Accantonato il piano per l’edilizia le Regioni: non ci sarà il decreto
Paola Coppola, Luca Iezzi
Alla fine l’hanno spuntata le Regioni. Si allungano i tempi per il piano-casa e, di fatto, si riparte da zero. Bocciata nel metodo e nel merito la bozza di decreto legge del governo sulle misure urgenti per stimolare il settore edilizio. Dopo lo stop dei governatori si punta ora a una piattaforma fatta di principi e scelte condivise. Il piano sarà riscritto e, quanto allo strumento legislativo per adottarlo, si vedrà. Ma per il momento sfuma l’ipotesi di procedere per decreto legge.
I contenuti passano in mano a un tavolo tecnico-politico che da stamattina si mette al lavoro per trovare un’intesa con le Regioni, entro martedì. Discuterà il problema delle competenze su una materia concorrente e le azioni necessarie a rilanciare il settore. Poi ci sarà una nuova Conferenza unificata.
Berlusconi è il primo ad aprire al confronto. «L’urgenza resta ma non è detto che il dl sia lo strumento più opportuno», dice ai governatori a Palazzo Chigi e ripete che il governo vuole lavorare «in sintonia e in accordo con le autonomie locali». Rilancia anche il progetto per le "new town", e accelera sul piano destinato alla realizzazione di abitazioni low-cost di edilizia pubblica destinate a giovani coppie e famiglie in difficoltà, un tema su cui si aprirà un altro tavolo di confronto con le Regioni.
Invece sul piano-casa si potrebbe procedere o con un ddl o con una legge quadro, alla quale faranno seguito leggi regionali. senza escludere che rispunti il decreto. «Fatte le verifiche, il Consiglio dei ministri potrà poi valutare le modalità con cui procedere», dice il ministro per gli Affari regionali, Fitto.
La maggior parte dei governatori non vuole il decreto: vorrebbe una legge quadro di principi generali che lasci alle leggi regionali le misure per stimolare il settore. Resta una priorità non consumare altro territorio ma migliorare la qualità dell’edilizia, ribadiscono i governatori di centrosinistra, e tenere conto che diverse realtà hanno già premi sulle cubature. Alla fine dell’incontro sono soddisfatti i governatori: «Ora si apre il lavoro che deve definire le competenze, il rilancio e la semplificazione normativa dell’edilizia», commenta il presidente della Conferenza delle Regioni, Errani. Il presidente Anci, Domenici: «Sono convinto che il confronto sia stato messo su binari migliori». E Bossi: «Le Regioni sono le benvenute a trattare con il nostro governo». Plaude l’opposizione il cambio di registro e Franceschini dice: «Pronti a discutere senza pregiudizi, a condizione che siano norme che non facciano correre il rischio di una devastazione del paesaggio». Ieri infine si è consumato lo strappo tra governo e Lega che in commissione Finanza della Camera si è schierata con il Pd contro la proposta dal sottosegretario all’Economia Vegas sull’allentamento dei vincoli di spesa per i comuni. Contestati il limite di 150 milioni l’anno, meno di 20 mila euro a comune. «Così prendiamo in giro i Comuni» sostengono i deputati del Carroccio, ma per Vegas «il discorso enti locali è chiuso per il 2009. L’alternativa è lasciare tutto com’è». Lo scontro ha portato al blocco delle votazioni del decreto incentivi.
Berlusconi: "Sulla casa decidiamo noi I disoccupati? Trovino qualcosa da fare"
Gianluca Luzi
«Se uno perde il lavoro non stia lì a piangere, ma si dia da fare per cercare un nuovo lavoro». Silvio Berlusconi è a Napoli per accendere - stamattina - il termovalorizzatore di Acerra. Ieri sera, prima della cena con gli imprenditori campani e con i vertici di Impregilo, l’azienda che ha realizzato il termovalorizzatore, nella hall dell’hotel Vesuvio annuncia che domani sul piano casa «ci sarà qualcosa di positivo in consiglio dei ministri» per avviare l’iter più appropriato «per non irritare le Regioni gelose delle proprie prerogative. Non c’è nessuna frenata, stiamo discutendo lo strumento ma alla fine decidiamo noi. Le Regioni non si possono sottrarre perché sul piano casa in giro c’è una aspettativa fantastica». Ma dopo un incontro con i sindacati della Fiat di Pomigliano - che gli hanno regalato un modellino di Alfa 159 rossa: «perché si ricordi di noi» - il tema è il lavoro e la crisi. Anche la Cgil ha «apprezzato gli impegni del premier sulla cassa integrazione» con l’eventualità di aumentare il termine da uno a due anni, e anche l’impegno ad aprire un tavolo con la Fiat e i sindacati. Ma solo il giorno prima il presidente del consiglio aveva sollecitato gli italiani a «lavorare di più», un invito che in tempi di crisi, licenziamenti e cassa integrazione massiccia, era sembrato un po’ fuori luogo. «Ma io mi riferivo a quelli che il lavoro ce l’hanno e lo mantengono», ha spiegato Berlusconi. E per quelli che invece il lavoro lo perdono, un consiglio: «Auspico che chi è stato licenziato trovi qualcosa da fare. Io di certo non starei con le mani in mano. Spero comunque che si faccia di tutto affinché non si lasci nessuno a casa. Anche gli imprenditori - si raccomanda Berlusconi - si devono inventare qualcosa». Ma la settima super - corta alla tedesca non convince il premier. E le banche, che la Confidustria ha bacchettato? Berlusconi nega che ci siano furbizie da parte degli istituti di credito: «Mettetevi però - ragiona il presidente del consiglio - nei panni di un direttore di banca che ha una propria moralità e cerca di dare i soldi solo a chi ha più possibilità di restituirli».
Burlando: "Un vano in più va bene ma il silenzio-assenso sarebbe la fine"
Massimo Minella
«Prima di lanciare nuove campagne, basterebbe restituire alle Regioni quello che è stato tolto». Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria, si sente "rinfrancato" dalla decisione del governo di ritirare il decreto sul piano casa. Ma ora chiede che quanto fissato per l’edilizia pubblica nell’ultima finanziaria di Prodi, 550 milioni 18 dei quali per la Liguria, ora torni nelle disponibilità delle Regioni. «Sono soddisfatto, perché su un provvedimento tanto delicato ora si torna a discutere». «Da noi, e non solo, il silenzio-assenso avrebbe creato danni incalcolabili, sarebbero arrivate migliaia e migliaia di domande da esaminare in poche ore». Ma il governatore non chiude la porta a qualsiasi intervento. «Ci sono zone non ad alta intensità abitativa in cui ci sono degli spazi. Una legge ad hoc si può fare, ma bisogna intendersi. Se si tratta di rendere un sottotetto abitabile, non succede niente. Se si vuole alzare la casa di mezzo metro per ricavare un vano, abbattendo i consumi energetici, idem. Le sfide importanti sono sui progetti che possono favorire chi non ha le condizioni per avere la casa a prezzi di mercato».
Errani: "Ora disponibili a ragionare ma subito affitto sociale per i poveri"
«Siamo pronti a ragionare su misure anti-cicliche e sulla semplificazione delle regole con l’Esecutivo. Ma abbiamo ribadito che la bozza di decreto legge, quella che ci è stata sottoposta, presentava dei profili incostituzionali. E comunque non crediamo sia lo strumento più adatto per affrontare un tema come l’edilizia, che resta nelle competenze regionali. Ora mi aspetto ci sia la volontà di tutti e del governo di trovare un’intesa che consenta di salvaguardare le competenze e la qualità del governo del territorio». È il commento di Vasco Errani, governatore dell’Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni, che chiarisce di aver posto al premier anche un altro problema: «L’emergenza di un piano casa». Spiega: «Esistono famiglie che non hanno un reddito sufficiente a comprare una casa o pagare un affitto a prezzi di mercato. Serve un piano per il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica e per introdurre un "affitto sociale" per famiglie del genere. Anche questa è una grande azione anticiclica che risponde alle esigenze di centinaia di persone. Abbiamo avuto assicurazioni che il tema sarà al centro di un altro tavolo tecnico». (p.co.)
Cappellacci scommette sull’intesa "E proteggerò le coste dell´isola"
Giuseppe Porcu
«Il tavolo tecnico-politico aperto a Palazzo Chigi produrrà soluzioni condivise anche da Regioni e Comuni», dice Ugo Cappellaci del Pdl, nuovo governatore della Sardegna. «Sono soddisfatto - aggiunge - per la decisione del governo di non utilizzare lo strumento del decreto sul quale le Regioni nutrivano molte perplessità».
«Io sono a favore di questo intervento - spiega Cappellacci - perché è una grande occasione per l’ammodernamento del patrimonio edilizio e aiuta il risparmio energetico, l’energia alternativa, la semplificazione amministrativa. Il cambio di destinazione d’uso è un passaggio non determinante in un provvedimento di questa portata. L’aumento delle cubature è invece importante perché stimola l’edilizia, e comunque va rapportato a un patrimonio edilizio che è in media di 120 metri quadri per casa. A proposito delle procedure in deroga, siamo di fronte a un piano straordinario e quindi bisogna accettare che si proceda anche in deroga ai piani regolatori. In Sardegna non permetteremo interventi entro i 300 metri dal mare e adotteremo la massima prudenza per fascia costiera e centri storici dove procederemo con precise limitazioni».
Chiodi: "Un boomerang tornare indietro premierò chi usa materiali ecologici"
«Bisogna capire che il provvedimento, a prescindere dalla sua forma legislativa, deve essere promulgato al più presto. Altrimenti si rischiano le conseguenze negative dell’effetto annuncio, come ricadute indesiderate sul mercato immobiliare», avverte il governatore dell’Abruzzo, Gianni Chiodi, che auspica un’intesa rapida tra governo e Regioni.
Il presidente della Regione Abruzzo aggiunge: «Guardiamo positivamente a queste misure perché possono stimolare l’economia. L’Abruzzo ha bisogno di contrastare gli effetti della disoccupazione e il piano è un classico provvedimento anti-ciclico. Servirà a dare nuovi posti di lavoro e per noi questa è una priorità».
Chiodi chiarisce che la Regione è pronta a fare una legge che premi - in termini di maggiori cubature - chi utilizza materiali ecologici o innovativi nelle costruzioni: «In questo modo, non si rischia alcuna cementificazione, ma si potranno creare - ripeto - nuovi posti di lavoro». E sul tavolo tecnico-politico che si apre oggi, commenta: «Sarà molto utile e sono certo che potremo proporre al governo un documento efficace». (p.co.)
Un vero piano casa, un piano, solido e ben elaborato, quale domanda edilizia dovrebbe soddisfare in primo luogo? Quella di chi non ha un alloggio, non può, o non vuole, comprarselo e vorrebbe pagare un affitto ragionevole. Se questa diagnosi è giusta, il piano Berlusconi non va nella direzione della domanda insoddisfatta. Esso riguarda infatti chi la casa ce l’ha già e desidera ampliarla. Almeno fino all’altro ieri sera. Ieri il premier è tornato sui propri passi per dire che il suo programma edilizio riguarderà più della metà del patrimonio edilizio nazionale. Dato incomprensibile. A questo punto non resta che attendere.
Diciamo che al premier non interessa tanto andare incontro alla “fame” di alloggi a basso canone o costo, bensì rianimare attraverso la leva edilizia una economia che lui non si rassegna a considerare in crisi, che ai suoi occhi è soltanto contagiata dal “virus americano”.
Un economista del gruppo del sito lavoce.info, Paolo Manasse, aveva provato, pochi giorni fa, a fare un po’ di conti sulla base di quell’aumento del 20 per cento delle cubature dell’originario programma berlusconiano. Se fatto proprio dagli investitori edilizi, esso avrebbe prodotto un aumento del Pil dell’1,4 per cento, cioè per circa 22 miliardi. Ma avrebbe successivamente provocato un incremento dell’offerta abitativa pari al 20 per cento, quindi una riduzione dei prezzi e dei valori edilizi. Di più, esso avrebbe comportato una diminuzione secca dei risparmi e quindi dei consumi delle famiglie fra i 15 e i 34 miliardi. Lì per lì il piano Berlusconi avrebbe dunque impresso una scossa all’economia, con effetti però di assai breve durata. «In cambio di città più brutte», concludeva Manasse. Di città e di paesaggi fortemente imbruttiti da nuovo cemento e asfalto, sia legale che abusivo, incentivato da quei formidabili “premi”. Con ripercussioni negative pure sul turismo di qualità, il più redditizio fra tutti e che l’Italia sta perdendo in modo pesante. Quindi, duplice boomerang, anche dal solo punto di vista economico.
Berlusconi si è molto addolcito con le Regioni dopo che in maggioranza gli hanno detto che non accettavano, per giunta per decreto legge, di far invadere dal governo centrale competenze loro proprie da decenni con la sospensione - che il testo disconosciuto dal premier contemplava - delle leggi regionali vigenti in materia territoriale (ma i ministri leghisti dov’erano?).
Il solo punto di possibile concordanza sarebbe dunque lo sveltimento burocratico delle pratiche edilizie. Purché non si vada verso il silenzio/assenso delle Soprintendenze nei 30 o 60 giorni per le zone di pregio. Sarebbe davvero la fine per il già manomesso paesaggio. Veniamo da sette anni di ininterrotto boom dei cantieri, non abbiamo scalfito con quell’edilizia “di mercato” l’emergenza-casa e certi paesaggi, a cominciare da quelli veneti e lombardi, sono irriconoscibili.
Silvio Berlusconi pensa di incarnare l’Italia intera e gli italiani che lo votano pensano di essere dei piccoli berlusconini. È questo, probabilmente, il corto circuito che spiega le esternazioni contraddittorie del presidente del consiglio accusato dal manifesto di essere “un casinaro”. Prima dice che tutti possono rifarsi la casa come vogliono, le regole sono oppressive e non ci permettono di rilanciare l’economia anche attraverso qualche abuso, che volete che sia. Poi, trascinato dall’entusiasmo popolare, promette che farà un decreto legge sulla casa: tutti possono costruire, demolire, rifarsi il balcone, allargando l’immobile fino al 35 per cento. Poi, visto che il presidente Napolitano è intervenuto per mantenere un minimo di decenza istituzionale, il premier ha fatto una parziale marcia indietro: sono stato frainteso – ha detto - non era quello il testo sui cui ci eravamo accordati e via sproloquiando. Berlusconi ha capito che se è vero che ha alle sue spalle il popolo della libertà (e dell’abuso), è anche vero che deve alla fine fare i conti con i governatori delle Regioni, anche con quelli della sua squadra, come Formigoni. Vedremo come se ne uscirà. Lo sapremo in queste ore.
È interessante però nel frattempo ragionare sul succo di questa faccenda, ovvero sulla identificazione di milioni di persone con il pensiero (e i comportamenti) di un uomo che si vanta di essere il nemico delle regole, il più fiero avversario della magistratura. Perché gli italiani sono tanto sensibili a questo richiamo della foresta? Perché il ministro Brunetta può permettersi di dire (durante un forum con i colleghi dell’Unità) che “troppe regole producono schifezze?”. Perché il ministro del lavoro Sacconi può permettersi di dire che il problema della sicurezza sul lavoro sono le regole, l’eccesso di regole?
Conosco una famiglia di romani che ha ereditato una piccolo casolare di campagna. Accanto al rustico (una sessantina di metri quadrati) sorgeva una vecchia porcilaia che è stata demolita perché pericolante e quindi pericolosa. Nel progetto di ristrutturazione era inserita anche la porcilaia che deve però essere ricostruita laddove sorgeva all’origine, non può essere cioè accorpata al rustico come vorrebbe la famiglia per avere a disposizione una stanza in più. Risultato: la porcilaia non si ricostruisce perché, così lontana dalla casa non serve a nulla, sarebbe una dependance di una trentina di metri, dove non si può costruire un bagno, non si possono mettere gli altri servizi per renderla vivibile. Insomma la porcilaia deve rimanere una porcilaia. La famiglia di romani, che usa il rustico per le vacanze e prendere un po’ d’aria buona, non possiede maiali, quindi di una porcilaia non sa che farsene.
I nostri amici sono dei sinceri democratici, credono perfino nella giustizia sociale, e non vogliono infrangere la regola. Si guardano però intorno nella loro bella campagna e scoprono ville e villini (per un refuso avevo scritto villani) che si possono fotografare nella loro magnificenza fuori dalle regole: portici giganteschi che sono diventati stanze chiuse, tetti sopraelevati, porcilaie che sono diventate splendidi salotti con tanto di vetrate sul prato e sui boschi, giardini d’inverno. La nostra famiglia di amici si ricorda anche di quanto l’Unione europea, quella che ci insegna le leggi più civili del nord, è intervenuta per dare ragione ai costruttori che avevano edificato l’eco mostro che è stato demolito perché abusivo. Ma la demolizione dell’ecomostro – disse la civile Europa in quell’occasione – è stato un errore, anzi una violazione di un diritto fondamentale: quello della proprietà.
Non ci sarà mica la storia di questa piccola porcilaia e dell’ecomostro dietro questa ennesima baraonda berlusconiana che ci ricorda terribilmente il Corrado Guzzanti della casa degli italiani, quella in cui ognuno fa quel c..che gli pare?
Ieri mattina Vezio De Lucia ha anticipato l'alba. Lunedì sera gli avevano fatto vedere la bozza del Piano Casa del governo Berlusconi e lui non ci ha dormito la notte. Si è messo alla tastiera e ha vergato un editoriale di fuoco per il sito eddyburg. it, il cui titolo è tutto un programma: “È molto peggio di quanto si prevedeva. È il delirio di uno speculatore trasformato in legge”. A sera, la pensa ancora così. nonostante le precisazioni di Berlusconi.
Perchè, professore?
Perché non credo alle rettifiche, il testo che ho potuto visionare io era su carta intestata del Consiglio dei Ministri. Se hanno fatto circolare un testo falso, denuncino la cosa alle autorità competenti. E la smettano di arrampicarsi sugli specchi.
É proprio arrabbiato…Ma no, cerco di ragionare su quello che ho visto. Altrimenti, se volessimo star dietro ai tentativi di rettifica, potremmo anche chiuderla qua, l'intervista. Il guaio è che quello che ho visto mi piace molto poco. Anzi, non mi piace per niente. Di più: mi sembra tutto così mostruoso che mi viene la tentazione di non crederci.
Il premier sostiene chegli intrventti autorizzati non avranno alccun impatto sugli ambienti urbani saranno limitati allavillettamono e bifamiliari e alle case da rifare
Da cosa Berlusconi ricavi la certezza che gli interventi non deturperanno deturperanno i paesaggi urbani non lo so. Forse nelle città non ci sono villette mono e bifamiliari? Ho motivo di ritenere, anzi, che questa sia una tipologia abitativa molto diffusa. Piuttosto, noto che il premier non ha detto una parola sull'altra grande aberrazione contenuta nel decreto. Cioèla possibilità illimitata, come mai era accaduto in passato, di procedere ai cambiamenti di destinazione d'uso degli immobili. Sa cosa significa questo?
Il tecnico è lei, ce lo spieghi
Lo farò con un esempio. Ha presente quei capannoni dismessi, industriali o commerciali, che sorgono in zone scarsamente abitate? Potranno diventare mostruosi condomini. Non sfuggirà a lei e ai lettori la differenza che passa tra un capannone e un condominio, o una serie di condomini condomini, in aperta campagna. Sa come si chiama questa cosa?
Ce lo dica lei
Abusivismo anticipato. Questo decreto è peggio, molto peggio dei tre condoni della nostra storia recente. Stavolta non si è nemmeno obbligati a pagare l'oblazione. Anzi, c'è l'istigazione all'abuso edilizio. E il favoreggiamento sancito per legge.
Davvero non salva niente?
E cosa dovrei salvare? Prenda la norma sui centri storici. La totalità delle nostre città antiche è patrimonio mondiale dell'umanità. Se passasse questa norma, si rivolterebbe l'Europa intera. Penso che qualsiasi persona dotata di un minimo di sensibilità culturale debba sentirsi offesa, umiliata. Senza contare la mortificazione che si fa delle Soprintendenze. Si autorizza un aumento delle volumetrie per trecento metri cubi. Forse gli esperti interpellati dal governo non sanno che i nostri centri storici hanno una volumetria media che non supera i mille metri cubi.
Ammetterà però che questo Piano dal punto di vista culturale non è del tutto campato in aria: da anni ci sono urbanisti che teorizzano la deregulation.
Si, per passare dal piano al progetto, però, che è un diverso modo di affrontare la questione della programmazione urbanistica. Il decreto che io ho letto, al di là dell'urbanistica, mette in discussione alcuni fondamentali principi democratici. È una sorta di “tana libera per tutti”. L'anarchia totale.
Quali saranno, a suo avviso, le ricadute sul piano economico?
Si arricchiranno gli studi legali, perché nasceranno contenziosi a raffica. Ma l'esito principale sarà la paralisi. Non credo, poi, all'attivazione di un circuito virtuoso per l'edilizia sana. Trattandosi di interventi minuti, immobile per immobile, ad avvantaggiarsi saranno non le grandi imprese, ma quelle che operano nel sommerso.
Berlusconi dice che questo Piano piacerà alla gente.
E probabilmente non si sbaglia: vellica un istinto molto italiano. Quello della "roba".
Legalizzato il sacco d'Italia Un vero e proprio condono.
di Maria Campese - Veronica Albertini
Un vero e proprio condono. E' quanto il Consiglio dei ministri si appronta a varare venerdì prossimo col "piano casa". Si preannuncia una deregulation selvaggia che ha già fatto venire l'acquolina in bocca al partito dei costruttori. C'è già chi plaude alla libertà di sovvertire l'assetto del territorio disegnato da piani regolatori esistenti, dopo aver ricevuto la garanzia di demolire e ricostruire indiscriminatamente.
Senza lacci e lacciuoli, si potranno infatti allegramente aumentare del 20% le cubature degli edifici residenziali e commerciali in deroga ai piani regolatori. Basterà semplicemente la certificazione di un tecnico incaricato e pagato dagli stessi costruttori. Alla faccia del conflitto di interessi. Il provvedimento consentirà l'abbattimento e la ricostruzione in dimensioni più ampie del 30-35% degli immobili fatiscenti o abusivi edificati fino all'89.
Continua così imperterrita la via della speculazione edilizia e del sacco delle città che riporta il Paese agli anni '60 quando mani rapaci contribuirono al fiorire selvaggio di edifici e periferie squallide, alla creazione di mostruosi non luoghi regno dell'invivibilità. Si ripiomba nel Medioevo dell'urbanistica, vengono meno gli strumenti regolatori dello Stato e si toglie la possibilità ai cittadini di partecipare alle scelte attraverso le procedure di pianificazione del territorio. Questa deregulation non servirà di certo a risolvere il disastroso problema del disagio abitativo. Dal 2000 ad oggi si è registrato un notevole aumento di costruzione di nuove abitazioni. In particolare dal 2003 al 2007 il patrimonio residenziale è passato da 28,8 milioni di abitazioni a 31,4, con un incremento di 2 milioni 600 abitazioni. Nonostante ciò restano, anzi si sono aggravati, i problemi legati al disagio abitativo. Questo perché non si è investito quasi per niente nell'edilizia popolare e perché moltissime abitazioni continuano a rimanere sfitte. Il rilancio dell'edilizia non è certo servito a dare una casa a chi non ce l'ha, è servito soprattutto ad aumentare la speculazione edilizia.
Con questo provvedimento si dà continuità allo smantellamento degli strumenti di pianificazione urbanistica che ha visto una tappa nell'uso sistematico degli accordi di programma (trattativa tra proprietari privati ed enti locali). Prosegue il disegno della destra di demolizione dell'urbanistica, già tentato con la proposta di legge Lupi il cui obiettivo era la legittimazione dell'accordo di programma come strumento ordinario di governo del territorio. Un modo, insomma, per continuare con le colate di asfalto e cemento sui nostri territori. Grazie agli accordi di programma, l'urbanistica contrattata di impronta neoliberista, la città è stata vista come esclusivo fattore economico. E il perno di questo processo è la rendita speculativa.
Questa ulteriore spinta, questa liberalizzazione dell'abusivismo edilizio, avrà effetti devastanti per i territori. Brutture, cementificazione selvaggia, abitazioni invivibili. Gli aumenti delle cubature renderanno peggiori le nostre città. Le autocertificazioni del progettista non offriranno inoltre nessuna garanzia sulla sicurezza delle abitazioni. In Italia sono già numerose le tragedie delle abitazioni crollate e queste misure non faranno altro che aumentare il livello di insicurezza dei nostri edifici sia ad uso abitativo che commerciale. E come se non bastasse, comporteranno un maggiore aggravio della situazione nei centri urbani edificati prima dell'entrata in vigore della legge ponte che ha introdotto gli standard urbanistici nei piani regolatori, quindi già privi di servizi, verde, urbanizzazioni primarie e secondarie, con reti fognanti già gravemente insufficienti. Tra le conseguenze la riduzione di spazi pubblici e del verde, un maggiore traffico, un maggiore carico delle reti dell'acqua. Insomma una riduzione della vivibilità in centri urbani già gravemente compromessi da situazioni insostenibili. Gli speculatori non si faranno rimorsi e si getteranno a capofitto, grazie a Berlusconi, per depredare ora anche "legalmente" il nostro territorio. Dobbiamo impedirlo con tutte le nostre forze.
Intervista a Vezio De Lucia
di Vittorio Bonanni
Vezio De Lucia non è certo un nome nuovo per chi si occupa di urbanistica, sviluppo delle città, attenzione al patrimonio ambientale e lotta alla speculazione edilizia. Architetto, già assessore all'urbanistica al Comune di Napoli, intellettuale scomodo anche per le forze di sinistra, troppo spesso compiacenti con le logiche della speculazione, De Lucia è ovviamente preoccupato per il cosiddetto "piano casa" del governo,che prefigura un nuovo e forse peggiore scempio urbanistico ed ambientale.
Architetto, questa trovata dell'esecutivo fa venire in mente il personaggio creato da Antonio Albanese Cetto Laqualunque, che paventa in continuazione un'Italia priva di regole dove regna solo la logica della devastazione e dell'arricchimento facile. Che cosa ne pensa?
Cominciamo affrontando il problema della casa. Non c'è dubbio che nonostante in Italia si siano costruite fin troppe case, ci sia un fabbisogno di alloggi per ceti sfavoriti. Ai quali però si può e si deve rispondere soltanto con un intervento tutto pubblico. Cioé qui servirebbe di nuovo quella che si chiamava un tempo l'edilizia sovvenzionata, a totale carico dello Stato. E di questo invece non si parla mentre questa sarebbe l'unica categoria di edilizia che andrebbe considerata in questo frangente.
Siamo invece di fronte ad una liberalizzazione selvaggia...
Che è quella che propone appunto Berlusconi e che sarebbe solo una catastrofe per il nostro paesaggio. E qui si possono fare alcune riflessioni. La prima è questa: che probabilmente questo provvedimento non va visto disgiuntamente da quello che ha portato all'affievolimento degli interventi di tutela sul paesaggio. Cioé la fortissima penalizzazione recentemente intervenuta del ministero dei Beni Culturali e dei sovraintendenti. Si è insomma indebolito il controllo sul paesaggio e questa è una considerazione che pesa sinistramente su questo rilancio selvaggio della speculazione che viene proposto dai provvedimenti annunciati dal governo. Una seconda riflessione generale che vorrei fare riguarda la siderale differenza che c'è tra la linea politica del governo italiano e quella del governo degli Stati Uniti d'America. In Italia non si trova di meglio che rilanciare in modo indiscriminato la speculazione edilizia; mentre da parte di Obama si cerca di sfruttare, diciamo così, la circostanza della crisi economica per proporre, come si diceva una volta, un "nuovo modello di sviluppo" che punti sull'incremento delle spese sociali, sull'ambiente, su una riconversione dell'economia in senso ambientalista, in assoluta controtendenza a quello che propone invece il governo italiano.
Il quale rischia di far tornare il nostro paese negli anni delle peggiore speculazione edilizia degli anni '50 e '60, non trova?
Dico di più. L'Italia tutta sembra ripiombata negli anni dell'immediato dopoguerra quando a Napoli era sindaco Achille Lauro e circolava la battuta "il piano regolatore serve a chi non si sa regolare".
Va aggiunto a tutto questo ragionamento che anche le amministrazioni di centro-sinistra, targate Pd, hanno fatto molte concessioni al partito del mattone, a cominciare da quella romana di Veltroni...
L'aspetto preoccupante è che questo intervento pesca nei sentimenti più profondi e purtroppo diffusi del popolo italiano. Cioé lo stesso consenso che hanno avuto i condoni del governo Craxi e dei due governi Berlusconi ci sarà intorno a questo provvedimento, il quale è un'esasperazione della linea berlusconiana "padroni in casa propria", che però trova riscontro nella cultura diffusa e sommersa dell'italiano. Soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. E qui non si può non fare e non pretendere un'autocritica da parte della cultura di centro-sinistra ma anche di sinistra. Non dimentichiamo che il Partito comunista italiano, a metà degli anni '80, sosteneva gli abusivi siciliani. Quindi c'è appunto una corresponsabilità anche della cultura di sinistra che non ha mai fatto bene i conti con questi problemi. E adesso sarebbe il momento di farli senza illudersi che una promessa sostenuta appunto dagli ambientalisti o da alcuni settori più illuminati, o anche dalla convenienza dell'opposizione, possa neutralizzare questa linea. Bisognerà agire su un piano culturale ancora prima che politico. Tra l'altro anche per avvicinarsi al resto d'Europa dove, per fortuna, in paesi più evoluti del nostro atteggiamenti del genere non esistono o sono enormemente minoritari.
Anche se in Spagna è successo qualcosa di simile...
Sì, ma lì si sviluppato con una bolla finanziaria piuttosto che con l'abusivismo. C'è stata l'illusione del credito facile. Il problema è stato un pochino diverso ed anche in Italia tuttavia è possibile riscontrarlo. E cioè il ridare ossigeno proprio a quei settori dell'economia che sono all'origine della crisi planetaria in questo momento. C'è insomma anche un discorso di questo genere anche se io non sono un economista e non manovro con sicurezza un tema del genere.
Con l'assenza totale di pianificazione insita nella proposta sciagurata partorita da Palazzo Chigi, rischia di essere vanificata definitivamente anche quell'idea di città sinonimo di rapporti sociali e culturali che sta all'origine della nascita dei grandi aggregati urbani. Che ne pensa?
E infatti anche in questo senso deve esserci quell'autocritica da parte della sinistra della quale parlavo prima. Sì è lasciato correre dando spazio all'egoismo delle persone. Basta d'altra parte riflettere sul fatto che la prima regione che ha aderito con entusiasmo all'idea del governo è stata la Sardegna dove è stato sconfitto Renato Soru che aveva provato a mettere in discussione questo "modello di sviluppo". Un concetto che dovremmo ritirare fuori senza vergognarci di farlo. Noi dobbiamo ridiscuterlo questo "modello di sviluppo" per quanto riguarda la città, l'urbanistica, il modo di organizzare lo spazio comune, contrastando con decisione una deregolamentazione pericolosissima.
Governatori contro il piano casa. Errani: «Il governo discuta con noi»
Non è stato ancora presentato ufficialmente, ma il piano casa del governo - anticipato da giorni sulla stampa - fa discutere. Venerdì prossimo verrà approvato dal consiglio dei ministri, i governatori delle regioni di centrosinistra sono già sul piede di guerra. Vasco Errani, presidente della Conferenza Stato Regioni che dovrebbe esaminare il piano solo dopo il varo a Palazzo Chigi, si dice «preoccupato dalla politica degli annunci e ancor più preoccupato se si facesse la scelta grave delle deregolazioni invece di seri percorsi di semplificazione, che sono necessari».
Per Errani, è «sbagliato il metodo». La richiesta: «Se si vuole una vera politica della casa, anche per rispondere alla crisi economica, si azzeri questo "piano segreto", come è stato definito e si riparta da un corretto rapporto istituzionale con regioni ed enti locali, titolari della materia».
Il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo parla di «condono surrettizio», la presidente dell'Umbria, Maria Rita Lorenzetti, dice che la proposta del governo per rilanciare l'edilizia «favorisce l'abuso e distrugge il territorio».
Per il governatore della Toscana, Claudio Martini, così si favorisce «solo chi è proprietario ed ha la possibilità di fare ampliamenti al di fuori di ogni regola».
No anche dal governatore della Puglia Nichi Vendola. Ma se la stragrande maggioranza dei governatori di centrosinistra si mantiene compatta su posizioni contrarie al piano e allineata dunque alla linea espressa dai loro leader nazionali, non mancano reazioni più possibiliste, che pur non corrispondendo a vere aperture di credito al governo Berlusconi, indicano almeno la necessità di rimandare il giudizio a quando il testo sarà presentato nel dettaglio.
E' di quest'avviso, per esempio, il governatore delle Marche Gian Mario Spacca («Giudico solo dopo aver conosciuto il testo»).
Il capogruppo del Pd alla Camera Antonello Soro spezza una lancia a favore della «semplificazione delle regole» in edilizia, pur lanciando l'allarme sul «pericolo di un generalizzato aumento delle volumetrie». E poi ricorda - e non è l'unico dell'opposizione a farlo - che anche il governo Prodi si occupò di un piano casa con lo «stanziamento di 550 milioni di euro».
Inviti alla cautela, in verità, arrivano anche da forze politiche vicine al centrodestra. Il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo (Mpa), esprime le sue riserve. «La Sicilia - osserva - ha sofferto a lungo della piaga dell'abusivismo, stiamo attenti con le nuove cubature». L'impatto ambientale «deve essere compensato da norme di risparmio energetico come quelle che incoraggiano l'uso dei pannelli solari», aggiunge. E poi «in Sicilia con i consumi depressi - conclude Lombardo - non so quante famiglie possano spendere 150mila euro per allargare la propria abitazione». Riserve giungono anche dalla Lega, ma - c'è da aspettarselo - hanno un segno tutto diverso.
«Non vorrei che facessimo le case per darle agli extracomunitari», ribadisce Umberto Bossi. Dura replica di Paolo Ferrero. «Le sparate del ministro Bossi servono a poco se non a rassicurarci sul razzismo palese del leader leghista», dice il segretario del Prc, secondo cui un piano casa dovrebbe «servire a predisporre un grande piano per le case popolari ed a rilanciare l'edilizia popolare pubblica, come dice il segretario dell'Ugl Polverini».
In effetti, la materia è tale che intervengono anche i sindacati. ll segretario della Cgil Guglielmo Epifani: «Bisogna stare attenti quando si usano processi di regolamentazione in una materia come questa, abbiamo già visto con le banche che fine si fa quando non ci sono regole. Si sa dove si inizia, non si sa però dove si finisce». Per Epifani, sarebbe «necessario un provvedimento che rafforzi la riconversione sostenibile delle abitazioni, per il risparmio energetico».
Contrari anche gli ambientalisti. «Sembra di tornare alle Mani sulla città di Francesco Rosi - dice Edoardo Zanchini, responsabile dell'urbanistica di Legambiente - al ricordo di come in barba a qualsiasi norma, piano o regolamento edilizio negli anni '60 in Italia, speculatori senza scrupoli hanno potuto ampliare, demolire, ricostruire edifici brutti e insicuri».
Dalla parte del governo, il presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan: «Non ci sarà alcuno scempio ambientale». Insieme al neoeletto governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, Galan ha già siglato l'intesa con Palazzo Chigi sul piano casa. Resta da aspettare la presentazione ufficiale del progetto per capire qual è la vera posizione dell'opposizione parlamentare su interventi che - in tempi di crisi - potrebbero far gola a molti amministrazioni locali che ne guadagnerebbero in termini di oneri di urbanizzazione.
ROMA - Tutta in salita la strada per approvare con un decreto legge il piano casa. Dalla conferenza straordinaria delle regioni, che ha visto riuniti i governatori prima dell'incontro con il governo a Palazzo Chigi, è infatti emerso il 'no' a procedere attraverso un dl. Le regioni, subito prima dell'inizio della conferenza unificata, si sono dette comunque disponibili a lavorare ad un accordo più ampio che porti alla semplificazione della normativa e degli investimenti edilizi. Il premier, però, sembra insistere: "L'urgenza resta", dice Berlusconi, aggiungendo però: "Non è detto che il decreto legge sia lo strumento più opportuno", mentre Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, ha chiesto lo slittamento del piano casa rispetto al prossimo Consiglio dei Ministri.
"Stiamo discutendo, perché le Regioni hanno prospettato una loro posizione di contrarietà" al decreto, "noi ci siamo tenuti la possibilità di decidere nell'uno e nell'altra direzione" (dl o ddl) e per questo il governo ha proposto di "dar vita a un tavolo tecnico nella sede della conferenza delle Regioni". La scadenza di venerdì non sembra però in discussione e il Governo ha chiesto alle Regioni di arrivare entro quella data ad una soluzione condivisa. Le prossime 70 ore, "che ci separano dal Consiglio dei Ministri di venerdì", saranno usate per "approfondire i contenuti e trovare un'armonia con le Regioni", ha spiegato Berlusconi.
Parlando del piano, il premier ha sottolineato che la misura non riguarda solo le ville, ma "quasi il 50 per cento delle abitazioni mono o bifamiliari". Berlusconi ha osservato come, dai dati in possesso del governo, risulta che "dovrebbero essere il 25%-28% le case monofamiliari e il 13-15% quelle bifamiliari". Insomma, "è una notizia che riguarda il 50% delle famiglie, non è affatto una disposizione che riguarda le ville, non c'è nessuna marcia indietro del governo". E se solo il 10% delle famiglie proprietarie di mono o bifamiliari facesse lavori di ampliamento, ha aggiunto, si attiverebbero dai 50-60 miliardi di giro di affari. Per quanto riguarda invece nuove abitazioni e giovani in difficoltà, ci sarà un altro piano ad hoc, ha annunciato Berlusconi: un progetto "sul quale verranno mobilitate le Regioni, i comuni, il sistema bancario italiano e tutte le industrie delle costruzioni".
Il nodo più grosso rimane comunque quello della forma da dare al provvedimento e sull'ipotesi decreto continua il braccio di ferro. "Le Regioni sono pronte a discutere di tutto, purché non si utilizzi il decreto che potrebbe creare vuoti normativi e legislativi in attesa che i governatori assumano altri provvedimenti", ha detto il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, uscendo dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni, terminata poco prima dell'incontro con il premier.
Sulla stessa linea Vito De Filippo, presidente della Basilicata: "Siamo contro lo strumento del decreto legge. Diciamo sì, invece, a procedure di sburocratizzazione e velocizzazione degli investimenti edilizi", afferma, mentre il governatore della Calabria, Agazio Loiero, sottolinea come in assenza di un testo "la discussione non può che essere sterile". Dopo le dichiarazioni di ieri di Berlusconi che non ha riconosciuto come suo il piano casa in circolazione, infatti, ai governatori non è giunto nessun nuovo documento. L'ipotesi è che il premier lo consegni direttamente nel corso della riunione a Palazzo Chigi.
Intanto, da Umberto Bossi è arrivato un nuovo invito a trattare. "Ieri sera l'ho detto a Berlusconi che molte Regioni, ad esempio la Lombardia, hanno già il loro piano casa. Meglio trattare con loro e trovare l'accordo, così si evitano scontri", ha detto il leader della Lega parlando con i giornalisti alla Camera.
A chi gli domandava se il piano casa andrà al prossimo Consiglio dei Ministri e se sarà un decreto, Bossi ha risposto: "Prima si trovi l'accordo con le Regioni".
Il villaggio immorale
Giovanni Maria Bellu
Se è vero che il successo politico di Berlusconi è stato in buona parte determinato dall'aver dato dignità di valore ad alcuni dei peggiori difetti del nostro carattere nazionale, l'annuncio del «piano casa» segna un'accelerazione formidabile del loro sdoganamento. Sembrano passati secoli, invece è meno di un anno, dai giorni della campagna elettorale quando il centrodestra era ancora obbligato ad assicurare di aver messo da parte la politica dei condoni. Qua siamo ben oltre: la sanatoria è preventiva. Autorizza a fare legalmente quanto, illegalmente, è stato fatto in occasione delle sanatorie «normali». Basti ricordare che nella fase preparatoria del primo dei condoni edilizi berlusconiani (1994) furono costruiti 83.000 edifici abusivi, 25.000 in più di quanti ne erano stati costruiti l'anno prima.
La «cementificazione dell’Italia» denunciata da Dario Franceschini è più di un rischio. Se il progetto andrà avanti nei termini in cui è stato annunciato, è una certezza. La novità allarmante è che Berlusconi questo rischio e questa certezza ritiene di poterseli prendere: considera il paese «pronto». Agisce, con la consueta spregiudicatezza, sulle parti più molli e fragili della nostra debole considerazione della cosa pubblica. L'esempio che ha fatto nell'illustrare il piano (la famiglia che cresce, la necessità di recuperare una stanza in più) segna l'assunzione del familismo immorale a valore programmatico. La vecchia definizione di Edward Banfield diventa una sorprendente e spietata istantanea del presente: «L'incapacità degli abitanti del villaggio di agire insieme per il bene comune o di fatto per qualsiasi bene che trascenda l'interesse immediato e materiale del nucleo familiare». Con la differenza che il «villaggio» in questione è un paese stremato economicamente nel quale l'87% degli abitanti ha una casa di proprietà. Ed ecco dunque la «soluzione» facile e allettante: allargare la casa dove ci si è già chiusi. In questo modo si avrà più spazio, si «valorizzerà» l'immobile, e si darà lavoro alle imprese edili. Quanto al rispetto dei piani urbanistici, dell'ambiente e del buon gusto, a garantirli sarà una sorta di autocertificazione.
Una balla. Ma suggestiva e allettante. Popolare. Per questo va presa sul serio. Come dice a Federica Fantozzi la presidente dell'Umbria Maria Rita Lorenzetti, va cercato un punto di equilibrio tra la deregulation selvaggia e il nulla. Per esempio semplificando le procedure amministrative che consentono, a determinate e tassative condizioni, di intervenire sugli immobili. E, intanto, affermando con forza il ruolo degli enti locali nella gestione del territorio. Abbiamo, per fortuna, parecchi «villaggi» formati da famiglie che hanno a cuore il bene comune e dove resistono dei valori condivisi.
Non è affatto scontato. È amaro scoprire - lo racconta Massimo Solani a pagina 16 - che Marco Beyene, lo studente italo-etiope aggredito l’altro giorno a Napoli per il colore della pelle, ha ricevuto tante telefonate di solidarietà dalla gente comune, ma nessuna da esponenti istituzionali della maggioranza di governo, né dal sindaco della sua città. Evidentemente certe vergogne sono ormai considerate episodi dell’ordinaria quotidianità. Il razzismo è diventato routine.
Ville gonfiate fai-da-te. Perplesso anche Bossi
Federica Fantozzi
Venerdì arriverà in consiglio dei ministri, diretto verso una rapida approvazione. È il piano straordinario per l’edilizia annunciato ex abrupto dal premier e accolto con critiche da molte Regioni e dalle associazioni ambientaliste.
Il documento si basa sui progetti di Veneto e Sardegna, due regioni guidate dal centrodestra, che consentono un ampliamento della cubatura degli edifici e la ricostruzione per quelli con più di trent’anni di vita. Il Veneto del forzista Galan farà da testa d’ariete: domani la giunta regionale discuterà il piano. Poi toccherà alle altre Regioni valutarlo.
Il ministro per i Rapporti con le Regioni Fitto ha annunciato che presto arriverà una legge quadro che consentirà agli enti locali di regolamentare sulla materia. Chiara la filosofia alla base del provvedimento: «Se riaprono i cantieri riparte tutta l’Italia». Dubbi della Lega e scarso entusiasmo del suo leader Bossi: «Alcuni ci credono molto, io meno. Ma è giusto riparlarne».
Preoccupati per la cementificazione del territorio e lo stimolo all’abusivismo, molti governatori. «Ferma contrarietà» da parte del presidente della Basilicata De Filippo che accusa il governo di «improvvisazione. Cauti il governatore delle Marche Spacca («Faremo la nostra parte ma niente deregulation, va tutelato il principio di sostenibilità») e quello della Lombardia Formigoni («Bene la sburocratizzazione ma non a svantaggio del territorio»). Duro sul metodo il governatore dell’Emilia Romagna Errani, anche presidente della conferenza Stato-Regioni: «Se si vuole una vera politica della casa, anche per rispondere alla crisi economica, si azzeri questo “piano segreto”, si rimetta il treno sui giusti binari, si riparta da un corretto rapporto istituzionale con regioni ed enti locali, titolari della materia».
Berlusconi però ci tiene molto, convinto come è che si tratti di un volano per l’economia, cui potrebbe aggiungersi la scelta di mettere sul mercato le case popolari «a un prezzo ragionevole» per trasformare gli inquilini in proprietari. Il premier si mostra sicuro che non ci saranno abusi «perchè tutto quello che si farà è in continuazione di case esistenti, nelle zone previste dal piano regolatore e con una vidimazione sotto la responsabilità dei progettisti». Insomma, si tratterà solo di «dare a chi ha una casa, e nel frattempo ha ampliato la famiglia, la possibilità di aggiungere una, due stanze, dei bagni alla villa esistente».
Il piano prevede 550 milioni per l'edilizia popolare. Soldi che, protestano dall’opposizione, erano già stati stanziati dal governo Prodi e poi bloccati da Tremonti con molti progetti edilizi già avviati. Le abitazioni saranno date in affitto con diritto di riscatto. I primi interventi prevederebbero la costruzione di 5-6mila alloggi.
Ma il punto dirimente riguarda la possibilità di aumentare il volume di case, appartamenti e villette, e addirittura di ricostruire alberghi e villaggi turistici. E' previsto infatti un aumento delle cubature, pari al 20%, delle costruzioni esistenti. Nonché la possibilità di abbattere edifici vecchi (realizzati prima del 1989), non sottoposti a tutela, per costruirne nuovi con il 30% di cubatura in più. Qualora si utilizzino tecniche costruttive di bioedilizia o che prevedano il ricorso ad energie rinnovabili l'aumento della cubatura è fino al 35%.
Interventi che dovranno rispettare le norme sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici e non potranno riguardare edifici abusivi. Che quest’ultimo divieto possa funzionare, non ci credono in molti: il permesso di costruire verrà, in parecchi casi, sostituito da una sorta di autocertificazione da parte del progettista. Obiettivo: eliminare lacci, pastoie ed eccessi di burocrazia nel settore.
In fondo, per Berlusconi il nuovo piano casa è l’estensione di un altro provvedimento fortemente voluto: la legge «padroni a casa propria» del 2004 che permetteva di ristrutturare a piacere l’interno degli edifici, rispettando volumi e facciate, dietro semplice presentazione della dichiarazione di inizio attività.
La scelta è tra egoismi e legalità
Vezio De Lucia
È il condono universale. Universale e senza oblazione. Anzi, con la gratitudine del governo.
È scattato subito il no delle regioni di centro sinistra e immediata è stata la protesta degli ambientalisti. Ma si apre uno scontro difficilissimo, irto di insidie, perché il provvedimento berlusconiano solletica gli egoismi più profondi e popolari, radicati in tanta parte del nostro Paese, in particolare nel Mezzogiorno. Quegli stessi egoismi che nei decenni trascorsi indussero ad affossare ogni tentativo di riforma urbanistica e che nel mese scorso hanno determinato la sconfitta di Renato Soru. E torna in vita quel vasto consenso popolare che ha favorito tre leggi di condono in diciotto anni (governo Craxi nel 1985, governi Berlusconi nel 1994 e nel 2003).
Non è certo un caso se la Sardegna è stata la prima regione a plaudire. Insieme al Veneto, alla Lombardia, alla Sicilia, all’Abruzzo, e all’associazione dei costruttori, che non perde occasione per schierarsi dalla parte della speculazione edilizia.
Le conseguenze, se la proposta fosse approvata così come annunciata, sarebbero inaudite, potrebbero ammontare a decine di milioni le nuove stanze consentite dalla legge, annientando quanto resta del paesaggio italiano, sempre meno tutelato, grazie anche alle recenti misure di smantellamento del ministero dei Beni culturali. Per non dire del favore alla malavita che nell’edilizia spontanea e illegale ha sempre sguazzato.
Mi auguro che nei prossimi giorni si riesca a organizzare una contestazione efficace e produttiva, ma soprattutto mi auguro che questa sia l’occasione per mettere mano a una severa riflessione autocritica da parte della politica e della cultura di centro sinistra che non sono mai state davvero capaci di contrastare con determinazione politiche di deregolamentazione selvaggia come quest’ultima sull’edilizia.
In controtendenza rispetto al meglio dell’Europa.
«Così si favorisce l’abuso e si distrugge il territorio. Il governo si fermi»
Federica Fantozzi intervista Maria Rita Lorenzetti
Maria Rita Lorenzetti, presidente dell’Umbria, boccia il piano casa del governo ma è pronta a sedersi al tavolo «per trovare le soluzioni migliori per i cittadini».
Il ministro Fitto annuncia di aver chiuso l’accordo con le Regioni, che presto arriverà una legge quadro e che con il piano casa ripartirà il Paese. È così?
«Intanto chiariamo che né il ministro nè il governo ci hanno consultati: ora la cosa migliore è fermare tutto e discutere con le Regioni. Poi ricordiamoci che i 550 milioni per l’edilizia pubblica annunciati dal governo li aveva già assegnati Prodi. A luglio scorso Tremonti li ha tolti, sebbene alcune regioni, come l’Umbria, avessero avviato i progetti. Se li avessero lasciati sarebbe stata una bella infornata di risorse per l’edilizia, i cittadini e le piccole imprese».
Insomma l’esecutivo ha solo restituito ciò che aveva tolto?
«Esatto. Procurando un ritardo allo sviluppo dell’economia. Lo stesso vale per i Fas: ieri il Cipe ne ha approvati 8. Se fosse successo prima, erano fondi per case, riqualificazione urbana, infrastrutture ambientali, aree industriali...».
Lei del piano che permette di ampliare il volume degli edifici e ricostruire quelli con più di 30 anni non sapeva nulla?
«Assolutamente no. Eppure ho trattato il recupero dei fondi per l’edilizia pubblica. 200 milioni subito per progetti già cantierabili, gli altri 350 più avanti.
E in tante riunioni e telefonate non è mai uscita un’idea simile».
Molti dicono: che male può fare ricoprire una terrazza?
«Molto abusivismo nasce da interventi di tamponatura di balconi e porticati. Così si rischia di stimolare gli abusivi e distruggere il territorio».
Una o due stanze in più. Rischia di essere uno slogan molto popolare in tempi di crisi.
«Ma certo, l’effetto mediatico può essere molto forte. Di gente che ha bisogno e non può permettersi grandi spese ce n’è. Ma ogni Regione e Comune sa come regolarsi per rispondere a queste giuste esigenze. Si possono trovare norme purché non confuse, inefficaci e approssimate come queste».
Qual è l’approccio giusto?
«L’esecutivo non ha minimamente discusso con chi ha competenze ed esperienza, vale a dire gli enti locali. Non mi è mai capitato, finora, un caso insolubile. Non ci si può nascondere dietro situazioni di disagio per fare scempio del territorio. È immorale».
È vero che c’è un eccesso di burocrazia nei regolamenti edilizi?
«Certo che una semplificazione è augurabile. Ma non una deregulation selvaggia. Io sono stata azzannata dagli ambientalisti per aver varato una legge che permette investimenti nei centri storici. Con norme certe, precise, trasparenti però. Se si lascia ognuno libero di fare quello che vuole, non sono d’accordo».
Se il piano diventerà realtà, l’Umbria lo applicherà o no? C’è qualche parte che giudica salvabile?
«Il governo e soprattutto Fitto sanno bene che noi siamo interlocutori che al di là dai colori politici si misurano sul merito. Ci siederemo al tavolo e valuteremo il meglio per i cittadini. Ma disturba molto che l’esecutivo strombazzi un suo progetto fatto con i soldi nostri e non abbia fatto lo sforzo di consultarci prima».
Errani: si fermi quel piano si discuta con noi Governatori
Fermare il piano per l'edilizia annunciato da Berlusconi, e ripartire dalla discussione con le regioni. Tornano all'attacco i governatori di centrosinistra, guidati da presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani: si riparta da un più corretto rapporto istituzionale con le autonomie locali. Peraltro il provvedimento legislativo dovrebbe essere discusso in conferenza Stato-Regioni solo dopo l'approvazione in consiglio dei ministri, venerdì. «Sul merito del provvedimento sulla casa annunciato dal governo ai giornali - ha ribadito Errani - mi preoccupa la politica degli annunci e mi preoccuperebbe ancor più se si facesse la scelta grave delle deregolazioni invece di seri percorsi di semplificazione, che sono necessari. Trovo gravemente sbagliato il metodo. Se si vuole una vera politica della casa, anche per rispondere alla crisi economica, si azzeri questo “piano segreto”, si rimetta il treno sui giusti binari, si riparta da un corretto rapporto istituzionale con regioni ed enti locali, titolari della materia».
Franceschini: «No al piano di cementificazione dell’Italia»
Maria Zegarelli
Bocciato, senza appello. Dario Franceschini, «look maglioncino», come lo definisce Lucia Annunziata «In mezz’ora», è lapidario con il piano per la casa annunciato dal premier. «Il rischio cementificazione dell’Italia è pericolosissimo» perché le ricchezze di questo Paese sono il suo territorio e il suo paesaggio. «È come se un paese arabo bruciasse il petrolio».
La squadra
Un’idea «campata sulla Luna» questa liberalizzazione. malgrado Berlusconi la racconti come la possibilità per chi ha una villa «di aggiungere una o due stanze», come se la stragrande maggioranza degli italiani non vivesse in condomini. Il segretario del Pd , dopo una vita da mediano riveste con disinvoltura il ruolo da capocannoniere e prende atto dell’ «l’effetto choc» determinato dalle dimissioni di Veltroni: finita l’epoca della litigiosità interna, «siamo una squadra, c’è solidarietà». Mette in fila dei sì e dei no, spazzando via le zone d’ombra.
No al piano casa, no all’allungamento dell’età pensionabile per le donne, perché dall’Ue «non si può prendere soltanto questo pezzo, pensare di iniziare la riforma del sistema previdenziale con l’equiparazione dell’età delle donne con quella degli uomini senza accompagnarla con un meccanismo di servizi sociali, di assistenza alle famiglie, alla maternità , agli anziani». No all’accordo con la Francia per le quattro centrali nucleari, «nessuno le fa più. Dobbiamo entrare subito nella ricerca sul nucleare di nuova generazione e investire nella cosiddetta green economy su cui ci sarà uno sviluppo straordinario». Ed ecco il quarto «no»: «Non sono l’uomo dei no, ho detto di essere disponibile ad un confronto sulle misure da adottare per fronteggiare la crisi. Sono loro ad aver detto “no” alle nostre proposte», come quella sull’election day. «Abbiamo chiesto di accorpare il referendum alle elezioni europee e amministrative per non buttare 460 milioni di euro, ma si sono rifiutati». Come quella sulla moratoria sui licenziamenti.
Il quinto «no» arriva a proposito del testamento biologico: su questo argomento non c’è «disciplina di partito», ma c’è un’opinione prevalente ed è quella che esclude l’imposizione di alimentazione e idratazione a prescindere dalla volontà soggettiva. Un altro no, a volerli metterli in fila tutti, arriva anche all’ipotesi di appoggiare il governo Berlusconi, «un’idea che non sta né in cielo né in terra».
Se il governo lo accusa di dire «no di sinistra», il segretario risponde: «siamo un’opposizione che fa proteste e proposte». Il «democristiano classico» . come lo definisce Annunziata, per il modo di approcciare alla crisi con l’assegno di disoccupazione. rimanda la palla: «Proporre un assegno di disoccupazione è di sinistra? Provi Berlusconi a dirlo a un disoccupato di destra che ha perso il lavoro, e veda cosa gli risponde». Vero, non è colpa del premier se c’è la crisi, «a nessuno di noi, nemmeno nella foga di un comizio è mai venuto in mente di dire che è colpa del governo Berlusconi, ma il modo inefficace e inadeguato in cui si affronta» la crisi, certamente sì.
La Rai
Opposizione dura e poi dialogo con Gianni Letta per la presidenza Rai, commenta la giornalista. «Lo impone la legge, ma dal momento in cui avremo contribuito a scegliere il presidente, il Pd farà un passo indietro». E quanto al possibile matrimonio Rai-Mediaset, «se ci fosse un tentativo di questo tipo ci opporremmo con ogni determinazione». Sul futuro de l’Unità il segretario augura una soluzione che garantisca il futuro del giornale, ma «non è un compito del segretario perché né l’Unità, né Europa hanno rapporti giuridici o economici con il Pd».
IL DOCUMENTO DELL'INU
L’Istituto Nazionale di Urbanistica esprime la più grande preoccupazione per le ipotesi riportate dalla stampa relative alle norme che il Governo intende varare in materia di edilizia privata e in particolare quelle relative all’incremento, indiscriminato e senza condizioni, del 20% degli edifici residenziali esistenti con un ulteriore regalo alla rendita fondiaria e non a tutti i cittadini. Mentre l’estensione della Dichiarazione d’Inizio Attività (DIA) per ogni intervento, porterebbe sicuramente ad un aggravio del già elevatissimo contenzioso sull’edilizia, oltre ad eliminare ogni forma di controllo ed anche di pubblicizzazione degli interventi. Se tali ipotesi venissero confermate dal provvedimento legislativo che il Governo intende varare nella prossima riunione del Consiglio dei Ministri, si prospetterebbe anche un reale pericolo di peggiorare la già precaria qualità morfologica ed urbanistica delle città italiane, con ampliamenti e sopralzi casuali, legati alle occasioni e alle possibilità d’intervento, in deroga a qualsiasi regola che ogni città e ogni centro urbano hanno cercato faticosamente di darsi con i propri piani e i propri regolamenti, ponendo l’interesse pubblico come primo, fondamentale obiettivo da salvaguardare. Il provvedimento annunciato non sembra, inoltre, tenere minimamente conto dell’impatto urbanistico di tali ampliamenti, che, se generalizzati, potrebbero aumentare congestione e invivibilità delle nostre città, aggiungendo nuovi carichi urbanistici insostenibili e non programmati. Senza dimenticare l’impatto sociale che si determinerebbe, provocando situazioni differenti e disuguaglianze per i cittadini, causa l’eterogeneità delle situazioni di partenza.
L’INU dichiara di appoggiare qualsiasi provvedimento che si muova nella direzione della semplificazione e nella trasparenza delle procedure edilizie nell’interesse di tutti i cittadini, senza tuttavia introdurre forme generalizzate di deregulation che favoriscono, di fatto, nuove forme di rendita senza controlli e senza nessuna ridistribuzione sociale della stessa; scelte che hanno determinato esiti negativi ovunque, in Italia o in Europa, siano state applicate. L’INU ricorda anche come modalità, auspicabili, di semplificazione e di incentivazione siano già presenti nella normativa italiana e in particolare in quelle di alcune Regioni, dalle quali bisognerebbe partire per proporre provvedimenti che non cerchino di incassare solo un generico consenso dell’opinione pubblica senza garantire un reale incremento dell’attività edilizia socialmente sostenibile, ma che consolidino regole e possibilità d’intervento qualitativamente migliori per tutti. L’INU sottolinea, inoltre, come un miglioramento delle procedure e del rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione, passi necessariamente attraverso un aumento della capacità di gestione di quest’ultima e quindi da un maggiore qualità delle sue prestazioni professionali e culturali, condizioni che non si raggiungono sottraendo risorse agli enti locali attraverso misure fiscali improvvisate.
Nei confronti dei provvedimenti annunciati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, l’INU avverte, inoltre, come la materia trattata non sia di esclusiva competenza dello Stato, bensì concorrente e dunque coinvolga direttamente la responsabilità delle Regioni, alle quali spetta costituzionalmente il compito di legiferare in materia di governo del territorio e quindi anche di edilizia: tali provvedimenti dovranno quindi essere contenuti, in una legge quadro di indirizzi per le Regioni, come da alcune notizie di stampa sembra potersi desumere, che dovrà trovare il consenso di tutte le Regioni, senza quindi alcuna forzatura politica o costituzionale. A questo proposito, l’INU ricorda come sia da tempo ferma in Parlamento la legge quadro sui “principi
fondamentale del governo del territorio”, nella quale potrebbero anche essere inseriti alcuni dei provvedimenti annunciati, in un contesto più meditato e costituzionalmente maggiormente attendibile; in questo caso non mancherebbe il sostegno dello stesso INU, a condizione che incentivi e incrementi si indirizzino verso la realizzazione di edifici bio-sostenibili e energeticamente virtuosi, mentre eventuali demolizioni e ricostruzioni, del tutto auspicabili come principio, non vadano a detrimento della normale programmazione, anche in termini quantitativi, che ciascuna comunità si è data. Peraltro, l’ipotesi, tutta da discutere, di ampliamento generalizzato dell’edilizia esistente sembra potersi applicare realisticamente solo agli insediamenti a bassa densità e con tipologie uni o bifamiliare.
L’INU ribadisce, infine, l’importanza del rilancio del programma di edilizia sociale, da troppo tempo assente dalle nostre politiche nazionali, annunciato insieme ai provvedimenti prima trattati. Su questo tema si sottolinea la necessità che l’edilizia sociale, pubblica o privata, sia prevalente in affitto, perché tale è la domanda sociale emergente e che sia rivolta alle categoria più deboli della nostra società quali i giovani, gli anziani e gli immigrati. Un’edilizia che, come già previsto da altri provvedimenti, deve essere considerata una dotazione territoriale, cioè un servizio sociale e sia realizzabile sulle aree acquisite gratuitamente dai Comuni attraverso i meccanismi compensativi e perequativi, ormai diffusi a livello nazionale. Con questi indirizzi e a queste condizioni il programma di edilizia sociale troverà l’aperto sostegno dell’INU.
Roma, 8 marzo 2009
Le città incivili di Berlusconi e soci. Avrebbe dovuto chiamarsi così il decreto legge che è stato invece intitolato al rilancio dell’attività edilizia. Le città sono infatti un prodotto complesso della società e della cultura e sono sempre state, nella loro millenaria storia, luoghi di regole. Regole di convivenza civile tradotte in numeri e rapporti di vicinato. Regole ormai consolidate che vengono infrante lasciandole all’arbitrio di volgari speculatori immobiliari: il decreto afferma infatti nel suo secondo articolo che le norme derogano sulle “disposizioni legislative, strumenti urbanistici, regolamenti edilizi”. Vengono cancellate le regole e il futuro delle città viene affidato a quegli stessi speculatori che in questi due decenni di liberismo senza regole hanno potuto costruire in ogni angolo dell’Italia. La ricetta per far ripartire l’economia è di affidare i destini delle città ai principali responsabili dello sfascio e di annullare gli strumenti pubblici del controllo. Questo non succede in nessun paese europeo, dove anzi si lavora per restituire al pubblico il ruolo messo in dubbio alla radice dalle teorie liberiste, forti del fatto che è stata proprio quell’ubriacatura a causare la più grave crisi economica mondiale. Da noi avviene l’esatto contrario.
E avviene attraverso un grande imbroglio mediatico Dicono in coro i media imbeccati da palazzo Chigi che con il provvedimento molti ci guadagneranno allargando le loro case, mentre nessuno ci rimetterà. Perché protestare allora? Perché non è vero. E’ noto a tutti che i piani urbanistici impongono una distanza minima tra fabbricati di 10 metri: con il decreto si scende a 6. Ci sarà chi si vedrà costruire una finestra a sei metri di distanza e dicono che non ci rimette nessuno! Ancora. In un quartiere a villini tipico delle periferie urbane realizzate a cavallo del novecento, uno speculatore qualsiasi potrà abbattere le vecchie case e con il regalo del 35% in volume, potrà realizzare una palazzina. Un piano o due in più. I giardini storici spariranno. Per un incivile berlusconiano ci rimettono decine di normali cittadini.
In un quartiere a palazzine di tre piani qualsiasi furbetto del quartierino potrà demolire e realizzare case con un piano o due in più. Ancora una volta per un furbo che ci guadagna sono decine coloro che vedranno deprezzata la propria abitazione. E la città diventerà più brutta.
Con il decreto non vengono risparmiati neppure i centri storici. Afferma l’articolo 3 che per tutti gli edifici “non vincolati” (che sono oltre il 99% dell’intero patrimonio storico), le Soprintendenze in trenta giorni potranno imporre soltanto “ulteriori modalità costruttive”, cioè nulla. Invece di meravigliose tipologie seriali medievali vedremo sorgere volgari edifici ben più alti di quanto la storia li aveva resi uniformemente belli. Uno o due piani in più toglieranno per sempre il panorama di chi abitava, spesso da una vita, quei luoghi. Le città, beni comuni per eccellenza, ne verranno irrimediabilmente sfigurate. Le città incivili, appunto.
Ma c’è di peggio. Il provvedimento non sconvolge soltanto le zone della città che citavo. Anzi, esse sono soltanto una cortina fumogena per nascondere sciagurati affari milionari. Il cuore del provvedimento si rivolge ai protagonisti dell’economia di rapina di questi anni. E’ stato il gretto egoismo proprietario a far nascere capannoni in ogni angolo della pianura veneta e lombarda. Oggi che sono vuoti il proprietario potrà mutarne la destinazione facendone case. E’ stata l’arroganza dei grandi gruppi della distribuzione commerciale a disseminare a proprio piacimento l’Italia di immensi centri commerciali. Oggi che sono in crisi è meglio riconvertirli in alloggi. Questo prevede il decreto: e stiamo parlando di aumenti di superficie anche di 15 mila metri quadrati, un’intera palazzina.. Ma una città vivibile non nasce da queste logiche. Così si crea la città della paura: disseminare il territorio di abitazioni sulla base della volontà dei proprietari significherà condannare famiglie all’isolamento e all’emarginazione.
Ma è purtroppo questo il richiamo della foresta dell’attuale classe dirigente. Giovedì scorso durante un dibattito nella televisione del quotidiano LaRepubblica, Claudio De Albertis, per molti anni presidente nazionale dei costruttori edili e oggi presidente dei costruttori milanesi, ha affermato che l’assurdo della questione casa è che si continuano a costruire alloggi popolari che durano troppi anni. Per risparmiare, ha detto, bisogna costruirne di nuove che durino un tempo limitato. Venti anni, poi si demoliscono e si rifanno. Il problema dunque non è che lo Stato e i comuni sono in ginocchio, uccisi da un economia di rapina. La questione è che si costruisce con criteri troppo generosi. Le persone in carne e ossa vanno dunque trattate come merci senza nessun diritto. La gravità dell’affermazione è inaudita. Del resto, è lo stesso metodo che viene applicato ai precari: se c’è la crisi, tutti a casa senza diritti. Sarebbe ora che qualcuno dicesse a costoro di costruire per loro stessi case rapide. Per le loro signore e per la loro prole, se tanto ci tengono. Ricordasse ancora che è il dettato costituzionale ad affermare che la “Repubblicarimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale”. Case rapide o ubicate al posto dei vecchi capannoni della speculazione quegli ostacoli le accentuano. Le rendono eterne.
Due altre vergogne. La cubatura in aumento viene calcolata sulla base di quella “realizzabile e delle pertinenze esistenti” (articolo 2). Sarà lo scempio del paesaggio agricolo italiano perché si calcoleranno stalle, granai e altri giganteschi volumi di questo tipo. Ai comuni (articolo 6) viene imposto di prendere nota dei maggiori volumi realizzati e di provvedere ad “assicurare gli standard urbanistici”. Il privato guadagna e il pubblico paga.
Infine la prova del delitto. Si dice (articolo 2 comma 3) che si potrà mutare destinazione d’uso “anche senza opere edilizie”. Ma il decreto non serviva a rilanciare l’edilizia? E’ evidente che senza fare opere non si spenderà nulla, ma i soliti noti si metteranno in tasca milioni di euro. Ecco il vero motivo del provvedimento: un paese in mano alla rendita speculativa.
Basterebbero queste critiche per far scattare un generalizzato rigetto di massa del provvedimento. Ma la condizione è che qualche forza politica aprisse una battaglia frontale per far affermare culture differenti: troverebbe un terreno fertilissimo di consenso. E in questo campo ci sono già ottimi esempi. La regione Puglia di Vendola e del bravo assessore Angela Barbanente di recente ha approvato una legge sulla rigenerazione urbana che permette davvero le “rottamazioni edilizie”, ma non in un quadro di selvaggia deregulation. Sono i comuni che decidono luoghi e modalità degli interventi. Dobbiamo contrapporre questa cultura -la sola in grado di far ripartire il sistema paese- alla barbarie berlusconiana.
(regioni.it) Mentre il Ministro per le riforme istituzionali, Umberto Bossi, invita tutti ad ascoltare ciò che diranno le Regioni sul Piano casa nella Conferenza Unificata in programma il 25 marzo alle 12.30 a Palazzo Chigi, e il Ministro dell’economia, Giulio Tremonti, sottolinea che "si tratta di una manovra a costo zero e avrà un grande risultato per il bilancio delle famiglie e per la nostra economia",
Il Presidente della regione Liguria, Claudio Burlando, puntualizza, ed invita a decidere “insieme alle Regioni”, facendo un ragionamento – in un’intervista pubblicata da “Il Giornale - a 360 gradi: ''mi pare indubbiamente indicato e giusto'' partire da un settore come quello dell'edilizia per affrontare la crisi economica. Quindi bene il piano casa messo a punto dal governo di Silvio Berlusconi, a patto però che si decida insieme alle Regioni, ai Comuni e alle Sovrintendenze, affinché ''un'idea giusta non si trasformi in una colata di cemento''. Per questo ''dico no a interventi sconsiderati che possono creare anche rischi idrogeologici - spiega Burlando - ma fatti salvi questi casi estremi penso che le norme proposte dal governo possano andare benissimo nell'entroterra, che si sta ripopolando''. In particolare, per la Liguria, Burlando si riferisce a nuovi interventi ''sulle ex aree della Piaggio a Finale Ligure, a quelli negli ex cantieri di Pietra Ligure e anche a Rapallo se permettono di aprire nuovi alberghi''.
Conferma i primi giudizi il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani (che è anche il Presidente della Conferenza delle Regioni) :”Il decreto promosso dal Governo – scrive in un editoriale pubblicato sula edizione locale di Bologna de “La Repubblica” – per me è uno strumento improprio,che rischia di essere inefficace per i conflitti e per le sovrapposizioni che inevitabilmente produrrà”. Ma il “punto – continua Errani - non è la semplice rivendicazione di un ruolo.Ma dire che il decreto sarà in vigore finché non subentreranno leggi regionali più restrittive significa aprire alcuni mesi di incertezza giuridica,con un aumento della conflittualità fra cittadini e cittadini e con la pubblica amministrazione. Ha bisogno di questa litigiosità il nostro Paese? Sicuramente no. Occorrerebbe invece un confronto vero Governo, Regioni, Enti locali per semplificare rispettando le regole ed innescare un effetto anticiclico. […] per fare una seria politica anticrisi e della casa, in Emilia-Romagna come nel paese, occorre pensare ad incentivare gli alloggi a prezzi calmierati, aumentare il fondo nazionale a sostegno dell'affitto, sostenere l'acquisto con mutui agevolati: tutte politiche rimaste al palo finora, anche per responsabilità del Governo. Ricordo che solo nei giorni scorsi Regioni e Governo hanno finalmente firmato il vero “Piano-casa” che consente primi investimenti per 200 milioni di euro (e successivi per350) per alloggi pubblici. Erano soldi fermi da almeno un anno, sbloccati solo per l'insistenza delle Regioni e dei Comuni".
Toni fermi, ma distesi anche dal presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo: "Non sono mai un 'signor no' per pregiudizio o appartenenza politica, ma penso che il piano casa del governo toglie dei vincoli che potrebbero mettere in discussione un altro diritto del cittadino, che e' l'ambiente. Allora io dico: sosteniamo le imprese, ma attraverso strade che ci danno la possibilita' di mantenere l'idea del futuro come un luogo di cui poi non ci pentiamo". E' quanto ha affermato il presidente della Regione Lazio, nel corso della trasmissione 'Uno mattina' su Raiuno, in merito al piano casa del governo Berlusconi. “L'85 per cento dei cittadini vive in condominio e noi dobbiamo guardare verso quella prospettiva- ha spiegato Marrazzo- per dare una mano a chi non riesce a pagare l'affitto, a chi non riesce a pagare il mutuo per la prima casa, mettendo allo stesso tempo in moto il mercato attraverso le ristrutturazioni".
Oltre alle mediazioni e alle aperture al confronto Stato-Regioni proposte dal Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, anche il Presidente della regione Sardegna, Ugo Cappellacci, insiste sulla necessità di passare da un ''no, a prescindere'' e una serie di ''si' ragionati'', con precise garanzie sul rispetto dell'ambiente e del paesaggio. Sara’ questa la ''filosofia'' della legge sulla quale punterà la Regione Sardegna”.Cappellacci intende infatti presentare in Consiglio regionale e far approvare entro l'estate una legge che, oltre a fare chiarezza e fissare regole certe sugli interventi possibili, sara' un mix tra le legittime aspettative dei proprietari di case e dei costruttori e la doverosa tutela dell'ambiente e del paesaggio''.
La Regione Umbria e' pronta a presentare ricorso alla Corte costituzionale contro un eventuale decreto legge sul 'Piano Casa' del governo, definito dalla Presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti "palesemente incostituzionale” secondo la quale il decreto, cosi' come proposto dal governo, interviene in materie come l'urbanistica e l'edilizia che, secondo la Costituzione, sono concorrenti tra Stato e Regioni. “Ci spiace molto - ha aggiunto il presidente Lorenzetti - ma oltre a non essere il decreto legge lo strumento giusto per affrontare una questione cosi' importante che attiene a prerogative anche regionali, ci pare che sia anche incostituzionale". Lorenzetti ricorda come il precedente Governo Berlusconi "aveva fatto la stessa cosa con il condono edilizio, approvato con legge. Noi ricorremmo alla Corte costituzionale che ci diede ragione - ha proseguito - perche', appunto, non rispettava le competenze delle Regioni essendo la materia urbanistica una competenza concorrente". Dal sistema delle Regioni, e' stata "sempre data prova di serieta' e rigore, quando di mezzo ci sono gli interessi generali del Paese, come e' avvenuto sia per la vicenda degli ammortizzatori sociali, che del piano per l’edilizia residenziale pubblica. Vorremmo che altrettanto rigore e serietà siano riservati a noi da parte del Governo - ha proseguito -, visto che si sta mettendo mano a competenze regionali e anche comunali". Resta comunque ferma la disponibilità a discutere "per giungere ad ogni tipo di semplificazione procedurale e premialita' nel settore dell'edilizia, perche' anche noi siamo certi che questo comparto puo' essere il volano della ripresa economica. Cio' che non condividiamo - ha concluso - e non possiamo accettare e' la politica degli annunci mediatici piuttosto che la vera volontà del Governo di una leale collaborazione con chi, come le Regioni, ha competenze attribuite dalla Costituzione”.
Anche secondo il Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola "dinanzi all'urgenza di varare un piano anti-crisi che riattivi il settore edilizio, anche per rispondere al crescente bisogno sociale di abitazioni, l'auspicio e' che il Governo ritiri il proprio decreto e accetti di confrontarsi con serietà con le Regioni"."Quel decreto, invadendo palesemente competenze regionali, presenta aspetti evidenti di incostituzionalità. Ma soprattutto profila risposte elusive e inefficaci dal versante di chi soffre l'emergenza abitativa, e viceversa sembra predisporsi ad aprire nuove e inquietanti prospettive a quanti hanno già abituato il nostro Paese agli sconci della cementificazione selvaggia e dell'aggressione al paesaggio"."La disponibilità delle Regioni a contribuire in prima persona al cimento delle politiche anti-recessive non e' in discussione- ha detto ancora Vendola - ed e' disponibilità a verificare tutto quanto può portare semplificazione e velocizzazione nei procedimenti amministrativi, nonché ad approfondire il tema dei benefici e delle premialità in caso di integrale demolizione e ricostruzione di edifici vetusti".
Netto il giudizio del Presidente della Regione Toscana, Claudio Martini: “piu' che un piano casa, ci troviamo di fronte ad un decreto edilizio", dice Martini. "Un piano casa e' qualcosa che deve dare la casa a chi non ce l'ha, che deve fronteggiare gli sfratti, che deve trovare una risposta alle giovani coppie, agli anziani, agli immigrati. Si vuole dare impulso all'economia- prosegue Martini- ma per fare questo si smantella tutta la legislazione urbanistica, si azzerano tutte le leggi regionali. E' come se per accelerare il traffico nelle nostre città si dicesse che tutti possono passare con il rosso. E' assurdo”.
Il Piano Casa annunciato dal governo è un gravissimo attacco alla qualità del territorio, all’identità, alla storia e alla cultura del nostro paese ed una risposta sbagliata alla crisi economica.
Ridimensionato il piano delle grandi opere per i tempi lungi e per l’insufficienza dei fondi, ridimensionato anche il "piano casa delle nuove cento città" di cui all’art.11 della legge n.133 del 6 agosto 2008 sempre per i tempi lungi e per l’opposizione delle regioni, si è arrivati al "Piano casa fai da te".
Nell’attuale situazione di gravissima crisi economica e di fermo del mercato immobiliare, è infatti molto probabile che gli ampliamenti che il governo vorrebbe consentire saranno fatti più dai singoli proprietari ricorrendo alla numerosa e sommersa manodopera straniera, piuttosto che dalle imprese del settore, e riguarderanno più le villette e le case rurali che i condomini.
Una devastazione edilizia improntata ad un mero aumento di cubatura del tutto indifferente alla qualità del prodotto, agli effetti sull’ambiente urbano, alla sua utilità pubblica e al disegno organico e razionale degli insediamenti. Indifferenti sono le destinazioni d’uso rimesse alla mera convenienza economica come è valutata dal mercato, senza neppure avvertire che sulle funzioni urbane sono misurati standard e servizi. La liberalizzazione è massima. Indiscriminati aumenti di volumi e sostituzioni edilizie che rischiano di cancellare anche quanto resta della nostra architettura rurale di tradizione e l’identità dunque dei paesaggi agrari.
La devastazione non si ferma davanti ai centri storici (dove è regola consolidata il divieto di sopraelevazione) e neppure davanti agli edifici monumentali, se la soprintendenza non avrà dimostrato "concretamente e motivatamente" le ragioni di incompatibilità dell’intervento. Ed elevato è il rischio che le soprintendenze non siano capaci, per obiettive carenze di mezzi, di rispettare il brevissimo termine dato per la prevista verifica dell’interesse culturale e allora il silenzio varrà assenso. Disposizione questa palesemente incostituzionale perché l’interesse della "tutela" (che ha la più alta copertura nell’art. 9 Cost.) ne risulta subordinato – e cedente – di fronte alla prevalente esigenza di sollecita attuazione dell’intervento cui è affidato il compito impellente del rilancio dell’economia.
Già abbiamo segnalato, e qui confermiamo, una pregiudiziale ragione di illegittimità costituzionale perché l’attività edilizia attiene al "governo del territorio", dalla Costituzione affidato alla legislazione concorrente di stato e regioni e la potestà dello stato è limitata alla determinazione dei principi fondamentali della "materia". E principi fondamentali non possono essere dettati, funzionalmente, per decreto legge, mentre non sono certo di principio le minute disposizioni del "piano".
La devastazione del nostro paesaggio e lo stravolgimento dei nostri centri storici, vera ed irripetibile ricchezza del nostro paese e del nostro turismo di qualità, non sono la via di uscita dalla crisi economica ma il definitivo ed irrimediabile affossamento del Paese. Il reale rilancio dell’economia non può avvenire con l’ulteriore cementificazione del nostro già martoriato territorio.
Rilanciamo, quindi, l’invito che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto nel messaggio di fine anno: "Facciamo della crisi un’occasione perché l’Italia cresca come società basata sulla conoscenza, sulla valorizzazione del nostro patrimonio culturale e del nostro capitale umano".
Oggi stesso Italia Nostra ha comunicato alla Conferenza unificata Stato – Regioni, convocata per la giornata di domani, il motivato fermo dissenso sulla bozza di decreto, sottolineandone ancora i profili di illegittimità costituzionale.
Abusivismo legalizzato nel decreto legge per cementificare ancora un po'. Anche nei parchi. Per il Pd è incostituzionale: «Ci opporremo con ogni mezzo»
Colata di cemento delle libertà
di Carlo Lania
Con il piano casa il paese si prepara a diventare un cantiere. Non si salvano neanche i parchi e i centri storici. Le regioni minacciano il ricorso alla Consulta. Domani l'incontro con il governo
C'è chi ha già preparato il ricorso alla Corte costituzionale e chi, anche senza mettere mano alla carta bollata, ha già resa pubblica la sua opposizione al Piano casa del governo. E così domani, quando si terrà l'incontro con il ministro per i rapporti con le Regioni Raffaele Fitto per discutere i contenuti del decreto che rischia di trasformare l'Italia in un gigantesco cantiere, non sono pochi i governatori decisi a dare battaglia. Di sicuro tutti quelli di centrosinistra, dalla Toscana all'Umbria passando per Lazio, Trentino, Marche, Piemonte, Emilia, Puglia, Campania, Valle d'Aosta e Liguria, arrabbiati perché si vedono espropriati di una materia, come quella relativa alla tutela del territorio, che la Costituzione affida alle Regioni, ma anche per la scelta di procedere attraverso un decreto. «Se il governo non farà un passo indietro, di sicuro ci sarà una rottura istituzionale», hanno fatto sapere ieri i governatori.
Una posizione che però l'esecutivo, almeno per ora, non sembra intenzionato ad ascoltare, nonostante ieri lo stesso Fitto abbia espresso la speranza di arrivare a «un testo condiviso». Diplomazie che non sembrano interessare Giulio Tremonti. Forte del consenso incassato anche da Confindustria, il titolare del Tesoro ieri sera si è infatti lasciato andare a una difesa senza dubbi né riserve del Piano casa: «Funzionerà molto bene per famiglie, piccole e medie imprese... falegnami e piastrellisti», ha detto ai microfoni amichevoli del Tg4. «Sarà certamente una manovra a costo zero per il bilancio pubblico e un grande risultato per il bilancio di famiglie e per la nostra economia».
Sarà davvero così? Aldilà di quanto dice Tremonti, è difficile che tutte le famiglie italiane potranno davvero avvalersi dei «benefici» previsti dal decreto. Senza parlare delle ricadute che il provvedimento provocherà su un territorio già messo a dura prova. «Il governo dà a ognuno il via libera per fare quello che vuole, a partire dai costruttori», dice ad esempio il Verde Angelo Bonelli. «Un via libera destinato a cambiare completamente il volto delle nostre città».
Sono sufficienti sette articoli per avviare una vera e propria deregulation del settore. All'articolo 1 il compito di mettere da parte le Regioni. Il secondo comma stabilisce infatti che le disposizioni del decreto si applicano a tutto il territorio nazionale «sino all'emanazione di leggi regionali» in materia di governo del territorio. Il che significa che la Regione che deciderà di non far suo il decreto dovrà affrettarsi a legiferare. Ma per quanto in fretta possa fare, ci sarà sempre una finestra temporale all'interno delle quale chi vorrà ampliare la propria abitazione potrà farlo liberamente. Il provvedimento del governo stabilisce infatti la possibilità di ingrandire del 20% il volume della propria casa, percentuale che sale fino al 35% nel caso si demolisca completamente l'abitazione per ricostruirla con tecniche di bioedilizia o utilizzando fonti di energia rinnovabile.
Ma il vero grimaldello utile a forzare qualunque piano regolatore è scritto all'articolo 4, dove si spiega che ogni intervento edilizio di ampliamento potrà essere avviato presentato una semplice Dichiarazione di inizio attività al Comune di appartenenza. Senza più bisogno di una licenza edilizia e senza alcuna possibilità per il Comune di opporsi ai lavori. «Ma un altro articolo pericoloso è il 5», spiega Bonelli. Articolo che vieta di costruire nelle zona A dei parchi naturali. «Messa così sembrerebbe una norma a tutela dell'ambiente. In realtà è l'opposto visto che il divieto vale solo per le aree a tutela integrale (chiamate zone A) e non per le zone B che, pur essendo all'interno di un parco, sono però a tutela orientata». Via libera, dunque alle ristrutturazioni selvagge nelle aree protette. E anche nelle città. Sempre l'articolo 5, infatti, dispone che per gli edifici non sottoposti a vincoli situati nei centri storici la Dia vada presentata anche alle competenti Soprintendenze, che avranno 30 giorni di tempo per opporsi. Trascorsi i quali prevarrà il principio del silenzio-assenso. Un puro e semplice proforma. «In Italia - spiega infatti Bonelli - i Soprintendenti abilitati al controllo sono pochissimi, in tutto circa 500. Come potranno svolgere la loro attività di controllo quando saranno sommersi da centinaia di migliaia di domande?»
DIRITTI
«Bloccate gli sfratti». In 150 mila rischiano di perdere l'abitazione
di Giacomo Russo Spena
Per affrontare l'emergenza caro affitti s'invoca il «blocco generalizzato di tutti gli sfratti». Misura adottata dal governo Prodi e repentinamente tolta lo scorso anno da questo esecutivo che non sembra intenzionato ad affrontare il problema.
Perderanno l'abitazione 150 mila persone nei prossimi due anni sia per morosità che per fine locazione, denuncia il Sunia evidenziando come da anni sia assente una politica di calmierazione dei prezzi, con più di 600 mila famiglie, ad oggi, escluse dal mercato immobiliare che attendono in graduatorie l'assegnazione di un alloggio popolare. «Nell'ultimo decennio c'è stata un'attesa di rendimento fuori da ogni logica - spiega il segretario del sindacato Luigi Pallotta - così oggi una parte della popolazione è stata estromessa per motivi economici». Non a caso l'80 degli sgomberi (12mila gli eseguiti e 65 mila quelli richiesti nel primo semestre 2008) avviene per morosità. E tra le famiglie messe in mezzo alla strada quasi la metà ha subito in precedenza «traumi lavorativi su almeno un reddito»: licenziamento o cassaintegrazione.
Eppure il premier Silvio Berlusconi ha sottratto nell'ultima Finanziaria ben 40 milioni d'euro al Fondo di sostegno all'affitto, non investendo un euro sulla costruzione di nuova edilizia pubblica, ormai in ginocchio (nel Paese si costruiscono in media solo 1500 case popolari l'anno). Persino quei 550 milioni stanziati dal piano Ferrero, ai tempi del governo Prodi, per il recupero di 20 mila case popolari abbandonate e «murate» in modo da non farle occupare (2500 solo a Milano) hanno preso un'altra direzione per il volere del Cavaliere. Solo dopo forte pressioni delle Regioni, si è convinto a farne "ritornare" 200. Per il resto solo soldi ai costruttori e ai palazzinari a cui viene delegata, col progetto del social-housing, l'emergenza abitativa.
Per chi ha un mutuo, soprattutto col tasso variabile, le cose non vanno meglio: sono 40-50 mila le famiglie in stato d'insofferenza, ovvero che pagano la rata in ritardo e facendo mille peripezie. «Bisogna creare un fondo comunale per il reperimento di alloggi di edilizia pubblica in cui far confluire da subito le entrate dell'aumento dell'Ici», sostiene il movimento capitolino Action che insieme ad altre sigle di lotta per la casa (il Coordinamento e i Blocchi precari metropolitani) sarà presto in Prefettura per chiedere il blocco immediato degli sfratti. Per due anni.
A Roma infatti si respira una delle situazioni più buie: nel 2007 le esecuzioni di sgombero sono state 3.341 per morosità, circa il 70 % del totale. L'Unione Inquilini trova inutile però la strada dell'incontro col prefetto. «Non è uno strumento efficace - spiega Massimo Pasquini, responsabile romano dell'organizzazione - Il governo non ascolterà mai nessuna richiesta». E allora che fare? «Bisogna lavorare sulla Regione». La sentenza 166 del 2008 infatti riconosce «solo» ai governatori il potere di «graduare gli sfratti» depotenziando quelli del governo. Una linea perseguibile coi presidenti «rossi» del Paese.
Intanto Action e gli altri movimenti lanciano una campagna dal basso, «fatta di picchetti», per fermare gli sfratti in giro per Roma. Domani i primi due. Anche perché «il sindaco Alemanno, dopo avere promesso in campagna elettorale, la realizzazione di 30 mila case popolari, dopo un anno di amministrazione, non ha fatto nulla».
CONFINDUSTRIA
Marcegaglia: sì al piano, rilancia gli investimenti privati
Luce verde anche da Confindustria al piano del governo sulla casa che verrà varato venerdì prossimo dal consiglio dei ministri (dopo la conferenza Stato-Regioni). «Va bene perché potrebbe dare una spinta all'edilizia, ma bisogna ovviamente evitare abusi e rispettare l'ambiente», ha detto ieri Emma Marcegaglia a margine degli stati generali dell'associazione degli industriali. «Dobbiamo ancora leggere il piano nel dettaglio, ma mi sembra che in un momento come questo possa dare una spinta agli investimenti privati, in un quadro di regole chiare che devono essere rispettate da tutti», ha detto ancora la presidente di Confindustria. Dunque, tutti insieme appassionatamente, centrodestra, industriali e una fetta del centrosinistra. Nel nome dell'edilizia libera e con meno regole.
COMMENTO
L'immobilismo dell'immobile
di Pippo Ciorra
La prima reazione è l'incredulità. Considerando la natura del nostro territorio è fisicamente impossibile mettere «tutti» gli italiani (o una quota rilevante) in condizioni di aumentare del 20% la cubatura delle loro abitazioni. Ci sono piani e regolamenti, distanze da rispettare e limiti sismici, altezze massime già sature, infiniti interessi da comporre. Insomma ne viene fuori un ginepraio tale che c'è davvero da chiedersi come sia venuto in mente, al premier, di infilarsi in un guaio del genere. Poi «piano piano» abbiamo assistito al solito indecifrabile miracolo: da una lato la boutade di Berlusconi che prendeva la forma di provvedimento reale, rozzo e diabolicamente demagogico.
Dall'altro abbiamo visto montargli intorno la solita marea di inarrestabile «consenso popolare», e il centro-sinistra finire come spesso gli accade nell'angolo, costretto allo strepito di testimonianza di chi sa già che non riuscirà a contrapporsi con la forza necessaria. Poi, come sempre succede in questi casi, è arrivato l'appello dei «padri (o zii) della patria» Aulenti, Gregotti, Fuksas. Appello che io, confesso, non sono riuscito a firmare. Non perché condivida l'impostazione del provvedimento del governo, ovviamente, ma perché mi pareva una buona occasione per sollevare una discussione intorno a una serie di questioni reali dalle quali la bozza del «piano casa» trae cinico vantaggio. Oltre alle mille nefandezze e incongruenze che tutti sottolineano e che tutti abbiamo capito, vale allora la pena ricordare alcune delle questioni compatibili con un approccio più «virtuoso».
Prima fra tutte la questione del «riciclaggio» del nostro orrendo patrimonio edilizio dal dopoguerra a oggi. Necessitavano incentivi e strategie, era giusto far ricorso nei casi appropriati ai «premi di cubatura» - che amministrazioni di destra e di sinistra utilizzano da decenni, c'era bisogno di sgravi e sostegni non nominali per chi demolisce e ricostruisce in modo più sostenibile. Poi la questione dell'inefficienza degli uffici e del moloch di normative e competenze sovrapposte e intrecciate, tali da paralizzare qualsiasi programma di trasformazione. Lanciandosi all'assalto contro la «burocrazia» Berlusconi si costruisce un retroterra di consenso solidissimo, che noi non abbiamo saputo smontare. Infine l'arretratezza delle nostre leggi e della nostra cultura urbanistica (lavoriamo ancora con la legge del '42), ferma a un'impalcatura normativa pensata per centri storici, periferie di palazzoni e zone industriali quando invece il 60% degli italiani abita in casette sparse in aree indecise tra il rurale e l'urbano. Quelli appunto che aspettano con ansia il decreto Berlusconi.
Su questi e altri temi noi non abbiamo fatto abbastanza, paralizzati dalle solite diatribe e dal peso dell'ideologia, e come sempre è finito che ci ha pensato il Silvio nazionale. Che però lo fa a modo suo, alludendo subliminalmente alla memoria anticrisi (e antidisoccupazione!) del glorioso «Piano Fanfani», facendo leva sull'inarrestabile individualismo abusivista che già segna il nostro tempo e il nostro territorio, mettendo ulteriormente a rischio quell'unica ricchezza, il paesaggio e la nostra cultura urbana, che potrà forse garantirci un ruolo negli equilibri economici del futuro.
Probabilmente il «piano casa» fallirà, frenato dalle difficoltà oggettive o esploderà in una specie di allegra anarchia in stile Bombay, ma in ogni caso questo non giustifica le nostre mancanze e la nostra mortale propensione all'immobilità.
Tutto è partito con una bella lettera al Sole24ore. Il ministro Brunetta ha lanciato la sua idea meravigliosa: il piano di vendita delle case popolari. Le 768 mila famiglie inquiline di case dell’ex Iacp potranno diventarne proprietari. Il governo si impegna a proporre loro un mutuo sostenibile, così spiega Brunetta, magicamente l’alloggio «aumenta di valore per il solo fatto di essere stato privatizzato» e il tutto migliora la situazione economica delle famiglie e dunque del Paese, mettendo in circolo ben 20 miliardi. Tutto meraviglioso, tutto positivo. Peccato però che lo stesso Brunetta avesse presentato un piano identico nel 2005 quando era un “semplice” consulente economico dello stesso presidente del Consiglio. Lo aveva fatto scrivere nelle Finanziaria 2006, ma appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale furono le Regioni a sollevare dubbi di costituzionalità. Dubbi diventati realtà per mezzo di una sentenza della Corte Costituzionale che ha bloccato la norma, di fatto cancellandola. Quattro anni dopo lo stesso Brunetta la ripropone da ministro dell’Innovazione e della Pubblica amministrazione, dimenticando che nel frattempo nulla è cambiato: gli ex Iacp sono diventate enti regionali, in quanto tali facenti capo alle regioni stesse.
«PIANO CASA INCOSTITUZIONALE»
Ci sono sempre le Regioni di mezzo. Anche per quanto il piano casa tanto caro a Silvio Berlusconi. Ieri l’ultima bozza del decreto definito “Misure urgenti per il rilancio dell’economia attraverso la ripresa delle attività imprenditoriali edili”. All’articolo 1 comma 2 c’è scritto: «Le norme del presente decreto trovano applicazione su tutto il territorio nazionale, sino all’emanazione di leggi regionali in materia di governo del territorio». La traduzione in termini più comprensibili la fa il segretario del Pd Dario Franceschini: «È peggio di quanto annunciato da Berlusconi. È un piano palesemente incostituzionale perché la materia è di competenza regionale ed invece con il decreto i comuni (proprietari di altri 400 mila abitazioni, Ndr) e le regioni sarebbero scavalcati». L’articolo 2 va pure oltre e prevede: «l’ampliamento dell’unità immobiliare mediante la realizzazione di nuovi volumi e superfici in deroga alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici vigenti o adottati e ai regolamenti edilizi». Ancora la traduzione di Franceschini: «Non ci sono più né norme urbanistiche nè piani regolatori, azzerati dal decreto legge». Il piano casa «è una operazione priva di senso e una devastazione del territorio italiano» e perciò, afferma Franceschini, «non potrà più trovare una posizione di confronto da parte del Pd». In poche parole, un condono permanente. «Spero si fermino e ci ripensino», conclude il segretario democratico.
La casa è quindi diventata improvvisamente una priorità del governo. Ma solo quella di proprietà o che diventerà di proprietà. Nei piani del governo non si trova uno straccio di norma per le 150 mila famiglie che, come hanno denunciato Sunia e Cgil, rischiano lo sfratto perché non in più grado di pagare l’affitto.
PD E CGIL: PARTIRE DAGLI AFFITTI
Proprio da qui propone invece di partire il Pd. Il suo piano casa è una proposta in 4 punti per sostenere chi una casa non ce l’ha: possibilità di detrarre anche parzialmente il canone per chi vive in affitto, incentivo all’affitto facendo calare al 20 per cento l’aliquota Irpef pagata dagli affittuari e assieme a questo altre forme d’incentivazione per evitare che molti appartamenti rimangano sfitti e infine un piano reale di edilizia popolare per la costruzione di almeno 5 mila nuovi alloggi.
Pd e Cgil all’inizio erano stati possibilisti sul piano casa del governo, «per non rischiare di essere ideologici», come aveva dichiarato Epifani. Ma entrambi hanno dovuto constatare che «quello del governo non è un piano casa, ma un decreto sull’edilizia» e così come risposta si propone di puntare sull’efficienza energetica e sulla diffusione delle fonti rinnovabili. In questo quadro e con regole e controlli certi allora sì che si potrebbe dar vita ad un piano casa che promuova interventi per rendere più moderno ed efficiente il patrimonio edilizio. Provvedimenti efficaci, cantierabili da subito, sarebbero un volano per rilanciare l’economia, ma nel segno della qualità.
Questa paura di essere “ideologici” (vedi anche il commento di Pippo Ciorra sul manifesto)… Perché, i berluscones non hanno un’ideologia? Anzi, il guaio è che ce l’hanno solo loro. Sarebbe bello se quanti si oppongono a Berlusconi esprimessero anche loro “l’insieme di credenze del [loro] gruppo e dei [loro] membri, che [ne] guidano l’interpretazione degli eventi e condizionano le pratiche sociali” (Teun A. van Dijk, Ideologie, Carocci, 2004).
Più che un "piano casa", a favore dell’economia, sarebbe un’offensiva mirata contro le Regioni e contro i Parchi. E di conseguenza, una devastazione autorizzata di ciò che resta del territorio in tutto il Belpaese.
In preparazione del Consiglio dei ministri convocato venerdì prossimo per emanare il decreto legge sull’edilizia, e alla vigilia della Conferenza Stato-Regioni chiamata domani a esprimere il suo parere, la bozza del decreto ha prodotto l’effetto di una bomba nel mondo ambientalista. Protestano all’unisono il Wwf, Fai, Italia Nostra, Legambiente e tutte le altre associazioni ecologiste. Con loro si schierano anche studiosi, architetti, archeologi e uomini di cultura, decisi a difendere a spada tratta quell’articolo 9 della Costituzione che antepone «la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione» rispetto a qualsiasi altro interesse.
Il primo motivo di allarme riguarda proprio il rapporto con le Regioni. Finora, s’era ritenuto che il "piano casa" fosse tenuto comunque a rispettare le loro competenze esclusive in materia: il presidente del Lazio Piero Marrazzo, o quello della Puglia Nichi Vendola, per esempio, come gli altri governatori di centrosinistra, avrebbero potuto rifiutare un provvedimento del genere e quindi non applicarlo.
Ma l’articolo 1 del decreto, comma 2, stabilisce invece che queste norme trovano applicazione immediata su tutto il territorio nazionale, «sino all’emanazione di leggi regionali in materia di governo del territorio». E poiché le Regioni non possono a loro volta emanare decreti, ciò significa in pratica scavalcare le loro competenze e metterle fuori gioco, in attesa che riescano prima o poi ad approvare nuove leggi sull’assetto del territorio.
Il secondo punto particolarmente contestato dagli ambientalisti attiene alla salvaguardia dei Parchi. All’articolo 5, comma 1, la bozza del decreto legge esclude esplicitamente che gli ampliamenti possano essere realizzati nelle "zone A" dei parchi nazionali, regionali o interregionali, dove vige una tutela integrale, oltre che nelle aree naturali e archeologiche. Ma questo significa ammetterli implicitamente nelle "zone B", quelle definite a "tutela orientata", dove qualsiasi intervento dev’essere comunque compatibile con la destinazione del parco medesimo. Da qui, appunto, la preoccupazione che la cementificazione possa dilagare anche nelle aree verdi protette d’interesse storico e paesaggistico.
Contro la deregulation selvaggia prevista dal "piano casa", la protesta degli ambientalisti denuncia infine il nuovo regime edilizio: non più la concessione preventiva, bensì una semplice Dia (dichiarazione inizio attività) con tutte le procedure di controllo ridotte a un’autocertificazione.
Quanto alla bioedilizia o all’adozione di fonti rinnovabili, la bozza governativa non stabilisce alcun indice di efficienza energetica e anzi autorizza gli aumenti di volume anche solo per i "risparmi delle fonti idriche e potabili". Un alibi o un escamotage, insomma, per contrabbandare questi interventi
l'Assessore alle Politiche del Territorio, Angela Barbanente, ci ha inviato la nota che si seguito si riporta:
L’assessore
“Davvero gli Italiani sono così ingenui da ritenere efficace il piano straordinario per l'edilizia annunciato da Berlusconi? A nessuno sorge il dubbio che si tratti di un modo per distrarre l’opinione pubblica dai problemi quotidiani di una crisi gravissima che attanaglia persone e imprese e per coprire con sensazionali notizie spazi mediatici che potrebbero essere occupati dalla cruda realtà dei fatti? Una realtà che, come sappiamo, consiste in molteplici scippi a danno delle regioni del Mezzogiorno e, per quanto più direttamente ci interessa, in un’ostinata predilezione per inutili grandi opere, nella riduzione dei già esigui fondi destinati a rispondere ai bisogni abitativi delle fasce più deboli e a un’insopportabile perdita di tempo in tentativi di accentrare competenze regionali e risorse già ripartite. Per distogliere l’attenzione da tutto questo, basta annunciare provvedimenti sensazionali!
“E no, caro Berlusconi, noi non cadiamo nella trappola. Siamo molto attente e in grado di valutare i provvedimenti in base ai contenuti.
“Intanto per il Piano casa non c’è certo da esultare. Esso è ancora largamente una scatola vuota. Ci fa certo piacere che il governo abbia riconosciuto le nostre ragioni e si possa, con molti mesi di ritardo, far partire i Piani regionali promossi dal Governo Prodi immediatamente con 200 milioni e poi anche con i restanti 350. Non si può però dimenticare che ci sono voluti mesi di trattative e una raffica di ricorsi alla Corte costituzionale per conseguire questo risultato. Ma tant’è. La grande macchina comunicativa del governo Berlusconi è capace di far passare prima una scatola vuota e poi il recupero tardivo di programmi regionali per “iniziativa importantissima” del Governo.
“Quanto alle altre parti dell’annunciata "rivoluzione", l’idea appare di una rozzezza incredibile e certo non innovativa. Si tratta, infatti, del ritorno alla stagione delle deroghe indifferenziate, tristemente nota in Puglia per la sua scarsa trasparenza e per aver reso peggiore la qualità dell’ambiente, del paesaggio e anche della vita delle persone senza aver creato sviluppo. Su questo mi piacerebbe conoscere l’opinione di qualche Consigliere regionale di opposizione.
“Riguardo poi alla sostituzione del permesso di costruire con una perizia giurata di conformità resa dal progettista, sa Berlusconi che già oggi per molte opere è prevista la denuncia di inizio attività? E sa che le grandi speranze di semplificazione e snellimento riposte nella modifica della disciplina di tale procedimento e nell’istituto del silenzio assenso varati nel 2005, quando egli era presidente del Consiglio, sono state profondamente deluse? Ne conosce i problemi e le incertezze interpretative? E chi oggi esulta per l’innovazione annunciata si rende conto che la semplificazione viene così posta a carico del privato che si assume un onere istruttorio assai gravoso e rischioso in un paese caratterizzato da norme complicate e farraginose?
“Su questo abbiamo le idee chiare: riteniamo dannose le politiche fondate solo su modifiche procedimentali e provvedimenti derogatori. Per questo in Puglia abbiamo operato e continueremo a operare in modo diverso: con una politica per la casa attiva, con direttive e regole chiare, con incentivi mirati a rispondere ai bisogni sociali e a migliorare la qualità urbana come quelli previsti dai Pirp o dalle norme per la rigenerazione urbana, per l’abitare sostenibile e per aumentare l’offerta di edilizia residenziale sociale.”
Il governo Berlusconi si accinge a varare un provvedimento che sconvolge tutte le procedure edilizie. Sostiene di volerle snellire, agevolando la ripresa economica. Secondo le associazioni di tutela. questa misura sarebbe un disastro per il paesaggio e per l'assetto delle città. La Repubblica sostiene un appello promosso dagli architetti Gae Aulenti, Massimiliano Fuksas e Vittorio Gregotti al quale hanno già aderito gli urbanisti Pierluigi Cervellati, Vezio De Lucia, Italo Insolera ed Edoardo Salzano.
" Le licenze facili e i permessi edilizi fai da te decretano la fine delle nostre malconce istituzioni. Il territorio, la città e l’architettura non dipendono da un’anarchia progettuale che non rispetta il contesto, al contrario dipendono dalla civiltà e dalle leggi della comunità. La proposta di liberalizzazione dell’edilizia, annunciata dal presidente Berlusconi, rischierebbe di compromettere in maniera definitiva il territorio. Ecco perché c’è bisogno di un sussulto civile delle coscienze di questo paese. ".
L’appello può essere firmato sul sito di Repubblica.it, precisamente qui
La legge prevede l'abolizione della concessione edilizia da parte dei Comuni, sostituita dalla dichiarazione di un tecnico privato: per conto di chi costruisce, il professionista certificherebbe la conformità del nuovo edificio alle norme urbanistiche. In più, stando alle anticipazioni, si consentirebbe di aumentare il volume di un edificio nella misura del 20 per cento, se si tratta di un edificio residenziale, del 30 se commerciale. Sarà consentito demolire e ricostruire tutti gli edifici sorti entro il 1989 che non abbiano vincoli di tutela incrementando il volume del 30 per cento. Alcune Regioni, come la Sardegna e il Veneto, hanno già aderito e il governatore Giancarlo Galan porterà già oggi all'approvazione della giunta un provvedimento simile. Da parte di molte altre Regioni vengono invece avanzati dubbi quando non forte opposizione.
In 5 anni già dati permessi per 94 milioni di metri cubi. Negli anni Ottanta si costruivano 10 milioni di metri cubi di capannoni, saliti fino a 38 milioni nel 2002
MILANO — Tirar su l'equivalente d'una palazzina di tre piani alta dieci metri, larga 10 e lunga 1.800 chilometri può davvero rilanciare l'Italia «nel pieno rispetto dell'ambiente », come dice Claudio Scajola? In un paese dove solo lo 0,97% degli abusi «non sanabili» è stato demolito? Auguri. Tanto più che una regione simbolo qual è il Veneto, stando a uno studio universitario, ha già oggi tante abitazioni e cantieri aperti da soddisfare la domanda di case, onda immigratoria compresa, fino al 2022. Se poi dovesse calare l'immigrazione, fino al 2034. Quando l'oggi giovanissimo Pato sarà già in marcia verso la cinquantina.
Prendiamo la tabella dei metri quadri a disposizione oggi degli europei. Ogni italiano ha in questo momento 36,3 metri quadri di casa. Cioè quasi il doppio di un ceco o di un ungherese, più o meno quanto un francese o uno spagnolo (che vivono in territori enormemente più vasti), un po' più di un greco o di un belga. Davanti a noi stanno più comodi i tedeschi (41,3 metri quadrati a testa), gli svedesi (43,6) gli olandesi (48,3), gli austriaci (50,4), i danesi (53) e gli inarrivabili abitanti del Lussemburgo, uno staterello urbanizzato che svetta con 62,7 metri pro capite, ma per la particolarità e dimensione non andrebbe manco messo nel mazzo.
Si dirà: «Visto? Siamo nella media». Vero. Tutti gli europei che hanno case più grandi, però, hanno due caratteristiche. O godono di spazi molto maggiori dei nostri, come gli austriaci che hanno il doppio di territorio pro capite di noi o gli svedesi che ne hanno quasi il decuplo. Oppure, a differenza di noi che abbiamo il 33% della superficie montagnosa e forestale, vivono in territori molto più pianeggianti, quali i tedeschi, gli olandesi o i danesi, il cui cucuzzolo più alto, il Moellehoi, svetta a 170 metri e 86 centimetri sul livello del mare.
Per capire quanto pesino queste differenze basta rileggere gli atti di un seminario di qualche anno fa promosso tra gli altri dalla allora presidente provinciale leghista Manuela Dal Lago sul consumo del suolo in una delle province forti dell'Italia, Vicenza. Seminario dal quale emerse che l'uomo, in tutta la sua storia, aveva occupato dall'età della pietra ai primi anni Cinquanta 8.674 ettari. Per poi occuparne, nell'ultimo mezzo secolo, molto più del doppio: 19.463.
Una colata di cemento che ha stravolto la campagna descritta da Goffredo Parise e Luigi Meneghello fino al punto che il calcolo della «impronta ecologica» (un indice che attraverso sistemi complessi misura il livello dei nostri consumi) ogni vicentino si ritrova oggi a disporre di poco più di tremila metri quadri di territorio, ma ne consuma per 39.000. Una scelta obbligata per uscire da secoli di fame, miseria, emigrazione? In parte, se è vero che nella seconda metà del Novecento l'aumento della popolazione non ha superato il 32% e la superficie urbanizzata è aumentata dieci volte di più: 324%.
Un'accelerazione spettacolare, ma accompagnata da contraccolpi sul paesaggio, sull'inquinamento, sulla viabilità. E addirittura accentuata nell'ultimo decennio del Novecento con un aumento della popolazione del 3% (52 mila abitanti in più dei quali 37 mila immigrati) e un'impennata dell'edilizia abitativa del 13%. Per non dire della parallela impennata industriale che, seminando dubbi perfino fra i più eccitati esaltatori del mitico Nordest, portò a un dato paradossale: ogni neonato vicentino arrivato nel decennio si ritrovava in dote un blocco di 3.718 metri cubi di calcestruzzo. Il tutto distribuito non uniformemente, ma quasi sempre in pianura. Esattamente come nel resto del Veneto dove, tolti quelli di montagna e larga parte di quelli collinari, i 444 comuni adagiati nell'ormai ex campagna hanno quattro o cinque aree industriali ciascuno se non, in certi casi, otto o nove.
Il prezzo? Elevatissimo, rispondono gli esperti: ogni miliardo di euro di crescita reale in più sarebbe costato un consumo di mille ettari di campagna. Il che significherebbe, appunto, che se avesse ragione il ministro Scajola a sostenere che il «piano casa» può mettere in moto 60 miliardi di euro, questo porterebbe a occupare come minimo 60 mila ettari di territorio con l'equivalente in cemento d'un mostro come quello calcolato all'inizio.
Ne vale la pena? Mah... Una ricerca di Tiziano Tempesta, ordinario del Dipartimento Territorio dell'Università di Padova, lascia qualche perplessità. Almeno nel Veneto. E non solo sul piano dell'ambiente, del paesaggio, delle margherite e delle violette. Spiega il professore che non solo una nuova colata di cemento rischia di dare il colpo di grazia a una pianura dove negli anni Ottanta si costruivano mediamente 10 milioni di metri cubi di capannoni l'anno saliti via via fino a una mostruosa quota di 38 milioni nel 2002, tirati su spesso solo per approfittare della Tremonti Bis e oggi malinconicamente vuoti. Ma che la case a disposizione sono già più che abbondanti.
Se è vero che lo standard di riferimento per ogni programmazione di questi anni è stato di 120 metri cubi per abitante (cioè 40 metri quadri: quattro più dell'attuale media nazionale), «tra 2001 e 2006 sono state rilasciate concessioni edilizie per nuove abitazioni o ampliamenti per un volume pari a 94,6 milioni di metri cubi» contro un aumento della popolazione intorno all'1% l'anno. Risultato: sono già state costruite in questi anni «abitazioni sufficienti a dare alloggio a circa 788.000 persone». Il triplo delle 243.000 in più (in buona parte straniere) registrate. Morale: se anche proseguissero (difficile, di questi tempi) gli «elevatissimi tassi d'immigrazione degli ultimi anni, le concessioni edilizie» già rilasciate saranno «sufficienti a soddisfare la domanda di case per i prossimi 13 anni». Con un tasso immigratorio ridotto a quello (che già era alto) degli anni Novanta, basterebbero per altri 25. Fino, appunto, al lontano 2034. Non basta. Nello studio di Tempesta si sottolinea una contraddizione che farà drizzare le orecchie a diversi: negli ultimi anni di risacca segnati da un calo del manifatturiero del 5,6%, «uno dei motori dell'immigrazione è stato il boom edilizio: il 65% dei nuovi posti di lavoro creati nel Veneto dal 2001 al 2006 ha riguardato il settore delle costruzioni». Non basta ancora: «Analizzando i dati Istat sul rilascio di concessioni edilizie e sul valore aggiunto del settore costruzioni, si può stimare che nel Veneto, per aumentare dell'1% il prodotto interno lordo, sia necessario realizzare ogni anno non meno di 6,5 milioni di metri cubi di abitazioni, pari a una capacità insediativa aggiuntiva di circa 55.000 abitanti». Irreale, secondo i demografi. Tanto più se qualcuno puntasse a 55 mila neonati di «pura razza Piave».
E allora? Allora «non sembra plausibile che, in una situazione di crisi del credito e di eccesso di offerta di abitazioni » la faccenda possa tradursi davvero in un affare.
Se poi ci mettiamo anche le ferite che rischiano di essere inferte al patrimonio artistico e monumentale che è il tesoro dell'Italia...
Palazzo Chigi ha diffuso, inviandola ufficialmente a Regioni ed enti locali, un’irresponsabile bozza di decreto legge su sedicenti "Misure urgenti per il rilancio dell’economia attraverso la ripresa delle attività imprenditoriali edili".
Nulla ha dunque insegnato al nostro governo la "bolla edilizia" (housing bubble) che ha duramente colpito l’economia americana l’anno scorso. Secondo l’analisi di George Soros nel suo ultimo libro (The New Paradigm for Financial Markets: The Credit Crisis of 2008 and What It Means), le aspettative artificialmente create da un mercato immobiliare gonfiato ad arte hanno prodotto, fra 2001 e 2005, una crescita incontrollata degli investimenti immobiliari, e dunque dei relativi meccanismi di finanziamento (a cominciare dai mutui), sul presupposto che il valore degli immobili possa crescere indefinitamente, appoggiandosi a finanziamenti e prestiti sempre più alti, per immobili sempre più cari. Il solo fatto di concedere sempre più mutui, a condizioni facilitate, fece crescere la domanda immobiliare, anzi per alcuni anni parve convalidare le previsioni più ottimistiche, innescando un perverso inseguimento fra eccesso di domanda (e di debito) ed eccesso di offerta. Bastarono pochi anni, e l’eccesso degli investimenti immobiliari e del relativo indebitamento, oltre che distrarre il risparmio da investimenti più produttivi, finì con l’esser tanto alto da trascinare l’intero sistema nella rovina: la terribile housing bubble con conseguente bancarotta, appunto, di cui abbiamo letto su ogni giornale, evidentemente invano.
L’Italia, si sa, è il Paese europeo col più basso tasso di natalità. Ma è al tempo stesso il Paese col più alto consumo di territorio: per dare solo un esempio particolarmente raccapricciante, la Liguria ha consumato negli ultimi vent’anni il 45% della propria superficie libera da costruzioni, inondando il paesaggio di cemento (la media italiana è un già pessimo 17%). Basta mettere insieme questi due dati (bassa natalità, altissimo consumo del suolo), che contrastano drasticamente con l’esperienza Usa (un Paese in continua espansione demografica e con ampie aree a bassa densità abitativa), per comprendere come la "bolla immobiliare" nostrana, se gli investimenti non vengono dirottati altrove, sia destinata a esplodere con ben maggior violenza. La bozza ora emanata da Palazzo Chigi parte al contrario dall’ipotesi, quando meno azzardata, che per rilanciare l’economia nulla di meglio vi sia che scatenare la cementificazione del Paese. Allo scopo, s’intende, «di sostenere la domanda generale interna di beni e servizi, nell’attuale fase di congiuntura globale» (art. 1 della bozza). L’arcaica superstizione secondo cui l’unico investimento sicuro è quello del "mattone", comprensibile come retaggio di una società preindustriale, viene dunque adottata dal governo come linea vincente per salvare l’economia del Paese.
L’intento di fornire al "partito del cemento" una piena licenza di uccidere non potrebbe esser più chiaro. Si possono ampliare del 20% tutti gli edifici ultimati entro il 2008: la percentuale si calcola sul volume per le unità residenziali, sulla superficie coperta per ogni altra (art. 2, c. 2). Se poi il 20% non basta, niente paura: si può arrivare comodamente al 35% (del volume o della superficie), purché si abbatta integralmente un edificio, ricostruendolo più in grande. Queste ed altre espansioni edilizie saranno fatte, assicura la bozza, «in deroga alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici vigenti o adottati e ai regolamenti edilizi» (art. 2 c. 1); persino l’altezza della nuova fabbrica può essere modificata, portandola fino a «quattro metri oltre l’altezza massima prevista dagli strumenti urbanistici vigenti». Per tutti questi interventi basta una d.i.a. (dichiarazione inizio attività), senza tanti permessi: il risanamento dell’economia non può aspettare. E se per caso si trattasse di edifici storici? Facile: basta far domanda alla competente Soprintendenza, e se per caso non risponde entro 30 giorni vale il principio del silenzio-assenso (art. 5, c. 3 e 5). Il Codice dei Beni Culturali viene in tal modo non ignorato, ma consapevolmente calpestato. La certezza del diritto cede il passo a una feroce delegificazione.
Impallidiscono, al confronto, i condoni edilizi ex post, piombati a proteggere e incoraggiare la cementificazione dell’Italia coi governi Craxi (1985) e Berlusconi (1994, 2003, 2004). La foglia di fico della crisi economica non nasconde l’essenziale: questa bozza di legge è un condono ex ante, anzi non solo legittima e depenalizza, ma incoraggia ciò che fino ad oggi è reato, consegnando città e paesaggio dell’intero Paese al partito del cemento, al saccheggio di speculatori senza scrupoli, devastando senza rimedio borghi e campagne, persino lo skyline delle nostre città. Se, come è da sperare, questa bozza null’altro è che un ballon d’essai, sarà molto interessante vedere quali saranno le reazioni delle istituzioni. Che cosa farà il Ministero dei Beni Culturali, che in passato seppe far cadere le proposte di silenzio-assenso presentate dai ministri Baccini (2005) e Nicolais (2006), di fronte a questa norma assai più distruttiva? Che cosa diranno Regioni ed enti locali di fronte a tanta selvaggia deregulation? Qualcuno si ricorderà dell’art. 9 della Costituzione, che impone alla Repubblica, in via prioritaria rispetto ad ogni altro interesse anche economico, «la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione»?
Lo stuolo di portavoce del governo, nel rosario quotidiano dei telegiornali, spende spesso e volentieri la definizione "sinistra del no" (molto trendy anche su svariati quotidiani). Nel mazzo sfiorito di questi "no" seriali, che sarebbero la prova provata della sterilità intellettuale dell’opposizione, sono finite anche le dure critiche al cosiddetto "piano casa", che a una parte consistente dell’opinione pubblica appare come la deregulation della già sregolatissima cultura edilizia di uno dei Paesi più (mal) cementificati del mondo.
Come altre formule "pop" della destra di governo, lo slogan "sinistra del no" è semplice e funzionale: attribuisce all’opposizione una sorta di malumore preconcetto; e al governo un’alacre attivismo. Peso morto da una parte, motore virtuoso dall’altra. Il clichè rientra nel "normale" fastidio che questa maggioranza coltiva nei confronti dell’opposizione e delle sue prerogative. Ma c’è, specie in un caso come questo, strutturale per il futuro di tutti, un’aggravante sostanziale. L’aggravante è questa: che il merito delle questioni scompare. Si fissano (o si rifissano) le parti in commedia, quella dell’operoso Berlusconi e quella dei suoi neghittosi osteggiatori, e si evita accuratamente di parlare delle scelte concrete, delle loro conseguenze, dei pro e dei contro.
Un "no", isolato dal suo contesto, non ha senso. Ogni "no" (esattamente come ogni "sì") può essere giusto o sbagliato, motivato o pretestuoso, sciocco o intelligente, solo in misura della proposta o dell’evento che lo ha suscitato. Dire "sinistra del no" equivale a decontestualizzare ogni idea, ogni parola, nascondendola dietro un siparietto propagandistico uguale e contrario a quello assegnato al premier, ormai da quindici anni (tre piani quinquennali) sulla scena come fattivo e generoso artefice della rinascita nazionale.
La scomparsa del merito, della dimensione concreta dei problemi, non è solo uno dei morbi più velenosi e ottundenti della scena pubblica italiana. Sta diventando uno degli elementi fondanti dell’egemonia berlusconiana. L’aspetto psicologico, emotivo e dunque televisivo e spettacolare della politica ruba la scena alla discussione razionale. Un capo che sorride e ha nel cuore le sorti del popolo contro un’opposizione frustrata e invidiosa: questo è il plot che la gragnuola delle dichiarazioni da telegiornale, molti talk-show, molti titoli strillati hanno confezionato e consolidato. Quando si tratti, poi, di decidere se è giusto o ingiusto dare corso legale a centinaia di migliaia di piccoli abusi edilizi, favorire l’iniziativa privata magari a scapito di interessi collettivi nevralgici come l’integrità del paesaggio (quel che ne resta), ri-condonare di fatto l’attitudine anarchica che molti italiani scaricano sul territorio, allora ci si accorge che si deve risalire la china della caricatura propagandistica costruita in anni di sapiente semplificazione dei problemi. Se dico ancora "no", è costretta a chiedersi "la sinistra del no", faccio la solita figura del livido guastafeste? Mi si nota di più se dico "no" o se resto in disparte e non dico niente? E non sarà più simpatico dire "sì", in modo che il pubblico capisca che so variare il copione?
Si noti come le precedenti domande non abbiano niente, ma proprio niente a che fare con la sostanza delle questioni politiche in generale, e con il "piano casa" nello specifico. Una delle poche frecce rimaste nell’arco dell’opposizione è proprio questa: azzerare questo ricatto psicologico, ignorare le freddure sulla "sinistra del no", procedere come se si vivesse e si facesse politica in una Paese in cui i "no" e i "sì" si pronunciano solo in rapporto a quanto accade, non in rapporto a quanto sta scritto in un copione mediatico scritto, per giunta, da altri.
L’altolà di Carandini
di Carlo Alberto Bucci
«Il piano-casa è un allarme per il Paese». Andrea Carandini veste i panni dell’urbanista e boccia il progetto del governo Berlusconi. Seduto in pizzo alla poltrona alla quale ammette «di non essere affatto legato», tanto da «non vedere l’ora di tornare ai miei studi», il vecchio archeologo, neo presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, ieri ha fatto un discorso di insediamento che lo mette immediatamente in bilico sullo scranno che Salvatore Settis ha lasciato in polemica con il ministro Sandro Bondi. Il sì convinto dell’allievo di Ranuccio Bianchi Bandinelli alla proposta arrivata con una telefonata di Bondi «mentre ero in ascensore», appare infatti appannato dal "piano-casa". «L’intervento, per quanto si intravede - ha detto Carandini, aspettando di leggere la proposta nella sua forma definitiva ai primi di aprile - allarma, nel suo disordinato pointillisme, che rischia di portare nuove rughe al volto già usurato del nostro paesaggio rurale e urbano».
La "puntiforme" estensione dei condoni «viene ad aggiungersi al grande ciclo espansivo dell’edilizia dell’ultimo decennio che ha interessato soprattutto la "città diffusa"». Un pericolo incombe sull’Italia: «È ragionevole temere che venga ulteriormente impoverita la sostanza paesaggistica che potremo offrire a coloro che verranno a visitare il nostro Paese». Per Carandini «bisogna completare al più presto i piani paesaggistici». E in attesa che questi vengano messi a punto (potrebbero servire anche due o tre anni, ipotizza con una buona dose di ottimismo) «non resta che regolamentare l’attività edilizia, caso per caso attraverso le norme del Codice dei beni culturali, ricordando però che la potestà del ministero sull’autorizzazione paesaggistica, secondo la norma transitoria, ben presto si esaurisce: passati i sessanta giorni dal ricevimento del progetto, e il personale tecnico disponibile è scarso».
Davanti al ministro dei Beni culturali (dicastero «con problemi di sopravvivenza», sottolineata la penuria di fondi e personale) e ai consiglieri vecchi e nuovi (i professori Elena Francesca Ghedini, Emanuele Angelo Greco e Marco Romano, nominati al posto dei cattedratici dimissionari Andrea Emiliani, Andreina Ricci e Cesare De Seta), l’archeologo dell’Università la Sapienza ha anche, innanzitutto, sottoscritto le novità portate al Collegio romano dal ministro che starebbe pensando di tornare a occuparsi del suo partito (Forza Italia): ossia nomina di un commissario speciale, il capo della protezione civile Guido Bertolaso, per l’area archeologica di Roma, e quella di un super manager, l’ex leader di MacDonald, Italia Mario Resca, per la valorizzazione dei musei italiani. Ma, in conclusione del suo intervento, Carandini ha posto l’accento sull’ultima parola che dà corpo al Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici. Il paesaggio, appunto. Per l’autore di Archeologia classica (Einaudi), dal "piano-casa" vanno esclusi: «Le aree ad alto grado di tutela o a tutela integrale previste nei pochi piani paesaggistici già adottati o approvati, i beni immobili di interesse culturale sottoposti a disposizioni di tutela del codice e le zone perimetrate come "centro storico" e "città storica" dagli strumenti urbanistici vigenti».
Il ministro Bondi ha approvato la relazione definendola «un perfetto affresco sul patrimonio culturale italiano» e ha ringraziato Carandini «per lo stimolante discorso e le utili indicazioni di lavoro». Molto apprezzata soprattutto l’analisi «sul rapporto Beni Culturali-Stato-Regioni». E già, perché Carandini ha brindato all’accordo di programma tra Bondi e Bassolino in tema di gestione delle bellezze della Campania. E ha detto che «il modello, completato per l’aspetto universitario potrebbe essere esteso, gradualmente, anche alle altre Regioni, nel quadro di una prospettiva nazionale».
Anche uno stop alle mire espositive del governo c’è nella relazione del vecchio archeologo. Che prima s’è trincerato dietro un «non è di nostra competenza» alla domanda se sarebbe d’accordo a prestare i Bronzi di Riace per il G8 in Sardegna. Ma poi, ribadendo che i prestiti si possono concedere solo per rassegne di alto contenuto culturale e scientifico, ha ammesso: «Sono contrario all’esposizione dei feticci, dirò sempre no alle mostre delle belle statuine».
L’obbrobrio chiamato "villettopoli"
di Leopoldo Fabiani
«Ha fatto benissimo Andrea Carandini a condannare il progetto del governo. Tutte le persone di cultura dovrebbero mobilitarsi contro una legge che si risolverà in un’ulteriore devastazione del nostro territorio». Pierluigi Cervellati, urbanista, docente a Venezia, autore di diversi piani regolatori, si oppone ferocemente al "piano casa" del governo Berlusconi.
Professore, non ci vede almeno un tentativo di rivitalizzare l’economia?
«Nemmeno un po’. È un condono edilizio "preventivo e gratuito". Almeno quelli degli anni ‘90, comunque micidiali nei loro effetti, prevedevano una sanzione economica. Tra i costi di un’operazione del genere non si può ignorare l’impoverimento del territorio e del paesaggio, bene primario per il nostro paese».
Qual è l’aspetto più criticabile?
«L’assenza totale di qualsiasi programmazione pubblica, la privatizzazione del bene comune, la crescita senza limiti di quell’obbrobrio che chiamo "villettopoli"».
Non le piacciono le villette?
«Andrebbero proibite per legge, anzi dovrebbero essere demolite. Sono uno degli elementi che più contribuiscono al degrado edilizio del nostro paese».
Ma non esiste un problema abitativo in Italia?
«Abbiamo un numero di case esagerato, e allo stesso tempo troppe persone (specie i giovani) che non dispongono di un’abitazione. Perché abbiamo il mito della casa di proprietà, e mancano gli alloggi pubblici da dare in affitto a chi non si può permettere di pagare un mutuo. La cosa che più mi indigna è che tutti saranno favorevoli a questi ampliamenti del 20% previsti dalla legge, perché le loro proprietà aumenteranno di valore. Alla fine il risultato è che in Italia abbiamo case sempre più belle, ma delle città e un territorio che fanno schifo».
Postilla
No, i panni dell’urbanista li veste proprio male l’uomo che ha sostituito Settis e, con l’uomo della McDonald, ispira e gestisce la politica del Mibac. Concentrare la protesta al “piano casa” di Berlusconi alla sola questione della tutela del paesaggio e dei beni culturali, per di più di alcune oasi, significa non aver capito nulla di che cosa succede a deregolamentare la legislazione urbanistica. Carandini propone di far salve dalla distruzione “le aree ad alto grado di tutela o a tutela integrale previste nei pochi piani paesaggistici adottati o approvati” e i centri storici. Ma lo dicono anche i berluscones, che il paesaggio va – per l’amori di Dio! – tutelato, che i centri storici vanno protetti, anzi, rivitalizzati, che le aree protette vanno rispettate. Ma quante sono le aree effettivamente (sottolineo effettivamente) protette in Italia? E per di più,non è necessario essere un urbanista per comprendere che il territorio è un sistemam e non un insieme di brandelli, e che la protezione è assicurata solo dall’uso razionale e trasparente del territorio. La pianificazione urbanistica serve a questo. Oppure ci si accontenta di avere qualche isola protetta in un paese sempre più distrutto dallo svillettamento e divorato dal consumo di suolo? In una società sempre più devastata dalle privatizzazioni e commercializzazioni dei beni comuni?
Dal Garda a Messina, da Siena alla Murgia, il piano del governo rischia di dare il colpo di grazia al paesaggio. Legittimando l'edilizia selvaggia. Ecco gli scempi del futuro prossimo
Arriva l'onda. Un'onda anomala. Un'onda di cemento. La temono in Liguria, dove l'invasione di nuove costruzioni minaccia i pochi varchi lasciati liberi da decenni di speculazioni. Si prepara al peggio il lago di Garda, già deturpato dal boom di seconde e terze case. Guai in vista anche nella fascia agricola che ancora cinge la periferia sud-ovest di Milano, un'oasi di verde sotto assedio ormai da anni. Per non parlare delle regioni del Sud già deturpate da un abusivismo dilagante.
"Più case per tutti", annuncia Silvio Berlusconi. Ma il piano studiato dal governo per rilanciare l'edilizia rischia di dare il colpo di grazia ad alcuni dei paesaggi più sensibili del territorio nazionale, aree di straordinario valore ambientale e culturale finora almeno in parte risparmiate dall'aggressione dei costruttori. L'allentamento delle regole, la possibilità di aumentare la cubatura degli edifici fino al 20 per cento, di abbattere e ricostruire, magari altrove rispetto all'originale, le case realizzate prima del 1989, il tutto con procedure ridotte al minimo, viene descritta come una sciagura nazionale dalla grande maggioranza degli urbanisti, degli studiosi del territorio, degli ambientalisti. Un vero 'piano Attila' che secondo Antonello Alici, segretario generale di Italia Nostra, mette nero su bianco la definitiva estinzione "di quel poco di governo del territorio che finora aveva salvato alcune parti d'Italia". Nel mirino degli speculatori rischiano di entrare alcune delle aree a maggior valore ambientale e culturale del Paese. Nella lista spicca il parco dell'Appia antica a sud di Roma, da tempo segnato da abusi piccoli e grandi che ora potrebbero diventare legali. Alle porte di Milano è in pericolo il parco di Monza, polmone verde assediato dalle villette in stile brianzolo. A Torino invece la deregulation introdotta dal piano casa potrebbe addirittura stravolgere la struttura urbana del centro già compromessa da demolizioni e grandi opere. E al Sud va citato a titolo di esempio, ovviamente in negativo, la colata di cemento che ha stravolto l'area costiera dello stretto di Messina. Qui il piano casa, secondo le critiche di Italia Nostra, rischia di legalizzare perfino le costruzioni in aree ad alto rischio di frane e alluvioni.
Peggio ancora. Il nuovo provvedimento studiato dall'esecutivo con la collaborazione (interessata) di alcuni governatori regionali come Giancarlo Galan (Veneto) e Ugo Cappellacci (Sardegna) andrebbe ad aggravare la situazione ormai fuori controllo di alcune grandi aree urbane. Gaetano Benedetto, condirettore generale del Wwf, parla di "polverizzazione edilizia". E cioè una miriade di iniziative che finiscono per sottrarsi a una qualunque regia centrale. "Nella sola città di Roma giacciono almeno 700 mila pratiche edilizie inevase", segnala Benedetto. A cui vanno aggiunti i 60 milioni di metri cubi supplementari previsti dal piano regolatore varato dalla vecchia giunta di Walter Veltroni. Basterà l'effetto annuncio della legge berlusconiana per provocare un aumento delle richieste dei cittadini. E alla fine, prevede Benedetto, "sarà il caos, una situazione ingovernabile dove risulterà di fatto impossibile perseguire gli abusi".
Roma non è un'eccezione. Molte importanti amministrazioni comunali, non solo al Sud, faticano a gestire l'esistente. E adesso rischiano di essere travolte da una valanga di lavoro straordinario. Niente paura, fa sapere il governo, la burocrazia sarà ridotta al minimo. Nel nome della deregulation, il permesso di costruire verrà abolito e sostituito da una perizia giurata del progettista. In pratica, sarà lo stesso geometra pagato dal costruttore ad autocertificare la regolarità dell'intervento edilizio. In questo modo, sostiene Alici di Italia Nostra, "si legalizza un principio dagli effetti devastanti, peraltro già molto applicato in Italia. È il principio secondo cui prima si fanno i lavori e poi qualcuno controllerà se si poteva oppure no". E a questo punto, come insegna l'esperienza del passato, l'eventuale abuso potrà essere sanato con un provvedimento ad hoc. Le possibilità di manovra per gli speculatori allora diventano pressoché infinite.
Del resto, è lo stesso progetto casa berlusconiano a somigliare molto a un condono camuffato. Le irregolarità degli anni scorsi - alzare il tetto, aggiungere una stanza, chiudere un balcone - potranno essere sanate in base ai criteri introdotti dal nuovo provvedimento. Liberi tutti, allora. Magari rispettando i più moderni criteri di risparmio energetico e sicurezza. Perché chi abbatte una casa costruita prima del 1989 potrà rifarla più grande di prima (fino al 30 per cento) anche in un luogo diverso dall'originale, ma a patto che si adegui a determinati standard ecologici. Fin qui niente di straordinario o particolarmente innovativo. Anche il Wwf si dichiara favorevole ai provvedimenti che consentono aumenti delle volumetrie condizionandoli all'aumento dell'efficienza energetica delle abitazioni. Il fatto è, però, che l'indubbio vantaggio per l'ambiente rischia di essere annullato dal consumo supplementare di territorio. Se nei centri cittadini mancherà lo spazio per ristrutturare e ricostruire, gli immobiliaristi demoliranno i vecchi edifici per lottizzare nuove aree di periferia strappate a quel poco che resta di verde e agricoltura.
"La dimensione urbana conquisterà nuovi spazi e si aggraverà il problema del consumo di suolo libero, e quindi di paesaggio", dice Sergio Lironi, presidente onorario di Legambiente a Padova. Paesi come Germania e Inghilterra hanno da tempo affrontato la questione fissando limiti severissimi per impedire le nuove costruzioni su terreni agricoli. "In Italia invece cemento e asfalto stanno divorando territorio a una velocità sempre maggiore", denuncia Paolo Pileri, il professore del Politecnico di Milano che guida l'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, promosso dall'ateneo lombardo insieme a Legambiente e all'Istituto nazionale di urbanistica. E così, secondo gli unici dati disponibili, tra il 1999 e il 2004 le aree urbanizzate, cioè trasformate da cemento e infrastrutture, sono cresciute in Lombardia di 24.742 ettari: quasi 5 mila all'anno. È come se ogni 12 mesi nella Pianura padana si costruisse una nuova città delle dimensioni di Brescia là dove prima c'erano prati, terreni agricoli e boschi. In Liguria, già sottoposta a un enorme stress ambientale, dal 1990 fino a oggi è andato perduto oltre il 45 per cento del territorio libero. Anche in Veneto l'ultimo decennio è stato segnato da una velocissima espansione degli insediamenti residenziali e produttivi. Dal 2001 al 2007 sono state realizzate case d'abitazione per circa 40 milioni di metri cubi all'anno. Quanto basta per dare alloggio ad almeno 600 mila nuovi abitanti. Al ritmo di incremento demografico attuale (immigrati compresi) servirebbero 15 anni per utilizzare tutte queste abitazioni, come ha calcolato Tiziano Tempesta dell'Università di Padova. E nel frattempo continuano a mancare gli alloggi per chi ne ha più bisogno: giovani coppie, famiglie povere e immigrati.
In Veneto come altrove, il frenetico sviluppo edilizio degli ultimi anni ha privilegiato le iniziative speculative: villette, capannoni e centri commerciali. Poco o nulla, invece, per le fasce più deboli della popolazione. E adesso che la recessione minaccia i bilanci dei costruttori, Galan rilancia. La giunta veneta ha fatto addirittura da battistrada varando a tempo di record (martedì 10 marzo) un progetto di legge sulla casa che anticipa le novità governative. Da altre Regioni, invece, arrivano reazioni tiepide o negative. Il presidente della Liguria, Claudio Burlando, ricorda che "questo governo ha tagliato i fondi stanziati per l'edilizia residenziale pubblica". In Piemonte, Mercedes Bresso avverte che "il piano potrebbe provocare disastri sia nel patrimonio architettonico delle nostre città che nel paesaggio delle nostre campagne". Hanno preso le distanze anche Calabria, Umbria ed Emilia Romagna. Ce n'è abbastanza per prevedere che il piano casa finirà sotto il fuoco incrociato delle regioni. Quelle guidate dal centrosinistra, probabilmente. Ma non solo, visto che da Palermo anche il governatore Raffaele Lombardo ha accolto con freddezza le novità da Roma. Del resto in materia di governo del territorio e tutela ambientale, la Costituzione assegna alle Regioni una competenza concorrente con quella del governo centrale. Che deve limitarsi a fissare principi fondamentali. "Ma a questo punto non escludo ricorsi alla Corte Costituzionale per risolvere eventuali conflitti", dice Daniele Granara, avvocato che da anni difende le ragioni delle grandi associazioni ambientaliste. Giovanni Losavio, presidente nazionale di Italia Nostra, arriva a ipotizzare "una violazione di tre diverse norme costituzionali, compreso il principio fondamentale di tutela del paesaggio".
Ma più che dai ricorsi legali, i programmi berlusconiani potrebbero essere frenati dalla recessione. Nella sola Milano oggi si contano oltre 100 mila appartamenti sfitti. I prezzi degli immobili sono in caduta. Dopo gli anni del boom innescato dal credito facile, le aziende faticano a finanziare i nuovi investimenti. E le banche scottate dalla crisi pensano più che altro a ricapitalizzarsi stringendo le maglie di prestiti e mutui. Intanto nelle agenzie si accumulano offerte di immobili che restano invenduti. E il piano casa non sembra davvero in grado di contrastare neppure l'impennata della disoccupazione. Anzi, come ricorda anche il Wwf, il "settore edile è il più segnato dal lavoro nero".
Le Associazioni qui rappresentate hanno più volte denunciato il processo di manomissione, di cementificazione e di imbruttimento dei paesaggi italiani, pur in presenza di taluni atti (le demolizioni dell’ex Hotel Fuenti e di Punta Perotti, l’approvazione del Codice per i beni culturali e paesaggistici) che sembravano aprire una fase di rinnovata, consapevole e condivisa tutela di questo bene fondamentale. Esse rivolgono ora un pressante appello al governo, al parlamento, al presidente della Repubblica affinché il programma per l’edilizia enunciato non venga, anzitutto, approvato nella forma sbrigativa del decreto legge con cui si impone alle Camere di ratificare un provvedimento tanto complesso senza, di fatto, discuterlo. Mentre, trattandosi di principi fondamentali nella materia di governo del territorio (oggetto di legislazione concorrente di Stato e Regioni), si deve escludere che ricorra il caso straordinario di necessità ed urgenza che legittima il Governo all’assunzione di potestà legislativa. Tanto più se fossero previste modifiche peggiorative al Codice dei beni culturali e del paesaggio (in materia dunque che ha copertura nell’art. 9 della Costituzione) con la più volte annunciata esclusione della efficacia vincolante del parere rimesso alle Soprintendenze sugli interventi in aree vincolate.
Osserviamo nel merito che la semplificazione delle procedure edilizie non può spingersi fino all’abolizione del permesso di costruire (garanzia insopprimibile di legalità nell’edilizia) e alla sua sostituzione con una spicciativa autocertificazione del progettista, mentre agli uffici tecnici comunali sono date limitatissime facoltà di contestazione. Contro il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione e in un evidente squilibrio di forze fra gli uffici comunali e chi rappresenta corposi interessi privati.
Molto rischioso, nella stessa direzione, anche l’ulteriore allargamento della già discutibile Dichiarazione Inizio Attività (DIA), nonché l’inclusione di ogni sorta di interventi fra le opere di “conservazione” e l’ammissione ai benefici della nuova legge dei Comuni ancora privi di strumenti urbanistici i quali semmai vanno, in vario modo, sollecitati a dotarsene. Mentre del tutto improponibile è la prevista assoluta liberalizzazione delle opere interrate, accessorie alla residenza, e nella elevatissima misura del 20 per cento del volume dei fabbricati esistenti, quando invece l’edificazione sotterranea esige rigorosi controlli di fattibilità e sicurezza e, specie nelle aree urbane storiche, verifiche preventive di compatibilità con la tutela archeologica. La quale va mantenuta salda e forte, in capo alle Soprintendenze e non disarticolata con continui commissariamenti (vedi Pompei, ed ora Roma, addirittura l’intera sua Provincia) per ragioni di “protezione civile” che svuotano le Soprintendenze stesse e rimandano nel mondo l’immagine di un’Italia disastrata.
La ristrutturazione e il recupero di fabbricati e la riqualificazione di interi quartieri semi-periferici e periferici precariamente edificati nell’ultimo dopoguerra possono essere attuati soltanto con piani pubblici, attenti e rigorosi, elaborati d’intesa fra Regioni e Comuni, col controllo degli organismi della tutela. Piani i quali tengano conto non del solo mercato ma di una domanda di alloggi popolari e sociali sin qui largamente insoddisfatta, con un intervento pubblico precipitato all’1 per cento.
Tali piani di recupero possono prevedere, in sede regionale, anche premi in cubatura ma non certo nella misura preventivata del 20 per cento. Allo stesso modo un premio generalizzato pari al 10 per cento non può venire regalato indiscriminatamente a chiunque voglia aggiungere altra edilizia nelle zone agricole già tanto invase e di per sé preziose come bene primario, con l’ulteriore effetto di grave alterazione nelle tipologie delle superstiti architetture rurali di tradizione.
Il Paese ha bisognodi una legge-quadro la quale ponga le Regioni in condizione di legiferare in modo snello e insieme rigoroso, valorizzando il paesaggio, i centri storici, i parchi nazionali e regionali (minacciati invece da nuove norme a favore della caccia e a danno dell’avifauna), riqualificando le nostre periferie, potenziando il trasporto locale su rotaia, dando risposte serie ad una nuova domanda di edilizia economica e sociale anche attraverso il recupero attento del patrimonio esistente ed evitando il più possibile ogni nuovo consumo di suoli liberi, agricoli e forestali. Che si stanno infatti diffusamente impoverendo, con danni irreversibili al bene primario del paesaggio: dalla collina veneta, all’Agro Romano (dove la superficie agro-forestale è stata più che dimezzata fra il 1961 e il 2000), alla costa siciliana.
Assotecnici, Ass. R. Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, eddyburg, Italia Nostra, Legambiente
La manovra è concertata con due "regioni di destra" che, sodali del Presidente del Consiglio, gli aprono la strada e danno la linea alle altre regioni. I comuni saranno dunque abilitati, contro le prescrizioni di piani e regolamenti, a promuovere l’ampliamento del patrimonio edilizio nelle misure dal 20 al 35 per cento.
Non importa se è così sovvertito l’assetto razionale delle città disegnato dai piani regolatori. Berlusconi promette un boom edilizio pari a quello del dopoguerra, perché dall’edilizia civile pretende un contributo decisivo al superamento della crisi economica, non bastano le grandi opere, Ponte sullo Stretto, Mose e infrastrutture d’ogni specie. Anche i permessi di costruire (irrinunciabile controllo di legalità) sono un inutile ostacolo, basta la parola del progettista. Ma pure le sanzioni dell’abusivismo debbono essere attenuate e anzi cancellate se c’è il ravvedimento operoso.
Non basta, l’ostacolo infine del paesaggio deve essere rimosso e cosa nasconda la promessa semplificazione delle procedure per i permessi in materia ambientale e paesaggistica è ben facile intendere.
Sull’ordine urbano e il paesaggio si scarica uno sregolato boom edilizio.
Italia Nostra, allarmata, invita le Regioni che ancora sentono la responsabilità del governo delle nostre città a respingere il progetto del Presidente del Consiglio, così dimostrando di saper fare buon uso delle autonome potestà che la Costituzione ad esse attribuisce. Mentre non dubita che il Presidente della Repubblica, nell’esercizio dei poteri a lui affidati dall’art. 87, comma 4, della Costituzione, verificherà se il disegno di legge di iniziativa governativa risponda al principio del buon andamento dell’Amministrazione (art. 97 Cost.) e a quello, fondamentale, della tutela del paesaggio (art. 9).
Il Presidente del Consiglio ha confermato il proposito di procedere con decreto-legge per l’approvazione del cosiddetto Piano Casa, benchè sia ben consapevole – più volte lo ha ripetuto – che il provvedimento attiene ad una materia, il governo del territorio, rimessa dalla Costituzione alla legislazione concorrente di Stato e Regioni.
La potestà legislativa dello Stato è quindi limitata – così vuole la Costituzione – alla determinazione dei principi fondamentali della materia. Intervento legislativo questo quanto mai complesso per la materia del governo del territorio e a questo adempimento non bastarono neppure le due precedenti legislature mentre la presente ha appena iniziato ad affrontare quel compito attivando al riguardo la competente commissione della Camera dei Deputati.
E se dunque si tratta di dettare, anche con il Piano Casa, principi fondamentali che dovranno indirizzare la produzione legislativa delle Regioni, non solo l’annunciato contenuto non pare che in concreto si mantenga entro quei limiti, ma innanzitutto non può per certo, come enunciazione di principi fondamentali di legislazione concorrente, costituire il caso straordinario di necessità ed urgenza che legittima l’assunzione di potestà legislativa da parte del governo.
Italia Nostra, che ha espresso radicale e motivato dissenso su una misura che esonera dalla responsabile pianificazione pubblica rilevanti trasformazioni urbane e territoriali, ritiene doveroso segnalare il proprio convincimento sulla pregiudiziale incompatibilità funzionale della legislazione di principi con la decretazione d’urgenza.
Berlusconi: "Via al piano edilizia"
ma molte Regioni dicono no
di Paola Coppola
Serve "per smuovere l’economia", per rimettere in moto l’edilizia "ferma e impastoiata da mille burocratismi". Darà "a chi ha una casa e nel frattempo ha ampliato la famiglia la possibilità di aggiungere una o due stanze". Senza rischi di abusi, garantisce Berlusconi. Il piano straordinario per l’edilizia si farà, e subito: alla prossima riunione del Consiglio dei ministri, "venerdì faremo il provvedimento", chiarisce il premier.
Per il ministro delle Infrastrutture Matteoli è possibile trovare punti di incontro sul provvedimento perché "è una necessità non solo delle Regioni di centrodestra ma di tutto il Paese". Giusto riparlare del piano per il leader leghista Bossi, che però frena: "Alcuni ci credono molto, io meno".
Ora toccherà alle Regioni valutare il documento, discusso con Veneto e Sardegna, e che potrebbe essere ripreso in gran parte dal governo con una norma nazionale da affiancare a quelle regionali. Il piano dà il via libera a un aumento delle cubature del patrimonio edilizio con la possibilità per le Regioni che lo accettano di ampliare gli edifici esistenti del 20%, di abbattere edifici realizzati prima del 1989 per ricostruirli, con il 30% di cubatura in più in base agli "odierni standard qualitativi, architettonici, energetici", di abolire il permesso di costruire e sostituirlo con una dichiarazione di conformità da parte del progettista.
Ma la maggioranza delle Regioni già frena sul testo che dovrebbe essere alla base della normativa che vuole rivoluzionare le norme su costruzioni e ristrutturazioni. Se il Veneto si candida a fare da apripista, e per il governatore Galan "non ci sarà alcuno scempio, ma si tratterà di operare sul patrimonio edilizio esistente", e la Sardegna è favorevole, l’Abruzzo è pronto a valutare il piano e la Sicilia lo "sposa pienamente", come dice l’assessore ai Lavori pubblici della giunta Lombardo, Gentile, ma molti governatori di centrosinistra sono perplessi perché temono soprattutto l’impatto ambientale.
È cauto il governatore lombardo Formigoni: "Tutto ciò che va nella direzione della sburocratizzazione e della accelerazione dei procedimenti normativi non può che essere positivo", dice. E precisa: "Studieremo il progetto con un atteggiamento di apertura, ma anche con prudenza, per ciò che può andare a discapito del territorio. Quello della Lombardia è già fortemente antropizzato". Frena anche l’assessore lombardo al Territorio, il leghista Boni: "Abbiamo approvato una legge che restringe i poteri dei Comuni per impedire di occupare nuovo suolo pubblico". Bocciatura dal Piemonte: "Discutibile la proposta di permettere di aumentare la cubatura nelle parti esterne, senza controlli: potrebbe provocare disastri nel patrimonio architettonico e nel paesaggio", dice Mercedes Bresso. In Piemonte una legge permette già di ampliare la cubatura per interventi di ecoedilizia e per le ristrutturazioni di mansarde e parti interne degli edifici. Il piano preoccupa il presidente della Regione Emilia Romagna, Errani; Martini lo bolla come "una proposta inaccettabile, costruita solo con alcune regioni, anziché attraverso un confronto con tutte". Anche in Toscana si possono ampliare le superfici abitative o installare impianti di energia rinnovabile "con i contributi regionali e senza far saltare leggi e regolamenti", dice il governatore. Per Marrazzo, governatore del Lazio, è "una forma surrettizia di condono". Rilanciare l’edilizia è un volano utile, ma bisogna ripartire da quella pubblica, dice Burlando, governatore della Liguria. Contraria la presidente della Regione Umbria, Lorenzetti, il governatore delle Marche, Spacca, chiede di "evitare la deregulation". E "no" anche da Campania, Puglia e Basilicata. Perplesso Loiero: "Si può raggiungere meglio l’obiettivo con incentivi reali come quelli che la Calabria ha messo a disposizione e senza cambiare le regole".
Ambientalisti sul piede di guerra
di Adriano Bonafede
La più dura è Legambiente, che in una nota scomoda addirittura il classico Mani sulla città di Francesco Rosi: "Sembra di tornare alla situazione descritta in quel film, al tempo in cui in barba a qualsiasi norma, Piano o Regolamento edilizio, negli anni '60 in Italia, speculatori senza scrupoli hanno potuto ampliare, demolire, ricostruire edifici brutti e insicuri". Secondo l'organizzazione di difesa dell'ambiente, "sono pagine di storia del nostro Paese che hanno fatto nascere edifici e periferie squallide, dove l'edilizia ha creato ricchezza solo per gli speculatori e case invivibili". Ha poi aggiunto Edoardo Zanchini, responsabile Urbanistica di Legambiente: "Pensare di premiare con il 20-30% di aumento di cubatura interventi che verrebbero realizzati in deroga a Piani urbanistici e regolamenti edilizi significa rendere più brutte e invivibili le città italiane e premiare gli speculatori".
Le preoccupazioni degli ambientalisti riecheggiano anche nel commento di Ermete Realacci, ora responsabile di queste tematiche per il Pd: "È indispensabile un forte rilancio dell'edilizia pubblica sia per l'uso abitativo che per quello scolastico. Ma le norme annunciate dal governo appaiono confuse e pericolose. La proposta di oggi sarebbe iniqua e devastante per l'equilibrio delle città, speriamo resti solo un annuncio come tanti altri".
Per Giovanna Melandri, responsabile Cultura del Pd, "l'Italia rischia di dare l'ultimo assalto alla propria bellezza e al proprio paesaggio, valori imprescindibili della nostra identità e del nostro futuro".
Da parte degli urbanisti, come si vede anche dagli articoli in pagina, si insiste sul fatto che con questa liberalizzazione il governo rinuncia sia al progetto iniziale che al controllo finale. Dice Daniel Modigliani, ex direttore del Piano Regolatore di Roma: "Il governo ha di fatto deciso di non volersi occupare della trasformazione edilizia delle aree metropolitane, nelle quali, peraltro, abita l'85 per cento della popolazione italiana. È quasi peggio di un condono edilizio: almeno quello riguarda soltanto gli edifici irregolari; in questo caso, invece, anche tutto ciò che è regolare".
Gli unici a vedere con favore il provvedimento "liberalizzatore" sono i costruttori, che si aspettano una nuova stagione di affari.
Fuksas:
"Un delirio che può accadere solo qui in Italia"
L’architetto Massimiliano Fuksas è categorico: "Non esiste nessun altro paese in cui si possa fare quello che il governo italiano sembra ora ipotizzare. In Francia, in Spagna, in Germania, paesi che conosco bene, c’è sempre la presentazione di un progetto e c’è un’autorizzazione. Qui invece c’è la resa totale dello Stato. È un delirio". Per Fuksas il governo, anche nel campo edilizio, ripropone una strada che ha già battuto in altri casi: "Il messaggio è chiaro: la burocrazia non è capace, quindi fate come credete. Così come si dice: fatevi le ronde perché la polizia non può farlo. Per uno come me, affezionato all’idea di Stato, c’è un senso di frustrazione". Un intervento sull’edilizia si può fare: "Ma ci vorrebbe un piano vero come il Piano Fanfani negli anni 50".
Cervellati:
"Sciagura che impoverisce tutto il Paese"
"Manca totalmente un progetto. C’è semmai un elemento di speculazione e di favore per chi ha già una casa, che può ampliarla. L’edilizia ha un valore ma andrebbe indirizzata verso determinate aree e problemi". L’urbanista Pier Luigi Cervellati è a dir poco allarmato. "Siamo di fronte a una forma di deregulation con il paravento del risparmio energetico. E poi, nessuno sa con quali parametri misuro questo risparmio: aumento la profondità dei muri? Lavoro all’interno? In Trentino Alto Adige sono stati identificati dei parametri. È evidente che il tutto andrebbe pianificato, studiato con obbiettivi molto precisi. Senza di ciò il progetto diventa una forma di speculazione che porta a un impoverimento del paese. Il liberismo nell’edilizia senza un’idea è una sciagura".
Secchi:
"Uno scandalo che farà scattare
la deregulation selvaggia"
"Questo progetto mi sembra veramente scandaloso". A parlare è l’architetto Bernardo Secchi, ordinario di Urbanistica all’Università di Venezia. "È vero che quando si adeguano gli edifici alle norme energetiche c’è bisogno di qualche metro quadro in più, ma tutto ciò non può essere lasciato all’iniziativa di chiunque". All’estero, aggiunge Secchi, si fanno sempre dei progetti di massima, "dove gli urbanisti dicono quali sono le performance che devono avere gli edifici (ad esempio in Francia ci sono le classi A,B,C, ecc). Soltanto all’interno di questi progetti possono intervenire i singoli". E poi non basta un’autocertificazione del progettista: "Certo che no. La certificazione deve essere fatta da un apposito ente, altrimenti è liberalizzazione selvaggia".
Buzzetti:
"Il progetto darà una spallata alla burocrazia"
"Comprendo le perplessità che alcuni hanno manifestato, ma confido nel fatto che alla fine il progetto del governo sarà più equilibrato di quanto non sia apparso finora". Chiedere a un costruttore cosa ne pensa di una norma che di fatto liberalizza e semplifica l’edilizia è come chiedere all’oste se il vino è buono. Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance, fa dunque il suo mestiere, ma si rende conto delle criticità: "Io credo che la norma che prevede l’abolizione dell’autorizzazione riguarderà solo gli interventi più piccoli, non i più grandi. In ogni caso da sempre i costruttori chiedono ai governi una semplificazione e una maggiore rapidità delle procedure. Questo provvedimento darà una spallata alla burocrazia".
Otto anni di boom edilizio ininterrotto
di Rosa Serrano
Quanto è cresciuto in questi anni il patrimonio abitativo italiano? Quanti metri cubi di cemento si sono posati uno sull’altro per venire incontro alla richiesta di case delle famiglie italiane? E soprattutto, questo bisogno è stato alla fine soddisfatto? Alla vigilia della nuova "rivoluzione del mattone" annunciata dal presidente del Consiglio, cerchiamo di dare qualche risposta, di diradare qualche dubbio. E come prima cosa, scopriamo che dal 2000 ad oggi il flusso di nuove abitazioni costruite ogni anno si è fatto via via sempre più impetuoso. Il dato ci viene fornito dal Cresme: nel 2000 erano 159 mila. Lo scorso anno quasi il doppio: 287.000 (che salgono a 323 mila se includiamo gli ampliamenti di edifici esistenti). Un balzo di oltre l’80 per cento, che sarebbe stato anche maggiore se nel 2008 non si fosse registrata una lieve flessione. L’Agenzia del territorio non fa che confermare questo boom pluriennale del mattone: tra il 2003 e il 2007 il patrimonio residenziale complessivo (cioè lo stock esistente) è salito da 28,8 milioni di abitazioni a 31,4: 2 milioni 600 mila in più. Metà di questo aumento è concentrato al Nord. Il resto se lo dividono Centro e Mezzogiorno con una prevalenza di quest’ultimo, dove lo stock è salito di 700 mila unità.
Malgrado l’ultimo rallentamento creato dalla crisi economica, si è tornati a costruire allo stesso ritmo degli anni ‘80, decennio che conobbe il primo grande condono edilizio, quello deciso da Bettino Craxi. Seguìto dalle due sanatorie di Berlusconi e dalla legge "padroni a casa propria", che oggi il premier vuole in qualche modo riprendere ed estendere dalle ristrutturazioni interne alle cubature esterne.
Di fronte a questo rinnovato e duraturo boom edilizio, ci si aspetterebbe di veder soddisfatta gran parte della fame di abitazioni delle famiglie italiane, ancora non proprietarie. Invece no. Sentiamo quello che ci dice l’associazione dei costruttori, l’Ance, in un suo report. Nel quadriennio 2003-2007 sono stati rilasciati permessi per costruire 1,2 milioni di alloggi a fronte di un fabbisogno abitativo proveniente da nuove famiglie di circa 1,5 milioni di case. Insomma, alla fine ci sono 78 abitazioni per 100 nuove famiglie. Cosa significa questo? Che bisogna costruire ancora di più? In realtà, finora si è costruito moltissimo per il mercato (sempre più ricco) e pochissimo per l’edilizia popolare. Al rilancio di quest’ultima ora punta il Piano Casa che il governo ha sbloccato ieri l’altro con le Regioni. Si cerca in altre parole di intercettare quelle fasce deboli di famiglie tagliate fuori in tutti questi anni dai prezzi inaccessibili e dalla stretta creditizia che ha drasticamente ridotto il ricorso ai mutui soprattutto da parte di giovani o immigrati. Ma tagliate fuori anche da una scarsa offerta di case in affitto a canoni possibili. Chi contesta, come gli ambientalisti, il ricorso a nuove costruzioni, ricorda a questo proposito il fenomeno delle case sfitte. Secondo una recentissima ricerca del Sunia, a Roma sono oltre 245.000 su 1,7 milioni di abitazioni; a Milano 81.000 su 1,6 milioni.
Oltre al piano di edilizia popolare che il governo cerca di legare a una maggiore offerta di affitti a basso prezzo, resta da capire se e in che misura la "liberalizzazione edilizia" che Berlusconi si appresta a presentare (con libertà di ampliare, di demolire e di ricostruire case) verrà incontro alle esigenze delle famiglie attraverso il recupero del patrimonio abitativo esistente, o se verrà utilizzato solo per nuove speculazioni edilizie.
Licenze edilizie, no della Puglia
di Giuliano Foschini
"Nessun aumento di cubature straordinarie. "Fin quando governeremo noi, operazioni scellerate come questa non saranno mai possibili". L’assessore regionale all’Urbanistica, Angela Barbanente, chiude le porte in faccia alla proposta di legge del governo Berlusconi che consentirebbe aumenti di cubature dal 20 al 35 per cento a tutte le strutture residenziali. "Non firmeremo mai quella convenzione - continua l’assessore che è anche docente al Politecnico di Bari in Pianificazione urbanistica - perché sarebbe come mandare all’aria decenni di studi, di dibattiti, di leggi e discussioni sulla pianificazione del territorio soltanto per soddisfare pericolosissimi appetiti speculativi. Questa manovra con lo sviluppo non ha nulla a che fare: è un’operazione che serve soltanto a sanare gli abusi, prima ancora che diventino tali, senza una verifica della sostenibilità ambientale e paesaggistica degli interventi".
"In questi anni - continua la Barbanente - la Regione ha dato in materia di urbanistica e quindi di tutela del territorio degli indirizzi ben precisi, puntando soprattutto sulla sostenibilità ambientale. La nostra linea di governo è questa, chiara e netta. Se qualcuno ha intenzione di portare avanti la politica dell´abuso e delle sanatorie, dovrà bussare ad altre porte".
La Barbanente è critica con Berlusconi anche sulla vicenda legata al piano casa. "Stanno cercando di fare propria - spiega – un’operazione voluta e finanziata del governo Prodi che loro avevano distrutto e che oggi è stata recuperata soltanto grazie alla strenua resistenza delle Regioni, comprese quelle di centrodestra. Oggi il governo ha sbloccato 200 milioni di euro, rispetto ai 550 iniziali, privilegiando i progetti cantierabili. Noi quindi dovremmo vederci finanziare tutti i nostri progetti da 36 milioni". Ma non è soltanto l’urbanistica il terreno di scontro tra il governo pugliese e quello nazionale. Ieri il presidente della Regione, Nichi Vendola, ha criticato duramente la spartizione dei fondi Cipe e Fas decisa venerdì dal consiglio dei ministri. "Dagli interventi del Governo - dice - sono scomparsi il piano per le bonifiche dei siti inquinati, comprese quelle per Brindisi e Taranto, i fondi Industria 2015, e gli interventi per le imprese. L’alta capacità ferroviaria Bari-Napoli è completamente assente mentre opere come la Maglie-Leuca ed il Nodo di Bari non rappresentano alcuna novità, essendo già state indicate dai piani del governo precedente".