I neobarbari al lavoro. Lotta dura per un maggiore sfruttamento della città da parte del complesso turistico-immobiliare, leader il sindaco in carica. la Nuova Venezia, 4 giugno 2017
Blocco di nuovi alberghi e bed & breakfast nella città storica con lo stop ai cambi di destinazione d'uso. Ma, caso per caso, a discrezione del Comune e con un'ampia gamma di deroghe che potranno consentire il via libera anche per "monetizzare" i permessi di costruire, a vantaggio delle casse comunali. A leggerla bene, la delibera del Comune appena licenziata e che martedì approderà in Commissione consiliare per essere discussa prima del voto in Consiglio comunale, appare molto meno "severa" di come è stata presentata anche dall'assessore all'Urbanistica Massimiliano De Martin e lascia a Ca' Farsetti un'ampia discrezionalità per dare il via libera a nuovi interventi di carattere alberghiero in città.
Annunciato il blocco dei cambi di destinazione d'uso che hanno cambiato il volto della città di Venezia. Articoli di Leonard Berberi, Alberto Vitucci, Francesco Bottazzo. Corriere della Sera, la Nuova Venezia, Corriere Veneto, 2 e 3 Giugno 2017 (m.p.r.)
Corriere della Sera
VENEZIA
LA GUERRA DEI POSTI LETTO
di Leonard Berberi
Un passaggio della proposta di delibera dice già tutto. «Disposizioni per tutelare la città antica di Venezia dalla pressione turistica, dal proliferare incontrollato di attività ricettive e dalla perdita d’identità del patrimonio edilizio storico». Perché di questo passo, con 55 mila residenti (in calo rilevazione dopo rilevazione) e oltre 47 mila posti letto a disposizione (in crescita), tra poco finirà per esserci un materasso destinato ai visitatori per ogni iscritto all’anagrafe nel cuore del capoluogo veneto.
La giunta lagunare guidata da Luigi Brugnaro prende di mira il capitolo ospitalità e propone di bloccare sia la possibilità di trasformare gli immobili del centro in strutture ricettive, sia le richieste di ampliamento di quelle esistenti. Niente più nuovi hotel e, soprattutto, bed & breakfast. «Non ci saranno più cambi di destinazione d’uso degli stabili», spiegano dal Municipio e sottolineano come in realtà nel mirino finisca di più la micro-ospitalità come Airbnb che al 1° giugno contava 5.923 tra appartamenti e stanze disponibili sulla piattaforma.
Ogni nuova richiesta di apertura o eventuali modifiche saranno quindi valutate dal consiglio comunale. «E non si potrà fare che si propone di trasformare un appartamento in b&b perché o lo si fa per tutto lo stabile o niente». La delibera non ha effetto retroattivo ed esclude le isole, compresa la Giudecca. La proposta conta sette pagine e la «prima strategia a breve termine» si legge, ed è una citazione di un documento illustrato dal primo cittadino il 15 giugno 2016 - «è quella di contenere il fenomeno della progressiva occupazione del patrimonio residenziale cittadino da parte di attività ricettive alberghiere ed extra-alberghiere».
«Ora le attività del centro dovranno soggiacere a una politica qualitativa di ricezione», spiega Massimiliano De Martin, assessore all’Urbanistica. L’amministrazione ha già calendarizzato i passaggi. L’intenzione sarebbe anche quella di non dare la possibilità a chi esercita in modo abusivo di regolarsi prima che entri in vigore la delibera. Salvo sorprese l’ok del consiglio comunale dovrebbe arrivare a metà giugno, dopo i passaggi tecnici alla Municipalità di Venezia – Murano – Burano e alle commissioni.
Ma non c’è il rischio che lo stop a nuovi esercizi porti all’aumento dei prezzi? «Il rischio c’è, ma a Venezia i posti letto a disposizione non sono pochi», ragionano dal Comune. «E poi i prezzi degli alberghi qui sono già alti».
La delibera dovrebbe anche «accontentare» l’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite che l’estate passata lanciò l’ultimatum: o entro il 1° febbraio l’amministrazione si muove concretamente per risolvere i problemi che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di città storica - dall’assalto dei turisti al moto ondoso, alla riduzione costante di residenti - o il capoluogo veneto sarà cancellato dai siti patrimonio dell’Umanità ed entrerà a far parte di quelli a rischio
Questo è il secondo passo di Brugnaro per contenere i flussi arrivati a livelli critici. A fine aprile la giunta ha approvato la delibera quadro sul turismo che prevede, tra le altre cose, la sperimentazione di sistemi conta-persone per regolare gli ingressi, l’individuazione di nuove aree di ristoro per i visitatori, l’avvio di una campagna di comunicazione sulle giornate di maggior afflusso e l’incremento degli agenti di Polizia locale. Su quest’ultimo punto, in Municipio fanno notare che 70 vigili verranno assunti per un anno, altri cento per i quattro mesi di picco.
la Nuova Venezia,
STOP AI CAMBI D'USO
L'ORA DELLA VERITÀ
di Alberto Vitucci
De Martin: «30 giorni per le osservazioni, vedremo chi è contro». Boato: «Ritirare le licenze illegittime»
Stelline rosse per gli hotel, palline blu per i bed and breakfast, verdi per le locazioni turistiche. La nuova pianta di Venezia brulica di segnalazioni di attività ricettive turistiche. «Non resta molto spazio per le abitazioni», commenta un dirigente dell'Urbanistica. Dopo molti anni il Comune finalmente ha avviato un «censimento» di queste attività. E ci si è accorti che la situazione è al limite. Forse oltre il limite. Ecco la delibera che blocca i cambi d'uso.
Venezia. Corsa contro il tempo per le deroghe, per evitare «l’obolo» al Comune e di passare attraverso il consiglio comunale. Qualche proprietario che oggi si trova nella condizione urbanistica di poter trasformare il suo immobile in albergo, ma che non ha ancora presentato alcun progetto a Ca’ Farsetti, è già pronto a fare ricorso contro il provvedimento dell’amministrazione che blocca l’apertura di nuovi alberghi, b&b, e l’ampliamento di quelli già esistenti. «Sapevamo di scontentare qualcuno, ma è la città che da tempo chiede un intervento per limitare le trasformazioni e i cambi d’uso», spiega l’assessore all’Urbanistica Massimiliano De Martin.
Un blocco totale - che segue quello già passato in consiglio comunale un mese fa su pizze al taglio, kebab e take-away - anche se saranno possibili deroghe, sulla base di criteri molto restrittivi, autorizzate dalla giunta e dal Consiglio e dopo il pagamento del beneficio pubblico e dello standard di parcheggio, oggi non previsto. I numeri degli arrivi e delle presenze turistiche sono già alti. Oltre 10 milioni e mezzo in centro storico nel 2016, con una permanenza media di 2,26 notti, più di tre volte dei turisti che si fermano in terraferma.
Ma è chiaro che l’incentivo alla residenzialità e il blocco delle trasformazioni dei palazzi in alberghi è fino a questo momento il provvedimento che fa più rumore. E non a caso la giunta vuole ridurre al minimo il tempo tra l’annuncio della variante (l’adozione c’è stata giovedì) e l’approvazione da parte del consiglio comunale per evitare la corsa a protocollare nuove istanze. Martedì è previsto il primo passaggio in commissione con l’auspicio dell’assessore di trovare il consenso di tutti. «Il nuovo provvedimento consolida e non blocca tutte le operazioni che sono state portate a termine in questi anni e che invece andavano fermate subito, votando la Mozione che abbiamo presentato il 2 novembre 2015 e che la maggioranza ha bocciato», dice però il pd Andrea Ferrazzi.
la Nuova Venezia, 3 giugno
POSTI LETTO(47.229) QUASI COME I RESIDENTI
di Alberto Vitucci
Le camere censite nella città storica sono 25.400. San Marco e Cannaregio ormai sature
Le palline rosse (hotel e attività ricettive) e quelle blu (extralberghiere) sono dappertutto. Un reticolo fitto fitto, che fa impressione. È l'elaborazione grafica fatta in questi giorni dall'assessorato all'Urbanistica sulle destinazioni d'uso degli edifici della città storica. Un modo per quantificare le attività a uso alberghiero ed extralberghiero, i bed and breakfast, gli appartamenti a locazione turistica. «Lavoro preliminare alla delibera, necessario per avere un quadro definito», dice il dirigente dell'Urbanistica Vincenzo De Nitto.Oggi le camere censite - e denunciate - nella città storica sono 25.400. I posti letto in totale 47.229. Una cifra enorme, e forse nemmeno definitiva, perché molte attività ancora sfuggono al controllo del Comune e del fisco.47.229. Quasi il numero degli abitanti di Venezia che sono oggi ridotti a 54 mila. Un numero, quello dei posti letto turistici, che è andato aumentando negli ultimi anni, con particolare incremento negli anni del Giubileo - dall'anno Duemila - e poi in anni recentissimi.
Tendenza di mercato che ha permesso nelle maglie di una normativa piuttosto permissiva, di trasformare case in alloggi turistici, palazzi in grand hotel. La linea rossa e blu è intensa nella «pancia» della città, tutta l'area intorno a San Marco. Stelle rosse - alberghi di pregio - sul Canal Grande a Rialto e verso Ca' D'Oro e San Marcuola, intorno a San Marco, densità notevole soprattutto per gli extralberghieri anche a Cannaregio. Ancora esente dall'occupazione turistica il sestiere di Castello, dove sono pochissimi i grandi alberghi, meno che a Cannaregio, San Marco e Dorsoduro-San Polo gli appartamenti destinati ad attività turistica. Più rada la densità delle strutture turistiche alla Giudecca e al Lido. Alla Giudecca gli alberghi si contano sulle dita di una mano, quasi inesistenti gli affitti turistici. Dunque, dal punto di vista dei numeri, ogni giorno in città ci sono quasi 50 mila abitanti in più. Il numero dei «residenti» raddoppia, anche se non si tratta di cittadini residenti ma di turisti. Il loro numero è in continuo aumento, e adesso la «mappa» elaborato dall'assessorato all'Urbanistica consente di avere una percezione esatta - ma anche visiva - dell'occupazione della città. «Fa impressione perché lo spazio libero rimasto è davvero poco», commenta amaro un dirigente del Comune. Sono un centinaio i palazzi di pregio diventati hotel negli ultimi anni.
Approvata la variante urbanistica che "congela" le trasformazioni di palazzi in hotel e appartamenti in bed and breakfast
A rischio di scomparsa un ecosistema unico al mondo, prodotto da millenni di lavorìo assiduo della natura, l'ultimo dei quali dedicato al saggio governo delle trasformazioni compatibili con la sua conservazione. Se ne discute ma la sua difesa era stata affidata ai suoi distruttori più recenti. la Nuova Venezia, 1 giugno 2017, con postilla
«Interessa ancora a qualcuno il riequilibrio della laguna?» Lorenzo Bonometto, naturalista ed esponente di spicco della Società di Scienze Naturali, se lo chiede da anni. «Nessuno mi ha mai risposto», dice sconsolato, «si parla di grandi opere in laguna, di navi e di nuovi canali. Di erosione e riequilibrio mai». Ieri pomeriggio lo ha spiegato in sala San Leonardo, nell'ambito di un convegno promosso dalla Municipalità di Venezia alla presenza di molti esperti di temi lagunari. E per la prima volta anche del presidente del Provveditorato alle Opere pubbliche (ex Magistrato alle Acque Roberto Linetti. «Non era mai succeso», ha detto con soddisfazione il moderatore del dibattito Stefano Boato, «che un presidente del Magistrato alle Acque venisse ad ascoltarci. Ci sono fenomeni che stanno mettendo a rischio l'antico equilibrio delle lagune e che il nuovo Piano Morfologico non prevede».
Non bastava l'escavo e l'approfondimento continuo dei canali progettati e realizzati con logiche autostradali; non bastava la continua riduzione del bacino lagunare; non bastava il moto ondoso provocato da grandi navi, vaporetti, taxi acquei, motori fuoribordo piccoli, grandi e grandissimi. Non bastava tutto ciò a tramutare la Laguna, da specchio d'acqua dal profilo modificato solo dagli effetti lenti, graduali e ripetitivi delle maree in un luogo turbinoso del quale stanno velocemente scomparendo vite vegetali e animali millenarie. Bisognava anche affidare la progettazione del "piano morfologico" della Laguna allo stesso consorzio di palazzinari, pluricriminale artefice del MoSE e delle sue opere. (e.s.)
«Venezia non è dei veneziani, è del mondo» Lo ricordi l'Unesco, che dovrà decidere se lasciare i veneziani della città insulare e della Terraferma arbitri unici del destino della città. È questione di grande rilievo, ma l'arbitro invocato ha il potere di rappresentare il mondo?La Nuova Venezia, 23 Maggio 2017
Si sta avvicinando la data (sarà tra il 2 e il 12 luglio) in cui un’Assemblea generale dell’Unesco dovrà decidere se i propositi del governo italiano e delle amministrazioni locali riguardo al futuro di Venezia sono tali da garantire un’accettabile tutela dei valori storici, culturali e ambientali di Venezia e laguna. Nel frattempo si avvicina la data di un referendum (il quinto) sulla separazione amministrativa dei comuni di Venezia e di Mestre. Le due scadenze ripropongono un problema serio che tocca la gestione dei beni privati o pubblici che possono avere un interesse comune: fino a che punto gli abitanti di un luogo hanno il diritto di farne l’uso che vogliono? Fino a che punto il resto della nazione (o dell’intero pianeta) hanno il diritto di interferire con la volontà e gli interessi di chi in un luogo abita e lavora?
«Appuntamento il 18 giugno, quando i NoGrandiNavi allestiranno 60 seggi, ambientalisti contro lo scavo del Vittorio Emanuele: “Impatto devastante”». La Nuova Venezia, 21 maggio 2017 (m.p.r.)
«Sarà un mese di “campagna elettorale” serrata: saremo in tutti i mercati, i campi, le feste, le sagre perché non solo il 18 giugno vogliamo vincere, ma vogliamo che la partecipazione sia altissima, per non dare a alibi a nessuno». A parlare è Tommaso Cacciari, portavoce del Comitato NoGrandiNavi, nell’annunciare - nel corso di un’assemblea pubblica in sala San Leonardo - l’appuntamento con il referendum fai-da-te che gli ambientalisti hanno organizzato per domenica 18 giugno.
L'Università IUAV di Venezia e il MIT di Boston d'accordo con il condono permanente della legge Falanga e per la sanatoria dell'abusivismo del MoSE.«Accordo tra università di Architettura e Mit di Boston per riconvertire la distesa di cemento a S. Maria del Mare a Malamocco». La Nuova Venezia, 19 maggio 2017
Venezia. Una distesa di cemento sulla spiaggia di Santa Maria del Mare per costruire gli enormi cassoni del Mose. E un villaggio per gli operai che ci hanno lavorato. Opere impattanti, che dovevano essere smantellate. «È tutto provvisorio, alla fine dei lavori sarà tolto», prometteva allora il padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. Al contrario, la grande gettata in cemento è sempre lì – costa troppo smantellarla – e il villaggio diventare qualche altra cosa. Qualcuno già pensava a un possibile villaggio turistico, il primo nell’isola. Dieci anni dopo la costruzione e le polemiche, il commissario del Consorzio Venezia Nuova che si occupa della parte tecnica, l’ingegnere torinese Francesco Ossola, ha firmato una convenzione della durata di tre anni con l’Università Iuav per il riuso di quei luoghi.
Un autorevole e rispettato amministratore, iscritto al partito di Renzi e Franceschini (il partito preferito nelle parole e nei fatti, dal sindaco Brugnaro), sembra decidere che in un partito così lui non ci sta. La città guadagna una speranza. La Nuova Venezia, 18 maggio 2017
«Se le cose in città vanno avanti così, non rinnoverò la tessera Pd». L’annuncio, accompagnato da una lunga nota polemica e accorata, è del presidente della Municipalità di Venezia Giovanni Andrea Martini e il “cuore” del disagio è per lui la vicenda Grandi Navi a cominciare «dall’accordo annunciato, in occasione della visita del ministro Franceschini, tra Governo, Comune e Autorità portuale per la soluzione del Canale Vittorio Emanuele come scelta risolutiva per il problema delle grandi navi». Ricorda tra l’altro Martini: «Il programma con il quale ci siamo presentati alle elezioni per il Consiglio di municipalità nel 2015 riportava “no agli scavi e fuori le grandi navi dalla laguna”. Lo stesso programma con cui è stata eletta la nostra segretaria comunale nel 2016 parla chiaramente di “niente nuovi scavi in laguna”. Siamo la Municipalità di Venezia, un’istituzione che dal partito deve essere riconosciuta e ascoltata».
La signora Lavazza, che si è presentata come “donna, mecenate e imprenditrice” (equindi in un certo senso simile a Peggy!), ha tenuto a ribadire che la sua ditta non è solo uno sponsor della mostra, che hadefinito “intima ed elegante”, ma un “globalpartner “ della fondazione Guggenheim. Secondo il modello introdotto da Tom Krens, durante la sua ventennale econtroversa direzione che ha trasformato il museo da tempio dell’arte moderna amarchio da sfruttare in franchising in ogni
parte del mondo, il global partner non eroga contributi occasionali per un singolo evento, ma si impegna a una collaborazione a lungo termine, ottenendo in cambio rilevanti benefici in termini di visibilità e di immagine, nonché di uso degli spazi fisici di proprietà della fondazione.
Fra i partners si annoverano grandi corporations come Delta airlines, BMW, Armani e Deutsche Bank. Quando, dopo quindici anni di collaborazione, nel 2014 Deutsche Bank ha disdetto l’accordo, al suo posto è arrivata Lavazza, impegnata sul fronte internazionale in una aggressiva campagna di penetrazione nel mercato nordamericano, e su quello nazionale nel peggioramento delle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti. Lavazza non ha mai reso noto l’entità della donazione/investimento, ma sembra difficile possa trattarsi di cifre molto diverse da quelle erogate da UBS, la banca svizzera altro attuale global partner, e che consistono in quaranta milioni di dollari. D’altronde, come ha detto Francesca Lavazza, che nel 2016 è stata anche “eletta” membro del board dei trustees della fondazione,” se l’Italia è la culla della cultura, Lavazza non può non avere nel proprio DNA una innata sensibilità per l’arte”. E forse è per dare prova di questa sensibilità che nei suoi manifesti pubblicitari deforma quadri come il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo o usa l’immagine dell’edificio di Frank Lloyd Wright come tazzina da caffè e coffee station.
Se la fondazione Guggenheim e la Lavazza s.p.a sono due entità private, due grandi corporations che uniscono le loro forze per aumentare i rispettivi giri d’affari e sono quindi libere di sottoscrivere gli accordi che vogliono, diversa invece è, o dovrebbe essere, la situazione quando uno dei contraenti è una pubblica istituzione, come la fondazione Musei civici di Venezia con la quale Lavazza ha in corso una collaborazione.
L’accordo, sottoscritto nel settembre del 2015, prevede il coinvolgimento dell’azienda nella promozione “sia dei grandi eventi – dal carnevale alle feste del Redentore – sia, più in generale, dell’immagine della città lagunare, che con i suoi straordinari tesori artistici e le sue incomparabili bellezze architettoniche rappresenta un patrimonio unico al mondo”. “Vogliamo contribuire a promuovere un territorio culturale ricchissimo”, aveva dichiarato all’epoca, Francesca Lavazza,
La fondazione Musei civici, oltre a ricevere un contributo destinato ad attività di restauro e conservazione delle collezioni, potrà “associare l’attività museale ad un brand di rilevanza internazionale valorizzando le collezioni e le attività scientifiche” (!), mentre per Lavazza l’accordo sottolinea ulteriormente la volontà di investire in una città “simbolo della cultura e dell’arte italiana nel mondo”. Come immediato ritorno dell’investimento l’azienda aveva ottenuto la possibilità di utilizzare l’area dell’Arsenale nord per attività ed esposizioni temporanee. Ed è alla Tesa 113 dell’Arsenale che, nel 2015, si è svolto “il primo degli appuntamenti che Lavazza offre alla città”, una mostra di “straordinarie fotografie accomunate dal filo conduttore del caffè”.
A buon titolo, quindi, Francesca Lavazza ha potuto concludere il suo intervento alla Guggenheim dicendo «per noi la location di Venezia è molto importante, qui passano milioni di persone alle quali possiamo far conoscere il nostro caffè … grazie a questa mostra, possiamo davvero essere come brand e ambassador della cultura italiana, ma anche offrire il nostro caffè a tutti i visitatori del museo».
«Il progetto Brugnaro-Tacopina è lo stesso che all’epoca non si fece fare all' allora presidente del Venezia, per la netta opposizione del Consiglio comunale all’idea di un centro commerciale privato ». La Nuova Venezia, 17 marzo 2017 (m.p.r.)
Venezia. Che sia la volta buona? Per il sindaco Brugnaro vendere ai privati i terreni del Quadrante di Tessera è l’unica opzione sul tavolo per fare quello stadio di cui si parla da oltre vent’anni: impianto e centro commerciale “Made by Tacopina” e Venezia Calcio, in cambio di soldi per ripianare i debiti dell’immobiliare del Casinò proprietaria dei terreni. Operazione irricevibile per l’opposizione Pd: lo vieterebbe il Piano di assetto territoriale approvato dalla giunta Orsoni. I progetti del Comune. «Sto lavorando con il presidente Tacopina per vendere le aree del quadrante di Tessera dell’immobiliare del Casinò, piena di debiti: i privati fanno stadio, centro commerciale, parcheggi. Non lo facciamo noi, lo fanno loro. Si dice da 20 anni e sto cercando di farlo», ha detto giovedì il sindaco Brugnaro in diretta Facebook, rispondendo alle domande dei redattori della pagina satirica de “Lo Schitto”.
Un altro passo per la trasformazione della città in un mosaico di recinti. All’asta per essere "valorizzati " le isole di Sant’Andrea e Vignole, e il vasto complesso dell'Idroscalo. Articoli di Francesco Bottazzo e Alberto Vitucci, Corriere del Veneto e La Nuova Venezia, 10 aprile 2017 (m.p.r.)
Corriere del Veneto
«PROGETTO VENEZIA»
di Francesco Bottazzo
Milano. Fino agli anni Novanta era il luogo dove gli operatori finanziari ci facevano le aste a chiamata, quella Borsa «gridata » che è ancora oggi nell’immaginario collettivo. E non è un caso se in questa stessa sala il governo ha «messo all’asta» la caserma Miraglia delle Vignole, un’isola della laguna veneziana: «E’ un luogo significativo e abbiamo bisogno di trovare investitori», ha spiegato il ministro della Difesa Roberta Pinotti. In realtà l’obiettivo è razionalizzare, ridurre la spesa e valorizzare tutta l’isola. Perché ancor oggi in alcuni edifici ci sono i Lagunari che verrebbero spostati alla caserma Bafile di Mira dove saranno concentrate tutte le funzioni, anche quelle della caserma Matter di Mestre.
«Il sindaco ha accettato il piano a patto che ci rimangano vicini», sorride il ministro. «I lagunari sono i nostri marines e hanno sulla loro divisa il leone di San Marco. Vorrei che con questo accordo le Forze armate si sentissero a casa a Venezia perché per noi la sicurezza è di straordinaria importanza », incalza Luigi Brugnaro. Gli schermi di Palazzo Mezzanotte trasmettono le immagini dell’isola, dell’idroscalo e di quel canale attorno al quale sono stati costruiti tutti gli edifici, alloggi, officine, padiglioni e cavana. Per capire quello che è stato denominato «Progetto Venezia» bastano pochi numeri e un po’ di storia: 197 mila metri quadrati sulla laguna, trenta costruzioni e un canale navigabile di 800 metri di lunghezza e trenta di larghezza (l’idroscalo) da una parte; centro di addestramento militare fin dal 1884, base di partenza degli idrovolanti e di Gabriele D’Annunzio per molte delle sue imprese dall’altra.
Resort e marina la nuova vita dell’isola (ma senza nuovi edifici, i volumi dovranno rimanere quelli di oggi) dopo la gara per la concessione di 50 anni che bandirà Difesa Servizi, la società del ministero che si farà assistere nel ruolo di advisor della Cassa Depositi e prestiti. «Ma sarà un percorso partecipato con una consultazione pubblica per raccogliere idee», precisa Fausto Recchia, amministratore delegato di Difesa Servizi spa. Poi al suono della campanella (l’avvio del bando previsto a giugno) bocce ferme e spazio agli investitori che saranno chiamati a pensare a un’operazione che sfiorerà i duecento milioni di euro. «Venezia può contare su 30 milioni di turisti all’anno, è il posto più sicuro al mondo, ed è molto collegato - riflette Aldo Mazzucco, amministratore delegato della Cdp - Su questi tre pilastri si svilupperà la ricerca di investitori, presumibilmente grandi società di resort che hanno intenzione di puntare su attività convegnistiche e aziende internazionali».
Anche grazie alla posizione privilegiata a dieci minuti dal canale della Giudecca e da una quindicina da Murano. La parola d’ordine e valorizzare: restituire alla fruibilità collettiva luoghi fino a ieri nascosti e chiusi perché occupati dai militari, e far risparmiare il ministero che con l’operazione Venezia riesce a mettere da parte 2,6 milioni di euro all’anno anche grazie alla «chiusura» della caserma Matter di Mestre (con il conseguente trasferimento delle attività a Mira) che verrà modernizzata e probabilmente utilizzata per uffici della Pubblica amministrazione (quali l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza) e case. Il protocollo firmato ieri dal sindaco, dai ministri (Difesa, Infrastrutture e Cultura) e dal Demanio è tra i principali esempi di recupero e «restituzione » al territorio e alle comunità locali di un’area militare di interesse storico-culturale. Il tavolo tecnico costituito subito dopo (e coordinato dal Comune) dovrà individuare le linee guida e le procedure più semplici per eventuali varianti urbanistiche e vigilare sul protocollo.
Gongola il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro quando il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini parla di «collaborazioni pubblico-private, riqualificazione dell’esistente e di tutela del patrimonio storico e del paesaggio senza per questo voler dire no a tutto: anche la valorizzazione è una forma di tutela» sottolinea. È la linea su cui si sta muovendo il ministero anche sull’isola di Lazzaretto Vecchio («Stiamo pensando a come intervenire e rigenerare», spiega Franceschini) all’insegna di quello quello che rischia di sembrare uno slogan ma su cui scommette il collega delle Infrastrutture Graziano Delrio. «Venezia deve essere una città viva e abitata, la laguna deve vivere economicamente non solo di turisti». Oggi in mostra c’è la caserma Miraglia delle Vignole, ieri c’era l’isola d Poveglia (su cui l’allora solo imprenditore, e non ancora primo cittadino Luigi Brugnaro aveva previsto un centro per curare disturbi alimentari e un investimento di 40 milioni prima di naufragare sotto le proteste delle associazioni e il dietrofront del Demanio), domani tra gli altri anche gli isolotti (in portafoglio alla Cdp) di Sant’Angelo delle polveri e San Giacomo in Paludo. «Il tema vero del futuro sarà la velocità nel raggiungere gli obiettivi prefissati. La politica, se la vogliamo riformare, deve cambiare ritmo: deve essere meno di parte, più concreta e coraggiosa» sottolinea il sindaco.
La Nuova Venezia
“PROGGETTO VENEZIA”, ALBERGHI NELLE ISOLE
di Alberto Vitucci
«La cosiddetta valorizzazione dei beni demaniali si traduce spesso in una privatizzazione. Con una perdita del bene comune per la collettività».
Un albergo di lusso all’Idroscalo. Resort e casette per turisti nel cuore della laguna, nelle isole di Sant’Andrea e delle Vignole. È questo il destino imminente dei beni demaniali in laguna dopo la firma, avvenuta ieri a Milano del «Progetto Venezia», che riguarda la caserma Miraglia e il complesso dell’isola delle Vignole e di Sant’Andrea, per anni sede dei lagunari.
«L’idea di eddyburg: raccontare la vitalità veneziana, quella parte della società che non si è arresa, il bisogno di dinamismo di una popolazione trascurata. Abbiamo accennato solo ad alcune realtà associative veneziane: chiediamo l’aiuto dei lettori per arricchire la nostra lista».
«Possiamo salvare Venezia prima che sia troppo tardi?» si chiedeva il New York Times in agosto 2016. Il declino della città amata da gran parte del mondo sembra inesorabile. Le cronache raccontano di una lenta trasformazione verso un parco divertimenti per turisti, ormai perno dell’economia locale. Un’evoluzione che ha suscitato aspre critiche da parte della stampa internazionale e ha portato in luglio l’UNESCO a dare un ultimatum alla città: o si inverte la tendenza o Venezia rischia di non essere più riconosciuta patrimonio dell’umanità. Questo è solo la continuazione di un processo che Venezia vive da decenni e che ha lentamente portato allo spopolamento e alla decadenza della città. Questa tendenza storica si autoalimenta, a causa del continuo emigrare di giovani e famiglie e dall’aumento dei prezzi di case e beni quotidiani. Il processo continua, ma alcuni dei pochi veneziani rimasti tentano di fermare e di spingere indietro.
Nella società veneziana infatti c’è qualcuno che rema controcorrente. «R-esistiamo» diceva lo striscione dei ventenni di Generazione 90. A settembre hanno manifestato insieme a un migliaio di cittadini per dimostrare che la loro pazienza è al limite. Il corteo è stato la valvola di sfogo di una popolazione nuovamente delusa da istituzioni poco lungimiranti, che non immaginano un futuro per Venezia. Un malessere diffuso inonda la città e cresce di giorno in giorno. I pochi veneziani che sono rimasti non vogliono arrendersi alla logica del profitto da turismo imperante in città. Resistono all’esodo che ha portato il numero dei cittadini da 145 mila nel 1960 a meno di 55 mila nel 2016, mentre assistono a giovani coppie costrette a trasferirsi per potersi permettere di comprare una casa.
La “questione Venezia” è composita: numerosi problemi che devono essere affrontati con approcci diversi. Per questo parte dei veneziani non hanno aspettato una risposta delle istituzioni locali e nazionali, ma si sono attivati personalmente per tentare di riempire quel vuoto lasciato dalle istituzioni e da chi ha la responsabilità di cambiare le cose. Una vitalità alternativa è nata dall’esigenza: associazioni, gruppi, comitati si sono creati spontaneamente per dare dei segnali. I veneziani che hanno deciso di non arrendersi si sono rimboccati le maniche, hanno organizzato i bisogni, hanno steso statuti di associazioni e gruppi per tentare di migliorare la città.
Salvaguardia della laguna e delle sue tradizioni sono gli obiettivi cardine delle associazioni che tentano di proteggere l’unicità di Venezia e della sua conoscenza marinaresca. Così tre ragazzi con la passione per la voga hanno fondato Venice on board, per dare la possibilità di esplorare la città attraverso i canali in barche tipiche. E la più nota delle barche, la gondola, è protetta da El Felze, associazione dei mestieri che contribuiscono alla sua costruzione: dieci abilità artigianali diverse per comporre il simbolo di Venezia dallo scafo alla forcola, dal remo al fregio dorato. Il Caicio fa delle attività culturali svolte galleggiando sull’acqua il suo scopo primario. L’attività culturale veneziana è portata avanti anche dal Forcolaio Matto, giovane artigiano che nel suo negozio in Strada Nuova intaglia forcole e remi, proseguendo il tipico mestiere del remer. Queste e altre associazioni, come Viva voga Veneta e il Nuovo Trionfo si legano per il recupero delle tradizioni marinare, perché siano vissute così come lo erano in origine, promuovendo la conoscenza genuina dell’ambiente insieme ad un turismo più sostenibile.
Le associazioni agricole fanno del rispetto della Laguna e dei suoi prodotti la loro ragione d’essere. La società agricola La maravegia coltiva ortaggi nell’isola di Sant’Erasmo, ispirandosi al principio del “siamo ciò che mangiamo” e consegnando quotidianamente i prodotti ai clienti. Nella piccola isola si possono trovare anche I sapori di Sant’Erasmo dei fratelli Finotello, che coltivano piccoli orti per garantire ai propri concittadini prodotti gustosi e salutari. Le vigne di Sant’Erasmo sono curate dall’associazione Laguna nel bicchiere che dal 1993 si occupa di vini prodotti a Venezia e dintorni, con scopo didattico per gli studenti. L’obiettivo è quello di insegnare il territorio e i suoi prodotti, perché vengano valorizzati e salvaguardati. Attorno a Venezia vi è una produzione a chilometro zero, a dimostrazione che i cittadini si sono impegnati in piccole imprese quotidiane per mantenere la terra fertile e la città viva.
Altra caratteristica della Venezia viva è quella della cultura tradizionale e internazionale. Oltre ai numerosi circoli ARCI sparsi in tutta la città, Venezia ospita l’associazione Awai che tenta di costruire una comunità di artigiani e artisti con centro nel giardino degli Amai. Utilizzando materiali e tecniche diverse, promuovono espressioni innovative e tipiche, con attenzione alle proposte culturali in funzione alla città. I due fondatori di DoppioFondo hanno sfidato il modello di economia dominante e hanno fondato un laboratorio di stampa d’arte nel cuore di città, pensandolo come luogo di scambio e di incontro di persone e culture come lo era tradizionalmente Venezia. Il cambiamento della città è raccontato e denunciato dai fotografi di Awakening, affiggendo gigantografie delle situazioni più critiche della Venezia in trasformazione. La fotografia è anche il modo di esprimersi degli artisti di Isolab, centro di ricerca e laboratorio con obiettivo di diffondere progetti di autori emergenti. Venezia quindi gode di una vitalità culturale diffusa, merito anche del fascino della città che da sempre ispira artigiani e artisti.
A Venezia diversi gruppi si oppongono al declino della città: associazioni e gruppi chiedono un’inversione di marcia alle amministrazioni e una presa di coscienza dell’opinione pubblica. Così il sito Venessia.com utilizza la goliardia per commentare le trasformazioni e paragonarle al passato, tentando di delineare e preservare il cittadino “100% venessiano”. Approccio di protesta e proposta lo hanno anche i ventenni di Generazione ’90 che si battono per non essere l’ultima generazione che ha avuto la possibilità di crescere giocando nei campi di Venezia. Lo stesso obiettivo è perseguito dai Giovani Veneziani, associazione fondata nel 1994 come reazione all’immobilismo delle amministrazioni. La piattaforma civica 25 Aprile si impegna in quotidiana informazione attraverso il gruppo Facebook e iniziative periodiche locali per vigilare sull’operato delle istituzioni locali. Masegni e nizioleti, nata con l’obiettivo specifico di mantenere i nomi delle calli scritte sui tradizionali “lenzuolini” in veneziano e non in italiano, ora si batte per la cura e il rispetto del patrimonio culturale. Altrettanto specifico scopo ha l’associazione Mamme con le rampe: rendere Venezia più accessibile. Grande rilevanza è stata ottenuta da Poveglia per tutti, che si è opposta alla vendita da parte del demanio dell’isola, partecipando all’asta con un’offerta ottenuta grazie a quote versate dalla popolazione cittadina e internazionale.
L’esigenza di protestare contro l’operato delle amministrazioni nel tempo si è espressa in modo più incisivo con il comitato No grandi navi. Questo tenta di fermare l’invasione delle navi da crociera che attraversano la laguna, provocando danni ai fondali e producendo inquinamento. Il comitato No MoSe ha lottato contro la grande opera raggiungendo notevole eco, riuscendo a portare la popolazione in protesta per le strade e interessando la stampa nazionale. Questi due comitati rappresentano la reazione dei cittadini a due importanti cause del malessere di Venezia e allo stesso tempo testimoniano la sordità delle amministrazioni alle volontà popolari.
Venezia si può vantare di una serie di associazioni e gruppi, sintomo di una società interessata e interessante, non disposta ad assistere inerte al declino della città. Vi è una vitalità di base, che si rivolge alle istituzioni e a cui queste devono sempre guardare e riferire. I campi di intervento sono i più diversi, ma gli obiettivi si intersecano e tendono tutti verso la riqualificazione della società veneziana e la salvaguardia della tradizione. Nonostante questo, non sempre i gruppi hanno collaborato in modo organico e ragionato, minimizzando il loro impatto. Una collaborazione prolungata di queste associazioni potrebbe essere di grande utilità alla città, per mantenerla viva e unita. Conoscere le associazioni e i problemi che affrontano è il primo passo per incoraggiare un processo di condivisione per organizzare eventi che potrebbero risollevare l’interesse nazionale e internazionale alla questione Venezia, mostrando la vera faccia della città.
Da questa considerazione nasce l’idea di eddyburg: raccontare la vitalità veneziana, la società che non si è arresa, il bisogno di dinamismo di una popolazione trascurata. Abbiamo accennato solo ad alcune realtà associative veneziane: chiediamo l’aiuto dei lettori per arricchire la nostra lista. Vogliamo raccogliere ogni esperienza utile allo sviluppo positivo della città: mandateci le vostre segnalazioni di associazioni ed eventi per rendere questa rubrica completa. Vogliamo raccontare la Venezia decisa a invertire la rotta: Venezia è viva.
«Il lavoro di Renzo Piano è iniziato 12 mesi fa, coadiuvato da Pantaleo e da tre giovani architetti, Anna Merci, Laura Mazzei e Nicola Di Croce. La filosofia del rammendo ha guidato la scelta degli interventi. Il metodo della partecipazione e delle connessioni sociali ha ritmato ogni passaggio». Corriere del Veneto, 15 gennaio 2017
Un hub civico e culturale nell’ex-scuola Edison a Marghera. E un giardino del fitorimedio, un lungo parco urbano da nord a sud: a un anno di distanza dalla decisione di Renzo Piano di portare a Marghera il G124, il suo team senatoriale sulle periferie, ora i progetti sono pronti. Il titolo è un programma: «Marghera terreno fertile. Dalle buone pratiche alle politiche».
«Una cosa è alla base di tutto, quasi un architrave», sottolinea Raul Pantaleo, il tutor locale dell’intervento, a sua volta membro dei TAMassociati, i curatori del Padiglione Italia nella Biennale appena chiusa. Quale? «Il regolamento sui beni comuni», messo a punto da Labsus, il laboratorio nazionale sulla sussidiarietà. Il gruppo di Renzo Piano chiede dunque al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, di adottare quel regolamento, che riconosce ai gruppi di vicinato, alle associazioni e ai singoli cittadini la possibilità di prendersi cura della propria città.
Sono tutte proposte che i progettisti del G124 consegneranno in dettaglio all’amministrazione di Venezia a fine mese, in un incontro pubblico all’ex-scuola Edison.
Il lavoro di Renzo Piano è iniziato 12 mesi fa, coadiuvato da Pantaleo e da tre giovani architetti, Anna Merci, Laura Mazzei e Nicola Di Croce. La filosofia del rammendo ha guidato la scelta degli interventi. Il metodo della partecipazione e delle connessioni sociali ha ritmato ogni passaggio: 7 esplorazioni a piedi, di cui tre con lo stesso senatore, hanno battuto palmo a palmo Marghera, dal Porto all’area agricola verso l’entroterra, dalla stazione a Forte Tron. Hanno incontrato decine di associazioni: «Qui c’è un tessuto culturale e sociale, spesso informale, di grande vitalità», sottolineano gli architetti. Ne è nata una rete: Orma, Officina Riuso Marghera, «non è una semplice cordata di associazioni - spiega Anna Merci - Ma un organismo civico, laico, innovativo che punta ad avere capacità contrattuale e creatività nelle pratiche». E infine hanno individuato una sezione di territorio dove intervenire, nella Marghera Sud, stretta tra l’ex-scuola Edison fino alla piccola Chiesa della Rana sperduta tra le fabbriche. «Ogni tappa è stata discussa, valutata, scelta con gli abitanti», continua Merci.
L’ex-scuola, innanzitutto: abbandonata nel 2007, in parte usata da alcuni enti (Protezione Civile, Prefettura, Dormitorio Caritas, la Palestra) e il resto (3650 mq sui 5300 complessivi) vissuto da gruppi come gli straordinari ragazzi del Parkour. E’ su quest’ultima parte che si è concentrato il progetto di messa a norma, recupero e ridisegno degli spazi. Dunque: laboratori artigiani, co-working, auditorium, aule per le attivissime scuole di musica del quartiere, stanze per danza e attività sportive. E all’esterno, l’abbattimento di muri e recinzioni, riconnettendo così il quartiere e dotandolo di una piccola piazza-parco. Un intervento stimato attorno ai 600 mila euro, da trovare magari attingendo al Fondo nazionale per le periferie urbane.
Più giù, a ridosso degli orti urbani, partiranno presto i lavori per il giardino del fitorimedio, in un fazzoletto di terra che si trasformerà in un angolo didattico e ricreativo con piante e siepi scelte per mitigare e assorbire gli inquinanti che qui infestano ovunque i terreni.
Un giardino-gioiello, dentro la città-giardino (così è nata Marghera) studiato con gli esperti dell’Università di Udine, Luca Marchiol e Guido Fellet. Strategica è l’idea, che i progettisti proporranno alla città, di dotarsi di una dorsale ecologica, che la attraverserebbe da nord a sud per quasi 3 km sul fianco ovest, quasi da contraltare all’asse brutale di via Fratelli Marghera.
Un sinuoso «corridoio ecologico» costruito tessendo la miriade di piccoli lotti e interstizi pubblici abbandonati o non utilizzati e mappati in corso d’opera. Un bosco nel cuore della città.
L’idea sarà recepita? Di sicuro, l’intera «strategia orizzontale», come la definisce Pantaleo e cara a Renzo Piano sembra quasi un controcanto rispetto alla città verticale di cui tanto si è ripreso a parlare.
Lo show del sindaco di Venezia: chiacchiere e promesse col naso lungo, sorrisi, allusioni e scambio di doni. Poi si vedrà. L'importante sono i soldi promessi da Roma. Corriere del Veneto, 25 gennaio 2017, con postilla
Dice Italia Nostra con il suo vicepresidente Paolo Lanapoppi: «Nella nostra lettera all’Unesco spieghiamo che nessuno dei 10 punti richiesti dalla Convenzione di Istanbul è stato rispettato. Non capisco come possono collaborare quando una delle richieste principali della commissione di Istanbul era di portare le grandi navi e le petroliere fuori laguna mentre il sindaco ha ribadito il progetto delle crociere in Marittima». In effetti l’interrogativo resta. E’ stato uno dei temi al centro della discussione di ieri pomeriggio su cui però la nota a margine del Comune dedica solo quattro righe.
«Non c’è stata nessuna vittoria, la decisione su Venezia sarà presa a luglio, e sarà il governo a dover dare una risposta, è tutto fumo, il disaccordo resta in primis sullo scavo delle Tresse». Così il portavoce del Gruppo 25 Aprile commenta la stretta di mano di ieri tra la direttrice dell’Unesco Bokova e il sindaco Luigi Brugnaro. «Non si capisce a cosa si riferisca il sindaco dove dice di aver presentato i progressi fatti da Venezia negli ultimi 15 mesi — interviene il capogruppo Pd in consiglio comunale Andrea Ferrazzi- siamo in attesa di progetti concreti».
Sulle stesse note il segretario di Confartigianato Venezia Gianni De Checchi: «Mi fa molto piacere che l’Unesco abbia visto proposte concrete nel documento di Brugnaro, speriamo di vederle anche noi veneziani». Sindaco, assessori e dirigenti hanno cercato di spiegarlo nel dossier presentato mescolando idee, sogni e cose fatte. Perché se ad esempio è stato condiviso che uno dei problemi più evidenti sia la proliferazione di strutture ricettive non alberghiere, dall’altro la soluzione è stata individuata nella modifica della legge regionale «per la cui formulazione il Comune ha da sempre fornito il proprio supporto». In attesa resta tutto com’è. Hanno parlato di sicurezza e della riqualificazione delle parti più degradate o isolate della città. Quello che sindaco e assessori hanno cercato di spiegare ieri è che con la riqualificazione urbanistica e ambientale, la rigenerazione di Porto Marghera, la rivitalizzazione del tessuto socio-economico, la valorizzazione delle periferie, si possa far crescere il centro urbano.
postilla
Il grande battage pubblicitario della gita della troupe del sindaco Brugnaro a Parigi (18 persone) si è conclusa come doveva: con molte pagine di pubblicità per il piccolo trumpista italiano, molte cortesie sulla Senna tra i soggetti titolati, e nessuna decisione nel merito. Qualcuno, in Laguna e dintorni, ha rilevato che Brugnaro e la sua corte non hanno dato una risposta soddisfacente a nessuna delle questioni solleva dall'Unesco.
Ma, a cose fatte, e nell'attesa del responso finale dell'agenzia dell'Onu (che verrà a luglio), una domanda s'affaccia: che cosa (e chi) guadagna o perde Venezia, se l'Unesco cancella la Capitale del Veneto dalla sua lista? E del resto, in che cosa l'inclusione di Venezia in quella lista aumenta davvero la possibilità che Venezia e la sua Laguna ne traggano beneficio e che i suoi attuali saccheggiatori siano ostacolati nel proseguire il saccheggio?
Grazie al meritorio lavoro della sezione Venezia di Italia Nostra l'Unesco ha posto precise domande e stringenti raccomandazioni al Comune e allo Stato: ma se il Comune e lo Stato rispondessero picche (invece di far finta di obbedire continuando a operare peggio di prima) che cosa potrebbe fare l'Unesco? Nessuna regola certa e chiara quell'Agenzia internazionale può proporre, e nessuna sanzione può comminare in caso di infrazioni. Del resto, è noto che l'influenza del governo italiano sull'Unesco è forte, e che l'uomo più potente di quell'organizzazione è ancora Francesco Bandarin, sostenitore, in Laguna, della "corrente di pensiero" favorevole al MoSE.
C'è poco da illudersi, la battaglia per salvare Venezia si vince o si perde nella città, del cui popolo il primo compito è sostituire a Brugnaro e alla sua corte una diversa compagine per il governo della città.
La Municipalità Venezia, Italia Nostra, le associazioni veneziane non si riconoscono con l'operato del sindaco Brugnaro sulla gestione della città e della sua Laguna. La Nuova Venezia, Italia Nostra Venezia, Gruppo 25 Aprile, 23 gennaio 2017 (m.p.r.)
Gruppo 25 Aprile on line
PARIS, BONJOUR! LETTERA E FLASHMOB ALL'UNESCO
Lo striscione da 4 metri lo conoscete: è quello che adornava il tavolo degli oratori venerdì, all’incontro conclusivo di #Veneziamiofuturo. Si è fatto un migliaio di chilometri per arrivare fin qui, al quartier generale dell’UNESCO che domani si appresta a ricevere la visita del Sindaco di Venezia:
I nostri pesciolini da Parigi salutano la mamma Anna Ferrigno ma non sono l’unica sorpresa: l’UNESCO oggi riceverà anche la lettera che qui trascriviamo, in cui viene denunciato il rischio di una violazione della Convenzione di Aarhus se veramente il “pacchetto di misure” annunciato alla stampa verrà presentato dal Sindaco senza alcuna forma di pubblica consultazione, che la Convenzione ratificata con Legge dello Stato nel 2001 ha reso obbligatoria anche in Italia.
Se invece il Sindaco ci va a mani vuote o per “sondare il terreno” vuol dire che il suo viaggio a Parigi potrà essere interpretato come una simpatica visita di cortesia che potrebbe anche avere un senso sempre che non si porti venti persone al seguito, dato che a pagarne il viaggio saremmo noi.
In entrambi i casi, la richiesta dei cittadini è semplice: essere informati sulle misure concrete che il Sindaco intende presentare all’UNESCO, dato che nemmeno il Consiglio comunale riunitosi il 19 gennaio lo è stato e per le “uova pasquali con sorpresina” è ancora presto, siamo solo a gennaio.
Diversamente dalle sue, le nostre proposte sono in rete dal 10 gennaio e sono il frutto di una consultazione pubblica; nella stesura definitiva distribuita all’Ateneo Veneto verranno pertanto depositate oggi all’UNESCO insieme con questa lettera:
Veneziamiofuturo
L'intervento del Vicepresidente di Italia Nostra Venezia sul delicato momento che Venezia sta vivendo con gli annosi problemi: Mose, navi, turismo. La Nuova Venezia, 28 gennaio 2016 (m.p.r.)
L'anno 2016 si conclude con tutti i grandi problemi di Venezia ancora irrisolti, mentre con il passare del tempo le situazioni gravi si cronicizzano. Com'è sempre accaduto a Venezia ciò metterà le generazioni future di fronte a fatti compiuti e irreversibili, con grande soddisfazione dei pochi che dallo stato esistente traggono rendite economiche e politiche. Il Mose è ancora incompleto. Dopo l'esplosione degli scandali, molto facilmente prevedibili e previsti, il carrozzone sussiste e barcolla ma continua a succhiare denaro. Le voci di chi era contrario fin dall'inizio e ora ha avuto platealmente ragione cadono ancora nell'indifferenza del potere; anzi, causano irritazioni aggiuntive.
Difficile pensare che a Venezia, città di millenaria saggezza e civiltà, nei secoli accogliente di persone respinte dagli altri, potesse esprimere un sindaco la cui ideologia, sensibilità, cultura sia simile a quella declamata (ma non ancora praticata) da Donald Trump. Per fortuna che un prete c'è. Il Fatto Quotidiano on line, 20 dicembre 2016
Il sindaco Luigi Brugnaro non poteva scegliere momento meno opportuno per lanciare la sua crociata contro la povertà, o meglio contro la povertà visibile nel centro di Mestre, la città veneziana di terraferma. A pochi giorni dal Natale, con le strade abbellite dalle luminarie e con le vetrine dei negozi piene di merci che fanno stridere ancor di più i contrasti sociali, ha lanciato la proposta di realizzare una “cittadella della povertà”. Ha usato proprio questa espressione. Come esiste, a piazzale Roma, la “cittadella della giustizia”, ovvero il Tribunale lagunare, come a Venezia esiste da pochi mesi il “palazzo del lusso” a due passi di Rialto, allo stesso modo Brugnaro vuole localizzare, in un punto per ora imprecisato della periferia, una struttura dove possano essere dirottati barboni e clochard, poveracci italiani e immigrati in cerca di aiuto.
Il primo cittadino aveva cominciato la scorsa settimana dichiarando che è venuto il momento di spostare le mense dei poveri che ogni giorno sfamano a Mestre centinaia di persone. Via dal centro, dalla passeggiata pedonale di piazza Barche o piazza Ferretto, perché il via vai di disperati crea problemi di decoro e degrado urbano. A Mestre ci sono due mense, Ca’ Letizia in via Querini e una struttura gestita dai frati in via Cappuccina. Siccome entrambe sono della diocesi, il patriarca Francesco Moraglia non ha gradito l’entrata a gamba tesa in un campo, quello della carità, in cui la chiesa veneziana è impegnata da sempre. Così ha preso spunto da un incontro pubblico per esprimere il suo dissenso. “Una città non può emarginare realtà che appartengono al vivere sociale. Se ci sono problemi che richiedono di organizzare meglio le mense, ci impegneremo perché questo avvenga, ma portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica e sociale, questo no”. Parole severe contro gli steccati e l’illusione di risolvere i problemi buttando la polvere sotto il tappeto.
Moraglia ha aggiunto: “Immagino che l’iniziativa abbia buone intenzioni, eppure spostare le mense non è solo nascondere la povertà, ma è creare una disparità tra una società che crede di avere eliminato la sofferenza e una realtà che, per i suoi bisogni primari, vive al margine della società e accede alla società vedendola come un mondo proibito”. Poi ha concluso, escludendo l’eventualità di far traslocare le mense. “Se c’è da mettere a posto alcune organizzazioni dobbiamo farlo, perché dobbiamo evitare difficoltà anche a chi vive nel quotidiano, ma dobbiamo anche prendere atto che nella società ci sono ricchezza, povertà, bambini, nonni, adulti, sani e malati. E bisogna cercare, nel rispetto, di offrire servizi migliori a tutti rimanendo attenti all’uomo concreto, alle sue stagioni e sofferenze”.
La proposta di Brugnaro nasce dal fatto che i residenti della zona dove si trovano le mense si lamentano. Sostengono che è difficile la convivenza con i frequentatori, non solo stranieri, ma anche italiani. Da apripista aveva fatto l’assessore alla Coesione sociale, Simone Venturini, un paio di mesi fa. Poi il primo cittadino ha dato l’annuncio in modo ufficiale. Ieri, dopo le parole del Patriarca, Brugnaro è tornato sull’argomento: “Sto pensando a una cittadella della povertà. L’idea è di concentrare i servizi per avere più risultati”. E avrebbe anche individuato l’area, per ora top secret. Lapidario il vicario episcopale don Dino Pistolato: “Bisogna fare attenzione a costruire dei ghetti, non usiamo la politica per nascondere. Chi va nelle mense sono persone che si muovono, che senso ha costruire una città per loro? In tutte le grandi città, da New York a Parigi, i poveri stanno vicino a dove c’è la ricchezza”.
Una nuova proposta per portare i flussi del turismo "mordi e fuggi" a corrompere la città e i grattacieli del mare a distruggere la Laguna. Ma il nuovo progetto ha ancora più criticità dei precedenti, quindi verrà ugualmente bocciato. La Nuova Venezia, 2 dicembre 2016 (m.p.r.)
Il Patto per Venezia firmato tra il presidente del consiglio e il sindaco di Venezia ci ha [Lidia Fersuoch è presidente di Italia nostra - Venezia] preoccupato notevolmente per quanto concerne soprattutto l’inserimento nello stesso Patto del progetto di escavo del canale Tresse nuovo, un collegamento (proposto dal sindaco e dall’autorità portuale) tra il Canale dei Petroli e il Vittorio Emanuele, per far giungere in Marittima le navi crocieristiche. Il progetto appare dunque avere il sostegno e l’avallo di Renzi, nonostante il ministro delle infrastrutture nella sua recente visita non l’avesse preso in considerazione. Nel patto, inoltre, a rendere più “pesante” l’appoggio della Presidenza del consiglio compare l’asserzione della centralità di Venezia nel panorama nazionale e i molti milioni di euro finalmente sbloccati.
Lidia Fersuoch è presidente della sezione di Venezia di Italia Nostra
Un volume decisivo per la comprensione della Laguna di Venezia, costruito da Lidia Fersuoch sulla base di un'mmensa congerie di documenti testuali e cartografici d'archivio è stato presentato recentemente a Venezia. Tra i commentatori Francesco Erbani, che ci ha concesso di pubblicare il testo del suo intervento. In calce il link all'audio dell'affollato evento
Lasciate come prima cosa che denunci l’imbarazzo per la mia scarsa titolarità quale relatore alla presentazione del volume di Lidia Fersuoch. Inadeguatezza nei confronti dell’oggetto, questo poderoso, fondamentale contributo alla storia, alla geografia e direi al presente vivo, un presente così minacciato della Laguna (con la L maiuscola, come ho imparato da Lidia: nomina sunt consequentia rerum). Inadeguatezza, poi, nei confronti degli altri due relatori, Luigi D’Alpaos e Francesco Vallerani, molto più accreditati di me a misurare l’entità scientifica di questo contributo.
Conosco Lidia Fersuoch da tanti anni. Siamo amici. Conosco la sua competenza sulle complesse, fascinose e drammatiche vicende della Laguna. Stimo la sua passione militante. Le volte che mi sono occupato di Laguna come cronista l’ho considerata al pari di una specie di Corte di Cassazione, ritenendola in possesso della parola per me definitiva, quella che consente di orientarsi, di non sbandare, di andare all’essenziale, di fiutare dove stanno le ragioni della Laguna e dove stanno quelle di chi, agli interessi della Laguna, antepone i propri.
Ora, con questo volume, Codex Publicorum. Atlante (edito dall’Istituto veneto di lettere, scienze ed arti) è possibile per me percepire più compiutamente la profondità storica delle competenze spese, insieme a Italia Nostra, nelle battaglie per l’integrità della Laguna, contro le Grandi Navi e i progetti di nuovi canali, contro il Mose. È una quantità di saperi che in questo volume transita dalle discipline umanistiche a quelle idrauliche con sorprendente agilità, per nulla fiaccata dalla mole di documentazione. È come se si completasse un circuito virtuoso fra cultura e politica, un circuito in cui l’una e l’altra si alimentano reciprocamente e che va dalle carte dell’Archivio di Stato alle bocche di porto e dalle bocche di porto torna all’Archivio di Stato.
Questo Atlante restituisce su mappe le misurazioni effettuate dai giudici del piovego, i giudici che dal XIII secolo avevano giurisdizione sulle proprietà pubbliche, erano addetti a redigere una specie di catasto di queste proprietà pubbliche e dunque vigilavano su canali, strade, saline, valli da pesca, barene, ponti, testimoniando attraverso le vicende processuali, i contenziosi, il mutevole assetto lagunare di quello e dei secoli successivi. Svolgevano quei giudici, se non capisco male, una fondamentale funzione di tutela del patrimonio pubblico e dunque in quelle sentenze si potrebbero rintracciare gli antecedente delle denunce, degli esposti, delle battaglie di questi anni.
All’estremo opposto del volume di cui si parla questa sera, all’estremo opposto come dimensioni, ma non come peso specifico o intensità della riflessione, c’è Confondere la Laguna, 35 essenziali pagine nella coraggiosa, benemerita collana “Occhi aperti su Venezia” della Corte del Fontego di Marina Zanazzo. Lì si legge della “multiforme bellezza” della Laguna, del suo “equilibrio precario tra un orizzonte di mare e uno di terra”, dei “potenti e tortuosi canali che si diramano in venature di sempre minore sezione” a partire dalle tre bocche di porto, delle terre sommerse, i bassifondi, o a pelo d’acqua, le velme, oppure appena rilevate, le barene. Insomma, tutto, tranne che “un semplice e passivo vaso liquido”, tutto, tranne che “un’indistinta distesa d’acque”.
Per molti di noi, non veneziani, per molti di coloro che sono abituati a paesaggi più netti, più rocciosi, a mari profondi, di colore blu cobalto, oppure per chi è incapace di cogliere il dettaglio incerto di un paesaggio, il fascino che genera questa impressione di grigio, è una sorpresa salutare leggere le parole con le quali Lidia descrive il funzionamento delle barene, che proteggono le aree stabilmente emerse, le isole abitate della Laguna, partecipano alla fitodepurazione e sono dotate di una vegetazione capace di catturare i sedimenti sospesi nelle correnti, attuando così un perenne processo di autorigenerazione.
Sono terre, le barene, ma in fondo appartengono di più al mondo dell’acqua: ecco la loro seducente incertezza. Quell’incertezza, quella mutevolezza che induce a percepirle con pazienza, dubbiosi e incerti noi stessi, persino un po’ spaesati, a bandire oltre le osservazioni frettolose, anzi sbrigative, anche atteggiamenti sbrigativi, iniziative che non calcolano le conseguenze.
D’altronde anche questo Atlante del Codex publicorum, che Lidia assimila a un testo medievale, «costituito per gemmazioni successive», riferendosi ai territori della gronda lagunare «da San Martino in Strada a San Leonardo in Fossa Mala», come recita il sottotitolo, tratta di territori incerti e mutevoli, territori ai margini, paesaggi fragili, anfibi, già raccontati nella tesi di laurea e nel volume del ’95. È un paesaggio sfuocato, forse smarrito, che in queste pagine viene come rimesso a fuoco e persino resuscitato, fatto di «fiumi, di laghi, di punte di terra, di vigne». Un’altra Venezia, scrive Lidia Fersuoch, «largamente obliterata e perduta».
Sopravvive comunque e anzi invoca attenzione la trama di un sistema delicato, gli urbanisti lo definirebbero “territorio lento”, che sopporta interventi di salvaguardia, di cuci e scuci (oggi va di moda l’espressione “rammendo”) e che invece è destinato a soccombere se trattato con supponenza scientista, con prepotenza tecnologica. Sono luoghi che – leggo nell’Atlante – interessati dalle sentenze dei giudici «sono animati da vivide presenze, storie, controversie e rivalità», e recano segni di mestieri antichi che, pur inesorabilmente spariti, lasciano nella memoria un deposito di saperi e di metodi che ancora possono servire per orientarsi e non restare sopraffatti di fronte alle imposizioni globali. Hanno dunque bisogno, questi luoghi, di una parola che li descriva, di una rinominazione che restituisca loro vita e freschezza. Le sentenze e l’Atlante ci provano.
A Venezia invece si perdono incessantemente residenti e anche barene: Lidia racconta che nel Seicento una stima estende la superficie totale delle barene a 255 kmq, all’inizio del Novecento si era a 170, nel 2003 si è scesi a 47.
Prima si parlava di incertezza. Incerti, invece, leggendo i volumetti di Lidia, oltre Confondere la Laguna, anche A bocca chiusa, dedicato alle gravi criticità del Mose, e persino Nostro Fontego dei Tedeschi, che non parla di Laguna, ma anche i nuovi templi del lusso, micidiali attrattori turistici gravano sul fragile sistema Venezia-Laguna, e quindi questo poderoso Atlante, incerti, dicevo, non bisogna essere di fronte alla più terribile tragedia che può abbattersi in Laguna, il suo dissesto morfologico, la sua erosione.
Quali danni abbia provocato il Canale dei Petroli, realizzato a metà degli anni Sessanta, lo ha raccontato magistralmente D’Alpaos (il quale, con ragioni assai convincenti, lo ha indicato come responsabile solo parziale dell’alluvione di cinquant’anni fa). Non scenderò nei dettagli, nell’atrofizzazione della venatura di canali dovuta al fatto che la marea, controllata dal nuovo, più profondo e più largo canale, entrando in Laguna corre sulla superficie dei bassifondi e solleva materiali che vengono sospinti in mare aperto. Né mi soffermerò su quel che accade quando passano enormi navi che producono onde le quali anche loro sollevano grandi quantità di materiali dai fondali i quali poi tornano a depositarsi nel Canale dei Petroli o finiscono in mare aperto.
A proposito del passaggio delle navi nel Canale dei Petroli, ricordo il racconto che faceva Lidia (che poi ne parla nel volume del ’95 che citavo prima) delle ricerche dell’archeologo Ernesto Canal, il quale per individuare i resti della chiesa di San Leonardo in Fossa Mala attendeva, appunto, il passaggio di una nave e il risucchio che questo provocava. Poi Lidia ha adottato lo stesso accorgimento per fotografare quei resti prima sommersi e poi emersi.
La Laguna rischia di diventare un cratere: cent'anni fa, calcola D'Alpaos, la profondità media era di 40 centimetri, ora, a causa di un milione di metri cubi di sedimenti che finiscono in mare aperto ogni anno, siamo a un metro e mezzo. E se non si porrà rimedio, fra cinquant'anni si scende a due e mezzo. La Laguna sarà un braccio di mare.
Per me valgono a documentare plasticamente il dissesto che quotidianamente si perpetua da cinquant’anni in Laguna, due immagini: una cartografia della Laguna che restituisce, nella Laguna nord, l’ordito di canali, quasi fosse una forma vegetale che nella ramificazione custodisce l’essenza della propria vita; nella Laguna sud, invece, un azzurro intenso, compatto, una distesa liquida che è l’antitesi della Laguna (la Laguna sud è quella dove c’è il Canale dei Petroli); l’altra immagine è il video che documenta l’onda sollevata dal passaggio di una nave lungo il Canale dei Petroli, un’onda che poi spazza la superficie della Laguna per centinaia e centinaia di metri. Quella cartografia e quel video restano ai miei occhi la prefigurazione di quel che, moltiplicato, potrebbe accadere in Laguna se si scaveranno o si approfondiranno altri canali.
II riconoscimento Unesco ha un valore culturale e politico, più che giuridico, perché dichiara patrimonio dell’umanità inscindibilmente città e Laguna, raccomandando la tutela di quest’ultima «al pari dei palazzi e delle chiese». E per questo l’organismo dell’Onu guarda con preoccupazione anche lo scavo di altri canali in Laguna per farvi passare le navi tenendole lontane da San Marco: prima il Contorta, più recentemente il Tresse. Secondo molti, un rimedio peggiore del male.
Sul futuro della Laguna nel suo insieme, comprendendo anche Venezia, gravano incertezze e minacce, cinquant’anni dopo quel 4 novembre 1966. Le Grandi navi, lo scavo di nuovi canali, il Mose: sono tre questioni maledettamente legate fra loro. Sembra già sfumato nel tempo il clima d’indignazione seguito all’inchiesta della Procura di Venezia del 2014 che ha rivelato quale gigantesca corruzione avvolgesse il Mose. E quale impressionante mistificazione scientifica, tecnologica e politica abbia oscurato le ragioni della salvaguardia della Laguna, che comprende la salvaguardia di Venezia dall’acqua alta, ma che non si riduce a questa.
Ebbene chi s’immergesse nella lettura dello studio di Lidia Fersuoch, approfondirebbe una storia che si riferisce ai secoli dal XIII in poi, ma ogni tanto solleverà lo sguardo all’oggi e ne ricaverà utilissimi elementi di conoscenza.
Collegamenti.
«Venezia è città complessa, policentrica, che si articola su almeno tre livelli: il centro storico, la terraferma e le isole. Bene hanno fatto le autrici di questa guida a inserire nella guida capitoli dedicati a tutti questi luoghi». Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2016 (m.p.r.)
“Venezia è ribelle già per sua natura: sfida il delicatissimo equilibrio tra terra e acqua, sorge su pali di legno piantati nella laguna, cresce ricca di edifici, chiese, palazzi e strade mettendo in discussione le leggi della fisica, sopravvive grazie a un continuo passo a due tra l’uomo e l’ambiente circostante”: con queste parole le due autrici Beatrice Barzaghi e Maria Fiano presentano la Guida alla Venezia ribelle, che vuole essere un manuale per un turismo alternativo, capace di proporre percorsi certo insoliti e forse lontani dalle consuete mete stereotipate, eppure per questo quanto più autentiche. Pubblicato dall’apprezzabile Voland, casa editrice che ha già dato alle stampe le «guide ribelli» a Roma, Parigi, Barcellona, il libro propone per ogni tappa consigli su canzoni, film, libri che permettano di approfondire gli argomenti trattati.
La guida ci invita a seguire itinerari, per l’appunto, ribelli, che raccontano di una città da sempre allergica alle imposizioni, capace di essere un punto di riferimento per la libertà di stampa nell’epoca della Controriforma, protagonista nel Risorgimento e durante la Resistenza antifascista, fino alle lotte operaie degli anni ’70 e alle rivendicazioni per il diritto alla casa negli ultimi decenni. E tutto questo è in contrasto con la visione di una Venezia in irreversibile decadenza, al massimo meta per i turisti delle Grandi Navi o di ricchi proprietari di seconde case.
Venezia è città complessa, policentrica, che si articola su almeno tre livelli: il centro storico, la terraferma (con Mestre e il complesso industriale di Marghera, che ha meno di cent’anni) e le isole. Bene hanno fatto le autrici a inserire nella guida capitoli dedicati a tutti questi luoghi, considerando giustamente Venezia come un tutt’uno multiforme in comunicazione ininterrotta (anche se la consapevolezza di questa unicità è cosa recente).
E se a Rialto la farmacia Morelli ospita in vetrina un contatore che indica come in un countdown il numero dei residenti del centro storico, in continuo calo e da molto sotto i 60mila, l’isola di Poveglia ha visto partecipare sostenitori da tutto il mondo alla raccolta fondi per il riacquisto dell’isola dal demanio, perché rimanesse un luogo accessibile a tutti, in un lavoro di recupero ambientale che ricorda, ad esempio, quello analogo portato avanti negli anni ’80 per rendere di nuovo agibile l’isola della Certosa.
Sono molte infatti le forme di resistenza, anche creativa, allo spopolamento ed alla svendita di edifici e di spazi preziosi per la collettività. Che danno vita a esperimenti civici, a nuove forme di condivisione, in un posto in cui è difficile costruire da zero e dove anche la vita dei luoghi si rinnova, e così le forme dell’abitare e di vivere la città. Città che diventa humus fertile per personaggi irregolari, geniali, spesso innovatori nei propri campi d’azione. Come l’artista Emilio Vedova, il compositore Luigi Nono o i coniugi Basaglia, che hanno rivoluzionato l’approccio alla psichiatria. E soprattutto, come sottolinea la storica Maria Teresa Sega nell’introduzione, “Venezia città delle donne ribelli”. Dove l’emancipazione spesso è passata attraverso il lavoro, come nel caso delle molte operaie attive nelle fabbriche cittadine, o grazie al riconoscimento dell’opera intellettuale, come capitato alla pittrice Rosalba Carriera, o a Elena Cornaro, prima donna laureata al mondo. Ed è anche da qui che emerge l’eccezionalità di una Venezia che possiamo vedere ora con occhi diversi.
La grande abilità di Giuseppe Salvaggiulo, che ha intervistato Luigi Brugnaro, sindaco protempore di Venezia, é che lo ha completamente spogliato e lo ha costretto a rivelarsi come realmente è. Purtroppo per la città. La Stampa, 4 novembre 2016
Il turismo di massa è l’emergenza?
«Tutt’altro. Ma qualcuno, invece di sviluppare altri settori, vuole uccidere il turismo che ci dà da mangiare».
Qual è la sua ricetta?
«Prima sviluppiamo l’industria. Tutto dipende dal porto. Gli armatori acquistano navi più grandi e il nostro non è in grado di accoglierle. Allora dico a Renzi: facciamo un patto per Venezia».
In che cosa consiste?
«Nel 2002 accettammo il Mose in cambio di uno sviluppo del porto. Non s’è visto nulla. Bisogna fare un nuovo porto offshore per le navi oceaniche. I cinesi sono pronti a investire 600 milioni di euro, ma vogliono certezze».
Che altro c’è nel patto?
«Un nuovo tracciato per le grandi navi da crociera, peraltro già usato in passato. E Porto Marghera».
Chiede soldi?
«Quelli della legge speciale, doverosi. Per il resto, soprattutto regole. I privati vogliono sapere quanto costano le bonifiche e cosa possono costruire. Con un’autorizzazione unica e tempi rapidi».
Il suo piano per Porto Marghera?
«Sul waterfront grattacieli fino a cento metri con terziario e residenziale, alle spalle una zona industriale, sui canali la logistica».
Quanti grattacieli?
«Quanti ne vogliono. L’area è grande, non c’è limite».
Com’è il suo rapporto con il governo?
«Io sono filogovernativo per natura. Aspetto una risposta in un rapporto leale».
Dunque migliore di quello con l’Unesco, che potrebbe mettere Venezia nella black list dei siti a rischio.
«Noi ospitiamo una sede Unesco e paghiamo le spese, solo negli ultimi anni 1,4 milioni. Eppure l’Unesco ci manda un aut aut da Istanbul. Io dico: i turchi li abbiamo fermati a Lepanto, se volete parlarci venite qui».
Ne fa una questione di galateo?
«No, di sostanza. Ci minaccia un’organizzazione che cambia i nomi ai luoghi sacri di Gerusalemme. Ignobile. Non accetto giudici e controllori, ma proposte. A casa nostra i conti li facciamo da soli».
L’Unesco propone di vietare le grandi navi da crociera.
«Le vietassero a casa loro. E i cinquemila posti di lavoro poi chi ce li dà, l’Unesco?».
Dell’ecosistema lagunare non si preoccupa?
«Le grandi navi non fanno male a nessuno».
Le maree bene non fanno.
«Le maree? Non dia retta agli estremisti».
Uscire dall’Unesco?
«Sarebbe ininfluente. È l’Unesco che si fa pubblicità con Venezia, non il contrario. È l’Unesco che va salvata, non Venezia».
Unesco a parte, sul turismo di massa bisogna fare qualcosa? Veniamo da un weekend con punte di 150mila turisti al giorno, tre volte i residenti.
«Tutti ci danno lezioni, allora io ho istituito una commissione pubblica. Chiunque ha proposte le consegni. Ora o mai più. Noi accoglieremo quelle condivisibili e faremo le nostre».
Qual è la base della discussione?
«I turisti non vanno demonizzati, sono persone come noi. Senza turisti Venezia muore».
Anche i turisti trash?
«I maleducati ci sono anche a New York, inevitabile che a Ferragosto qualcuno si tolga la maglietta. Lo multeremo».
Vuole il numero chiuso?
«La città è aperta a tutti, non la vieterò mai a nessuno. Ma il turismo mordi e fuggi non dà grandi benefici e crea costi per la città, va regolamentato».
Come?
«La tassa di soggiorno non basta per finanziare i servizi utilizzati dai turisti. Penso a un contributo, un obolo inversamente proporzionale al tempo di permanenza. Chi arriva e parte in un solo giorno paga di più, ogni giorno di pernottamento fa calare l’entità del contributo».
Vale anche per i passeggeri delle grandi navi?
«Certo».
Come si può applicare?
«Con un sistema di prenotazioni online e di addebito sui biglietti dei vaporetti, delle navi e dei treni».
Venezia rischia di diventare una città per ricchi.
«No, per chi la ama e non si accontenta di qualche ora tra Rialto e San Marco».
Perché avete venduto l’aeroporto del Lido a 26 mila euro?
«Perché l’aeroporto funzioni. Il Comune non può fare l’imprenditore. È la valutazione in bilancio. Nessuna speculazione».
E la privatizzazione del giardino Papadopoli?
«Ma quale giardino! Era un ricettacolo di tossici, una fogna. Abbiamo accettato una proposta dell’hotel vicino, che lo sistema e custodisce utilizzandolo in via esclusiva per dieci giorni l’anno. A costo zero per il Comune: un affare».
La chiamano “sindaco fuori dal Comune” perché non vive a Venezia ma a Mogliano Veneto, Treviso. «Lavoro 16 ore al giorno, non prendo stipendio, mi pago staff, auto, barca, viaggi, non ho conflitti di interessi, non ho bisogno di rubare. Solo il caffè che abbiamo bevuto è a spese del Comune. Dove risiedo sono c...i miei».
Prosegue a Venezia l'eliminazione di spazi pubblici a vantaggio degli alberghi di lusso. Questa volta si tratta di un Istituto pubblico di assistenza e beneficenza «che ha confermato l’intenzione di mettere a reddito l’edificio - non vendendolo - ma affittandolo alla società che lo trasformerà in albergo». La Nuova Venezia, 29 luglio 2016 (m.p.r.)
La casa di riposo Ca’ di Dio sarà trasformata in un albergo di lusso anziché continuare a ospitare - come è stato da sempre - una residenze per anziani autosufficienti gestita dall’Ire, l’Istituto per il ricovero e l’educazione. Ieri in Commissione consiliare a Ca’ Farsetti si è discusso infatti della Variante al Prg che consentirà la trasformazione dopo che già il commissario straordinario Vittorio Zappalorto aveva approvato una delibera che elimina lo standard pubblico attuale che vincolava l’uso dell’edificio di origine duecentesca che si affaccia sulla riva dell’Arsenale e apre la strada, dunque alla trasformazione alberghiera. In cambio, saranno rafforzati gli standard delle altre due case di riposo dell’Ire alle Penitenti e alla Giudecca.
La richiesta di un intervento dell’Unesco risale al 2011 e fu avanzata da Italia Nostra veneziana, presieduta da Lidia Fersuoch. I cui rilievi sono in gran parte accolti nel rapporto. In questi anni l’organismo delle Nazioni Unite ha avviato tutte le procedure istruttorie per verificare se esistessero ancora le condizioni perché la città e la laguna potessero far parte dei 51 siti italiani patrimonio dell’umanità.
L’Italia è il paese con il più alto numero di siti, che nel mondo sono 1031. Negli ultimi anni hanno rischiato di essere esclusi, senza poi conseguenze, anche Villa Adriana a Tivoli, minacciata prima da una discarica, poi da un insediamento residenziale, e l’area archeologica di Pompei. Una procedura di verifica l’Unesco l’ha avviata qualche mese fa per Vicenza e il paesaggio palladiano: qui un gigantesco complesso edilizio è sorto a qualche centinaio di metri dalla Villa La Rotonda, mentre incalzano preoccupanti progetti per l’Alta Velocità.
Secondo Italia Nostra e altre associazioni, i presupposti sono venuti meno anche a Venezia. Le Grandi Navi transitano regolarmente nel canale della Giudecca per raggiungere la Stazione marittima. Ne arrivano ogni anno, dicono alcune stime, più di 700, il che vuol dire 1400 passaggi davanti a piazza San Marco. Gravissimi, stando sempre alle denunce, sono i danni da inquinamento e da moto ondoso, oltre all’impatto visivo. L’Unesco, nel rapporto, chiede che questi giganti del mare non entrino più in laguna.
Ma le Grandi Navi sono anche l’estremo simbolo di una città consegnata al turismo, 30 milioni di presenze l’anno, il che vuol dire che dalla primavera all’autunno i visitatori ogni giorno sono in numero di gran lunga superiore ai residenti nella città storica, scesi ormai a 56mila (sono 260mila se si comprende Mestre e la terraferma). Tutto, a Venezia, si va piegando alle esigenze turistiche, che sostituiscono i tratti essenziali di una dimensione urbana.
E poi fioccano i progetti alternativi al passaggio delle Grandi Navi. Alcuni prevedono lo scavo di altri canali in laguna per farvi passare le navi tenendole lontane da San Marco: prima il Contorta, più recentemente il Tresse. Su questi progetti il rapporto dell’Unesco esprime molte preoccupazioni per gli effetti di stravolgimento che potrebbero generare sui fondali della laguna stessa, deformandone la natura e trasformandola completamente in un braccio di mare. Il che avrebbe conseguenze drammatiche sulla città di Venezia, il cui benessere dipende molto dallo stato di salute della laguna. Non a caso l’Unesco dichiara patrimonio dell’umanità inscindibilmente città e laguna, raccomandando la tutela di quest’ultima «al pari dei palazzi e delle chiese».
«La proposta del personale? Prima i mezzi pubblici, poi tutti gli altri. «Stabilire la centralità di tutto è quella di considerare il servizio pubblico di trasporto essenziale e prioritario. Come è previsto in tutte le città in Europa». La Nuova Venezia, 23 giugno 2016 (m.p.r.)
Le parolacce non si contano, come pure gli insulti diretti ai comandanti e talvolta il rischio di passare dalle parole alle mani: di perdere il battello una, due volte, per far salire a bordo prima i “veneziani” non ne vogliono sapere quanti - tra turisti e visitatori occasionali - restano in attesa a bordo dei pontili dove si sta sperimentando l’accesso prioritario per i titolari di tessera unica. A calmare gli animi sopperisce Actv con un’iniezione di corse bis, ma se ne salta una, gli animi si accendono. A suonare la sveglia sono i piloti del Comitato lavoratori Actv, pronti a saltare la fermata di Rialto se seguiranno le intemperanze. «Accade spesso a Rialto nella seconda metà del pomeriggio, a piazzale Roma la mattina, al Lido la sera», racconta Nevio Oselladore, comandante Actv e presidente del Comitato.
«“Serve un monitoraggio sugli effetti dei lavori alle bocche”. Un no deciso allo scavo di nuovi canali come il Tresse per le grandi navi». La Nuova Venezia, 21 giugno 2016 (m.p.r.)
I lavori del Mose hanno trasformato la laguna e cambiato le correnti. Aumentando la velocità dell’acqua e l’erosione, a volte modificando la direzione della marea. Uno stravolgimento che da tempo pescatori ed esperti segnalano inascoltati. Ora reso ufficiale da una delle maggiori autorità idrauliche del mondo scientifico. Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’Università di Padova, ha illustrato ieri sera a San Leonardo il risultato dei suoi studi. Lanciando l’allarme alle autorità che i occupano di acque e laguna con una rivelazione clamorosa.