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«Intervista di Adriana Pollice a Vezio De Lucia. L'urbanista, autore nel 2004 del piano regolatore di Napoli, demolisce la legge De Luca: "Favorisce l’illegalità con conseguenza disastrose"». il manifesto, 25 agosto 2017 (c.m.c)

«Quello che è successo a Ischia con il sisma di lunedì scorso ha la sua origine nella mancanza di pianificazione territoriale, una condizione molto diffusa da Roma in giù, capitale inclusa»: Vezio De Lucia è uno dei maggiori urbanisti italiani, padre del Piano regolatore di Napoli, approvato nel 2004.

De Lucia, Ischia è un caso particolarmente grave o l’abusivismo è un problema diffuso?
L’isola partenopea ne è un esempio ma tutto il meridione è attraversato da fenomeni di edificazione selvaggia. Al Nord non ci sono le stesse proporzioni. Una grande responsabilità è anche della sinistra. Nel 1983 venne varata la prima sanatoria dal governo Craxi: il sindaco comunista di Ragusa, Paolo Monello, capeggiava la rivolta affinché gli abusivi pagassero oneri più bassi. C’era un vasto consenso intorno alla sua battaglia: una parte del Pci voleva che il condono non fosse oneroso. Alla fine Monello diventò anche parlamentare. Da allora si è sdoganata una politica che ha lasciato mano libera al privato anche nel centrosinistra e nel suo maggior partito, lungo tutti i suoi cambi di nome.

Cosa c’è di differente nelle regioni del centro nord?
Al Nord e, in particolare, nelle «regioni rosse» ci sono amministrazioni comunali forti e tecnici preparati. Al Sud il tessuto della macchina pubblica è fragilissimo. L’abusivismo è una scorciatoia quando mancano la pianificazione del territorio e le politiche per la casa, anche se così quasi nobilitiamo gli amministratori. Tollerare è diventato uno standard. A Ischia il numero delle richieste di condono è tale da superare una a famiglia, questo determina un blocco elettorale fortissimo. Eppure chiudere gli occhi provoca una serie di effetti negativi: crolli, nubifragi, degradazione ambientale fino a impattare su settori come il turismo. Ci vorrebbero norme che consentano di intervenire immediatamente, invece si innesca l’iter amministrativo, intanto la casa viene abitata e così cominciano le pressioni per non lasciare le famiglie senza un tetto.

Il ddl Falanga rende possibile eludere gli abbattimenti, stessa filosofia per la legge voluta dal governatore campano ma bocciata dal governo. Sono provvedimenti che possono sanare il problema?
Favoriscono l’abusivismo con conseguenze disastrose. La norma del governatore Vincenzo De Luca, ad esempio, ha due elementi gravi: affida ai comuni la decisione su cosa salvare dalle ruspe, ciò al livello soggetto in via diretta alla pressione degli abusivi. A Ischia ci sono 600 richieste di demolizione pendenti, tutte emesse dalla magistratura, nessuna dai comuni. E poi rende commerciabile l’immobile. Una casa abusiva non ha un valore di mercato; con il provvedimento regionale, il comune l’acquisisce per poi affittarlo o venderlo a prezzi calmierati, così lo legalizza e rende poi possibile metterlo in vendita.

De Luca dice che è impossibile abbattere 70mila immobili abusivi, troppo alti i costi e il materiale da smaltire.
Quando si è deciso di abbattere lo si è fatto, anche in condizioni difficili. A Eboli l’allora sindaco Gerardo Rosania, dal 1998 al 2001, fece abbattere 472 villette abusive costruite dagli anni Sessanta agli anni Ottanta sul demanio pubblico, lungo la pineta sulla fascia costiera. Le aveva realizzate la camorra. Ci volle l’impegno dell’esercito e della prefettura.

Il senatore Falanga, De Luca e i 5S chiedono di salvare gli abusi di necessità. Poi ci sono quelli che hanno presentato domanda di sanatoria, pagato l’onere e aspettano da 30 anni una risposta.
Gli abusi di necessità sono finiti da 50 anni. In quanto alle domande giacenti, la maggior parte dovrebbe essere destinataria di un diniego, l’impiegato lo sa e la mette da parte e lì resta, nel limbo. C’è molta connivenza anche negli uffici. L’unico modo è tenere una linea ferma. Come fatto a Napoli: il Piano regolatore del 2004 è a consumo di suolo zero, l’unico caso di grande comune in Italia, però non si cita mai. Si preferisce ricordare Cassinetta di Lugagnano, 2mila abitanti in provincia di Milano, e non Napoli. Resiste l’immagine de Le mani sulla città, il film di Francesco Rosi, che però non vale più. Il Piano regolatore ha posto dei principi che si sono affermati e hanno condizionato anche l’accordo col governo su Bagnoli, raggiunto a luglio.

A Ischia lamentano che la rigidità dei divieti, alla fine, innesca la necessità di trasgredire
Ogni pianificazione urbanistica, legge o piano lascia dei margini per adeguare o migliorare le condizioni degli edifici che necessitano lavori. E comunque l’interesse pubblico deve essere la stella polare dell’azione amministrativa.

Un sintetico ricordo, da parte dello storico dell'Italia contemporanea. dei primi anni del dibattito sull'abusivismo e sulle tendenze al "condonismo", che in quegli anni coinvolsero pesantemente anche il PCI. Temi sui quali torneremo. la Repubblica, 23 agosto 2017

C’è qualcosa che ferisce nella divisione che sembra attraversare il Paese in queste ore, dopo la tragedia di Ischia. Con la contrapposizione esasperata dai social fra parti diverse e contrapposte, fra Nord e Sud. Con chi dice che lo Stato non dovrebbe pagare la ricostruzione delle case abusive o di quelle costruite dai camorristi, e con le urla contro i “giornalisti sciacalli”. E con una polemica politica che è incentrata non sull’analisi ma sulle colpe da rinfacciare all’avversario. Né sembrano esservi stati in queste oreveri moti di solidarietà.

È difficile nasconderselo, sembra emergere un Paese che reagisce alle difficoltà e alle tragedie sentendosi vittima e al tempo stesso irresponsabile (nel senso proprio di non responsabile, privo di colpe perché privo di doveri civili). E un ceto politico che usa anche le tragedie come arma contundente di un giorno o di un mese contro il “nemico”.
Eppure proprio l’abusivismo edilizio ci permetterebbe una riflessione pacata quanto amara sulle radici di molti degradi attuali: ci permetterebbe di cogliere quel momento della nostra storia recente in cui la legge ha iniziato a diventare un po’ meno legge. Certo, si può risalire più all’indietro (magari scorrendo le pagine de La speculazione edilizia di Calvino, che ci parla del “miracolo economico” degli anni Sessanta e della Liguria) ma forse le radici più prossime della deriva attuale stanno proprio in quegli anni Ottanta ai quali per tanti versi il nostro presente rinvia.
Fu invocato allora per la prima volta l’“abusivismo per necessità”, ed eravamo nel pieno dell’era Craxi: fu un suo governo infatti a decidere un enorme condono edilizio. Eppure il panorama era devastato e devastante già allora: Cesare De Seta ne tracciava una mappa che andava dalle “pendici brulle ed arse del violaceo ‘sterminator Vesevo’” al “cuore verde dell’Umbria e alle sponde del Trasimeno”, e poi alle grandi città del Sud e del Nord. Furono 3.900.000 allora le domande di sanatoria, panorama eloquente di un’aggressione al territorio che quel condono venne definitivamente a sancire, se non a incentivare. E la vera opposizione a quella legge, i veri ostacoli che essa dovette affrontare non vennero dalla voce ancora flebile dell’ambientalismo ma — tutto all’opposto — dalla forza prorompente di un “abusivismo popolare” che considerava troppo esosa la tassa prevista dalla sanatoria. In Sicilia e altrove - soprattutto nel Mezzogiorno - le proteste si moltiplicarono e culminarono con una grande manifestazione nazionale a Roma: l’“abusivismo per necessità” fu allora il cavallo di battaglia dei molti sindaci che le promossero, minacciando dimissioni in massa (volevano “stralciare” anche la norma che escludeva dal condono le zone a rischio sismico ).
Oggi sembra paradossale ma essi furono sostenuti con decisione dal Partito comunista, e non di rado ne facevano parte (non mancarono proteste interne ma contarono poco). Un Partito comunista che era ancora grande e nazionale ma che nei rivolgimenti degli anni Ottanta stava smarrendo la bussola e cercava confusamente di ritrovarla negli attacchi al “nemico” (Craxi, allora). A completare il quadro, e a far cadere la divisione fra Nord e Sud, è sufficiente poi ricordare le grandi difficoltà incontrate in tutta Italia nello stesso periodo dalla “legge Galasso” per la tutela dell’ambiente. Essa imponeva alle Regioni di mettere a punto un piano per evitare ulteriori guasti: alla scadenza fissata solo tre lo avevano predisposto, e l’opposizione alla legge fu corposa e variegata, “sociale” e politica.
Sono stati molteplici dunque gli attori che hanno innescato la deriva attuale: una deriva in cui l’illegalità sembra diventata la nostra regola. E in cui — annotava qualche anno fa Barbara Spinelli — tutto sembra “tremare in comtemporanea: terra e politica, senso dello stato e maestà della legge”. Certo, è un processo che ha avuto delle accelerazioni più intense: le corruttele profonde che furono all’opera nel terremoto dell’Irpinia hanno danneggiato il Mezzogiorno molto più dei comizi di Bossi, ma fu allora l’Italia nel suo insieme ad essere in gioco. E così è oggi, perché questa più generale partita si può vincere solo essendo nazione. E ricostruendo con ostinata, disperata tenacia un
perimetro di regole.
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«Inutile parlare di ritardi nei piani regolatori e abusivismo di necessità. Le persone che costruiscono case lo fanno perché risparmiano. E se affittano ci guadagnano». Linkiesta, 24 agosto 2017 (c.m.c)

Non perdiamo tempo tirando in ballo la lentezza della burocrazia, i ritardi nei comuni nei piani regolatori o l’abusivismo di necessità. C’è una piccola verità non detta sull’abusivismo: che costruire una casa al di fuori delle regole costa molto molto meno. Quanto? Circa la metà, spesso meno della metà di una casa regolare. Tra chi lo dice apertamente c’è Legambiente, che lo ricorda all’inizio di uno speciale sull’abusivismo sul proprio sito.

Abbiamo chiesto a Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente che è architetto e ha insegnato urbanistica nelle Università di Roma e Pescara, come si arrivi a quella stima. La risposta è che si passa da cinque fattori.

Primo: il costo del terreno su cui si costruisce una casa abusiva, tipicamente un terreno agricolo non edificabile o un terreno sottoposto a vincolo, è molto inferiore a quello di un terreno edificabile. Può costare anche un decimo di un terreno edificabile. Secondo: quando si costruisce abusivamente non c’è bisogno di un architetto che firmi il progetto. Terzo: non si pagano gli oneri di urbanizzazione, legati ai servizi comunali (come i servizi idrici) e gli oneri di costruzione, legati al valore aggiunto che si ha costruendo una casa. Quarto: si costruisce con materiale di scarso valore, non fatturato e non certificato. Visto che per costruire abusivamente bisogna fare in fretta, si usa tipicamente del cemento armato. I mattoni spesso sono degradati, tanto non ci sono verifiche. Quinto e ultimo: il costo del lavoro è dimezzato, perché è tutto in nero e realizzato non con imprese ma con manovali presi per due soldi. Le conseguenze sulla sicurezza del lavoro, oltre che sulla concorrenza sleale di chi opera in questo modo, sono superflue. Più importante è ricordare che questa economia sommersa si lega a doppio filo alle cave fuorilegge, alla movimentazione terra e al calcestruzzo e alle imprese dei clan.

Zanchini tira anche le somme: il costo di costruzione di una casa legale, senza contare costi del progettista e oneri di urbanizzazione e costruzione, è di circa mille euro al metro quadrato (chiaramente con differenze grandi tra Nord e Sud, dove costa meno). Aggiungendo progettisti e oneri, si arriva a circa 1.400-1.500 euro al metro quadrato. Per contro, una casa abusiva costa tra i 500 e i 700 euro al metro quadrato. «Sono stime, ma ho avuto modo di verificare personalmente questi valori», commenta.

Un secondo parere è arrivato a Linkiesta da Nomisma. L’amministratore delegato Luca Dondi conferma sostanzialmente la stima. «Non abbiamo fatto studi - premette -. Tra le voci di risparmio, oltre all'evasione fiscale (dalle imposte all'utilizzo di manodopera in nero, all’acquisto di materiali non fatturati) occorre considerare che la costruzione avviene quasi sempre su terreni che non sono edificabili. Fatto 100 il valore dell'edificio, il 20-25% è riconducibile al terreno, con l’ovvia variabilità territoriale. Nelle grandi città si può arrivare al 30, nei piccoli centri scendere al 15. A conti fatti, il risparmio che si può stimare per l'abusivismo con ogni probabilità eccede il 50 per cento».

Costruire una casa abusiva significa edificare una casa insicura, frutto dell’evasione fiscale e destinata a gonfiare gli interessi della malavita. Basta dare un’occhiata alle voci di risparmio: lavoro nero, materiali in nero e non certificati, nessuna firma di un architetto, nessun onere di urbanizzazione, terreni agricoli o vincolati dal costo irrisorio

Che considerazioni si possono trarre da questi dati? Intanto che sarebbe il caso di parlare di questi dati, prima di lanciarsi in riflessioni sulle lentezze della burocrazia e sulla necessità di liberalizzare i permessi di costruire (su questo si rimanda a un post dell’economista Thomas Manfredi).

Tutte queste condizioni, in secondo luogo, concorrono a rendere l’edificio, oltre che più economico, anche più insicuro. Spiega Zanchini: «L’abusivismo non è solo quello nuovo e il caso di Ischia lo mostra chiaramente. Nell’isola ci sono state 28mila domande di condono e in larga parte si tratta di secondi e terzi piani di edifici costruiti negli anni Trenta o Cinquanta, spesso originariamente a un piano e senza fondamenta. Nei piani superiori, per fare in fretta in modo che i lavori non vengano bloccati, si costruisce con strutture in cemento armato. Questo è pesante ed è rigido, in caso di sisma si spezza e schiaccia tutto quello che c’è sotto, è una delle condizioni più pericolose in caso di terremoto». Una tipica casa abusiva non nasce completa ma è frutto di continui accrescimenti, spesso da edifici agricoli nati come capanni per attrezzi.

Una terza considerazione riguarda l’“abusivismo di necessità”. Secondo Zanchini di questo fenomeno si può parlare fino agli anni Ottanta e inizio Novanta, quando c’era una “fame di casa”, ossia c’era più domanda di case che offerta. «In città come Roma e Napoli sono sorti interi quartieri abusivi, sono l’immagine del malgoverno», commenta. Nel 2017, però, è scorretto rievocare quel termine. «Oggi parlare di necessità vuol dire scusare comportamenti molto diversi. Le case abusive in Italia sono in larga parte seconde case, belle o brutte, in aree più o meno piacevoli, in zone sostanzialmente agricole. Ci sono anche quelli di cui non vogliamo parlare: i rom che si tirano una casa un po’ meglio, gli immigrati. Di questo dovremmo parlare, di chi ha bisogno davvero di una casa e se la costruisce così abusivamente. Ci sono poi i fenomeni, che ancora ci sono in larga parte d’Italia, di vere e proprie speculazioni. Ci sono venditori che si mettono a lottizzare i terreni, a dividerli per fare insediamenti abusivi che provano a rivendere (o affittarle, ndr). E poi c‘è chi si fa la villa sul mare».

«L’abusivismo non è solo quello nuovo e il caso di Ischia lo mostra chiaramente. In larga parte si tratta di secondi e terzi piani di edifici costruiti negli anni ’30 o ’50, originariamente a un piano e senza fondamenta. Nei piani superiori si costruisce con strutture in cemento armato. Questo è pesante ed è rigido, in caso di sisma si spezza e schiaccia tutto quello che c’è sotto» Edoardo Zanchini, Legambiente

A oltre 30 anni dalla legge Galasso del 1985, che ha vietato questo tipo di costruzioni, succede ancora. «Il sindaco di Carini, in provincia di Palermo, nei giorni scorsi mi ha confermato che continuano a costruire a due passi dal mare, dove qualcuno possiede un terreno agricolo -continua Zanchini -. Sta portando avanti le demolizioni, un po’ alla volta. Qual è lo stato di necessità di costruire una casa sul mare a Carini? Nessuno. Normalmente se per qualcuno figura come prima casa è perché è intestata a un membro della famiglia in modo fittiizo». Per il vicepresidente di Legambiente la strada delle demolizioni potrebbe essere affiancata da altre misure. «Andiamo fino in fondo - commenta -. Ci sono delle situazioni, penso a comuni interni del casertano e del napoletano, di abusivismo con persone che non hanno nient’altro. Io dico: diamo ai comuni gli strumenti. Ci sono centinaia di case vuote, diamo ai comuni il potere di sequestrare e affittare a prezzi calmierati quelle case vuote, invece che farli diventare proprietari di una casa abusiva».

Per Zanchini uno dei banchi di prova per verificare la serietà del governo, dopo le parole sulla sicurezza e abusivismo arrivate prima a cavallo di Ferragosto e poi dopo il terremoto di Ischia, è l’inserimento nella prossima legge di Bilancio dell’obbligo del fascicolo del fabbricato per chi vende una casa. «Sarebbe un modo per rendere consapevoli gli italiani dei rischi che corrono nelle loro abitazioni. Per questo le associazioni dei proprietari di casa lo osteggiano tanto, gli inquilini chiederebbero di pagare meno affitti perché le case sono insicure. Penso che il ministro Graziano Delrio abbia capito il probleme e sembra convinto, ma in Parlamento diventerà un tema elettorale. Quello che preoccupa di più è il cambiamento di toni dei Cinque Stelle. Finora la loro opposizione era stata uno stimolo per il governo, come nel caso degli ecoreati. Ora stanno andando sulle posizioni più classiche del Centro-Destra, quella per cui la casa di proprietà non si tocca per nessun motivo».

«Qual è lo stato di necessità di costruire una casa sul mare a Carini? Nessuno. Normalmente se per qualcuno figura come prima casa è perché è intestata a un membro della famiglia in modo fittiizo» Edoardo Zanchini, Legambiente

«L’unica certezza rimane l’urgenza della messa in sicurezza dei territori, la vera grande opera pubblica necessaria al Paese, incompatibile con qualsiasi forma di sanatoria edilizia». il manifesto, 24 agosto 2017

Chi in queste settimane sta cavalcando il tema dell’abusivismo di necessità, per un consenso elettorale, speriamo si fermi. In un paese civile e democratico l’illegalità si combatte e non può essere in nessun modo autorizzata o giustificata dalla politica. Il terremoto a Ischia ci ricorda che l’Italia è un Paese fragile, a rischio sismico ed idrogeologico. Investire nella riqualificazione degli edifici per renderli sicuri non è più rinviabile. L’abusivismo edilizio, la cementificazione selvaggia, è un elemento che crea fragilità, toglie sicurezza, bellezza, dignità ai nostri territori.

Ischia è un simbolo di questa piaga che affligge il Paese e non è certo un caso isolato. Qui il cemento si è aggiunto al cemento in modo disordinato, senza regole, indebolendo versanti che poi con le forti piogge cedono e trascinano a valle quello che trovano. Come successe nel 2009 con la morte di una povera ragazza.

L’isola conta 600 case abusive colpite da ordine definitivo di abbattimento e 27 mila le pratiche di condono presentate in occasione delle tre leggi nazionali sulle sanatorie edilizie. A Ischia ci sono più abusi che famiglie, questa è la verità. Lo dicono i dati ufficiali, le carte della magistratura, le interminabili pratiche burocratiche per chiedere un condono che di fatto garantiscono impunità.

Il tutto in nome e per conto di una «economia del turismo» fatta di piani e ampliamenti venuti su in pochi giorni, pronti da affittare nella stagione turistica, magari in nero.
Questa è, semplicemente e drammaticamente, la storia dell’attrazione fatale per il cemento che contraddistingue gran parte delle coste del nostro Meridione.

L’Italia è un paese deturpato da cemento speculativo e illegale, i cui numeri sono eloquenti: nel 2016 gli abusi sono stati circa 17 mila. In dieci anni in Campania sono state realizzate circa 60mila case abusive. E non parliamo di abusi di necessità, un fenomeno terminato alla metà degli anni novanta, ma di soggetti organizzati che hanno tirato su negli anni interi quartieri, in aree dove controllano tutto.

Così negli anni abbiamo consumato il 66% delle coste calabresi, oltre il 50% di quelle campane e siciliane. E se il cemento illegale avanza velocemente le demolizioni di immobili abusivi procedono con lentezza: in Italia, dal 2001 al 2011, solo il 10,6% degli immobili è effettivamente andato giù. Una percentuale che precipita al 4% nella provincia di Napoli e rasenta lo zero a Reggio Calabria e Palermo. Ecco la situazione.

Il terremoto di Ischia deve suonare come un tragico campanello di allarme che ci aiuti a mettere in campo un piano straordinario di messa in sicurezza del patrimonio abitativo legale anche grazie a strumenti innovativi come il sismabonus: una prima ed importante misura per aiutare gli italiani a riqualificare le proprie case. Così come non è più rinviabile l’obbligatorietà del cosiddetto fascicolo di fabbricato, una sorta di carta di identità del costruito che riuscirebbe finalmente a garantire un monitoraggio puntuale della situazione delle abitazioni del nostro Paese.

A Ischia occorre mettere in campo una grande alleanza tra istituzioni, cittadini, operatori economici che riconoscano la gravità della situazione e rilancino in positivo un piano di messa in sicurezza, legalità e partecipazione.

L’unica certezza, oltre le polemiche se un terremoto di magnitudo 4 possa giustificare o meno i crolli, rimane l’urgenza della messa in sicurezza dei territori, la vera grande opera pubblica necessaria al Paese, incompatibile con qualsiasi forma di sanatoria edilizia.

L'autrice è presidente nazionale Legambiente

I drammi e i suicidi di massa provocati dall'abusivismo non turbano i numerosi sciagurati membri del potere legislativo che, per raccattare qualche voto in più continuano a proporre leggi che l'abusivismo lo incoraggiano. il manifesto, 23 agosto 2017, con riferimenti in calce

Alla Camera è in attesa di approvazione definitiva il ddl Falanga, primo firmatario Ciro Falanga, deputato di Ala. Il testo prevede un elenco di criteri per stabilire l’ordine degli abbattimenti: per ultimi gli edifici di chi ha commesso un abuso di necessità e non ha un’altra casa. Sostenuto da Fi, Ala e Pd, secondo le opposizioni è un regalo agli abusivi: il contenzioso che si genererà bloccherà le procure. In Italia si è creato un fronte che va da Falanga al governatore Campano dem Vincenzo De Luca fino ai 5S con il sindaco di Bagheria e il candidato governatore grillino per la Sicilia, tutti pronti pro abusi di necessità.

Gli ambientalisti li definiscono condoni mascherati: «In quelli istituiti per legge – ha spiegato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – almeno era prevista una tassa che copriva i costi per portare strade e fogne. A Bagheria il sindaco Patrizio Cinque ha fatto un regalo agli abusivi e le spese per le infrastrutture finiscono a carico della collettività. Si tratta spesso di immobili insicuri, realizzati risparmiando sulla qualità del cemento, utilizzando lavoro in nero o ditte dei clan». Fronte caldo anche in Campania: ad agosto il Consiglio dei ministri ha impugnato la norma della giunta De Luca che blocca le demolizioni dal titolo «Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai comuni in materia di governo del territorio». In regione ci sono 70mila case da demolire, per il governo la legge sarebbe in contrasto con le norme statali a tutela dell’ambiente.

Il testo prevedeva, in caso di abuso di necessità, la possibilità per il comune di acquisire l’immobile per poi rivenderlo o fittarlo a prezzi calmierati all’ex proprietario. Dopo la bocciatura c’è stato il commento sarcastico di De Luca: «Mi aspetto che siano impegnati l’esercito, il Genio militare, i provveditorati alle Opere Pubbliche per procedere alle immediate demolizioni». Ieri anche Falanga ha tenuto ferma la sua posizione: «È assurdo strumentalizzare la tragedia di Ischia a fini politici». E Lucio Barani di Ala: «Ci auguriamo che la camera dei deputati approvi con urgenza il ddl Falanga».

Contro De Luca Angelo Bonelli dei Verdi: «Il governatore ha appena detto che l’abusivismo è un’emergenza. Una affermazione pronunciata da un presidente che ha fatto approvare a giugno dal Consiglio regionale una legge che blocca le demolizioni anche nelle zone vincolate e che, su nostro ricorso, è stata impugnata dal governo. L’8 agosto De Luca ha pronunciato una memorabile frase: “non ce ne frega niente e andiamo avanti”».

Due settimane fa il candidato 5S a governatore della Siciliana, Giancarlo Cancelleri, aveva distinto tra «abusivismo che non è tollerabile e abusivismo di necessità». Alle accuse contro il partito dell’onestà, Luigi Di Maio aveva replicato: «Polemiche incomprensibili». Ieri ha twittato: «Fi e Pd sono la causa di tutti gli abusi e sanatorie in Italia. Dovrebbero star zitti e piangere i morti, non sciacallare». .

Riferimenti

Un provvedimento obbrobrioso, un vero incentivo a proseguire l'abusivismo inventando una casistica che pone la repressione degli abusi all'ultimo gradino. Si vedano su eddyburg gli articoli Il Salva abusi e Appello contro l'abusivismo permanente Si fermi la legge blocca demolizioni

«Basta con le opere dell’uomo che uccidono gli uomini. Ma perché questa non resti una semplice affermazione di principio non c’è che una via: il ripristino della legalità. Un concetto che a Ischia, forse ancor più che nel resto d’Italia, non è mai stato troppo popolare». la Repubblica, 23 agosto 2017

A un anno esatto di distanza dal terremoto di Amatrice, dunque, altri morti sotto le macerie. Mai come in questo caso, tuttavia, tirare in ballo il cinismo del destino appare decisamente fuori luogo. E guardando le immagini della tragedia di Ischia non si può non ricordare ciò che disse il vescovo di Rieti Domenico Pompili ai funerali delle vittime della catastrofe dal 24 agosto 2016: «Non è il terremoto che uccide, ma le opere dell’uomo.

Esattamente come lui, siamo convinti che è arrivato il momento di dire basta. Una volta per tutte. Basta con le opere dell’uomo che uccidono gli uomini. Ma perché questa non resti una semplice affermazione di principio non c’è che una via: il ripristino della legalità. Un concetto che a Ischia, forse ancor più che nel resto d’Italia, non è mai stato troppo popolare. Le 28mila domande di condono denunciate da Legambiente in un territorio dove d’inverno non si arriva a 50mila abitanti sono la dimostrazione degli stupri che l’abusivismo ha imposto a una delle nostre isole più belle.

C’è chi obietterà che nel caso dell’ultimo terremoto le opere abusive c’entrano fino a un certo punto, visto che sono venute giù case costruite molto tempo fa, e comunque prima che entrassero in vigore le norme antisismiche. Vero. Ma è sempre osservando quei terribili fotogrammi che non si possono non notare i crolli di intere coperture e solai in cemento armato, innesti evidentemente successivi all’impianto originario ma assolutamente sconsiderati alla luce del rischio sismico, che hanno avuto un ruolo letale anche in occasione di altri terremoti come quelli di Amatrice e dell’Aquila, dove interi palazzi sono crollati come castelli di carte sotto il peso di quelle strutture mentre le murature tradizionali di tufo e laterizi non reggevano alle scosse. E qualcuno quelle opere dell’uomo che uccidono gli uomini le ha progettate, qualcun altro le ha eseguite, e c’è chi le ha autorizzate. Se non si è trattato addirittura, come invece spesso è successo, di sopraelevazioni illegittime magari anche condonate.
Ischia è un’isola ricchissima di risorse naturali, ma proprio per questo altrettanto fragile e delicata. Dalla notte dei tempi l’attività sismica è incessante. Ogni intervento dell’uomo dovrebbe perciò rispettare regole ferree, anche indipendentemente dalle disposizioni e dai regolamenti. Proprio il contrario di quanto avvenuto. Qui abbiamo assistito impotenti alla più spaventosa aggressione ambientale in territorio italiano dal dopoguerra, con la complicità della politica. Non si ricorda elezione nazionale o locale che non sia stata caratterizzata dall’annuncio sfrontato di un condono ad hoc o di un blocco delle demolizioni nell’isola: memorabili le promesse berlusconiane alla vigilia del voto regionale del 2011, poi fortunatamente non realizzate. Ma la tentazione di grattare la pancia agli abusivi ha colpito dovunque. Nel 2009 il vescovo Filippo Strofaldi si unì al grido di dolore del segretario del partito comunista italiano marxista-leninista Domenico Savio, fieramente contrario agli abbattimenti delle case illegali nell’isola fra le più turistiche del Mediterraneo con la motivazione di salvaguardare l’abusivismo “di necessità”. Un concetto aberrante: quanti cittadini per soddisfare il bisogno dell’abitazione ne tirano su una a Ischia alla faccia delle norme? Ma che ha fatto breccia, in modo apparentemente incredibile trattandosi di una forza politica che rivendica la legalità, anche nel Movimento 5 Stelle. Per non parlare della legge tesa a frenare le demolizioni delle costruzioni illegali appena partorita dalla regione Campania governata da Vincenzo De Luca che il governo di Paolo Gentiloni ha appena giustamente impugnato.

Non c’è posto dove la politica si sia mostrata tanto spregiudicata e indifferente al rispetto delle regole, arrivando a compromettere la propria credibilità pur di racimolare qualche voto, poco importa se maleodorante. Come si fa a criticare pubblicamente i condoni e poi farli passare nelle leggi regionali sotto mentite spoglie? E lì ha in questo modo toccato il punto più basso finendo per fornire armi a chi spara nel mucchio sostenendo che tanto sono tutti uguali, destra e sinistra. Troppo facile, per fortuna.

L’inchiesta pubblicata da Repubblica in queste settimane sulla piaga dell’abusivismo, fra le più gravi che affliggono l’Italia fiaccandone la spina dorsale, ha dimostrato che il Paese non è solo pieno di ipocrisie ma anche di amministratori che si battono contro i soprusi e di cittadini impegnati a contrastare lo scempio del territorio. Prove di coraggio che non possono e non devono restare isolate. Alla politica il terremoto di Ischia offre ora con i suoi dolori un’occasione di riscatto, quella di dare finalmente applicazione seria a una delle norme meno osservate della Costituzione: l’articolo 9, che impone allo Stato di tutelare il paesaggio. Una prescrizione che non prevede “se” e non prevede “ma”. Qualcuno saprà coglierla?

Uno dei suicidi collettivi prodotti dall'abusivismo e al conseguente condonismo, mali endemici dell'Italia della piccola e grande speculazione immobiliare. il Fatto quotidiano, 22 agosto 2017
«Nel maggio 2009 smantellato il primo abuso disposto dalla Procura di Napoli: da allora il "Comitato per il diritto alla casa" si batte con cortei e manifestazioni di piazza perché il terzo condono sia applicato anche all'isola. Che figura al 4° posto nella classifica degli ecomostri stilata nel dossier "Mare Monstrum 2017" di Legambiente»

Seicento case colpite da ordine di demolizione dal 2009, oltre 27mila “le pratiche di condono presentate dagli abitanti in occasione delle tre leggi nazionali”. E’ Legambiente a tracciare, nel dossier Mare Monstrum 2016, i contorni della piaga che da decenni divora Ischia: l’abusivismo edilizio. In una nota congiunta, i sei sindaci dei comuni dell’isola stravolta dal terremoto minimizzano e “deplorano le notizie false relative alle inesistenti connessioni tra l’evento sismico e i fenomeni legati all’abusivismo”, ma in attesa di capire le connessioni causali tra il sisma e i crolli, le cifre raccontano una realtà desolante. Nella classifica degli ecomostri stilata nel 2017 dall’associazione ambientalista, “quelli che in virtù della loro storia, del loro impatto sul territorio e della loro forza simbolica rappresentano meglio di altri la devastazione illegale e impunita”, le “case abusive dell’Isola di Ischia figurano al 4° posto dopo “gli scheletri di Pizzo Sella a Palermo, il villaggio di Torre Mileto a Lesina in provincia di Foggia, le 35 ville nell’area archeologica di Capo Colonna, a Crotone”.

Fu una battaglia, ma alla fine la prima delle 600 demolizioni disposte dalla Procura di Napoli arrivò: era il 16 maggio 2009. A finire sbriciolato fu un soppalcone in cemento e mattoni di 80 metri quadrati nella frazione Terone, comune di Barano. L’immobile era stato costruito nel 1998 e non aveva beneficiato del condono edilizio perché inattuabile sull’isola, area sottoposta a vincolo ambientale e paesaggistico. Il lunedì successivo gli allora sindaci dell’isola, più quello di Procida, si erano riuniti nella sede del comune di Casamicciola minacciando le dimissioni: “Vogliamo – spiegavano – richiamare l’attenzione del governo affinché il terzo condono edilizio (quello del 2003 varato dal governo Berlusconi, ndr) abbia efficacia sulle isole del Golfo di Napoli”. Dove secchio, cazzuola e betoniera sono gli strumenti di una redditizia liturgia praticata soprattutto nottetempo, che ha quasi del religioso e che ha eretto in 35 anni qualcosa come 135mila vani in calcestruzzo.

La lotta era appena cominciata. Il ricordo delle frana che il 30 aprile 2006 interessò un’area in cui sorgevano circa 200 “abusi di necessità” e costò la vita a 4 persone era già lontano. Il 26 gennaio 2010 erano arrivati i cortei in strada. Qualche migliaio di ischitani, con in testa il il sindaco di Lacco Ameno Restituta Irace, sfilavano a Casamicciola sventolando al sole striscioni eloquenti: “Basta con gli abbattimenti delle prime case. Rivendichiamo il diritto alla casa e la sua condonabilità anche col terzo condono edilizio nelle aree vincolate”, gridavano inveendo contro il governo Berlusconi, reo di non aver ancora varato un decreto legge ad hoc. Un’altra manifestazione organizzata alla pineta del Castiglione metteva, per converso, nel mirino il provveditorato alle opere pubbliche della Campania che, abbattendo 80 pini, aveva dato il via alla costruzione di una caserma (approvata dal piano territoriale paesaggistico del 1999) destinata al corpo forestale.

Il 25 luglio 2010 la protesta faceva un salto di qualità: in piena stagione turistica, il Comitato per il diritto alla casa riusciva a portare in strada un migliaio di persone in un corteo che, partito alle 19,30 da Lacco Ameno, si concludeva alle 23,30 a Piazza Antica Reggia nel Comune di Ischia, paralizzando per 4 ore il traffico e gli spostamenti di migliaia di turisti. Gli isolani erano furiosi perché il 23 marzo, a 6 giorni dalle Regionali, il governo Berlusconi li aveva sedotti approvando un decreto legge che bloccava le demolizioni in Campania e poi, vinte le elezioni con Stefano Caldoro, e li aveva abbandlasciando che il testo si fermasse alla Camera grazie anche alle assenze tra i banchi della maggioranza. Le proteste, i cortei e le fiaccolate continuavano ma la mano salvifica del terzo condono sull’ufficio del catasto di Ischia non si posava. E continua tutt’oggi a non posarsi.

Così prime, seconde case, poi gli alberghi, poi i ristoranti venuti su come funghi in un paio di notti senza licenza continuano a essere abusivi. Una cementificazione che gli abitanti difendono coltello tra i denti e carta bollata alla mano: “Solo per il Comune di Ischia sono state presentate 7.235 domande di condono in 30 anni – Sandro Simoncini, ingegnere e docente di Urbanistica e Legislazione Ambientale alla Sapienza di Roma e presidente di Sogeea SpA – 4.408 delle quali risultavano ancora da evadere ad aprile dello scorso anno: molte di queste si riferiscono ad abusi che non possono essere sanati e che quindi, qualora le istanze fossero esaminate, sfocerebbero in ordinanze di demolizione. Senza dimenticare – prosegue Simoncini – che ciò significa anche che migliaia di edifici sono sprovvisti dell’agibilità e delle altre certificazioni”.

Una critica apparentemente ragionevole del sociologo agli effetti economici del «turismo a buon mercato». Ma il problema non colpisce solo l'economia, e non sembra risolubile con qualche regola in più. Internazionale, 18-24 agosto 2017, con postilla (i.b.)

Quest’anno il numero dei turisti in Spagna si avvicinerà agli ottanta milioni, con un aumento dell’11 per cento rispetto al 2016. La Catalogna ne ha ospitati quasi il venti per cento. Nel 2015 l’industria turistica rappresentava l’11,1 per cento del Pil e il 12 per cento dell’occupazione. Oggi 2,8 milioni di persone lavorano in questo settore. Il turismo traina l’economia spagnola e il paese è avvantaggiato, perché le altre possibili mete nel Mediterraneo sono diventate più rischiose e perché i cittadini europei spendono sempre più per i viaggi (questo, paradossalmente, non vale per i cittadini spagnoli: il 40 per cento di loro quest’anno infatti non è andato in vacanza).

Si tratta di un turismo a buon mercato, con una spesa media di 129 euro al giorno, molto più bassa rispetto a Francia o Italia. È anche diminuita la permanenza media, che è scesa a 7,9 giorni. Il settore sta passando sempre di più dalle mani dei tour operator e delle grandi catene alberghiere a quelle dei siti internet come Airbnb, che gestiscono pernottamenti non sempre in regola con la complicità di proprietari e inquilini speculatori in rotta con i vicini.

La saturazione è evidente: alle Baleari quest’anno sono attese due milioni di persone, quando i residenti delle isole sono in tutto 1,1 milioni. Una situazione che ha delle ripercussioni sui servizi pubblici (in primo luogo sulla sanità), che non riescono a soddisfare le necessità di questa popolazione stagionale. C’è un rincaro di affitti e prezzi, per la distorsione tra la domanda globale e l’offerta locale. I residenti sono costretti ad abbandonare le loro città e a volte la convivenza civile è messa in crisi dai turisti che esagerano con l’alcol e le droghe.

Questo spiega le reazioni dei cittadini in diverse località di villeggiatura, soprattutto in Catalogna e alle Baleari, i territori più sottoposti a questa pressione incontrollata. Non sono reazioni violente. Il lancio di coriandoli non provoca feriti e nessuno slogan scritto sui muri da persone esasperate si è tradotto in aggressioni. Paragonare questa protesta, come ha fatto il Partito popolare, alla kale borroka (le azioni di guerriglia urbana degli indipendentisti baschi) è un’offesa a chi in passato ha sperimentato sulla sua pelle le violenze dei separatisti dell’Eta.

È eloquente che i popolari, sempre più al centro delle critiche, vedano in qualsiasi protesta un potenziale reato. In realtà, considerando il mondo in cui viviamo, le iniziative simboliche di protesta contro il turismo senza limiti sono servite a risvegliare la coscienza civile e politica, facendo capire che siamo di fronte a un problema serio.

Per molti i disagi sono il prezzo da pagare per un’attività economica che dà da vivere a molte aree del paese. In realtà, i vantaggi sono discutibili. Chi pensa che questo tipo di turismo faccia bene alla Spagna ha un’idea obsoleta dell’economia, in cui contano solo i profitti delle aziende e la creazione di posti di lavoro. Dimentica però il contributo allo sviluppo della ricchezza del paese a lungo termine e non considera i costi non contabilizzati: di bilancio, sociali e ambientali.

Perché la madre dell’aumento della ricchezza è la produttività del lavoro.

Tra il 2000 e il 2014 la produttività spagnola non è cresciuta e oggi aumenta quasi dell’un per cento all’anno, molto meno rispetto ai paesi vicini. Questa situazione è direttamente legata al predominio

di settori a bassa produttività, come il turismo e l’edilizia. La bassa produttività non dipende solo dal tipo di attività (negli Stati Uniti e in Francia, il turismo è più produttivo della media), ma anche dall’abbondanza di lavoratori scarsamente qualificati.

Nei pochi mesi in cui lavorano nel settore turistico, le persone non hanno il tempo di diventare più qualificate e gli imprenditori non hanno interesse a investire nella formazione.

Come denunciano i sindacati, spesso le condizioni di lavoro sono difficili (sovraffollamento, alti ritmi di lavoro, precarietà). I salari sono i peggiori sul mercato del lavoro, mille euro o meno in media. Questa situazione ha conseguenze importanti sul welfare, perché gli stipendi bassi finanziano a malapena la previdenza sociale, mentre i servizi di sanità, istruzione e pensione devono comunque essere garantiti a questi lavoratori e alle loro famiglie.

Più lavoro precario si crea nel settore turistico, più si aggrava la crisi del welfare e meno si contribuisce al miglioramento dell’economia, che è legato alla capacità di consumo della popolazione. Le Baleari, che erano la regione spagnola più ricca, stanno perdendo terreno proprio per questo motivo. Al buon andamento del settore si accompagnano la precarietà e i bassi salari, oltre all’impatto negativo sull’ambiente e sulla qualità della vita dei residenti. Un turismo con più regole,
come propone il governo delle Baleari, sarebbe una benedizione per il nostro paese. Quello attuale
non è sostenibile e fa danni sia dal punto di vista sociale sia da quello economico.

postilla

La critica al “turismo di massa” o al “turismo a buon mercato” come lo chiama Castells puòessere un punto di partenza per comprendere gli effetti collaterali di un’economiabasata sul turismo. Ma focalizzando la critica a questo tipo di turismo emettendone in evidenza gli svantaggi economici, il rischio è quello che laregolamentazione si traduca nella scelta di un “turismo di élite”. Quest’ultimocertamente ha dei vantaggi apparenti e immediati, come la riduzione del numerodei turisti, la crescita della loro spesa giornaliera, la specializzazione deilavoratori del settore, ma non quello di contenere i prezzi e di evitare lagentrificazione delle aree più appetibili e l’alienazione dei beni più belli aconsumo turistico. Esemplare è il caso di Venezia.La logicacapitalistica impedisce di concepire e pensare a un turismo di massa, quindidestinato a tutti e non solo ai pochi che se lo possono permettere, che consentaalle città e ai suoi abitanti di convivere con il turismo senza farseneschiacciare. Nel capitalismo c’è solo una logica: lo sfruttamento. (i.b.)

«Nel 2008 meno di una nuova casa su dieci era abusiva, nel 2015 quasi una su cinque. Al Sud è quasi una su due. Lo dice l’Istat e il dato dice tutto sul nuovo sport nazionale: lisciare il pelo agli elettori che hanno costruito senza permessi». Linkiesta, 16 agosto 2017 (c.m.c)


Prendiamo due spiagge nel sud-est della Sicilia, distanti un paio di chilometri l’una dall’altra. Una ha un lungomare, una pineta sul litorale, un parcheggio organizzato, un borgo relativamente ordinato e due villaggi turistici a qualche centinaio di metri nell’entroterra, invisibili dal mare. È diventata un punto di riferimento per il turismo in uno degli angoli d’Italia che più è riuscito a far salire gli arrivi in questi anni. L’altra non ha lungomare, perché è disseminata di case abusive, poste a distanza di una trentina di metri l’una dall’altra per diversi chilometri.

Stanno tutte a una ventina di metri dalla riva, dove prima c’era un arenile usufruito da tutti, in un luogo dove gli stabilimenti sono un’eccezione alla regola della spiaggia libera. Qualcuno in quei venti metri che separano la casa dal mare ha costruito anche un capanno, una sorta di dependance, e perfino un vialetto di sassi dalla porta di casa alla battigia. «Hanno mangiato la spiaggia e hanno impedito ogni sviluppo turistico, per sempre», dice un abitante del luogo.

Forse bisognerebbe partire da questa distruzione del bene comune e del potenziale turistico di ampie zone d’Italia, quando si parla di abusivismo. Un vantaggio per pochi, uno svantaggio per tutti. Eppure è un discorso che in Italia evidentemente non fa presa. Se si guardano i dati diffusi dall’Istat ogni anno nel suo rapporto Bes (Benessere Equo e Sostenibile), si deve concludere che nonostante i fiumi di belle parole le cose stanno peggiorando. Spiega l’istituto nazionale di statistica che nel 2008 era abusivo il 9,3% delle nuove costruzioni a uso residenziale, mentre nel 2014 la cifra era salita al 17,6%.

Nel 2015, ultimi dati disponibili, si è sfiorato il 20 per cento. È una consolazione magra sapere che i numeri assoluti sono in calo, perché, aggiunge l’Istat, nel 2015 il flusso delle costruzioni a uso residenziale autorizzate dai comuni si è ridotto del 70,5% rispetto al 2007, mentre quello delle costruzioni realizzate illegalmente soltanto del 35,6%. Stesso discorso per la differenza tra il 2014 e il 2015: -16,3% di costruzioni autorizzate, solo -6% di quelle abusive. Secondo il Cresme tra costruzioni ex novo e ampliamenti significativi, l’abusivismo produce circa 20mila case ogni anno. Il fenomeno è drammatico al Sud, perché in Molise, Campania, Calabria e Sicilia si stima che nel triennio 2012-2014 il numero degli edifici costruiti illegalmente sia stato tra il 45% e il 60% di quelli autorizzati. Stiamo parlando di un periodo distante un decennio dall’ultimo condono del 2003, segno che nessuno crede nell’eventualità di una demolizione e la maggioranza delle persone è sicura che prima o poi una sanatoria arriverà.

Spiega l’istituto nazionale di statistica che nel 2008 era abusivo il 9,3% delle case costruite, mentre nel 2014 la cifra era salita al 17,6%. Nel 2015, ultimi dati disponibili, si è sfiorato il 20 per cento. È una consolazione magra sapere che i numeri assoluti sono in calo

L’Istat mette il dito nella piaga quando spiega che, alla luce di questi dati, «non sembra delinearsi alcun miglioramento dell’indicatore di urbanizzazione delle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, che già al Censimento del 2011 rilevava nelle aree costiere, montane e vulcaniche protette dalla Legge Galasso del 1985, un sensibile incremento delle costruzioni». In altre parole, si continua a costruire sulle spiagge, alla faccia di ogni legge, ignorata come la più classica delle grida manzoniane. Il rapporto Ambiente Italia di Legambiente è chiaro: in Italia il 51% delle coste è stato trasformato dall’urbanizzazione. Dei 6.477 chilometri di costa da Ventimiglia a Trieste e delle due isole maggiori, 3.291 chilometri sono stati trasformati in modo irreversibile. Di questa parte, la diffusione di insediamenti a bassa densità, con ville e villette, interessa 1.653 chilometri, pari al 25% dell’intera linea di costa.

«Tra le regioni, la Sicilia ha il primato assoluto di chilometri di costa caratterizzati da urbanizzazione meno densa ma diffusa (350 km), seguita da Calabria e Puglia; la Sardegna è invece la regione più virtuosa per quantità di paesaggi naturali e agricoli ancora integri e comunque è la regione meno urbanizzata d’Italia», si legge. Dal 1988 ad oggi, continua il rapporto, «malgrado fosse in vigore la legge Galasso che avrebbe dovuto tutelare le aree entro i 300 metri dalle coste, sono stati trasformati da case e palazzi ulteriori 220 chilometri di coste, con una media di 8 chilometri all’anno, cioè 25 metri al giorno. Tra le regioni più devastate la Sicilia con 65 chilometri, il Lazio con 41 e la Campania con 29. Nelle aree costiere, secondo i dai Istat, nel decennio 2001 – 2011 sono sorti 18mila nuovi edifici. Ben 700 edifici per chilometro quadrato sia in Sicilia che in Puglia, 600 in Calabria ma anche 232 per chilometro quadrato in Veneto, 308 in Friuli Venezia Giulia e 300 in Toscana, Basilicata e Sardegna».

In Italia il 51% delle coste è stato trasformato dall’urbanizzazione. Dei 6.477 chilometri di costa da Ventimiglia a Trieste e delle due isole maggiori, 3.291 chilometri sono stati trasformati in modo irreversibile. Di questa parte, la diffusione di insediamenti a bassa densità, con ville e villette, interessa 1.653 chilometri, pari al 25% dell’intera linea di costa. Tra le regioni la Sicilia ha il primato assoluto rapporto Ambiente Italia di Legambiente

Come ricorda ancora Legambiente, sono le ragioni economiche che hanno contribuito al boom del mattone illegale. Una casa abusiva può costare anche la metà di una costruzione in regola, perché tutta la filiera ha un prezzo ridotto: i materiali acquistati in nero, la manodopera pagata in nero, zero spese alla voce sicurezza del cantiere. Una distorsione del mercato che danneggia chiunque decida di seguire le regole. Una villa costruita in nero, ha ricordato nei giorni scorsi Stefano Boeri, può costare solo tra gli 80mila e i 100mila euro. Per una casa costruita sulla spiaggia e affittata in nero, la distorsione è doppia.

E gli italiani di tutto questo cosa pensano? Secondo l’Istat sperimentano sempre più disagio, nella loro vita quotidiana, per il degrado del paesaggio e per il peggioramento della qualità percepita degli spazi pubblici. Ma sempre di meno si dichiarano preoccupati per “la rovina del paesaggio causata dall’eccessiva costruzione di edifici”. E visto che un miglioramento delle condizioni oggettive non c’è stato, questo calo di attenzione è dovuto più probabilmente una perdita di consapevolezza, come affermano gli stessi statistici.

Gli italiani sperimentano sempre più disagio per il degrado del paesaggio e per il peggioramento della qualità percepita degli spazi pubblici. Ma sempre di meno si dichiarano preoccupati per “la rovina del paesaggio causata dall’eccessiva costruzione di edifici”

Il disinteresse degli effetti dell’abusivismo non riguarda solo il potenziale turistico delle spiagge, ma il fatto che le costruzioni illegali alimentano le cave fuorilegge e le imprese dei clan nei settori della movimentazione terra e del calcestruzzo. «Il ciclo illegale del cemento non è solo il costruito dove non si può, ma è anche appalti truccati, opere dai costi esorbitanti per alimentare giri di mazzette, corruzione e speculazioni immobiliari con le carte truccate», ricorda Legambiente nell’introduzione di uno speciale sul tema.

Così come si perde la memoria, in giornate in cui si torna a parlare di “abusivismo di necessità” (sull’interpretazione politica delle affermazioni del candidato del M5s in Sicilia, Giancarlo Cancelleri, e di Luigi Di Maio si rimanda a un articolo di Flavia Perina su Linkiesta), del nesso tra abusivismo e rischio sismico e idrogeologico. Tra i punti più interessanti di un’intervista a Graziano Delrio su Repubblica, il ministro delle Infrastrutture insiste su questo tasto: «Chi vive in una casa abusiva deve sapere che ha molte più probabilità di morire per colpa della scarsa qualità del cemento, degli scempi che hanno alterato il suolo, di un piano rialzato costruito senza rispettare le norme. L’Italia è un Paese sismico, lo sappiamo bene. Abbiamo pianto troppe vittime sepolte dalle macerie di una abitazione tirata su nell’illegalità. È ora di dire basta».

Un modo per dire basta concretamente non è solo quello di non lasciare soli i sindaci coraggiosi, come quello dimissionario di Licata (Agrigento), Angelo Cambiano, appena costretto alle dimissioni, o di impugnare le leggi regionali permissive, come quella della Campania. La priorità per la politica nazionale deve essere quella di rendere effettivamente possibili le demolizioni, sapendo che abbattere una casa costa molto (il prezzo dipende dai metri cubi e dai materiali). In Italia, dal 2001 al 2011, ha spiegato al Manifesto Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, solo il 10,6% delle 46.760 ordinanze emesse è stato effettivamente eseguito. Una percentuale che precipita al 4% nella provincia di Napoli e rasenta lo zero a Reggio Calabria e Salerno. «Il meccanismo si blocca per i ricorsi, per le difficoltà della macchina amministrativa e, spesso, perché i comuni non hanno i soldi da anticipare per le ruspe», commentava Zanchini.

La strada della giunta a 5 Stelle di Bagheria (Palermo), ossia espropriare le case abusive e poi affittarle ai proprietari abusivi o come case popolari, non tocca il tema delle demolizioni. Il contestato Ddl Falanga ha invece seguito la via della priorità nelle demolizioni: prima gli immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico; gli immobili che costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità; gli immobili sottratti alla mafia. In ognuna di queste categorie la priorità sarà attribuita agli immobili in corso di costruzione o non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e a quelli non stabilmente abitati.

Gli ultimi saranno gli edifici abitati “la cui titolarità è riconducibile a soggetti appartenenti a nuclei familiari che non dispongano di altra soluzione abitativa". È un modo, secondo le opposizioni (ma anche secondo esponenti della maggioranza) per tutelare di fatto l’“abusivismo di necessità” e quindi permettere a chi vive in una casa abusiva di non rischiare praticamente nulla. Nell’ultima versione del Ddl, almeno, la decisione delle priorità è stata tolta ai sindaci e data alle procure, non soggette a pressioni elettorali. E i soldi stanziati sono stati 45 milioni di euro fino al 2020. Molto poco. Meglio sarebbe, probabilmente, sancire il principio che le demolizioni vanno fatte comunque e prevedere degli incentivi per chi accetta di farsi abbattere la casa, magari a proprie spese.

Dopo la sua faccia razzista, ecco ecco la faccia abusivista del Movimento 5 stelle: credono oggi nell'"abusivismo di necessità"! Un Movimento che sta diventando inguardabile. Peccato, un altro passo verso l'abisso nel quale stiamo precipitando. la Repubblica, 14 agosto 2017

«Se un giudice dice che un immobile va abbattuto, si fa. Ma non possiamo voltare le spalle a chi ha una casa abusiva perché la politica non ha fatto il suo dovere». Le parole affidate da Luigi Di Maio ad Annalisa Cuzzocrea per Repubblica spengono una delle 5 stelle del Movimento: quella che rappresenta l’ambiente (le altre simboleggiano acqua, energia, sviluppo e trasporti).

A me — come a molti altri che hanno provato ad impegnarsi in tante battaglie locali per la tutela di quello che l’articolo 9 della Costituzione chiama il paesaggio (e che è appunto l’ambiente, e dunque anche il diritto alla salute e all’incolumità fisica) — è spesso capitato, negli ultimi anni, di trovare come avversario un sindaco o un assessore del Pd o di Forza Italia (spesso purtroppo indistinguibili), e invece di trovarmi a fianco i militanti 5 stelle: magari ingenui, o forse sopra le righe, ma sempre in perfetta buona fede. E, soprattutto, dalla parte giusta.E al Movimento appartengono alcuni dei deputati più determinati in una lotta senza quartiere contro l’abusivismo, come la siciliana Claudia Mannino (da poco, tuttavia, uscita dai 5 stelle).

Ora, alla vigilia di un cruciale appuntamento elettorale proprio in Sicilia, Di Maio inverte le macchine, e incoraggia platealmente il cosiddetto “abusivismo di necessità”. E lo fa con una metafora pesante: il “partito degli onesti” che non “volta le spalle” a chi vìola la legge. Per misurare l’entità della svolta bisogna ricordare che nel 2006 fu Beppe Grillo in persona ad attaccare frontalmente questa specie di abusivismo: «Dall’alto Ischia sembra una periferia urbana — scrisse sul blog —. Ma chi l’ha ridotta così e chi consente questo stato di cose in tutt’Italia? I sindaci che chiudono gli occhi, i condoni che umiliano i cittadini onesti?».

Per rispondere, egli pubblicava di seguito un’accorata lettera di un cittadino ischitano che raccontava di aver costruito la sua casa abusiva, pur consapevole del reato, perché persuaso «dalle varie notizie che circolavano in quel territorio, cioè, frasi come “tanto non potranno mai abbattere un edificio con bambini e persone che vi abitano, non è mai successo”». Ebbene, il cittadino che, pentito, scriveva a Grillo era stato sedotto da quella stessa, ammiccante ricerca di consenso che oggi Di Maio resuscita. Una politica vecchia, che usa vecchissimi argomenti. Perché il vero abusivismo di necessità esistette nel dopoguerra: quello di oggi — ha scritto Vezio De Lucia — «è industria edilizia illegale, illegale sotto ogni punto di vista: alla mancanza del permesso di costruzione si è aggiunto il mancato rispetto delle norme igieniche, di sicurezza, assicurative e previdenziali.

Alla fine, è entrato nell’orbita della malavita organizzata. Da Roma in giù, in alcuni luoghi ha raggiunto livelli di produzione superiori a quelli dell’edilizia legale, grazie anche alle successive leggi di condono». Che quella di Di Maio non sia un’uscita estemporanea lo dimostrano le pesantissime promesse elettorali del candidato 5 stelle alla presidenza della Sicilia ( « non abbatteremo le case della povera gente » ), e il regolamento edilizio approvato dalla giunta 5 stelle di Bagheria, che prevede che non si possano abbattere le case in cui si dichiara di abitare, e istituisce addirittura una corsia preferenziale perché il costruttore della casa abusiva possa ricomprarsela all’asta. Tutto il contrario delle buone pratiche: che in ogni caso non prevedono la possibilità di lasciare la proprietà agli abusivi, di qualunque genere siano.

In altre parole, i 5 stelle stanno platealmente abbracciando il modello campano di De Luca: annullando la loro esibitissima “ diversità” e convertendosi all’eterno modello di un potere meridionale che baratta il consenso con la distruzione delle città, e con la sicurezza. E che si rischi di passare dalle promesse ai fatti lo dimostra quanto è successo con lo Stadio della Roma: un clamoroso cedimento a quell’urbanistica contrattata e privatizzata che il Movimento aveva detto di voler combattere.
Insomma, se il Pd e Forza Italia si sono da gran tempo seduti al tavolo dell’abusivismo, oggi sembra arrivato il turno dei 5 ( anzi dei 4) stelle. Ed è davvero una pessima notizia.

Qualche frustata in più contro l'ipocrisia con cui si depreca oggi ciò che si è tollerato ieri non è di troppo. Soprattutto quando è sorretta dal puntuale elenco degli eventi. il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2017

«Italia in macerie. Il ministro Delrio promette ‘basta sanatorie’ e pensa, si suppone, al pulviscolo di leggine che le Regioni hanno emanato all’insegna del Piano Casa Saranno in contrasto con le leggi dello Stato? O, Dio non voglia, con la Costituzione? »

È bello che il ministro Delrio si sia accorto che l’Italia è il Paese dei condoni facili, degli scempi edilizi, delle coste devastate, delle leggine regionali che riconoscono gli “abusi di necessità” per raccattare cinicamente voti e clientele. Tutte le norme regionali difformi dall’ordinamento statale e dall’interesse nazionale verranno implacabilmente impugnate e sconfitte, dice il ministro. Ma a cosa pensa Delrio, parlando di contrasto tra norme statali e regionali? Non al condono tombale di Craxi (1985), vero esordio del condonismo all’italiana, né a quelli di Berlusconi (1994, 2003): norme criminogene, che però sono leggi dello Stato. Forse non pensa nemmeno a leggi regionali, come quella della Campania (2014), che riaprono i termini per i vecchi condoni statali. Delrio pensa, si suppone, al pulviscolo di leggine che le Regioni hanno emanato all’insegna del Piano Casa. Saranno in contrasto con le leggi dello Stato? O, Dio non voglia, con la Costituzione? A tal proposito gioverà, a uso del governo e del Parlamento, un veloce ripasso di storia patria (attenti alle date!).

Nella “manovra d’estate” 2008 (L. 133, 6 agosto), Berlusconi riprende un’idea del II governo Prodi lanciando un Piano Casa, inteso come social housing per categorie svantaggiate, con finanziamenti pubblici (550 milioni) e privati. Dopo sette mesi (6 marzo 2009) Berlusconi annuncia l’imminente approvazione del Piano Casa, che con agile giravolta ha totalmente cambiato faccia. Zero capitali pubblici, zero social housing: la norma è concepita solo per chi la casa ce l’ha già, e ha anche i soldi per ampliarla. Sospendendo la validità delle regole in vigore, ogni edificio potrà essere ampliato dal 20 al 35%, e anche più per chi acquisti diritti dai vicini di casa. Il tutto “in deroga alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici vigenti o adottati e ai regolamenti edilizi”: un vero e proprio condono preventivo che non solo depenalizza, ma incoraggia ciò che fino a ieri era reato, consegnando città e paesaggio al partito del cemento. Mentre, secondo l’art. 117 della Costituzione, la legge dello Stato deve “determinare i principi fondamentali” delle leggi regionali, in questo caso si inverte la procedura, scavalcando il Parlamento e stipulando (31 marzo) un’intesa preventiva tra governo e Regioni, poi ratificata dalla Conferenza unificata Stato-Regioni il 1 aprile. Secondo l’intesa, il governo emanerà entro 10 giorni una legge-quadro; seguiranno le Regioni, che faranno entro tre mesi i loro vari Piani-Casa, s’intende in conformità alla legge-quadro statale.

La bozza ufficiale che circola quel 1° aprile (la data non è uno scherzo) prevede “semplificazioni normative” che sono in realtà una selvaggia deregulation, sospendendo perfino le norme di prevenzione antisismica, sostituite da “controlli successivi alla costruzione, anche con metodi a campione”; vengono depenalizzate finanche le false dichiarazioni tecniche dei progettisti. Peccato che il 6 aprile 2009 il terremoto d’Abruzzo riveli quanto siano irresponsabili norme come queste. Il governo si blocca, e la legge-quadro non viene approvata, né allora né mai. L’accordo informale del 31 marzo non ha valore di legge: eppure, più realiste del re, le Regioni si affrettano a fare “come se”, legiferando pur in assenza di una legge nazionale di riferimento, cioè senza rispettare l’art. 117 della Costituzione. Prima della classe, la Toscana (centro-sinistra), che già l’8 maggio approva il proprio Piano Casa; seguono la Provincia autonoma di Bolzano (15 giugno), l’Umbria (26 giugno), l’Emilia-Romagna (6 luglio), e così via (ultima la Calabria, 4 agosto 2010).

Di regione in regione, in mancanza di principi-guida nazionali, il bricolage del fai-da-te. Un labirinto di varianti, l’unità d’Italia dello sfascio: non appena il Veneto regala ampliamenti fino al 50%, viene prontamente copiato dalla Sicilia, ma sorpassato dal Lazio (60%), e così via; per non dire di codicilli via via introdotti negli anni dal 2009 a oggi. Non bastava scavalcare il Parlamento e ignorare l’art. 117 Cost. con l’accordo del 31 marzo: la totale assenza di una legge-quadro dello Stato fu e resta ignorata da tutti (Stato e Regioni, destre e “sinistre”). In piena e concordata illegalità, il Piano Casa dilaga per l’Italia, con leggi regionali un po’ più restrittive (Toscana, Umbria, Puglia) o più sbracate (Lombardia, Veneto, Sicilia). Tutti d’accordo a “semplificare” drasticamente le norme, calpestando l’art. 9 della Costituzione, il Codice dei Beni Culturali, il T.U. per l’edilizia e quant’altro. Con colpevole complicità, a “sinistra” come a destra si è fatto come se si trattasse soltanto di una misura anticongiunturale, anziché di incidere permanentemente e irreparabilmente sulla facies del Paese.

Se davvero il governo in carica vuol porre rimedio alle discrepanze tra legge dello Stato e leggine regionali, dunque, dovrebbe accorgersi, per cominciare, che i centomila abusi dell’ex-Belpaese sono figli non solo dei condoni Craxi-Berlusconi, ma anche, anzi ormai soprattutto, dell’abortito Piano Casa nazionale, che ha generato i mostriciattoli dei piani-casa regionali. Che, in mancanza della legge-quadro dello Stato, le leggi regionali sul Piano Casa sono tutte illegittime, e dunque andrebbero denunciate in blocco alla Corte Costituzionale. Che, dopo otto anni di connivenza, lo Stato potrebbe finalmente svegliarsi (come non ha fatto coi governi Monti, Letta, Renzi).

Sarà questa l’intenzione di Delrio? C’è da dubitarne, visto che dopo aver minacciato tuoni e fulmini contro le Regioni che devastano il paesaggio, il ministro rema contro se stesso dichiarando: “Non metto in dubbio la buona fede delle Regioni e cerco sempre di evitare qualsiasi contenzioso”. Programma, quest’ultimo, di auto-accecamento, del tutto in linea con quanto governi d’ogni colore hanno fatto da troppi anni a questa parte. Dovremo annotare la dichiarazione di guerra agli abusi di Delrio come un esercizio di retorica estiva? O come un appunto per chi ci governerà l’anno prossimo di questi tempi?

«Il caso . Dopo la sospensione per violazione della sicurezza, il via libera . così il pollaio abusivo diventa villa». la Repubblica,12 agosto 2017 (c.m.c.)

I lavori della villa-mausoleo che domina, dalla provinciale per Itri, il panorama di Sperlonga, dopo il sequestro del cantiere di un mese fa, sono ricominciati come in un drammatico déjà vu che ormai, per gli abitanti del borgo magico, si ripete da anni. Dieci giorni fa, la serie di inchieste di Repubblica sull’Italia degli abusi, iniziò proprio da quella cittadina incantevole il cui territorio è stato sfregiato da manufatti illegali costruiti in barba a ogni vincolo e regolamento. A cominciare dal sindaco di centrodestra, Armando Cusani, arrestato a gennaio scorso, ai domiciliari da marzo ma ancora in carica. Il suo hotel, Grotte di Tiberio, sulla statale Flacca, malgrado l’ordine perentorio di demolizione, a spese del primo cittadino e del suocero socio al 50%, entro 90 giorni dal ricevimento dell’atto, è ancora lì. Il 6 agosto era il termine ultimo per buttare giù tutto.

Alle sue spalle, sulla montagna, i lavori dell’arrogante villa costruita da un idraulico di Sperlonga diventato milionario grazie a una giocata al superenalotto, sono ripresi dopo il dissequestro dell’area, cinque giorni fa. I sigilli, spiegano dagli uffici comunali, erano stati messi per violazione di norme sulla sicurezza sul lavoro, non per abuso edilizio. Il ricorso al tar ha dato ragione all’idraulico e operai e ruspe sono tornati a metter mattoni a pieno ritmo per recuperare il tempo perduto. Che l’idraulico porti lo stesso cognome del vicesindaco, Francesco Faiola, indagato per l’abuso edilizio di un intero quartiere – sulla carta area popolare, di fatto trasformato in polo turistico – su cui lui e Cusani hanno costruito illegalmente l’hotel Ganimede, è solo una coincidenza.

Leone Faiola però una parentela nelle alte sfere della politica locale la ha. La moglie, Anna De Simone, proprietaria della villa, è la zia dell’ormai ex assessore all’Urbanistica di Sperlonga, in carica quando, nell’agosto del 2014 cominciarono i lavori di costruzione di quel mausoleo. Malgrado sull’area gravi un vincolo paesaggistico, le carte sono perfettamente in regola. In sintesi: cinque anni fa Faiola vinse insieme ad altri 25 giocatori, 62milioni di euro, rilevò la concessione di quel terreno su cui fino al 2012 insisteva un pollaio abusivo, dai figli dell’originario proprietario, il chirurgo Valdoni per 500mila euro, quindi iniziò la rapida trafila burocratica per ottenere tutte le scartoffie. Un piccolo stop di facciata ci fu nel febbraio 2014 quando i consiglieri di minoranza del Pd tirarono fuori un vecchio verbale firmato da un vigile urbano, diventato nel frattempo capo dell’ufficio tecnico e firmatario del placet per la nuova costruzione di Faiola, in cui ordinava lo sgombero del pollaio in quanto fuorilegge per via dei vincoli di quel luogo. Nell’agosto dello stesso anno però tutto risolto.

I lavori cominciarono ma con un nuovo permesso: una variante in corso d’opera che concedeva ancora più metri quadri di cemento, anche se l’opera in realtà iniziava solo da quella data. Un abuso legalizzato e sanato da carte. «È il vecchio trucchetto – sorride di un riso amaro Nicola Reale, ex consigliere d’opposizione, il primo a denunciare gli affari illegali del sindaco – si continuano a sbandierare i permessi previsti dalla legge per dimostrare che il manufatto realizzato ha tutti i crismi della legalità.

Un santuario di illegalità, ecco cos’è Sperlonga, un territorio governato da una cupola di potere che decide e controlla ogni cosa: dalle nomine nei posti di rilievo ai singoli cittadini che vengono lusingati con promesse o intimoriti con minacce». «Cusani è un bravo uomo e ha sempre mantenuto le sue promesse, a me ha sistemato tutti i figli in posti buonissimi, lasciatelo in pace», dice la signora Carmela che di figli ne ha sette.

Quanto sono bravi Delrio, Gentiloni e tutti gli altri renziani a combattere l'abusivismo, seguendo da prodi l'esempio del sindaco (defenestrato) di Licata. Solo Alfano fa un po' il monello. la Repubblica, 12 agosto 2017, con postilla

IL proposito manifestato da Graziano Delrio di impugnare tutte le maleodoranti leggine regionali che nascondono condoni edilizi più o meno mascherati è senza dubbio alcuno coraggioso. Ma in un’Italia nella quale lo sport nazionale praticato dai politici, sia pure con qualche lodevole eccezione, è quello di ammiccare all’abusivismo, il rischio che questo proposito enunciato dal ministro delle Infrastrutture possa incontrare ostacoli insormontabili è davvero consistente.

Va riconosciuto che un segnale positivo è comunque arrivato dal governo di Paolo Gentiloni con la decisione di bloccare la legge della Campania che di fatto avrebbe ostacolato le demolizioni: e riusciamo appena a immaginare i mal di pancia nella maggioranza, soltanto ricordando che quella Regione è oggi governata da un renziano a quattro ruote motrici qual è Vincenzo De Luca. L’inchiesta di Repubblica sul Paese degli abusi ha svelato il nuovo volto del condono made in Italy, sparito dai radar nazionali per riparare comodamente, sotto molteplici forme in qualche caso ben più subdole perché mascherate, nelle pieghe delle leggi regionali. Sanatorie spuntate con la motivazione tanto encomiabile quanto velenosa di “evitare il consumo del suolo”.

Mentre si afferma con provvedimenti votati dagli eletti nei consigli regionali il folle principio dell’abuso “per necessità”, come se fosse necessario per risolvere un personale problema di alloggio tirare su una palazzina alla faccia di qualunque regola e del rispetto dell’ambiente.

La nostra inchiesta ha pure documentato come il rapporto fra la politica e certa burocrazia ottusa o corrotta da una parte, e l’illegalità ambientale dall’altra, sia più solido che nel passato. E chi non si adegua paga a caro prezzo. Non è servita la lezione delle sanatorie che hanno legalizzato il massacro del nostro territorio e dei nostri conti pubblici, considerando la vergognosa sproporzione fra i magri incassi dei condoni e la valanga di denari pubblici spesi per dare servizi agli abusivi. Né è servito, ciò che appare decisamente più grave, il sacrificio di chi come il sindaco di Pollica Angelo Vassallo ha perso la vita per contrastare uno scempio che spesso porta il marchio della criminalità organizzata.

Dice tutto, a proposito del ruolo di certa politica in questo sporco affare, la sconcertante vicenda del sindaco di Licata, sfiduciato dal consiglio comunale per aver deciso di abbattere le costruzioni abusive. Angelo Cambiano ha raccontato allanostra Alessandra Ziniti di aver ricevuto la visita del ministro degli EsteriAngelino Alfano, siciliano, che gli ha pubblicamente manifestato tutta lapropria solidarietà, incitandolo a proseguire nell’azione di recupero dellalegalità. Ma quando si è poi passati dalle parole ai fatti, i consiglieri delpartito Alternativa popolare del quale Alfano è il leader, sono stati in primalinea nel chiedere la sua testa e farlo così cadere. Dettaglio non irrilevanterivelato da Cambiano, ben sette esponenti di quella parte di assemblea comunaleche lo ha sfiduciato si trovavano in conclamato conflitto d’interessi: essendoabusivi loro medesimi. Adesso che il sindaco è stato tolto di mezzo, e con luile ruspe, di certo dormiranno sonni più tranquilli.

Ma l’ipocrisia chetrasuda da tale inqualificabile storia è insopportabile. Per questo unsimile sfregio alla legalità e all’onestà tira in ballo anche la responsabilitàoggettiva del capo di quel partito. E c’è solo un modo per riparare. Se le cosestanno come ha denunciato Cambiano, sarebbe ora doverosa da parte di Alfano nonsoltanto una pubblica presa di distanza pubblica da quei consiglieri, ma anchel’applicazione nei loro confronti della sanzione politica estrema.
postilla

È davvero difficilecomprendere se chi loda Delrio per le sue dichiarazioni contro l’abusivismourbanistico sia del tutto smemorato o in malafede. Delrio non è stato forseossequente ministro di quel Matteo Renzi che, con il suo Sblocca Italia, ha condonatoa priori ogni abuso, ogni deroga, ogni infrazionealle regole della pianificazione del territorio? Che ha svuotato di potere le “burocrazie”ordinate al suo buongoverno? (Chi ha pazienza i rilegga il pamphlet, curato da Tomaso Montanariper i testi e Sergio Staino per leillustrazioni, edito da Altraeconomia, che denunciò gli effettidevastatori delle “politiche territoriali” della banda Renzi, e che intitolammo
Rottama Italia)
Ed è altrettantodifficile comprendere se chi se la prende con Angelino Alfano invece che con Marco Minniti ha compreso davverocome stanno le cose: chi ha il potere e chi no.
Ma veniamo all’oggi,al “miracolo di Licata” che ha riaperto il dibattito sull’abusivismo. Questoevento ha due facce, una buona e una cattiva. La buona è l’iniziativa di unsindaco onesto, Angelo Cambiano che, fedele al suo ruolo, ha osato combattereper davvero l’abusivismo. La faccia cattiva è il consiglio comunale che,insorto a difesa degli abusivisti, ha tolto la fiducia al sindaco condannandoloall’impotenza.
Che cosa farebbe ungoverno non servile nei confronti degli abusivisti: il ministro degli interniscioglierebbe il consiglio comunale, nominerebbe un commissario ad acta eproseguirebbe in questo modo l’opera del sindaco. Che fa il governo di cuiDelrio fa parte? Nulla, parole al vento; di cui quelle scritte da Sergio Rizzosono un buon esempio.

Aspettando che Marco Minniti, implacabile custode del rispetto della legge da parte dei poveri e dei diversi, la applichi anche quando, in quanto ministro dell'Interno, deve colpire i suoi affini: i componenti del consiglio comunale di Licata. Articoli di Alfredo Marsala,Gian Antonio Stella, Alessandra Ziniti, da il manifesto, Corriere della Sera, la Repubblica, Il FattoQuotidiano, 11 agosto 2017

il manifesto
LICATA, ABBATTUTO IL SINDACO ANTI-ABUSI.
ALFANIANI DECISIVI.
di Alfredo Marsala

«Il consiglio comunale della città agrigentina sfiducia Cambiano. Scontro con il candidato governatore M5S favorevole alle sanatorie»

Quando ha visto che anche i consiglieri di Ap gli avevano votato la sfiducia ha capito che lo Stato aveva speso solo belle parole. Appena un anno fa, dopo il secondo grave attentato subito, Angelino Alfano, allora capo del Viminale, si era recato a Licata per incontrarlo. Angelo Cambiano, eletto sindaco nel 2015, lo aveva ricevuto nel suo ufficio del palazzo di città. «E’ finito il tempo della politica che coccola gli abusivi», assicurò il ministro, mentre gli operai cercavano di ripulire le mura annerite della casa della famiglia del sindaco data a fuoco la sera precedente.

Cambiano ci aveva provato in tutti i modi a uscire dall’isolamento in cui sentiva di trovarsi, sotto pressione costante da parte degli abusivi e malvisto da una parte della città che non sopportava la sua sovraesposizione. Minacciato e intimidito più volte, il sindaco, che aveva pure ricevuto proiettili e ormai andava in giro con la scorta assegnatagli dalla Prefettura, era diventato per tutti «il demolitore»; nonostante andasse ripetendo che stava solo facendo applicare i provvedimenti della magistratura di Agrigento che gli aveva consegnato l’elenco degli immobili da abbattere perché fuorilegge e che se non l’avesse fatto sarebbe stato accusato di favoreggiamento. In qualche modo Cambiano era riuscito a fare accendere i riflettori mediatici su Licata, mentre le ruspe abbattevano una alla volta ruderi e casette costruite illegalmente entro i 150 metri dalla costa, in totale una settantina.

Cambiano ha resistito alle minacce convincendosi di potere resistere ai blocchi e ai sit-in degli abusivi contro le demolizioni, anche se altri amministratori facevano scelte diverse. Dove non ci sono riuscite le minacce c’è però riuscita la politica. Due sere fa, il consiglio comunale, dove aveva la maggioranza, gli ha voltato le spalle. A sorpresa, è passata la mozione di sfiducia che era stata presentata da 16 consiglieri; bastavano 4 voti in più per mandare il sindaco a casa, alla fine i voti favorevoli sono stati 21, uno in più del quorum. E proprio i voti di Ap sono stati determinanti. Sulla carta nella mozione gli vengono contestate scelte sbagliate che avrebbero fatto arrivare meno fondi nelle casse comunali. «Il vero motivo lo sanno tutti qual è, ma non hanno il coraggio di dirlo», dice Cambiano, che impugnerà l’atto perché «le motivazioni riportate nella mozione sono solo bugie». Intanto è pronto a tornare al suo mestiere di insegnante di matematica dopo essere diventato il simbolo della lotta contro l’abusivismo.

«Sono deluso e amareggiato. Se questa è la fine che fanno gli amministratori che fanno solo il proprio dovere: ho avuto minacce di morte, proiettili, due case incendiate», aggiunge. «Vuol dire che è una classe politica inadeguata, alla ricerca solo del consenso elettorale e non accetto chiamate e solidarietà a posteriori – sbotta – Sono amareggiato dalla politica e dalla sua falsità alla ricerca solo del consenso. Quella di demolire immobili non è stata una scelta politica. Ci sono delle sentenze della magistratura che lo hanno decretato e le sentenze vanno rispettate». Difende comunque la sua città: «Licata non è una città di delinquenti». «Ho 36 anni, sono padre da 9 mesi, vorrei riappropriarmi solo della mia vita», continua.

Puntuali le solidarietà. Ma anche la polemica. C’è chi collega la sfiducia a Cambiano con le dichiarazioni fatte appena il giorno prima da Giancarlo Cancelleri; il candidato a governatore in Sicilia per i 5stelle aveva parlato di «abusivismo di necessità», richiamandosi al «modello Bagheria» del sindaco pentastellato Patrizio Cinque che ha concesso un condono edilizio, accettando 4.500 pratiche. «Mentre viene sfiduciato un bravo e onesto sindaco – dice l’ex presidente dell’Antimafia Francesco Forgione – Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Cancelleri difendono l’abusivismo ma dicono quello di necessità. Esattamente come diceva Totò Cuffaro quando gli abusivi da lui sostenuti facevano i cortei dietro lo striscione ‘Forgione uguale demolizione’. Ecco la differenza tra la legalità praticata e la parola onestà urlata come slogan a casaccio».

Critica anche Legambiente: «Sicuramente se altri sindaci, invece di nascondersi dietro cavilli e rinvii, si fossero comportati con serietà e rigore e avessero anche loro applicato la legge e avessero abbattuto gli abusi edilizi, come fa il sindaco di Carini, Angelo Cambiano non sarebbe rimasto isolato. E c’è chi adesso, con una encomiabile faccia di bronzo, parla di ‘abusivismo di necessità’ solo per raccattare qualche voto cavalcando il populismo. Ma quante case abusive sono state abbattute a Bagheria da quando è stato eletto tre anni fa il sindaco 5 stelle? Altre nuove pagine di politica vergognosa».

Corriere della Sera
A LICATA CACCIANO IL SINDACO
NEMICO DELLE VILLETTE ABUSIVE
di Gian Antonio Stella

L’ «eroe per caso» della guerra agli abusivi, il giovane sindaco di Licata, ha tenuto duro per mesi. A dispetto degli insulti, delle minacce, degli attentati, del peso di doversi muovere con la scorta. Lo sapeva, però, che il suo destino era segnato. E la mozione di sfiducia è stata solo il passaggio formale. Poche settimane e la Sicilia va alle elezioni regionali. E chi ce l’ha il fegato di sfidare il Pau, cioè il Partito abusivi uniti?

È una sconfitta pesante, per l’immagine e l’onore di tutta l’isola, la demolizione politica e clientelare, in consiglio comunale, di Angelo Cambiano, il simbolo stesso del rispetto della legge sulle demolizioni dei villini costruiti all’interno della fascia vietatissima dei 150 metri dal mare. Una sconfitta per Angelino Alfano che, tirato in ballo dalle suppliche a «far sentire l’appoggio del governo», aveva sventolato il suo appoggio al primo cittadino in difficoltà davanti alla rivolta dei fuorilegge: anche gli alfaniani hanno votato per la decapitazione della giunta comunale. E una sconfitta più ancora per lo Stato, che si era illuso di riuscire finalmente a imporre, in quell’angolo di Sicilia, il rispetto della legge. Trent’anni di condoni

Per capire la dimensione della batosta, però, va fatto un passo indietro. Ricordando come dal primo condono craxiano del 1985, seguito dai due berlusconiani del 1994 e 2003, centinaia di migliaia di abusivi siciliani, protagonisti di un furioso saccheggio delle coste (si pensi a Triscina: cinquemila villette illegali tirate su a due passi da Selinunte) scelsero di versare un piccolo acconto avviando le procedure del condono, necessarie per bloccare le inchieste e le demolizioni, per poi non occuparsene mai più. Certi che la burocrazia isolana, tra le peggiori del pianeta, avrebbe ingoiato tutto.

Cosa puntualmente avvenuta. Basti dire che la «sanatoria delle sanatorie» offerta da Totò Cuffaro ai 400 mila isolani che da anni lasciavano marcire le pratiche dei vecchi condoni, fu accolta con l’1,1% di adesioni a Palermo, lo 0,37% a Messina, lo 0,037% a Catania, lo 0,025% ad Agrigento. E l’incasso fu di 1 milione e 85 mila euro: un settecentesimo del previsto.

L’ambiente era tale che nel 2001 lo stesso vescovo agrigentino Carmelo Ferrara, alla minaccia dello Stato di buttar giù almeno le più oscene delle 607 costruzioni illegali costruite dentro il parco archeologico, rispose attaccando le «ruspe immorali», denunciando «una campagna di mistificazione contro la città» e incitando alla ribellione «contro lo stato-padrone». I villini da abbattere

Fu questo, «il contesto» di sciasciana memoria nel quale Angelo Cambiano diventò un «eroe per caso». Era un giovane docente di matematica, non aveva fama di fanatico ambientalista e la lista civica che l’aveva eletto non era fatta di rivoluzionari. Anzi. Ma il commissario di governo uscente, con le chiavi della città, gli consegnò anche un tesoretto di 300 mila euro accantonati per cominciare a buttar giù, finalmente, almeno i villini colpiti da ordinanze inappellabili di demolizione. Cioè 216 su centinaia e centinaia. Come già i lettori sanno: tutte seconde case, quasi tutte sul mare, tutte tirate su a dispetto della legge.

In altre situazioni, forse, lo stesso Angelo Cambiano avrebbe preferito poter dire, come tanti altri sindaci, «spiacente, le ruspe costano e non abbiamo soldi». Meno grane. Meno odio. Meno rischi. I soldi in cassa, però, lui li aveva. I magistrati Renato Di Natale e Ignazio Fonzo, che già avevano dato una scossa imponendo ai comuni di prendere di petto il tema, glielo ricordarono. E lui ne prese atto. Facendo il suo dovere, cosa rara in certe realtà, nonostante la rivolta di tanti amici e amici degli amici: «Picchì giustu a ‘nattre?» Perché solo a noi? Perché le ruspe qui e non in altri comuni e contro altri abusi?

Confronto duro. Tanto che l’associazione «Periscopio, Osservatorio permanente sui rispetto della legalità» (sic) arrivò a firmare un «esposto querelatorio» contro il prefetto, il sindaco, i dirigenti dell’urbanistica e così via accusandoli di aver «prevaricato nelle loro funzioni istituzionali nella nota e triste vicenda…» Per non dire degli appelli («Perché proprio adesso, dopo anni? Perché proprio noi se in Sicilia ci sono un milione di case abusive?») e infine delle minacce.

Ci voleva coraggio a tener duro in nome dello Stato. Angelo Cambiano lo ha avuto. Ma come reggere un «contesto» in cui decine di deputati e senatori e consiglieri regionali si vantano di essere contro le ruspe e lo stesso governatore Rosario Crocetta nega le voci di una sanatoria ma pensa alla «possibilità dell’utilizzo sociale di alcuni immobili costruiti abusivamente che potrebbero, dopo la loro acquisizione al patrimonio pubblico, essere inseriti in piani di recupero...»? Come interpretare certi messaggi quali l’ultima apertura del candidato grillino alla Regione Giancarlo Cancelleri verso gli «abusivi per necessità», storica formuletta che le vecchie volpi partitiche d’ogni colore usano da sempre per stoppare le ruspe? L’altra «rivolta»

Non bastasse, il sindaco di Licata non è il primo a esser buttato fuori. A gennaio era già stato costretto ad andarsene Pasquale Amato, primo cittadino di Palma di Montechiaro: mezzo paese (a partire dai delinquenti che lo tempestavano di lettere minatorie) non gli perdonava di aver appoggiato una serie di demolizioni obbligate da sentenze definitive. Al posto suo, oggi, c’è Stefano Castellino che, come hanno scritto i giornali locali, si è presentato «con le idee chiare». Primo punto: basta ruspe. I soldi, dice, possono essere spesi meglio. Il tutto, si capisce, nella convinzione «che la legalità, la trasparenza e la chiarezza siano essenziali». Ma che statista...

la Repubblica
LICATA SFIDUCIA IL SINDACO DELLE RUSPE "PER NOI ITALIANI L'ONESTÀ È UN LUSSO"
di Alessandra Ziniti
«Tra i consiglieri comunali che hanno votato contro Angelo Cambiano sette proprietari di immobili nella “lista nera”»

La nota riservata è sul tavolo del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio da un paio di settimane. Angelo Cambiano gliel’ha inoltrata dopo aver ricevuto la segnalazione dal dirigente dell’ufficio tecnico che, come lui, vive da mesi sotto scorta. Sette dei ventuno consiglieri comunali che mercoledì sera hanno deciso di mandare a casa il giovane sindaco che si era messo in testa di far abbattere le case abusive, risultano proprietari di immobili nella lista nera.

«Ora mi piacerebbe sapere se è legittimo che tra coloro che mi hanno votato la sfiducia ci sono persone coinvolte direttamente in questa vicenda», dice Angelo Cambiano il giorno dopo aver perso la sua battaglia, mandato a casa non dal popolo degli abusivi che lo ha minacciato, aggredito, bruciato due case, ma dalla politica che gli ha girato le spalle. Tranne il Pd e parte della sua maggioranza centrista, tutti gli altri, a cominciare dagli uomini del ministro Angelino Alfano, gli hanno votato contro.

«Sono amareggiato dall’ipocrisia e dalla falsità della politica. I messaggi di solidarietà postumi li ho respinti tutti al mittente. Un’attenzione prima di questo atto, che non è solo nei miei confronti ma della buona politica, forse avrebbe cambiato il corso di questa paradossale vicenda».

Oggi tutti indignati. Chi si è fatto sentire?
«Mi ha chiamato il presidente dell’Assemblea regionale Ardizzone, il governatore Crocetta mi ha assicurato che non manderà un commissario “morbido”. Sa che le dico? Tutte parole al vento ».
E Alfano che era venuto a Licata a garantirle vicinanza dopo il primo attentato?
«Non pervenuto. Meglio così. Mi rimbombano ancora le sue parole il 9 maggio nell’aula consiliare di Licata: “Basta con la politica che coccola gli abusivi. Ho dato indicazione ai miei di starle vicino”. E invece tra i promotori della mozione di sfiducia ci sono proprio i suoi fedelissimi. Ma la politica in Sicilia non è ricerca di soluzioni, ma del consenso. E ora a novembre si vota per le Regionali ».

E l’abusivismo è un grande aggregatore di consenso. Anche il candidato del M5S ha assunto una posizione precisa.
«Avevo incontrato Cancelleri mesi fa e mi aveva incoraggiato ad andare avanti con le demolizioni. Ora gli sento dire che agli “abusivi per necessità” non verrà demolita la casa. Ma chi sono gli abusivi per necessità? Sono solo slogan per avere i voti di questa gente».

Si sente sconfitto?
«Sono stato sconfitto da una classe politica inadeguata che ha devastato i territori, che ha perso un’occasione di riscatto che poteva essere anche di rilancio per la nostra terra. E soprattutto che ha perso il treno per affermare una cosa che dovrebbe essere scontata, e cioè che la legge si rispetta. Lo ribadisco: non è stata una scelta politica abbattere le case, c’erano sentenze della magistratura che andavano rispettate senza se e senza ma».

E adesso? Intende veramente tornare a fare l’insegnante?
«Fino a ieri pensavo che non volevo rassegnarmi, oggi penso che ho 36 anni, un figlio di nove mesi e vorrei riappropriarmi della mia vita magari credendo ancora nella buona politica, anche se è difficile pronunciare queste parole in questo momento».

“E ora andiamo a riprenderci quello che è nostro”, direbbe Gaetano Patanè, il sempiterno sindaco della Pietrammare di Ficarra e Picone dopo aver costretto alle dimissioni il suo rivale che aveva provato a far scattare “l’ora legale” in quel paesino della Sicilia. Come ha reagito ieri la sua Licata?
«La solidarietà che mi è stata espressa già nei giorni scorsi da Ficarra e Picone è stata una delle poche che ho gradito. Forse, come dicono loro, con questa crisi l’Italia non si può permettere l’onestà. Licata è una città difficile. Oggi forse molti si stanno rendendo conto che in fondo avevano un buon sindaco, molti altri sono venuti a chiedermi di ricandidarmi per non lasciare la città nelle mani dei ladroni. Vedremo, è ancora presto».

il Fatto Quotidiano
LICATA,CACCIATO SINDACO CHE VOLEVA DEMOLIRE L'ABUSIVISMO.
NEI GIORNI SCORSI LA SOLIDARIETÀ DI FICARRA&PICONE

«Il consiglio del comune siciliano sfiducia il primo cittadino con 21 voti. Angelo Cambiano che da mesi vive sotto scorta paga così la sua lotta alle case abusive che da decenni occupano la fascia entro i 150 metri del litorale: "Torno a insegnare matematica, ma tutti sanno perché sono stato messo alla porta". Pioggia di reazioni. Randisi (Antimafia): "Sconfitta per un'intera comunità"».

Sfiduciato il sindaco antiabusivi di Licata (Agrigento). Il consiglio comunale del comune siciliano ieri notte ha votato la mozione per mandare a casa Angelo Cambiano, da mesi sotto scorta che paga così la sua lotta alle case abusive che da decenni occupano la fascia entro i 150 metri del litorale di Licata. «Mi accusano di non aver fatto arrivare al Comune risorse e finanziamenti, ma non è vero perché ho portato oltre 52 milioni di euro. Il vero motivo lo sanno tutti, qual è ma non hanno il coraggio di dirlo. Io me ne torno al mio mestiere di insegnante di matematica, ma la politica qui dovrà assumersi le sue responsabilità: quella di dire alla gente che un sindaco che fa niente di più che il suo dovere viene cacciato meno di due anni dopo l’inizio del suo mandato».

La sfiducia passa al termine di una seduta tesissima di tre ore e mezza in consiglio con 21 voti, uno in più dei 20 che servivano. Sedici i consiglieri che avevano sottoscritto la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco espressione di una lista civica di sinistra, venti i voti necessari per far passare la sfiducia, ventuno quelli che hanno defenestrato il sindaco che, dopo gli incendi di due case di famiglia, minacce e intimidazioni, vive sotto scorta. Cambiano ha già fatto sapere che impugnerà l’atto perché «le motivazioni riportate nella mozione sono solo bugie». Nei giorni scorsi anche Ficarra e Picone erano intervenuti a favore del sindaco, con un tweet, in cui lo hanno paragonato al sindaco protagonista del loro ultimo film, L’Ora Legale.

Sui social, dalla notte scorsa, sono tanti i post di cittadini dispiaciuti per la sfiducia. «Per me – scrive un sostenitore – Angelo Cambiano è stato il miglior sindaco di Licata degli ultimi 20 anni. Io non devo rendere conto a nessuno delle mie affermazioni o azioni, non so se chi ha votato la sfiducia può affermare di essere parimenti libero». Un altro utente è lapidario: «Paese di ignoranti e raccomandati. Siamo abusivi e resteremo abusivi. E devo sentir parlare persone che non sanno nemmeno cosa significhi. Grazie di tutto». Il caso è già diventato politico.

A Cambiano arriva la solidarietà di Legambiente che parla di “pagina triste”, ma anche da Alessandro Pagano, di Noi con Salvini, che lancia l’hashtag #iostoconCambiano. «La comunità licatese – afferma il presidente dell’Associazione antimafia, Nino Randisi – adesso è ferita da questa scelta improvvida di una classe politica miope e sempre un passo indietro rispetto ai valori di legalità reclamati dagli stessi cittadini che avevano eletto Cambiano. Un segnale grave questo che ancora una volta sottolinea come i politici abbiano ritenuto che il problema a Licata fosse il sindaco e non invece le costruzioni abusive edificate in barba alle leggi urbanistiche».

«Sfruttano i cavilli e i tempi lentissimi della giustizia. Così il condono è diventato una specializzazione per gli avvocati più intraprendenti». la Repubblica, 10 agosto 2017 (c.m.c.)

La colpa è del proprietario dell’immobile. Anzi, no: lo studio legale specializzato in abusi edilizi promette sul suo sito che «ci sono casi in cui si può impostare una strategia tendente ad alleggerire la responsabilità chiamando in causa il titolare del cantiere edile». Se poi anche il titolare del cantiere ha un buon legale, saranno altri ad andare a giudizio. O forse nessuno, perché alla fine si paga una multa, oppure il reato è prescritto.
Il titolare dello studio legale di Ariccia che promette «strategie di alleggerimento» preferisce non rispondere, ma c’è invece chi ha voglia di raccontare quanto sia difficile occuparsi di diritto urbanistico in Italia. «Quando, anni fa, ho scritto la mia tesi sull’argomento — racconta Michela Scafetta, avvocata a Roma e a Napoli — ero convinta che il nostro sistema di leggi fosse perfetto. Ho svolto il praticantato a Pomigliano d’Arco e lì mi sono scontrata con un mondo che non credevo potesse esistere: la legalizzazione dell’abuso edilizio». L’avvocata riferisce di clienti che si rivolgono in maniera preventiva ai legali, e nei casi di piccoli abusi in appartamenti affermano: «Ma se io faccio fare tutto in una notte, chi se ne accorge? Trovo un tecnico che regolarizza il tutto e il gioco è fatto».
Oppure c’è chi vuole convincere l’architetto ad abbattere un muro portante, dicendosi pronti ad assumersi piena responsabilità della cosa: «Se il tecnico è incorruttibile — osserva l’avvocata — il problema non si pone, ma se invece si fa convincere, allora può capiretare che i palazzi crollino...». Spesso i clienti girano più studi legali finché trovano chi li asseconda. «Giorni fa a Napoli — racconta ancora Scafetta — ho ricevuto un cliente che dopo aver girato molti studi pugliesi che gli avevano spianato la strada di fronte a un abuso edilizio per un villaggio vacanze nel Gargano, in una zona vincolata e considerata non edificabile, mi esponeva il suo piano d’attacco per verificare anche con me se avrebbe potuto farla franca. Al mio parere fermo che l’opera è abusiva, che non può essere sanabile e implica un reato penale, il cliente per niente preoccupato mi ha detto: “Avvocato, l’importante è che riesco a patteggiare!”».
Per alcuni costruttori, perciò, la «strategia di alleggerimento », le spese per l’avvocato e per pagare la sanzione vengono previste tra i costi di realizzazione dell’opera. «La normativa è farraginosa — conferma l’avvocato Bergaglio, che esercita invece a Milano — da noi arrivano persone che hanno compiuto abusi per ignoranza o perché mal consigliati, ma anche, è vero, perché sanno di poter sfruttare ogni appiglio e cavillo». Secondo il penalista milanese però le cose stanno cambiando: «Un tempo mettere in conto l’abuso era conveniente, adesso, vista la stretta sui condoni, nella grande lottizzazione il rischio è troppo alto. Da me arrivano soprattutto persone che si ritrovano nei guai: per deontologia mai assisterei qualcuno per dargli indicazioni su come aggirare le norme, non insegno a delinquere ».
Ma come in ogni ambito, c’è chi di fronte al guadagno chiude un occhio: «Dal punto di vista economico — osserva Bergagli — la parcella per casi di abuso edilizio non è alta, direi tra i 4 mila e i 15 mila euro, a fronte di parecchio lavoro. Diverso è se si tratta di grandi lottizzazioni».
L’avvocata Lory Furlanetto, dei Centri di azione giuridica di Legambiente, allarga il discorso: «In Italia il problema è una cultura incapace di considerare l’abuso un costo enorme che paga tutta la collettività, e non soltanto per i danni all’ambiente, ma per le casse dei comuni. Non colpevolizzerei gli avvocati, a facilitare l’abusivismo ci sono anche studi notarili e tecnici pronti a istituire pratiche di condoni finti su opere inesistenti, se all’orizzonte c’è una sanatoria».

Parla l’avvocato generale della Corte d’Appello di Napoli Gialanella: “I Comuni non collaborano”». la Repubblica, 9 agosto 2017 (c.m.c.)

«I segnali che arrivano dalla politica in tema di abusi edilizi non mi sembrano esattamente improntati al principio della tolleranza zero», dice l’avvocato generale della Corte d’Appello di Napoli Antonio Gialanella. Dalla sua scrivania, passano tutte le procedure di demolizione di competenza della Procura generale con a capo il pg Luigi Riello.

I due magistrati, d’intesa con le Procure del distretto, hanno dato un forte impulso alla lotta contro il cemento illegale. Ma è una partita che spesso l’autorità giudiziaria non gioca ad armi pari. E non solo per i numeri: a fronte di più di mille procedimenti pendenti, gli abbattimenti eseguiti dalla Procura generale nel 2016 non superano la settantina. «Abbiamo casi, come quello di un centro sportivo, dove l’ingiunzione a demolire è arrivata nel 2008 e solo otto anni più tardi, a novembre 2016, è iniziata la demolizione».

Perché è così difficile mandare giù un manufatto abusivo?
«Innanzitutto serve una sentenza definitiva e i tempi del processo penale non sono brevi. Anche perché parliamo di reati contravvenzionali che vengono giudicati, spesso, in territori dove i tribunali devono confrontarsi con omicidi e delitti di mafia. Dopo la condanna, comincia un altro iter a sua volta molto complesso ».

In cosa consiste?
«Il proprietario dell’immobile può opporsi sul piano giudiziario e avviare procedure strumentali su quello amministrativo. Questo può portare via anche degli anni. E non bisogna dimenticare che senza soldi non si può demolire ».

Chi finanzia l’abbattimento?

«Ci sono casi in cui il destinatario, quando non ha più alternative, procede all’autodemolizione per risparmiare sui costi. Altrimenti, si attiva il finanziamento della Cassa depositi e prestiti. Ma può farlo solo il Comune. È un vero e proprio mutuo concesso all’ente che, dopo la demolizione, si rivale sul proprietario».

Anche il finanziamento richiede tempi lunghi?
«La pratica va istruita. I problemi però ci sono anche a monte ».

In che senso?
«Debbo registrare lentezze dei Comuni nel ricorso al finanziamento della Cassa depositi e prestiti. Come Procura generale, abbiamo dovuto segnalare gli atteggiamenti, per così dire, poco collaborativi di alcune amministrazioni ».

A questo si riferiva quando parlava della politica che non sembra orientata verso la tolleranza zero?
«Questo è un aspetto. Ma arrivano segnali che suscitano perplessità anche dalla Regione Campania, con la legge, ora impugnata dal governo Gentiloni, sulle “misure alternative agli abbattimenti”. Al di là del merito, si rischia di lanciare un messaggio che non scoraggia gli abusi. Come del resto suscita perplessità anche il disegno di legge Falanga ».

Perché un giudizio così severo?
«Se, da un lato, il disegno di legge attribuisce maggiori poteri al prefetto, e questo potrebbe velocizzare le procedure di finanziamento, dall’altro fissa dei tetti di spesa per gli abbattimenti assolutamente inadeguati: 5 milioni per le procedure del 2016 e 10 per quelle tra il 2017 e il 2020 per tutto il territorio nazionale».

Non bastano?
«Le faccio solo un esempio: il Parco nazionale del Vesuvio, che sta svolgendo un’opera meritoria in questa battaglia, ha stanziato nell’ultimo bilancio 659 mila euro».

Sono tanti soldi.
«Sulla carta sì. Però sono già pronti due progetti di demolizione di competenza della Procura generale dell’importo di 300 mila euro, altri due della Procura di Nola per i quali occorrono 860 mila euro e sette della Procura di Torre Annunziata che richiedono 300 mila euro. Una demolizione di media entità non costa mai meno di 50 mila euro. Per abbattere il centro sportivo di cui le parlavo prima, è stato impegnato un milione e mezzo».

Le cautele della politica, almeno in alcuni casi, non possono essere dettate anche dalla volontà di non colpire chi ha realizzato un abuso per necessità?
«È sbagliato presentare la demolizione come uno strumento che penalizza solo gli ultimi. I fatti dimostrano che spesso in gioco ci sono interessi criminali, speculazioni, paesaggi devastati».

«"Come luogo di residenza e di vita, la città turistica diventa invivibile per l’autoctono.." Pubblichiamo un estratto dal saggio di Marco d’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo». che-fare.com, 4 agosto 2017 (c.m.c)

Marco d’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, Feltrinelli

I geografi distinguono “tre tipi fondamentali di città turistiche: le stazioni (resorts) turistiche ‘costruite espressamente per il consumo dei visitatori’; città turistiche storiche che ‘pretendono un’identità culturale e storica’; e città convertite, luoghi di produzione che devono ricavare uno spazio turistico all’interno di contesti altrimenti ostili ai visitatori”.

Poiché non esiste ormai città al mondo in cui non capiti per sbaglio qualche turista, il termine città turistica va precisato: per esempio, molti stranieri visitano São Paulo, ma quest’enorme megalopoli brasiliana prescinde a tal punto dalla presenza di turisti che è impossibile trovarvi una cartolina da comprare, come si scopre con un sollievo di liberazione.

In senso lato, sono turistiche le città in cui il numero di visitatori annui supera di gran lunga il numero di abitanti: in questo senso sono tali non solo Kyoto, Dubrovnik, Bruges, Venezia o Firenze, ma anche centri più grandi come Roma o Barcellona; persino Parigi e Londra sono “città turistiche”, come anche New York, se ci si limita all’isola di Manhattan. Ma in senso più stretto, il turismo sta diventando la sola industria locale per molte città, che così diventano company towns, come Essen era la città dell’acciaio (Krupp), Clermont-Ferrand quella della gomma (Michelin), Detroit e Torino erano le città dell’automobile (General Motors e Fiat).

Come per i corpi c’è una temperatura precisa in cui passano dallo stato solido a quello liquido, o dallo stato liquido a quello gassoso, ed è la temperatura in cui avviene la transizione di fase, così si può definire una soglia precisa che separa una città turistica in senso stretto da una città che vive anche di turismo. Finché l’aflusso di visitatori non supera questa soglia, i turisti usufruiscono di servizi e prestazioni pensati per i residenti. Oltre questa soglia invece, i residenti sono costretti a usufruire dei servizi pensati per i turisti.

Il superamento della soglia di transizione ha conseguenze impreviste e irreversibili. Questo è chiaro nei ristoranti. Sotto la soglia, i turisti mangiano in ristoranti che cucinano per i locali, oltre quella soglia i residenti dovranno mangiare in trattorie mirate al mercato turistico. Trent’anni fa era praticamente impossibile mangiare male a Roma e Firenze. Oggi è difficilissimo mangiare bene. […] Nei termini dell’economia mainstream: il mercato per la domanda dei residenti non coincide con il mercato per la domanda dei turisti, ma i due mercati si sovrappongono nel tempo e nello spazio ed entrano in conflitto o divergono.

Se il residente ha bisogno di riparare le scarpe, mentre il turista ha fame di uno snack, e se i turisti spendono più dei residenti, il risultato è che scompare la bottega artigiana del ciabattino e si moltiplicano i fast-food. Non basta. Nella città turistica non è solo la tipologia dei servizi a mutare drasticamente, ma viene stravolta la stessa funzione degli edifici. Una volta l’ingresso nelle chiese era non solo libero ma auspicato. In fondo, se i poveri sarebbero stati i primi a entrare in paradiso, non si vede perché non dovevano entrare gratis nel tempio del signore.

Oggi invece per entrare a Santa Croce (Firenze) e in tantissime altre chiese bisogna pagare: “In tutto il mondo, chiese, cattedrali, moschee e templi si stanno convertendo da funzioni religiose a funzioni turistiche”. Così che i templi di una religione che considera il denaro un Demonio (Mammona, in altre lingue Mammon) sono accessibili solo grazie a quel denaro che maledicono. […] In generale, la proliferazione di stabilimenti e impianti turistici va di pari passo con la scomparsa di attività produttive, artigianali, ma non solo. Non è chiaro quale dei due fenomeni è causa e quale l’effetto: spesso sono effetto l’uno dell’altro e si rafforzano a vicenda.

In linea con l’idea “postmoderna” di turismo, si ritiene che le città lo sviluppino per compensare il declino dovuto alla deindustrializzazione. Fu certamente il caso dell’Inghilterra degli anni 1970-1990, quando il passato cominciò a diventare un’industria nazionale. Come osservò Robert Hewison nel 1987, dei 1750 musei allora presenti in Gran Bretagna, ben la metà era stata aperta dopo il 1970: in soli sedici anni erano stati istituiti tanti musei quanti in tutti i secoli precedenti! “Mentre le prospettive per il futuro sembrano ridursi, il passato cresce costantemente.”

Persino Manchester, che nell’Ottocento Friedrich Engels aveva scelto come paradigma di città manifatturiera, ha cercato di reinventarsi quale destinazione turistica (in particolare di turismo calcistico per i tifosi che da tutto il mondo vanno in pellegrinaggio allo stadio Old Trafford della squadra Manchester United), e ha impiantato in centro una bella ruota panoramica anche se non c’è assolutamente nulla da vedere.

In realtà, la funzione compensatoria va oltre l’ambito strettamente industriale: in una città il turismo acquista tanta più importanza quanto più declina ogni attività – industriale o meno – che produceva la sua tradizionale ricchezza. Così, una volta esauritasi la sua funzione portuale, Liverpool si è reinventata come attrattiva turistica, e là dove una volta si commerciavano schiavi in carne e ossa (a quella tratta la città dovette la sua rigogliosa, improvvisa crescita nel Settecento), ora sorge un “museo della schiavitù”.

Ma naturalmente l’esempio classico non può non essere Venezia che prese a coltivare la vocazione turistica ben quattro secoli fa, nel Seicento, quando la sua potenza commerciale mondiale stava svanendo nel ricordo. Fu a partire da quel momento che il Carnevale veneziano divenne un’attrattiva per tutta Europa, conoscendo il suo massimo splendore nel Settecento, quando richiamava decine di migliaia di stranieri (e tutta la nobiltà d’Europa) in cerca di bellezza e arte certo, ma soprattutto di gioco d’azzardo, divertimenti divulgati come sfrenati, débauche, licenziosità, trasgressione di tutte le inibizioni sociali (un po’ come il Carnevale di Rio ai giorni nostri). Ma (come nel Carnevale di Rio) era una sfrenatezza canalizzata e controllata dall’occhiuta e preoccupata Repubblica della Serenissima: “Fu instaurata una vera e propria politica dei piaceri. Il Carnevale divenne un’arma destinata a esorcizzare l’angoscia provocata dalla diminuzione del numero di nobili e dall’erosione del primato di Venezia sulla scena politica ed economica d’Europa”. […]

Ormai le tecniche per riplasmare la città turistica sono state perfezionate, testate e in un certo senso standardizzate, tanto che ovunque assisti allo stesso riarredo urbano “tipico, caratteristico, regionale”: l’industria turistica “ha messo a punto i procedimenti di condizionamento che permettono di consegnare i centri storici e i quartieri antichi già pronti per il consumo culturale. […]

Città turistiche che, per attrarre i turisti e per esaltare la propria irripetibile unicità, si ridisegnano, si ripensano, si riprogettano tutte uguali tra loro, nella lotta per sottrarsi turisti. Non bisogna più pensare alla singola città turistica, quanto alla rete, al sistema delle città turistiche. Ma il cambiamento più visibile nel tessuto urbano è provocato da una caratteristica specifica del turismo che era stata individuata da MacCannell: l’autenticità è visibile al turista solo se “marcata” da un marker, se “ostentata”, anzi, se “messa in scena” (staged). Qui il riferimento esplicito è alla teoria formulata da Erving Goffman sulla “presentazione di sé nella vita quotidiana”. […]

L’idea di Goffman è che nella civiltà moderna, nelle relazioni interpersonali, ogni persona si offre e si presenta agli altri costruendo la propria rappresentazione che cambia a seconda dei contesti e degli interlocutori, e quindi esponendosi su un “palcoscenico” (frontstage), e nello stesso tempo riservandosi un “dietro le quinte”, un backstage, delle coulisses in cui riorganizzare la presentazione, fare le prove, allestire i travestimenti, ripetere la parte, riprendere forze (il termine esatto italiano per coulisse sarebbe “retroscena”, il cui significato metaforico ha però sopraffatto quello letterale). Va sottolineato che per Goffman la dimensione teatrale del rapporto di sé agli altri non è un accessorio: è presente sempre e comunque in ogni interazione. […]

È questa messa in scena a dare alla città turistica la sua inconfondibile teatralità. Ogni città deve “recitare” se stessa: Roma deve mettere in scena la romanità, Parigi deve corrispondere all’idea che un americano si fa di Parigi. Il bistrot diventa la caricatura del bistrot. Nello stesso modo, Trastevere è la caricatura del romanaccio. […]

Se si accoppiano gli effetti della messa in scena da un lato e dell’eliminazione delle altre attività produttive dall’altro, si ottiene un deperimento complessivo della città turistica. Ho molto frequentato il Quartier Latin di Parigi per tutti i primi anni settanta del secolo scorso: era animato, vivo, nonchalant; quarant’anni dopo, è un quartiere morto, un’area disastrata dominata da squallore a buon mercato. Il Quartier Latin è un buon esempio di come il turismo può uccidere un quartiere facendolo vivere. Tutto il quinto arrondissement è come svuotato dall’interno, chiusi i negozi utili come ferramenta, mercerie, casalinghi, elettricisti; ogni manifestazione di vita locale è sostituita a poco a poco dal falso cinese, dal falso greco, dalla paninoteca e dal gelataio. E questo nonostante il quartiere sia ancora la sede della Sorbona, del Collège de France, di licei… […]

Proprio per la natura teatrale dell’attività turistica, “la posizione del lavoro nella fornitura di prodotti turistici è insolita, perché i lavoratori sono nello stesso tempo fornitori di servizi e parte del prodotto consumato”. Ovvero gli addetti all’accoglienza turistica costituiscono l’infrastruttura del sightseeing, ma sono nello stesso tempo essi stessi oggetto del sightseeing: la qualità del servizio, “l’amichevolezza, la cordialità” dei “locali” sono atout importanti per una destinazione turistica.

Detto in altre parole, un cameriere deve non solo servire a tavola, ma anche mettere in scena il servizio. In termini barthesiani, il linguaggio corporeo del cameriere deve connotare non solo la sua professione, ma anche la sua “italianità”, “francesità”, insomma la sua “tipicità”, nel senso dei “prodotti tipici”.Anche perché addetti e personale di servizio costituiscono in realtà la più frequente, e spesso l’unica, realtà umana locale con cui i turisti vengono a contatto. […]

E per gli altri autoctoni, che di turismo non vivono? Ma noi italiani lo sappiamo benissimo: lo “sguardo turista” agisce anche su chi di questo sguardo è oggetto, non solo su chi lo lancia: fa sì che i cittadini delle città d’arte vivano sempre sotto lo sguardo turista, vivano sempre sotto sorveglianza di uno sguardo letteralmente “fuori posto”. Come andare in bagno la notte quando la casa è piena di ospiti indesiderati, scavalcando corpi sconosciuti in salotto.

La metafora è appropriata perché, nei termini di Goffman, il cesso è il backstage, è il retroscena per eccellenza dei nostri teatri quotidiani: “Nella nostra società la defecazione implica un’attività individuale definita incompatibile con le norme di pulizia e purezza espresse in molte nostre rappresentazioni. Una tale attività obbliga sempre l’individuo a disfarsi dei vestiti e a ‘uscire dal gioco’, cioè a lasciar cadere la maschera espressiva che usa nell’interazione a tu per tu. Gli sarebbe difficile in queste condizioni ripristinare la propria facciata personale nel caso si presentasse all’improvviso la necessità d’interazione. È forse una delle ragioni per cui nella nostra società le porte dei bagni sono munite di serrature”.

Perché se il disvelamento progressivo del backstage non “allestito” è un inseguimento senza fine, e se il turista è l’Achille, allora l’indigeno è la tartaruga, alla ricerca di luoghi e situazioni sempre più romiti, più discosti, sempre più irraggiungibili dal turista. I residenti sono costretti a entrare in clandestinità, a comunicarsi sottovoce gli ultimi indirizzi accettabili (“ma non farlo sapere ai turisti!”). Ben sapendo che prima o poi anche quegli indirizzi affioreranno dalle coulisses e saliranno alla ribalta, costringendo gli autoctoni a cercare nuovi anfratti, nuovi rifugi provvisori.

Coscienti che l’esito è segnato: come luogo di residenza e di vita, la città turistica diventa invivibile per l’autoctono che sempre meno può permettersela in termini economici e sempre più ne è espulso in termini relazionali. In quanto industria, il turismo rende la città invivibile, proprio come la città manifatturiera (la Coketown di Dickens) era irrespirabile per i suoi slums, i suoi miasmi e fetori.

Il turismo non provoca questi effetti, ma uccide la città in modo più sottile, svuotandola di vita, privandola dell’interiore, proprio come nella mummificazione, facendola diventare un immenso parco a tema, un’immensa Disneyland storica, in una sorta di tassidermia urbana: musei e paninoteche, ruderi e boutique di lusso, “suoni e luci” tra pizze al taglio e ristoranti a tre stelle Michelin, isole pedonali, e poi tanti dormitori eleganti per ceti medi. Già oggi nel Nord Europa le isole pedonali si assomigliano tutte (sono un altro dei “non luoghi” di Marc Augé) e i centri vengono trasformati in entertaine- ment districts, dove però non si diverte nessuno. […]

Invertendo la vecchia idea di Alois Schumpeter, secondo cui specifica del capitalismo è la sua “distruzione creatrice”, il turismo pratica una “creazione distruttiva” perché producendo crescita economica e sviluppo distrugge le basi su cui quella crescita era basata.

«La lottizzazione di Borgo Berga, a Vicenza Palazzi a ridosso di due fiumi e a pochi metri da una zona patrimonio dell’Unesco». la Repubblica, 5 agosto 2017 (c.m.c.)

Non chiamatelo “ecomostro”, anzi non azzardatevi neppure a chiamarlo abuso edilizio. È una cosa che fa imbestialire la “Cotorossi Spa”. Potreste trovarvi nelle stesse condizioni di alcuni ambientalisti trascinati in tribunale con richieste di risarcimento milionarie. Da vittime a carnefici in un batter d’occhio per aver denunciato una speculazione che ha pochi eguali in Italia. E con una procura che, in buona sostanza, sta indagando su se stessa o meglio sull’edificio che la ospita.

È una storia lunga 15 anni quella dell’operazione Borgo Berga, a poche centinaia di metri da Villa Rotonda del Palladio, patrimonio dell’Unesco. Una vicenda che porta in sé più di un paradosso, di cui si trova traccia già nei primi anni del 2000 degli atti dell’amministrazione di centrodestra guidata da Enrico Hullweck. A suo tempo l’area era occupata dallo stabilimento ormai dismesso della famiglia Rossi. Una fabbrica storica poi acquisita da una delle società della galassia berlusconiana e successivamente ceduta a una cordata guidata dalla Maltauro (società di costruzioni nota ai pm di Milano per alcune vicende legate all’Expo).

In quell’area il Comune di Vicenza decide di realizzare il nuovo Tribunale e in cambio i privati ottengono le autorizzazioni ad edificare su oltre centomila metri quadrati di terreno, con volumi e altezze imponenti, la cessione di aree pubbliche per una superficie doppia di quella ricevuta dal comune e un bel finanziamento per le opere di urbanizzazione. Nel 2006 i lavori partono con la demolizione del vecchio stabilimento, nonostante le prescrizioni della Soprintendenza. Arrivano le prime denunce da parte di Legambiente, Italia Nostra e del Comitato contro gli abusi edilizi. E arriva la prima inchiesta archiviata in tempi record. Strano, visto che gli edifici di Tribunale, attività commerciali e palazzoni di appartamenti vengono tirati su a ridosso di due fiumi, Retrone e Bacchiglione (nell’area storicamente sorgeva il porto fluviale).

Nel 2008 cambia l’amministrazione, e nonostante da consigliere regionale avesse tuonato contro il Tribunale (definendolo «un mostro»), il nuovo sindaco Achille Variati del Pd fa approvare una variante urbanistica che di fatto conferma il vecchio piano. Nel 2013 arrivano nuove denunce degli ambientalisti e la magistratura è costretta a indagare nuovamente su casa propria. Fino al 2014 tutto tace e l’inchiesta resta a carico di ignoti, l’anno dopo viene indagato solo l’ex dirigente all’urbanista del Comune. Pochi mesi e si registra un sequestro preventivo chiesto dal pm Antonio Cappelleri e accolto dal Gip Massimo Gerace.

Viene contestato il reato di lottizzazione abusiva dell’intera area, ma il sequestro riguarda soltanto uno dei lotti. Il giudice scrive nero su bianco che «sussiste l’illegittimità del piano di lottizzazione e dunque dei permessi a costruire rilasciati e da rilasciare». Mancano «gli elaborati sulle zone sismiche, manca il rispetto delle prescrizioni della sovrintendenza, mancano valutazioni ambientali » e altro ancora. Qualcosa sembra muoversi. Sembra, perché in realtà non vengono sequestrati gli edifici realizzati o in via di realizzazione, ma solo un lotto completamente libero. Dunque si continua a costruire, a completare, a vendere o affittare unità immobiliari. Il tutto perché il giudice ritiene «i volumi in essere costitutivi di fatti compiuti non più modificabili». Insomma, ormai l’abuso è fatto.

La procura indaga, e si va avanti. Gli ambientalisti scrivono che i permessi a costruire sono scaduti, e si va comunque avanti. Arriva anche l’Anticorruzione di Raffaele Cantone e un’indagine della Corte dei Conti, e si continua a lavorare. Anzi di più. I mezzi di cantiere, che operano nelle aree libere, vengono autorizzati dalla magistratura ad attraversare il lotto sequestrato.

L’Enac mette in discussione gli accordi tra Comune e privati che conterrebbero uno squilibrio nei profitti del privato a danno dell’amministrazione, quantificato in una decina di milioni di euro. Inoltre, le opere di urbanizzazione si sarebbero dovute effettuare con una gara pubblica e non, com’è accaduto senza bando. La Corte dei Conti apre un fascicolo per danno erariale, ma nulla sembra fermare l’operazione. Intanto la Procura chiede il sequestro dell’intera area, ma questa volta il gip dice di no. Al Riesame il pm si concentra sui danni economici, molto meno sulle relazioni dei consulenti e degli investigatori relative al danno ambientale, e il ricorso viene respinto.

Ora si attende la decisione della Cassazione. Intanto gli ambientalisti si rivolgono alla Corte d’Appello chiedendo la revoca dell’indagine e al Csm con un esposto per chiedere conto del lavoro di Cappellieri. Nessuna risposta. Tutto tace e i lavori vanno avanti. O meglio quasi tutto tace. Perché se dell’indagine non si ha più notizia, sono già arrivate le citazioni in giudizio per i denuncianti da parte della “Cotorossi” che chiede in sede civile 3 milioni per danni e diffamazione. In questo caso l’udienza è fissata per dicembre. Da vittime a carnefici per averlo chiamato “abuso”.

«I 79 bungalow con piscine di Punta Scifo a Crotone avallati dal funzionario Che ora rischia il processo». la Repubblica, 4 agosto 2017 (c.m.c.)

A Crotone non hanno dubbi. «Altro che Caraibi, andate a Punta Scifo». Per arrivare ci vogliono gambe e pazienza, ma la meta vale la fatica. Alla fine del sentiero c’è una cala di sabbia dorata e mare turchese, incorniciata da rocce arrotondate dal vento, a pochi passi dal tempio di Hera Lacinia, il simbolo di Crotone nel mondo. Un paradiso. Sotto assedio.

A sporcare la spiaggia, proprio sotto una torre cinquecentesca, ci sono 79 piattaforme di cemento. E lo scavo, incompleto, di una grande piscina. È quel che resta della mega lottizzazione abusiva mirata a far sorgere un villaggio turistico mascherato da agriturismo. «Un irreversibile stupro» per il giudice che ha sequestrato il cantiere. È toccato ai magistrati mettere fine a una storia paradossale. Il pm Gaetano Bono ha chiesto il processo per il soprintendente di Crotone, Catanzaro e Cosenza, Mario Pagano, gli imprenditori Salvatore ed Armando Scalise, il loro direttore dei lavori, Gioacchino Buonaccorsi, l’ex dirigente del Comune di Crotone, Elisabetta Dominijanni, e il funzionario Gaetano Stabile, accusati di essere a vario titolo i responsabili dello scempio di Punta Scifo.

Il peccato originale risale al 2003, quando l’ex sindaco Pasquale Senatore ha stravolto il piano regolatore, dando via libera agli agriturismi come «attività collaterale e ausiliaria» alle coltivazioni. Anche a Punta Scifo, zona sottoposta a vincolo paesaggistico dal ’68. Al riguardo, però, nessuno ha avuto da ridire e qualcuno ci ha visto un affare. Si tratta di Armando e Salvatore Scalise, reucci dell’abbigliamento sportivo con interessi nel turismo invernale, ma nel 2006 determinati ad accreditarsi come «imprenditori agricoli professionali », contadini con tanto di patentino, senza però un campo su cui zappare.

Se lo procurano solo nel 2008, grazie a una scrittura privata strappata al legittimo proprietario, Giuseppe Zurlo, all’epoca già defunto, e diversi mesi dopo aver chiesto i permessi necessari per costruire su quel terreno un agriturismo.

In Comune, nessuno trova nulla da eccepire, le richieste degli imprenditori vengono approvate in tempi record e il Marine Park Village inizia a prendere forma, quanto meno sulle carte dei progetti. Nei pressi dell’area archeologica di Capo Colonna, sono previsti 79 bungalow, una grande struttura bar-ristorante, piscine e servizi necessari per soddisfare le esigenze di massimo 237 ospiti. Eppure, il depuratore previsto nel progetto può sopportarne 500. Un mistero che nessuno nota alla Provincia, che in otto giorni concede agli imprenditori l’autorizzazione paesaggistica.

E nemmeno alla Soprintendenza dei beni architettonici. Ma lì i funzionari “dimenticano” di valutare in tempi utili l’incartamento e il loro silenzio diventa assenso. Solo a termini abbondantemente scaduti segnalano alcune pecche veniali – un elaborato fotografico mancante – ma i loro rilievi ormai non hanno più peso. Più puntuali i colleghi della Soprintendenza archeologica, ma ugualmente magnanimi. Si limitano a raccomandare di far seguire i lavori di scavo da personale tecnico- scientifico, mentre il Comune non fa altro che prendere atto dei vari pareri e concede il permesso a costruire. È il 20 dicembre 2011.

Nel 2012 le ruspe iniziano a devastare Punta Scifo. Ma non per molto. I cittadini guardano, gli ambientalisti protestano, gli archeologi insorgono e i carabinieri iniziano a indagare. Così l’amministrazione non può far finta di ignorare le macroscopiche difformità fra i lavori in corso e il progetto, né una serie di «errori» nell’iter autorizzativo. Il cantiere viene bloccato e la battaglia si trasferisce nei tribunali, dove a rappresentare gli Scalise c’è l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del boss di Cutro, Nicolino. È lui a strappare più volte il dissequestro dell’area Solo dopo anni il Mibact si accorge che qualcosa nei sopralluoghi dei suoi sovrintendenti non ha funzionato.

Nuovi scavi rivelano «fitte concentrazioni di materiali ceramici» di epoca romana, ma ci vogliono quattro interrogazioni parlamentari per convincere il ministro Dario Franceschini a chiedere lumi sul cantiere al “suo” sovrintendente dei beni architettonici Mario Pagano. Che afferma che nulla si può fare perché «ormai i bungalow sono stati realizzati», ma non è così. Da qui parte l’indagine che nel giro di un paio di mesi porta a un nuovo sequestro dell’area e a una raffica di avvisi di garanzia, che per sei persone - incluso il sovrintendente Pagano - si sono trasformate in una richiesta di rinvio a giudizio.

Quel processo potrebbe non essere l’unico. Perché di un villaggio turistico a Capo Colonna sono stati sorpresi a parlare anche Gaetano Blasco, l’uomo che rideva dei crolli a Mirandola oggi in carcere per i legami con il clan Grande Aracri, e il “suo” costruttore di fiducia, Antonio Valerio. «Stanno facendo certi progetti a Capo Colonna – gli confida Blasco - devono fare cinquecento case di legno». Parlavano di punta Scifo? A dirlo potrebbe essere Valerio, che da mesi collabora con i magistrati. E pare che - almeno una volta - abbia incontrato il direttore dei lavori degli Scalise.

«La zona è sottoposta a vincoli archeologici, ambientali e sismici. Ma le costruzioni abusive non si sono fermate. Ci sono cantieri che sono stati denunciati anche 20 volte». la Repubblica, 3 agosto 2017 (c.m.c.)

Una casa affacciata su Villa dei Misteri. Un manufatto destinato, forse, a diventare un Bed and Breakfast a meno di duecento metri dagli Scavi più famosi del mondo. Un bar che si allarga dove non potrebbe. A Pompei il cemento ha sfregiato il Mito. La zona è sottoposta a vincoli di tutti i tipi: archeologico, ambientale, sismico. Ma questo non ha fermato le costruzioni abusive. L’ultimo sequestro risale a una decina di giorni fa: la polizia municipale ha apposto i sigilli a un cantiere dove si stava ampliando di circa 120 metri quadri un vecchio fabbricato rurale non troppo distante da Porta Vesuvio, uno degli ingressi degli Scavi archeologici.

Gli investigatori non escludono che i proprietari, già impegnati con altre attività nel settore turistico, volessero realizzare un B&B per ospitare i visitatori. Progetto che per adesso dovrà essere accantonato, almeno fino a quando non si sarà definito il procedimento giudiziario. Ma la storia degli abusi edilizi a Pompei parte da lontano. Dal 1986 ad oggi sono stati eseguiti almeno 4500 sequestri. Ci sono cantieri che sono stati denunciati venti volte. Negli scaffali della sezione anti-abusivismo dei vigili giacciono poco meno di tremila pratiche di condono. Risale a una ventina di anni fa l’ampliamento di un vecchio casolare proprio a ridosso della Villa dei Misteri, una delle residenze di epoca romana più affascinanti di tutti gli scavi.

Oggi, chi alza gli occhi dal percorso riservato ai turisti, vede un’abitazione in piena regola. Gli ampliamenti che si sono susseguiti nel corso degli anni sono al centro di un braccio di ferro che potrebbe portare all’abbattimento delle parti aggiunte al nucleo originario dell’immobile. «I nostri uomini sono impegnati continuamente nei controlli anti-abusivismo», spiega il capitano Ferdinando Fontanella, vicecomandante della polizia locale diretta dal colonnello Gaetano Petrocelli.

Un protocollo firmato nel 2005 fra le amministrazioni locali e la Procura di Torre Annunziata prevede che tutti i manufatti superiori ai 50 metri quadri debbano essere sorvegliati. «Oggi abbiamo circa 100 cantieri sotto vigilanza — sottolinea Fontanella — Ogni settimana, per tutto l’anno. A questi si aggiungono quelli vigilati per ordine dell’autorità giudiziaria. Il nostro impegno non si discute, ma vorremmo poterci dedicare di più a migliorare la città nell’interesse dei cittadini e dei turisti».

Il sindaco di Pompei, Pietro Amitrano, del Pd, si è insediato da poco più di un mese e sa che, tra i dossier ai quali dovrà dedicarsi, c’è anche quello sull’abusivismo. «Il problema esiste ed è serio. Come amministrazione siamo pronti ad affrontarlo, ma con serietà e professionalità evitando di fare di tutta un’erba un fascio ». A settembre scatteranno nuovi abbattimenti disposti dalla Procura di Torre Annunziata guidata dal procuratore Sandro Pennasilico con il suo vice, Pierpaolo Filippelli. Altre 70 pratiche di demolizione sono all’esame della Procura generale di Napoli, che con il pg Luigi Riello e l’avvocato generale Antonio Gialanella dedica da sempre grande attenzione al settore degli immobili abusivi. «È nostra intenzione andare avanti su questa strada, applicando la legge», commenta il pg Riello.

Quello degli abbattimenti è un nodo che riguarda tutta la provincia di Napoli. Basti pensare che nell’area del Parco nazionale del Vesuvio, secondo i dati di Legambiente, dal 1997 al 2012 sono state emesse 1778 ordinanze di demolizione di fabbricati illegali, ma per ragioni diverse, legate di volta in volta ad intoppi negli ingranaggi della burocrazia e della macchina giudiziaria, sono andate giù non più di una quarantina di costruzioni. In ogni comune della “zona rossa” del Vesuvio ci sono, in media, circa 5mila pratiche di condono sospese. I numeri fanno riflettere, ma negli occhi restano le immagini: quanto cemento, ai piedi del Vulcano

«Lo studio presentato dai Verdi:sotto attacco seimila chilometri di costa sequestrati 110 stabilimenti alle organizzazioni criminali». la Repubblica, 2 agosto 2017 (c.m.c.)

Su ottomila chilometri di spiagge, ben seimila sono cementificati: di questo passo nel 2060 tutta la costa italiana sarà un’unica barriera di cemento e mattoni.

La denuncia arriva da un dossier dei Verdi,2017 Odissea nella spiaggia, sui litorali italiani. Una morsa di cemento spesso nata nell’illegalità: dalla Romagna alla Sicilia, passando per la Capitale, sono oltre 110, secondo il rapporto, gli stabilimenti balneari sequestrati alla mafia negli ultimi cinque anni, ottenuti con attività intimidatorie e infiltrazioni mafiose nei Comuni e nelle Regioni.

Troppi, infatti, gli interessi che fanno gola alla criminalità organizzata: dal costo irrisorio della concessione demaniale — incide meno dell’1% sul fatturato dello stabilimento — alla facilità con cui è possibile riciclarne i proventi. Secondo il dossier, il fatturato degli stabilimenti balneari si aggira intorno ai 10 miliardi di euro l’anno — dato peraltro sottostimato rispetto ad altre rilevazioni — un business redditizio reso possibile dall’affitto irrisorio dello Stato.

Il rapporto dei Verdi spiega come le tariffe di affitto sulle aree demaniali dipendono dal regolamento che individua tre tipi di area nelle coste italiane: fascia A, alta valenza turistica, fascia B, normale valenza, e fascia C, bassa valenza. Però in tutta Italia, secondo il dossier, i canoni applicati nelle concessioni sono di fascia B. Così, denuncia il rapporto, lo Stato svende un bene pubblico e tollera una colata di cemento che fa dell’Italia uno dei paesi più cementificati nell’Unione europea. Sulla costa Tirrenica, “respirano” infatti, liberi dal cemento, appena 144 chilometri, 200 sulla costa adriatica.

Venti chilometri di costruzione abusive tra le dune sul mare. Un sindaco onesto vuol fifendere la bellezza della sua terra, ma il popolo bue e la politica lo caccianovia la Repubblica, 2 agosto 2017 (c.m.c.)

In contrada Cavaddruzzu, la 67esima villetta nella lista delle costruzioni abusive da abbattere è venuta giù qualche settimana fa sotto l’aggressione delle ruspe in assoluto silenzio. I proprietari, da tempo residenti in Inghilterra, non si sono neanche presentati. In quella villetta a due piani con le pareti color ocra e una bella piscina edificata a 100 metri dal mare sulle dune della costa selvaggia della Sicilia meridionale ci venivano d’estate in vacanza. Di quella seconda casa, come la maggior parte di quelle costruite in spregio di ogni normativa negli ultimi cinquant’anni negli oltre venti chilometri di costa da Gela ad Agrigento fino a Siculiana e Sciacca, oggi restano un paio di materassi ammonticchiati su detriti di ceramica, tubature rotte, lo scavo della piscina. Qualche chilometro più in là, in territorio di Palma di Montechiaro, i proprietari di una villetta che fa bella mostra di sè alla identica distanza dal mare, gongolano: il sindaco Stefano Castellino, come suo primo atto dopo l’insediamento, ha detto: «Qui non si demolisce nulla».

A Licata, dopo mesi di altissima tensione, il “popolo degli abusivi”,che nell’ultimo anno ha alzato le barricate contro il giovane sindaco Angelo Cambiano e la sua “pretesa” di eseguire l’ordine della Procura di Agrigento di demolire le oltre 160 case dichiarate abusive con sentenza passata in giudicato, sembra essersi placato.

Dopo mesi di minacce e aggressioni, dopo due incendi ad altrettante case di familiari del sindaco che nel frattempo è stato costretto a vivere sotto scorta, a “sistemare” Cambiano ci ha pensato la politica. Prima con l’isolamento del giovane “sindaco demolitore” da parte degli stessi colleghi che, con tanto di fascia tricolore al fianco, erano andati a testimoniargli solidarietà e ad applaudirlo, ora con la mozione di sfiducia firmata dalla maggioranza dei consiglieri comunali che mercoledì prossimo dovrebbe decretare la sua deposizione.

Angelo Cambiano, 36enne primo cittadino eletto nel 2015 con il supporto di tre liste civiche di area moderata, pensa già al suo futuro di normale cittadino. «Se in due anni di attività un sindaco viene cacciato solo perché fa il suo dovere, è meglio tornare alla mia vita di insegnante di matematica, deluso dalla politica e con il desiderio di prendere moglie e figlio e andare via da questa terra così bella e ricca di risorse ma anche così poco amata dai suoi cittadini e dalla politica».

Dune di spiaggia selvaggia, chilometri di mare azzurro intenso sempre increspato dalle onde, palme sullo sfondo e una teoria ininterrotte di ville, villette, palazzine di tre piani. Da quelle lussuose con vista strepitosa di professionisti ed esponenti della politica locale (come hanno scoperto i tecnici del Comune di Licata) agli edifici, spesso non finiti e ancora senza intonaco, di emigrati che hanno investito i loro risparmi nella costruzione di case “familiari” per nonni, figli, nipoti di due o tre generazioni. Tutte comunque a prova di sanatoria, ormai con tanto di ordine di demolizione della Procura di Agrigento, edificate entro i 150 metri dal mare in anni in cui tutto, da queste parti, sembrava normale e possibile, tanto prima o poi la Regione siciliana un condono o una sanatoria li avrebbe approvati.

Ma in Sicilia è già campagna elettorale per le prossime elezioni regionali e ai licatesi che si rifiutano di capire perché «dopo quarant’anni arriva un sindaco e si mette in testa di abbattere» sono in tanti a promettere che «una soluzione si troverà, come sempre». Una soluzione che però passa dalla rimozione di un sindaco che in due anni di case abusive ne ha già demolite 67 (un record da queste parti) e ha ancora una lista con un centinaio di prossimi obiettivi per le ruspe.

L’INTERVISTA. ANGELO CAMBIANO
di Alessandra Ziniti
«Faccio il mio dovere per questo la politica vuole mandarmi via».

«Ormai sono alla mia ultima settimana. Le racconto come finisce in Sicilia un amministratore onesto».

Sindaco Cambiano, allora è sicuro della sfiducia. Getta la spugna?
«No, sarò al lavoro fino all’ultimo momento. Spero in uno scatto di orgoglio delle persone perbene, ma so di avere tutti contro. Ho provato a spiegare ma rimango il sindaco cattivo che vuole abbattere le case dei suoi concittadini. E non c’è altra strada che mandarmi a casa velocemente. Perché è ovvio che se dovessi rimanere al mio posto continuerei a fare le demolizioni».

Per questo la sfiduciano?
«Il mondo politico è falso e ipocrita. Le demolizioni delle case abusive non sono neanche citate nella mozione. Hanno trovato motivi pretestuosi, ma tutti sanno che il vero motivo sono le demolizioni e guarda caso dagli ultimi accertamenti è venuto fuori che alcuni dei consiglieri firmatari della sfiducia sono titolari di immobili da abbattere ».

Insomma, alla fine è rimasto solo. E i suoi colleghi che le avevano manifestato solidarietà dopo il primo attentato?
«Sono rimasto solo con la mia famiglia e la scorta, minacce, proiettili davanti al Comune, attacchi violentissimi sui social. E tutto solo perché ho semplicemente fatto il mio dovere di dare esecuzione a delle sentenze definitive di immobili abusivi come ordinatomi dalla Procura di Agrigento. Una cosa che dovrebbe essere ordinaria ma certo diventa pericolosissima se i colleghi dei territori confinanti, con altrettante case da abbattere, annunciano ufficialmente, come ha fatto il sindaco di Palma di Montechiaro, che non demolirà nulla e revocherà il protocollo di legalità con la prefettura. Tutto nel silenzio della politica».

Nessuno più si è fatto vivo degli esponenti delle istituzioni che erano scesi al suo fianco?
«Nessuno. Mi risuonano in testa come una beffa le parole del ministro Alfano, che venne qui l’anno scorso da ministro dell’Interno e disse: «È finito il tempo delle coccole della politica agli abusivi. Chiederò a tutti i consiglieri del mio schieramento di starle vicino». A distanza di un anno i suoi uomini sono tra i firmatari della mozione di sfiducia...»

Splendidi paesaggi deturpati dal cubature abusive e da poteri arroganti . la Repubblica, 1 agosto 2017 (c.m.c.)

«Mi dia retta, si goda il paesaggio e volti le spalle al resto ». L’uomo col volto solcato di rughe è seduto su una panchina del centro storico di Sperlonga, uno dei borghi più belli d’Italia, poco più di tremila anime a metà strada fra Roma e Napoli, proprio di fianco all’edificio comunale chiuso di lunedì, «ma il martedì lo trova aperto tutto il giorno».

Godersi il paesaggio è la regola da queste parti. Dicono che se si vuole continuare a sognare, a Sperlonga non bisogna mai dare le spalle al mare. Ma da qualche tempo la magia dello sperone di roccia che si tuffa nelle acque limpide e in una distesa di sabbia dorata, si spezza su un maleficio di cubature abusive che hanno trasformato quel luogo dalla vista mozzafiato in un paradiso abitato da diavoli.

«La natura è stata tanto generosa con questo posto e l’uomo l’ha ripagata così», sussurra Anna Dicorio, che qui è nata e cresciuta. Il dito indica un mostro di impalcature che sembra appeso alla montagna, alle spalle del mare appunto. «Un idraulico di qui ha vinto il superenalotto e ha deciso di costruirsi quella villa. Poi, come vede, si è allargato... Ora la casa è sotto sequestro, ma intanto tutto resta dov’è. Qui si allargano tutti...».

A cominciare dal sindaco. Armando Cusani, classe 1963, esponente di punta della coalizione di centrodestra, è al suo terzo incarico da primo cittadino a Sperlonga. Prima, per due mandati, era stato presidente della Provincia di Latina. Malgrado sia agli arresti domiciliari per corruzione e turbativa d’asta, non si è dimesso e, da quasi un ventennio, comanda lui. Il “sindaco padrone”, così lo chiamano, fu il primo in Italia a subire gli effetti della legge Severino: fu sospeso dalle funzioni nel 2013 per una condanna penale di primo grado a due anni per abuso d’ufficio, con l’interdizione dai pubblici uffici.

Nel giugno 2016 col 58% dei voti indossò per la terza volta la fascia tricolore del comune in provincia di Latina e proseguì ciò che aveva interrotto da presidente della Provincia. L’hotel Grotte di Tiberio è uno dei suoi capolavori abusivi, con tanto di semaforo fatto mettere a spese dei contribuiti sulla via Flacca, una strada statale, che non ha mai regolato il traffico ma serviva per dare riferimenti ai turisti: «Lei percorre la Flacca e a un certo punto trova un semaforo e lì sulla destra c’è il mio hotel, diceva tra un caffè e una riunione in consiglio», racconta un funzionario comunale ormai in pensione ma ancora in soggezione quando sente il nome del sindaco.

Di episodi ne racconta tanti. C’è una delibera, la numero 61 del 2013 con cui Cusani istituì una nuova figura professionale: il querelatore del Comune. In pratica affidò a un suo fedelissimo la funzione di querelare chiunque parlasse male di lui: dalla stampa al cittadino. «Una volta presentò un esposto al Csm contro l’allora presidente del Tar Franco Bianchi perché dispose accertamenti su una società a partecipazione comunale, la “Acqua Latina”. Ancora: definì “atto eversivo” la decisione del prefetto Frattasi di sciogliere il vicino comune di Fondi e non esitò a rimuovere seduta stante la comandante dei vigili quando venne a sapere che sarebbero cominciati una serie di controlli anti-abusivismo ».

Cusani insieme al suocero acquistò l’hotel Grotte di Tiberio, una struttura bellissima che costeggia la Flacca (altezza semaforo per l’appunto). E poi, come raccontano a Sperlonga, si allargò. Piscine, cubature nuove, ristoranti, pergolati da 90 metri quadrati, saune, spogliatoi, in barba a vincoli paesaggistici, oltre che urbanistici. Insomma un abuso coperto per tanto tempo, fino a quando una denuncia anonima non ha fatto scoppiare il caso. Quindi il sequestro dell’intera struttura nel 2016 e nel maggio di quest’anno l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi con 90 giorni di tempo per buttare giù tutto “a spese proprie”. Era l’8 maggio e a ieri l’albergo bianco vista mare, avvolto dai nastri rossi con tanto di cartello “immobile sotto sequestro” appeso all’ingresso, troneggia integro.

Così come l’hotel Ganimede di via Ulisse, di cui Armando Cusani è socio a metà col suo vicesindaco Francescantonio Faiola. Qui il primo cittadino oltre ad aumentare le volumetrie ha violato il piano regolatore. Una lottizzazione abusiva in un’area che avrebbe dovuto ospitare edilizia popolare. Al suo posto centri termali in costruzione con parcheggio annesso proprio davanti alla nuova caserma dei carabinieri, hotel, villette, residence. Oltre 4100 metri cubi a fronte dei 2.500 autorizzate. Il sequestro di tutta l’area e un nuovo avviso di garanzia per il primo cittadino e il suo vice è del 18 maggio scorso, pochi giorni dopo la concessione dei domiciliari al sindaco che fu accolto dai suoi concittadini con applausi e uno striscione: «Bentornato a casa sindaco». Una casa nel centro storico di Sperlonga con l’incantevole vista sul mare e le spalle agli abusi.

«Mansarde, villette e seminterrati regione che vai, sanatoria che trovi. La motivazione è sempre la stessa: “Contenere il consumo del suolo” ». la Repubblica, 31 luglio 2017 (c.m.c.)

La foglia di fico è sempre la stessa, e quando la mettono si aspettano persino l’applauso: «Contenere il consumo del suolo». C’è scritto questo nella sanatoria delle mansarde, che la Regione Lazio sta prorogando da otto anni a questa parte, e c’è scritto questo pure nella sanatoria delle cantine, fresca di pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione Abruzzo. Avete capito bene: le cantine. Chi non sottoscriverebbe una legge regionale sul «Contenimento del consumo del suolo attraverso il recupero dei vani e locali del patrimonio edilizio esistente»?

Leggendo il titolo si potrebbe immaginare un provvedimento per favorire il riuso degli immobili abbandonati, spesso così belli da lasciare senza fiato, dei quali l’Italia è piena. Prima però di aver scorso il testo, scoprendo che delimita invece quel recupero ai «vani e locali seminterrati » da destinare «a uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale ». Ma non religioso: sia chiaro. Perché la sanatoria delle cantine decretata dalla Regione Abruzzo esclude invece espressamente, all’articolo 3, la possibilità di cambiare la destinazione d’uso dei seminterrati «per la trasformazione in luoghi di culto».

Insomma, fateci tutto, anche un bed & breakfast (non è forse attività residenziale?). Tranne che una moschea. Certo, per ottenere questo curioso condono (termine che di sicuro i proponenti rigetteranno sdegnati) bisognerà pagare gli «oneri concessori”. Se però l’intervento riguarda la prima casa è previsto uno sconto del 30 per cento. Va pure da sé che i locali debbano avere determinate caratteristiche. Per farci abitare gli esseri umani sono necessari impianti di “aero- illuminazione” (testuale nella legge) e l’altezza dei locali non può essere inferiore a due metri e quaranta. Ma a trovarle, cantine così alte… Niente paura. Anche in questo caso la legge della Regione Abruzzo offre una elegante scappatoia. Eccola: «Ai fini del raggiungimento dell’altezza minima è consentito effettuare la rimozione di eventuali controsoffittature, l’abbassamento del pavimento o l’innalzamento del solaio sovrastante ».

Il vostro scantinato tocca a malapena uno e novanta? Niente paura: scavate un altro mezzo metro o alzate il solaio di cinquanta centimetri. Sempre rispettando «le norme antisismiche », però. Dopo quello che è successo in Abruzzo, è il minimo. Già… Ma colpisce che nemmeno il terremoto sia stato capace di frenare lo stillicidio delle sanatorie. Anzi. Qualche mese fa c’è stato chi ha rivelato che i contributi pubblici per il sisma non avrebbero discriminato le case abusive. Suscitando la reazione risentita delle strutture commissariali, anche se nessuna smentita ha potuto cambiare la realtà dei fatti: per ottenere i denari statali è sufficiente autocertificare che l’abitazione andata distrutta non era interamente abusiva. E poi presentare domanda di sanatoria. La prova, se ce ne fosse ancora il bisogno, che abusivismo e condoni se ne infischiano anche delle scosse telluriche del settimo grado.

Il vecchio caro condono edilizio ha così pian piano cambiato pelle. Sbarrata la strada in parlamento, si è aperto la via nelle pieghe delle leggi regionali assumendo le forme più subdole e creative. Non soltanto per i sottotetti, come nel Lazio e in Lombardia (Regione che ha deliberato anch’essa il salvataggio delle mansarde), o per le cantine, come in Abruzzo. Emblematico è il caso della Campania, dove il consiglio regionale ha appena sfornato una legge per l’adozione di «linee guida per supportare gli enti locali che intendono azionare misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi».

Tradotto dal burocratese, sono le direttive alle quali si devono attenere i Comuni per evitare di buttare giù le costruzioni illegali. Per esempio, si deve valutare «il prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione». Come pure tenere debitamente conto dei «criteri per la valutazione del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico ». E che dire dei «criteri di determinazione del requisito soggettivo di ‘occupante per necessità»? Ecco dunque gli abusivi per bisogno, quella figura mitica capace di spazzare via ogni tabù ambientale con relativo senso di colpa. In Campania sono il corpo elettorale fra i più consistenti e la tentazione di grattargli la pancia, tipica di certa destra, ha ormai fatto breccia anche presso certa sinistra.

I Verdi hanno adesso chiesto al governo di Paolo Gentiloni di impugnare la legge votata dalla Regione governata dal suo compagno di partito Vincenzo De Luca e di stroncare insieme anche la sanatoria delle cantine che ha fatto breccia nel cuore dell’Abruzzo presieduto da un altro dem: Luciano D’Alfonso. Arduo prevedere con quali speranze di successo. Probabilmente non più di quante ne abbiano gli oppositori di una recentissima leggina della Regione Sardegna, ora governata dal centrosinistra di Francesco Pigliaru, per bloccare la possibile invasione delle coste dell’isola con bungalow e casette di legno.

Nel provvedimento sul turismo è spuntata infatti la possibilità per i camping isolani di piazzare costruzioni mobili (ma nella versione iniziale erano ammesse anche nella versione non amovibile) al fine di «soddisfare esigenze di carattere turistico». Le quali, precisa il disegno di legge, «non costituiscono attività rilevante ai fini urbanistici ed edilizi».

Sono quindi case vere e proprie, ma è come se non lo fossero. Bisogna ricordare che questa non è una novità assoluta. Anche in precedenza le leggi regionali consentivano di impiantare strutture del genere nei camping. Ma all’inizio non si poteva superare il 25 per cento della capacità ricettiva di un campeggio. Poi si è saliti al 40. E ora al 45. Arrivare al 100, di questo passo, sarà uno scherzo…

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