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