Bennington County Regional Commission (Vt.) Regional Plan [2002]; Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
I centri urbani
I due centri di attività a rango urbano della regione sono nelle aree dentro e attorno la zona terziaria principale di Bennington, e nel centro di Manchester. Entrambi contengono ampie zone commerciali che offrono un’ampia gamma di beni e servizi a un bacino di utenza multicentrico. Queste aree sono servite sia dalle reti dell’acquedotto pubblico, che dagli unici due sistemi fognari della regione; si tratta di infrastrutture che consentono maggiori concentrazioni di insediamento residenziale e commerciale/produttivo, di quanto non sia possibile altrove nella Bennington County. In quanto centri di popolazione e capoluoghi sia Bennington che Manchester ospitano strutture amministrative e varie funzioni e servizi pubblici. I loro nuclei centrali hanno problemi simili: carenza di parcheggi e congestione da traffico sulle strade principali ne sono solo due esempi.
Nello stesso tempo, le due cittadine sembrano avere molte somiglianze e molte differenze. Bennington ha una popolazione stabile superiore, mentre Manchester ha molti più residenti stagionali. L’economia di Bennington si basa in misura maggiore sull’industria manifatturiera e sta tentando di ampliare le attività. A Manchester, le attività dominanti sono il turismo e quelle collegate. Di conseguenza, molti dei negozi di Manchester sono punti vendita di grandi catene, che servono persone provenienti da fuori regione, mentre a Bennington ci sono più negozi di proprietà locale, che servono ai bisogni degli abitanti dell’area. L’insediamento commerciale fuori dal centro di Manchester consiste in gran parte di motel e ristoranti. Le fasce commerciali nelle zone simili, a Bennington sono caratterizzate da negozi di necessità quotidiana, ristoranti, stazioni di servizio, complessi commerciali con grande magazzino, supermercato alimentari, e funzioni simili. Di conseguenza, se le idee generali di urbanizzazione qui proposte si applicano sia alle parti commerciali di Bennington che di Manchester a causa delle loro similarità e del ruolo condiviso di poli regionali di crescita e sviluppo, vanno comunque riconosciute le relative differenze. Ciascuna di queste aree è anche oggetto di particolari destinazioni. Nell’area ex Village of Bennington (ora inclusa nella cittadina) esistono un quartiere storico e una zona a fiscalità speciale, con lo scopo di promuovere conservazione e vitalità economica. Il centro terziario di Bennington è sottoposto al Vermont Downtown Program e ha adottato particolari procedure di approvazione dei progetti. A Manchester sia il centro terziario che il Village possiedono un distretto storico e procedure particolari di approvazione dei progetti concentrate sulla tutela edilizia e urbanistica.
Gli strumenti di regolamentazione, gli investimenti pubblici in infrastrutture, gli studi particolareggiati di piano, i quartieri a tutela storica, le zone a regime fiscale preferenziale, la promozione di alcune iniziative private, tutti questi possono essere utilizzati per sostenere lo sviluppo e trasformazione dei centri città. Iniziative per lo sviluppo che possono essere orientate a consolidare i centri che contengono varie funzioni commerciali, economiche, strutture collettive che offrono un’ampia gamma di beni, servizi, attività culturali, occasioni di lavoro. Le attività industriali, che pure contribuiscono a diversificare e consolidare la base economica locale, devono essere localizzate in particolari zone urbane. Deve essere presente anche una varietà di tipi residenziali, nei centri. L’offerta di abitazioni deve essere disponibile in edifici mono e multifamiliari, con densità da sei a quaranta abitazioni per ettaro, in base alle forme dell’insediamento, al tipo di quartiere, alle possibilità infrastrutturali.
I Centri Commerciali
Uno shopping center è una struttura che può comprendere uno o molti negozi, di proprietà singola o multipla, organizzato per parti indipendenti coordinate o come un tutto unico. Per gli scopi di questo Piano, si applicano le seguenti definizioni:
Shopping center locale [ Convenience]: offre servizi per la vita quotidiana e beni di consumo corrente, come alimentari, farmaci, abbigliamento, casalinghi, e alcuni servizi (p. es., lavanderia, parrucchiere, sportello bancario, riparazione biciclette). Dimensioni – superficie commerciale lorda da 3.000 a 5.000 metri quadrati.
Shopping center urbano [ Community]: offre in vendita un’ampia gamma di merci (alimentari, abbigliamento, arredamento e accessori, articoli sportivi ecc.) e servizi alla persona e all’impresa; può anche comprendere un cinema e un grosso grocery store o grande magazzino discount. Dimensioni – superficie commerciale lorda da 5.000 a 30.000 metri quadrati.
Shopping center regionale ( shopping mall): offre una grande varietà di merci e servizi (simili ma su scala più ampia a quelli di uno shopping center urbano), è costruito di solito attorno a uno o più grandi magazzini ( anchor). Dimensioni – superficie commerciale lorda oltre i 30.000 metri quadrati.
Gli shopping centers, essendo una forma di insediamento commerciale diventata dominante attorno ai centri urbani, meritano attenzione particolare nel Regional Plan. Vari tipi e dimensioni sono adatti rispettivamente a diverse zone di piano; sia gli shopping centers locali, che urbani, che regionali possono essere localizzati nelle aree urbane, posto che siano progettati secondo le previsioni del presente Piano e coerentemente a piani e regolamenti locali. Gli shopping centers attirano clienti da un mercato regionale e possono esercitare impatti importanti, aumentando i flussi di traffico, stimolando uno sviluppo commerciale aggiuntivo nei terreni circostanti, trasformando le caratteristiche delle località. Un grande centro commerciale, o raggruppamento di essi, può anche danneggiare la vitalità delle aree commerciali esistenti nella medesima città o in quelle vicine. Dunque deve essere posta attenzione a localizzare e progettare i nuovi centri commerciali. Questi insediamenti devono essere utilizzati per rinforzare l’insediamento commerciale esistente, anziché costituirne uno diverso.
Le botteghe oscure gettano ombre. Gli spazi commerciali inutilizzati – come tutte le strutture vuote sono considerati un segnale di qualcosa che non funziona in città (secondo l’indicazione della American Planning Association, 2001). I mutamenti del mercato, il declino demografico, la concorrenza economica, si sono tradotti nello svuotamento di quello che era uno spazio vitale. Funziorari locali e proprietari di spazi vacanti (o sottoutilizzati) devono collaborare perché questi immobili vengano reinseriti nel mercato per usi appropriati. L’amministrazione di Bennington, la Better Bennington Corporation, e il nuovo proprietario, stanno con successo convertendo un ex edificio industriale (al 210 di South Street) in uno spazio attivo per il centro e tutta la città. Gli spazi commerciali inutilizzati possono anche trarre beneficio da associazioni di questo genere, e alcune comunità agiscono insieme ai proprietari per assicurare che gli spazi restino attivi.
Uno dei principali obiettivi di questo Piano è quello di promuovere la vitalità delle aree storiche dei centri urbani. I centri di Bennington e Manchester offrono molte opportunità per azioni innovative, che rendano la vita e lo shopping più attraenti. Il riuso adattivo di edifici (ad esempio la conversione di una vecchia fabbrica in spazi commerciali e appartamenti) e la realizzazione di spazi verdi in riva al fiume sono due modi di utilizzare risorse esistenti per offrire strutture necessarie, aumentando nel contempo l’attrattività del centro urbano. La tutela storica e le regole per la progettazione del nuovo possono essere attuate dalle amministrazioni cittadine per conservare i caratteri particolari dei principali quartieri e singoli edifici. Può anche essere utile per le città provvedere unità di intervento pianificato più ampie, e complessi multifunzionali, nei centri; questo modo di agire consente più flessibilità nell’applicazione delle regole di zoning, se un intervento sviluppa alcuni obiettivi generali della città e offre servizi pubblici. I complessi mixed use consentono di destinare i piani superiori a residenza se gli spazi commerciali sono difficili da affittare. È al lavoro una task force legislativa proprio sull’uso dei piani superiori, da cui ci si aspettano raccomandazioni entro il 2002. I Downtown improvement districts, finanziati da particolari strutture associative fra attività, possono raccogliere fondi e utilizzarli per realizzare o migliorare spazi pubblici all’aperto, parcheggi, strade, facciate, illuminazione, e altri programmi di rivitalizzazione ritenuti appropriati dalla municipalità. In realtà tutti questi tipi di intervento sono stati utilizzati in qualche misura sia a Bennington che a Manchester. Tali azioni innovative dovrebbero essere sostenute in quanto modi efficaci per promuovere la piena utilizzazione e godimento degli spazi urbani, a sostegno dello sviluppo regionale. Le Development Corporations locali (come la Better Bennington) offrono uno strumento per realizzare vari tipi di servizi e miglioramenti nel centro, dalla promozione alla trasformazione urbanistica.
Gli shopping centers e la costruzione dello spazio
Oggi, il sistema delle attività economiche di Bennington è caratterizzato da centri ben individuati, che comprendono il nucleo storico, parecchie piazze commerciali, a varie fasce stradali. Gli shopping centers sono: Ames (circa 11.000 mq.); Hannaford Plaza (circa 9.000 mq.); Monument Plaza (circa 13.000 mq.); Bennington Square (circa 15.000 mq.). Anche se sono stati fatti notevoli passi in avanti per migliorare il nucleo storico, gli shopping centers tendono a riflettere le caratteristiche suburbane della dipendenza da trasporto automobilistico, dei grandi parcheggi, della mancanza di correlazione l’uno con l’altro, e delle caratteristiche distintive e attrattive esclusivamente individuali. Detto in parole semplici, mancano di senso dello spazio. In molte località del paese i complessi commerciali, a causa delle grandi dimensioni e degli spazi vacanti, sono in via di trasformazione per diventare spazi di attività più vitali. Anche se nei nostri shopping centers di recente sono stati effettuati miglioramenti e ampliamenti, resta il problema di rafforzare varietà e coordinamento di questi nodi e fasce commerciali, verso un solo centro integrato di scala regionale. La realizzazione di una tale e attrattiva massa critica, rafforzerebbe la posizione economica di tutta l’area.
Nello stesso modo in cui il nucleo storico di Bennignton ha tratto beneficio da un piano strategico e dall’attuazione di alcuni interventi, c’è bisogno di un’azione simile negli altri centri di attività commerciale. Là dome le forze del mercato si preoccupano di determinare i tipi di attività insediati nell’area, una strategia per interconnettere e rafforzare i poli commerciali può beneficiare l’intero spazio del centro regionale. Dovrebbe essere costituito un comitato di orientamento che sviluppi un piano strategico che tenga conto sia della realtà del mercato che della necessitò di individuare una gamma di servizi, prodotti e sui dello spazio che possano essere complementari alle politiche urbanistiche delle città e regionali. Si dovrebbe prendere in considerazione anche una collaborazione pubblico/privato. I principi generali di questa azione dovrebbero comprendere: la posizione nel mercato; il sostegno della comunità; sviluppo di una visione e di un piano; mettere i risultati prima delle regole; massimizzare il coordinamento di funzioni; adottare di norma il mixed-use; aumentare le attività e spazi di dimensione umana, le densità, le caratteristiche particolari di tipo architettonico e di ambiente. La presenza di mezzi di trasporto pubblici e realizzazione di percorsi pedonali sono esempi di interconnettività, ma è certamente di ordine superiore la sfida per realizzare un centro vitale di scala regionale.
Il commercio Big Box
Le strutture commerciali big box (di grande scala) sono ampi edifici tipo magazzino, con dimensioni che variano da 2.000 a 20.000 metri quadrati. Dimensioni che cambiano a seconda del tipo di prodotti commercializzati (libri, merci assortite, materiali per l’edilizia, farmaceutici, ecc.). “ Power Center” è il termine utilizzato per descrivere varie forme di raggruppamenti di questi edifici big box, con superfici complessive che vanno da 25.000 a 100.000 metri quadrati. Gli insediamenti di dimensioni maggior tendono a localizzarsi verso le zone metropolitane con popolazione superiore a 50.000 abitanti, anche se possono esserci eccezioni.
Le ricerche indicano impatti sia positivi che negativi del commercio big box. Le questioni esaminate sono la possibilità di scelta del consumatore e i prezzi, la produzione o sottrazione di ricchezza locale, benefici e svantaggi in termini di occupazione, incrementi iniziali delle vendite al dettaglio, chiusura delle attività commerciali più piccole nei pressi dei big box. Egualmente importante è come questo insediamento di ampie dimensioni si adatti o meno a una città, considerando le politiche locali e regionali, le caratteristiche urbane, architetture, dimensioni, disponibilità di spazi e consumo di suolo, traffico, quadro ambientale.
[...]
Ai nuovi insediamenti commerciali si applicano le seguenti politiche
L’intensità dell’insediamento commerciale deve essere coerente alle caratteristiche del luogo e dell’area circostante. Nel caso di shopping centers, nei villaggi sono adatti quelli piccoli per i bisogni quotidiani, e i centri urbani possono ospitare quelli di scala cittadina o regionale (vedi le definizioni riportate sopra), in generale i centri commerciali non sono adatti alle zone rurali.
Shopping Centers e costruzione dello spazio. Occorre migliorare diversificazione e connessione di questi isolati nodi commerciali, entro un’integrata e attrattiva massa critica di attività, a rafforzare i centri città regionali. Occorre sostenere la collaborazione pubblico/privato per sviluppare strategie che assicurino la vitalità di tutte le concentrazioni commerciali, attraverso le funzioni miste.
Sostenere i negozi big box di dimensioni fra i 2.000 e gli 8.000 metri quadrati, con una progettazione adeguata dal punto di vista architettonico, di rapporto col sito, o che si aggiungano a zone commerciali esistenti. Questo non significa scoraggiare qualunque aumento di superficie, purché sia coerente a quanto affermato al punto 7.1. [non compreso in questo estratto].
I progetti devono anche mirare a: mescolare ed equilibrare le funzioni; ottimizzare il rapporto col sito compresa l’organizzazione complessiva compatta degli edifici, e parcheggi sottostanti gli edifici, o sopra, o sul retro; utilizzo della progettazione architettonica per rapportarsi all’ambienta stradale; comprendere scelte di mobilità, come il trasporto pubblico, marciapiedi e percorsi pedonali. Ridurre al minimo il traffico di automobili e camion di fornitori, tenendo in conto anche la realizzazione della prevista New Highway.
Gli insediamenti commerciali devono comprendere un progetto architettonico e di arredo a verde adeguato all’ambiente circostante.
Devono essere offerti, o richiesti come condizione di approvazione dei progetti, spazi e strutture pubblici (p. es., percorsi e sentieri pedonali, aree verdi con panchine, rastrelliere per biciclette, spazi per la sosta).
Deve essere ridotta al minimo la quantità di rumore, aloni, interferenza luminosa percepibile dall’esterno del complesso.
Parcheggi e aree di carico/scarico devono essere adeguatamente schermati ed efficacemente arredati a verde per miglioramento estetico, in particolare verso le strade e le aree residenziali circostanti.
Devono essere realizzate entrate ed uscite efficienti e sicure, ed evitare immissione su strade ove esista accesso in pendenza a distanza minore di 120 metri dai principali incroci. I complessi commerciali adiacenti devono utilizzare accessi comuni e parcheggi combinati ovunque possibile.
Si devono realizzare strutture comode e sicure per la circolazione pedonale, verificabili in sede di progetto.
Si devono evitare funzioni commerciali tali da generare deviazioni di traffico, su tratti di strada che non hanno caratteristiche adatte.
[...]
Nota: la presente relazione di Regional Plan è disponibile integralmente (in formato Word) al sito della Bennington County; si veda anche, a proposito dei big-box, l’articolo riportato da Eddyburg sul referendum cittadino contro la limitazione alle dimensioni massime stabilite per regolamento (f.b.)
Potete scaricare il file in formato powerpoint nel vostro computer, oppure semplicemente aprirlo, cliccando qui sotto sul file allegato.
City of Santa Rosa, Department of Community Development, Design Guidelines, Allegate al General Plan 2020(2002); Estratti a traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
Scopo delle linee guida per il commercio
A. Incoraggiare una “progettazione di qualità superiore” dei centri commerciali e dei nuovi edifici nei distretti commerciali.
B. Assicurare che centri e distretti commerciali si integrino coi quartieri, tutelando questi ultimi da impatti ambientali negativi come rumore, traffico, inquinamento luminoso.
C. Assicurare che, nei casi in cui le residenze sono inserite nei distretti o insediamenti commerciali, esse siano compatibili in termini di circolazione pedonale e veicolare, rumori, odori, parcheggi, illuminazione degli spazi pubblici e altre questioni di progetto.
D. Incoraggiare i centri commerciali a integrarsi vantaggiosamente con le caratteristiche del sito.
E. Promuovere un’edilizia pensata specificamente per gli spazi che intende occupare.
F. Promuovere edifici pensati specificamente per la città di Santa Rosa.
G. Offrire comunicazione veicolare e pedonale diretta e sicura fra i centri commerciali e gli spazi residenziali adiacenti.
H. Offrire accessi veicolari chiari ed evidenti agli automobilisti, eliminando le incertezze e facilitando l’ingresso.
I. Creare ambienti pedonali gradevoli nei centri commerciali.
J. Promuovere l’arte pubblica nei maggiori centri commerciali.
K. Promuovere una progettazione a basso consumo di energia.
L. Sostenere quei centri e distretti commerciali che si dimostrano più sicuri, promuovere la sicurezza, sostenere gli sforzi di Polizia e Vigili del Fuoco per promuovere la sicurezza pubblica.
Linee guida per l’organizzazione urbanistica
A. CONDIZIONI LOCALI E VINCOLI DEL SITO
1. Incorporare nel progetto urbanistico le caratteristiche naturali, come gli alberi, gli elementi topografici, corsi d’acqua e vegetazione di sponda. Questi e altri elementi di carattere naturale devono essere considerati nella redazione del progetto generale. Deve essere fatto ogni tentativo ad esempio per conservare alcuni caratteri dominanti, come ad esempio gli alberi adulti. Nel caso in cui essi debbano venir rimossi, possono essere imposti interventi di mitigazione. Per quanto riguarda questi aspetti specifici, si veda l’Appendice ai paragrafi 17-24 del City Code che regola la rimozione e sostituzione di alberi.
2. Integrare i nuovi interventi entro il contesto preesistente.
3. Attenuare i rumori già in fase di progettazione generale e organizzazione degli edifici e barriere antirumore, in particolare quando nei pressi di quartieri residenziali. Il riferimento per i limiti acustici è al paragrafo 17-16 (Rumore) del City Code.
4. Attenuare i rumori degli impianti di refrigerazione, dei mezzi per la consegna merci e rimozione e compattamento dei rifiuti, e altre attività e macchinari che generano impatti acustici.
B. IL QUARTIERE E IL SISTEMA STRADALE
1. Quando i centri commerciali sono localizzati nei pressi di un quartiere residenziale, devono offrire negozi e altri servizi, quali: attrezzature di quartiere, uffici, abitazioni, e se necessario uffici municipali.
Questo tipo di intervento si integrerà meglio con l’area residenziale, costituirà un punto focale del quartiere, e offrirà tempi di attività più prolungati garantendo maggior sicurezza.
2. Quando i centri commerciali sono localizzati nei pressi di spazi pubblici, come i parchi, se ne orienti l’organizzazione generale verso questi spazi pubblici.
Si deve scoraggiare la realizzazione di pareti cieche posteriori degli insediamenti commerciali verso spazi pubblici.
3. Uno spazio commerciale deve essere facilmente accessibile agli abitanti della zona. Di conseguenza vanno realizzati percorsi di accesso diretto pedonale, dove legalmente possibile, dal quartiere circostante verso il centro, per ridurre il bisogno di usare l’automobile.
4. Quando gli spazi commerciali sono localizzati nei pressi di quartieri residenziali, offrire accesso diretto veicolare da quartiere. Evitare un sistema di circolazione che incoraggi l’uso dei parcheggi come scorciatoia d’accesso.
L’accesso diretto veicolare consente agli abitanti di entrare attraverso strade di rango locale, senza immettere traffico su quelle urbane o di comunicazione regionale.
5. Quando gli spazi commerciali sono localizzati nei pressi di quartieri residenziali, collocare gli ingressi di servizio in modo da ridurre al minimo il traffico veicolare attraverso la zona abitata.
6. Nei casi in cui siano comprese abitazioni entro il complesso commerciale, si consideri la possibilità di collocarle in modo che fungano da separazione fra le funzioni commerciali e gli spazi residenziali circostanti, esistenti o in progetto.
In generale, collocare residenze in fronte ad altre residenze risulta di maggior compatibilità che non collocare spazi commerciali o a parcheggio.
7. Negli insediamenti con grandi piazzali a parcheggio, definirne chiaramente gli accessi. Nei casi in cui ci sia alta densità di traffico, realizzare un numero di ingressi e uscite sufficiente a evitare strozzature.
8. Migliorare l’ambiente stradale, creando un’attraente spazio pedonale lungo i marciapiedi sul fronte del progetto, collocando alcuni edifici vicino al bordo stradale in modo da segnare l’allineamento e mascherare i parcheggi.
C. CONSIDERAZIONI GENERALI SUL SITO
Anche se centri e distretti commerciali sono utilizzati principalmente con l’automobile, devono essere presi in considerazione anche pedoni, ciclisti, utenti del trasporto pubblico.
1. Realizzare marciapiedi e zone piantumate che servano da separatore fra pedoni e veicoli. Piantare alberi per l’ombra e vegetazione più bassa ad attenuare l’impatto di corsie e parcheggi.
2. Dove esistono fermate del trasporto pubblico nelle vicinanze di un centro commerciale, offrire un percorso pedonale dalla fermata ai negozi.
Gli utenti del trasporto pubblico non devono essere obbligati ad attraversare spazi verdi, pieni di automobili, o parcheggi, per andare e venire dai negozi.
3. Offrire un’area ombreggiata dove i frequentatori del centro possano sedersi ad aspettare il passaggio del mezzo, o riposarsi durante lo shopping. La progettazione di questa zona deve essere coerente col resto del complesso o distretto.
4. Realizzare almeno un percorso pedonale che passi attraverso il parcheggio, nei centri commerciali di scala urbana e regionale. Dotarlo di un forte segno verticale che ne identifichi la localizzazione [...].
5. La sicurezza è un concetto molto importante nella progettazione dei parcheggi di complessi commerciali. A tale scopo, devono essere realizzate:
a. Entrate e uscite che offrano comunicazione sicura da e verso la strada. Vanno realizzate adeguate linee di corsia e distanziatori.
b. Nei centri di maggiori dimensioni (Community e Regional Shopping Centers) le aree a parcheggio non devono essere localizzate direttamente sul fronte dell’anchor store.
c. Non vanno collocati posti a parcheggio lungo le corsie di entrata e uscita ai piazzali di sosta, per una distanza minima di m. 4,5 dal filo interno del marciapiede, o di m. 7,5 dal filo interno del margine stradale, nel caso non esista marciapiede.
6. Nel caso in cui due spazi affiancati vengano occupati da complessi commerciali, prendere in considerazione l’ipotesi di un ingresso comune a entrambi.
7. Nel caso in cui le leggi statali richiedano un centro di riciclaggio, interno o meno al centro commerciale, inserire il progetto da subito all’interno del complesso, in modo da risolvere problemi come la circolazione, le schermature, l’uso di materiali coerenti alle altre strutture.
Come anche nel caso di altre attrezzature, è sconsigliato semplicemente tentare di aggiungerle in una fase successiva, in spazi residui.
8. Si faccia anche riferimento alla sezione 4.2 delle Parking guidelines per quanto riguarda i parcheggi su piazzale.
D. FUNZIONI MISTE
1. Quando coesistono funzioni commerciali e residenziali, si deve accuratamente accertarne la compatibilità.
Per esempio, gli appartamenti posti sopra studi professionali o negozi di piccole dimensioni, in genere sono usi misti compatibili perché i livelli relativamente bassi di attività delle funzioni commerciali non hanno impatti negativi sui residenti. D’altra parte, appartamenti posti sopra una funzione commerciale con alti volumi di attività, come un ristorante fast-food, in genere non costituisce una miscela di funzioni compatibile perché il traffico di clienti, il rumore, gli odori, protratti per lunghe ore del giorno e della notte possono interferire con la tranquillità delle residenze.
2. Considerare il principio generale di “Simile di fronte a Simile” nella progettazione di complessi a funzioni miste.
Quando nei complessi a usi misti si inseriscono diverse funzioni in diversi edifici (misto orizzontale contro misto verticale) il retro dei fabbricati è spesso il punto ideale per costruire una transizione da un uso all’altro. Collocando commercio al di là della strada di fronte ad altro commercio, e residenza di fronte a residenza, non si verificano sulla via i conflitti associati alla compresenza di diverse funzioni. I conflitti connessi a usi differenti, come orari sfalsati, rumori, odori e via dicendo, risultano meno problematici quando si verificano nel vicolo secondario di servizio.
3. I macchinari generatori di rumore, come i condizionatori d’aria, ventilatori, impianti di refrigerazione ecc., devono essere collocati (e dove necessario alloggiati) in modo da ridurre il livello di rumore percepibile da terzi, come residenti o passanti. Va tenuto in considerazione che sia il Regolamento di zoning che le leggi statali fissano un massimo di rumore tollerabile per le zone residenziali.
È possibile venga richiesto uno studio preventivo sui livelli di rumore, come parte della documentazione di progetto. A questo proposito va consultato per i particolari il personale del Department of Community Development.
4. Quando si combinano le funzioni commerciali con quelle residenziali, si tragga vantaggio dall’uso comune dei parcheggi, così come consentito dallo Zoning Code cittadino. Oltre ai parcheggi condivisi, va considerato come avverrà, questa condivisione. Ci saranno spazi riservati ai residenti? In alcuni complessi mixed use ad alta densità, può essere utile richiedere una modifica degli standards per i parcheggi coperti.
E. IL VERDE
1. Il tipo preferito dall’amministrazione per i grandi piazzali di sosta è il cosiddetto “Parcheggio a Frutteto”. Il riferimento è alla sezione 4.2 delle Design Guidelines [non compresa in questo estratto, che riguarda esclusivamente il punto 3 n.d.T.].
2. Realizzare una striscia di terreno che sarà piantumata a cespugli e alberatura stradale lungo le vie di affaccio. Quando esiste la possibilità di parcheggio lungo la strada, si realizzeranno marciapiedi alberati. Si vedano le sezioni 1.2 e 1.3 delle Design Guidelines per ulteriori informazioni sulla configurazione di strade e marciapiedi.
3. La progettazione degli arredi stradali, degli accessori e impianti di illuminazione deve essere uniforme e coerente.
4. Oltre all’arredo a verde, i grandi centri commerciali devono prendere in considerazione l’inserimento di elementi di arte pubblica.
5. Si faccia riferimento alla sezione 4.1- Landscaping, per informazioni generali su questi punti.
6. La progettazione delle pareti esterne lungo il perimetro dei complessi commerciali deve essere coerente all’architettura dell’edificio.
F. ILLUMINAZIONE
1. Realizzare un livello di illuminazione uniforme, che offra sicurezza nelle ore notturne.
2. Utilizzare sostegni o pali di altezza non superiore ai 5 metri.
3. Si faccia attenzione a collocare strutture particolari, come gli sportelli per il prelievo di denaro, zone di vendita ecc., in modo che il livello di illuminazione più alto non disturbi i vicini.
4. L’invasione luminosa delle proprietà adiacenti non deve essere significativa. Per assicurare ciò, gli elementi illuminanti vanno schermati e dotati di ottiche limitate.
5. I percorsi pedonali devono essere illuminati da sorgenti di luce più vicine a terra di quelle dei piazzali a parcheggio. Tali fonti di luce devono essere poste a un’altezza non superiore a 3,5 metri. La collocazione delle fonti di luca va coordinata con quella degli alberature, per offrire distanze regolari e illuminazione, riducendo al minimo il fogliame che può impedire alla luce di raggiungere il percorso pedonale.
6. È raccomandato l’uso di illuminazione mirata per sottolineare le forme architettoniche degli edifici. Si sconsiglia comunque l’uso della luce come forma di pubblicità, in particolare con illuminazioni eccessivamente brillanti.
Oltre ad essere una forma inappropriata di pubblicità, l’illuminazione eccessiva di notte è pericolosa per gli automobilisti, dato che la luce intensa dilata le pupille e, una volta superata, causa un offuscamento della visuale.
[...]
Nota: al sito del Department of Community Development di Santa Rosa, il testo originale e integrale di queste Design Guidelines, e gli altri documenti di pianificazione cittadina; in questa sezione di Eddyburg, si veda almeno la regolamentazione commerciale nel piano della Sonoma County, di cui la città di Santa Rosa è capoluogo (f.b.)
Sonoma County General Plan 2020 (versione adottata dal Consiglio di Contea nel 2005)– Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
POLITICHE PER L’INSEDIAMENTO COMMERCIALE
Il piano prevede tre categorie di funzioni commerciali: “Commercio Generale” consente tutti i tipi di destinazione commerciale ed è prevista sole nei terreni compresi nell’area dei servizi urbani.
”Commercio Limitato” consente un gruppo più ristretto di attività, e si applica alla zona sia interna che esterna a quella dei servizi urbani. Nelle zone rurali, questa categoria può limitare il commercio alle funzioni di servizio locale. In quelle rurali prive di servizi di acqua e fogne, ci possono essere ulteriori limitazioni all’attività commerciale.
La destinazione a “Commercio Generale” o “Commercio Limitato” consente la presenza di una miscela di funzioni sia commerciali che residenziali, dove la compresenza sia compatibile. È auspicata l’integrazione degli usi misti, e sono inserite norme che assicurano opzioni per un eventuale futuro uso commerciale.
La categoria “Tempo libero e attività per non residenti” consente attività rivolte ai visitatori, come ristoranti, alberghi, campeggi attrezzati, strutture turistiche, marine, campi da golf, e altre funzioni simili.
Altre norme saranno incluse nelle ordinanze di zoning e per le lottizzazioni. In alcune zone della contea, altre precisazioni potranno essere contenute nelle politiche di area, in piani particolari per la zona, in linee guida alla progettazione di zona.
Alcune aree destinate alle categorie degli usi commerciali, contengono anche previsioni per progetti di edilizia convenzionata. Alcune zone nelle Urban Service Area sono classificate Affordable Housing Combining District, per offrire ulteriori spazi a progetti che siano al 100% orientati a famiglie con reddito molto basso, basso, o modesto.
Politiche per le zone a “Commercio Generale”
Scopo e descrizione. La classificazione Commercio Generale si riferisce a spazi a uso commerciale intensivo a servizio di una miscela di attività, residenze, uffici di scala urbana anziché di solo quartiere. Si tratta di funzioni come il commercio qualificato e i servizi non su base quotidiana.
Questa categoria offre anche gli spazi misti di residenza e commercio nelle zone classificate urban service area.
Funzioni consentite. Sono consentite tutte le funzioni commerciali, con l’eccezione degli shopping centers di scala regionale. Gli usi principali vanno da grandi magazzini e negozi specializzati, ad attività con grande consumo di spazio quali il commercio di vernici, pneumatici, tappezzeria, legname, materiali per la casa, alimentari. Sono compresi anche il commercio all’ingrosso e altri usi e servizi ingombranti. Ricadono in questa classificazione gli uffici professionali, amministrativi, finanziari, medici e altre attività simili, che occupano una superficie lorda di pavimento superiore ai 500 metri quadrati. Funzioni residenziali e commerciali possono essere comprese in un singolo complesso edilizio quando siano chiaramente compatibili, e venga offerta una qualità di progettazione superiore, tale da consentire un ambiente vivibile e integrato. In queste zone si può considerare anche l’introduzione di abitazioni unifamiliari, invece delle funzioni commerciali, se ammesse dall’azzonamento. Nell’ordinanza di zoning dovranno essere più precisamente definiti gli usi consentiti e le relative dimensioni, altezze, rapporti di copertura e altri standards che definiscono il tipo di insediamento.
Densità consentite e criteri generali. In generale le strutture edilizie non dovrebbero superare più del 50% della superficie totale e l’altezza di 10 metri. Può essere presa in considerazione un’altezza superiore, se una conseguente riduzione della copertura impedisce un aumento della densità edilizia generale. Gli spazi commerciali sono sottoposti alle procedure di approvazione correnti dei progetti, e devono essere forniti di parcheggi propri.
Può essere presa in considerazione una miscela di funzioni commerciali e residenziali nei casi in cui sono disponibili servizi urbani, e nell’ambito di un piano urbanistico di area. Le proporzioni più adeguate fra residenza e attività non residenziali saranno specificate nell’Ordinanza di Zoning, e la funzione residenziale dovrà essere secondaria rispetto a quella commerciale, a meno che le unità aggiunte non siano soggette ai vincoli della destinazione a famiglie con reddito molto basso, basso, o moderato.
Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:
(1) I terreni devono essere localizzati entro l’area dei servizi urbani.
(2) Le attrezzature pubbliche devono essere disponibili, o previste dal piano.
(3) I terreni devono essere direttamente o facilmente accessibili da arterie principali di comunicazione, o ad esse collegate.
(4) I terreni devono essere nei pressi di altre funzioni commerciali, ma non devono formare fasce continue lungo le strade.
(5) I terreni non devono essere localizzati in aree di sensibilità ambientale, o di rischio rispetto a frane o esondazioni.
(6) Devono essere coerenti a qualunque piano approvato.
Politiche per le zone a “Commercio Limitato”
Scopo e descrizione. La classificazione “Commercio Limitato” si riferisce a spazi in cui sono limitate le funzioni ammesse. Limitazioni particolari possono essere specificate nelle indicazioni per ciascuna zona. Le aree a commercio limitato sono intese ad ospitare commercio e servizi per l’autosufficienza quotidiana dei quartieri urbani o insediamenti rurali. Questa categoria può anche offrire opportunità all’insediamento di funzioni miste residenziali e commerciali nelle zone classificate urban service area e quando consentito dall’ordinanza di zoning anche abitazioni unifamiliari in luogo degli usi commerciali.
Funzioni consentite.La gamma e dimensioni degli usi consentiti possono variare da luogo a luogo, ed essere stabilite da piani di zona. L’ordinanza di zoning può anche specificare ulteriormente le funzioni consentite e le dimensioni, altezze, rapporti di copertura e altri standards di questo tipo di insediamento. È possibile combinare usi commerciali e residenziali entro un singolo complesso entro le zone urban service area, posto che una superiore qualità progettuale consenta un ambiente integrato e vivibile.
Densità consentite e criteri generali. I lotti non possono avere dimensioni inferiori a 6.000 mq in caso di pozzi d’acqua e sistemi di smaltimento individuali, e di 4.000 mq in caso di allacciamento alle reti cittadine. Le strutture edilizie in genere non dovrebbero coprire più del 50% della superficie, e superare i 10 metri d’altezza. Può essere presa in considerazione un’altezza superiore, se una conseguente riduzione della copertura impedisce un aumento della densità edilizia generale. Gli edifici delle funzioni commerciali, e delle strutture Single Room Occupancy Units devono essere approvati secondo le procedure correnti, ed essere dotati di parcheggi propri. Le Single Room Occupancy Units devono essere di dimensioni limitate, per contenere i costi.
Si possono prendere in considerazione compresenze di funzioni residenziali e commerciali dove sono disponibili servizi urbani, e come parte di un piano urbanistico d’area. L’ordinanza di zoning specificherà le quote di funzioni residenziali e non-residenziali, stabilendo quella residenziale come secondaria, salvo nei casi in cui le unità aggiunte non siano soggette ai vincoli della destinazione a famiglie con reddito molto basso, basso, o moderato.
Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:
(1) I terreni devono essere direttamente o facilmente accessibili da arterie principali di comunicazione, o ad esse collegate.
(2) La quantità di aree destinata a funzione di commercio limitato dovrà essere coerente alla crescita di popolazione prevista per il bacino di mercato locale. Si prevedono quantità molto limitate di questo tipo di aree al di fuori della zone dei servizi urbani.
(3) Nelle zone non comprese all’interno di municipi [ unincorporated] ..., queste zone dovranno essere vicine ad altre funzioni commerciali, o ad aree locali di popolazione concentrata.
(4) Non sono consentiti, nelle zone unincorporated, insediamenti a “commercio limitato” al di fuori delle zone descritte al punto precedente.
(5) I terreni non devono essere localizzati all’interno di corridoi panoramici, eccetto nei casi delle zone unincorporated.
(6) Nelle aree rurali, questi spazi possono essere limitati ad un solo lotto edificabile, che possa essere servito da un singolo pozzo e sistema di smaltimento.
(7) Devono essere coerenti a qualunque piano approvato.
Politiche per le zone a “Commercio Limitato” – Aree con problemi di traffico
Scopo e descrizione. Questa destinazione riguarda località simili a quelle a “Commerico Limitato”, ma che sono interessata da gravi problemi di congestione del traffico. Particolari sugli impatti del traffico possono essere specificati nelle norme per ciascuna zona, o nell’ordinanza di zoning.
Funzioni consentite. La gamma e/o dimensioni delle funzioni consentite variano a seconda delle località e dei problemi di traffico, in modo simile alla categoria “Commercio Limitato”. Il traffico medio prodotto quotidianamente da alcune aree a commercio limitato, è calcolato dallo Institute of Transportation Engineers, e viene pubblicato periodicamente nel manuale tecnico Trip Generation.
Densità consentite e criteri generali. Vale quanto stabilito per le aree “Commercio Limitato”, con ulteriori vincoli riguardo al traffico da specificarsi nell’ordinanza di zoning. Si utilizzeranno i particolari livelli di traffico quotidiano, insieme al manuale Trip Generation, pubblicato dallo Institute of Transportation Engineers, per determinare le densità e tipi di funzioni consentite.
Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:
(1) Quelli elencati per le zone a “Commercio Limitato”.
(2) I terreni devono essere localizzati in un’area soggetta a grave congestione da traffico, nei pressi di un’arteria o svincolo, previsti da questo o da altri piani per la zona.
Politiche per zone a “Tempo libero e attività per non residenti”
Scopo e descrizione. Questa classificazione riguarda gli spazi per il tempo libero all’aperto e i relativi servizi di tipo commerciale necessari ai visitatori di passaggio. Lo scopo è quello di limitare questo tipo di insediamenti alle località più appropriate. Questa categoria offre anche opportunità di mescolare funzioni residenziali e commerciali nelle aree dei servizi urbani.
Funzioni consentite.Gli usi principali sono il tempo libero all’aperto e le funzioni commerciali legate al turismo, come i campi da golf, da tennis, marine, per le corse, poligoni di tiro e simili, di proprietà privata. Altre funzioni includono campeggi, parchi veicoli connessi al tempo libero, alloggi per turisti, strutture per il tempo libero al coperto, centri di informazione turistica, musei, ristoranti e altri usi rivolti ai visitatori. Le funzioni residenziali, e quelle commerciali per il tempo libero rivolte ai visitatori, possono essere combinate entro un singolo insediamento quando la residenza sia evidentemente compatibile con gli altri usi, e quando un livello progettuale superiore consenta un ambiente integrato e vivibile. Nei modi specificati eventualmente da piani di zona, entro questa categoria possono essere collocate anche abitazioni unifamiliari in luogo di funzioni commerciali. Altrimenti, la funzione residenziale è limitata all’abitazione del custode di ciascun complesso commerciale o per il tempo libero; oppure, all’occupazione di lungo termine a scopo residenziale di veicoli a traino negli spazi riservati, che hanno ottenuto apposita approvazione statale. L’ordinanza di zoning può specificare ulteriormente le funzioni consentite in questa categoria, e le quantità, altezze, rapporti di copertura e altri standards relativi a questo tipo di insediamento.
Densità consentite e criteri generali. I lotti non possono avere dimensioni inferiori a 6.000 mq in caso di pozzi d’acqua e sistemi di smaltimento individuali, e di 4.000 mq in caso di allacciamento alle reti cittadine. Le strutture edilizie e parcheggi in genere non dovrebbero coprire più del 50% della superficie, e l’altezza massima non dovrebbe superare i 10 metri. È possibile prendere in considerazione un aumento delle altezze se si accompagna a una riduzione della copertura, e quindi non aumenta in generale la densità edilizia. Le strutture di alloggio non possono superare le 50 stanze per complesso nelle zone rurali, e le 200 per le localizzazioni urbane. Possono essere autorizzate strutture fino a 100 stanze nelle zone rurali, se servite dalla rete fognaria, a condizione che questi usi siano compatibili e non interferiscano negativamente con le circostanti funzioni agricole, residenziali, l’ambiente. Le single room occupancy units e le altre strutture commerciali e per il tempo libero devono essere approvate tramite la procedura di revisione dei progetti. Le single room occupancy units dovranno essere di dimensioni limitate per assicurare bassi costi. La Zoning Ordinance dovrà stabilire le particolari proporzioni di usi residenziali e non-residenziali stabilendo che la funzione residenziale sia secondaria rispetto a quella commerciale, salvo nei casi in cui cui le unità aggiunte non siano soggette ai vincoli della destinazione a famiglie con reddito molto basso, basso, o moderato. Per consentire l’uso a funzioni residenziali di lungo periodo degli spazi a parcheggio veicoli nelle zone ad attrezzature per il tempo libero, sono necessarie procedure di autorizzazione urbanistica e edilizia; le norme di zoning dovranno in questo caso specificare i criteri di approvazione, inclusi i permessi statali, le verifiche di sovraffollamento, tutela dei minori, la collocazione al di fuori delle aree di esondazione, accertata disponibilità di acqua potabile e scarichi, servizi privati, accessibilità e parcheggi, mascherature, arredo a verde, recinzioni, gestione dei rifiuti, manutenzione ordinaria, aspetto esteriore.
Criteri di destinazione. La classificazione delle zone entro questa categoria deve soddisfare i seguenti punti:
(1) I terreni devono essere accessibili da una strada di contea o statale, preferibilmente di grande comunicazione o connessione.
(2) Devono essere coerenti a qualunque piano approvato.
(3) La destinazione deve essere coerente alla parte del piano denominata Agricultural Resources Element e agli scopi e obiettivi di tutela delle terre agricole della parte Land Use Element.
(4) La località deve essere interna o vicina a una Urban Service Area.
(5) L’uso della località per i servizi ai visitatori e le funzioni di tempo libero deve essere compatibile con gli usi circostanti e le caratteristiche della zona.
(6) Il traffico potenzialmente generato dall’uso del sito deve essere inserito nel capitolo “Level of Service Objectives and Road Standards” del Circulation and Transit Element.
(7) La destinazione a questi usi non deve risultare in una diminuzione delle abitazioni di edilizia convenzionata, né entrare in conflitto con scopi, obiettivi e politiche generali della parte di piano denominata Housing Element.
(8) L’uso commerciale, di servizi al visitatore, per il tempo libero, deve essere compatibile con le attività agricole circostanti, e non deve impedire o limitare usi agricoli presenti o futuri.
Nota: qui tutta la documentazione del General Plan 2020, al sito della Sonoma County; per una precisazione a scala cittadina, possono essere utili le Design Guidelines del capoluogo di contea, Santa Rosa, disponibili qui in italiano; nella sezione di Eddyburg Urbanistica/"Esperienze d'Oltralpe e Oltre Oceano" , anche alcuni testi che spiegano il meccanismo di pianificazione californiano e l'articolazione per "Elements" dei documenti (f.b.)
Titolo originale: Farm Wars: Can “Right to Farm” Laws Resolve Growing Land Use Conflicts? – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
A chi guida verso est sulla Highway 54 da Green Bay verso il Lago Michigan, si mostrano in cruda evidenza le due principali forze in campo per l’uso della terra americana: lo sprawl suburbano – come appare evidente da dozzine di nuovi insediamenti residenziali – e le attività di allevamento su larga scala, le cui lagune di letame e stalle delle dimensioni di un hangar si stagliano sull’orizzonte.
Molte famiglie di pendolari hanno abitato vicino a piccole fattorie per anni senza lamentarsi dei classici inconvenienti, come l’odore pungente del letame sparpagliato. E a ben vedere le diffuse leggi “ Right to Farm” approvate vent’anni fa sembravano segnare una tregua permanente fra i due schieramenti. Ma nell’ultimo decennio, le attività di allevamento hanno aumentato in modo spettacolare le proprie dimensioni, e le procedure concentrate alimentari per animali ( Concentrated Animal Feeding Operations - CAFO) sono diventate il metodo dominante di produzione per la carne e i latticini americani. Quando si installa poco più in là sulla strada un complesso CAFO con 15.000 maiali, 3.000 vacche, o 250.000 galline, e un lagone da un paio di ettari e molte decine di milioni di litri di letame all’aria aperta, i vicini iniziano a preoccuparsi, perché la loro salute potrebbe essere messa in pericolo da un inquinamento locale dell’aria, o dalla contaminazione dell’acqua potabile.
Questi aumentati conflitti sull’uso delle terre hanno prodotto di tutto, da una zuffa nel Kentucky occidentale a cause legali che chiedono ai tribunali di proteggere la salute e sicurezza degli abitanti, prevenendo “interferenze irragionevoli” con il tranquillo godimento della proprietà.
Mentre si sviluppano queste battaglie, anche qualche famiglia di agricoltori di lunga tradizione, nelle zone miste di campagna e residenza, inizia a temere i nuovi arrivati suburbani li mettano fuori gioco con “cause di nocività” contro quello che hanno fatto per generazioni: accumulare e spargere letame sul terreno.
L’aumento dei CAFO minaccia le leggi sul “diritto di coltivazione”
Verso la fine degli anni ’70 esisteva, diffusa tra contadini, pianificatori e politici, la convinzione che lo sprawl urbano fosse una tangibile minaccia alle attività agricole familiari. Uno dei timori era che la dispersione residenziale in zone agricole portasse una serie di costose cause intentate da pendolari, poco abituati alle pratiche agricole correnti, contro i contadini. I sostenitori dei contadini ritenevano che, anche se i coltivatori avrebbero probabilmente vinto queste controversie, le spese legali li avrebbero portati in bancarotta prima di arrivare ad una decisione favorevole del tribunale. Fra il 1978 e il 1983, almeno 40 stati approvarono leggi “ Right to Farm” pensate per limitare la possibilità ai nuovi vicini suburbani di intentare cause di nocività alle fattorie esistenti. Poco dopo, tutti i 50 stati avevano approvato queste leggi a tutela degli agricoltori.
Nell’approvare queste norme, i legislatori statali del paese avevano seguito la dottrina della common law vecchia di 400 anni (originaria dell’Inghilterra e portata nelle Colonie) che tutela gli usi del suolo esistenti dall’invadenza di altri usi. Il Right to Farm Act, del Vermont del 1981, per esempio, garantisce tutela ai contadini contro cause di nocività se l’attività è iniziata prima delle circostanti zone suburbane, e non mette in discussione salute e sicurezza pubblica. Secondo il Professor Dan Esty del Center for Environmental Law and Policy di Yale, “scopo della prima generazione di leggi Right to Farm era di proteggere le attività americane familiari tradizionali agricole dallo sprawl”. Queste prime leggi non prevedevano né tutelavano le nuove attività industrializzate di allevamento impiantate fra vecchie fattorie e residenze, perché come dice Esty, “all’epoca i CAFO erano solo una lucina all’orizzonte agricolo”. Alla fine degli anni ’90, in gran parte a causa della diffusione dei CAFO, le leggi sul “diritto di coltivazione” non risolvevano più in modo efficace i conflitti di uso del suolo fra le attività agricole e i vicini suburbani.
L’esplosione di nuovi CAFO in North Carolina illustra bene le dimensioni del conflitto emerso per l’uso dello spazio. Secondo un rapporto congiunto del Natural Resources Defense Council e del Clean Water Network, fra il 1991 e il 1998 il numero di maiali nelle fattorie del North Carolina è quasi triplicato, fino ai 10 milioni, superando così la popolazione umana dello stato. Le deiezioni generate, accumulate e sparse dai nuovi CAFO suini inquinano localmente l’aria e contaminano i pozzi d’acqua vicini utilizzati dagli insediamenti suburbani vicini e anche dalle famiglie rurali. Uno studio su 1.600 pozzi privati nei pressi di CAFO in North Carolina ha rilevato che un’incredibile 34% di essi era contaminato da nitrati, che possono portare a un aumento dei tassi di cancro alla vescica, al linfoma non-Hodgkin, a problemi renali. Con riferimento alle crescenti preoccupazioni sanitarie riguardo a “metalli pesanti, accelerata resistenza agli antibiotici, agenti patogeni, nitrati, endotossine batteriche, gas volatili, malattie gastrointestinali, problemi respiratori” la American Public Health Association ha chiesto una moratoria nazionale sull’impianto di nuovi CAFO. In più, l’eccessivo deflusso di acque e la frequente tracimazione dei lagoni ha prodotto seri inquinamenti nelle acque superficiali: quando un lagone di quattro ettari si è riversato oltre lo sbarramento, oltre 100 milioni di litri di deiezioni liquide si sono riversati su una strada, attraverso un campo di tabacco, dentro il New River, dove di fatto per una lunghezza di venticinque chilometri è stata uccisa tutta la vita acquatica.
La battaglia nei tribunali e parlamenti statali
Negli anni ’90 le imprese di agribusiness sono diventate sempre più consapevoli che le leggi originali per il Right to Farm approvate nei tardi anni ’70 non garantivano una tutela per la nocività dei nuovi CAFO. Le lobbies agricole hanno allora tentato, con successo, di far approvare nuove leggi più “restrittive”, che mettevano al riparo le attività agricole dalle cause di nocività, indipendentemente dal farlo a spese delle abitazioni suburbane. I commentatori legali hanno immediatamente compreso i pericolosi effetti di queste modifiche. L’avvocato del Michigan Steve Laurent ha sottolineato come “invece di essere una protezione per i piccoli agricoltori come inteso originariamente” le leggi più restrittive per il Right to Farm “funzionano più come un’arma nelle mani della grande impresa di allevamento, contro i residenti suburbani e le attività agricole familiari”. Di fronte a seri problemi sanitari e ambientali, abitanti e piccoli coltivatori hanno direcente contestato queste leggi “restrittive” come “atti incostituzionali”, affermando che esse impediscono il godimento della proprietà, violando così il Quinto Emendamento.
I tribunali dello Iowa, Michigan, Minnesota, Idaho, e Kansas hanno dato ragione a residenti e piccole aziende agricole, rilevando l’incostituzionalità delle leggi Right to Farm e invalidando le parti più flagrantemente anticostituzionali. Nel 1998, per esempio, la Corte Suprema dello Iowa ha sentenziato, “lo stato non può regolamentare la proprietà isolandone gli utenti da potenziali danni da parte di altri, senza offrire un giusto indennizzo alle persone colpite dal danno”. La Corte ha ritenuto che le più restrittive leggi Right to Farm dello Iowa andavano oltre le competenze dello stato “autorizzando l’uso della proprietà in modo tale da ledere i diritti di altri”.
Di recente, il bucolico Vermont si è distinto come centro del dibattito sul Right to Farm. Nell’ottobre 2003, la Corte Suprema del Vermont ha deciso che una coltivazione di frutta radicalmente ampliata nei pressi di una abitazione non aveva diritto all’immunità del “ Right to Farm” ai sensi della legge statale del 1981. Il Segretario all’Agricoltura, il Governatore, e il Farm Bureau hanno temuto che questa interpretazione del Right to Farm esponesse tutte le attività agricole del Vermont, piccole e grandi, a cause di nocività intentate da residenti suburbani.
Concorrenza, o salute pubblica
Si è iniziato un tentativo di riscrivere le leggi del Vermont per il Right to Farm, quando il Farm Bureau e i grandi operatori si sono schierati contro i residenti vicini ai CAFO, e i piccoli coltivatori biologici, che cercavano il modo di proteggersi dall’inquinamento delle grosse attività. Il Farm Bureau ha sostenuto norme più restrittive per il Right to Farm in una deposizione davanti allo House Agriculture Committee: “è assolutamente indispensabile che aglia gricoltori sia consentito di adottare nuove metodologie, nuovi tempi, nuove articolazioni, senza offrire il fianco allo spettro di una causa legale”. L’ufficio a sostenuto che l’agricoltura ha bisogno di espandersi per sopravvivere e che i “ flatlanders” (gente di città, che viene dalle zone metropolitane senza montagne di Boston o New York) che non capiscono le necessità agricole li farebbero fallire, distruggendo il sistema delle attività. La testimonianza affermava che senza più ampie tutele di Right to Farm, le fattorie sarebbero state sottoposte a “una causa di nocività o due, o tre, o una per ogni nuovi abitante, sino a che l’attività non fosse abbandonata”.
Le grandi imprese sostenevano inoltre che senza tutele non avrebbero potuto sopravvivere alla concorrenza esterna allo stato. Spiegarono che c’erano grandi complessi per i latticini nel West, Midwest, e nel Sud, da 50 a 100 volte le dimensioni di quelli più grossi del Vermont, e che occorreva crescere in modo sostanziale per poter competere sul mercato nazionale.
Gli abitanti delle zone prevalentemente rurali, ma pendolari verso gli impieghi urbani, hanno dichiarato di apprezzare l’agricoltura, e di voler garantire all’attività nel Vermont un luminoso futuro. Ma di essere preoccupati per la contaminazione dei pozzi dell’acqua, come in North Carolina, o per gli effetti sulla salute dei CAFO, come quelli documentati dalla American Public Health Association. Temevano anche che i valori immobiliari nei pressi dei nuovi CAFO diminuissero, come accaduto altrove, fino al 50%, minacciando la possibilità per le famiglie di ottenere prestiti usando l’abitazione come garanzia, ad esempi oper far studiare i figli in college. Come ha spiegato Patty Britch di Highgate, “Abbiamo bisogno di contadini in Vermont; dobbiamo sostenerli, [ma i legislatori] non possono dare tutti i diritti ai coltivatori … Ci deve essere un equilibrio di diritti, fra contadini e famiglie residenti”.
Piccola allevatrice di mucche da latte Fran Bessette vive vicino alle 100.000 galline del CAFO Vermont Egg Farm di Highgate, che ha chiesto un ampliamento sino a 700.000 galline. Parla delle mosche, delle nubi di pesticidi, degli insopportabili odori dal vicino CAFO, e dichiara che “a causa delle disinfestazioni per contenere la popolazione di insetti, mi sono presa un’infezione ai polmoni, ho perso 20 chili, non posso lavorare e sono malata da anni”.
Leggi protettive, ma politiche preventive
Nell’era dei CAFO, è evidente come una legislazione che conferisce assoluta immunità a tutte le attività agricole contenga il difetto fatale di essere troppo estensiva: protegge attività del tutto egregie, e attività pericolose, e corre anche il rischio ( à la Iowa) di essere annullata in quanto incostituzionale rispetto ai diritti di proprietà dei vicini. C’è ancora bisogno delle leggi Right to Farm, però, a tutelare l’agricoltura e le attività preesistenti dalle cause legali.
La nuova stesura delle leggi del Vermont per il Right to Farm ha finito per codificare, nei fatti, il buon senso comune proposto da Fran Bessette: “Non penso che i contadini, o i non-contadini, abbiano il diritto di imporre disagi a nessuno. Non importa chi, ma non deve essere in grado di far danni ad altri”. Dopo cinque mesi di dibattito, nel maggio 2004, il parlamento statale ha approvato un nuovo Right to Farm Bill che tutela chiaramente le attività agricole preesistenti da nuovi vicini suburbani, sempre che non esistano “evidenti effetti negativi sulla salute, sicurezza, benessere”. Caso raro nel modo delle leggi, sembra che tutte le parti fossero soddisfatte: il Vermont Farm Bureau, i residenti vicini preoccupati, i piccoli agricoltori e biologici, i gruppi ambientalisti, i legislatori, e tutta l’Amministrazione hanno sostenuto il progetto nella versione finale.
Ma una legge anti-nocività tagliata su misura non è sufficiente per risolvere i conflitti nell’uso delle terre fra CAFO, insediamenti suburbani, attività agricole minori. Contadini, residenti, gruppi ambientalisti e legislatori riconoscono sempre più che, se le leggi Right to Farm rispondono ad alcune esigenze sentite da entrambe le parti in causa, la soluzione vera per questi conflitti è di prevenire i problemi ambientali e di sanità pubblica, prima che si pongano.
Negli anni recenti sono emersi numerosi strumenti di intervento per ottenere questo scopo. Alcune norme localizzative di “ siting provision,” per esempio, assicurano che i nuovi CAFO siano realizzati in aree più isolate e meno ambientalmente sensibili, aiutando così a ridurne gli effetti sulla salute umana ei danni ecologici. Un altro esempio sono i “ Land base requirements,” che impongono a tutte le attività agricole, compresi i CAFO, di possedere ad esempio il 75% delel terre necessarie a spargere il letame che producono. Queste norme assicurano che CAFO e attività familiari non generino problemi crescendo troppo o troppo in fretta per riuscire a gestire in modo sicuro i propri scarti. I Land base requirements impediscono anche che i CAFO delle grandi compagnie smaltiscano i propri scarti tramite “accordi di spargimento” con soggetti terzi irresponsabili.
Ci sono state anche richieste di monitoraggio statale delle acque superficiali e sotterranee, di autorizzazioni agricole in base alla qualità delle acque, di un maggior coinvolgimento dei funzionari della sanità nei processi di autorizzazione per i CAFO. Infine, alcuni responsabili delle decisioni, soprattutto a livello statale, hanno recentemente chiesto di porre fine ad una politica che destina la stragrande maggioranza delle risorse e sostegni dei programmi speciali ai CAFO, in modo tale che anche le piccole attività agricole possano avere la propria legittima fetta della torta. Anche se non è possibile tornare con successo agli anni della tregua di prima dell’emergere dei CAFO, uno sforzo comune fra decisori e soggetti di entrambe le parti può impedire la diffusione dei gravi conflitti che ha dominato il periodo più recente.
Nota: qui il testo originale, con la bibliografia, al sito di Next American City; in questa stessa sezione di Eddyburg anche alcuni testi “paralleli” sul tema del consumo di suolo (f.b.)
Titolo originale: Vt. Residents Reject Big-Box Restrictions – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
In una seguitissima consultazione, gli abitanti hanno votato contro i limiti alle dimensioni dei negozi big-box, fissati ad un massimo di 7.500 metri quadrati per cercare di fermare l’ampliamento di un complesso Wal-Mart.
”Voglio un Wal-Mart più grande”, dice Jessica Caron, ventiseienne mamma di tre figli impiegata alla stazione di servizio Mobil di fronte all’attuale magazzino.
Si pensava che il regolamento, approvato in dicembre, dividesse la città più o mneo in due, ma il limite alla dimensioni dei big-box è stato bocciato con ben 2.189 voti contro 1.724. La partecipazione è stata del 40% sui 9.650 elettori registrati: piuttosto grossa, per una consultazione del genere.
Militanti hanno distribuito migliaia di volantini chiedendo agli abitanti di sostenere il limite massimo, e impedire i progetti di Wal-Mart di portare la superficie a oltre 10.000 metri quadri. La campagna anti-limiti ha diffuso messaggi radiofonici a sostegno della sua causa.
La vittoria della Wal-Mart Stores Inc. arriva a seguito di una martellante campagna sostenuta dal costruttore dell’Ohio Redstone Investments.
”Sono molto contento per la gente di Bennington, Vermont”, dice il socio della Redstone, Jonathan Levy. “Sono andati al Comune, e hanno dimostrato quello che pensavano dell’intera faccenda”.
La Planning Commission cittadina e il Select Board avevano esaminato a lungo la questione, e sostenevano in modo unanime il regolamento sui limiti. Allora gli oppositori hanno raccolto più di 1.000 firme e hanno promosso un referendum alla città.
Alicia Romac del gruppo a favore dei limiti Citizens for a Greater Bennington, afferma che avrebbe voluto lasciar decidere al consiglio comunale. “Si tratta di interessi particolari che si intrecciano con quelli generali della città, non mi pare il modo di gestire una questione di politica locale”.
La battaglia politica che ha portato al voto ha sollevato molti degli abituali argomenti sul commercio big-box, con qualcuno a dire che un Wal-Mart più grande avrebbe fatto fallire i negozi del centro. E altri a dire che quei negozi avevano bisogno di concorrenza.
Wal-Mart è sotto osservazione in tutto il paese per i suoi effetti su cose che vanno dal suo rapporto coi lavoratori, a quelli con gli altri esercizi commerciali, al traffico che generano i suoi negozi. Lo scorso mese la compagnia ha dovuto pagare la somma record di 11 milioni di dollari per aver usata centinaia di immigrati illegali a pulire i pavimenti dei negozi, in 21 stati.
Nel 1993, due anni prima che aprisse il Wal-Mart di Bennington, il National Trust For Historic Preservation aveva inserito l’intero stato del Vermont nella sua lista delle “10 località più in pericolo” dichiarando che il pericolo si chiamava “ Sprawl-Mart”.
Vermont è rientrato nella lista l’anno scorso, quando il National Trust ha affermato che la sua “magia particolare” di villaggi storici e paesaggi bucolici era minacciata da “un’invasione di mostruosi negozi che potrebbero distruggere quello che rende Vermont il Vermont”.
Il voto di Bennington, una cittadina di 16.000 abitanti nel sud-ovest dello stato, è stato seguito con attenzione dai legislatori di Montpelier, dove un progetto di legge vorrebbe limitare in tutto lo stato i negozi a 5.000 metri quadrati.
Uno dei principali sostenitori del progetto, il senatore repubblicano Vincent Illuzzi, ha detto che sta rivedendo le sue posizioni, e iniziando a credere che la questioni dovrebbe essere lasciata alle singole amministrazioni locali.
”Sono certo che ci sono negozi a Bennington che non esisteranno più fra tre o quattro anni” dice. “Tanto di cappello a Wal-Mart e al costruttore ... Questo dimostra che la compagnia intende investire il dovuto per costruire un negozio, quando vuole costruire un negozio”.
Nota: qui il testo originale sul sito di Forbes; per confronto e maggior completezza (la notizia è stata ripresa quasi subito fino a Honolulu) si veda almeno la notizia come riportata dal sito New Rules il 7 aprile, con links a vari documenti; qui su Eddyburg, qualche precedente del caso Vermont/Wal-Mart riassunto mesi fa dal sottoscritto (f.b.)
Titolo originale:The Mall Goes Undercover. It now looks like a city street – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
I centri commerciali, come adolescenti insicuri, cambiano look di continuo. Si strappano via tetti e corridoi di pareti lisce; aggiungono piazze all’aperto, marciapiedi, parcheggi sui lati della strada; e si ribattezzano, “ lifestyle centers”. Questo nuovo aspetto ricorda qualcosa: una vibrante strade urbana. Ma anche se questi nuovi centri commerciali possono sembrare spazi pubblici, non lo sono per niente, almeno se si vuole fare qualunque cosa diversa dallo shopping. Rappresentano un altro dei soliti cambi di aspetto per attirare il cliente da parte dei costruttori, che stavolta confonde lo spazio commerciale con quello pubblico. Hanno anche un enorme successo: l’ultimo conteggio da’ circa 130 lifestyle centers sparpagliati per tutto il paese. Nel 2006, New York City inaugurerà il primo in città.
Un sabato di recente, in cerca di futuro, sono stato a un lifestyle center fuori Phoenix chiamato Desert Ridge Marketplace. Dopo aver parcheggiato la mia Chevrolet a noleggio di fronte a un emporio big-box chiamato Barbeques Galore, sono entrato nei portali ad arco che decorano l’ingresso dello spazio commerciale. Dentro, ristoranti e negozi allineati lungo un serpeggiante e stretto percorso pedonale all’esterno, aperto su una serie di piccole piazze. C’erano sedie di vimini imbottite sparse attorno in modo casualmente studiato, e un enorme camino in pietra con delle panche sistemate attorno, per via di queste notti fredde nel deserto. Un posto ideale per gustarsi un Frappuccino.
Poi, ho guidato solo una ventina di chilometri lungo la strada, fino a un altro lifestyle center, Kierland Commons, con un atmosfera più residenziale. Da subito sembra un vero quartiere, pieno di attività. I marciapiedi sono ombreggiati da pergolati in fiore, e le strade ristrette agli angoli, per dare tacita precedenza ai pedoni. Una piazza urbana con un buon caffè e un palco per l’orchestra offre uno spazio centrale di incontro. Gli opuscoli promozionali di Kierland Commons vantano un “villaggio urbano unico” e un “piacevole e vivace spazio dove prende forma la città e si svolge la vita collettiva”. A dire il vero mentre stavo lì in piedi a guardare, c’era un cantante jazz che attirava attenzione, chinandosi a far la serenata a un bichon frisé di passaggio. La folla fa ooh! E poi, ci sono anche le ragazze Phoenix Suns!
Questa è la vita civica dell’America, più o meno nel 2005, e si sta diffondendo. Lo International Council of Shopping Centers stima che verranno aperti altri 17 lifestyle centers entro quest’anno. Il costruttore di Memphis Poag & McEwen ha coniato in termine a fine anni ’80, ma la maggior parte di questi centri sono stati realizzati negli ultimi due anni, di solito nei pressi di sobborghi ricchi. Sono grandi aree commerciali all’aperto progettate per sembrare strade di città, con particolare enfasi su ristoranti e altri spazi per guardare la gente. C’è anche quello che gli urbanisti chiamano mixed-use: un po’ di residenza, qualche ufficio e, occasionalmente, vere persone che abitano in appartamenti sopra i negozi. Alcuni – come il Santana Row a San Jose, California – sono così curati nei dettagli, concepiti con attenzione, pieni di gente nelle sere di fine settimana, che si giurerebbe di stare a Barcellona, Firenze, o nella zona nord di Broadway.
I costruttori di centri commerciali pensano che i lifestyle centers miglioreranno le fortune dei malls di medie dimensioni, che hanno perso clientela a favore dei megamalls. Sin da quando Vicotr Gruen ha realizzato il suo primo centro commerciale chiuso in un sobborgo di Minneapolis nel 1956, le dimensioni sono andate via via crescendo. Con gli anni, i centri sono diventati mostri che servono intere regioni, come il King of Prussia Mall in Pennsylvania o il Mall of America in Minnesota. Tutti questi centri commerciali girano le spalle a quanto gli sta attorno e concentrano la propria attività su, e all’interno di, se stessi. Al contrario, i lifestyle centers fanno un gesto di apertura verso il proprio ambiente. Con le loro reti stradali e marciapiedi, comunicano la sensazione di star fuori, in giro per il mondo. I costruttori sperano che, puntando su comodità e attrazioni di tempo libero, la gente verrà più spesso, e si fermerà più a lungo.
A differenza delle precedete reinvenzione del centro commerciale, come “festival marketplace”, i lifestyle centers non tentano di evocare un passato idilliaco. Faneuil Hall a Boston, aperto nel 1976, e South Street Seaport a New York, inaugurato nel 1983, innestavano l’idea del centro commerciale sul mercato storico, sperando di rendere lo shopping simile al turismo. Nei lifestyle centers, il tema più evidente è la città stessa. Gli ideatori riconoscono che “shopping” è solo uno dei tanti passatempi urbani, come mangiare nei ristoranti, guardare la gente, i concerti all’aria aperta, ammirare opere d’arte. La cosa più incredibile è che i lifestyle centers fanno tutte le cose che gli urbanisti hanno chiesto per anni come strumento per contrastare lo sprawl: sistemare più cose in meno spazio, combinare una miscela di funzioni, utilizzare un sistema stradale progettato nei dettagli per creare un ambiente pubblico: il “ballo del marciapiede”, nell’affascinante descrizione di Jane Jacobs. L’ironia è che tutto sembra troppo perfetto: ora i centri commerciali sono progettati per sembrare i centri città commerciali che hanno sostituito. Che dolce vendetta, per i raffinati cittadini!
Macché. I lifestyle centers sono spazi di proprietà privata, accuratamente isolati dal disordine della vita pubblica. Desert Ridge, per esempio, ha un rigoroso codice di comportamento, stampato sotto le guide. L’elenco delle cose vietate comprende “attività espressive non commerciali”, per non parlare del “fissare in modo eccessivo” o “scattare foto” filmare o fare registrazioni audio di qualunque negozio, prodotto, dipendente, cliente o funzionario”. Sono comunque consentite “foto delel feste commerciali con addobbi commerciali come sfondo”.
È questo il nostro spazio pubblico? I lifestyle centers non sono peggio dei centri commerciali come luogo di incontro; in effetti sono progettati molto meglio, e riescono a catturare molti dei piaceri del passeggio su una strada urbana. Ma se pensate per un momento che, in quanto società, stiamo diventando un po’ confusi per quanto riguarda il nostro diritto di libera espressione, allora il lifestyle centers sono un ottimo bersaglio. C’è qualcosa di lievemente malsano negli spazi pubblici artatamente progettati per attirare gente ricca e farla sentire a suo agio (almeno il centro commerciale tradizionale non tentava di nascondere il fatto di essere un centro commerciale). Il lifestyle center è un bizzarro prodotto collaterale della mentalità suburbana: la gente vuole spazio pubblico, anche se l’unico modo di ottenerlo è renderlo privato.
Nel 2006, il Ridge Hill Village Center, un “ enhanced lifestyle center” progettato dal noto architetto Hugh Hardy, aprirà a Yonkers, N.Y. Oltre ai negozi e ai cinema, ci saranno spazi per uffici, un albergo e un centro congressi, e 800 abitazioni da affittare, il 10% delle quali si adegua addirittura all’ordinanza di Yonkers sulle case a prezzi concordati. Al centro ci sarà Town Square, uno spazio “pubblico” modellato su Gramercy Park. Sarà bellissimo. Solo: non tentate di dire il contrario.
Nota: la stessa opinione di questo articolo è sostenuta da una nota del 17 febbraio 2005, nientemeno che sul sito dello International Council for Shopping Centers: i cosiddetti lifestyle centers stanno transustanziando in mall, e viceversa. Anche su Eddyburg è già disponibile un articolo su questo modello commerciale di retailtainment. Qui, infine, il testo originale al sito di Slate, che tra l’altro contiene i links ai progetti citati nel testo, con altre informazioni e immagini (f.b.)
Nota: i due testi che seguono provengono da fonti diverse. Sono comunque complementari, e vale la pena riportarli insieme: prima un articolo di giornale che descrive brevemente il dibattito sul documento, poi lo stesso documento (f.b.)
Judith Davidoff, La città fissa regole per il commercio big-box, The Capital Times, 30 marzo 2005; Titolo originale: City Sets Rules For Big Box Stores – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Dopo quattro anni di discussione, Madison ha approvato un’ordinanza relativa alla progettazione di insediamenti commerciali “ big box”.
Sollecitando quello che sarebbe stato l’ultimo passaggio istituzionale di questa revisione normativa, l’assessore Ken Golden ha detto che le nuove regole serviranno a “rendere più urbano il big box”.
”Migliorano molto i requisiti estetici” ha dichiarato. Golden aggiunge che l’ordinanza migliorerà anche l’accessibilità pedonale.
”Sto tentando di proporre qualcosa su cui chi realizza questi negozi possa lavorare. Credo che cambierà il loro modo di presentarsi, e che se ne continueranno a realizzare, a Madison”.
Gli oppositori dei big box gridano contro il mare d’asfalto che circonda questi insediamenti superstore. Dicono che questi dilaganti e anonimi negozi sono brutti, ambientalmente dannosi, e probabile bacio della morte per il piccolo commercio esistente, che altrimenti prospererebbe nelle città e cittadine.
Approvando la sua ordinanza sui big box, Madison si aggiunge ad altre città del paese che hanno cercato di regolamentare questo tipo di insediamenti per alleviare alcuni degli impatti negativi.
Golden ha presentato l’ultima stesura dell’ordinanza al Consiglio giovedì, dopo aver utilizzato un rinvio di 60 giorni per consultare costruttori e funzionari comunali riguardo ai problemi economici connessi.
Il consigliere Robbie Webber e il presidente del consiglio Brenda Konkel, entrambi sostenitori della prima ora dell’ordinanza sui big box, hanno cercato di aggiornare la riunione. Volevano sollecitare una maggiore partecipazione pubblica ed ampliare le potenzialità dell’ordinanza richiedendo studi di impatto economico-fiscale per i nuovi insediamenti big box.
Ma la mozione è stata respinta, così come parecchi altri tentativi di rendere più rigidi i requisiti dell’ordinanza.
La presidente Konkel dopo il consiglio ha dichiarato di aver votato comunque a favore, perché pensa che qualunque regolamentazione di progetto per i big box sia un passo nella direzione giusta.
”Sono lieta che ci sia qualcosa di scritto e approvato, in grado di orientare un po’ l’ambiente delle costruzioni”.
L’ordinanza fissa regole progettuali e urbanistiche per insediamenti di superficie maggiore a 4.000 metri quadri su singola proprietà, e limita la superficie degli edifici commerciali a un massimo di 10.000 mq.
Versioni precedenti dell’ordinanza proibivano di collocare il parcheggio sul fronte degli edifici; il testo approvato ne consente in alcuni casi due strisce davanti ai big box.
Consente anche ai costruttori alcune flessibilità riguardo ai parcheggi, se vengono utilizzate certe cautele ambientali.
IL TESTO DELL’ORDINANZA
Nota preliminare: questa versione tradotta non è integrale; mancano due articoli finali che non mi parevano rilevanti, e soprattutto per ovvi motivi di leggibilità ho cancellato dalla minuta disponibile le parti di testo originale emendate, lasciando solo la versione definitiva; le misure in sistema decimale sono, come d’abitudine (mia) lievemente arrotondate per semplicità di lettura (f.b.)
Emendamenti all’ordinanza relativa ai Grandi Insediamenti Commerciali, approvata dalla Commissione Urbanistica il 24 gennaio 2005.
Dichiarazione di intenti
Scopo di questo documento è quello di offrire un quadro di regole per assicurare che i grandi insediamenti commerciali promuovano un uso efficiente del suolo e conservino e valorizzino il tessuto urbano attraverso un’attenta progettazione urbanistica ed edilizia. Nell’applicazione della presente ordinanza alla riedificazione, ampliamento, ristrutturazione di complessi esistenti, l’obiettivo è quello di perseguire migliorie, riconoscendo comunque che le costrizioni esistenti probabilmente renderanno difficile o impossibile il pieno adeguamento alle sue indicazioni.
La sottosezione (f)8.e., è sostituita da:
e. Gestione Domanda di Mobilità. Ogni singolo insediamento commerciale con superficie superiore a 4.000 metri quadrati o con più di cento (100) dipendenti o equivalenti a tempo pieno, deve predisporre una piano di Transportation Demand Management (TDM), o partecipare ad una Transportation Management Association (TMA), quando essa sia disponibile nell’area geografica dell’insediamento. Questo requisito si applica anche nel caso di qualunque attività commerciale esistente che proponga modifiche o ampliamenti, o che superi i cento (100) dipendenti o equivalenti a tempo pieno.
I. Il piano TDM descrive in generale le intenzioni del richiedente riguardo alla riduzione del numero di spostamenti automobilistici con un solo occupante, ed elenca i metodi che si intendono usare a questo scopo. Tali metodi saranno basati sulle scelte di trasporto disponibili e si deve indicare se il richiedente intenda coprire interamente il costo di acquisto di un abbonamento al servizio autobus per l’area metropolitana di Madison, od offrire a tutti i propri dipendenti tre (3) o più delle seguenti opzioni: car-pooling; parcheggi riservati per chi viaggia in car-pooling; parcheggio cicli custodito e copoerto, con servizio docce e armadi; sostegni o rimborsi per gli spostamenti; programma di trasporto a casa d’emergenza; tessera di autobus a contributo dell’impresa; offerta di informazioni in tempo rale sulle opportunità di trasporto; altre possibilità proposte dalle imprese a scoraggiare l’uso di veicoli con un solo occupante, e approvate dall’amministrazione municipale.
II. Il datore di lavoro deve rendere disponibili le previsioni del proprio Piano a tutti i dipendenti.
III. Il Piano descriverà gli impatti del traffico e del parcheggio legati al proprio insediamento e fornirà dettagli sull emisure utilizzate per monitorarli.
IV. Il Piano verrà periodicamente aggiornato, a scadenze non superiori ai due anni.
V. Il Piano verrà sottoposto all’esame dell’Ingegnere del Traffico, di concerto con il Direttore dell’Ufficio Urbanistica. L’Ingegnere del Traffico dovrà esprimere commenti e suggerimenti di eventuale modifica e miglioramento.
[...]
Il Consiglio municipale della Città di Madison ordina quanto segue:
1. Viene inserita una nuova Suddivisione (f) dal titolo “ Grandi Insediamenti Commerciali”, della Sottosezione (4) titolata “ Poteri e Funzioni”, della Sezione 33.02 dal titolo “ Commissione per il Progetto Urbano” dell’Ordinanza Generale di Madison, e che recita come segue:
“(f) Grandi Insediamenti Commerciali.
1 - Applicabilità. Sono soggetti alla presente ordinanza tutti i nuovi insediamenti commerciali su singolo lotto e con una superficie lorda di pavimento totale ( Gross Floor Area, GFA) superiore a 4.000 metri quadrati. La GFA sarà calcolata sommando le GFA di tutti gli edifici su un singolo lotto omogeneo di zoning, che facciano parte di un solo complesso commerciale. Nell’esaminare quanto segue, le Commissioni per la Progettazione Urbana e per il Piano regolatore, e i funzionari tecnici, dovranno tener presenti le principali raccomandazioni progettuali del Master Plan cittadino, o di altri piani adottati dall’amministrazione.
a. Ciascun insediamento commerciale con una GFA superiore a 4.000 metri quadrati è soggetto a quanto previsto dai seguenti paragrafi, da 2 a 13.
b. Tutti gli insediamenti su un unico lotto di zoning sono soggetti a quanto previsto dai seguenti paragrafi ca 6 a 13.
c. La Commissione di Piano può concedere deroga relativamente ad uno o più requisiti dei paragrafi da 3 a 13, se giudica che particolari circostanze meritino soluzioni di progetto tali da ottenere risultati di qualità superiore.
d. Le proposte di ampliamento, modifiche esterne all’edificio o all’insediamento, di strutture effettivamente utilizzate, o originariamente progettate per, contenere attività commerciali con una GFA superiore a 4.000 metri quasrati, saranno approvate secondo le regole previste per quanto riguarda i progetti di trasformazione di strutture esistenti, e dovranno rispettare il più possibile le presenti norme, nei limiti consentiti dagli spazi ed edifici esistenti.
e. Le proposte di modifica dei complessi esistenti, che superino o intendano superare attraverso la modifica la superficie massima descritta al successivo par. 2, saranno approvate secondo le regole previste per quanto riguarda i progetti di trasformazione di strutture esistenti, e dovranno rispettare il più possibile le presenti norme, nei limiti consentiti dagli spazi ed edifici esistenti.
2 - Superficie massima dell’edificio. Nessun nuovo complesso commerciale deve superare la superficie coperta di diecimila (10.000) metri quadrati, deifinita dalle pareti esterne. Altre strutture commerciali, per uffici, il tempo libero, di diversa proprietà, o funzioni residenziali, non connessi a questo progettato complesso, non saranno conteggiati entro il limite dei diecimila (10.000) metri quadrati.
a. Fermo restando quanto sopra, la Commissione di Piano può prendere in considerazione la possibilità di un complesso comerciale che superi i diecimila (10.000) metri quadrati, se il progetto comprende una o più delle seguenti caratteristiche:
I. Insediamento multipiano.
II. Insediamento multifunzionale.
III. Basato sui parcheggi sotterranei.
b. Altre caratteristiche progettuali che la Commissione Progetto Urbano e/o la Commissione di Piano possono prendere in considerazione per autorizzare un complesso commerciale che superi i diecimila (10.000) metri quadrati, sono:
I. Gestione delle acque di scarico con impianto proprio di depurazione e vasca di contenimento.
II. Progettazione energeticamente efficiente.
III. Progettazione edilizia ecologica.
IV. Coperture a verde.
3. Facciate e pareti esterne. Le carateristiche di questa sezione si applicano a tutti i complessi commerciali di superficie superiore a quattromila (4.000) metri quadrati. Riguardano le facciate che siano visibili dalla pubblica via, dalle proprietà confinanti, da fasce laterali.
a. Le facciate con sviluppo orizzontale superiore a ventitre (23) metri, devono comprendere sporgenze o rientranze aventi una profondità almeno del 3% della lunghezza totale della facciata, ed estese lungo almeno il 20% del suo sviluppo. Nessuna superficie priva di interruzioni può superare i ventitre (23) metri.
b. La parti delle facciate al pianterreno o sulla pubblica via con accesso pedonale o veicolare devono comprendere le seguenti caratteristiche su non meno del 60% dello sviluppo orizzontale, secondo modalità considerate sufficienti dalla Commissione di Piano:
I. Arcate.
II. Aperture/finestre per visione, esposizione, illuminazione.
III. Entrate clienti, oltre a quelle richieste al seguente par. 6.
IV. Tende da sole, pensiline, o portici.
V. Patios esterni, o elementi di spazio comune come quelli descritti al par. 11a.
c. Le facciate degli edifici devono comprendere a uno schema ripetuto che contenga almeno tre (3) dei seguenti elementi:
I. Cambio di colore.
II. Cambio di aspetto dei materiali.
III. Cambio di moduli costruttivi.
IV. Qualche genere di evidenza strutturale o architettonica tramite sporgenza larga non meno di 60 cm, sfalsamento, mazzetta o nervatura sporgente.
d. Almeno uno (1) degli elementi citati sopra sarà ripetuto orizzontalmente. Tutti gli elementi si devono ripetere ad intervalli non superiori ai nove (9) metri, sia in senso orizzontale che verticale.
4. Tetti. I requisiti di questa sezione si applicano a tutti i complessi commerciali con una GFA superiore ai 4.000 metri quadrati.
a. Le linee delle coperture devono essere variate da cambi di altezza ogni ventitre (23) metri lineari lungo il perimetro dell’edificio.
b. I tetti dovranno avere caratteristiche quali:
I. Parapetti, abbaini a falde, coperture a padiglione, o altri elementi utilizzati a nascondere le attrezzature tecniche dalla pubblica vista. L’altezza media dei parapetti non potrà essere superiore al quindici per cento (15%) dell’altezza delle pareti sottostanti, e in nessun punto superare un terzo dell’altezza della parete. I parapetti saranno trattati a definire una cornice tridimensionale.
II. Cornicioni sporgenti non meno di 1 metro dalle pareti sottostanti.
III. Tre (3) o più piani di falda, con dimensioni e aspetto vari.
5. Materiali e colori. Le caratteristiche di questa sezione si applicano alle facciate visibili dalla pubblica via, proprietà confinanti o fasce laterali di qualunque complesso commerciale con GFA superiore ai quattromila (4.000) metri quadrati. I materiali esterni dominanti saranno di alta qualità, come (ma non solo) mattoni; legno; pietra; elementi murari colorati e trattati. Isolamenti esterni e altre finiture simili non potranno essere utilizzati sul metro inferiore delle facciate.
6. Ingresso clienti.
a. Ogni edificio principale costituente il complesso dovrà avere un ingresso clienti chiaramente definito e visibile, che possieda non meno di tre (3) delle seguenti caratteristiche:
I. Pensiline o portici
II. Coperture
III. Rientranze/sporgenze
IV. Arcate
V. Parapetti incorniciati sopra la porta
VI. Vetrine
VII. Forme di copertura a cuspide
VIII. Archi
IX. Patios esterni
X. Particolari architettonici come ceramiche o bassorilievi inseriti nel corpo dell’edificio
XI. Piantumazioni in terra o ali laterali con inserite piante e/o spazi a sedere.
b. Tutti i lati degli edifici che si affacciano direttamente su un passaggio pubblico o privato di accesso pedonale o veicolare al complesso commerciale, devono essere dotati di almeno un (1) ingresso clienti. Tale entrata può utilizzare una piazza pedonale, portico di ingresso o altro spazio comune, come descritto al successivo par. 11, posto fra l’edificio e il marciapiede. Quando l’edificio si affaccia su due (2) o più passaggi pubblici o privati, questa caratteristica si applica almeno al lato sul passaggio più trafficato, che offre accesso pedonale o veicolare al complesso. Per ottenere questo risultato possono essere utilizzati ingressi d’angolo.
7. Progettazione del sito. Le seguenti caratteristiche si applicano all’insieme del lotto omogeneo di zoning.
a. Almeno il 50 per cento (50%) dell’affaccio sulle strade laterali deve essere occupato dalle facciate degli edifici, con un arretramento massimo di sei (6) metri. Questa caratteristica può essere ottenuta utilizzando qualunque organizzazione degli edifici all’interno del lotto. Non sono consentiti parcheggi localizzati tra la facciata(e) e la strada. Nel caso in cui il lotto si affacci su due (2) o più passaggi pubblici o privati, questa caratteristica si applica a uno (1) dei fronti che offre accesso pedonale o veicolare al complesso.
b. Nel caso in cui un fronte sia prospiciente spazi utilizzati o destinati a funzioni residenziali, si dovrà realizzare una spalla in terra o muro di contenimento di altezza non inferiore a m. 1,2. La spalla di terra, o spazio interno al muro di contenimento dovrà essere piantumata, come minimo, con due strisce di piante sempreverdi (o combinazione di decidue e sempreverdi) a intervalli di 4,5 m. o a gruppi o raggruppamenti.
c. Dovrà essere piantato un albero lungo la strada ogni dieci (10) metri lungo la porzione di perimetro del lotto prospiciente un passaggio pubblico. Tali alberi possono essere piantati in gruppi.
d. Le caratteristiche dei sottoparagrafi a. e b. di cui sopra, sono in aggiunta a quelle stabilite in altri punti delle presenti norme.
8. Parcheggi. Le seguenti caratteristiche si applicano all’intero lotto di zoning.
a. Non si può utilizzare più del 50 per cento (50%) di qualunque fronte stradale a parcheggio.
b. L’organizzazione e aspetto delle strutture per il parcheggio deve essere complementare alle strutture servite, e ridurre al minimo l’aspetto utilitaristico utilizzando elementi progettuali come colonnati, arcate, pensiline, arredo stradale o altri elementi a suo pubblico. Dovranno essere utilizzati nelle facciate degli edifici destinati a parcheggio, materiali coordinati, piantumazioni e schermature, colori, illuminazione e insegne appropriati.
c. Qualunque parcheggio che superi le quantità minime previste di oltre il dieci per cento (10%) dovrà comprendere una (1) o più delle caratteristiche seguenti, approvate dalla Commissione di Piano, per compensare in modo sufficiente gli effetti negativi delle ulteriori superfici asfaltate:
I. Un piano per l’infiltrazione delle acque piovane, che includa soluzioni come fasce naturali di assorbimento, o materiali di pavimentazione permeabili.
II. Aree piantumate aggiuntive rispetto agli standards richiesti.
III. Un Piano Gestione Mobilità per i dipendenti.
IV. Parcheggi in edifici appositi.
d. I parcheggi lungo la strada dovranno essere collocati ad ameno tre (3) metri da qualunque linea di confine di proprietà e/o passaggio, e utilizzare elementi di separazione naturali quali alberi, cespugli, siepi, recinzioni decorate, panchine, fioriere, aiuole o altri elementi di buona qualità.
e. Piano Gestione Mobilità. Ogni insediamento commerciale con superficie superiore a quattromila (4.000) metri quadrati, con cento (100) o più dipendenti a tempo pieno o equivalenti, deve dotarsi di un Piano di Gestione Mobilità, o partecipare a una Transportation Management Association (TMA), se disponibile. Questa caratteristica si applica a qualunque attività commerciale già esistente che richieda ampliamenti o trasformazioni, che comportino cento (100) o più dipendenti a tempo pieno o equivalenti.
f. Ogni dodici (12) o quindici (15) posti a parcheggio in linea continua, si richiede un albero da ombra nei piazzali interni, secondo i requisiti della sezione 28.04 delle norme.
9. Depositi esterni, raccolta dei rifiuti, aree di carico/scarico, attrezzature meccaniche. Le caratteristiche seguenti si applicano all’intero lotto di zoning.
a. Le aree di deposito esterne, parcheggi di camion, raccolta rifiuti, carico/scarico o funzioni simili, non dovranno essere visibili da passaggi pubblici o privati.
b. Non sono consentite aree di deposito esterne, parcheggi di camion, raccolta rifiuti, carico/scarico o funzioni simili, ad una distanza inferiore a sei (6) metri da qualunque strada pubblica o privata, marciapiede o passaggio pedonale interno.
c. Piattaforme di carico, parcheggi di camion, depositi esterni, bilance e altre attrezzature, raccolta rifiuti e compattazione, o altre funzioni di servizio, devono essere incorporate nel progetto generale edilizio, ed utilizzare schermature o elementi naturali in modo che gli impatti visivi e acustici delle funzioni siano del tutto esclusi dalle proprietà adiacenti e dalla pubblica via. I materiali di schermatura non saranno diversi o di qualità inferiore rispetto agli altri utilizzati nell’edificio o negli arredi a verde.
d. Le aree esterne di deposito e vendita degli articoli stagionali dovranno essere organizzate in modo permanente, e schermate con pareti e/o recinzioni. Materiali, colori e progettazione generale delle pareti e/o recinzioni dovranno conformarsi a quelli predominanti dell’edificio. Se si tratta di aree coperte, anche colori e materiali della copertura saranno conformi a quelli predominanti dell’edificio(i).
10. Circolazione pedonale. Le caratteristiche seguenti si applicano all’intero lotto di zoning.
a. Si realizzeranno su tutti i lati del complesso prospicienti un pubblico passaggio marciapiedi larghi almeno due (2) metri. Per questo scopo possono essere utilizzati anche i marciapiedi pubblici della fascia stradale.
b. Si realizzeranno percorsi pedonali continui larghi almeno due (2) metri, dal marciapiede o passaggio pubblico sino all’ingresso clienti principale di tutti gli edifici del complesso. Come minimo, percorsi pedonali dovranno collegare punti focali quali (ma non solo) fermate del trasporto pubblico, attraversamenti pedonali, ingressi degli edifici e dei negozi. I percorsi dovranno avere proprie aree a verde lungo almeno il cinquanta per cento (50%) della lunghezza. Tali aree devono comprendere alberi, cespugli, panchine, fioriere, aiuole e altri elementi simili.
c. Si realizzeranno marciapiedi larghi almeno 2,5 metri lungo l’intera lunghezza della facciata dell’edificio con un ingresso clienti, e lungo qualunque facciata prospiciente le zone a parcheggio, con uno spazio di almeno 2,5 metri da qualunque ostacolo, chiosco di vendita ecc. Questi marciapiedi saranno realizzati ad almeno 2,5 metri dalla facciata, lasciando spazio a un letto di terra per l’arredo a verde perimetrale, eccetto dove elementi come arcate, ingressi o spazi collettivi, come definiti al par. 11 di seguito, facciano parte della facciata.
d. I percorsi pedonali interni realizzati ai sensi del precedente paragrafo 10.b., saranno dotati di strutture di protezione dalla pioggia, come pensiline o arcate, a nove (9) metri dagli ingressi clienti, e saranno realizzati parallelamente alla facciata dell’edificio, anche se non prolungati verso le corsie di manovra o le aree a parcheggio.
e. Tutti i percorsi e attraversamenti pedonali interni dovranno essere distinti dai percorsi veicolari, per aumentare la sicurezza e comodità dei pedoni, e migliorarne l’aspetto. I materiali dei percorsi saranno materiali di lunga durata e poca necessità di manutenzione, come porfido, mattoni, piastrelle di cemento sagomato. Dovranno essere installati segnali che indichino la destinazione pedonale dei percorsi.
f. I marciapiedi devono collegare le fermate del trasporto pubblico sia al complesso commerciale che ai quartieri residenziali circostanti.
g. Dovranno essere realizzati marciapiedi sull’intera lunghezza di qualunque lato di un edificio su un parcheggio.
11. Luoghi di incontro e spazi collettivi. Le caratteristiche seguenti si applicano all’intero lotto di zoning.
a. Si dovrà realizzare almeno un luogo di incontro centrali e spazio collettivo, per ogni quattromila (4.000) metri quadrati di GFA entro il lotto commerciale. Se ne richiede un minimo di due (2) e ciascuno dovrà essere di superficie minima di 40 metri quadrati.
I. Patio /are con posti a sedere
II. Spazio pedonale con panchine
III. Spazio connesso ai trasporti pubblici
IV. Percorso pedonale lungo le vetrine
V. Spazio giochi all’aperto
VI. Area per chioschi
VII. Fontana
VIII. Pareti a verde
IX. Altri spazi appositamente progettati e/o struttura o servizio che si aggiungano agli spazi collettivi pubblici.
X. Strutture all’aperto per i dipendenti, come un’area di pausa.
b. Tutte le strutture di cui sopra, eccetto gli spazi all’aperto per i dipendenti, devono essere accessibili dal sistema dei marciapiedi pubblici e devono essere realizzati in materiali di qualità inferiore a quelli principali dell’edificio e arredo a verde.
[...]
Nota: qui il testo originale dell’articolo di cronaca dal Capital Times; qui il sito del Department of Planning and Development di Madison, con vari documenti di piano, incluso il file integrale dell’ordinanza sui complessi commerciali (f.b.)
I Cugini di Campagna: ancora loro.
Nel senso che saranno loro a spargere musica e lustrini sul primo week-end di vita del nuovo centro commerciale Le Acciaierie, che si inaugura il prossimo 16 marzo in località Santa Maria del Sasso, comune di Cortenuova, provincia di Bergamo. E verrebbe da dire che mai gruppo musicale fu più azzeccato per un posto del genere, che di campagna (non saprei se anche di cugini) ne produce certo più del fabbisogno locale.
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Siamo nella striscia estrema di alta pianura bergamasca orientale, definita grosso modo dai corsi del Serio e dell’Oglio, e dalle direttrici per Brescia: la “Francesca” a nord e la Padana Superiore a sud, che segna irregolarmente i confini con la più grassa piana cremonese. Il paesaggio sa di campagna, come si capisce benissimo anche guardando verso nord dal ciglio della Statale 11: la linea delle Alpi taglia nitida l’orizzonte a diverse decine di chilometri di distanza, e in mezzo campi arati, qualche raro campanile, i riconoscibili e isolati complessi di stalle e silos. Insomma pare proprio il posto ideale perché i Cugini di Campagna facciano il loro bel concerto.
Per gli interessati, resta da capire esattamente dove, si farà lo spettacolo. E qui forse aiuta ad orientarsi qualche dato tecnico sulla “scenografia”: superficie complessiva mq. 555.000; nuova viabilità comunale km. 3,50; nuova viabilità provinciale SP 98, km. 9,00 (la viabilità non è compresa nella superficie); centro commerciale slp. mq. 58.000; complesso multifunzionale “ city park” slp. mq. 15.500; albergo slp. mq. 3.500; brico center slp. mq. 4.000; attività logistiche sc. mq. 240.000. Ecco.
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Per ora di tutto questo ben di dio si nota soprattutto la “slp. mq. 58.000” del centro commerciale, che con le sue pareti a specchio lancia riflessi di luce per chilometri. Chilometri di campagna rigorosamente vuota. Salvo il centro commerciale, ovviamente, e la grande strada che gli passa davanti, apparentemente venendo dal nulla, e con le sue quattro corsie tornandoci rapidamente poco dopo. Ma a rasserenare l’animo e a chiarire tutto ci pensano i Fratelli Pedroni. Che non sono un altro gruppo musicale, ma i titolari dell’impresa responsabile di tutto quanto, e che dichiarano in un’intervista alla stampa locale: “La strada darà una svolta essenziale allo sviluppo dell’intera area, non solo nell’ambito locale ma anche come punto di collegamento fra una serie di arterie che sono in arrivo, ad esempio la Brebemi”.
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Già, la BreBeMi, contestatissima nuova autostrada Brescia-Bergamo-Milano, a cui proprio in questi primi di marzo 2005 è stato posto un altro virtuale mattoncino, con il parere positivo della commissione speciale di impatto ambientale. La BreBeMi che, affiancata alla striscia dell’alta velocità ferroviaria, dovrebbe scorrere a sud di qui, dalle parti dell’attuale tracciato della Padana Superiore, con svincolo e casello alle porte dell’abitato di Calcio, il “paese dei muri dipinti” che sulle sponde dell’Oglio segna il confine con la provincia di Brescia. Proprio da quello svincolo/casello parte la nuova arteria verso nord, ad affiancare e in parte sostituire gli affaticati (si mormora) collegamenti stradali dalla pianura al pedemonte, all’area più vicina al capoluogo, all’aeroporto, al tracciato della A4. Nel punto in cui la strada incrocia il tracciato della ferrovia, quasi naturalmente si definiscono i famosi 550.000 metri quadrati di commercio, logistica, mixed use ecc. E noi fessacchiotti, che guardavamo solo le mucche e le solitudini campestri! Qui, a spalancare idealmente la strada al futuro serpentone, si materializzano quelle che Aldo Bonomi, considerato da molti decisori politici un esperto di cose territoriali, chiama “infrastrutture e luoghi emblematici che si sono alzati dal territorio e hanno assunto un valore simbolico”.
Il nostro luogo emblematico, che si chiama Acciaierie perché qui c’era davvero un impianto siderurgico, si spera possa in tutto o in parte sostituirne in meglio il ruolo occupazionale, con 7-800 posti fra la grande distribuzione dell’ipermercato, i 135 altri punti vendita, il brico center e il cosiddetto city park (mai denominazione fu più bislacca) con strutture varie per il tempo libero, come un multisala. A questo si deve aggiungere il resto dell’insediamento, ora poco percepibile a prima vista, legato al tracciato ferroviario e dedicato alla logistica, con una superficie di 250.000 metri quadrati. A parte l’innalzamento di luoghi emblematici citato sopra, questo aspetto occupazionale e di sviluppo è ben riassunto da un passaggio del Piano Territoriale di Coordinamento: “La previsione di un insediamento sovracomunale nell’area di Cortenuova, già indicata dal PRG, appare necessaria per la risoluzione parziale del fabbisogno occupazionale da integrare con adeguate aree insediative locali. L’area è servita dal nuovo tracciato della SP 98 – Calciana, oltre che dalla linea ferroviaria corrente a nord dell’area stessa”.
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Resta la perplessità di una collocazione tanto massiccia di funzioni varie e a enorme bacino di riferimento, in un punto che forse avrebbe meritato qualche attenzione in più dal punto di vista paesistico. Sul versante del servizio commerciale, va aggiunto che cinque chilometri più a sud, nel nodo di Antegnate (fra la Padana Superiore e la Soncinese) si prevede già un altro complesso su un’area complessiva di 80.000 metri quadrati, slp. di 35.800: 23.000 commerciali fra ipermercato e negozi più piccoli, con 400 posti di lavoro. A cinque chilometri: sembra ragionevole?
E sembra del tutto ragionevole, fra mandrie e cow boys (che qui spesso indossano il turbante sikh), pensare come fa il progettista del centro a “creare un insieme urbano complesso, dove le attività e i rapporti sociali siano favoriti dall’acquisto dei beni di consumo e dall’incontro tra le persone, così come in un qualsiasi mercato di quartiere”. Frasi del tutto ragionevoli a prima vista, ma che calate qui, a un chilometro scarso dal pugno di case di Santa Maria del Sasso, suonano vagamente surreali.
Forse, però, surreale è continuare a pensare a quello che ancora si vede, come se fosse reale. In effetti è stato cancellato, e camminiamo già sulla mappa che hanno disegnato per noi. Il serpentone autostradale, con le sue macchine tritatutto, è ancora lontano oltre l’orizzonte di Romano, a ovest, nascosto dietro l’area metropolitana milanese. Qui però ha lanciato le prime uova, a immagine e somiglianza dell’ambiente generale che verrà, o come dicono “si innalzerà sul territorio assumendo valore simbolico”. Per ora, ci sono i Cugini di Campagna, e questo “insieme urbano complesso”. Speriamo di abituarci, o no?
nota sulle fonti citate: i dati quantitativi sulle superfici sono desunti dalla scheda informativa sul centro e i progettisti, del sito Infobuild; due gli articoli da l'Eco di Bergamo: "Cortenuova e Antegnate, 2 centri commerciali" (7.2.05); "La Calciana avanza: apre il tratto per le Acciaierie" (23.2.05); la citazione dal Piano Territoriale Provinciale è dalla Relazione Generale, paragrafo Insediamenti produttivi: Zona produttiva nell’ambito della pianure Serio/Oglio; la frase di Aldo Bonomi è dall'editoriale sulla BreBemi "Grandi opere e politica", sul sito del suo Consorzio AASTER - Per chi volesse guardare meglio le immagini, inserisco di seguito un file PDF scaricabile e una galleriadi scatti nel primo week-end di apertura (f.b.)
Titolo originale: Population shifts away from Sydney – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Per anni gli abitanti di Sydney si sono lamentati per il fatto che la città stava crescendo troppo, con troppi immigranti che arrivavano e poi restavano.
Ma ora possono rincuorarsi con le ultime cifre della popolazione dall’Ufficio Statistica, che mostrano come la quota dei nuovi arrivi si sia dimezzata dal 2000, l’anno delle Olimpiadi, e che ora sono Melbourne, Brisbane, e Perth le città che crescono più in fretta del paese.
Ma i nuovi arrivati portano benessere, o aggiungono solo affollamento o sprawl urbano?
Ben Knight ha intervistato l’uomo che ha seguito il mutamento di flussi del fenomeno, il demografo Bernard Salt.
BERNARD SALT: ogni 10.000 persone che si trasferiscono in una città, significano 80 milioni di dollari in nuovi consumi, che creano una domanda per nuove 3.000-4.000 famiglie, o case. La crescita della popolazione genera ricchezza.
Ma contribuisce anche in qualche modo allo sprawl urbano, che è un problema dell’amministrazione cittadina. È una lama a doppio taglio Da un lato c’è la crescita economica. Dall’altro c’è la necessità di governare lo sprawl.
BEN KNIGHT: una delle lamentele più diffuse fra i nuovi arrivati, è che la città o almeno quella parte della città in cui si sono trasferiti, non sembra adeguata in termini di trasporti pubblici o simili. È normale?
BERNARD SALT: il problema dei servizi e delle infrastrutture esiste nelle città australiane da 50 o 60 anni. È normale che la gente si sposti nei suburbi esterni e debba aspettare che i servizi arrivino anche nelle loro zone.
Semplicemente, non siamo abbastanza ricchi come nazione da realizzare prima tutte le infrastrutture, e poi aspettare che arrivi la popolazione. Purtroppo quello che succede è esattamente il contrario. La gente si sposta nei suburbi, e le strutture seguono.
Il problema è quanto tempo ci vuole perché i servizi arrivino fino a quella comunità.
Gli australiani sono un popolo prevalentemente suburbano. Ci piacciono i suburbi esterni. Esiste un piccolo gruppo, un gruppo di rinnegati, che si sta spostando verso il centro città, ma la stragrande maggioranza preferisce i burbs.
BEN KNIGHT: sta parlando degli immigrati da oltremare o di spostamenti da altri stati australiani? Quanta di questa migrazione è gente che si sposta solo da uno stato all’altro?
BERNARD SALT: molta della crescita nei suburbi esterni a dire il vero è dovuta al trasferimento di popolazione dai sobborghi a media distanza dal centro e da quelli più interni, verso le fasce più esterne delle città principali. Esiste certo un flusso di immigrati da oltremare, ma tendono a concentrarsi nei suburbi interni.
Dunque la crescita suburbana nelle zone più esterne delle maggiori città è determinata in larga parte da trasferimenti di australiani, semplicemente si spostano verso abitazioni migliori e più grandi, lontane dalla città.
Nota: qui il testo originale della conversazione radiofonica, al sito della australiana ABC (f.b.)
Sia, il tema: da un punto di vista formale, in che rapporto si può mettere con le attività di carattere “terziario” il concetto della metropoli come mercato e del territorio come merce?
Nel senso, si badi, che le attività di carattere terziario “possano” (così, tramite la forma) diventare un patrimonio culturale e non siano più intese a livello bruto e schematico, come quantità di servizio non-produttive - che è poi la definizione classica della economia, o anche della geografia - bensì invenendo, codeste attività, un carattere di contenuto culturale che riesca, in certo modo, a bilanciare il mondo della produzione industriale.
Si potrebbe, da ciò, passare a trovar un posto, o per lo meno a ipotizzare un eventuale posto, per gli architetti: non tanto come urbanisti, ma proprio in quanto architetti -cioè come persone le quali, alla fin dei conti, si occupano di forma, urbana o no che sia.
E lo svolgimento (affannoso e anfanante: ma con un suo rigore) concluderà:
io sono persuaso che se noi guardiamo dentro di noi, dentro le cose, mettiamo in crisi il “gigantismo”: mettiamo in crisi il cosiddetto progresso tecnologico. E mi spiace, che troppo spesso le giustificazioni più appariscenti (formalistiche, non formali) di un certo tipo di società sian venute proprio dallo ambiente degli architetti (e degli ingegneri) - da coloro, cioè, che in sede altra che la propria ne son poi, di quella società, gli avversari risoluti.
Non credo che abbia senso idoleggiare Broadacre City, la visione wrightiana di una totale separazione sociale, la città fatta di tanti cubicoli pressocché singoli e incomunicabili; ma nemmeno credo giusta la soluzione di Le Corbusier dove si spende tanta intelligenza “normativa”, e intellettualistica, per fare ingoiar alla gente l’amaro boccone dell’accettazione del “presente”.
Nell’ambito del discorso che avviammo, di pertinenza architettonico-formale, io credo che si possa dire: dal supermercato alla alienazione... E come, l’architetto, può risolvere il problema? credo che la strada vera sia quella dell’esame del territorio come mezzo d’esorcizzazione della città quale essa è diventata. Che il ritorno alla città medioevale ne si può farlo né ha senso ipotizzarlo, ma nel territorio può aver luogo una immensa opera di scoperta del nuovo che si dispieghi (e penetri) quale contatto con la natura umanizzata, simile ai pochi momenti felici (gleba o non) della società medioevale. E chi può svolgere il discorso dal territorio se non gli urbanisti e gli architetti?
Nel momento in cui si cerca un metodo per la ricerca, si cerca anche il contenuto.
Gli architetti tendono, per loro propria malintesa passione, al gigantismo: dovrebbe invece verificarsi un ritorno al “minore”, al piccolo - correlato, formalmente, con tutti gli altri “minori”.
Evvia, tante piccole attività terziarie legate (correlate) a tante piccole attività primarie.
I “GRADI” DELL ‘ APPROCCIO
I “gradi” dell’approccio si svolgono comunque per i punti che qui di seguito offriamo.
1) La città che produce, la metropoli che distribuisce
Per quel che so ci sono studi, nemmeno recentissimi, d’economisti moderni che tendono a reinserire nella città il momento della produzione. A de-terziarizzarla, cioè, preoccupati che in essa si contengano, oggidì, solamente elementi distributivi. Ed è forse indice della arretratezza I di una certa cultura urbanistica il fatto che gli urbanisti, e meglio dirci gli architetti-urbanisti, ancora si balocchino con le zonizzazioni e la cacciata dell’industria dal terreno urbano - eredità evidente dell’approccio igienistico, pressocché eugenetico, che essi mutuarono da filantropi e medici sociali e da cui non riescono ancora a liberarsi: o non sarà che la “città terziaria” meglio si adatta alle elucubrazioni formali dove decade la creatività architettonica?
È questa una prima avvisaglia dei pericoli insiti nello attribuire troppa importanza a elaborazioni d’altre discipline; oppure il segno di una consonanza di comodo tra reperti tecnologici e faciloneria formalistica?
Di certo la città, un tempo, si ornava d’orti e di terreni aperti che la nutrivano “dal di dentro”; ma ben presto cacciò nell’intorno, nella campagna, il momento produttivo dell’agricoltura (o ritagliò in quel momento la sua pausa urbana). È piuttosto la produzione industriale quella che si identifica con la città: tanto di crescita d’abitanti per l’inurbamento dei contadini che si fanno operai, quanto per la pressante presenza degli edifici industriali veri e propri.
Con gli anni, con le decadi, più la città cresce a metropoli e più allontana da se anche il momento della produzione industriale: diventa il monumento della distribuzione, la risonante campana del terziario.
Nella metropoli non sono rimasti che magazzeni, uffici, amministrazioni private e pubbliche, negozi e residenze sempre più dilapidate nel centro. Il territorio, nemmeno trent’anni or sono, decadeva a mero tempo nutritivo della localizzazione urbana. Certo oggi son concetti risibili, quando l’area nutritiva di una metropoli come Roma o come NewYork può essere estesa fino al Nuovo Messico o il Sud-Africa o l’Australia - e la medesima estensione, evidentemente, vige per l’area di rifornimento di prodotti industriali. Semmai potrà aver rilevanza di tecnica ingegneresca (una versione, ahinoi assai appetita, di pianificazione territoriale) la struttura delle comunicazioni e dei trasporti: una “forma” di contenuto infrastrutturale che nelle sue proprie campiture tenderà a soverchiare la forma tradizionale della città, diventata metropoli e praticamente disseccata. Perché vive, oramai, solo se in quanto stia al gioco dell’economia di mercato e non è più il luogo della produzione e consumo ma quello dove si distribuiscono le merci, la formalizzazione tridimensionale, d’architettura e di spazi, della alienazione capitalista. Identicamente, decade a magazzeno, la metropoli, di attività amministrative; luogo di distribuzione di teatro, cinema, letteratura, arti figurative, cultura mercificata quanto la attività politica che si finge di continuar a svolgere “nel suolo urbano”.
2) Lo svuotamento del territorio
Ma il guaio più grosso è che ne consegue la perdita di ogni contenuto autonomo del territorio, destinato esclusivamente a provvedere ciò di cui la metropoli abbisogni (o creda di abbisognare). È a questo punto, orbato d’ogni autonomia decisionale, che il territorio decade a merce. E la maggiore sopraffazione della metropoli (distributiva) sul territorio (mercificato) si ha quando essa gli impone di non “produrre”: di essere mero lago e bosco e disposizione passivamente naturale per le ossigenazioni fasulle del tempo libero. A poco a poco, come un cancro che rode fondo, l’un momento e l’altro, così quello urbano come quello territoriale, si aggrovigliano e soffocano vicendevolmente. Gli architetti-urbanisti decorano, per il piacere dei potenti, edilizia e natura di monumenti tanto più inutili quanto più audaci.
3) Dal negozio al super-mercato
Quando si tratti di “fare una ricerca” sul momento terziario della città, si chiamano di solito a raccolta i geografi urbani (se ne esistono, in Italia, che dubito) gli economisti e i sociologhi. Gli economisti fanno fatica a occuparsene, perché la micro-economia non gli piace e non la capiscono - semmai, la desumeranno dai loro grandi numeri, dalle loro generalizzazioni disumane. I geografi urbani descriveranno: e se mettono in mappa gli allineamenti commerciali, gli sembrerà di essere anche loro urbanisti; che è poi vero, e finora proprio come gli architetti-urbanisti ma, seppure superficialmente, qui cerchiamo di indicare che non sarà vero quando “ritorni” il momento architettonico a far premio su quello (creduto) urbanistico. Quanto ai sociologhi, il loro ambito proprio è quello del “comportamento”: sembrerà che carpiscano il senso della vita, ma in realtà anche loro descrivono, danno il “come” e mai il “perché” delle strutture sociali.
E l’architetto-urbanista... gli sembra che sarà molto importante sapere da dove viene la merce, perché i mezzi di trasporto influiranno sulla forma da dare alla sua città, o al pezzo di città di cui abbia incombenza. E si sente più umano d’ogni altro, perché a valle si preoccuperà anche di coloro che useranno i manufatti terziari, dei consumatori: i loro percorsi, le loro residenze, le loro idiosincrasie, comodità, interrelazioni psicologiche. Ma è prigioniero, anche lui, di quello che gli dicono altri - di quello che crede di sapere mutuandolo non da sé, dal territorio dell’architettura (mi scusi Gregotti se uso in altro senso un suo titolo), ma dal territorio dell’ovvio mistificato. È nei paesi, nelle città-pueblo, nelle frange sgomente delle città che non riescono a diventare metropoli che esiste ancora un rapporto tra venditore e compratore. Per il resto, che è quello che conta (? ), vige il principio delle crescenti agglomerazioni, delle economie esterne in ogni ambito, delle macro-metropoli: in una società basata sul profitto, in una strettoia economica che solo nel profitto riconosce la molla del progresso, anche il momento del terziario ci è succubo.
I supermercati distruggono il piccolo negozio: la gente ci si trova meglio, dicono, e sono economicamente più validi. Il super-mercato distrugge, con le sue ovvie tipizzazioni, la possibilità di invenzioni artigianali, di scoperta rinnovata nell’operare, di produzione diretta, e tutto è meccanizzato, ridotto a merce nel senso più volgare. Nel super-mercato si celebra un tipo di compera dove è finita la gioia di andare scoprendo le cose (surrettiziamente ammiccato nelle programmazioni degli stand), dove persino la musica agisce da condizionatore... entro il contenitore provvisto dall’architetto.
4) La scelta architettonica
Ma l’architetto è questo, un provveditore di contenitori e basta? Ricordo che un po’ d’anni fa, discutendo con giovani architetti, gli sentivo affermare che non si dovessero fare progettazioni le quali non fossero perfettamente congruenti con la loro impostazione globale, la loro visione del mondo... anche quando non va oltre l’arredamento, lo architetto dovrebbe pretendere di esprimere creativamente codesta visione: è lui che crea le cose di cui gli altri si servono, che gli altri ridurranno a merce se non c’è, dentro quelle cose, una difesa attiva (semmai, sarà un poco difficile inserire cariche dirompenti nella progettazione di poltrone per i ricchi, o per i manager: memoria di quando, subito dopo il 1945, Zanuso che pur era uomo di sinistra progettava poltrone - che erano belle, annotiamo - e invece Diotallevi e Marescotti indicavano vani, problemi di edilizia popolare. Lo so, era più architetto, ma “tradizionale” Zanuso... I giovani architetti di oggi a chi vogliono assomigliare?).
Di certo so che l’architetto è colui che interpreta e interviene, nella società. E se si pensa che anche in Italia andiamo verso le tipiche forme dello sviluppo delle società industrializzate, bisognerà bene decidersi a capire che il compito architettonico è quello di aiutar la forma della metropoli occupandosi, soprattutto, di quel momento terziario che in essa metropoli è basilare (mentre il territorio, sostengo, diventa disponibile agli infrastrutturisti, e talvolta agli ecologi). Ci si dedichi francamente alle elucubrazioni alla Victor Gruen, delibando imitazioni di Fort Worth o, più sottili, dei “centri direzionali” delle ultime “nuove città” inglesi che oltraggiosamente subiscono la pressione dell’elaborazione statunitense. Si farà opera buona verso le vittime di quella società, monadi atone la cui unica armonia prestabilita sta nell’intreccio dei commerci, nella liberazione dell’incontro allo shopping-center. È questa la scelta?
Sia pure, ma con la coscienza che significa accettazione della società dei consumi, della società prigioniera della riduzione di qualsiasi sua produzione a merce da consumare, e basta. E senza dubbio la cultura architettonica e urbanistica attuale danno una greve spinta in codesta direzione, travolte dalla gioia di “formar grande”, di monumentalizzare le idiosincrasie della metropoli incombente, di creder di risolvere problemi che sono ben più a monte: e che non sono problemi di spettanza degli amministratori civici, o degli economisti, o dei sociologhi, o dei geografi urbani ma tanto più degli architetti-urbanisti nel momento in cui creano cose che si vedono, cui partecipano più persone, che sono integralmente, organicamente, dentro la società. Si tratta, in parole semplici, di diventare i maggiori corresponsabili della disumanizzazione dei propri simili - e di sé medesimi.
5) La composizione seriale
È possibile dar per ineluttabili attività terziarie a grande scala, senza che ne derivi una congruente struttura della città, del territorio, della vita associata? Sembra evidente che, in tale caso, si ammette che la vita all’interno dei quartieri non è auto-sufficiente, che c’è invece bisogno di un respiro maggiore, e che la città - anzi, la metropoli, che qui traspare - vive ed esiste solo nel momento in cui appaiono codeste strutture terziarie a grande scala. Ammettere tutto ciò significa rinunciare a mettere in discussione se codesto sviluppo sia giusto o meno (ma già! giudizi di valore, che valgon qui?).
Ma anche, sicuramente, rinuncia a un dibattito estetico: si mutuano dall’esterno certe forme, e le si mena per buone scadendo nello stereotipo - l’ambito proprio della architettura non sovviene ne tramuta, ma subisce e rigurgita tristi giochi formalistici.
Io sono persuaso che siccome l’economia e la politica hanno fatto fallimento da molti anni, una tra le poche vie d’uscita per la rielaborazione dei modi di intervenire nella società, di riviverla e ricrearla, stia nella pianificazione fisica, nella pianificazione territoriale, nella progettazione di cui gli architetti sono il momento davvero creativo. È finito il tempo dell’architetto-rivestitore inerme di contenuti a lui alieni: è il tempo della scelta.
Nessuno vuole tornare alla città medioevale. Bensì a una dislocazione sul territorio di una serie di fatti che chiameremo “città-comprensorio”, o comunque si preferisca. Bisogna evitare, per esempio, che come accade nel PIM, nel Piano Intercomunale Milanese, Milano invece di sciogliersi nel territorio - e liberarlo, con la sua cultura di città, dall’essere mera merce - ancora più campisca e domini, motore immobile-distributivo.
È ben vero che oggi molti studiosi concordano sullo scioglimento della città tradizionale nel territorio, ma asseverando che essa permanga lo agglomerato fondamentale della attività terziaria (l’unica cui si prevede futuro) a grande scala. Non è possibile ipotizzare che uno studio di carattere territoriale ci indichi che codeste attività non possono conglomerarsi in quello che è tradizionalmente il centro urbano (nelle sue vesti odierne di centro direzionale) ma che la attività terziaria a grande scala, se proprio ci si tiene, sia il risultato di una rete di comunicazioni che correlano e fanno cosa distinta e unica di punti distanti nel territorio, sicché la città-comprensorio è fatta di tante città, nessuna delle quali ubicata “in qualche luogo” bensì “in nessun luogo”, risultante da una serie di linee?
E questo ha il vantaggio, fondamentale anche per la salvezza del territorio, di battere quel gigantismo che sembra contraddistinguere in modi sempre più palesi (formalizzati) il nostro pseudo-sviluppo.
Cominciamo a usare una composizione seriale: niente dominanti, sono tanti “unici”, tante individualità ma collegate fra loro: nel gioco dei loro collegamenti può nascere qualcosa di diverso da ciò che si vede di solito. Può nascere, e può non nascere: non è per niente vero che il getto dei dadi “non torna”, e comunque non saranno mai i calcolatori a decidere il destino dell’uomo.
Nota: qui una breve NOTA BIOGRAFICA su Carlo Doglio (f.b.)
Titolo originale: The Temporary Urbanism of Critical Mass – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Critical Mass è tornata sulle prime pagine. Poco tempo dopo gli arresti dello scorso anno a Buffalo e le recenti cariche della polizia a New York City, il diluvio mensile di ciclisti urbani per le strade si è conquistato i titoli dei notiziari qualche settimana fa, a Portland. Il sindaco della città, Tom Potter, ha mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale di unirsi al raduno di gennaio ad altri 250 ciclisti. Non sorprende che i critici stiano bersagliando Potter di commenti sulla sua indulgenza, o addirittura incitazione alla cosiddetta illegalità. Il giornale The Oregonian di recente ha severamente criticato Potter per il suo “tener stramba Portland “.
È piuttosto difficile pensare che chiunque sia interessato in qualche modo alla pianificazione urbana non conosca Critical Mass, ma nel caso vale la pensa in breve di riassumerne storia e “definizione”. Nel 1992, alcuni amici di San Francisco pedalarono insieme lungo Market Street, mostrando cartelli che dicevano “Fate Spazio alle Bici”, e incoraggiando i ciclisti di passaggio ad unirsi a loro, quel venerdì sera, per una biciclettata attraverso la città. Venne parecchia gente a quella prima volta nella sera di settembre, e così fu deciso di ripetere la cosa il mese dopo. A ottobre c’erano più ciclisti, a novembre ancora di più, e via di questo passo. Da allora, il gruppo è in media di un migliaio di ciclisti (spesso un po’ di più) che si affollano sulla Justin Herman Plaza all’Embarcadero per quella che è diventato un appuntamento fisso di San Francisco. Il fenomeno si è diffuso in tutto il mondo, a circa 300 città.
Ovunque c’è un evento Critical Mass, c’è una polemica. Il fastidio di solito viene da due direzioni: il comando di polizia (spesso in comunella col sindaco), e gli osservatori non partecipanti. I poliziotti sostengono che non si dovrebbe permettere ai ciclisti di infrangere le regole del codice stradale, visto che Mass regolarmente ignora i segnali di Stop, i semafori rossi, e ferma il traffico automobilistico tenendo tutto il gruppo di ciclisti compatto, per motivi di unità e sicurezza. Chi osserva da fuori, ovvero automobilisti, qualche editorialista, ospiti radiofonici e vari personaggi pubblici e privati, esprime critiche simili, oltre a lamenti sul fatto che Critical Mass è “controproducente”, e serve solo a ricacciare indietro i ciclisti nella loro battaglia per lo “spazio sulla strada”. Credo che le critiche sulla questione del codice e le tattiche di protesta siano vetuste e noiose. Dopo tutto, se Critical Mass fosse stata solo un ingorgo mensile, non sarebbe diventata una leggenda che dura da più di dieci anni. Dato che partecipo devotamente alle biciclettate qui a San Francisco, noto che Critical Mass non solo trasforma fisicamente l’ambiente urbano di tutti i giorni, ma tende a ingarbugliare una serie di relazioni che si sono instaurate con lo status quo: da qui, le reazioni forti all’evento.
Critical Mass non è una protesta, e neanche una dimostrazione. In genere i ciclisti non hanno un programma concordato. Critical Mass non è una “organizzazione” o un gruppo per i diritti dei ciclisti, come spesso definito dai media; piuttosto, è la definizione “coincidenza spontanea” utilizzata dai partecipanti, a descriverlo meglio. Uno dei cosiddetti fondatori di Critical Mass, Chris Carlsson, sintetizza piuttosto quando dice che le biciclettate riguardano “la scomparsa dello spazio pubblico ... [e] la crisi della comunicazione e socialità umana”. Secondo Carlsson, anche se Critical Mass originariamente voleva ottenere più spazio stradale per i ciclisti, si è svoluta in una forma di “auto-espressione” dove “le biciclette sono un curioso fatto incidentale”. Cosa più importante, Carlsson sostiene che “ciascun individuo contribuisce con qualcosa di personale all’evento”, esponendo ciò che pensa a proposito di “una vita migliore nell’America urbana”.
I partecipanti alle Critical Mass, specialmente a San Francisco, riconoscono che quanto afferma Carlsson è più di un ragionamento filosofico astratto. Il raduno mensile fra amici e sconosciuti, la conseguente rivendicazione delle strade, l’urbanistica temporanea che viene a crearsi, sono l’antitesi di quanto è diventata la città americana. I ciclisti si riuniscono, chiacchierano, condividono storie con gente che non avrebbero mai incontrato prima. Crescono amicizie. Spesso qualcuno fa girare cibo o bevande. Il capitalismo e la paura degli altri se ne stanno fuori, anche se solo per qualche ora. Prende piede un senso comunitario. Gente vera – intere famiglie, insegnanti, attivisti di tutti i colori, fattorini, impiegati degli uffici, anziani, teen-agers, e chiunque altro vogliate immaginarvi – invadono le strade, e costruiscono un’immagine inedita della città. Andare in bicicletta in mezzo a questo scenario è quantomeno esilarante. Di fatto, di macchine non ce n’é, dentro o attorno alla Mass; quelle che ci sono se ne stanno ferme e aspettano: automobilisti impotenti, qualche volta a disagio e nervosi, ma spesso anche curiosi e benevoli. Con biciclette e pedoni a occupare la strade per interi isolati (che suonano, si chiamano e scherzano) è come se queste strade progettate per l’unico scopo di favorire il traffico automobilistico si siano trasformate nelle più belle piazze europee.
Non è di questo, a pensarci bene, che parlano il movimento del New Urbanism e per la smart growth? Prendere la realtà attuale e attuare grandi operazioni di mutamento cosmetico, fisico, di atteggiamento. Critical Mass offre l’immagine perfetta di questi obiettivi, presentata direttamente da chi vive il triste stato della vita e dello spazio americano. I critici hanno etichettati il mondo del suburbio in ogni modo: da “brutto” a “noioso”, a “auto-dipendente”, fino a “bancarotta morale e sociale”. Molte delle città centrali sono state date per morte. Certo quelle città sono piuttosto lontane dall’essere perfette. Il New Urbanism tenta di recuperare gli ambienti attuali applicando una progettazione neotradizionale. Il professionisti di quest’arte guardano un’area industriale dismessa e ci vedono quartieri vibranti di vita come Pearl District a Portland, o North Beach a San Francisco. C’è bisogno di spazi a funzioni miste, città senza auto, strade per i pedoni, spazi pubblici dove i vicini si possano incontrare, o tutte queste cose insieme; e mostrare a tutti gli scettici che questi concetti devono soppiantare la cultura prevalente dell’auto è un’impresa monumentale: una battaglia che, a dire il vero, non stiamo certo vincendo.
Critical Mass, a modo suo, rappresenta un’immagine di come la città potrebbe essere. Non sto sostenendo che sia in sé una soluzione; piuttosto, esibisce parecchie qualità, mese dopo mese, che molti indicano come scarse nella società attuale: comunità, strade a misura d’uomo, stili di vita più fisicamente attivi, un trasporto non inquinante, e altro. È abbastanza comune che i professori di urbanistica portino i propri studenti a visitare i migliori quartieri in una data città o cittadina, nel tentativo di dimostrare come si “dovrebbe” fare. Perché non portarli ad una Critical Mass, per mostrare la manifestazione di un ordine collettivo condiviso, ma che probabilmente non hanno mai sperimentato? Anziché opporsi violentemente e reprimere qualunque visione alternativa della città, i funzionari pubblici e i privati cittadini, soprattutto gli urbanisti, i politici, gli studiosi di cose urbane, dovrebbero guardare a Critical Mass, magari partecipare, come ha fatto Potter. Potrebbe essere un’esperienza che aiuta a trasformare altre parti d’America in posti “strambi” come Portland, o come dice James Kunstler “posti a cui valga la pena di voler bene”.
L’inaugurazione è prevista nell’aprile 2005, ma come succede quasi sempre magari si dovrà rinviarla. Peccato, perché quel centro commerciale da un centinaio di negozi ci voleva proprio, col suo rispettabile investimento di circa 15 milioni di Euro per 25.000 metri quadri di spazio commerciale, parcheggi, servizi, un po’ di verde. Ci sono già le prenotazioni dei futuri inquilini, che saranno un supermarket, tre banche, boutiques di moda, negozi di arredamento, spacci di liquori, ferramenta e articoli per la casa, ottica, e farmacia. All’esterno del complesso, è previsto un fast-food. La superficie principale, che fungerà da anchor per tutto il complesso, sarà della Shoprite-Checkers.
Già: Shoprite-Checkers. Non mi pare proprio di aver comprato niente dalla Shoprite-Checkers, negli ultimi giorni. Il fatto è che il lotto del nuovo shopping mall sta sull’angolo fra la Old Potchefstroom Road e Alekhine Street, a Protea, nella zona sud-ovest di Soweto. Ed è questo, il motivo per cui c’è da essere assolutamente entusiasti, per l’inaugurazione. Un centro commerciale qui, comunque si giudichi in genere questo tipo di insediamento, significa una serie di cose: un investimento sul territorio locale; un’attività strutturata e formalizzata, che da’ posti di lavoro “veri” e paga le tasse; un’urbanizzazione a regola d’arte, con asfaltature, raccordi stradali, servizi vari, allacciamenti e completamento delle reti; infine un’offerta commerciale corrente, in un’area abitata da circa un milione di persone che al momento “esportano” il proprio pur magro reddito verso altre zone più servite dell’area metropolitana di Johannesburg. E potremmo aggiungere, dal punto di vista dell’organizzazione spaziale, che qui effettivamente il mall assomiglia molto da vicino al flusso di passeggio e socialità da cui prende origine il nome, visto che si colloca in un contesto dove fra la bassa qualità delle infrastrutture e la presenza corposa dell’insediamento informale, mancano proprio gli spazi collettivi. Nell’impossibilità di investimenti pubblici, ben vengano quindi quelli privati.
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Questo intervento è, ovviamente, una goccia nel mare coi suoi 25.000 metri quadri per un milione di abitanti. Si colloca però – più o meno direttamente – nel contesto dell’intervento pubblico a sostegno dello sviluppo locale, e in particolare nella Soweto Retail Strategy messa a punto dalla municipalità di Johannesburg per le due regioni amministrative (n. 6 e n. 10) in cui è suddivisa l’area delle ex South West Townships, da cui prende il nome. L’amministrazione riconosce come Soweto sia sottoservita dal punto di vista commerciale (in particolare di tipo formalizzato) e nell’ambito dei programmi più generali per lo sviluppo dell’area sostiene l’insediamento di nuove attività del settore.
Alla base dell’intervento c’è uno studio approfondito, condotto da uno studio di consulenza specializzato con l’obiettivo principale di individuare aree tematiche e localizzazioni strategiche in grado di fungere da volani per la crescita di altre attività e imprese locali connesse. Si è anche individuata come strategica la cooperazione coordinata, a regia pubblica, fra gli operatori del commercio piccolo e grande, le altre attività produttive e di servizio, le associazioni, gli abitanti e i vari livelli di governo locale.
Per chiarire il contesto delle azioni di sviluppo, forse aiuta qualche statistica su Soweto.
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L’organizzazione spaziale: stato di fatto e piani
Soweto è una grande area urbana a insediamento diffuso. Anche se viene definita come “città dentro la città” per i suoi caratteri peculiari rispetto alla regione di Johannesburg, si tratta di qualcosa di più grande di molte città, anche se ne manca la varietà delle funzioni, dei servizi, della coesione e in parte identità. Le forme fisiche attuali sono anche il risultato di una politica di controllo pubblico che interagendo nel contesto locale ha prodotto usi distorti del suolo. Ad esempio ci sono spazi vuoti potenzialmente edificabili, ma inutilizzati, piccoli e grandi, sparsi dappertutto, che complessivamente interessano circa 900 ettari.
Ci sono pochi punti di accesso all’area, una volta all’interno la circolazione è piuttosto labirintica, in quello che spesso è un groviglio di strade cresciute a scopi locali e con poco coordinamento e chiare gerarchie. Esistono relativamente pochi nodi commerciali, terziari, industriali. I servizi alla popolazione sono distribuiti in modo irregolare, e molti dei siti destinati dalla pianificazione a questo scopo sono tuttora inutilizzati. La maggior parte degli spazi liberi e verdi non sono organizzati né mantenuti, e pongono anche problemi di ordine sanitario. Il corso del fiume offre un importante e potenziale grande sistema di spazi aperti.
Soweto non ha un centro fisico e funzionale identificabile, ma esistono molti nodi significativi che svolgono funzioni di questo tipo, soprattutto in corrispondenza con quelli del trasporto collettivo. Anche se con ruoli di minor entità rispetto a questi nodi, esistono anche fasce lineari di attività, lungo le strade principali. Esistono molte attività commerciali di tipo informale, nelle case ( spaza), ai principali incroci, alle fermate dell’autobus, nei parcheggi dei taxi e stazioni, ovvero nelle zone con alti volumi di traffico pedonale. Alcuni di questi spazi sono organizzati dentro containers o altre strutture improvvisate, di solito collocate illegalmente sulle fasce stradali o aree inedificate ad altra destinazione ma ancora inutilizzate. Anche se si tenta di fare qualcosa per queste attività illegali, occorre stabilire qualche tipo di equilibrio fra una buona pianificazione teorica, e il bisogno urgente di qualunque tipo di sviluppo economico locale.
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Le linee generali della pianificazione metropolitana adottate e che riguardano il contesto specifico di Soweto, sono:
1. Contenimento dell’urbanizzazione diffusa, favorendo aumenti di densità locale.
2. Incremento dei collegamenti e trasporti.
3. Uso propulsivo dei collegamenti e trasporti per generare integrazione ed economie interne alla zona, favorendo anche i collegamenti fisici e funzionali con downtown Johannesburg e gli altri settori.
4. Integrare le aree a basso reddito con le altre, tramite trasporti e localizzazioni.
5. Integrare residenza e attività economiche.
6. Tutelare gli spazi liberi e naturali.
7. Favorire lo sviluppo delle zone in declino economico.
8. Sviluppare il potenziale delle zone rurali.
I problemi dello sviluppo commerciale
da un sondaggio su vari gruppi di operatori economici sono emersi tra l’altro questi elementi di debolezza:
- Esistono abitudini di consumo consolidate.
- Manca una vera conoscenza del mercato.
- C’è carenza di promozione.
- Non c’è sufficiente volontà politica e impegno per lo sviluppo di Soweto.
- Permane una mentalità di separazione e chiusura.
- Non esistono sufficienti incentivi finanziari.
- Soweto non è ufficialmente considerata zona prioritaria di promozione per lo sviluppo.
- Manca un adeguato piano complessivo per l’area.
- Ci sono problemi di accesso e circolazione interna.
- C’è poca percezione della crescita di reddito e capitali.
- C’è bisogno di investimenti in capitale fisso per sostenere le attività di mercato.
- Mancano capacità imprenditoriali e di raccolta capitali da investire.
- Persiste un alto livello di criminalità.
Lo sviluppo per nodi
Per Soweto, come in genere per l’area metropolitana, allo sviluppo dei nodi e per nodi si applicano i seguenti principi generali:
- Le dimensioni di ciascun nodo sono determinate dalla sua funzione urbana, e dalla sua vicinanza ad altri nodi. Il suo raggio di influenza dipende sia dalle dimensioni che dai tipi di servizi offerti.
- La densità edilizia di un nodo è determinata dalla miscela di attività, infrastrutture di trasporto, servizi pubblici.
- Uno dei principali elementi che strutturano i singoli nodi (e i loro rapporti reciproci e con la città) è la correlazione fra mobilità e uso dello spazio.
Dal punto di vista della gestione urbana, ciascun singolo nodo si caratterizza per:
- Dimensioni e ruolo
- Organizzazione fisica e posizione gerarchica
- Fase di sviluppo
- Correlazione con la gerarchia stradale
- Integrazione entro il quadro generale dello sviluppo
Alcuni nodi sono stati identificati come potenziali catalizzatori dello sviluppo. Vale a dire che, concentrando gli investimenti in queste aree, la diffusione dei benefici sarà tale da interessare in qualche modo tutta l’area di Soweto.
Nel quadro delle politiche di intervento questi nodi non vanno considerati isolatamente, e devono rappresentare anche in punto di incrocio per le varie politiche di investimento della municipalità a stimolare la crescita. Ad esempio se si realizza una strada si deve attivare anche il settore elettricità perché provveda all’illuminazione, quello responsabile del verde perché inizi ad attrezzare le aree, e poi la rimozione dei veicoli abbandonati, la gestione dei problemi col commercio informale locale danneggiato dai lavoro stradali.
Bastano questi pochi esempi, anche per capire l’entità dei problemi di base, che si danno per scontati in altre città dove l’infrastrutturazione base (materiale e immateriale) ha ben altra storia e solidità.
Una strategia di sviluppo e insediamento commerciale
L’amministrazione pubblica a seguito di un processo anche partecipativo di analisi e concertazione con varie forze locali, ha messo a punto un insieme di azioni tese allo sviluppo del commercio nell’area di Soweto, entro cui i centri commerciali più o meno pianificati e/o coordinati trovino un equilibrio con le altre forme di offerta, dai negozi tradizionali sul fronte strada al sistema delle attività non formalizzate. Fra i vari aspetti di intervento e promozione, anche quello spaziale più legato alla pianificazione urbanistica e alla politica di nodal development accennata sopra.
In generale la strategia spaziale si articola nei punti seguenti:
a) la municipalità di Johannesburg prevede la realizzazione di 70.000 metri quadrati di nuove superfici commerciali a Soweto entro i prossimi cinque anni (2004-2009)
b) quasi la metà di queste superfici sono già in corso di realizzazione (fra cui lo shopping mall di Protea citato in apertura) con qualche tipo di sostegno pubblico
c) dei rimanenti circa 40 000 metri quadrati, almeno 5.000 dovranno essere dedicati ai negozi tradizionali su fronte strada, per offrire sia beni di prima necessità e servizio di quartiere, sia alcune forme di commercio di nicchia e specializzato connesso al turismo
d) gli altri circa 35.000 metri quadrati probabilmente saranno dedicati ad altri centri commerciali, con l’esclusione però di un solo grande shopping mall a bacino di utenza regionale. Ovvero si ritiene che gli investimenti debbano essere maggiormente distribuiti nello spazio, almeno in questa prima fase del programma di sviluppo.
Con queste (piuttosto lunghe, ma ne valeva la pena) premesse sociali, urbanistiche e commerciali, forse si comprende meglio cosa significa davvero la dichiarazione apparentemente banale di un progettista, quando afferma: “Tentiamo di offrire uno spazio di qualità con un bilancio limitato. Abbiamo dovuto abbassare gli affitti per renderlo un po’ più accessibile. Siamo anche riusciti a utilizzare al meglio alcune finiture a buon mercato”.
E basta tornare alla tabella coi dati socioeconomici di questa ex South West Township, per capire quanto ne abbia bisogno, di “finiture”, di posti puliti e illuminati bene. Anche se servono soprattutto a far girare carrelli della spesa. Qui, dalle parti delle case di Nelson Mandela e Desmond Tutu, i centri commerciali sono una cosa fantastica, no? Forse perché gli hanno messo le briglie.
Nota: la maggior parte delle informazioni di questo articolo sono tratte dal sito della municipalità di Johannesburg. In particolare: le informazioni sullo shopping mall di Protea da Thomas Thale, Big Shopping Mall for Soweto, 11 maggio 2004; il quadro socioeconomico e territoriale è desunto da City of Johannesburg, Administrative Region 6 and Region 10 [le due circoscrizioni in cui si divide Soweto], Regional Spatial Development Framework (RSDF), giugno 2003; le strategie generali e il ruolo specifico del commercio da City of Johannesburg, Department of Finance and Economic Development, Soweto Retail Strategy, novembre 2004. I sito municipale è comunque ricchissimo sia di pagine da leggere direttamente, sia di documenti scritti (come questo articolo su un progetto di retailtainment per Soweto) e grafici scaricabili. (f.b.)
Titolo originale: The Retail Development Strategy and Land Assembly – Traduzione e estratti [dai capp. 2-3, Vol. I] per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
“Senza dubbio, la questione più dura è quella dei progetti per le zone centrali. Sembra un miracolo il solo fatto che se ne riescano ancora a realizzare ... tanto per cominciare, non c’è mai una localizzazione fissa ... puoi iniziare a scommettere denaro sulla possibilità che sia modificata ... e poi non c’è mai un orientamento fisso che il progettista possa assimilare. L’idea si evolve condizionata da sottili pressioni commerciali, che cambiano continuamente coi tempi e le mode” (Keith Scott, architetto di centri commerciali)
Introduzione
Il commercio è uno dei più importanti settori, in tutti i paesi economicamente sviluppati. In Gran Bretagna da’ lavoro a più del 20% del totale occupati, e si stima che le vendite costituiscano circa un quarto del prodotto nazionale lordo.
Le imprese commerciali nei paesi sviluppati sono tra le maggiori. In Gran Bretagna, l’edilizia commerciale – negozi e complessi commerciali – costituisce una parte importante dell’ambiente costruito a scala nazionale. Alla fine del 2000, per esempio, nel Regno Unito c’erano circa 1.5000 shopping centres, il che rappresenta un incremento del 10% di superficie (+21 milioni di metri quadri) rispetto al 1998.
Lo sviluppo di nuove superfici commerciali ha costituito una delle principali direzioni di investimento di capitali in Gran Bretagna degli ultimi trent’anni. L’industria dei centri commerciali alimenta grandi quantità di produzione edilizia in tutto il paese, con una stima per il 2000 di oltre 685 milioni di sterline spese nella costruzione di centri e parchi commerciali.
La Gran Bretagna è con ogni probabilità leader internazionale per quanto riguarda l’insediamento di complessi commerciali nei centri urbani. Le città britanniche sembrano essere state fisicamente trasformate da questo punto di vista molto più di quanto non sia accaduto in altri paesi europei come Francia, Germania o Olanda, dove i centri città di solito hanno mantenuto la propria conformazione secolare, senza le grandi trasformazioni della Gran Bretagna.
I centri urbani di varie dimensioni hanno cambiato il proprio aspetto e funzionalità in modo radicale negli ultimi trent’anni. In alcuni casi l’ambiente stradale tradizionale dei piccoli negozi mescolati a uffici, abitazioni e altri usi, è stato rimpiazzato da grandi centri commerciali. I centri urbani britannici sono dominati dai grandi operatori commerciali, in modo molto più massiccio di quanto accada in altre parti dell’Europa Occidentale.
Ci sono alcuni importanti fattori istituzionali ad definire tempi, tipi e localizzazioni dell’insediamento commerciale. Di particolare importanza, sono le fonti di finanziamento per l’urbanizzazione, e l’atteggiamento delle istituzioni rispetto alla minimizzazione dei rischi dei propri investimenti. Inevitabilmente, esiste un conflitto fra le necessità del commercio, degli operatori immobiliari, dei finanziatori e degli urbanisti, e queste tensioni si risolvono spesso in forma di non facili compromessi, non molto soddisfacenti per nessuno dei soggetti coinvolti nell’urbanizzazione commerciale.
Un’altra importante caratteristica dell’insediamento commerciale è la sua dimensione, rapportata a quella del resto degli operatori immobiliari. Gli shopping centres spesso occupano zone estese, e si tratta di strutture complesse e costose in quanto tali. La realizzazione all’interno di un’area commerciale esistente comporta costi aggiuntivi e tempi prolungati, a causa dell’acquisizione degli spazi, dei processi urbanistici, per la predisposizione del sito.
Lo sviluppo commerciale nei centri urbani: una breve storia
Nel secondo dopoguerra il centro commerciale enclosed è emerso come simbolo di un nuovo modello di sviluppo e investimento urbano. Lo shopping mall originariamente nasce in nord America come struttura isolata suburbana, e lo sviluppo nei centri britannici risale alla fine degli anni ’50. Questi primi esempi si realizzano in gran parte su aree bombardate durante la seconda guerra mondiale, e in genere consistono in un gruppi di negozi attorno ad uno spazio aperto, o percorso scoperto. Dopo questi primi progetti, segue una “epoca d’oro” di crescita dei centri commerciali pianificati, che possono essere grosso modo suddivisi in tre categorie, o generazioni:
• Prima generazione – Tra le fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 si verifica un significativo investimento nei centri commerciali i molte delle principali città britanniche. Il numero dei centri aperti ogni anno aumenta notevolmente in questo periodo. Questa crescita esponenziale nasce dal bisogno di espandere e modernizzare molte aree commerciali centrali del dopoguerra. L’insediamento è alimentato in gran parte da autorità locali favorevoli, e dalla disponibilità di risorse finanziarie per l’edilizia. Ma pochi di questi progetti sono per funzioni miste, e sono stati spesso criticati per essere monolitici, rivolti all’interno, dedicati ad un solo uso, circondati e ricoperti da parcheggi. Molti erano piuttosto poveri dal punto di vista architettonico, e con le loro dimensioni danneggiavano il sistema stradale tradizionale. Il grande commercio era percepito come l’elemento principale dell’insediamento, e veniva conferita poca importanza alla percezione del consumatore, oltre la segregazione dell’automobile. Tra gli esempi di questo periodo ci sono gli Arndale Centres.
• Seconda generazione – Nella seconda metà degli anni ’70 si verifica relativamente poco sviluppo nel settore dei centri commerciali. Questa stasi riflette il basso livello di crescita del settore commerciale in generale, e di spesa da parte dei consumatori, unito al crescente rischio per gli investimenti finanziari immobiliari determinato dalle crisi del 1974/75 e dagli alti tassi di interesse a lungo termine. I principali esempi di questo periodo sono quelli nelle new towns, come a Basildon e Milton Keynes.
• Terza generazione – Negli anni ’80 c’è una ripresa nella realizzazione di nuove superfici commerciali, e in particolare nell’apertura di shopping centres. Questa crescita è alimentata da un approccio urbanistico e edilizio orientato al mercato, insieme a sostanziali incrementi nella spesa dei consumatori e a mutamenti negli stili di vita. La prima metà del decennio è caratterizzata in modo predominante dagli interventi in centro, con le amministrazioni locali in competizione l’una con l’altra per i nuovi investimenti. Invece la fine degli anni ’80 è caratterizzata dalla crescita degli insediamenti esterni alle città, che cambiano radicalmente il panorama commerciale britannico. Le localizzazioni esterne ai centri urbani sono relativamente facili da reperire e acquisire, e diventano molto popolari per una nuovo generazione di consumatori che trovano un accesso più facile e negozi moderni sotto un solo tetto, servito da abbondanti parcheggi gratuiti. Ma nonostante la tendenza allo sviluppo delle localizzazioni esterne, circa il 75% dello spazio totale realizzato in questo periodo è ancora nel centro città. In più, la metà dei progetti realizzati sono in città dove esisteva già almeno un insediamento del tipo shopping centre. Diventano comuni interventi di infill, e i complessi multipiano superano in numero per la prima volta quelli su un solo livello.
Il risultato di questa vistosa crescita, è la reale e percepita minaccia alla futura vitalità e affidabilità di molti centri città britannici. Ne deriva un mutamento di atteggiamento e politiche pubbliche governative negli anni ’90, che culmina nella pubblicazione del PPG6 [Planning Policy Guidance note 6] nel 1996. Queste linee guida determinano un grande mutamento nelle politiche urbanistiche, dalle aree esterne verso i centri città, sostenute da un ritorno al sistema basato sulla pianificazione.
PPG6 successivamente è stata precisata da vari documenti ministeriali, dallo Urban White Paper, e ora i centri città sono saldamente i fulcro delle politiche pubbliche e del calendario delle decisioni. Le ricerche sui nuovi interventi mostrano chiaramente che questa impostazione funziona, visto che si realizzano più interventi nelle zone interne di quanto non si faccia fuori dai centri. Recentemente, è stata pubblicata una versione rivista della PPG6, che sia di riferimento riguardo alle politiche governative per gli investimenti nei centri urbani.
Sviluppi attuali
Ci sono insediamenti commerciali centrali in corso di apertura o progettati, in molte città britanniche, come Bristol, Cambridge, Canterbury, Cardiff, Chester, Liverpool, Manchester, Norwich, Nottingham, Exeter and Sheffield. Ciò sta creando nuove sfide sia per il settore pubblico che per quello privato, dato che si devono realizzare grossi progetti entro centri che devono anche rispondere alle politiche governative di rinnovo urbano. Per esempio, il progetto Bull Ring nel centro di Birmingham e le proposte per Paradise Street a Liverpool stanno spingendo la tipologia di shopping centre verso una nuova realtà. Questi grandi progetti urbanistici, a funzioni miste, stanno cambiando letteralmente il volto dei centri città, creando quartieri distinti dotati di una rete stradale e di piazze completamente integrata nel tessuto urbano.
Bilanciare una progettazione di alta qualità con il bisogno commerciale di generare sufficiente valorizzazione e ritorno economico per rendere conveniente l’insediamento, è la nuova sfida che sta di fronte a costruttori, investitori, amministrazioni locali. Il problema è ulteriormente acuito dalla scarsità e complessità delle vaste localizzazioni centrali. Di conseguenza, molte delle individuate opportunità di intervento comportano un lavoro su “luoghi vivi”, comprendenti anche una miscela di edificato e attività non ad alto reddito, proprietà differenziata, vincoli di piano. L’elenco seguente riassume alcuni dei più frequenti ostacoli al nuovo insediamento commerciale nelle zone centrali:
I. Comporre localizzazioni di dimensioni sufficienti per consentire una progettazione tradizionale, e offrire contemporaneamente strutture adeguate di accessibilità e servizio, può richiedere parecchi anni in un centro città vecchio e densamente popolato, senza l’assistenza dei poteri di un ufficio urbanistico.
II. Comporre la miscela degli occupanti un complesso commerciale, incluso uno o più anchor store( s) e altri grossi utilizzatori di spazio, può essere difficile, particolarmente quando tutti i potenziali operatori commerciali sono già rappresentati in centro.
III. L’offerta di parcheggi gratuiti, caratteristica degli insediamenti esterni alla città, non è realizzabile in centro dato che lo spazio è scarso e i valori dei suoli troppo elevati. Di conseguenza i parcheggi realizzati come parte del centro commerciale saranno probabilmente multipiano, e anche ciò contribuisce ad elevare il costo di costruzione.
IV. Anche la qualità del progetto, e l’interazione fisica del nuovo shopping centre col centro città nel suo insieme, è un fattore chiave per gli urbanisti municipali, e sempre di più anche per i costruttori negli anni recenti. Una delle questioni è il rapporto fra aspetto generale, altezza, massa e materiali di costruzione del nuovo complesso, e l’affiancarsi all’ambiente stradale esistente nella zona commerciale tradizionale. Molti complessi realizzati negli anni ’60 e ’70 sono stati ampiamente criticati, non solo per aver spazzato via l’edilizia precedente, ma anche per il loro essere “strutture monolitiche di cemento” indifferenti al contesto.
V. Un problema diverso ma connesso è l’organizzazione degli accessi pedonali e della sicurezza interna. Là dove il costruttore preferisce che il centro sia un complesso definito, dove è facile controllare gli accessi indesiderati quando i negozi sono chiusi, l’autorità locale in genere richiede un’apertura degli spazi a tutte le ore, per incoraggiare i flussi pedonali e i collegamenti fra le varie parti del centro città.
Concludendo, l’insediamento commerciale sta diventando dinamico e sofisticato come non era mai stato prima. Nei progetti per le zone centrali ora c’è più dei soli shopping centres. Sono pensati come uno degli elementi di rigenerazione, che offrono opportunità per ridefinire una città, creare spazi pubblici di elevata qualità, diversificare le offerte per il tempo libero, contribuire a sostenere un insieme di altri elementi urbani come la residenza e i trasporti.
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Autorità locali e regolamentazione
Natura, dimensioni e localizzazione degli interventi commerciali nella Gran Bretagna del dopoguerra sono stati massicciamente condizionati dal sistema di pianificazione urbanistica. Le autorità locali di piano hanno giustificato il proprio intervento nel processo di sviluppo commerciale con numerose motivazioni:
• è possibile migliorare l’efficienza del suo funzionamento. Un esempio tipo è l’uso del potere di esproprio per accumulare superfici utili ai grandi insediamenti commerciali.
• l’azione di un mercato incontrollato può condurre a ineguaglianze nel livello di servizio alla popolazione locale. Per esempio, il decentramento della distribuzione alimentare a partire dai tardi anni ’70 ha causato preoccupazioni per i consumatori svantaggiati residenti nelle zone urbane. I pianificatori hanno utilizzato questi argomenti per sostenere posizioni vincolistiche o interventiste.
• i nuovi interventi hanno effetti esterni senza alcuna relazione col successo o fallimento del complesso dal punto di vista commerciale. Gli effetti positivi possono essere di rigenerazione economica e sociale delle aree degradate o abbandonate. Gli effetti negativi alla scala locale possono riguardare i rumori da traffico o l’impatto visivo, o l’azione negativa di tipo economico sulla vitalità e affidabilità del commercio e insediamento preesistente.
Le autorità urbanistiche locali in Gran Bretagna sono state oggetto di numerose critiche per il proprio atteggiamento e intervento nei processi di insediamento commerciale. Molte di queste critiche provengono dall’impresa commerciale, ostile al principio di controllo tramite pianificazione strategica. Esiste anche una generale frustrazione per la cautela e mancanza di comprensione mostrate da uffici urbanistici e autorità locali nei confronti delle proposte innovative per insediamenti commerciali.
Nondimeno, il processo decisionale delle amministrazioni locali è fortemente influenzato dalle politiche del governo centrale, pure pesantemente criticate per l’incongruenza e contraddittorietà delle indicazioni:
- negli anni ‘70, il governo sosteneva che gli urbanisti avrebbero dovuto fissare in linea di massima localizzazioni e tipi di interventi, per proteggere le attività esistenti (in genere di tipo spontaneo) e offrire servizi commerciali di buona qualità alla popolazioen locale.
- ma negli anni ’80 il governo si muove verso posizioni favorevoli a lasciar libera la spinta alla crescita e alla trasformazione tipologica da parte di operatori edilizi e del commercio. Non ci si aspetta più che le autorità locali specifichino localizzazione e tempi dei nuovi interventi. Ad ogni modo lasciare queste decisioni al mercato porta ad una forte pressione verso le localizzazioni decentrate, all’esplosione della tipologia superstore alimentare, ai complessi discount, e agli shopping centres di scala regionale, da metà anni ‘80 in poi, descritte come le “tre ondate” del decentramento degli insediamenti commerciali.
Contemporaneamente, i controlli urbanistici che limitano la disponibilità di localizzazioni hanno gonfiato i prezzi dell’edilizia commerciale al punto che i costruttori devono offrire tipologie standardizzate, che minimizzino i costi, per insediamenti pensati semplicemente a massimizzare la densità delle vendite. Questo Tipo di critica si applica egualmente agli insediamenti centrali e ai grandi complessi e parchi decentrati.
Ma le trasformazioni dei principi urbanistici a partire dai primi anni ’90 hanno avuto effetti significativi si dimensioni e localizzazioni degli interventi commerciali, e ne discuteremo nei paragrafi successivi. C’è stato un crescente interesse a scala nazionale e mondiale, nel corso degli anni ’80, per gli impatti potenziali dovuti al consumo delle risorse naturali e all’inquinamento dell’ambiente. Come conseguenza, le politiche ufficiali governative britanniche, come altrove nella comunità europea, si sono rifocalizzate verso la creazione di insediamenti più sostenibili.
Il sostegno delle autorità locali alle aree centrali urbane
Olter ai poteri urbanistici diretti di regolamentazione degli insediamenti, molte autorità locali hanno avuto un ruolo significativo nei processi di sviluppo commerciale attraverso l’acquisizione di suoli, o entrando in joint-venture col settore privato per la realizzazione dei progetti. Le amministrazioni locali avevano due principali motivi per acquisire superfici in aree centrali e partecipare a processi di riurbanizzazione su larga scala. Il primo motivo era aumentare i livelli di accesso tramite trasporto pubblico e (soprattutto) privato, visto che si stava rapidamente diffondendo la proprietà dell’automobile. Il secondo motivo era quello di ampliare la principale area commerciale della città.
L’acquisizione di terreni in zone che soffrivano di problemi definiti “cattiva organizzazione e edificazione obsoleta” fu autorizzata in un primo tempo dal Town & Country Planning Act 1944. Questo provvedimento era inteso principalmente a consentire alle amministrazioni di acquistare, se necessario tramite esproprio, terreni resi abbandonati a seguito dei bombardamenti del tempo di guerra. Ma l’uso va ben oltre tale limitato scopo.
Negli anni ’50 e ’60, le amministrazioni locali fanno un uso intensivo delle opportunità offerte dalla legge del 1944, per acquisire terreni entro o vicini alle aree commerciali centrali. La perimetrazione di una Comprehensive Development Area (CDA) spesso anticipa interventi di grossa dimensione a carattere commerciale o per altre funzioni appropriate ad una zona centrale, insieme a miglioramenti dell’accessibilità veicolare e delle possibilità di parcheggio. Questo tipo di processo è incoraggiato da una pubblicazione del Ministry of Housing and Local Government (1962), che loda questo tipo di interventi e offre esempi tipo di progetti.
Prima della riorganizzazione del governo locale in Inghilterra e Galles del 1974, molte delle principali città e altri centri minori sono definiti County Boroughs e hanno pieno controllo sulle decisioni urbanistiche e riguardo ai trasporti entro la propria circoscrizione, potere bilanciato solo dai limiti imposti dal governo centrale alle spese. I consiglieri municipali vedono nella spesa per la modernizzazione delle zone centrali commerciali, nel miglioramento dell’accesso motorizzato, un modo di aumentare l’importanza della propria città. Molti imprenditori privati vedono l’opportunità di collaborare con queste amministrazioni. Accade che il costruttore di fatto progetti un nuovo insediamento commerciale, magari con spazi per uffici e attività per il tempo libero, e lo presenti direttamente all’amministrazione, a volte scavalcando anche gli uffici urbanistici responsabili dello stesso ente.
Ma gli imprenditori non potevano completare i propri progetti senza l’intervento del potere pubblico locale di acquisire in tutto o in parte le aree necessarie. Ne risultò una serie di piani di riurbanizzazione comprensiva delle zone centrali, con spazi commerciali, altre funzioni parallele, accessibilità e parcheggi migliorati. Le amministrazioni locali talvolta riuscivano ad ottenere altri servizi, come biblioteche, piscine, stazioni.
Tra questo tipo di interventi spiccano gli Arndale Centres costruiti nei primi anni ’70 dalla Town & City Properties, i più grossi a Manchester e Luton. Parecchi di questi nuovi centri erano realizzati in collaborazione fra privati e autorità locali, ma il ruolo principale di queste ultime era di solito quello di acquisire il controllo delle aree necessarie alla trasformazione.
Nei casi di vera e propria partnership, si concludevano vari tipi di accordo. Il più comune era che l’amministrazione cittadina restasse proprietaria dei suoli, e il costruttore (o finanziatore istituzionale) diventasse principale affittuario, con un interesse a lungo termine e un canone nominale.
A partire dal 1973 il coinvolgimento delle autorità locali nello sviluppo commerciale andò declinando, per diverse ragioni:
I. La crisi economica a partire dalla metà degli anni ’70 rese non profittevoli i grossi insediamenti commerciali. L’alto costo degli interessi superava i probabili ritorni di questi progetti, e dopo l’approvazione del Community Land Act da parte del governo laburista nel 1975, gli affitti per periodi oltre i 99 anni a costruttori o altri soggetti furono proibiti.
II. Le trasformazioni nell’organizzazione delle amministrazioni locali comportano la sostituzione del County Borough col Metropolitan o Shire District. Questo determina una minore identificazione della città con l’autorità locale, e ad un maggior livello di controllo strategico sui grandi insediamenti commerciali nella nuova generazione di structure plans a scala di contea.
III. Nonostante i poteri di acquisire terreni ai sensi dello Act 1944 restino ai District Councils, i tagli alla spesa pubblica da fine anni ’70 e particolarmente negli ’80 rendono piuttosto improbabile l’acquisizione di grandi aree centrali a scopo di trasformazione. Comunque, alcuni progetti vengono portati a termine nel corso degli anni ’80, su terreni acquisiti ai sensi dello Act 1944 (ad esempio il St David’s Centre di Cardiff).
IV. Egualmente importanti, nell’accelerare la crisi dei grandi progetti congiunti pubblico-privati per le aree centrali, sono le trasformazioni di atteggiamento dell’urbanistica per questo genere di zone. I progetto degli anni ’60 avevano spesso comportato la demolizione di aree storiche, e la sostituzione di un ambiente tradizionale, con edifici di piccole dimensioni, con architetture brutalmente moderniste.
V. Un’ultima ragione riguarda la responsabilità. Alcuni consiglieri municipali nei primi anni ’60 avevano potuto stringere alleanze coi costruttori e imporre progetti che potevano essere contrari al pubblico interesse. E non c’è dubbio che alcune collaborazioni di questo tipo per aree centrali siano state dannose sia dal punto di vista dell’impatto ambientale, sia forse anche da quello economico sui centri vicini. Negli anni recenti, le politiche locali per le zone centrali si sono concentrate di più sulle questioni ambientali e, in alcuni casi, su strategie di gestione e di mercato per il centro città nel suo insieme.
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Il settore del commercio
Il sistema della proprietà nelle imprese commerciali e la grande competizione fra i marchi ha influenzato non tanto la domanda di nuove superfici commerciali, ma la loro qualità e localizzazione. A partire dagli anni ’50 in Gran Bretagna c’è stata una marcata trasformazione nella proprietà, dal predominio delle piccole attività indipendenti a quello delle grandi organizzazioni articolate. Questa concentrazione ha conferito ad alcune compagnie un enorme potere di influenza sui processi di insediamento.
La principale caratteristica distintiva dell’insediamento commerciale rispetto ad altri tipi, è il bisogno di affittare tutte le unità di un centro agli operatori prima di aprirlo al pubblico. Una realizzazione di tipo speculativo, intesa a trovare inquilini dopo il completamento, è troppo rischiosa. Quindi l’aspetto della funzione commerciale ha un’influenza massiccia sul processo di insediamento. Per esempio:
I. Non solo deve esistere una domanda totale sufficiente a riempire un insediamento progettato, ma lo stesso tipo di progetto deve riflettere il particolare tipo di domanda dei diversi operatori commerciali.
II. I costruttori di regola non vanno oltre il livello del progetto sin quando non hanno raggiunto un accordo con uno o più utenti di una certa dimensione che fungano da anchor. I negozi minori hanno bisogno di un negozio più grande che provveda attrazione e passaggio, in modo da rendere l’intero spazio commercialmente affidabile. Questo mette i potenziali grandi occupanti in una posizione di potere. In alcuni casi, questo tipo di utenti diventano parte del gruppo promotore.
Le imprese commerciali rispondono ai cambiamenti nei bisogni e preferenze dei consumatori, e questo a sua volta influenza dimensioni, tipologie e localizzazione dei nuovi insediamenti commerciali. Ad esempio, le trasformazioni nella spesa trasformano le decisioni dell’impresa nella ricerca di nuovi spazi, nel restare vicini a quelli esistenti o abbandonarli. In modo simile agiscono le tendenze demografiche, come la crescita di popolazione, i mutamenti nelle classi di età, i sempre più sofisticati cambiamenti nei gusti e nelle preferenze di beni di consumo, degli stessi spazi e del modo di proporli. Per esempio, queste tendenze hanno prodotto commerci legati a “stili di vita” oppure a “nicchie” negli ultimi vent’anni, e questo ha influenzato fortemente progetti e realizzazione della maggior parte dei complessi commerciali.
Un’altra caratteristica specifica dell’insediamento commerciale, se paragonato ad altri tipi di interventi, è l’essere oggetto di considerevoli trasformazioni anche dopo la costruzione. Questo tipo di asset-management è necessario a mantenere l’attrattività del centro e attirare visitatori, e anche ad offrire servizi comuni nei casi in cui ce ne sia bisogno da parte dei diversi utenti.
Conclusioni
La Gran Bretagna ha una posizione avanzata nel settore dell’edilizia commerciale, e ha creato molte aree di attività centrali ad alta efficienza in tutto il paese, anche se non uniformemente diffuse. A seguito di queste operazioni, negli ultimi trent’anni i centri delle città grandi e piccole, e in genere il panorama commerciale, sono radicalmente cambiati.
Gli insediamenti commerciali sono dominati da un numero relativamente piccolo di grandi compagnie ed enti dei settori finanziario, delle costruzioni e del commercio. Il sistema di pianificazione britannico ha influenzato tutto questo, in particolare nell’ultimo decennio, riconcentrando le iniziative di insediamento verso i centri urbani. In particolare i grandi centri, dopo un periodo di insediamenti più dispersi e differenziati.
Il processo di trasformazione dei centri città è altamente complesso e richiede tempo. Si opera attraverso molte fasi, coinvolgendo molti soggetti privati e settori della pubblica amministrazione, spesso con differenti priorità. Lo stesso stato del mercato, e gli effetti dei mutamenti economici, possono provocare consistenti dilatazioni nei tempi di realizzazione, anche più di quanto non sia necessario per rendere disponibile gli spazi necessari. Anche se senza dubbio c’è stato un considerevole sostegno alla trasformazione dei centri urbani e al loro sviluppo commerciale in varie forme nel dopoguerra, questo sostegno non è stato costante. In alcuni casi ha creato insediamenti di qualità e benefici vari, che non sempre hanno corrisposto agli obiettivi pubblici o dell’impresa.
Le posizioni anti-rischio istituzionali, sostenute dal sistema di pianificazione urbanistica, hanno rafforzato la posizione degli insediamenti commerciali di maggior successo. Le zone e gli immobili di alta qualità in Gran Bretagna sono limitate, e questo ne ha aumentato il valore, creando grandi quantità di capitale fisso nei centri di città e cittadine. Le istituzioni si sono associate alle principali imprese commerciali britanniche nel sostenere altri investimenti nelle zone centrali e ciò, si può sostenere, ha ristretto lo sviluppo di altre forme di commercio in altre località.
Riconciliare questi due aspetti, e rendere più efficiente l’intero processo, non è dunque un obiettivo facile. Dato che questo tipo di insediamenti comporta molti soggetti che lavorano in un ambito legislativo complesso, entro condizioni di mercato variabili, un miglioramento del processo può essere affrontato solo in modo selettivo, e per parti. Si stanno effettuando modifiche per migliorarne uno degli aspetti, ovvero la parte urbanistica: ne parleremo con più dettaglio nel prossimo paragrafo.
Ma riteniamo che esista l’opportunità per migliorare gli importanti aspetti connessi al reperimento delle superfici necessarie [land assembly], che esamineremo più avanti.
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Abbiamo mostrato come uno dei principali fattori che condizionano le dimensioni e localizzazione dell’insediamento commerciale sia il sistema urbanistico britannico. Un sistema al momento in fase di revisione, con una serie di modifiche proposte dal Planning and Compulsory Purchase Bill ora all’esame del Parlamento.
È importante prendere in considerazione quali linee guida e meccanismi siano a disposizione nel sistema di pianificazione urbanistica a facilitare la disponibilità di aree per insediamenti commerciali, e se un nuovo sistema migliorerà questi meccanismi.
Il sistema di pianificazione attuale
L’attuale sistema britannico si basa su un approccio che vede al centro il development plan. Questo piano esprime la strategia di sviluppo di una amministrazione locale, attraverso una serie di politiche connesse agli usi del suolo, come l’occupazione, la residenza, il commercio, ecc. [schematicamente, secondo il Town & Country Planning Act, 1990, la pianificazione prescrittiva si articola fra i County Structure Plans sovracomunali, a cui sono subordinati nel caso dei centri minori i District Local Plans, e nelle aree metropolitane gli Unitary Development Plans; hanno valore orientativo di una certa forza le linee di politica nazionale della National Planning Guidance, Regional Planning Guidance, Supplementary Planning Guidance n.d.T.].
La Regional planning guidance è uno strumento non prescrittivo utilizzato nella formazione degli Structure Plans e dei Local Plans/ Unitary Development Plans. Offre un quadro di scala regionale per lo sviluppo, identificando zone di crescita economica e/o di rigenerazione, verso cui orientare gli investimenti. Queste linee guida regionali attuano quelle nazionali e gli obiettivi chiave del governo per il riuso dei siti industriali e lo sviluppo urbano sostenibile. Le R.P.G. non offrono linee generali sui metodi di reperimento delle aree.
La Planning Policy Guidance Note 6: PPG6 Town Centre and Retail Developments pubblicata nel giugno 1996 resta il principale documento di orientamento della pianificazione commerciale. La PPG6 è intesa ad attuare l’approccio urbanistico all’insediamento commerciale, e la sua promozione nei centri urbani attraverso varie politiche e l’identificazione dei siti.
Queste linee guida introducono un “approccio sequenziale” per la scelta dei nuovi siti commerciali, per il tempo libero e per altre attività nelle aree centrali urbane e regionali identificate come adatte per tali funzioni. Questo documento, e i successivi Ministerial Statements hanno avuto effetti profondi sulla localizzazione commerciale. È stato utilizzato da numerose amministrazioni locali come strumento di controllo per combattere le localizzazioni decentrate, nel tentativo di rifocalizzare i nuovi investimenti verso le aree centrali. Ma nella loro lotta contro queste tendenze decentratrici, le amministrazioni sono state lente nel facilitare la realizzazione degli insediamenti centrali, principalmente a causa della mancanza di una corretta prospettiva generale a proposito, della mancanza di risorse finanziari disponibili a sostenere il reperimento delle aree, e l’opinione diffusa secondo cui il solo mercato sarebbe riuscito ad offrire spazi a questi progetti.
PPG6 raccomanda che le autorità urbanistiche locali sviluppino un sistema commerciale gerarchico entro la propria circoscrizione, indicando dove debba essere promosso in futuro l’investimento di settore. Questa politica ha avuto come effetto di incoraggiare la crescita dei grossi centri, scoraggiando contemporaneamente un significativo sviluppo in altre localizzazioni.
La Planning Policy Guidance Note 6 non contiene indicazioni su come facilitare il reperimento delle aree [ land assembly] e anche la magior parte dei development plans pur se identificano gli spazi dei centri cittadini offrono poche informazioni sul sistema delle proprietà e sui meccanismi a disposizione per sostenere l’ assembly delel superfici necessarie. Le autorità urbanistiche locali tendono a definire politiche generali per il centro città e le attività commerciali all’interno del development plan, e a offrire linee guida supplementari sotto forma di development brief per ciascun caso di insediamento. Un development brief è un documento non prescrittivo, ma considerato di importanza pratica nel condizionare i progetti di nuovi insediamenti, specialmente se menzionato all’interno del development plan.
Il brief rappresenta un legame fra le linee generali del development plan e i piani di nuovi insediamenti da proporre, offrendo informazioni dettagliate su come dovrebbe essere urbanizzato un sito, il che consente ai promotori di intraprendere studi di fattibilità. Il development brief di solito contiene linee dettagliate di orientamento sulle limitazioni di piano, la progettazione, la miscela di funzioni e la loro organizzazione così come preferite dall’amministrazione locale, insieme a informazioni sulla struttura proprietaria delle aree. Ad esempio, lo Essex County Council fornisce alle autorità municipali della propria circoscrizione un servizio di progetto e pianificazione esecutiva per i programmi di rigenerazione dei centri. L’uso di progetti preliminari all’interno delle supplementary planning guidances, che oriantano concretamente le modalità di presentazione dei piani degli operatori, aiuta a ridurre le incertezze e i rischi per i potenziali acquirenti delle superfici destinate a formare il sito commerciale. I problemi di land assembly possono essere affrontati nel piano esecutivo o nel development brief, offrendo un punto di convergenza ai proprietari riguardo a progetto, tipo e dimensioni dell’intervento. Il brief può rappresentare lo strumento efficace perché le autorità locali di piano trovino sostegno all eproprie linee generali da parte dei proprietari, anche se da solo un simile documento non è sufficiente ad assicurare la conclusione positiva degli interventi.
Riforma del sistema di pianificazione
È opinione comune dell’Ufficio di Vicepresidenza del Consiglio [ora delegato per l’urbanistica, n.d.T.], del Royal Town Planning Institute e altri, che il sistema di pianificazione attuale sia inefficiente. Alcuni dei problemi sono i tempi lunghi per l’adozione del development plan, la mancanza di focalizzazione locale; i tempi denti di adeguamento della pianificazione generale ai mutamenti politici, sociali ed economici, e infine la mancanza di certezze per gli operatori in presenza di numerose e talvolta confliggenti politiche.
La riforma del sistema di pianificazione attraverso l’imminente Planning and Compulsory Purchase Bill 2004 offrirà numerosi cambiamenti significativi. Quello principale è uno spostamento da politiche basate sull’uso del suolo ad altre di definizione spaziale all’interno del development plan. Il Bill intende rafforzare il sistema basato sul piano, entro cui il development plan prescrittivo sia il punto di partenza per l’esame delle proposte di attuazione degli operatori.
Su proposta governativa, un nuovo sistema di linee guida nazionali, chiamate Planning Policy Statements (PPS) sostituirà le attuali Planning Policy Guidances (PPG). Le PPS resteranno documenti non prescrittivi, ma con riferimento obbligatorio nell’esame delle planning applications. Il governo ha pubblicato una bozza del nuovo Planning Policy Statement per l’urbanistica delle aree centrali nel dicembre 2003. A tempo debito questo documento sostituirà l’attuale PPG6 e stabilirà a grandi linee le politiche pubbliche e gli obiettivi per le zone urbane centrali della Gran Bretagna.
A causa della forte concentrazione governativa sulla rivitalizzazione e rigenerazione delle aree centrali urbane, i nuovi PPS6 saranno un importante fattore nel determinare la localizzazione degli insediamenti.
Esistono due ambiti particolari di politiche che risultano rafforzate rispetto alle vecchie PPG6 e che introducono anche nuove idee per lo sviluppo delle zone centrali:
• Lo Statement offre una guida per tutte le attività centrali, non solo per il commercio. Sollecita le autorità locali a pianificare in modo attivo per la crescita del commercio, delle strutture per il tempo libero, per gli uffici ed altre funzioni centrali, selezionando le localizzazioni appropriate per rispondere ai bisogni di nuovi servizi, e identificando gli specifici siti all’interno e nei pressi di questi centri.
• Per la prima volta, lo Statement afferma che le autorità urbanistiche devono programmare la distribuzione della crescita in modo da ri-bilanciare la rete, così che non sia più dominata esclusivamente dagli insediamenti più grandi. Il governo mira ad una più diffusa distribuzione di strutture e ad evitare la superconcentrazione negli insediamenti maggiori. Ciò contrasta con le politiche precedenti (PPG6) concentrate sul definire una gerarchia e sul disporre la crescita secondo questa gerarchia di centri.
• Tra le implicazioni di questo nuovo approccio, il fatto che le autorità locali potranno incoraggiare gli interventi in un ampio numero di centri. Resta però il problema se l’impresa delle costruzioni, investitori e commercianti, coglieranno prontamente queste nuove opportunità riguardo ai gradini bassi della gerarchia.
• Lo Statement è anche molto più deciso nel richiedere che le amministrazioni locali identifichino i siti per gli interventi. Le autorità devono mettere in pratica l’approccio sequenziale alla scelta dei siti (in cui alle localizzazioni centrali viene data priorità rispetto a quelle sui margini o esterne ai centri). Devono anche essere attente alle esigenze dei costruttori, e identificare siti che siano realistici e consentano l’organizzazione di strutture atte a rispondere ai bisogni, come quello di sistemare una vasta gamma di tipologie d’attività. È un tentativo di contestualizzare commerci che si presentano con formati di negozio (ad esempio B&Q o IKEA) che di norma sono associati esclusivamente ai grossi insediamenti extraurbani. Il governo sollecita le autorità locali, nei nuovi PPS6, ad ampliare le dimensioni dei centri, se essi non sono in grado di contenere i formati maggiori entro quelli attuali.
I consigli municipali quindi sono ora in prima linea nella selezione e promozione di zone di dimensioni sufficienti a rispondere ai bisogni futuri su un arco di cinque anni, come indicato dallo Statement, che significativamente incoraggia le amministrazioni a intraprendere azioni in positivo, affermando come:
“…. Un’apparente carenza di spazi delle adeguate dimensioni nella giusta collocazione non deve essere considerata un ostacolo a scelte e interventi per rispondere a questo bisogno. Le autorità urbanistiche locali devono prendere in considerazione la possibilità di acquisire superfici utilizzando i propri poteri di esproprio, per assicurare che siti adatti, all’interno o ai margini immediati del centro urbano, siano resi disponibili alla trasformazione (paragrafo 2.44).
Le linee di pianificazione regionale attuali saranno sostituite da Regional Spatial Strategies (RSS) con poteri di inquadramento ad attuare l’agenda regionale governativa e a costituire una cornice di certezze di piano in ciascuna regione. Le nuove RSS nei contenuti saranno simili alle attuali RPG, ma dovranno fornire una più specifica strategia sub-regionale a rimpiazzare i County Structure Plans che secondo il nuovo di segno di legge andranno aboliti. È improbabile che ci sia alcuna specifica indicazione sulle operazioni di land assembly, nelle RSS, ma determineranno le strategie ampie e le tendenze del nuovo sviluppo commerciale.
Il Bill sostituisce anche gli attuali District Local Plans e gli Unitary Development Plans con un Local Development Framework ( LDF). È una cornice a comprendere una serie di Local Development Documents ( LDD) alcuni dei quali hanno natura e funzioni di development plan, altri delle attuali supplementary planning guidance. Le autorità urbanistiche locali dovranno redigere un Local Development Scheme, che anticipi il LDD che intendono produrre.
Un nuovo significativo strumento che può aiutare nel land assembly è l’ Area Action Plans ( AAP) con poteri simili al development plan, che sarà redatto per zone significative di conservazione o trasformazione. L’ AAP offrirà un chiaro riferimento per lo sviluppo delle aree locali, secondo un meccanismo che è stato carente sinora nel sistema dei piani urbanistici basato sugli usi del suolo.
Gli Area Action Plans possono riunire le informazioni, simili a quelle di un development brief, con in più l’opportunità per le amministrazioni locali di offrire dati dettagliati sull’organizzazione della proprietà nella zona sottoposta a AAP, e le possibilità di land assembly con relative forme di finanziamento.
Conclusioni
Il sistema urbanistico attuale guidato da piani basati sui modi d’uso del suolo è inefficiente e sarà modificato dal Planning and Compulsory Purchase Bill presentato al Parlamento nel 2004. Il development plan continuerà ad essere il principale documento a determinare le modalità di trasformazione, anche se esiste uno spostamento di enfasi da un approccio basato sugli usi del suolo ad uno di tipo spaziale. Il nuovo sistema si concentra più sulla formazione del piano che sul controllo delle trasformazioni.
L’introduzione dell’ Area Action Plan, e di una maggiore flessibilità nell’insediamento commerciale così come proposta dalla bozza di PPS6, consente alle autorità locali di avere un ruolo più attivo e positivo nell’identificazione dei siti, e di assumere l’iniziativa per facilitare la trasformazione. L’ Area Action Plan dovrà essere la base urbanistica per i progetti commerciali, con le amministrazioni locali in una posizione guida nella raccolta e diffusione delle informazioni sul sistema proprietario dei suoli, ad offrire orientamenti sulla disponibilità di finanziamenti, e strumenti per acquisire e trasformare gli spazi.
Le questioni principali che restano aperte riguardano la capacità delle amministrazioni di svolgere effettivamente alcune delle funzioni proposte dal progetto di legge, ad esempio:
• Individuare i siti che il governo richiede di trovare, per nuovo commercio e altre attività;
• Costruire una prospettiva e fungere da guida secondo le indicazioni del PPS6, garantendo l’avanzamento delle attuazioni;
• Ri-orientare i processi di sviluppo lontano dalle città più grandi, dove già agisce l’attrazione del mercato, verso un sistema più ampio di centri. I nuovi PPS aprono la strada alle amministrazioni per agire lateralmente al vecchio approccio di tipo gerarchico. Ma c’è bisogno di un chiaro orientamento per attirare gli investimenti verso i piccoli centri e le cittadine.
• Le autorità locali devono ricomporre i conflitti fra i propri compiti di pianificazione e gli obblighi in quanto proprietari di aree, promuovendo le trasformazioni. Sono conflitti che emergono e possono condurre a soluzioni non ottimali. D’altra parte, se le autorità hanno una corretta prospettiva, questi impegni possono anche ricondursi a vantaggio per i centri.
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Titolo originale: Wal-Mart à la Mexicana – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Ogni anno al solstizio di inverno, decine di migliaia di appassionati di revival indio, accoliti new age o semplici turisti con la macchina fotografica, si arrampicano, con le piume in testa o semplici magliette di cotone, in cima alla Piramide del Sole di San Juan Teotihuacan per assorbire i raggi dei sole e tonificare corpo e anima per l’anno nuovo.
Teotihuacan ha prosperato per quasi mille anni, fra il secondo secolo avanti Cristo e l’anno 700. Nell’anno 500 della nostra era, in città abitavano mezzo milione di persone, e la superficie urbana era di oltre venti chilometri quadrati: più grande di Roma. Governando le acque sotterranee, la civiltà di Teotihuacan creò la prima cultura del mais. Queztalcoatl, il serpente piumato, divinità ubiqua nell’antica Mesoamerica, dominava Teotihuacan, e i suoi sacerdoti mantenevano l’equilibrio delle stagioni agricole e il sole alto nel cielo coi sacrifici umani.
Mentre salivamo i 247 ripidi gradini che in quattro strette linee salgono al culmine della piramide, molti dei miei colleghi pellegrini manifestavano il proprio sdegno per il nuovo Wal-Mart, in bella vista lì sotto, a soli due chilometri di distanza.
“È come un’invasione, una nuova colonizzazione” è l’opinione di Rafael, giovane tecnico informatico di Cordoba, Veracruz.
” Falta de respeto” (non c’è più rispetto), sputacchia una donna di mezza età senza i denti davanti. “Questo è il Messico, ecco”.
”Che orrore! Questi insultano gli Dei! Quezalcoatl sarà furioso!” dice l’insegnate di scuola media Xenia Marquez, di Città del Messico, mentre allarga le braccia verso il fioco sole di dicembre sulla cima della Piramide del Sole. La sua sfuriata è interrotta dalla suoneria del cellulare.
La saga della resistenza al Wal-Mart di Teotihuacan è una picaresca nota a piè di pagina, nella battaglia contro il leviatano globale. “Wal-Mart ha profanato la Città degli dei, e non ci sono divinità che possano proteggerlo, in Mesoamerica” avverte fosco Miguel Limon-Portillo, celebrato traduttore di poesia atzeca. Se negli U.S.A. dispute del genere si risolvono davanti a ricorsi amministrativi e commissioni urbanistiche, nel caso di Teotihuacan Wal-Mart ha toccato un nervo nazionale scoperto, e così questa guerra si combatte “alla messicana”.
Wal-Mart è saltato nel piatto del NAFTA acquistando nel 1992 una partecipazione alla catena da 122 punti vendita di Bodega Aurrerá, e ottenendo il controllo totale cinque anni più tardi. Ora possiede 687 superstores in 71 città messicane, coi marchi Wal-Mart, Bodega Aurrerá, Superama, e Sam’s Club – oltre a 52 Suburbias (una catena di grandi magazzini a livello più elevato) e 235 ristoranti Vip. Il totale delle vendite di Wal-Mart del 2003, coi suoi 10,8 miliardi di dollari, fa sembrare un’inezia quelle dei tre più grossi gruppi commerciali prese insieme, che arrivano in tutto a 8 miliardi. E Wal-Mart, il principale datore di lavoro degli U.S.A., lo è anche in Messico, con 100.000 dipendenti.
Come negli U.S.A., alla base del vangelo Wal-Mart in Mexico c’è l’intolleranza per sindacati, e qualunque seccatore nei punti vendita. Gli “associati” non sindacalizzati messicani di Wal-Mart guadagnano in media 13 pesos l’ora (circa 1,2 dollari) contro i 9 dollari dei loro equivalenti non sindacalizzati U.S.A.
”Non è un bene per la nostra sovranità se tutti i vestiti e il cibo arrivano da un altro paese” dichiara Vicente Yanez, direttore dalla Associazione Nazionale dei Negozi Self-Service (ci sono anche più di 2.000 McDonald’s, a macchiare il paesaggio del Messico).
A dieci anni di distanza da quando è atterrata la NAFTA, la fisionomia commerciale del Messico spesso è indistinguibile da quella dei suoi vicini del nord.
Non molti mesi fa, i polleros (passatori di clandestini) di Tapachula, Chiapas, sul confine meridionale del Messico, hanno chiesto 5.000 dollari ciascuno a sei guatemaltechi e altri due lavoratori senza documenti, con la promessa di portarli in modo sicuro negli Stati Uniti.
Spostandosi furtivamente attraverso il Messico in un vecchio autobus con le tende tirate, facendo scivolare nelle tasche dei funzionari dell’immigrazione l’obbligatoria mordida (piccolo morso, o bustarella) per sgusciare attraverso i posti di blocco, i passatori sono arrivati a Chihuahua City, 150 chilometri a sud del confine U.S.A., fino a un grosso sobborgo, scaricando poi il proprio carico davanti a un enorme Wal-Mart, e informando gli ignari clienti che erano arrivati “dall’Altra Parte”. Wal-Mart stava in quel luccicante centro commerciale insieme a un Wendy’s, un KFC, pure un Applebee’s, e il multisala da dieci schermi “Hollywood”.
”Sembrava proprio come si vede in televisione” ha dichiarato un mesto senza documenti al giornalista Froilan Meza, del Chihuahua Herald.
Il fronte civico per la difesa della valle di Teotihuacan ( Frente Civica), tanto per cominciare, ha avuto sentore dei progetti di Wal-Mart molto tardi, quando già le betoniere iniziavano a versare cemento per le fondamenta a meno di due chilometri dalle piramidi. I militanti hanno subito sospettato che ci fosse un accordo fra la grande impresa, l’amministrazione municipale e l’Istituto Nazionale di Storia e Antropologia (INAH), senza il cui permesso il progetto non avrebbe potuto essere approvato.
Il primo di ottobre 2004 Lorenzo Trujillo, insegnante di mezza età, l’autoproclamata “guida spirituale” Emma Ortega, e Emmanuel D’Herrera, poeta e professore, si sono installati sull’area del futuro Wal-Mart, hanno srotolato i loro petates (stuoie di paglia), acceso bastoncini di incenso all’immagine del guardiano Coatlicue, una specie di Shiva atzeco, e nel gesto classico delle cause perse messicane si sono dichiarati in sciopero della fame. Il loro sacrificio ha avuto qualche effetto su una nazione che guarda dubbiosa all’invadenza del NAFTA, ed è stata galvanizzata dalla questione della cultura india da dieci anni di ribellione zapatista.
Il governatore dello stato Arturo Montiel, un potenziale candidato presidente del Partido Revolucionario Institucional, che ha governato il Messico per settant’anni e non chiede di meglio che tornare al potere nel 2006, è stato un grande sostenitore del nuovo Wal-Mart. Vantava i potenziali 3.000 nuovi posti di lavoro per una regione depressa. Ma i commercianti di strada e di bancarella del mercato ritenevano che le loro vite sarebbero state messe a repentaglio dalle concorrenza del super-store e si sono uniti alla baruffa. Ci sono state risse di strada fra chi si opponeva al progetto e chi non voleva farsi trenta chilometri di autobus verso la più vicina città, per lo shopping. Quando il picchetto del Frente Civica è stato assalito da lavoratori edili inferociti, i tre scioperanti della fame si sono spostati verso le rovine. È iniziato un nuovo sciopero sul marciapiede davanti agli uffici INAH di Città del Messico.
Ora molti puntavano il dito sull’INAH per aver dichiarato il sito Wal-Mart di “nessun valore archeologico”. Un muratore licenziato, Martin Hernandez, dichiarò al quotidiano di sinistra La Jornada di aver visto cocci di terraglie e altri reperti trasportati via dal cantiere, e di aver ricevuto ordine di non parlare con nessuno delle distruzioni.
Ma c’erano già Rigoberta Menchú e Subcomandante Marcos ad esprimere commenti sul sacrilegio. Il Wal-Mart di Teotihuacan era un’occasione pronta per organizzazioni come l’Associazione per l’Autonomia Indigena, che subito chiese se la Chiesa Cattolica avrebbe consentito di tirar su un megastore davanti all’ingresso del Vaticano.
Francisco Toledo, il più noto pittore del Messico, che aveva tenuto McDonald’s fuori dalla piazza coloniale di Oaxaca (che come Teotihuacan è una località patrimonio mondiale UNESCO) con una mano sola, disegnò immagini di scimmie che spingevano carrelli della spesa fra le piramidi di un “ Teotihualmart”, come lo etichettò il critico sociale Carlos Monsivais. Dirigenti sindacali vennero a dare il proprio sostegno ai digiunatori e a ricordare alla stampa le inclinazioni antisindacali di Wal-Mart. Anarco-punks, antropologi, attori dichiararono il proprio sdegno, e la regina del cabaret Jesusa Rodriguez favoleggiava dei “ Hualmartas, una tribù del nord”.
Mentre il dissenso cresceva, Wal-Mart lavorava ventiquattro ore al giorno per rendere operativo il nuovo magazzino prima della fine di ottobre. E con l’avvicinarsi della scadenza, si arroventavano gli animi. Il 24 ottobre alcuni coltivatori militanti della vicina San Salvador Atenco, che avevano respinto un progetto di aeroporto internazionale coi loro machete, tre anni prima, si scontrarono con la polizia proprio davanti alle rovine. Furono date alle fiamme un’auto e tre moto della polizia.
Quando il 30 ottobre finalmente Wal-Mart fu pronta a spalancare le porte, c’erano 70 clienti in fila prima delle 9.00. Un camion con altoparlante aveva fatto il giro di tutte le cittadine per giorni pubblicizzando grandi affari e regali. Ma appena prima dell’orario di apertura comparve sulla scena una squadra dell’INAH, chiedendo di entrare per un prelievo di campioni dell’ultimo momento. Furono scavati buchi profondi due metri fra i registratori di cassa numero 6 e 7, nel silenzio più totale. I campioni si rivelarono solo sabbia e frammenti di mattoni del XX secolo, e Wal-Mart ebbe la benedizione INAH per l’inizio dell’attività.
Ma lo scavo aveva lasciato un abisso spalancato nel pavimento del megastore, e la responsabile delle pubbliche relazioni Claudia Algorri decise di rimandare l’inaugurazione a dopo il lungo ponte dei Morti, la tradizionale festa messicana.
Durante il week-end, la Frente Civica costruì altari agli antenati, e pregò a invocare gli dei di Teotihuacan.
Quando i clienti tornarono una seconda volta ad affollarsi al megastore il martedì mattina successivo, c’erano 250 poliziotti in assetto da sommossa a salutarli. La prima scaramuccia iniziò mentre la folla si avvicinava alle porte, e alcuni incaricati Wal-Mart calmarono il pubblico offrendo coca-cola, patatine e “dolcetti”, secondo il racconto de La Jornada. Poi saltò la connessione al satellite, che doveva collegare le casse di Teotihuacan al quartier generale Wal-Mart di Bentonville, Arkansas: gli dei erano in ascolto. Per sei ore, la folla girellò per i parcheggi sotto il sole a picco. Scoppiò un litigio familiare, ci furono nasi sanguinanti, osserva un reporter della Jornada. Infine, alle tre e mezza del pomeriggio, si consentì ai clienti di afferrare un carrello, e la furia consumistica si scatenò. Ma le vendite non furono eccezionali. Molti erano venuti solo per strabuzzare gli occhi davanti alle meraviglie di questo tempio di plastica.
Quella sera, una banda di teppisti sfasciò il campo del Frente Civica davanti alle rovine. D’Herrera, alla quarta settimana di sciopero della fame, fu strappato dal suo petate, e tre studenti feriti a colpi di rasoio da uno dei teppisti. Il Wal-Mart di Teotihuacan era ufficialmente operativo.
A dicembre, era il boom. Anche se “Nueva Wal-Mart” (il braccio messicano della corporation) non ha installato insegne esterne per evitare controversie, l’interno è senza dubbio un emporio nel perfetto stile del prototipo di Sam Walton, stipato fino alle travi del soffitto di merci per la maggior parte fabbricate in Cina.
Data la stagione, le scansie dei giocattoli erano piene di genitori. Dei sei clienti intervistati, tutti concordavano sul fatto che i prezzi di Wal-Mart erano i più bassi della città. Princess Barbie era offerta a 288 pesos (circa 20 dollari), i pupazzi He-Man a 162. Un modellino gigante di fuoristrada Hummer giallo si avvicinava ai 4.000 pesos. Un modellino di megastore Wal-Mart si proponeva per soli 988 pesos, suscitando ooh e aah. Nelle altre scansie, gli attrezzi Black & Decker andavano via in fretta a 97 pesos, e i pomodori e le mele coltivati negli U.S.A. tenevano testa alla produzione locale.
Miguel Angel Nieves, giovane guardiano il cui padre ha lavorato alla ricostruzione della Piramide della Luna negli anni ’60, esulta per i prezzi e i prodotti. “Prima che aprisse Wal-Mart, facevamo spesa per strada o al mercato centrale, che ha un solo proprietario” ci dice. “I prezzi erano alti ... e non era molto pulito”.
Fuori, nel parcheggio, l’antropologo locale Victor Acevedo, che ostenta accessori di produzione artigianale india, sta mestamente caricando la spesa sul vecchio maggiolino Volkswagen. “Non mi piace l’idea che Wal-Mart sia tanto vicino alle piramidi” ci dice “ma dove altro devo andare, a fare spesa?”.
Il Messico è una civiltà vecchia di quattromila anni, con una cultura salda come il granito o l’ossidiana. Quando vennero gli europei, buttarono giù la maggior parte dei templi atzechi. Ma le maestose piramidi di Teotihuacan restarono. E rimarranno ancora, anche dopo che tutti i Wal-Mart del Messico saranno diventati polvere.
Nota: qui il testo originale al sito Alternet ; un articolo de La Jornada citato spesso, e tradotto in italiano (Wal-Mart il bacio della morte) dal Manifesto; qui il sito Wal-Mart Watch dell'immagine di copertina, e sul tema parallelo c'è anche quello molto interessante italiano dei Chainworkers (f.b.)
Titolo originale: A Fast Road to Nowhere – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Perseguitate da cronici ingorghi di traffico, le autostrade della Germania assomigliano spesso più a un’infinita striscia di parcheggi che a un paradiso della mobilità automobilistica veloce. Alcuni scienziati sperano di riuscire a spiegare la lotta dello stop-and-go con la fisica e la teoria dei giochi.
Gli ingorghi non fanno differenza. Non gli importa se sei un presidente di consiglio di amministrazione o un idraulico, se sei bloccato sull’autostrada in uno dei classici punti di strozzatura della Germania, come Lotte-Osnabrück o Swisttal-Heimertsheim, sei bloccato, indipendentemente dalla tua collocazione sociale. E se si sta seduti immobili su un tratto di quella che dovrebbe essere una possente autostrada, anziché schizzare via a 200 chilometri l’ora, ci si può anche chiedere perché.
E certamente non è per caso, come qualcuno potrebbe pensare.
“Circa l’80 per cento degli ingorghi da traffico si verificano perché, semplicemente, ci sono troppe persone sullo stesso tratto di strada nello stesso momento” dice Michael Schreckenberg, professore di traffic physics all’università di Duisburg-Essen.
Come succede ogni anno all’inizio delle vacanze estive quando migliaia di automobilisti tedeschi si dirigono verso il sud: basta che uno di loro pigi il freno solo un po’ più forte, e il traffico che scorreva liscio implode.
”Quelli che stanno dietro frenano più forte, e la cosa continua lungo tutta la linea” continua Peter Wagner, direttore del dipartimento al traffico IT dell’Istituto Aerospaziale tedesco. “Chi sta più indietro finisce per fermarsi completamente”.
In effetti il grosso non solo si ferma, ma si muove più lentamente in generale, afferma Schreckenberg. Bastano velocità di 25 chilometri l’ora per causare ingorghi sulla autobahn tedesca. È qualcosa che può provocare road rage e succede in fretta, dato che gli effetti in coda provocano rapidamente nuove vittime, tra chi si avvicina più velocemente di quanto chi sta davanti possa liberare strada.
Orrore sullo svincolo
Come se non bastassero le strozzature per i cantieri o gli incidenti. Peggio di tutto sono gli svincoli di ingresso, con un branco di macchine che vuole entrare nel flusso di traffico. Schreckenberg sostiene che il processo è simile alla respirazione: “Si tratta di un fenomeno periodico. Il sistema aspira auto, ed espira ingorghi”.
Ci sono moltissimi scienziati che vorrebbero comprendere gli ingorghi stradali per essere in grado di prevedere quando ci saranno dei problemi. Alcuni ricercatori hanno anche paragonato le auto a particelle fisiche. “Fin quando c’è spazio a sufficienza, si muovono più o meno liberamente, come un gas” spiega Wagner. “Se si aumenta la pressione cominciano a scorrere come un liquido. Aumentando solo di poco questa pressione, per così dire, si congelano”.
E a quanto pare le particelle gassose detestano sbattere l’una contro l’altra, tanto quanto gli automobilisti sulla autobahn. Ma le similitudini finiscono qui. “Ci sono persone, sedute nelle macchine, non particelle” spiega Schreckenberg. “E reagiscono in modo diverso, come frenare prima o dopo”.
In più, e per fortuna, pensano. Se la segnaletica automatica indica una velocità limite di 90 per mantenere un flusso costante, gli automobilisti esperti spesso vanno a 120, dice Wagner. “Questo non elimina il rallentamento, ma almeno li fa stare davanti”.
Togliti dalla strada
Per allentare la pressione sulla autobahn, gli automobilisti a dire il vero dovrebbero imboccare una rampa di uscita spostarsi sulla viabilità ordinaria, sostiene Martin Treiber, che lavora sui modelli di traffico al Politecnico di Dresda. “Naturalmente questo non migliorerebbe le cose per loro, ma aiuterebbe la velocità in autostrada. È un problema di teoria dei giochi.”
Ovviamente nessuno è tanto altruista da uscire dall’autostrada per fare un piacere agli altri, ma spesso le scappatoie potenziali sono comunque sovraffollate. Ecco perché Wagner predilige un “ Cellular-Automation-Approach” agli ingorghi stradali. In pratica, si divide la strada secondo una griglia, sistemando in ciascuna cellula un’auto. Se la cellula è occupata, le auto non possono avanzare finché non si rende libera. È stato calcolato che se passano 1.800 automobili attraverso una cellula su una corsia in un’ora, si arriva al blocco totale.
I tedeschi trascorrono a quanto pare una media di 58 ore l’anno seduti immobili nel traffico. Uno studio della BMW afferma che questi blocchi costano all’economia 100 milioni di Euro l’anno, escluso il logorio dei nervi.
Ma Schreckenberg sostiene che i tedeschi sono troppo lamentosi sul traffico rispetto ad altre nazioni. “Ci lamentiamo continuamente, ma bisogna guardare a Seul, Istanbul o Tokyo (con code abituali di oltre 10 chilometri): quelli sì che sono ingorghi!
Nota: qui il testo originale al sito Deutsche Welle (f.b.)
Titolo originale: Planning for a Livable City: An Open Letter to the Next Mayor and Planning Director – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Nei prossimi anni e per un lungo periodo, saranno investiti milioni di dollari pubblici e privati sulla città, nella costruzione di nuove scuole, spazi verdi, case popolari e a prezzi di mercato, estensione dei trasporti pubblici e miglioramenti delle infrastrutture. I sottoscritti rappresentanti della cittadinanza propongono una visione per Los Angeles, per creare quartieri vitali e orientare questi investimenti, in una lettera aperta al prossimo Sindaco e al Direttore dell’Ufficio Urbanistica della città di Los Angeles.
Premessa: una visione per la città
Per quante siano le sfide a cui si trova di fronte Los Angeles, esistono molte opportunità di creare comunità vitali. La nostra immagine di queste comunità si compone di case popolari a sufficienza rivolte a una classe lavoratrice in crescita, e anche ai senzatetto; di alternative valide all’uso dell’auto per andare a lavorare; posti di lavoro con un salario che consente di vivere; strade praticabili per i pedoni e accoglienti per le biciclette; spazi verdi e piazze in ogni quartiere.
Promuovere comunità vitali
Il General Plan della città di Los Angeles comprende ottime linee guida per la creazione di comunità vitali, come incoraggiare un insediamento rivolto al trasporto pubblico, complessi multifunzionali, quartieri percorribili a piedi e in bicicletta. Il Planning Department deve collaborare con gli altri uffici comunali per verificare che alcune politiche non indeboliscano gli sforzi verso una maggiore pedonalità, e altri programmi urbanistici orientati ad una città più sana e sostenibile. L’ufficio pianificazione deve verificare che gli obiettivi del piano generale siano perseguiti ai livelli di Community Plan, Specific Plan e singoli progetti. In più, il Planning Department deve definire un processo di piano più propositivo in senso comunitario, inclusivo, partecipato, che dia voce ai problemi dei vari quartieri pur nel perseguimento di obiettivi di scala urbana. Infine, data la ricchezza delle differenze etniche di Los Angeles, il Planning Department deve orientare i propri sforzi agli specifici bisogni culturali delle varie comunità.
Esplorare approcci innovativi di pianificazione
Il prossimo direttore dell’ufficio urbanistica dovrà essere dotato di conoscenze rispetto alle più innovative esperienze di piano di altre aree urbane. Ad esempio, la città di San Diego ha iniziato un processo di pianificazione estremamente ambizioso per la crescita futura, fortemente basato sull’impegno nella partecipazione pubblica a tutti i livelli decisionali. Iniziato nel 1999, questo ambizioso sforzo della città nella revisione del General Plan ha prodotto il programma “Città dei Villaggi” col sostegno delle varie comunità di tutta l’area di San Diego. Questo vasto sostegno non si sarebbe potuto ottenere senza un significativo coinvolgimento pubblico attraverso tutte le fasi intermedie.
Si può imparare molto, da questo successo, come da altre iniziative di pianificazione partecipata, e quindi sollecitiamo il futuro Planning Director a guardare a questi esempi per trovare orientamenti nello sviluppare programmi simili, qui a Los Angeles.
Aumentare l’offerta di abitazioni economiche
A Los Angeles c’è carenza di case popolari. La creazione dello Housing Trust Fund è stata un importante passo in avanti, ma la città deve dotarsi di altri strumenti di intervento, per consentire la realizzazione di altre abitazioni e per affrontare direttamente i problemi dei senzatetto e delle case antigieniche. L’ufficio urbanistica deve promuovere un’ordinanza di Inclusionary Zoning in modo che i nuovi insediamenti residenziali comprendano unità destinate agli abitanti a reddito medio e basso.
Costruire una Los Angeles più giusta
C’è un abisso a dividere le persone coi redditi più alti da quelle meno abbienti, a Los Angeles, che deve essere affrontato direttamente nella pianificazione del futuro. Da un lato è essenziale che nel creare e conservare quartieri a redditi misti si aumenti anziché diminuire la quota di case economiche, i posti di lavoro locali, i rapporti sociali fra i lavoratori. D’altra parte è altrettanto essenziale che i nuovi quartieri offrano il massimo beneficio alla città nel suo insieme: stipendi che consentano di vivere, uffici del lavoro di quartiere, case economiche, e servizi di vicinato. Le politiche di piano devono facilitare questo tipo di insediamento in stretto rapporto con la strada, a sostenere un’economia vitale per Los Angeles.
Prendere in considerazione gli effetti spaziali del commercio BIG BOX
Los Angeles e molte circoscrizioni confinanti sono state attraversate di recente da un vivace dibattito sull’opportunità dei negozi “ big box”. La municipalità di recente ha adottato un’ordinanza che richiede una valutazione di impatto economico elaborata da un soggetto indipendente, per alcune categorie di nuovi insediamenti commerciali di grandi dimensioni. Il Planning Department deve attuare questa nuova ordinanza, e promuovere strategie di progetto che rendano minimi gli impatti di questi negozi giganti.
Una città più orientata al trasporto pubblico
Los Angeles ha bisogno di un Planning Director capace di pensare in modo creativo a come possiamo infrangere la nostra paralisi dei trasporti, concentrandoci sul movimento delle persone anziché su quello delle automobili. Un elemento chiave è quello di sostenere lo sviluppo lungo alcune linee ferroviarie, di metropolitana veloce, e altre di mobilità principale, e di facilitare forme di mobilità non motorizzata come la bicicletta o gli spostamenti a piedi. È essenziale che il responsabile dell’ufficio di piano si renda conto che la maggior parte di chi dipende dal trasporto pubblico a Los Angeles è popolazione a basso reddito, che si sposta lontano per raggiungere i posti di studio o di lavoro, e deve poter contare su un servizio efficiente, economico, pulito per la propria vita quotidiana. Dobbiamo mettere in pratica il tipo di trasformazione delineato dal General Plan realizzando un percorso di uscita dai problemi della congestione, e collocando le nuove case e i posti di lavoro in aree ben servite dal trasporto pubblico.
Edilizia ecologica e energie rinnovabili
La città di Los Angeles ha compiuto progressi nello sviluppo dei green buildings e delle energie rinnovabili. Il nuovo Planning Director dovrà proseguire in questa direzione, esaminando strategie di livello superiore, come l’offerta di sostegni a maggiori densità edilizie, accelerazione delle pratiche, riduzioni tariffarie e altri incentivi per insediamenti che utilizzino pratiche ecologiche o tecniche energetiche pulite.
Pianificazione e tutela delle risorse idriche
Los Angeles si trova di fronte a numerosi problemi riguardo alla fornitura d’acqua, alla gestione delle acque pluviali, alla depurazione degli scarichi. Il Planning Department deve verificare che siano finanziati i progetti principali per il bacino idrico, in particolare quelli per il Los Angeles River e Ballona Creek, attraverso il recentemente adottato Prop O, e integrati entro il piano spaziale di usi del suolo per la città e il sistema delle autorizzazioni edilizie. In più l amunicipalità ha un’opportunità storica di aumentare gli spazi per il tempo libero, raggingere obiettivi di risanamento ambientale e di carattere sociale, rivitalizzando il corso del Los Angeles River.
Pianificazione per quartieri sicuri e vivibili
La città deve sperimentare strumenti di pianificazione come uno zoning orientato a ridurre il numero di punti vendita per alcolici, e ridurre parallelamente la criminalità, o trasformare vicoli intasati di rifiuti e spazi inutilizzati in verde di quartiere, piantare alberi dentro e attorno ai cortili delle scuole, per fare ombra e risparmiare sul condizionamento. Programmi del genere sono importanti per aiutare a mantenere i quartieri sicuri e più vivibili.
Una nuova dichiarazione di intenti
L’attuale dichiarazione di intenti del Planning Department recita: “Offrire una solida e professionale guida per quanto riguarda l’uso dello spazio al più alto livello tecnico possibile, per realizzare quartieri sani e sicuri e un ambiente economico stabile, che sostenga la crescita”. Abbiamo bisogno di nuovi orientamenti, che comprendano gli obiettivi della città sana e sostenibile: per il Dipartimento e la Municipalità intera.
Nota: per le firme, il testo originale e altro (ad esempio i murales di cui ho riportato qualche esempio), si veda il sito del Center for the Law in the Public Interest (f.b.)
L'animazione è tratta dal sito City Comforts Blog (f.b.)
Titolo originale: The American Dream Collides With A European Competitor – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
WASHINGTON – Si può discutere la saggezza delle iniziative con cui il presidente Bush vuole privatizzare parte della Social Security. Ma non c’è dubbio che si adattino perfettamente alla psicologia USA: il nostro, eterno american dream secondo cui ciascuno ha il diritto di tracciare la propria strada al benessere personale.
Aggiungeteci questioni collaterali, come la regolamentazione economica leggera, gli standards ambientali elastici, meno tutela per il lavoro, e il premiare le attività generatrici di reddito ventiquattro ore al giorno sette giorni su sette: avete messo a fuoco i valori principali della nostra ri-eletta amministrazione, e la sua ragione centrale di essere.
Ma date un’occhiata al di là dell’Atlantico, come suggerisce il nuovo libro dell’economista Jeremy Rifkin, The European Dream, e ci vedrete un’immagine potente e alternativa:
”Il Sogno Europeo privilegia le relazioni comunitarie rispetto all’autonomia individuale, la diversità culturale anziché l’assimilazione, la qualità della vita sull’accumulazione di ricchezza, lo sviluppo sostenibile contro la crescita materiale infinita, un’attività profonda sull’attivismo continuo, i diritti umani universali e quelli della natura su quelli della proprietà, e la cooperazione globale contro l’esercizio unilaterale del potere”.
Gli euroscettici grugniranno, liquidando l’Europa come retrovia di economie moribonde, orientamenti anti-mercato, programmi sociali troppo estesi e burocrazie governative gonfiate.
È vero, riconosce Rifkin, c’è qualcosa di reale in queste accuse. Ed è pure vero che i tassi di disoccupazione, specie fra i giovani europei, sono elevati e preoccupanti.
Ma considerate quello che hanno appena fatto gli europei. Il 29 di ottobre, i capi di stato, di governo, e i ministri degli esteri di 25 nazioni, dal mare d’Irlanda alle porte della Russia, hanno firmato una costituzione formale di Unione Europea che impegna tutti i membri come un singolo organismo di governo. Un continente lacerato da secoli di spaventosi conflitti, culminati negli orrori della Seconda guerra mondiale, sta creando il primo ambito di governo transnazionale della storia.
L’Unione Europea si è evoluta a velocità spettacolare dal suo inizio con l’autorità del carbone e dell’acciaio concordata da sei nazioni nel 1951. Ora esiste un passaporto comune europeo, e una sola valuta, l’Euro, utilizzata da molti membri. Sono regolamentati il commercio, e coordinate le politiche energetiche, delle comunicazioni e dei trasporti. Esistono un presidente, un parlamento, poteri di politica estera e una corte di giustizia le cui decisioni sono vincolanti per i paesi membri e i singoli cittadini.
È un’evoluzione stupefacente, anche se mancano ancora poteri fiscali diretti, e i diritti territoriali appartengono agli stati.
Noi americani siamo tanto convinti del nostro essere “speciali”, che facciamo fatica a cogliere la vastità di quanto conseguito dalla UE, e quello che rappresenta.
In primo luogo c’è il colpo economico. Con 445 milioni di persone, l’Unione Europea è il mercato interno più grande del pianeta, e la maggiore potenza esportatrice. Fra le principali 20 banche commerciali del mondo, 14 sono europee. Le imprese europee sono all’avanguardia mondiale nella chimica, assicurazioni, edilizia, industria aerospaziale. Un esempio recente e vistoso di cosa significhi tutto ciò: l’annuncio dell’Airbus A380, ad alta efficienza energetica per 800 passeggeri, un imbarazzante salto a sorpassare la concorrenza USA della Boeing.
Secondo, la qualità della vita. Gli europei, nota Rifkin, spesso osservano che gli americani “vivono per lavorare”, mentre essi “lavorano per vivere”. Pigrizia e tempo libero sono tenuti in alta considerazione; la gente si gode lunghi pasti e visite agli amici; tipicamente, non hanno mai fretta di “andare da qualche parte”. Le ferie pagate abitualmente sono di cinque settimane l’anno, contro le due di qui. Le differenze di reddito fra i molto ricchi e i poveri sono molto meno pronunciate che negli Stati Uniti. Il tasso di omicidi è un quarto del nostro.
Là dove l’ american dream enfatizza crescita e ricchezza personale, l’Europa cerca soprattutto uno sviluppo sostenibile. È vero che l’idea di città più vivibili ha guadagnato spazio anche qui di recente, ma gli europei sono davanti a noi di secoli nel costruirle e mantenerle. E al contrario delle nostre politiche di spreco energetico, gli europei tassano i carburanti (specie la benzina) molto più pesantemente, e sono parecchio davanti a noi nello sviluppo delle fonti di energia rinnovabile.
Infine, gli europei stanno sviluppando un insieme di valori che comprende idee come quelle degli USA di libertà, democrazia, diritti individuali. Ma si va oltre. La nuova costituzione cita “pluralismo, non-discriminazione, tolleranza, giustizia e solidarietà”.
Solidarietà? Significa, dice il primo ministro olandese Jan Peter Balkenende, attuale presidente del consiglio UE, che i membri vogliono abbandonare “il semplice interesse individuale quando problemi comuni richiedono una strategia comune. Perché non siamo entro l’Unione Europea per competere, ma per completare l’uno il lavoro dell’altro”.
Se il linguaggio suona strano alle nostre orecchie americane, non c’è da stupirsi. La nostra società ipercompetitiva, il nostro crudo giostrare per il vantaggio politico o economico, la nostra pervasiva mentalità vincitore-perdente, il credere di essere la nazione unta dal Signore che ha sempre ragione nelle questioni mondiali, è fuori tono in un secolo dove un’attenta collaborazione può offrire grandi vantaggi a nazioni, regioni, e anche ai singoli individui.
L’Europa, come noi, ha alcuni vistosi difetti: proclama il valore della diversità ma spesso esprime intolleranza verso gli immigranti, ad esempio. Ma gli ideali, il potere, la spinta di questa nuova potenza mondiale meritano il nostro rispetto. E la nostra attenzione.
Nota: qui il testo originale al sito del Washington Post Writers Group (f.b.)
Il sito www.eddyburg.it, fondato da Eduardo Salzano (urbanista militante, docente all’Università di Venezia) si occupa di «urbanistica, società, politica e di argomenti che rendono bella, interessante e piacevole la vita», come è scritto nella presentazione.
Una sezione del giornale è dedicata interamente al territorio del commercio. Una questione cruciale nella organizzazione dei luoghi urbani, anche perché, si scopre che «una delle ragioni essenziali della nascita della città, il commercio la sta abbandonando» e le forme dell’abbandono si presentano tutti i giorni diverse.
Di recente il sito ha ospitato due interventi, di Antonietta Mazzette (docente all’Università di Sassari) e dell’architetto Sandro Roggio, che hanno commentato la notizia, data nei giorni scorsi dalla «Nuova Sardegna», della nascita di uno speciale centro commerciale a Porto Cervo, un polo del lusso, con negozi che propongono le merci delle più importanti griffe italiane e internazionali, ideato e finanziato da Tom Barrack. Riportiamo i due interventi in questa pagina per gentile concessione di «eddyburg».
Qui gli articoli ripresi dalla Nuova Sardegna
Retail Planning Guidelines for Local Authorities, gennaio 2005 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
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Development Plan
Il ruolo delle politiche commerciali nel development plan
Il sistema del development plan, sia a scala urbana che a quella di contea, comprende sia politiche e programmi di tipo strategico, sia azioni più circoscritte e localizzate (come quelle per i centri città). I consigli di contea e municipali devono predisporre politiche commerciali per la propria circoscrizione amministrativa. Comunque, visto che la pianificazione commerciale richiede di prendere in considerazione il bacino di utenza, che di solito non coincide coi confini delle autorità locali, all’allegato 3, paragrafo 8, vengono elencati gli elementi da considerare nel caso di bacini sovracomunali. Anche i piani regionali in formazione devono esaminare la gerarchia dei vari insediamenti e centri urbani, e offrire linee di massima riguardo alle priorità di localizzazione per nuovi complessi commerciali nella regione. Queste linee guida a scala territoriale non devono tener conto del fatto che i bacini di utenza taglino confini amministrativi.
Gli elementi da inserire in tutti i futuri development plans a scala urbana o di contea, sono:
(i) Conferma della gerarchia commerciale, ruolo dei centri e dimensione dei principali centri di città.
(ii) Delimitazione, entro il documento di piano, dei confini dell’area commerciale centrale.
(iii) Valutazione di massima delle necessità di superfici commerciali aggiuntive.
(iv) Linee strategiche di localizzazione, e scala degli insediamenti commerciali.
(v) Predisposizione di politiche e iniziative di sostegno al miglioramento dei centri di città.
(vi) Individuazione di criteri per la valutazione dei progetti di insediamenti commerciali.
Nell’affrontare questi argomenti, le autorità urbanistiche devono tener conto del punto di vista di commercianti, consumatori, proprietari immobiliari, operatori dei trasporti (e nel caso di Dublino, della DTO). Nel valutare il bisogno di nuove realizzazioni per i vari tipi di commercio è importante basarsi su previsioni realistiche sia di spesa che di richieste del mercato. I piani devono poggiare su dati aggiornati riguardo alle superfici commerciali esistenti, e alle tendenze commerciali dell’area. Livelli di dettaglio e complessità di approccio alla pianificazione commerciale variano a seconda del livello di urbanizzazione, densità di popolazione, numero di centri. Nelle aree metropolitane di Dublino, Cork, e negli altri centri urbani principali, esiste un bisogno molto maggiore di politiche insediative di dettaglio, di quanto non avvenga nelle zone principalmente rurali.
Strategie di dettaglio
Di conseguenza sarà necessario, per le contee più urbanizzate, predisporre strategie e politiche commerciali di maggior dettaglio.In più, in alcune zone le contee devono cooperare l’una con l’altra nelle strategie commerciali. Di seguito si elencano Contee e Città che devono predisporre in modo congiunto piani e politiche unificati (sui temi esposti meglio ai paragrafi successivi) da inserire poi nel proprio development plan:
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Gli studi preliminari da condurre per definire la strategia di urbanistica commerciale devono segnare i confini dell’area interessata.
Per programmare lo sviluppo futuro, le contee devono valutare in linea di massima le necessità di nuove strutture commerciali entro il periodo di validità del piano. Questa valutazione tiene conto sia delle domande emergenti nel mercato commerciale, sia sui bisogni futuri in base a proiezioni riguardo ai cambiamenti nella popolazione e nei livelli di spesa del consumatore. È interesse di tutte le parti che tali stime siano fondate su un approccio comune standard. Le indicazioni per un approccio corretto sono contenute nell’allegato 3. Le valutazioni delle future necessità commerciali hanno lo scopo di offrire indicazioni di massima sulle quantità e proporzioni di offerta di spazi commerciali. Non devono essere considerate in modo eccessivamente prescrittivo, e non devono inibire la concorrenza.
Nel predisporre le linee guida per la localizzazione e dimensioni degli insediamenti futuri, i consigli di contea non devono prendere in considerazione i benefici economici potenziali che si possono trarre (che qualunque amministrazione può trarre) come conseguenza di un previsto insediamento commerciale. Gli effetti sulle finanze locali di un complesso commerciale non costituiscono oggetto della pianificazione urbanistica.
La strategia da inserirsi all’interno del development plan deve fornire orientamenti riguardo alla sommaria localizzazione (nome della cittadina, distretto, villaggio) del nuovo insediamento. Per avere maggiori elementi di certezza sarà necessario dare indicazioni di massima sulle dimensioni dei complessi previsti nei vari luoghi, e insieme i precisi confini della relativa zona commerciale centrale di città.
Per le località indicate, la strategia deve sia indicare specifiche alternative di sito per l’intervento, o quando ciò non sia possibile stabilire criteri per la scelta di tali siti. Nel caso in cui si debbano stabilire criteri, essi devono essere sufficientemente chiari da consentire una precisa valutazione delle domande e progetti.
Le politiche di gestione del traffico da adottarsi per i centri urbani all’interno del development plan devono contenere: le previsioni di comode ed efficienti strutture di trasporto collettivo, con priorità di percorsi per gli autobus, l’offerta e localizzazione di parcheggi per le auto (comprese strutture park and ride, o di rapporti con le zone pedonali), percorsi pedonali e ciclabili, accessibilità senza barriere architettoniche al centro città, misure di contenimento del traffico. Devono essere indicate chiaramente le zone destinate a progetti speciali per migliorare l’accessibilità ai disabili, a frequentatori con carrozzine e passeggini.
I cicli economici sia a livello nazionale che di mercati locali sono soggetti a cambiamenti nel tempo. È quindi inevitabile che qualunque previsione sull’arco di validità del piano possa rivelarsi non del tutto precisa. Questo non mette comunque in discussione l’utilità di predisporre piani strategici di lungo periodo. Contee e Città devono periodicamente monitorare tendenze ed eventi nella propria area, e aggiornare coerentemente le proprie politiche a intervalli non inferiori a sei anni.
Strategie Generali
Nel resto del territorio statale, le contee non indicate in tabella come obbligate a predisporre una strategia di urbanistica commerciale dettagliata, dovranno redigere una dichiarazione generale di intenti strategici e politiche per il futuro. Le questioni sono quelle stabilite ai punti precedenti – da ( i) a ( vi). Nello sviluppo dei punti (iii) e (iv) non sarà necessario stimare in dettaglio i bisogni futuri di ulteriori insediamenti. Per formulare appropriate politiche e criteri relativi alle proposte di nuovi complessi commerciali, sarà sufficiente una valutazione di massima, che rifletta gli interessi di mercato locale e il bisogno di offrire buone opportunità di servizio ai principali centri di popolazione.
Limiti alle superfici dei complessi commerciali
Nel giugno 1998 la Local Government ( Planning and Development) General Policy Directive ( Shopping) ha posto un limite massimo generale alla grande distribuzione alimentare, a livello statale. Nel corso della fase di consultazioni preliminare al presente documento, sono stati presentati molti diversi punti di vista a questo proposito. Il rapporto Goodbody indica che non possono essere assunte economie di scala nel settore alimentare, e comunque esse cessano di operare poco oltre i 2.000 metri quadrati. Di conseguenza l’imposizione di un tetto massimo di superficie oltre questa soglia non avrebbe effetti contrari alla libera concorrenza. Nei fatti, sostenendo a livello locale la concorrenza, uno degli effetti dell’imposizione del tetto massimo potrebbe essere la riduzione del potenziale per monopoli locali.
Sulla base di questa analisi e di altre esperienze in Europa, il principio del limiti alle superfici commerciali è ben fondato. Il tetto fissato esistente è considerato rappresentativo di un accettabile equilibrio fra le varie richieste dei vari gruppi di interesse. È anche stato rilevato che la quantità fissata di 3.000 metri quadrati non riduce la concorrenza. Dunque è corretto proseguire l’applicazione di un principio di tetto dimensionale ai complessi commerciali alimentari.
Ci sono comunque buoni motivi per differenziare i limiti di superficie fra l’area della Grande Dublino e il resto del territorio nazionale. Le maggior dimensioni dell’area e la sua densità di popolazione, la stretta prossimità fra aree residenziali e centri di città, la dimensione demografica dei bacini di riferimento dei centri commerciali, offrono una giustificazione all’aumento del tetto per i complessi commerciali alimentari. In linea di massima, il commercio alimentare nell’area della Grande Dublino è in grado di generare un maggior turnover attraverso il bacino di utenza locale. Come conseguenza di ciò, e del bisogno di rispondere rapidamente ai bisogni crescenti di commercio di Dublino, il limite dimensionale nell’area metropolitana è fissato a 3.500 metri quadrati. Sul resto del territorio nazionale il tetto per i complessi commerciali alimentari è di 3.000 metri quadrati.
Questi limiti alle superfici si applicano ai nuovi complessi o ampliamenti di quelli esistenti con aggiunta di superfici di vendita. Il limite interessa la superficie commerciale netta di superstores e quella alimentare netta degli ipermercati, così come segnata sui progetti approvati.
I consigli di Contea o di Città, nel predisporre le proprie strategie commerciali per l’area devono essere attente a questi limiti di superficie per il commercio alimentare. I casi particolari, i consigli di Contea esterni alla Grande Dublino e alle altre quattro zone, possono introdurre piccole correzioni verso il basso, dove le dimensioni dei centri di città siano piccole rispetto al tetto fissato, e il potenziale di crescita per il settore limitato. In ogni caso, se un’autorità urbanistica desidera proporre una revisione al ribasso del limite, deve motivarla documentatamente con uno studio redatto da esperti, e tenendo conto delle conclusioni del rapporto Goodbody riguardo alla necessità di evitare azioni contrarie al principio di libera concorrenza. In più, occorre tener conto delle conclusioni del rapporto Goodbody sulle dimensioni dell’insediamento a cui si esauriscono le economie di scala, ad esempio quando documentatamente si verifichi che per un negozio alimentare cessino di esistere ad una dimensione di 2.000 metri quadrati. Nessuna riduzione del tetto massimo potrà superare questo limite.
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Valutazione dei nuovi insediamenti – Le singole tipologie
I principi generali di valutazione dei nuovi insediamenti sono stati esposti sopra. Il peso da dare ad alcune considerazioni può variare nei casi di alcuni particolari tipologie. Questa sezione delle Linee Guida si occupa di questi particolari concepts di insediamento commerciale e per il tempo libero.
Centri Commerciali Regionali
I grandi centri commerciali isolati, in località esterne alle città, possono avere effetti significativi sui centri urbani tradizionali. In varie zone d’Europa essi sono stati giustificati sulla base di una consistente crescita nella spesa al consumo entro le grandi conurbazioni con un milione di abitanti ed oltre. Nel contesto irlandese questa forma insediativa non può essere facilmente giustificabile, con l’eccezione possibile dell’area interna alla Grande Dublino. Di conseguenza al di fuori di Dublino non esistono in alcun caso motivi per la realizzazione di grandi centri commerciali regionali.
Entro l’area di Dublino esistono due grandi complessi commerciali progettati come centro di nuove città: Blanchardstown e Tallaght. Un terzo, a Liffey Valley, offre solo comparison shopping. Le Strategic Planning Guidelines per l’area della Grande Dublino indicano che i futuri insediamenti commerciali dovranno comprendere:
• Complessi con un’ampia gamma di negozi di beni di consumo di varie dimensioni, in località accessibili in auto, con priorità a quelle accessibili tramite un buon servizio di trasporti pubblici.
• Un insieme di spazi consolidati e in evoluzione ben serviti dal trasporto pubblico, che insieme al centro di città possano offrire un buon livello di servizio commerciale.
• Un numero limitato di insediamenti del tipo retail warehouse in località accessibili in auto.
La realizzazione di ulteriori grandi centri commerciali di scala regionale su aree libere o al di fuori di centri di città consolidati non è considerata sostenibile in relazione agli obiettivi del trasporto. Di conseguenza, esiste una generale posizione contraria al grande insediamento commerciale extraurbano.
Centri Commerciali di Distretto
Di norma all’interno delle aree delle principali conurbazioni o nei sobborghi delle grandi città esistono centro commerciali di scala distrettuale. Sono di solito organizzati attorno a un grosso supermercato e contengono una serie di negozi e punti di servizio di tipo diverso (quali banche, uffici postali, parrucchieri). Svolgono una importante funzione commerciale per la comunità locale, entro un raggio di 15-20 minuti in auto. Non esiste una precisa soglia dimensionale per centri del genere, anche se a seconda della densità di popolazione del bacino di riferimento, sono abitualmente fra i 10.000 metri quadri delle zone adiacenti alle principali città, fino ai 20.000 in alcune parti dell’area di Dublino.
Le previsioni di nuovi centri commerciali di distretto, o ampliamenti di quelli esistenti, sono indicate dai development plans. Di norma, l’offerta di centri addizionali sarà basata sulla crescita di popolazione, o su un chiaramente dimostrato insufficiente livello di servizio. La zona della Grande Dublino rappresenta l’area in cui la popolazione cresce più rapidamente e dove è più probabile che si verifichino carenze di offerta commerciale al momento. I criteri di massima per la localizzazione di questi centri saranno indicati nei piani regionali in formazione. Nonostante sia possibile realizzare centri commerciali di distretto ampliando quelli di scala locale o i centri di villaggio, possono esistere progetti di realizzazione per nuovi complessi a servizio delle nuove zone residenziali. I criteri localizzativi di tali centri devono essere fissati dal development plan.
Grandi magazzini alimentari
I grandi magazzini alimentari, ovvero supermercati, superstores, ipermercati, sono una consolidata componente della gerarchia commerciale. Si rivolgono principalmente ai bisogni di consumo alimentare settimanale delle famiglie. Richiedono grandi superfici libere e adiacenti parcheggi, dato che la maggior parte delle famiglie (ma non tutti) fanno la spesa cumulativa settimanale in macchina.
Ovunque possibile i grandi magazzini alimentari devono essere offerti in città, villaggio o centro di distretto, o ai margini della zona centrale dove è possibile fornire trasporti pubblici a chi non usa l’auto. In casi eccezionali non sarà possibile reperire siti interni o ai margini dei centri urbani a causa delle dimensioni dei negozi, dei vincoli ambientali dei centri storici, o perché la rete stradale non ha la capacità necessaria al traffico aggiuntivo.
Quando un progetto di complesso alimentare comprende anche commercio di significative quote non alimentari (come avviene negli ipermercati) i disegni allegati alla domanda devono indicare chiaramente l’area area da destinare al commercio alimentare. Come indicato in precedenza, si applica un tetto dimensionale di 3.500 metri quadrati per la Grande Dublino, e di 3.000 metri quadrati per il resto del territorio nazionale. Questo limite vale per il totale netto di superficie di vendita dei superstores, e l’area alimentare degli ipermercati così come indicata dai disegni allegati alle domande.
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Factory Outlet Centres
Nella sua forma più semplice questo modello commerciale comporta la vendita di prodotti a prezzo scontato in un negozio di fabbrica, di solito collocato entro o adiacente agli impianti produttivi. Questi negozi, funzioni secondarie dell’attività produttiva principale, non fanno parte della tradizione commerciale irlandese, anche se esistono esempi di negozi del genere legati al turismo per prodotti artigianali (ad esempio i cristalli). I progetti per punti vendita legati a singole fabbriche sono accettabili, se non entrano in conflitto con l’economia dei vicini entri di città, o generano significativi problemi di traffico e trasporti.
Il concetto di factory outlet centre ha la sua origine negli Stati Uniti. Negli anni ’90 ne sono stati realizzati in Europa, a grandi distanze dalle relative fabbriche. Si tratta di raggruppamenti di veri e propri factory outlets e di altri negozi, con particolare riguardo per i prodotti di marca e altri articoli specializzati, e in genere in localizzazioni extraurbane. Presentati in un primo tempo come modo per mettere a disposizione articoli di seconda scelta o fondi di magazzino a fine stagione, essi possono diventare un meccanismo che serve ai produttori per vendere direttamente al consumatore i prodotti correnti, se non vengono esercitati i controlli necessari. Salvo nei casi in cui la vendita possa essere considerata aggiuntiva rispetto al processo di produzione, questi outlets devono essere trattati come comuni insediamenti commerciali, e valutati conseguentemente.
Il successo di questi centri dipende dalla capacità di attirare clienti e visitatori da un vasto bacino di riferimento, compresi turisti, ed essi possono avere effetti su centri turistici esistenti e altri centri di città consolidati, anche a una certa distanza dal sito proposto. In particolare, possono spostare le tendenze di spesa nel comparison shopping, in particolare moda e articoli speciali, che formano una componente chiave delle economie centrali. Al contrario, se un factory outlet centre si localizza in modo da legarsi ad un polo turistico o centro di città, e in tal modo realizzare una sinergia commerciale, può aiutare ad elevare il livello e a migliorare l’offerta generale anche attraverso la concorrenza con le attività commerciali e per il tempo libero.
La popolazione relativamente piccola dell’Irlanda fa pensare che esista un potenziale di mercato solo per un numero limitato di factory outlet centres. Le richieste per la realizzazione di questi centri devono essere prese in considerazione in rapporto alle indicazioni del development plan e dei paragrafi relativi di queste linee guida. Per i benefici potenziali di tipo economico generati dalla prossimità di un factory outlet ai centri urbani, si deve prestare particolare attenzione ai siti sui margini del centro città, o dove sia possibile offrire un rapido trasporto pubblico di alta qualità. Deve comunque essere considerato che questo tipo di centri non ha molte possibilità di successo commerciale nelle vicinanze dei principali centri urbani d’Irlanda, perché i commercianti di norma non scelgono di collocare un’attività discount in diretta concorrenza coni negozi delle vie centrali. Comunque, l’esperienza insegna che questo ostacolo non vale per i centri secondari o quelli più piccoli, specialmente nelle aree di attrazione turistica. Di conseguenza, la localizzazione più appropriata per i factory outlet centres è quella dove si possono realizzare sinergie commerciali fra questi e un centro di città, a beneficio economico dell’area locale. Non si considerano adatte localizzazioni di factory outlet centres in zone libere extraurbane.
Nota: Alcuni commentatori hanno sottolineato come le deroghe al tetto di superficie per l'area metropolitana di Dublino sembrino studiate per favorire la catena IKEA. Il testo integrale, originale e ufficiale messo a disposizione dal governo irlandese, è scaricabile direttamente da Eddyburg qui di seguito (f.b.)
Titolo originale: Amendment to the Retail Planning Guidelines – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Le Retail Planning Guidelines sono state adottate nel dicembre 2000. Il documento comprendeva un limite massimo di 6.000 metri quadrati alla dimensione dei magazzini. Altre indicazioni erano quelle sul contenimento della superficie commerciale negli esercizi alimentari a 3.000 metri quadri, eccetto nell’area metropolitana di Dublino, dove il limite era di 3.500.
Nell’agosto del 2003 il ministro responsabile di Environment, Heritage and Local Government ha iniziato una revisione parziale delle Retail Planning Guidelines. Le modifiche si concentravano sui tetti massimi di superficie commerciale. Si è intrapresa questa iniziativa perché erano state sollevate preoccupazioni per gli effetti dei limiti imposti sulla concorrenza. Sono state invitati a presentare osservazioni i soggetti interessati.
Il 5 gennaio 2005 il Ministro ha annunciato che si era deciso di modificare le Retail Planning Guidelines in modo che il limite di dimensione dei magazzini, per i soli beni durevoli (non alimentari), non si applichi più entro le zone delle quattro amministrazioni che compongono l’area di Dublino, e negli altri territori classificati National Spatial Strategy Gateways. Tali centri Gateway sono: Athlone/Tullamore/Mullingar, Cork, Dublin, Dundalk, Galway, Letterkenny, Limerick/Shannon, Sligo, e Waterford. La deroga si applica solo nelle aree sottoposte a Integrated Area Plans ai sensi dello Urban Renewal Act 1998. Gli emendamenti alle attuali Retail Planning Guidelines entreranno in vigore a partire dal 1 febbraio 2005, data in cui – ci viene detto – sarà resa disponibile una nuova versione del documento.
Il Ministro ha dichiarato che “Gli emendamenti alle Retail Planning Guidelines faciliteranno l’ingresso di nuovi operatori commerciali nel mercato irlandese. Si tratta di una decisione che aumenta le opportunità di scelta per il consumatore e le possibilità di concorrenza. Assicura anche che gli sviluppi di mercato avvengano sulla base di un contributo ai programmi economico-sociali governativi per il rinnovo urbano, e la National Spatial Strategy. Concentrando gli effetti delle modifiche nelle zone soggette a Integrated Area Plan si assicura che le autorità urbanistiche possano controllare meglio i modi in cui si realizzano i principali insediamenti commerciali. Si garantisce la migliore soluzione urbanistica, la più adatta nel contesto complessivo degli obiettivi di rigenerazione fissati dallo Urban Renewal Act”.
È importante notare che le norme correnti continuano ad applicarsi a qualunque progetto di insediamento commerciale oltre i 6.000 metri quadrati nelle zone specificate, e per i complessi destinati a beni non durevoli, come gli alimentari. Qualunque proposta per un singolo negozio che superi i 6.000 metri quadrati, in una zona soggetta a Integrated Area Plan, dovrà dimostrare quanto segue per essere approvabile dal punto di vista urbanistico:
Essere localizzata nei pressi di una rete stradale di capacità sufficiente a servire un insediamento delle dimensioni proposte;
Essere servita da strutture di trasporto pubblico, operanti o in progetto;
Organizzarsi adeguatamente per offrire a chi lo desiderasse la consegna a domicilio, alternativa agli spostamenti in auto privata;
Produrre una valutazione di impatto del traffico che dimostri l’adeguamento ai criteri esposti sopra;
Tener conto dei criteri di vitalità e solidità economica del centro urbano, così come stabiliti nelle Guidelines.
Il limite del 6.000 metri quadri di superficie commerciale continua ad applicarsi a tutte le aree diverse da quelle specificamente esentate.
Gli emendamenti hanno spianato la strada ai grandi magazzini svedesi IKEA per costruire il primo negozio d’Irlanda a Ballymun, Dublino. Ci sono state critiche a queste modifiche da molte parti, che sostengono come esse significhino la morte delle piccole attività a livello nazionale. Altri critici hanno affermato che si porterà altro traffico e congestione nelle aree riclassificate. Ma i sostenitori dell’emendamento credono che farà bene alla concorrenza, e creerà centinaia di posti di lavoro in zone che hanno sofferto disoccupazione e mancanza di investimenti.
Nota: su Eddyburg sono disponibili alcuni estratti delle Retail Guidelines; qui il testo originale al sito della Environmental and Planning Law Newsletter (f.b.)
In un recente intervento sulla propria newsletter (n. 9, 2004), il segretario del National Retail Planning Forum britannico, George Nicholson, lamenta come nel quadro delle ampie discussioni sulla riforma del sistema di pianificazione nazionale (che ha portato al Planning and Compulsory Purchase Act dello scorso maggio) si sia in parte sottovalutata “l’importanza del settore commerciale nell’economia”. E come l’evidenza di questa parziale sottovalutazione emerga dal PPS6, Planning for Town Centres, dove l’orientamento dell’ente pubblico sembra essere quello di costruire spazi ad alta qualità generale: obiettivo entro il quale il ruolo del commercio apparirebbe in qualche modo “diluito” rispetto alle precedenti linee guida sui rapporti fra pianificazione spaziale e attività commerciali e per il tempo libero.
Ovviamente lascio che siano i lettori di Eddyburg a giudicare direttamente se e quanto le nuove direttive – di cui abbiamo pubblicato un ampio estratto – diluiscano poco o troppo i problemi specifici del settore sul territorio. Fosse pur vero, oltre le legittime e sacrosante rimostranze di bandiera degli interessati, forse è il caso di chiedersi: e allora? Se saltiamo idealmente dalle isole britanniche alla nostra Sardegna troviamo una possibile ed equilibrata risposta: “il nuovo sistema della pianificazione commerciale è fondato su una visione urbanistica del settore: l'indicazione delle zone urbanistiche nelle quali insediare le varie tipologie di esercizi commerciali [...] attraverso la definizione di una procedura che faccia salvi i principali interessi in gioco: la tutela dei diritti dei consumatore ad avere un'offerta ampia e varia che comprenda l'esercizio di prossimità; la libera concorrenza e la libertà d'impresa”. I brani sono tratti dalle premesse al recentissimo disegno di legge regionale Disposizioni urgenti in materia di commercio, che con obiettivi paragonabili all’altro, “famigerato” atto tampone sulla inedificabilità delle coste, cerca di dare ai poteri pubblici il tempo di fare il proprio mestiere. Tutto qui: fare il proprio mestiere, anche perché un’idea chiara ed equa di spazio, se è tale, quasi automaticamente dovrebbe per esempio promuovere “la libera concorrenza e la libertà di impresa”, offrendo spazi dove tutti (ma proprio tutti) possano proporre di collocare una qualche attività, coerentemente con le altre attività, coerentemente con quanto attività economica non è, ecc. ecc. Quando si è un’entità con fini eminentemente collettivi, non si ha o non si vuole avere una chiara idea di spazio, di ambiente, e si inseguono le idee altrui (legittime, ma necessariamente parziali), non si fa il proprio mestiere, e di solito si combinano guai.
Se ne sono accorti prima di noi gli amici americani (gli amici nostri, non quelli di Berlusconi), soprattutto nei tempi abbastanza recenti di forte concentrazione finanziaria dell’impresa commerciale, e di transizione a tipologie e dimensioni ad impatti via via sempre più insostenibili, per le città, le comunità locali, le infrastrutture, la società nel suo insieme (ivi compresi gli operatori commerciali). Le azioni proposte ed attuate hanno cominciato ad accumularsi e a prendere forma meno episodica e più generalizzabile.
Come la valutazione di impatto ambientale e congiuntamente socioeconomica, via via standardizzata ed uniformata, parte integrante delle procedure autorizzative per esercizi superiori ad una certa dimensione. Come un sistema pure standardizzato e relativamente omogeneo di linee guida (qui in Europa, quelle britanniche sono un buon esempio, articolate alle varie scale territoriali) che in modo non dirigista ed elastico riescano ad inserire i processi di costruzione dello spazio legati ai grandi complessi commerciali, entro la cornice complessa del sistema insediativo e delle altre funzioni: dall’ambiente in senso lato, al rapporto con le infrastrutture, giù giù fino alla concretezza del progetto edilizio e dei suoi interfaccia visivi e operativi col quartiere, la strada, gli spazi aperti. Ci sono poi i limiti alle dimensioni, anche questi eventualmente articolati per contesti, o la necessità/obbligo di accordi fra le amministrazioni, ad evitare le note “guerre tra poveri” dove l’unica e preziosa risorsa, il territorio comunale (e indirettamente quelli limitrofi), è scambiata col piatto di lenticchie di un’occupazione locale spesso effimera, a fronte di un’altra occupazione – quella del territorio – che effimera non è inducendo trasformazioni di carattere permanente.
Ma tutto questo, come hanno imparato sulla loro pelle tutte le comunità attraversate negli anni recenti dalla “modernizzazione commerciale” non è possibile con azioni singole, per quanto drastiche. Anche il commercio, ce lo ricordano ad ogni piè sospinto gli stessi operatori, fa parte della società e della sua vivacità: è “complesso”, e complesso deve essere anche il suo inserimento e coordinamento in un piano. È questo il senso dello STOP momentaneo all’insediamento della grande distribuzione commerciale da parte di alcune regioni. Niente di più e niente di meno. Del resto non si misura certo sulla propensione o meno al “blocco”, la serietà delle politiche territoriali, ma sulla capacità di diluire (per usare in positivo la critica degli operatori britannici) sapientemente questa offerta di merci, servizi e nuovi spazi ai cittadini: nella città ed eventualmente altrove. Per una “tutela dei diritti dei consumatore ad avere un'offerta ampia e varia”, e anche per una tutela di tutto il resto, che conterà pure qualcosa.
Chi avesse trovato in qualche modo criptici i paragrafi precedenti, forse troverà più chiarezza nei documenti riportati di seguito: il disegno di legge della regione Sardegna, e il documento approvato recentemente dal Friuli, entrambi orientati (seppur con toni e metodi diversi) agli obiettivi di un rapporto meno casuale fra territorio e attività commerciali. Ringrazio gli amici Sandro Roggio e Stefano Fatarella che li hanno notati, capiti, e messi a disposizione.
REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
Oggetto: disegno di legge "Disposizioni urgenti In materia di commercio".
La Giunto regionale,
CONSIDERATO che il nuovo sistema della pianificazione commerciale è fondato su una visione urbanistica del settore: l'indicazione delle zone urbanistiche nelle quali insediare le varie tipologie di esercizi commerciali.
PRESO ATTO che si rende necessario procedere ad una programmazione commerciale per le grandi strutture di vendita attraverso la definizione di una procedura che faccia salvi i principali interessi in gioco: la tutela dei diritti dei consumatore ad avere un'offerta ampia e varia che comprenda l'esercizio di prossimità; la libera concorrenza e la libertà d'impresa.
PRESO ATTO che, come esplicitato dalla giurisprudenza costituzionale, la sospensione delle autorizzazioni per le grandi strutture di vendita può essere giustificabile soltanto ai fine di procedere ad una programmazione delle stesse, attraverso un sistema di valutazione della situazione esistente: dei territorio, dei contesta urbanistico (distributivo e produttivo), della popolazione, dei sistema viario, nonché dell'insieme degli esercizi esistenti.
CONSIDERATO che col presente articolo la RAS, facendo salva la giurisprudenza comunitaria e costituzionale, attiva una procedura di valutazione e programmazione che consente un adeguato e bilanciato sviluppo; evitando una liberalizzazione selvaggia.
VISTAla legge regionale 21 maggio 2002, n.9 (pubblicata sui B.U.R.A.S. n. 16 del 31 maggio 2002) che autorizza la concessione dl Incentivi rientranti nella tipologia "de minimis" a favore delle piccole Imprese commerciali che non abbiano più di quindici dipendenti. Le agevolazioni possono essere concesse sotto forma di contributo In conto capitale, conto Interesse e conto canoni di leasing.
CONSIDERATO che il perdurare della fase transitoria di prima attivazione della legge, Iniziata nel 2003, ha finora impedito l'avvio della fase ordinaria e la presentazione di nuove domande da parte degli imprenditori del settore. AI fine di sbloccare tale situazione, la presente proposta di legge stabilisce una delimitazione delle risorse finanziarie che si intendono utilizzare per i diversi obiettivi. Per l’attivazione della fase ordinaria si prevede l'utilizzo delle risorse finanziarie che saranno disponibili nel bilancio regionale a partire dal 2005.
VALUTATOche, per quanto riguarda la conclusione della fase di prima attivazione, è previsto ]'Impiego del fondi impegnati fino al 31 dicembre 2004. Nel caso in cui tali risorse siano Insufficienti, si procederà alla riduzione proporzionale dell'aiuto concedibile, al fine dì consentire il pagamento dei contributi a tutte le imprese per le quali l'istruttoria abbia dato esito positivo.
PRESO ATTO dei parere di legittimità espresso dal Direttore generale dell'Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio.
DELIBERA
DI approvare l'allegato disegno di legge relativo a "Disposizioni urgenti in materia di commercio".
Disegno di Legge
Disposizioni urgenti In materia di commercio
Art. 1-Piano regionale per le grandi strutture dl vendita e definizioni -
1. L'assessorato regionale competente in materia di commercio provvede - nel termine di due anni dall'entrata in vigore della presente legge - all'elaborazione dei Plano regionale per le grandi strutture di vendita. II piano deve essere approvato dalla Giunta regionale nel successivi 180 giorni e pubblicato sul BURAS.
2. Nell'elaborazione del piano l'amministrazione regionale acquisisce, a titolo consultivo, i pareri delle province, delle associazioni del comuni, dei commercianti e del consumatori.
3. L'Individuazione di zone Idonee per l'insediamento di grandi strutture deve tener conto dell'aspetto demografico, dell'equilibrato sviluppo urbanistico-commerciale, della valutazione dell'impatto dei flussi di traffico riferiti alla grande distribuzione, dell'impatto territoriale ambientale, della vocazione del territorio, dell'impatto sugli insediamenti commerciali già esistenti e operanti sul territorio Interessato.
4. Il piano entra In vigore sei mesi dopo la pubblicazione sul BURAS.
5, Il rilascio di nuove autorizzazioni per l'apertura, variazione dei settore merceologico, ampliamento, trasferimento di grandi strutture di vendita è sospeso fino all'entrata in vigore dei piano regionale per le grandi strutture di vendita.
6. II centro commerciale è la grande struttura dl vendita, promossa o progettata o realizzata o gestita con una politica commerciale unitaria, con più esercizi commerciali, inseriti in una o più strutture funzionalmente collegate, anche se separate da strade o spazi pubblici, Indipendentemente dalla loro destinazione urbanistica e dall'eventuale presenza di altre tipologie di attività.
Art. 2 - Disposizioni sulla L.R. 21/05/02, n, 9 -
I fondi di cui alla L.R. 21/05/02, n.9 impegnati sino al 31/12/04 sono destinati alla definizione delle domande già regolarmente pervenute all'Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio. Qualora tali risorse non siano suffIcienti, si procederà alla riduzione proporzionale dell'aiuto concedibile, In misura tale da consentire l'erogazione dei contributi a tutte le imprese per le quali l'istruttoria abbia dato esito positivo. La Giunta regionale stabilisce i necessari atti di Indirizzo.
Le risorse finanziarie disponibili a partire dal bilancio regionale 2005 verranno utilizzate esclusivamente per la gestione ordinaria della legge. La Giunta regionale stabilirà i necessari atti di indirizzo e le direttive e criteri di attuazione.
Art. 3 - Entrata in vigore -
La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione.
Friuli Venezia Giulia LEGGE REGIONALE 12/11/2004, N. 027
Modifiche alla legge regionale 8/1999 concernenti il Piano per la grande distribuzione.
Art. 1
(Modifiche alla legge regionale 8/1999 concernenti il Piano per la grande distribuzione)
1. Dopo l’articolo 8 della legge regionale 19 aprile 1999, n. 8 (Normativa organica del commercio in sede fissa), è inserito il seguente:
Art. 8 bis
(Piano per la grande distribuzione)
1. La Giunta regionale approva il Piano per la grande distribuzione, previo parere della competente Commissione consiliare, con il quale vengono individuate le aree potenzialmente idonee all’insediamento di strutture di vendita con superficie coperta complessiva superiore a 15.000 mq., in attuazione alle disposizioni di cui all’articolo 8, comma 1, lettera b), tenuto conto delle esigenze di equilibrato e armonico sviluppo del sistema distributivo regionale, di salvaguardia e buon uso del territorio, nonché dell’interesse dei consumatori.
2. L’insediamento di nuove strutture di vendita con superficie coperta complessiva superiore a 15.000 mq. o l’ampliamento di strutture esistenti comportante una superficie coperta complessiva superiore a 15.000 mq. sono subordinati alla preventiva approvazione del Piano di settore del commercio di cui all’articolo 8, comma 1, lettera b), da parte dei Comuni che intendono allocare sul proprio territorio le suddette strutture.
3. I Piani del settore del commercio di cui al comma 2 devono uniformarsi alle previsioni del Piano per la grande distribuzione..
2. Dopo il comma 15 dell’articolo 13 della legge regionale 8/1999 è aggiunto il seguente:
15 bis. Le autorizzazioni preventive per l’adozione della variante urbanistica Hc per strutture di vendita con superficie coperta complessiva superiore a 15.000 mq., non possono essere rilasciate oltre i limiti individuati dal Piano per la grande distribuzione..
3. Il Piano per la grande distribuzione di cui all’articolo 8 bis della legge regionale 8/1999, come inserito dal comma 1, è approvato dalla Giunta regionale entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e viene pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione.
4. Fino alla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione del Piano per la grande distribuzione, è sospeso il rilascio delle autorizzazioni preventive per l’adozione della variante urbanistica Hc, previste dall’articolo 13 della legge regionale 8/1999, per l’insediamento di strutture di vendita con superficie coperta complessiva superiore a 15.000 mq, richieste dal Comune alla Regione dopo l’entrata in vigore della presente legge.
5. A seguito dell’approvazione del Piano per la grande distribuzione sono apportate le necessarie modifiche al regolamento di esecuzione degli articoli 7 e 8 della legge regionale 8/1999.
6. Sono fatti salvi gli accordi di programma di cui agli articoli 19 e 20 della legge regionale 20 marzo 2000, n. 7 (Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso), promossi e in corso alla data di entrata in vigore della presente legge ovvero le iniziative preordinate alla stipula di un accordo di programma per le quali sia stato accertato con deliberazione della Giunta regionale l’interesse regionale alla relativa partecipazione.
Office of Deputy Prime Minister, UK (Bozza, dicembre 2003),Planning Policy Statement 6 (PPS6): Planning for Town Centres
Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini. I capitoli riportati di seguito sono dal numero 2 e 3 del documento originale. È stata omessa per facilitare la lettura la numerazione dei singoli “statements”, e quindi i riferimenti alle indicazioni dei “paragrafi precedenti” possono apparire a volte imprecisi (f.b.)
Per conseguire il fine governativo di promuovere centri urbani vitali ed economicamente solidi, lo sviluppo dovrà concentrarsi negli insediamenti esistenti per rafforzarli e, ove necessario, rigenerarli. Le autorità urbanistiche locali hanno il compito di:
·Promuovere attivamente la trasformazione attraverso una crescita pianificata o, dove necessario, contro il declino dei centri;
·Identificare una rete di centri con una più equa distribuzione di funzioni, e una gerarchia di centri ciascuno a svolgere il proprio ruolo più appropriato a rispondere ai bisogni del bacino territoriale di riferimento;
·Adottare un tipo di approccio attivo e basato sulla pianificazione dei centri, attraverso la scala regionale, sub-regionale e locale dei piani;
·Utilizzare strategie specifiche per i centri urbani, a orientare trasporti, reperimento delle superfici per gli interventi, prevenzione del crimine, pianificazione e disegno urbano, connesse alla crescita e gestione di queste zone;
·Consultare la comunità, gli operatori pubblici e quelli privati, ad assicurare che le varie esigenze vengano recepite e i progetti siano realistici ed economicamente affidabili.
Questi problemi saranno sviluppati con maggior dettaglio più avanti (e nell’Allegato B), insieme ad altre considerazioni rivolte alle autorità urbanistiche locali. Nella pianificazione per lo sviluppo, le amministrazioni locali devono anche tener conto della perdita di potenziali benefici per la comunità, nel caso di progetti non in grado di progredire n sede locale a causa della difficoltà di reperire una sede adatta per l’insediamento.
Le autorità urbanistiche locali devono pianificare propulsivamente la crescita delle attività commerciali, per il tempo libero, degli uffici e di altre funzioni centrali nell’arco di tempo di validità degli strumenti di piano:
·Individuando spazi appropriati per sistemare le funzioni necessarie;
·Individuando gli spazi interni e adiacenti al centro per urbanizzazione o riurbanizzazione;
·Promuovendo la crescita delle zone centrali.
Tale crescita può anche trovar posto individuando edifici già esistenti e favorendo un cambio di destinazione d’uso.
Quando nei centri si prevede una crescita di grosse dimensioni, ciò spesso implica un ampliamento dell’area commerciale esistente. Può anche essere opportuna un’estensione del centro città se si riscontra la necessità di grossi insediamenti. Punti vendita di dimensioni maggior possono portare vantaggi ai consumatori e le autorità urbanistiche locali devono renderli disponibili in questo contesto. In tali casi si dovranno individuare e rendere disponibili vaste superfici adiacenti alla zona commerciale principale (ad esempio localizzati ai margini del centro).
Se la crescita può essere contenuta adeguatamente con un uso più efficiente di aree ed edifici esistenti nel centro, le autorità urbanistiche locali devono mirare in primo luogo all’aumento di densità dell’insediamento attraverso edifici multipiano, funzioni miste (vedi paragrafi successivi), con le funzioni a maggior densità, come quelle per ufficio, collocate nelle parti più accessibili.
Nei casi dove il centro esistente è in fase di declino, le autorità urbanistiche locali devono prendere in considerazione la possibilità di consolidarlo e rafforzarlo concentrandovi una più ampia gamma di servizi. Ove questo non è possibile, si dovrà stabilire che questa area è classificata di rango inferiore nella gerarchia locale, e riflettere questa revisione di status nelle politiche da applicare in zona. Questo può significare il consenso al cambio di destinazione d’uso di alcune unità commerciali verso altre funzioni, anche mantenendo servizi vitali di carattere locale come farmacie o uffici postali.
Nel quadro di promozione e valorizzazione dei centri esistenti, le autorità urbanistiche devono prendere in considerazione il sistema dei vari nuclei – la loro rete – e i ruoli, raggio di influenza e livello di specializzazione, ad esempio la loro posizione all’interno di una gerarchia. Sia a livello regionale che locale, le autorità dovranno pianificare la distribuzione della crescita, usandola per riequilibrare la rete di centri al fine di evitare il dominio dei più grandi, che esista una maggiore omogeneità nella distribuzione di strutture, e che i bisogni quotidiani degli abitanti trovino risposta a livello locale. Le amministrazioni dovranno dunque tendere a:
·Evitare la super-concentrazione della crescita entro i centri maggiori;
·Usare la crescita per rafforzare quelli sui gradini più bassi della gerarchia, compresi quelli bisognosi di rigenerazione;
·Colmare alcune delle disparità promuovendo i centri ad un rango operativo superiore entro la gerarchia.
Reti e gerarchie sono elementi dinamici, che cambiano nel tempo, ma qualunque significativa modificazione in ruolo e funzione, verso l’alto o verso il basso, deve avvenire nel quadro del piano urbanistico [development plan], anziché attraverso interventi singoli [applications]. Le modifiche ai livelli più alti della gerarchia devono interessare inizialmente la scala regionale e sub-regionale, mentre quelle nei ruoli dei centri più piccoli, nonché le fasi applicative di quelli maggiori, devono svilupparsi entro i piani locali, o i development frameworks. In tutti i casi, si devono prendere in considerazione le principali politiche e strategie riguardo ai trasporti.
[...]
La Regional Planning Guidance (RPG) e, in futuro, le Regional Spatial Strategies (RSS) – compresa la Spatial Development Strategy (SDS) per Londra – devono offrire una visione strategica per la crescita regionale, che comprenda i centri principali dell’area, e offra una cornice alla pianificazione locale. Ulteriori indicazioni sulla predisposizione delle Regional Spatial Strategies sono contenute nel [bozza] Planning Policy Statement 11 (PPS11): Regional Planning.
Nella revisione della RPG e predisposizione di RSS (o di strategie sub-regionali, dove necessario), l’organismo di pianificazione territoriale dovrà:
·Costruire una visione strategica per lo sviluppo di una rete equilibrata di centri entro la regione e per ciascuna sub-regione, evitando eccessiva concentrazione di strutture nei centri di più alto livello;
·Compiere chiare scelte strategiche su dove debba essere incoraggiata la crescita, inserendo zone di importante crescita pianificata; stabilendo quali centri debbano aver crescita minore e, dove necessario, identificando i centri dove debba essere gestita una fase di declino, rafforzando l’insediamento esistente Nel compiere le proprie scelte strategiche, l’organismo di pianificazione regionale dovrà equilibrare i diversi bisogni delle comunità e dei centri entro il proprio territorio regionale e per ciascuna sub-regione;
·Valutare il bisogno generale di superfici aggiuntive entro il periodo di validità del piano, per le funzioni descritte in questo documento, e in particolare per il commercio, le attività per il tempo libero e gli uffici, per un periodo di cinque anni, e considerare se i bisogni identificati per i centri chiave trovino la miglior risposta, tenendo conto degli obiettivi del Governo;
·Valutare la capacità degli centri esistenti di ospitare insediamenti aggiuntivi;
·Riferirsi agli obiettivi del Governo così come contenuti nella Sezione n. 1;
·Monitorare e sottoporre a periodica revisione l’attuazione delle strategie.
Il Governo non ritiene probabile che esista un bisogno di nuovi shopping centres extraurbani di scala regionale o sub-regionale, né di ampliamento di quelli esistenti. Se comunque tale bisogno fosse individuato, deve essere inserito all’interno della Regional Spatial Strategy. Possono essere approvati progetti per rinnovare o sostituire strutture esistenti, quando questo non comporti aggiunta di superfici per commercio o tempo libero, né ulteriori strutture per parcheggi, se tale necessità è stata riscontrata a livello di Regional Spatial Strategy. Può sorgere il bisogno di migliorare i trasporti pubblici verso strutture extraurbane, ma questo non giustifica il loro ampliamento.
Le autorità urbanistiche locali devono adottare un approccio attivo e propulsivo alla pianificazione per il futuro dei centri entro la propria area, sia che si tratti di pianificarne una crescita, un consolidamento, o una diminuzione. In base alla strategia di scala regionale e alla propria strategia locale, le amministrazioni dovranno esprimere una visione relativa al quadro e gerarchia dei centri, compresi quelli di importanza locale, entro la propria area, stabilendo i modi nei quali i diversi centri possano contribuire alla visione generale
Le autorità urbanistiche locali dovranno operare congiuntamente alle imprese e ad altri soggetti interessati, per:
·Valutare i bisogni di nuove superfici commerciali, per il tempo libero e altri usi chiave di tipo centrale, tenendo conto sia dei fattori quantitativi che di quelli qualitativi;
·Individuare carenze o vuoti nell’offerta, valutare la capacità dei centri esistenti di contenere nuove strutture, inclusa la possibilità di ampliare il centro urbano, e identificare centri che possano necessitare di consolidamento o declino pianificato;
·Individuare i centri a livello di città, centro minore, di distretto e locali entro la propria area dove si concentreranno i nuovi interventi, insieme al bisogno eventuale per nuovi centri in zone di crescita o ristrutturazione, e sviluppare strategie di sviluppo e rafforzamento;
·Individuare e destinare i vari siti secondo le linee esposte nei paragrafi successivi;
·All’interno di tale processo, verificare tutte le destinazioni attuali;
·Sviluppare strategie locali che assicurino equilibrato accesso ai servizi;
·Stabilire criteri, coerenti alle politiche chiave esposte di seguito, per valutare e distribuire proposte di nuovi insediamenti per località non previste dal piano.
Le strategie per i vari centri sono elemento essenziale della pianificazione per la loro futura vitalità e affidabilità economica. Tali strategie devono comprendere e riferirsi a un’ampia gamma di questioni urbanistiche, di progetto e gestione dei centri, ed affiancare gli strumenti urbanistici prescrittivi. Esse devono costituire una parte importante nella preparazione del Local Development Framework [...]
Il Governo mira ad assicurare che venga fatto un uso efficiente delle aree, interne ai centri come altrove. Le autorità urbanistiche locali dovranno formulare politiche di piano che riflettano il bisogno di promuovere insediamenti ad alta densità, multipiano, all’interno e nei pressi dei centri esistenti, compreso il sostegno a zone multifunzionali, dove appropriato.
Previe altre considerazioni di carattere urbanistico, si deve incoraggiare l’insediamento di residenze e uffici come funzioni adatte, al di sopra di quelle commerciali o per il tempo libero poste al piano terreno. L’inserimento di residenza negli insediamenti commerciali extraurbani non deve di per sé giustificare aggiunta di superfici commerciali, anche se devono essere presi in considerazione tutti i vantaggi connessi.
La diversificazione degli usi nei centri fornisce un importante contributo alla loro vitalità e solidità economica. Funzioni diverse ma complementari, durante il giorno e la notte, possono rafforzarsi l’una con l’altra, rendendo i centri città più attraenti per gli abitanti, i visitatori e la clientela. Le autorità urbanistiche locali devono promuovere la diversificazione funzionale dei centri città nel loro insieme, e assicurare che turismo, attività per il tempo libero e culturali, che attirano un’ampia gamma di gruppi sociali diversi, siano distribuiti in tutto il centro.
Gestire le “economie della notte”
Nel programmare le economie serali dei centri urbani, le autorità locali devono, dove possibile, prendere in considerazione la necessità di individuare quartieri distinti, come quello dei divertimenti nei centri maggiori, dove le attività connesse possano concentrarsi. In questo, devono considerare dimensioni e quantità degli insediamenti connessi al tempo libero che desiderano incoraggiare, e il loro probabile impatto, compreso quello cumulativo sulle caratteristiche generali del centro, i possibili comportamenti anti-sociali, il benessere degli abitanti della zona. Le amministrazioni devono anche accertarsi che le proprie strategie per l’economia della notte siano coerenti con le politiche delle licenze [...].
Le autorità urbanistiche locali possono distinguere all’interno dei propri development plans tra fronti principali e secondari all’interno dei centri. Gli affacci principali dovranno contenere un’alta percentuale di funzioni commerciali, mentre quelli secondari offrono maggiori flessibilità d’uso. Piani o Local Development Documents corretti, dovranno includere indicazioni che chiariscano quali tipi di edificazione siano consentiti in queste aree.
Mercati
I mercati su strada o coperti (compresi quelli di prodotti agricoli) possono dare un valido contributo alla qualità e diversificazione dell’offerta locale di shopping, e alla vitalità generale dei centri città. All’interno di una visione generale da parte dell’amministrazione, i mercati devono essere mantenuti e ingranditi. Le autorità locali devono assicurarsi che restino attraenti e competitivi, investendo nel loro miglioramento.
Nella scelta dei siti, all’interno dei piani urbanistici locali o Development Plan Documents, le autorità dovranno tenere in considerazione l’obiettivo di promuovere centri vitali e solidi.
Di conseguenza dovranno:
a) valutare il bisogno di nuove strutture;
b) assicurare una dimensione adeguata agli interventi;
c) applicare alla scelta dei siti l’approccio “sequenziale”;
d) valutare l’impatto degli interventi sulla struttura esistente;
e) assicurare l’accessibilità.
Di seguito sono riportati maggiori particolari su ciascuno di questi punti. Le autorità urbanistiche locali devono tener conto di queste considerazioni nel prendere decisioni riguardo ai siti, o ad altre questioni rilevanti.
Le amministrazioni locali devono operare in stretto rapporto con commercianti e operatori del tempo libero, e con la cittadinanza nel suo insieme, nel prendere in considerazione i siti potenziali.
a) Valutare il bisogno di nuove strutture
La valutazione dei bisogni deve essere sviluppata come parte del processo di redazione o revisione del piano, e aggiornata regolarmente. La valutazione dei bisogni locali deve tener conto della strategia stabilita dalla pianificazione di scala regionale nella regional planning guidance o regional spatial strategy, e dell’insieme dei bacini di utenza dei vari centri, anziché semplicemente della propria circoscrizione di competenza. Queste premesse fanno parte della base conoscitiva dei documenti di Development Plan, in particolare la core strategy (così come definita nel Planning Policy Statement 12). È il punto di partenza per una valutazione più dettagliata del bisogno di insediamento aggiuntivo, e delle dimensioni più adeguate per i centri entro la propria circoscrizione amministrativa, tenendo in mente lo specifico ruolo e funzione di ciascuna località.
Commercio e tempo libero
Nel valutare bisogni e capacità per insediamenti commerciali e per il tempo libero aggiuntivi, le autorità urbanistiche locali devono conferire molta importanza agli aspetti quantitativi, basandosi su dati e altre informazioni oggettive. Ma esse devono tenere conto anche degli aspetti qualitativi. Nei casi in cui a comunità socialmente emarginate è negato l’accesso a tutta una serie di servizi e strutture, ed esistono dunque chiari e dimostrabili benefici nell’individuare siti di intervento nei pressi di tali comunità, deve essere conferito grande peso a considerazioni qualitative.
i) Aspetti quantitativi
Nel valutare all’interno del development plan i bisogni di insediamento aggiuntivo in termini quantitativi, un’autorità urbanistica locale deve quantificare la probabile domanda futura di superfici commerciali e per il tempo libero aggiunte, sulla base della popolazione attuale e prevista, sulla spesa per le varie classi di beni, entro le ampie categorie di beni di consumo più o meno corrente. Questo:
·Fornisce sufficienti informazioni su cui basare scelte strategiche sulla localizzazione della crescita, utilizzandola per rafforzare i centri esistenti e riempire i vuoti nella rete;
·Assicura che, nel caso emergano proposte di insediamento in località non previste dal piano, tali progetti sostengano e non mettano in discussione gli obiettivi generali di pianificazione e altre strategie.
ii) Aspetti qualitativi
Nel valutare all’interno del development plan i bisogni di insediamento aggiuntivo in termini qualitativi, la considerazione centrale di un’autorità urbanistica locale deve essere quella di offrire una maggior possibilità di scelta al consumatore, assicurando che:
·Siano messi a disposizione vari siti per rispondere ai bisogni di una varietà di operatori commerciali e del tempo libero;
·Venga conseguita uno buona distribuzione di localizzazioni, applicando un test sequenziale, a migliorare l’accessibilità per l’intera cittadinanza;
·Sia incrementata la possibilità di scelta del consumatore offrendo un vasto raggio di negozi, strutture per il tempo libero e servizi locali, che consentano reali alternative per rispondere ai bisogni dell’intera comunità, inclusi i gruppi socialmente emarginati.
Benefici ulteriori legati alla rigenerazione degli spazi e alla creazione di posti di lavoro non costituiscono indicatori relativamente al bisogno di superfici aggiuntive, per gli scopi del presente documento. Si tratta comunque di questioni rilevanti in sé (si vedano i paragrafi successivi) che le autorità urbanistiche locali devono prendere in considerazione nella stesura del development plan.
Le linee guida specifiche per la valutazione del bisogno di commercio e tempo libero saranno esposte nel documento di orientamento pratico: Assessing Need and Impact for New Retail and Leisure Development.
Uffici
Quantificare la domanda di nuovi spazi per uffici implica fattori differenti da quelli riguardo al commercio, al tempo libero o ad altre tipologie. Il bisogno di superfici a uso ufficio deve essere considerato come parte del bisogno generale valutato dall’amministrazione per le attività produttive. Anche la capacità fisica dei centri di ospitare nuovi spazi ad uffici e il ruolo del centro città nella scala gerarchica è rilevante nella previsione degli eventuali nuovi interventi.
La dimensione delle nuove strutture deve correlarsi direttamente a ruolo e funzione del centro e al bacino di riferimento che intendono servire. Funzioni che attirano molte persone, saranno così collocate all’interno di centri che ne riflettano la scala. Per le strutture commerciali, del tempo libero e per uffici, le autorità urbanistiche locali devono stabilire nel development plan la superficie lorda massima di ogni tipo di intervento che sarà consentita nei vari tipi di centro della propria giurisdizione. Le dimensioni di ciascun insediamento saranno connesse a:
·Ruolo e funzione del centro nel quadro gerarchico complessivo e all’interno del proprio bacino di utenza;
·Organizzazione dell’insediamento già esistente nel centro;
·Dimensione degli edifici esistenti.
Lo scopo è di collocare tipi e dimensioni appropriati di interventi nel tipo di centro adatto, e assicurarsi che si inseriscano nel contesto.
I centri di carattere locale in genere sono inadatti per nuovi interventi di grosse dimensioni, anche quando si adotta un approccio flessibile. Corrispondentemente, è forse non appropriato nella maggior parte dei casi includere i centri locali entro l’area di applicazione dell’approccio “sequenziale” degli insediamenti maggiori. Le autorità urbanistiche locali devono prendere in considerazione la possibilità di fissare un limite alla dimensione degli interventi in tali centri, orientando i progetti di maggiori dimensioni verso poli di rango superiore, come centri di distretto o di città.
Per i centri di città o cittadina, una volta identificato un bisogno le amministrazioni devono tentare – ove ciò sia appropriato – di mettere a disposizione siti adiacenti alle aree centrali, che possano contenere i formati più grandi.
Nella selezione delle località più adatte a contenere i bisogni di nuovi insediamenti deve essere adottato un approccio “sequenziale”. Nel caso di un centro città devono essere attentamente valutate tutte le opzioni (compresa quella di una estensione del centro), prima di esaminare la possibilità di destinare funzioni chiave a siti meno centrali. L’approccio sequenziale richiede che le varie localizzazioni siano considerate nel seguente ordine:
·In primo luogo, collocazione nei centri esistenti, dove esistano o si possano trovare spazi disponibili, o edifici per cambio di destinazione d’uso, tenendo conto di una adeguata dimensione dell’intervento in rapporto al centro;
·Se non si verifica la prima possibilità, si opta per una localizzazione ai margini del centro;
·Se non si verificano né la prima né la seconda possibilità, un sito esterno al centro.
Le soglie di applicazione utilizzate nell’approccio sequenziale, alla ricerca del sito più appropriato, variano per i diversi tipi di intervento, e sono specificate negli allegati.
Le autorità urbanistiche locali devono dimostrare di aver, sentite le imprese di costruzione, pianificato la crescita. Il Governo riconosce che questo implica flessibilità e realismo, sia da parte delle amministrazioni che da parte delle imprese. Le autorità urbanistiche devono recepire i bisogni dei costruttori, e identificare localizzazioni realistiche che consentano di contenere il bisogno identificato, compresi siti in grado di organizzare un’ampia gamma di modelli insediativi e funzionali. A loro volta, nelle loro proposte di siti da includere nel piano, le imprese devono essere flessibili, ed esplorare la possibilità di consentire agli insediamenti di adattarsi a sistemazioni più centrali, riducendo le superfici per piano dei progetti.
Le autorità urbanistiche devono includere nei development plans, se necessario, programmi di attuazione scadenzati nel tempo, per assicurare che i progetti più interni ai centri siano realizzati prima di quelli meno centrali, a sostegno degli obiettivi del Governo.
Ulteriori indicazioni sull’uso dell’approccio sequenziale saranno fornite nella guida pratica: Applying the Sequential Approach.
Nella scelta dei siti per i nuovi interventi da inserire nel piano, le autorità urbanistiche locali devono costantemente tenere in considerazione l’obiettivo di promuovere centri città vitali ed economicamente solidi. Devono valutare esplicitamente l’impatto degli interventi proposti su tali centri. La messa a disposizione di altri siti disponibili, può avere sia effetti positivi che negativi. Quelli positivi possono essere rafforzati quando i nuovi insediamenti avvengono in centro o con un’espansione del centro, o quando un intervento esterno al centro sia ben collegato ad esso e risulti in un numero significativo di spostamenti tra i due, che ne ripaghino i costi aggiuntivi.
Il Governo mira a ridurre la necessità di spostamenti, la dipendenza dalla sola automobile privata, a facilitare i viaggi multi-scopo, ad assicurare accesso generalizzato a una vasta gamma di servizi. Una buona accessibilità ai centri urbani è essenziale. Posti di lavoro, strutture commerciali e per il tempo libero, servizi, devono di conseguenza essere - ovunque ciò sia possibile e opportuno - localizzati nei centri città. Nella scelta delle collocazioni più appropriate le autorità locali devono considerare attentamente:
i) i bisogni di accessibilità tramite una vasta scelta di mezzi di trasporto, inclusi mezzi pubblici, spostamenti a piedi, in bicicletta, in auto;
ii) l’impatto nell’uso dell’auto, sul traffico e la congestione.
Indicazioni dettagliate sulla valutazione dei mezzi di trasporto, sui problemi di accessibilità e parcheggi, sono contenute nella Planning Policy Guideline 13 (PPG13): Transport.
Nelle aree rurali, le autorità urbanistiche devono concentrare gli interventi all’interno o nei pressi dei centri di servizio locali, come le città-mercato o i villaggi chiave dell’insediamento, dove esiste il potenziale per massimizzare l’accessibilità tramite trasporti pubblici, a piedi o in bicicletta, assicurando contemporaneamente che la mancanza di strutture di trasporto pubblico non impedisca lo sviluppo del piccolo commercio o dei servizi quando questi siano rivolti ai bisogni locali.
Nella scelta dei siti per le localizzazioni commerciali, l’autorità urbanistica locale deve stabilire quali particolari elementi e circostanze tenere in considerazione nonché se e in quale misura questi fattori possano controbilanciare i punti da a) a e) così come esposti sopra. Le considerazioni di cui tener conto nella redazione dei piani comprendono:
·La rigenerazione fisica: si devono considerare i benefici dell’intervento su siti già urbanizzati, che possono richiedere miglioramenti;
·Occupazione: l’incremento nella disponibilità di posti di lavoro determinato in una località a seguito della proposta di un insediamento;
·Crescita economica: l’aumento degli investimenti, diretti e indiretti, in un’area, stimolato dalla proposta di insediamento e dall’incremento di produttività, ad esempio da economie di scala;
·Inclusione sociale: è possibile definirla in termini ampi, e spesso comprende alcuni dei fattori descritti sopra, oltre a considerazioni aggiuntive come l’incremento di accessibilità a un certo numero di servizi da parte di tutti i gruppi.
Nello stimolare la crescita in modo pianificato per i propri centri, le autorità urbanistiche locali devono mettere a disposizione spazi sufficienti per rispondere ai bisogni individuati su un arco di cinque anni. Un’apparente carenza di spazi delle giuste dimensioni non deve essere considerata un ostacolo al reperimento dei siti necessari. Le amministrazioni devono prendere in considerazione l’opportunità di acquisire le superfici utilizzando i propri poteri di esproprio, perché vengano messi a disposizione siti di intervento adeguati, all’interno dei centri o in zone immediatamente adiacenti.
Ove ne sia stabilito il bisogno, devono essere designati nel processo di formazione del piano dei nuovi centri, come nelle aree urbane di maggiore crescita, in altre dove manchi una appropriata rete di centri, in zone dove è necessaria una ristrutturazione a seguito di un declino economico. Il livello a cui operare dipende dalle dimensioni dei centri proposti, dal loro ruolo nella gerarchia di quelli esistenti, da come intendano completare e integrare le tipologie presenti. La disponibilità attuale o futura di infrastrutture di trasporto e opzioni di scelta modale, deve essere una componente chiave delle decisioni di localizzazione dei nuovi centri.
Tranne nel caso in cui essi siano designati come centri di importanza urbana così come descritti sopra, le autorità non devono prendere in considerazione come tali i punti vendita o centri commerciali extraurbani, poli per il tempo, centri direzionali o altri tipi di insediamento simili.
I centri di dimensioni maggiori in passato sono stati punto di concentrazione per investimenti e realizzazioni, ma le autorità urbanistiche locali devono assicurare lo sviluppo di una rete più equilibrata di centri entro la propria circoscrizione. In particolare dovranno rafforzare quelli di scala locale verificando che esista una certa gamma di strutture, adeguata alla loro dimensione e funzione, per rispondere ai bisogni quotidiani degli abitanti e promuovere l’inclusione sociale.
La necessità di commercio e strutture di servizio locale è egualmente importante per le aree urbane e per quelle rurali. Le autorità locali devono predisporre strategie per correggere le carenze del commercio e altre strutture, per rimediare all’esclusione sociale. Le amministrazioni devono anche pratica un approccio propositivo alla pianificazione commerciale e dei servizi, collaborando coi principali soggetti interessati, ovvero la cittadinanza e gli operatori privati. Questo comprende:
·Valutare dove esistano carenze nell’offerta di commercio e servizi locali orientati ai bisogni quotidiani;
·Coinvolgere la comunità locale e gli operatori nella predisposizione di strategie, perché i nuovi servizi previsti corrispondano davvero ai bisogni;
·Collaborare col settore privato ad assicurare che a bisogni identificati corrisponda davvero l’attivazione delle strutture.
Gli orientamenti su questo punto saranno pubblicati nell’ambito di questo documento: Strategies for Smaller Centres [in corso di redazione].
I centri rurali sede di mercato, e altre cittadine e villaggi, devono costituire i principali centri di servizio nelle zone di campagna, offrendo una gamma di negozi e strutture di scala appropriata ai bisogni e scala del proprio bacino di utenza. Devono costituire il punto focale per lo sviluppo economico e delle attività a base rurale, compreso il mercato delle produzioni alimentari locali, e per il turismo. Va comunque considerato come vivacità e vitalità di tali centri siano diminuite negli anni recenti, e come molti di essi siano vulnerabili ai cambiamenti economici e negli stili di vita.
Il Governo è impegnato a sostenere le città-mercato a gestire i processi di trasformazione, a incoraggiare la necessarie rigenerazione e rafforzamento del loro ruolo come centri vitali dei servizi rurali. Le autorità urbanistiche locali devono adottare politiche che ne riconoscano il ruolo e sostengano uno sviluppo tale da aumentare vitalità e solidità economica alle città-mercato e agli altri centri di servizio rurali. Le amministrazioni devono tenere in considerazione la quantità di popolazione rurale che dipende da un determinato centro o struttura, come un negozio di villaggio, e agire a tutela dei servizi esistenti e alla promozione di nuovi (vedi i paragrafi precedenti sulla tutela e offerta di servizi alla scala locale).
Nella previsione di negozi e servizi di villaggio, le autorità locali devono adottare politiche che:
·Assicurino la considerazione dell’importanza di negozi e servizi per la comunità locale, nel valutare proposte che possano provocare perdita o trasformazione di funzioni;
·Riflettano un atteggiamento propositivo verso la conversione e ampliamento di negozi pensati per migliorare la qualità.
Anche le vendite dirette dal produttore al consumatore [ farm shops] possono rispondere ai bisogni locali in modo sostenibile e contribuire all’economia rurale. Le autorità locali devono favorire queste funzioni.
Le politiche del Governo sullo sviluppo rurale sono esposte esaurientemente in [versione provvisoria] Planning Policy Statement 7 (PPS7): Sustainable Development in Rural Areas.
Per conseguire gli obiettivi del Governo, di promuovere centri città vitali ed economicamente solidi, lo sviluppo dovrà concentrarsi nei centri già esistenti per rafforzarli e, dove adeguato, rigenerarli. Nei paragrafi precedenti si è descritto come le autorità urbanistiche locali debbano pianificare propositivamente per organizzare la crescita, principalmente entro o agli immediati margini dei centri esistenti, selezionando le localizzazioni nel quadro del proprio development plan. Questa parte del documento contiene le politiche da applicarsi da parte delle stesse amministrazioni rispetto ai progetti proposti:
·Ad attuare una previsione di centro contenuta nel development plan;
·Su siti diversi da quelli previsti all’interno del piano.
Le politiche generali di questo documento devono applicarsi a tutti i progetti, di qualunque dimensione, riguardanti:
·Nuovi interventi;
·Ristrutturazione di complessi esistenti;
·Ampliamenti di complessi esistenti;
·Cambi di destinazione d’uso che comportano interventi edilizi;
·Rinnovo di autorizzazioni non realizzate;
·Richieste di varianti o eliminazione di alcuni vincoli, che comportino creazione di superfici aggiuntive (ad esempio ammezzati) o modifiche del tipo di commercio, tali da cambiare dimensioni e/o caratteristiche dell’insediamento.
Le considerazioni principali nell’individuazione dei siti, così come riferite nei paragrafi precedenti, si applicano nello stesso modo anche all’esame delle proposte. La presente sezione indica solo alcuni dettagli rilevanti alla valutazione dei progetti, e deve essere letta sempre con riferimento alla sezione precedente.
Nel contesto della vigilanza urbanistica, le autorità locali devono richiedere ai proponenti di progetti che vengano dimostrati:
a) la necessità dell’intervento;
b) la dimensione appropriata dell’intervento;
c) che non esistano altre localizzazioni centrali per l’intervento;
d) che non si verifichino impatti inaccettabili su centri esistenti;
e) che il sito dell’intervento risulti accessibile.
Le autorità urbanistiche locali devono valutare le richieste sulla base di tali considerazioni e sulla documentazione presentata. Come regola generale, gli interventi devono soddisfare tutti i requisiti. Ci possono essere comunque eccezioni, nei casi in cui una consistente e documentata evidenza comporti un giudizio complessivamente positivo anche se l’insediamento non eccelle riguardo ad alcuni aspetti. Nel prendere la propria decisione, le amministrazioni devono considerare altri problemi locali rilevanti.
Queste indicazioni si applicano a tutte le proposte, ma la quantità di analisi e dati richiesti deve essere proporzionata a dimensioni e tipologie dei progetti, e del ruolo del centro. Maggiori informazioni sugli aspetti localizzativi saranno contenute nella guida pratica: Assessing Need and Impact of New Retail and Leisure Development [in corso di compilazione].
Non è necessario valutare il bisogno quando le nuove proposte riguardano centri esistenti, ma bisogna comunque considerare una dimensione appropriata dell’intervento (vedi paragrafi successivi).
Commercio e tempo libero
Si deve determinare la necessità di qualunque proposta di commercio o tempo libero localizzata in località ai margini o esterne al centro urbano, e che non sia contenuta nelle previsioni del development plan.
i)Bisogni quantitativi
Ovunque possibile, la valutazione dei bisogni a sostegno di una proposta di progetto deve essere sulla base di quanto stabilito a questo proposito dal piano, ma specificamente per quanto riguarda il tipo di merci offerte. Il bisogno di superfici commerciali aggiuntive non deve superare i cinque anni, periodo entro il quale possono diventare disponibili i siti centrali. Una valutazione che vada oltre questo periodo, potrebbe lasciare non sfruttate occasioni di investimento nel centro. Il bacino di utenza utilizzato nella valutazione del bisogno deve essere realistico, e ben correlato a dimensioni e funzioni dell’intervento proposto, nonché al ruolo del centro.
ii)Bisogni qualitativi
Oltre a considerare i bisogni quantitativi per l’aggiunta di superfici a commercio o attività di tempo libero, le autorità urbanistiche locali devono aggiungere considerazioni qualitative (come descritto nei paragrafi precedenti), che possano offrire motivazioni ulteriori all’intervento.
Le linee guida per la valutazione dei bisogni di interventi comerciali e per il tempo libero sono stabilite nel documento : Assessing Need and Impact of New Retail and Leisure Development. Ulteriori indicazioni per quanto riguarda gli uffici saranno esposte nelle linee guida allegate al prossimo Planning Policy Statement 4 (PPS4): Planning for Economic Development.
La dimensione massima dell’insediamento (di solito definita in termini di superficie di pavimento lorda) considerata ammissibile nei particolari centri per le diverse strutture può essere stabilita dal development plan. Se non lo è, o nei casi in cui il piano non sia aggiornato, i fattori da considerarsi nel determinare le dimensioni appropriate degli interventi in un centro sono quelli stabiliti nei paragrafi precedenti ( b) assicurare una dimensione adeguata agli interventi).
Come già ricordato sopra, ci si aspetta che gli operatori siano flessibili riguardo a scala e formati delle proposte.
L’approccio sequenziale alla scelta del sito si applica a tutte le proposte di intervento riguardanti localizzazioni diverse da un centro esistente che non siano già previste da un development plan aggiornato. I centri più rilevanti entro cui localizzare strutture dipendono dalla strategia generale espressa dal piano, dalla natura e dimensioni dell’intervento, dal bacino di utenza che intende servire,
Nella scelta localizzativa, devono essere attentamente valutate tutte le opzioni centrali, prima di prenderne in considerazione altre meno centrali. L’ordine di importanza è quello stabilito nei paragrafi precedenti sull’approccio sequenziale.
Nell’applicazione dell’approccio sequenziale, e nell’esame delle possibili localizzazioni alternative, costruttori e altri operatori devono essere in grado di dimostrare che nella ricerca di siti interni o agli immediati margini del centro si è operato con atteggiamento flessibile, riguardo a:
·Dimensioni del progetto;
·Formato dell’intervento, compreso l’uso di strutture multipiano, insediamenti a funzioni miste, per ridurre al minimo l’occupazione di spazio;
·Offerta di parcheggi.
Scopo di questa operazione è esplorare la possibilità di adattare gli interventi alle località più centrali riducendone le dimensioni planimetriche. Comunque le autorità urbanistiche locali devono essere realistiche nel considerare quali siano i siti più adatti, disponibili e convenienti (vedi paragrafi successivi). Le autorità devono tener conto delle oggettive difficoltà di gestione dei vari modelli di attività entro i siti scelti in base all’approccio sequenziale, come quando a un operatore viene richiesto di restringere in modo significativo la gamma dei prodotti offerti. Non è comunque sufficiente a giustificare una proposta di localizzazione diversa la sola affermazione che il tipo di prodotti offerti non sia commercializzabile in una localizzazione centrale.
Nella valutazione delle proposte commerciali e per il tempo libero per i siti ai margini o esterni al centro che combinino un certo numero di funzioni distinte (ad esempio un warehouse park commerciale e/o un insieme di negozi o altre strutture per il tempo libero), il richiedente deve considerare quanto le varie unità costitutive il complesso non potrebbero essere localizzate in siti più centrali, secondo gli obiettivi e politiche esposte nel presente documento guida. L’esistenza di localizzazioni più centrali che possano contenere uno o più degli elementi costitutivi, deve essere presa in considerazione nel valutare se concedere o meno l’autorizzazione al progetto. Del resto non ci si può aspettare che un singolo operatore spezzetti il proprio punto vendita su diversi siti. Queste indicazioni non si applicano a funzioni diverse da quelle commerciali e per il tempo libero.
Nei casi in cui si sostenga che i siti diversi da quelli dell’approccio sequenziale non siano adeguati al particolare progetto proposto, i richiedenti devono produrre chiara documentazione sull’assenza di alternative praticabili, in termini di:
·Disponibilità: le localizzazioni non sono disponibili al momento, né è probabile che lo divengano entro un ragionevole periodo di tempo (definito caso per caso). Se i siti si rendessero comunque e imprevedibilmente disponibili dopo l’approvazione del progetto, e l’autorità urbanistica locale fosse soddisfatta della documentazione prodotta dal richiedente, essa dovrebbe inserire anche questi elementi nella valutazione complessiva;
·Adeguatezza: nonostante vengano rispettati i requisiti generali di flessibilità (vedi paragrafi precedenti), i siti non sono adatti al tipo di insediamento proposto;
·Economicità: l’insediamento non sarebbe economicamente conveniente in queste localizzazioni.
Ulteriori orientamenti nell’applicazione dell’approccio sequenziale saranno contenuti nella guida pratica: Applying the Sequential Approach [in corso di redazione].
Nei casi di proposte per insediamenti ai margini o esterne al centro si deve seguire la procedura di valutazione di impatto. Ci sono ad ogni modo circostanze in cui anche i principali interventi entro il centro ne possono aumentare considerevolmente l’attrazione ed avere così impatti sugli altri centri. In questi casi, è pure necessaria una valutazione.
Nella scelta dei siti, le autorità urbanistiche locali devono prendere in considerazione gli effetti delle proposte, sia positivi che negativi, su vitalità e stabilità economica dei centri esistenti, compresi se necessario quelli cumulativi sugli altri progetti di recente approvazione, in corso di realizzazione o completati da poco. L’individuazione di un bisogno non significa di per sé che non possano esserci impatti negativi.
In particolare, le autorità locali dovranno considerare:
·Quanto l’intervento possa mettere a rischio la strategia generale per quel centro o per un gruppo o rete di centri, o alterare la gerarchia;
·I probabili effetti sugli investimenti pubblici e privati che saranno necessari a salvaguardare vitalità e solidità economica del centro o dei centri;
·L’impatto probabile, positivo o negativo, dell’intervento proposto sul turnover commerciale e la vitalità dei centri esistenti, nonché sull’economia rurale (un esempio di impatto positivo può essere quello di riattirare la spesa dall’area circostante);
·Potenziali trasformazioni in positivo o in negativo della qualità del centro, nell’attrattività, nel ruolo per la vita economica e sociale della comunità;
·Trasformazioni nella gamma di servizi offerti dai centri che ne subiscono gli effetti;
·Potenziali trasformazioni nelle condizioni fisiche e ambientali del centro o centri;
·Probabili impatti sugli immobili non utilizzati nella zona commerciale principale;
·Conseguenze delle attività per il tempo libero proposte sull’economia notturna del centro.
Orientamenti sulla valutazione di impatto degli insediamenti commerciali e per il tempo libero, sono contenuti nella guida pratica: Assessing Need and Impact of New Retail and Leisure Development.
Nell’esame delle proposte di nuovi interventi, le autorità urbanistiche locali devono prendere in considerazione:
i) il bisogno di accessibilità tramite diversi mezzi di trasporto
Le zone commerciali devono essere accessibili tramite una scelta di mezzi di trasporto, ovvero trasporti pubblici, a piedi e in bicicletta, in automobile (tenendo pienamente conto delle probabili modalità di spostamento degli utenti). Nel determinare se gli insediamenti siano effettivamente accessibili, le amministrazioni devono valutare la distanza dei progetti proposti dalle strutture di trasporto pubblico (fermate dell’autobus, stazioni, nodi di interscambio), e assicurare che l’accesso sia facile, comodo e sicuro. Le distanze devono essere misurate in termini di percorso reale, e non in linea d’aria.
Le autorità urbanistiche locali devono valutare sino a qual punto i proponenti di strutture commerciali per il tempo libero e per uffici abbiano modellato i propri progetti per raggiungere gli obiettivi generali del Governo, così come emerge dalle analisi di accessibilità, quantificazioni dei trasporti, green transport plans, promozioni per ridurre gli spostamenti in auto, come le consegue a domicilio, altri contributi a migliorare accessibilità, gestione del traffico, parcheggi.
Come principio di buona progettazione e organizzazione spaziale, i costruttori dovrebbero essere incoraggiati a orientare i nuovi complessi verso il fronte stradale, a offrire accessibilità a livello e nei pressi della zona commerciale principale. Questo fornisce facile accessibilità ai pedoni e a chi arriva col trasporto pubblico. Si dovrebbero anche incoraggiare i costruttori a collocare i parcheggi sul retro o nei sotterranei dei nuovi insediamenti.
ii) l’impatto sull’uso dell’auto, il traffico e la congestione
Nel valutare le proposte di nuovi insediamenti, le amministrazioni devono considerare:
·Se la proposta possa avere impatti sugli spostamenti complessivi in auto nella regione;
·L’effetto sul traffico locale e la congestione nel centro città, dopo aver attuato gli interventi sui trasporti pubblici, e le misure sul traffico.
Come già ricordato nei paragrafi precedenti, occorre considerare nella valutazione dei progetti presentati anche il loro possibile effetto in termini di:
·Rigenerazione fisica;
·Posti di lavoro;
·Crescita economica;
·Inclusione sociale.
Le richieste di ampliamento dei complessi esistenti possono sollevare problemi particolari. Occorre conferire un certo peso agli impatti sul centro città dell’ampliamento proposto, nel caso in cui si pensi a nuove categorie di beni e servizi. In più, quando si tratta di determinare un bisogno, le autorità locali devono verificare che la documentazione presentata per richiesta di ulteriori superfici si riferisca specificamente alla classe di merci proposta. L’approccio sequenziale non rappresenta un elemento rilevante nel caso di ampliamenti, ma le autorità urbanistiche devono comunque considerare l’accessibilità al complesso.
Secondo la Schedule 2 (10)(b) delle Town and Country Planning (Valutazione di Impatto Ambientale) (Inghilterra e Galles) Regulations 1999, i progetti di nuovi insediamenti urbani con superficie che ecceda gli 0,5 ettari, e che possono avere significativi effetti di tipo ambientale, sono soggetti a procedura di VIA. Questa categoria comprende la realizzazione di shopping centres e parcheggi, stadi sportivi, centri per il tempo libero, complessi cinematografici multisala.
[...]
Nota: la versione originale e integrale di questi documenti, insieme ad una notevole mole di materiali anche relativi alla pianificazione urbanistica (e devolution, ambiente, trasporti ecc.) si trova nel ricco sito della Vicepresidenza del Consiglio britannica (f.b.)