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Sul "manifesto" si è aperta una discussione sul futuro della sinistra radicale. Cioè di quei gruppi - o partiti, o parte di gruppi o partiti - che alle ultime elezioni europee hanno raccolto quasi il 15 per cento dei voti, che si collocano alla sinistra dell'asse Prodi- Fassino- D'Alema- Rutelli, che si oppongono ai valori del "liberismo" duro o temperato, che innalzano la bandiera del pacifismo e della resistenza alla globalizzazione americana, che credono nel valore-lavoro. Cosa devono fare per dare un senso alla propria forza? Cioè: quali sono i loro problemi strategici, politici, di programma, di comunicazione di massa? Come devono fare per mettere a frutto quel 15 per cento, e per usarlo in modo da spostare a sinistra l'Italia, visto che più o meno è questo il loro obiettivo comune?

Il problema lo ha posto Alberto Asor Rosa, storica colonna della intellettualità politica di sinistra da un più o meno quarant'anni. Asor Rosa ha scritto un articolo nel quale ha sostenuto quattro tesi. La prima è che quel 15 per cento di voti non può essere lasciato allo sbando e deve essere messo al riparo dalla litigiosità, dalle incomprensioni e dai piccoli dissensi che separano i vari partiti e gruppi che lo hanno raccolto. Dunque occorre una operazione di unificazione politica. Un partito? Non corriamo troppo, vedremo. La seconda tesi di Asor Rosa è che questa unificazione politica diventa sempre più urgente nella misura in cui si sta realizzando una operazione di unificazione della sinistra moderata. Un centrosinistra serio ha bisogno di due gambe, e la gamba di sinistra deve essere robusta, e deve essere parte organica dell'alleanza. La terza tesi è che nessuna unificazione politica è possibile se prima non si compie una unificazione culturale. Cioè se non si risponde a questa domanda: "può esistere una cultura di sinistra nelle condizioni date della globalizzazione? E quale può essere questa cultura di sinistra?" Infine Asor Rosa sostiene una quarta tesi: tutto questo deve avvenire nel rispetto del bipolarismo, e cioè in uno schema di alleanze organiche e di alternanza tra i due blocchi di destra e di sinistra al governo del paese. Asor Rosa dice che se si cedesse alla tentazione di rinunciare al bipolarismo per tornare al proporzionale, la sinistra radicale perderebbe tutta la sua forza e la possibilità di incidere nel governo dell’Italia.

Su queste quattro tesi è iniziata la discussione. Molti consensi per Asor ma anche molte critiche e molti distinguo. Oliviero Diliberto, il segretario dei “comunisti italiani”, ha sposato in pieno le tesi di Asor Rosa, ponendo in questo modo la questione: è all'ordine del giorno la battaglia per sconfiggere le destre. La sinistra radicale deve partecipare in modo unitario a questa battaglia se poi vuole avere un peso adeguato nel centrosinistra che sarà chiamato ad assumere il governo del paese. Rossana Rossanda e Marco Revelli - due intellettuali molto influenti nella sinistra - hanno ragionato su un altro aspetto della questione. E cioè sull’analisi del Berlusconismo e della sua crisi. La Rossanda ha fatto osservare che ci troviamo di fronte a una singolare situazione politica: la destra è messa in difficoltà politica, e forse addirittura è sconfitta, da una iniziativa del centro moderato; mentre la sinistra e il centrosinistra restano alla finestra e fanno politologia (nel migliore dei casi) invece che politica. Naturalmente questo fatto cambia la natura e la qualità della sconfitta della destra.

Revelli - con una analisi simile - ha paventato la sconfitta di Berlusconi e la sopravvivenza del berlusconismo. E cioè ha avanzato l’ipotesi che la fine dello schema politico di questi anni (con la persona di Berlusconi al centro di tutte le reti di potere del centrodestra) non significhi la fine del berlusconismo, come ideologia capitalistica moderna (”arricchitevi e ponete l’aumento del successo e della ricchezza personale come valore centrale e interclassiste dell’Occidente”). Revelli teme che il centrosinistra si candidi ad una guida temperata del berlusconismo, che ne elimini gli eccessi e ne salvi l’anima e la sostanza.

Cosa c’entrano queste analisi con la questione posta da Asor Rosa? C’entrano, perché Rossanda e Revelli approvano la richiesta di unità avanzata da Asor, ma non ritengono che questa richiesta possa precedere una operazione di chiarezza sulle strategie della sinistra radicale, e cioè sul progetto di società deberlusconizzata e sulle vie per realizzarla (del resto lo stesso Asor Rosa aveva posto il problema, domandando: quale cultura per la sinistra di alternativa?). Qui Revelli e Rossanda si dividono, perché Revelli si pone essenzialmente il problema di creare valori nuovi dal basso (a partire dal territorio, dalle città, dalle amministrazioni, dalle reti di solidarietà) mentre Rossanda chiede soprattutto di incidere sulle istituzioni, anche sulle più alte, dunque pone la questione del governo.

Vedete bene che tutta questa discussione avviene con idee e anche con terminologie politiche così lontane da quelle della politica ufficiale, da rendere molto difficile una unificazione tra questo dibattito e quello che si svolge all’interno dell’Ulivo. Se quello di Asor era un tentativo di avvicinare le due sfere di discussione, non è riuscito.

Nel dibattito aperto da Asor Rosa è intervenuto anche Fausto Bertinotti. Il quale approva il richiamo alla necessità di ricercare una cultura della sinistra che tenga conto dei dati nuovi della globalizzazione. Contesta però ad Asor Rosa sia la sua idea di porre la sinistra radicale organicamente all’interno del centrosinistra - come una sua componente fissa e riconoscibile - sia la proposta di rendere eterno il bipolarismo. Bertinotti pensa che il bipolarismo sia una gabbia dalla quale uscire, e che la sinistra radicale non può rinunciare alla sua autonomia politica come prezzo da pagare ad una alleanza organica di centrosinistra. Bertinotti dice che il problema di come la sinistra possa partecipare eventualmente al governo, e di come possa influire sul governo, è un problema vero e attuale. Ma oggi - dice - si tratta di sciogliere questo nodo: quale è il fuoco del progetto della sinistra? E’ il governo, cioè il raggiungimento di uno strumento di potere, o invece il fuoco sta nei movimenti, e cioè nel rapporto fluttuante con un insieme di mondi, di idee e di conflitti che non è possibile “fissare” in una organizzazione, nè subordinare a interessi superiori e a ragioni di Stato?

Naturalmente per Bertinotti il fuoco sta nei movimenti. Lui pensa che l’avvicinamento, o l’ingresso, nell'area di governo, possa essere un passaggio, ma deve restare uno strumento del progetto e non diventare il progetto stesso. Per questo - sembra - il leader di Rifondazione comunista non sente come urgentissima la necessità di una unificazione politica o organizzativa di partiti e gruppi, ma sollecita invece una unificazione di programmi e idee. Propone una costituente della sinistra per l'alternativa, che sia un luogo di elaborazione e di alleanza programmatica tra gruppi, partiti, individui, pezzi di sindacati.

Dunque l’ipotesi della creazione di un partito di sinistra del 15 per cento che si affianchi all’alleanza riformista (del 30 o del 35 per cento) non è una ipotesi concreta? Probabilmente no. Molti nella sinistra iniziano a pensare che i partiti hanno ancora un ruolo e un senso nella politica moderna, ma non più il ruolo fondamentale ed esclusivo e totalizzante che avevano una volta. E che persino la politica delle alleanze (caposaldo di tutta la politica italiana da De Gasperi, a Togliatti, a Moro, a Berlinguer) che è sempre stata intesa come politica delle alleanze tra partiti, possa cambiare la sua natura. Possa diventare una politica di alleanze tra correnti di pensiero, che attraversa i partiti, senza scomporli, senza metterli in crisi, senza scinderli. Forse la “scissione” - categoria politica principe nella politica del ‘900, attorno alla quale ruota l’intera storia dei partiti politici - è ormai decaduta e morta. Chi si attarda a evocarla, esaminarla, temerla, minacciarla, perde tempo.

In vista delle elezioni, per esempio, potrebbe realizzarsi una alleanza di programma di sinistra tra uomini e gruppi di molti o tutti i partiti del centrosinistra. Che imponga all'alleanza dell’Ulivo di fissare un programma di governo molto diverso da quello del 1996. (disarmo, apertura delle frontiere, fine della flessibilità, reddito di cittadinanza, Europa sociale eccetera...). In questo modo, pur lasciando aperta la questione organizzativa, la sinistra radicale potrebbe trovare lo spazio per dire delle cose sulla via lungo la quale superare il berlusconismo, come chiede Revelli.

Alberto Asor Rosa

si chiede come superare la frammentazione di quel 15% che ha votato alla sinistra del listone. Il quale persegue una formazione, federativa o unitaria, di tutte le sinistre moderate. Operazione che Asor definisce anche intrinsecamente logica: se Prodi e D'Alema la pensano allo stesso modo, se mirano a un'alternanza democratica e rispettosa delle regole, senza Berlusconi Bossi e Fini, nell'orizzonte del liberalismo compassionevole della Carta europea competitivo e privatizzatore, tanto vale che si mettano assieme. Ma perché quel 15% che non la pensa così non fa lo stesso? Non ha condiviso con i moderati la scelta delle guerre, non considera che basti una copertura dell'Onu per ricorrervi, è contrario alla flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro che il governo di centrosinistra aveva covato con Treu, insiste per la priorità di alcuni beni pubblici (scuola, sanità e previdenza) sul privato. Non sono convergenze da poco. Perché non si danno un'iniziativa comune che farebbe pesare quel 15% più di quel che pesi ora sul quadro politico? Non sarebbe «organico» all'opposizione o a un governo di centrosinistra avere due gambe? Bertinotti, che pur persegue un accordo elettorale con la sinistra moderata per far uscire di scena la Casa delle libertà, obietta che anzitutto una fisionomia della sinistra radicale non è organica al quadro di centrosinistra, e fin qui ha ragione: non è la stessa cosa formare una maggioranza elettorale o anche di governo - tipici oggetti di mediazione - e ricostruire una forza di sinistra coerente. Ma questa obiezione sembra rivolta, più che ad Asor Rosa, alla proposta di costituente di tutte le sigle che hanno concorso al famoso 15%, avanzata da Diliberto. Obietta Bertinotti che queste sigle non rappresentano la ricchezza dei movimenti e che è impensabile costruire un'alternativa senza di essi; e in secondo luogo che questa comporta un rivolgimento delle categorie politiche classiche della sinistra, rivoluzione culturale che già sta nei movimenti ed esclude un progetto compatto sul che fare. Questo, aggiunge, è il lavoro che Rifondazione ha avviato con il gruppo della sinistra europea.

Discuterei questa ultima affermazione, conoscendo i partiti che vi sono confluiti. Ma più importanti sono i ragionamenti che la precedono. E' certo che sarebbe folle definire un'alternativa anche a breve termine senza tenere conto della grande sollevazione dell'opinione fra i popoli che da alcuni anni costituisce la vera novità del quadro politico e non è stata prodotta dai partiti. Ma è altrettanto certo che ne è costitutivo il rifiuto a darsi una rappresentanza. Come il femminismo, i movimenti sono antipolitici e non è difficile scorgerne le ragioni, quindi nessuno delega nessuno, ed è il motivo per cui una costituente dei movimenti, cui Bertinotti lavora da tempo, non è avvenuta. Neanche a prescindere dalle sigle che hanno coaugulato il famoso 15%. Non so se questo atteggiamento sarà una costante. So che esso comporta oggi la rinuncia ad affrontare il blocco dei poteri proprietari, economici, militari sul terreno istituzionale, che è poi quello sul quale si decidono i grandi rapporti di forza, guerre incluse. Puntano i movimenti su un'azione molecolare che disgregherà dall'interno questo blocco? Sta di fatto che Bertinotti non può pensare di metterli attorno a un tavolo per definire un'alternativa alla Casa delle libertà o a un eventuale centro. Essi sono una presenza essenziale alla quale i partiti della sinistra dovrebbero fungere da sponda, senza pretendere né di assorbirli né di esserne assorbiti. In verità mi pareva che Rifondazione fosse già giunta a questa conclusione. Ma essa lascia totalmente aperta la necessità di una iniziativa politica loro, dei sindacati, dei gruppi che si vogliono rappresentativi.

Bertinotti aggiunge che un'alternativa implica affrontare un rivolgimento culturale che i movimenti avrebbero già costruito, che sarebbe autosufficiente, che non abbisognerebbe di programmi, tantomeno se venuti da altri e si esprimerebbe in un molteplice work in progress rifuggendo da compattezze e compiutezze. Non sono convinta che sia così. I movimenti rompono con il metodo della politica attuale ma riprendono molti elementi della politica moderna, quelli che Tronti chiama il grande `900. Quando rifiutano la guerra come soluzione dei conflitti, fanno propria e diffusa la dichiarazione delle Nazioni unite del secondo dopoguerra - la domanda cui né essi né noi rispondiamo è perché questa acquisizione comune sia andata perduta. Analogamente, Melfi o Terni non sono una nuova invenzione della lotta di classe, né Scanzano è una rivolta popolare «neoidentitaria» (fortunatamente): sono grandi riscoperte e riattraversamenti dopo la caduta conflittuale degli anni `90. Insomma una elaborazione fra politica, cultura e soggetto sociale diretto è da fare.

E rispetto a questa urgenza la diatriba sul vecchio e il nuovo non ha grande interesse. Proporrei di passare dal metodo: chi ha diritto e possibilità di darsi da fare per l'alternativa? al merito: in che consiste l'alternativa? E vedo due problemi. Il primo è che la costituzione di una sinistra deve ridiscutere la rappresentanza - pena la riproduzione dei propri vizi o la dissoluzione in una forma di populismo o la mera ripetitività dello slogan «la politica è in crisi». E questo rimanda anche a grandi e irrisolte questioni di teoria (e di storia). Ma non impedisce alle forze politiche in campo, anzi, di esporsi subito. Infatti, come si può affermare sul serio, per esempio, una priorità del pubblico sul privato senza riproporre il problema di chi decide? Dei diversi livelli delle istituzioni e del loro rapporto con una partecipazione non istituzionalizzata? Si possono difendere i diritti del lavoro o avanzare un programma di pieno impiego senza definire le istanze decisionali pubbliche e non solo legate al conflitto sui luoghi di lavoro ma ormai perfino continentali? Su questo punto si sfugge sempre per paura di essere accusati di statalismo. Il secondo problema è che un'alternativa esige una presa di posizione, con relative tappe e alleanze, sul tema se essere antiliberisti (cosa che tutti affermano) non significhi anche essere anticapitalisti, almeno nel medio termine, almeno nell'orizzonte che ci si dà. Anche su questo le sinistre sfuggono. Per molti di essi il potere sul modo di produzione è indifferente, il lavoro non è più «al centro» (espressione sempre un po' ridicola); il conflitto non sarebbe più che un esercizio ginnico. Con i codicilli che ne conseguono, la libertà viene prima dell'uguaglianza, la persona prima della società, e avanti di questo passo. Qui sta il nodo gordiano che divide la sinistra radicale da quella moderata, ma investe anche la maggioranza dei movimenti. Penso non solo a Galtung e a Latouche ma ai miei amici e compagni di Carta, a certe tesi negriane, a tutto l'ecologismo.

Un'alternativa agibile che non sia soltanto un'affermazione di dover essere ha questo orizzonte e insieme deve mediarlo subito. Il 15% di cui parla Asor e le sigle che lo hanno raccolto e i movimenti che lo hanno da lontano o da vicino sorretto sono costretti a porsi ambedue questi problemi. Che Berlusconi se la cavi o no, per il governo delle destre è suonata la campana. L'ha suonata il centro. Tutte le sinistre sono rimaste assenti. Restarlo nel passaggio che si va delineando sarebbe una responsabilità grave.

Avrei voluto scrivere questo articolo prima delle ultime consultazioni elettorali (europee e amministrative). Anzi, avrei dovuto: perché qualcuno potrebbe ora pensare che il mio discorso ne risulti influenzato. Invece no: quel che è successo con le elezioni (andate abbastanza bene, comunque) e quel che dopo, cioè ora, sta succedendo come effetto di quelle, ha al massimo accelerato i processi e aumentato la confusione in atto: non ha modificato alcuna delle tendenze di fondo e soprattutto non ha risolto nessuno dei problemi che ci stanno sul collo da almeno quindici anni (che è, in politica, un tempo infinito). Anzi: come ho già detto, la confusione invece di attenuarsi è al massimo, e per giunta in ambedue i campi contrapposti. L'esito non del tutto irrealistico potrebbe essere il crollo della Seconda Repubblica prima ancora che sia nata e un ritorno, per giunta degradato e sotto tono, alla Prima (cui molti stanno già lavorando). Verrebbe voglia di dire: fermiamoci un momento e riflettiamo: dove stiamo andando? e soprattutto: dove vorremmo andare? Farò un ragionamento in punto di logica e non di fatto. E' vero: i padri fondatori del pensiero moderno ci ammoniscono che la politica non ha a che fare con la logica ma con il fatto. Tuttavia: possono sussistere e per giunta esser guardati con favore fatti deprivati di qualsiasi logica? Il mio contributo aspirerebbe a verificare la possibilità di riaccostare le due sfere invece di rassegnarsi a darle per costitutivamente separate, anzi contrastanti.

Parlo del centro-sinistra, ovviamente. Io continuo a pensare che, sul piano della logica, la soluzione migliore sarebbe una federazione di forze di sinistra, dai Ds a Rifondazione, che dialoghi, dentro un quadro organico e irrinunciabile, con la componente più moderata del centro-sinistra (la Margherita, e quant'altro). Devo ammettere, però, che in questo caso, la divaricazione tra logica e fatto sembra ormai irreversibile. La maggioranza dei Ds tende a federarsi, e secondo taluni a fondersi, con la Margherita. Il fatto è che ad una logica formale si contrappone qui una logica più sostanziale: Prodi, Fassino e D'Alema sono attratti l'uno verso l'altro da una visione moderata sempre più condivisa (quindi, il mio appello alla logica funzionerebbe in definitiva anche in questo caso). Gli si oppongono infatti, significativamente, le componenti più schiettamente Dc della Margherita, capeggiate, udite, udite!, da un singolare democristiano di recentissimo completamento, Francesco Rutelli, le quali pensano in questo modo, per l'appunto, di favorire un ritorno alla Prima Repubblica.

In questo quadro, scartata la prima ipotesi come troppo irrealistica per esser logica, io trovo che il tentativo confederativo (e forse fusionale) degli «Uniti per l'Ulivo» (ossia il partito prodiano) sia da guardare con favore. Se la pensano davvero allo stesso modo, se nutrono più o meno gli stessi valori, perché non dovrebbero stare insieme? Si tratta di quella federazione o concentrazione o partito del 30 per cento, che costituirebbe la consistente (ma non schiacciante) ala moderata del centro-sinistra italiano. Condizione ne sarebbe che la manovra distorsiva rutelliano-democristiana sia battuta (e questo, come dirò più avanti, sarebbe già un bel guadagno).

Ma, naturalmente, io contemplo le vicende dell'ala moderata del centro-sinistra in maniera ormai distaccata, da osservatore imparziale, che si sforza di apprezzare le prospettive logiche dovunque esse si manifestino (e questa mi sembra tale). Sarei più interessato a introdurre elementi di logica nella sinistra del centro-sinistra, che in questo momento m'interessa di più.

Qui, se possibile, la situazione è molto più confusa e caotica che nell'ala moderata del centro-sinistra, il che è tutto dire. Nonostante gli innegabili passi avanti compiuti da Rifondazione comunista con l'operazione Sinistra europea, a me pare che le divisioni organizzative, i risentimenti personali, i crediti elettorali acquisiti (che a chi s'accontenta possono sembrare anche un cospicuo patrimonio), la forza inerziale di sopravvivenza dei vari personali politici, disegnino una situazione di frammentizzazione e di debolezza, che rappresenta il ricalco automatico e del tutto sterile di frammenti minoritari storici del mondo politico della Prima Repubblica. Dobbiamo ammettere che nel campo moderato del centro-sinistra un'ipotesi strategica è emersa; qui nulla.

Il rischio è che, in caso di auspicabile vittoria elettorale, ognuno dei cespugli della sinistra faccia da partner, contrattabile, alla federazione moderata, in tal caso necessariamente egemone. Al contrario, la forza elettorale di questo ambito (che va dal Correntone Ds a Rifondazione ai movimenti) è stimabile realisticamente, come s'è visto, intorno al 15%: una forza enorme se presa nel suo complesso, in grado di determinare diversi rapporti di forza all'interno del centro-sinistra e d'influire in maniera decisiva sulla formulazione dei programmi di governo.

Sarebbe logico, dunque, che nascesse una confederazione di sinistra organicamente collocata nel centro-sinistra, come ne sta nascendo una moderata. Però... Però io penso che su questo versante la domanda non possa non essere maggiore e più impegnativa: rappresenta uno dei punti d'onore (e dei rischi peggiori) della sinistra di tutti i tempi non accontentarsi delle mere convenienze. La domanda dunque diviene la seguente: esistono le condizioni minimali comuni perché questa confederazione vs fusione si possa realizzare come nel caso dei moderati del centro-sinistra?

Per dare una risposta a questa domanda, com'è sempre stato nelle tradizioni migliori della sinistra italiana (ed europea), bisognerebbe spostare il campo d'osservazione dalla politica alla cultura, e la domanda dovrebbe essere ulteriormente riformulata in questo modo: cos'è una cultura di sinistra oggi in Italia (e in Europa)? a quali interessi intende rispondere? quali convinzioni ideali la tengono insieme? Più radicalmente ancora: può esistere una cultura politica di sinistra nelle condizioni date della globalizzazione?

Su questo non una parola seria (solo slogan) nel corso dei famosi ultimi quindici anni. Per forza che ci ritroviamo solo piccoli scheletri organizzativi e militanze molto solide ma molto chiuse, legate alla forza residuale delle rispettive tradizioni. Qui non basterebbe la confederazione delle piccole forze esistenti, così come sono, ci vorrebbe una riflessione comune sui fondamenti. Se a qualcuno interessa, si può tentare di farla.

Infine. Tutto il ragionamento sta in piedi solo se non si torna indietro dal sistema bipolare al sistema proporzionale. Questa è la cartina di tornasole che evidenzia la distanza enorme tra chi intende ancora approfittare delle opportunità offerte tutto sommato dall'impianto istituzionale della Seconda Repubblica e chi vuole tornare al metodo della contrattazione permanente e multilaterale di ognuna delle forze nei confronti di tutte le altre. La logica anzi vorrebbe che, proprio per portare avanti il disegno rinnovatore del centro-sinistra, di tutto il centro-sinistra, il sistema bipolare fosse rafforzato in senso maggioritario. C'è qualcuno disposto ad ascoltarlo nella sinistra del centro-sinistra? Se non c'è, inutile parlare di nuova cultura mentre in politica stiamo tornando vertiginosamente alla vecchia.

La discussione aperta da Asor Rosa sul e - con toni diversi e in altri luoghi - da Bertinotti e da Mussi prima e Occhetto e Ingrao poi mette in fila alcuni punti chiari e alcune ipotesi programmatiche nette. Soprattutto avanza un «metodo» di lavoro originale nel modo di intendere i rapporti a sinistra. I punti chiari di analisi - mi scuso per lo schematismo - sono strettamente connessi con la ridefinizione del quadro politico italiano: alla luce dello sfaldarsi del blocco berlusconiano (uno sfaldamento che non è ancora un «tutti a casa») dovuto anche all'azione dei movimenti e alla luce del progetto politico della Federazione dell'Ulivo. Processi legati tra loro più di quanto si pensi, con una scelta chiara da parti del gruppo dirigente dei Ds e della Margherita di concentrare, versus un fantomatico centro, una proposta politica e programmatica più moderata dell'intera coalizione. Una scelta quest'ultima dal doppio effetto: rendere più complessa una definizione cultuale, identitaria e programmatica della grande alleanza democratica; consegnare ad altri - tutti da venire - il compito di rappresentare quelle istanze più radicali del lavoro, del welfare universalista, della supremazia del pubblico in materia di beni comuni, nonché di una pace come scelta politica definitiva in un contesto unipolare. L'ipotesi di lavoro originale è infine nell'idea che si lavori nel costruire un vasto schieramento politico e culturale, a partire dalle proprie «postazioni», rimanendo ognuno nelle proprie realtà (partitiche, sociali, di movimento) in un modo nuovo di essere ed esprimere soggettività complesse. Un metodo, aperto e partecipativo, che è al contempo prassi ma anche fine (la democrazia).

Da qui l'esigenza di un profondo sforzo per definire idee, progetti, valori condivisi in quella che per definizione è una sinistra ampia, presente in molti partiti, ma soprattutto nella società (sindacato, associazioni, movimenti). Un'esigenza resa ancora più forte a partire dalla «lezione americana» che vede non solo Bush vincere alla grande, ma soprattutto come i ceti più popolari - quando non trovano un'offerta politica attenta ai loro bisogni sociali - divengano preda di una sindrome di «insicurezza» e di abbandono, che trova poi nella destra la risposta più efficace.

Un'esigenza infine che va interpretata nell'immediato in una doppia direzione: da un lato impedire che si porti a compimento un processo che scaverebbe un solco difficilmente colmabile tra i cosiddetti esponenti del Partito Riformista e i radicali, impedendo una più ampia partecipazione ai mille soggetti sociali, della società civile e dei movimenti che si riconoscono esclusivamente nella Grande Alleanza Democratica; dall'altra produrre quell'esplosione di idee, progetti e partecipazione che permetterebbero non solo di sconfiggere Berlusconi, ma di delineare un progetto e una forma della politica alternativa al berlusconismo, a quel mix di provincialismo e autoritarismo che in questi anni, dai luoghi di lavoro, alla scuola, fino alle istanze costituzionali abbiamo visto dispiegarsi con una forza e coerenza impressionante.

Credo che quest'ultimo processo, più complesso di una semplice sommatoria di gruppi dirigenti diffusi e di illustri pensatori, possa non solo dare quella legittimità reale che la ledearship di Prodi necessita, ma soprattutto possa delineare un «campo da gioco» nuovo dove tutti, con le proprie diverse autonomie e diversi ruoli, siano in grado di portare quell'elaborazione e quella pratica democratica che ha caratterizzato gli ultimi anni di mobilitazioni e iniziative.

Superando quella empasse in cui gli stessi movimenti, le organizzazioni sociali, i tanti cittadini e lavoratori si trovano quando sono chiamati a un confronto a più dimensioni, un confronto che - come ben sottolinea Ingrao su Liberazione di sabato - non può eludere la questione del potere e della rappresentanza istituzionale.

Dentro questa cornice la proposta di Asor Rosa non solo è la benvenuta, ma esprime una necessità evidente: quella di offrire in modo nuovo e non gerarchico un processo di discussione collettiva aperta a tutti. Definire parole d'ordine comuni, programmi che siano espressione di un alterità anche valoriale è oggi l'urgenza più sentita da chi in questi anni ha alimentato non solo una forte e popolare opposizione al modello neoliberista internazionale e nazionale (con tutte le peculiarità populiste tipiche del nostro paese), ma anche di chi non si accontenta di battere Berlusconi per «consunzione dell'avversario».

Come sindacalista e uomo di sinistra ovviamente sentirei l'esigenza di immettere in questa discussione l'importanza fondamentale di una ricostruzione di identità a partire dal lavoro, dalla buona e stabile occupazione (strumento di emancipazione sociale e di libertà, prima ancora che semplice strumento economico), della giusta redistribuzione dei saperi e delle tecnologie, della costruzione di una rete più ampia di diritti di cittadinanza oltre l'egemonia di un mercato selettivo. E la grande questione della pace, come precondizione per un progresso amico dei più, dei popoli e dei lavoratori.

Ma se avremo tempo per approfondire questi temi di cui cito soli i titoli, oggi l'urgenza è definire chiaramente il come, il fine e il quando dar vita a questa nuova avventura di idee e speranze. La sinistra sociale non potrà non esserne partecipe e interessata.

L'Assemblea del Senato ha approvato il ddl n. 1296-B, con il maxiemendamento che delega il Governo a riformare l'ordinamento giudiziario per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti, oltre che per la riforma delle carriere e per l'esame per la valutazione della capacita' psicoattitudinale a esercitare le funzioni di magistrato.

Il testo torna ora all'esame della Camera per l'approvazione definitiva. Come reazione la Giunta Esecutiva Centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati, come preventivato dal Comitato Direttivo Centrale il 26 settembre scorso, ha proclamato l'astensione dalle udienze per il giorno 24 novembre 2004 con le modalita' stabilite dal codice di autoregolamentazione.

Il parlamentino delle Toghe ha commentato anche che " l'ANM, raccogliendo gli inviti al dialogo, non ha mancato fino all'ultimo di fornire il suo contributo di approfondimento e di proposta" ma "il Governo ha dimostrato una totale chiusura di fronte agli appelli al dialogo e alla unanime critica degli operatori della giustizia e del mondo accademico". A giudizio dei magistrati, la riforma approvata "pone in crisi il diritto dei cittadini ad avere un giudice indipendente da ogni altro potere e opera nella direzione opposta a quella di processi piu' rapidi ed efficaci."

Dieci giorni fa il Gruppo europeo dell'Unione Internazione dei Magistrati, dal Messico, dove teneva un meeting mondiale, aveva inviato un messaggio a sostegno della posizione dell'ANM, considerando che "l'attuale sistema giudiziario italiano e' stato preso a modello in numerosi altri Paesi europei… in quanto e' sicuramente uno dei più in linea con gli standard internazionali previsti dai documenti internazionali come".

Il documento citava "ad esempio, i principi base per l'indipendenza del sistema giudiziario fissati dalle Nazioni Unite (1985), la raccomandazione n. R(94)12 del Consiglio dei Ministri del Consiglio di Europa agli Stati membri sull'indipendenza, l'efficienza e il ruolo dei giudici (1994), la Carta Europea dello Statuto dei giudici del Consiglio d'Europa (1998), lo Statuto del giudice in Europa fissato dall'Associazione Europea dei Giudici (E.A.J.) e lo statuto universale del giudice dell'Unione Internazionale dei Magistrati (I.A.J.)."

L'organizzazione, rappresentativa dei magistrati di 65 Paesi del mondo, chiedeva pertanto "alle autorita' italiane di riconsiderare" la proposta di riforma dell'ordinamento che e' stata invece approvata quest'oggi.

La recente proposta di Francesco Rutelli di un tavolo di confronto sulla giustizia aveva suscitato commenti favorevoli da parte della magistratura e una dichiarazione di disponibilita' da parte del ministro della Giustizia Roberto castelli, il quale pero' ha piu' volte mostrato e dichiarato di voler portare a compimento la riforma prima della fine dell'anno.

Speciale Giustizia

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Quel che mi interessa nella proposta di Alberto Asor Rosa è che si crei una Camera di consultazione permanente della sinistra «radicale» - quella che ha espresso il famoso 13,5 per cento dei voti ma poi non si è più neppur consultata. E' importante che essa e il suo settore più rilevante, Rifondazione Comunista, abbiano stabilito con Romano Prodi un accordo per battere la Casa delle libertà e per far fronte alla spinosa eredità che questa lascerà a un eventuale governo delle sinistre. Questo accordo è non solo necessario per togliere di mezzo Berlusconi, ma per assicurare che un governo delle sinistre non sarà perpetuamente in crisi. Nessuna delle due condizioni è finora garantita. Il vento che tira non è progressista e tantomeno riformatore o rivoluzionario. La vittoria di Bush dice che oggi l' appeal è quello di una destra dura, decisionista, ultraliberista, che risponde all'insicurezza con la guerra e considera un'anticaglia che le controversie internazionali siano affrontate con mezzi politici e discusse in un foro come l'Onu. E davanti al voto plebiscitario del 2 novembre, le sinistre europee sono colpite e disorientate. Da noi, Ds e Margherita esortano a indagarne i motivi, ed è giusto, ma aggiungono che si tratta di andare loro incontro, ed è sbagliato. Non tutto quello che esprimono le viscere di un paese arroventato da un leader bellicoso è da coltivare: si rischia di ripetere l'errore di considerare un passo avanti tutto quel che avviene apparentemente dal basso, come a suo tempo D'Alema considerò progressista il populismo della Lega. E dedurne che quel che occorre è conquistare un «centro», zona incerta né di destra né di sinistra ma un po' di tutti e due, che vorrebbe dire ripetere l'errore dei governi Prodi, D'Alema, Amato del 1996-2001 e della campagna elettorale di Kerry. L'opposizione deve avere un progetto che agli stessi problemi non da' le medesime risposte della destra: siamo un paese di interessi divisi, la Casa delle libertà ha ulteriormente approfondito la divisione, occorre dire a chi, su chi e a quale fine la Gad si rivolge, e da qui cercar di conquistare una maggioranza. Così del resto hanno fatto, da parte loro, Berlusconi e Bush. Se no si è perduto in partenza.

Ma precisare questo progetto non è semplice. Io credo che le divergenze fra le sinistre non dipendano dalla mancanza di buona volontà o da piccoli calcoli di partito. Da oltre venti anni la sinistra è in sofferenza, sotto l'assalto di una restaurazione che ne ha messo in luce le debolezze (nell'implosione dei socialismi reali e nel terremoto tecnologico e politico dell'occidente capitalistico), ha mutato strutture materiali e composizione delle classi, ha modificato la percezione delle possibilità e dei bisogni. Insomma, la sinistra paga aspramente una sconfitta storica. E' inutile negarla. Non si spiega altrimenti né l'impaurita flessione moderata dei Ds, né la tormentosa ricerca di referenti in Rifondazione comunista. E per questo gli appelli emotivi e apparentemente di buon senso all'«uniamoci tutti», che partono ora di qua ora di là, concludono ben poco. Meglio ricordare che la stessa riscossa antifascista partì da un riesame della situazione che aveva di fronte, dei suoi paradigmi e dai punti sui quali doveva essere incardinata la repubblica da conquistare.

Oggi l'opposizione fatica e nell'analisi e nella proposta. Mi limito soltanto a tre esempi.

Primo. Nessuno dava per scontato il secondo mandato di Bush, mentre è stato un trionfo. Esso da' la misura esatta del mutamento dei rapporti di forza e dell'idea di convivenza nel mondo che erano seguiti alla seconda guerra mondiale: nel 1946 si concluse che la guerra sarebbe stata bandita dalle controversie internazionali (che nessuno era così sciocco da ritenere finite) e che il governo delle contraddizioni e dei fini andava discusso da un direttorio che avrebbe rappresentato tutti i popoli e gli stati. Non si disse, ma era giudizio comune, che era anche il metodo per regolare il conflitto delle due grandi potenze rappresentanti due diverse idee di società.

Caduta l'Urss, virato quel che restava dei socialismi reali verso forme di autoritarismo politico e capitalismo economico, la sinistra europea si è limitata all'inizio a sperare che la sola grande potenza rimasta, gli Stati Uniti, si desse il ruolo di una sorta di giudice di pace. E' avvenuto il contrario e non soltanto dopo l'11 settembre, che ha offerto un sanguinoso pretesto in più: nel corso degli anni Novanta gli Stati Uniti hanno deciso che spettava a loro governare il pianeta al di qua o al di là di ogni assise internazionale di diritto, e a questo fine si sono riservati la decisione di imporre con la guerra il proprio modello. E affermando di battere il terrorismo, come prima frontiera, hanno spedito armi ed eserciti nel braciere del medioriente. Di fronte alla conferma popolare del 2 novembre, l'Europa è rimasta interdetta e la sinistra si divide fra una «accettazione moderata» della linea di Bush e una protesta che, anche quando mobilita le masse, non incide sui poteri se non riesce a cambiare i governi (Zapatero). I richiami alla carta dell'Onu e alla Costituzione italiana restano inoperanti: anche per la maggior parte delle sinistre la priorità del diritto stabilita nel 1946 e nel 1948 è più o meno tacitamente abbandonata. Ne deriva anche l'incertezza della fisionomia di una Europa appena nata e le spaccature al suo interno sulla collocazione internazionale.

Eppure proprio in questo mutamento degli equilibri mondiali l'Europa sarebbe in grado di avere un ruolo decisivo, costituendo una regione più grande per popolazione e bilancio degli Stati Uniti, se assumesse come strumenti politici l'interdizione della guerra e l'opera della diplomazia e della mediazione politica. Non si tratta di separarsi conflittualmente dagli Stati Uniti, ma di affermare una differenza dalla linea dell'attuale amministrazione americana, che fra l'altro non sarà eterna. Per prima cosa, oggi come oggi, rivendicando una funzione principe nel medioriente, con il quale confina, chiudendo sulla linea di Ginevra almeno il primo focolaio dei conflitti, quello fra Israele e Palestina.

Secondo problema. Non credo che a riemergere sia, come si usa dire, la questione del «lavoro» ma quella dei «diritti del lavoro». La prima passa ovviamente la mano alle imprese, sole in grado di offrire o ritirare occupazione, precaria o meno, in una globalizzazione ingovernata, salvo che dalle multinazionali, che permette loro di giocare su tutti i tavoli del pianeta il minor costo della manodopera. Anzi competizione e concorrenza quasi ve le costringono. I «diritti del lavoro» - bisognerà pur dirlo - non stanno nella logica dell'impresa, né del mercato, né della competizione, né della concorrenza. La piena occupazione non è una priorità, ma una variabile assoluta nella logica della libera circolazione dei capitali, sulla quale alla sfera politica, statuale o continentale, è impedito di mettere mano. Possibile che nessuna delle sinistre abbia finora il coraggio di dire che è su questa, e dunque sulle regole di Maastrischt e di Amsterdam, che occorre intervenire? E non limitarsi a dirlo ma ad elaborare un tragitto, delle alleanze, delle tappe? Vale quello che su queste colonne ha scritto Emiliano Brancaccio, e non è faccenda del solo sindacato, né di quello di un solo paese: esige che sia fatta pressione sulla struttura puramente monetaria sulla quale la Ue finora si tiene. E' un progetto di lunga lena, cui nessuna lotta isolata, per quanto significativa - e tantomeno i sussulti gestuali di piccolissime minoranze - può far fronte. Tocca al complesso della sinistra radicale e non, in maggioranza, in minoranza e nei movimenti, ripensare gli assetti del capitalismo, le formule delle socialdemocrazie e quelle dei socialismi. E' urgente, e non è affatto già dato nel senso comune delle società complesse. E' da questo soltanto che possono uscire in forma non politicista e fragile i programmi con le loro interne mediazioni e tappe.

Per terzo, la crisi della politica, che si esprime nell'indifferenza, nel ritiro al privato e nel crescente astensionismo. C'è una situazione paradossale: le masse sembrano mobilitabili solo dalla destra più tradizionale, tipo le ultime elezioni americane, o all'opposto da un levarsi fortemente critico della politica da parte delle coscienze dei movimenti. Questi ultimi contraddicono la tendenza alla spoliticizzazione, ma contestano tutte le forme istituzionali, che sono poi i meccanismi della democrazia. Diamo a questo problema il suo vero nome: è una crisi della democrazia nell'occidente, cui da fa contraltare il ritorno, nei paesi terzi, del ripiegamento su soggettività arcaiche, come i fondamentalismi religiosi e le etnie. Contro le istituzioni vanno oggi sia la sottovalutazione dei poteri propria della generosità ma anche dell'incultura di molti movimenti, sia la seduzione che esercitano anche su soggetti smaliziati i vecchi «valori».

Non basta. Se la rappresentanza ha la febbre dovunque, è una ferita aperta sul versante del pensiero femminile più avanzato della fine del secolo scorso. Esso correttamente imputa al pensiero politico moderno l'assenza di un «contratto» fra i sessi, anzi ne rimuove il conflitto. Asor Rosa lamenta l'assenza dal dibattito delle femministe: ma non ricorda che a uno dei più importanti rivoluzionamenti del paradigma politico e antropologico degli anni recenti, le sinistre non hanno dato alcuna reale attenzione. Un abisso rimane fra le categorie del politico e la riflessione femminile, e produce uno stallo da una parte e dall'altra.

Mi sono limitata a ricordare tre nodi cui si connettono molti altri. Li sottopongo al dibattito solo per dire che ci sono fasi nelle quali analisi, elaborazione ed azione politica sono la stessa cosa. Uno spazio non solo per confrontarsi ma per lavorare assieme è essenziale.

Concordavo con l'articolo di Asor Rosa pubblicato all'inizio dell'estate, concordo ora con la sua proposta d'incontro «tra quelle forze della sinistra che, sebbene disperse, continuano a resistere alla manovra riformistico-moderata». Un autorevole esponente del Manifesto mi ha sgridato perché non intervenni allora. Non lo feci per non tediare: avevo scritto qualcosa di analogo sulla Rivista del Manifesto di quel medesimo mese di luglio, e l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, cui partecipo, aveva, subito dopo le elezioni europee - in verità anche prima di esse - espresso una propria posizione indirizzata a quel medesimo fine unitario. Anzi, per merito di alcuni sindacalisti tra cui primo era Claudio Sabatini, scomparso proprio mentre si preparava quell'iniziativa, avevamo lavorato per molti mesi in quel «Forum per un'alternativa programmatica di governo» che vide insieme Verdi, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, sinistra d.s., oltre che la Fiom, la sinistra della Cgil, esponenti più o meno ufficiali di alcuni sindacati e di numerose associazioni dei movimenti. Dopo molte assemblee si arrivò alla stesura di documenti su lavoro, politiche istituzionali, ambiente, politica internazionale. Sono testi assai poco noti ma che rimangono come testimonianze di quel che Asor Rosa ha ricordato: la concordanza politica su molti punti tra quelle forze che si collocano alla sinistra della federazione riformista , una concordanza che rende più difficile spiegare le divisioni.

Dopo le elezioni europee - che avevano rafforzato la sinistra e impoverito la lista composta da Ds, Margherita e Sdi - quella esperienza anziché continuare sia pure modificandosi, magari radicalmente, si interruppe. Apparentemente, un paradosso. In sostanza fu la prova che l'incontro tra gruppi dirigenti, pur necessario, non solo non basta ma non tiene e non può tenere se l'accordo programmatico suggerito, o imposto dai fatti non si radica sugli elementi essenziali di una comune cultura politica di visione della realtà, che ancora manca. La litigiosità o anche i personalismi sono l'effetto di questa mancanza, che nasce dalle sconfitte passate e dallo sfondamento culturale da destra.

E' ben chiaro, naturalmente, che ci troviamo comunque in una situazione più avanzata di qualche tempo fa. E' un fatto grandemente positivo la costituzione di quella alleanza democratica che viene sorgendo dichiarando di volersi fondare su una intesa politica e un programma comune e non, come fu nel `96, su un accordo elettorale di desistenza. Ed è ormai una frase fatta l'affermare che, non basta proporsi di battere questo governo indecente, poiché si tratterà, poi, se si vince, di guidare il Paese in una situazione certamente difficilissima come quella creata in ogni campo dal berlusconismo, dalle guerre, da una generale incertezza economica, dai pesanti vincoli esterni. Ma, proprio perciò, sarebbe essenziale il costituirsi di quell'incontro a sinistra ora proposto da Asor Rosa e poi accolto e ulteriormente precisato dal direttore di questo giornale. Il bisogno di un tale incontro a me pare, non risiede soltanto in un desiderio abbastanza diffuso di superare, per quanto gradualmente, una frammentazione che è in se stessa motivo di debolezza della sinistra nella coalizione e della coalizione medesima. C'è - assai di più e di più decisivo - il fatto che quello che viene oggi chiamato «riformismo debole» (ma che ha scarsa parentela anche con il riformismo «debole» di cui si discusse in passato) non ce la può fare dinnanzi ai problemi che vengono posti dalle trasformazioni profondissime di cui siamo testimoni e partecipi.

Quella che chiama se stessa «sinistra di governo» in realtà soffre di una profonda arretratezza, come dimostrò la sua sbandata neoliberista, ancora oggi non superata. Non so se Blair riuscirà a sostituire una parte dell'elettorato laburista con un po' di elettorato conservatore per vincere le prossime elezioni, ma mi pare evidente che la sua visione (quella di Gyddens) è in ogni modo pienamente fallita e non solo per la terribile colpa della guerra in Iraq. La comprensione del valore fondante dell'immaginario e del simbolico (basta pensare ai poveri degli Stati Uniti che votano Bush), la consapevolezza delle trasformazioni nella produzione e nel lavoro, l'insegnamento femminile sulla differenza - e tanto ancora - chiedevano e chiedono un ripensamento radicale del contrasto tra gli interessi e le classi, non la sua negazione. Per la sinistra italiana (compresa quella che veniva dal Pci) il problema non era la scoperta della democrazia, cui si era stati sempre fedeli nella teoria e nella pratica, o nella scoperta del mercato, mai avversato in economia. Il problema della sinistra era ed è come rendere vivente la democrazia in una società di così grandi disparità economiche e di come affrontare i temi che il mercato non vede o i guasti che in esso medesimo determina la pretesa della sua assolutezza.

Il problema era e rimane quello della comprensione della insufficienza del compromesso socialdemocratico fondato sulla idea della redistribuzione della ricchezza creata da uno sviluppo che le forze economiche dominanti avrebbero continuato a promuovere. Quando questo sviluppo, pur nella piena vittoria del modello capitalistico sul piano mondiale , ha incominciato a manifestare le sue ineliminabili contraddizioni (il limite delle risorse, l'impossibilità di rendersi universale), è venuto diventando più chiaro che senza un nuovo compromesso che intervenisse anche sul modo di formazione della ricchezza, la stessa politica della redistribuzione avrebbe subito colpi mortali come sta avvenendo puntualmente sul piano delle retribuzioni, dei diritti e dello stato sociale. E si sarebbero create - come è oggi visibile - nuove tendenze antidemocratiche e nuove spinte alla guerra. La mancanza del fondamento sul lavoro e dunque della sua rappresentanza ostacola il bisogno di ripensare criticamente un modello di organizzazione della società che se è lasciato al potere assoluto del capitale tende ad una paurosa involuzione. E da quel fondamento che può nascere non solo una nuova idea di giustizia sociale, ma una nuova ansia di libertà per tutti in luogo dell'asfissia delle libertà per i pochi. La riorganizzazione del moderatismo progressista è utile. Ma senza una sinistra critica e propositiva esso stesso è condannato alla sconfitta, come abbiamo già visto, dopo cinque anni dal governo del centro-sinistra. Certo, il fatto che si sia registrato uno scacco ogni qualvolta si sia cercato di raccogliere le energie disperse può indurre alla sfiducia. «La pazienza e le forze sono al limite» dice Asor Rosa. E' un sentimento comune a molti (tra cui sono anch'io). Conforta, però, il vedere che tutto questo provare e riprovare non è invano. E, infatti, nell'idea che una grande coalizione democratica abbia necessità di una sinistra autonoma, unitaria, capace di pensiero alternativo e di attitudine al governo, ci si ritrova oggi anche tra compagni che si sono aspramente divisi nel passato. Buon segno. Credo di conoscere bene le difficoltà, anche solo per un laboratorio di idee. Le abitudini mentali e le collocazioni concrete più o meno consolidate fanno ostacolo non già alla immaginazione dei modi di un possibile incontro, quanto ai contenuti di quel «modo nuovo» di far politica senza cui, si afferma giustamente, non ha senso incominciare una esperienza con qualche ambizione. Una ricerca di fondamenti condivisi implica anche una discussione sulle pratiche politiche, a partire dai molti vizi comuni. Il burocratismo, le piccole e grandi contese di potere, il fastidio per la democraticità e per il lavoro collettivo non sono patrimonio negativo di una parte sola. C'è da riscrivere molte convinzioni, ma c'è anche da ripensare i comportamenti. Le piccole cose sono quelle più dure da affrontare. Dirsi di sinistra, come si sa, non basta più in alcun modo senza dimostrare di esserlo.

Le foto sono tratte da “Ville esclusive & Resorts”, edito da Archideos, curato dal fotografo Giancarlo Gardin, scritto da Isabella Brega e Marco Biagi.

Gian Antonio Stella per Corriere della Sera-Magazine

Di camminare sulle acque, per ora, non gli era ancora riuscito. Ma SilvioBerlusconi non è uomo da perdersi d’animo. E si è fatto progettare nella sua tenuta di Porto Rotondo un breve camminamento a pelo d’acqua che solca il magnifico laghetto al centro del cosiddetto «anfiteatro» di duemila piante grasse. Per adesso si allena lì, per Tiberiade si vedrà. Plasmare la natura gli piace. E su questo ha trovato una splendida intesa con il suo Vanvitelli personale, l’architetto Gianni Gamondi, individuando un obiettivo apparentemente ambizioso messo nero su bianco: il «perfezionamento della natura naturans in natura naturata».

Non è che a Dio, infatti, vengano tutte giuste. Ad esempio, raccontano, il Cavaliere si ferma di tanto in tanto davanti a certe grandi rocce dalle parti dell’anfiteatro simil-greco e le guarda perplesso: forse, lavorando di mola e scalpello… Mica facile, correggere le imperfezioni altrui. Lui ci prova. E lo dimostra un libro straordinario in vendita nelle migliori librerie specializzate. Si intitola Ville esclusive & Resorts, è edito da Archideos, curato dal fotografo Giancarlo Gardin, scritto da Isabella Brega e Marco Biagi e illustra ville e giardini progettati dall’architetto Gianni Gamondi, figlio della nobile colonia italiana di Alessandria d’Egitto ma cresciuto, laureato e affermatosi a Milano.

Un libro prezioso. Tra le creature di cui va orgoglioso l’architetto ha inserito infatti, sia pure senza nominare il padrone di casa, l’intera tenuta Certosa di Berlusconi: dalla villa principale (progettata a suo tempo per il faccendiere Flavio Carboni, l’uomo sullo sfondo della misteriosa fuga del banchiere Roberto Calvi finita con la sua morte sotto il ponte dei Frati Neri a Londra) alle dependance, dal viale per gli ulivi all’«agorà», dalla torretta «in guisa di nuraghe» al museo dei cactus.

Risultato: non solo è per la prima volta possibile vedere pezzo per pezzo la residenza sarda del capo del Governo. Ma perfino una mappa della tenuta. Mappa quasi completa: la villa, la cascata, la casermetta, la torretta, la quercia, il lago, l’agrumeto, con i rilievi costieri e le quote altimetriche: tutto. Il che, diciamolo, è una curiosa bizzarria all’italiana.

Più leggendario di Tiberio. Tutte le piante dell’area, tutti i progetti, tutti gli atti procedurali che hanno portato alla realizzazione della Chambord smeraldina sono stati blindati ai primi di maggio, per motivi di sicurezza nazionale, da due decreti di Pietro Lunardi e Beppe Pisanu. Due decreti così segreti ma così segreti che i legali di Sua Emittenza, dopo averli mostrati ai magistrati che avevano aperto un’inchiesta su eventuali abusi edilizi nella tenuta (in larga parte sdraiata entro quella fascia di 300 metri dal mare sottoposta a vincoli rigidissimi, che la difesa contesta) si sono rifiutati di far fotocopiare. Un capolavoro: «i segreti di Stato» negati ai giudici e ai vigili urbani sono pubblicati a pagina 232.

Anche non ci fosse questa chicca, però, il libro sarebbe da non perdere. Vi si vede infatti crescere (con una certa elasticità sui permessi) una reggia vacanziera come, satrapi arabi a parte, non se ne vedeva da un po’. Una reggia che aspira a seguire il solco di villa Pisani a Stra, del castello di Chenonceau sulla Loira o della Villa d’Este di Tivoli voluta da Ippolito II. Paragoni spericolati? Neanche tanto, se un giornale amico come il Foglio è arrivato a paragonare la Certosa alla leggendaria domus Jovis, sul cucuzzolo di Capri, dove l’imperatore Tiberio (che per Tacito si vergognava a farsi vedere in giro per il «nudus capillo vertex», cioè la crapa sempre più pelata) si trasferì per governare Roma attraverso i segnali luminosi con l’avamposto militare di Punta Campanella da cui con quella specie di «telegrafo» antico arrivavano all’Urbe.

Certo è che le «migliorie apportate alla sua proprietà da un privato cittadino», come le ha descritte il portavoce Paolo Bonaiuti, lasciano senza fiato. Piazze circolari di mosaico, filari di antichi menhir, ettari ed ettari di erbetta inglese miracolosamente verde nell’aspra costa smeraldina, chiostri, saloni, piscine coperte e opere d’arte. Prime fra tutte una scultura in marmo di Cascella. Lo stesso che firmò il mausoleo ad Arcore dove un grande sarcofago destinato (fra uno o due millenni) al Cavaliere, è circondato da un sepolcreto con 36 posti e dove un dì Berlusconi invitò Montanelli: «Mi dice: lì andrà Marcello, lì Fedele, lì Emilio… Sarei onorato se anche tu, caro Indro… Gli dissi: Domine, non sum dignus».

Come il committente goethiano. Un solo paragone viene in mente agli autori del libro per descrivere tanta bellezza, Goethe: «Sta andando più o meno, come nelle Affinità elettive la costruzione di questo parco a Punta Volpe. “... A volte con i giardinieri e i cacciatori, più spesso con il suo amico e, di quando in quando da solo, percorse l’intera proprietà: dalle sue osservazioni si potè facilmente arguire che era un amatore e conoscitore di simili parchi e che lui stesso doveva averne creati parecchi.

Quantunque già avanti con gli anni, aveva un modo gioioso di prendere parte a tutte quelle cose che possono abbellire la vita e darle un senso. Fu in sua compagnia che le signore apprezzarono per la prima volta in pieno ciò che le circondava, il suo occhio esperto coglieva ogni effetto con straordinaria freschezza, e tanto più godeva delle sue scoperte, in quanto non aveva mai visto prima quei luoghi e quasi non riusciva a distinguere tra ciò che era opera dell’uomo e quel che invece era frutto della natura”».

Come non riconoscere nell’illuminato committente goethiano il lucido profilo del Cavaliere? «Si può tranquillamente sostenere che, grazie alle sue osservazioni, il parco si accrebbe e si arricchì. Egli sapeva già in anticipo quali risultati avrebbero dato le nuove piante che stavano crescendo. Non dimenticò nessun luogo, dove fosse ancora possibile mettere in risalto o aggiungere qualcosa di bello. Qui indicò una sorgente che, una volta ripulita, prometteva di diventare l’ornamento di un intero boschetto, lì fece notare una grotta che, sgomberata e allargata, avrebbe potuto consentire gradevoli soste, dal momento che sarebbe bastato abbattere soltanto qualche albero per godersi la vista di uno splendido ammasso di rupi. Fece gli auguri agli abitanti per il tanto lavoro che ancora restava e li esortò a non avere fretta, ma a conservarsi anche per gli anni futuri il piacere del creare e del sistemare».

Solo lì, sul «non avere fretta», i conti non tornano del tutto. Perché lui, Silvio il Magnifico, un po’ di fretta ce l’ha. E se non ha tempo di aspettare la crescita di un carrubo di mezzo millennio se lo compra, lo trapianta e ciao. Ma sul resto, parole d’oro: ed ecco infatti che, in nome della bellezza e del piacere, la fetida pozza del depuratore è diventata un placido laghetto, la cabina elettrica cilindrica un simpatico antico nuraghe con dentro un bagno con le vetrate trasparenti sul mare che «con un semplice scatto d’interruttore si polarizzano per garantire la massima privacy», la piazzola dell’eliporto una piscina circondata dai cactus. Per non dire del «capanno di cantiere riattato a bungalow per gli ospiti» (eccellente idea che copieremo tutti senz’altro in caso di grane con l’ufficio urbanistica), dell’anfiteatro in marmo o delle cinque piscine per la talassoterapia costruite, fotografate e pubblicate nel libro (magia!) prima ancora che arrivasse il via libera del Comune.

Il Cavaliere si distende così. È la sua nababbo-terapia. Centrata, per dirla con le auliche parole del libro, sul «gusto della scoperta e l’entusiasmo del riscatto di un antico palinsesto naturalistico». Ecco cosa mancava: il palinsesto!

Dagospia 11 Giugno 2004

Tunnel, stop alle indagini della Procura Su villa Berlusconi cade il silenzio Fermate le indagini della Procura di Tempio «Sicurezza nazionale» ANTONELLO SECHI

PORTO ROTONDO. Sicurezza nazionale. Sull’approdo in costruzione a Villa Certosa non si può più mettere il naso. Si è fermata anche la Procura di Tempio che ha sospeso gli accertamenti avviati su ciò che accade a Punta Lada, a un’estremità del grande parco che ospita la villa privata del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Il decreto che impone il segreto di Stato è del ministero delle Infrastrutture.

Il decreto porta la data del 7 maggio. Il giorno prima la “Nuova” ha dato notizia e pubblicato le foto del cantiere in riva al mare. Stop informazioni, stop indagini. E avanti con i lavori per l’approdo coperto nel ventre della collina. In segreto. È il risultato del provvedimento del ministero guidato da Pietro Lunardi.

Della sua esistenza si è appreso soltanto ieri. Altrettanto vale per la sospensione dell’attività investigativa della procura della Repubblica, dove il caso villa Certosa è seguito dal sostituto procuratore Giovanni Porcheddu e dallo stesso Valerio Cicalò, il capo dell’ufficio.

Il decreto sarebbe stato emesso sulla base di una procedura avviata da una richiesta della presidenza del Consiglio. In quelle ore stavano partendo anche gli accertamenti della magistratura, investita del caso anche da un esposto delle associazioni ambientaliste Amici della Terra e Gruppo di intervento giuridico. Ipotesi: abuso edilizio nella fascia di protezione assoluta dei 300 metri dal mare. La Procura aveva emesso un provvedimento di ispezione dei luoghi, affidandolo con discrezione alla capitaneria.

Ora lo stop. Il decreto del ministero delle Infrastrutture classifica le opere di Villa Certosa come relative alla sicurezza nazionale. Il provvedimento, che tra l’altro fa riferimento a norme contenute in varie leggi antiterrorismo, consentirebbe di saltare le autorizzazioni edilizie comunali e regionali.

I lavori alla Certosa sono in corso da tempo. Grandi lavori la cui esistenza è stata rivelata dalla cattedrale di tubi Innocenti comparsa improvvisamente sulle rocce di Punta Lada e da un grosso pontone per lavori marittimi all’opera nelle acque antistanti. Sul fianco della collina, peraltro, erano visibili da chiunque navigasse nel golfo di Marinella diversi mezzi meccanici come escavatori e trivelle. Mezzi che sono stati occultati con un grande telone solo in seguito alla pubblicazione della notizia. Da quel momento, inoltre, l’area è stata isolata da alcune motovedette che tengono alla larga diportisti e pescatori.

Comune di Olbia e Regione hanno detto di non saperne niente né c’è stata alcuna reazione, né ufficiale né ufficiosa, che spiegasse il mistero della Certosa. Il grande cantiere in riva al mare ha comunque provocato reazioni forti. La prima è stata proprio quella degli ambientalisti. L’esposto è stato inviato allo stesso presidente del Consiglio e a due ministri, oltre che alla Regione, con la richiesta di esibire permessi e licenze. Sono state presentate anche diverse interrogazioni parlamentari. Una, dei Democratici di sinistra, firmata dai deputati Francesco Carboni e Pietro Maurandi, altre dei verdi Alfonso Pecoraro Scanio e Mauro Bulgarelli. Interrogazioni anche al presidente della Regione. Il gruppo Ds dice a Italo Masala che le norme di tutela della fascia dei 300 metri non possono essere violate per nessun motivo. Luigi Cogodi, di Rifondazione comunista, ha chiesto di fatto la demolizione delle opere in costruzione a villa Certosa ricordando l’intervento con cui, da assessore regionale all’Urbanistica, fece demolire la villa portorotondina del potente ministro Dc Antonio Gava. Masala gli ha risposto mercoledì in consiglio regionale: «Le leggi regionali in materia di urbanistica non possono essere violate», neppure «in nome di presunti interessi di sicurezza nazionale». Ha assicurato accertamenti da parte degli assessori competenti. Ma c’è lo stop.

Un eremo trasformato in cantiere Non c’è solo il tunnel: intorno, strade sbarrate e sentieri ampliati GIAMPIERO COCCO

PORTO ROTONDO.

Al Bunker della “Certosa” si dovrebbe accedere anche da due stradine realizzate a monte di Punta Lada, la penisola diventata ormai “off limits” per motivi di sicurezza dello Stato.

Dal mare alla montagna, dunque, l’eremo portorotondino del presidente del consiglio dei Ministri si è trasformato in un febbrile e affollatissimo cantiere.

Un eremo che dovrebbe essere pronto ad accogliere, a giugno, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush nelle condizioni di massima sicurezza. Per visionare i lavori Silvio Berlusconi vola nell’isola non appena gli impegni di Governo lo consentono. Uno degli accessi a monte è già presidiato dalle forze dell’ordine.

L’altro, quello quasi ultimato, è il preferito da Silvio Berlusconi. Lo scoprì, casualmente, un cronista nell’estate 2003, durante i giorni del vertice smeraldino tra Vladimir Putin e Silvio Berlusconi. Il giornalista, inconsapevolmente, si avventurò su un tratturo di campagna che serpeggiava tra il cisto rinsecchito e la macchia mediterranea che ricopre il promontorio tra Ladunia e Punta Lada. Sul vecchio cancello d’ingresso, realizzato con assi di legno e una rete da pollaio, c’era scritto a mano “F.lli Deiana”.

I vecchi proprietari di buona parte dei terreni di Porto Rotondo.

Fatti pochi passi, resi pesanti da un’afa asfissiante, il sudato cronista venne però bloccato da cinque uomini in minetica blu, cappuccio calato sul volto, giubbotto antiproiettile e mitra. Sbucati dal nulla.

«Questa è zona vietata, non si può passare» dissero gli agenti dell’antiterrorismo dopo aver controllato l’identità dello stupefatto cronista. Primavera 2004.

Quel vecchio tratturo di campagna - utilizzato nell’estate 2003 da Vladimir Putin e Silvio Berlusconi per raggiungere indisturbati i cronisti assiepati all’”Abi D’Oru” per la conferenza stampa -, è diventato una autostrada. Con tanto di bocchette antincendio e predisposizioni per apparecchiature elettroniche di rilevamento. Porta dai confini della proprietà di Silvio Berlusconi ad una scorrevolissima strada asfaltata.

Quella fascia di terreno, che per oltre due anni è stata una servitù di passaggio che il Cavaliere aveva ottenuto dagli eredi Deiana, pare sia ora passata nella disponibilità piena della “Idra spa”, la società immobiliare che gestisce la “Certosa”, la faraonica e multifunzionale villa del presidente del Consiglio dei Ministri.

Sarebbe, quella stradina appena trasformata in una scorrevole strada sterrata, una della quattro uscite di sicurezza dall’immensa proprietà di Berlusconi che una squadra di tecnici e muratori sta approntando al pari della grotta-approdo a prova di bomba in corso di realizzazione sul golfo di “Marinella”. Cercare conferme anche su questo fronte è praticamente impossibile. Il primo degli accessi a monte della “Certosa” è stato blindato dalle forze dell’ordine, mentre quello in questione lo sarà tra breve, il tempo materiale perchè la notizia sia di pubblico dominio.

«Non ci risulta alcuna trattativa con terzi», dice uno degli eredi della famiglia Deiana. Che Silvio Berlusconi fosse da alcuni anni personalmente interessato a quella stradina, necessaria per completare il sistema di sicurezza passiva del compendio della “Certosa”, lo sapevano in pochissimi. Il riserbo è d’obbligo, trattandosi della sicurezza del Premier, dei familiari e dei suoi ospiti.

IL COMMENTO Come un satrapo d’altri tempi SANDRO ROGGIO

C’è un’ appendice sarda nella confusione di ruoli che caratterizza l’ azione di Berlusconi.

La sua villa in Gallura - al centro dell’attenzione per i misteriosi lavori in corso - è da tempo scenario dove privato e pubblico s’intrecciano continuamente.

Le storiche sedi istituzionali della capitale sono sempre più in disuso. Le decisioni che contano sono prese nel mare di Olbia e a palazzo Grazioli a Roma. Come dicono le cronache politiche, omettendo di far notare che la bella casa in via del Plebiscito è la dimora privata del presidente.

Equivoco conveniente per il premier che come il signore degli antichi regimi lascia passare l’idea che tutto avviene sempre sotto i suoi occhi. Che gli ospiti illustri in visita di Stato sono i suoi ospiti. Come quando il potere era amministrato senza e un preciso confine tra dimore private e sedi istituzionali, spesso coincidenti. E il principe era poco propenso a fare e a dire fuori dalle mura domestiche: i palazzi pensati come organismi autosufficienti erano più comodi e sicuri di qualsiasi altro luogo a cui si conferiva qualche valenza pubblica

Le moderne democrazie smettono le antiche consuetudini e si dotano di più sedi ufficiali per accogliere le diverse autorità. Le decisioni che riguardano la collettività è bene siano assunte nei luoghi deputati: non solo per ragioni connesse ad un nuovo ordine politico e protocollare ma diciamo per motivi di stile. Che peraltro gli splendidi palazzi pubblici italiani assicurano.

Ecco l’impressione è che in Italia è che ci sia un ritorno ai comportamenti degli antichi regimi.

A proposito della villa in Sardegna, le cronache recenti, con eloquenti fotografie, raccontano di un poderoso fabbricato realizzato in spregio alle norme urbanistiche, nella fascia di rispetto, a due passi dal mare. Ed è curioso che a distanza di giorni questi lavori siano ancora inspiegati.

Questa inosservanza delle leggi vigenti in Sardegna parrebbe dipendere da superiori ragioni di sicurezza. Che in questa temperie sono irrinunciabili, si capisce. Ma una violazione al paesaggio costiero non era inevitabile. Che appare impertinente, fuori luogo, anche ai più strenui difensori di Berlusconi. Ma non è tanto il danno ambientale che colpisce - grave, ma c’è di peggio nelle coste sarde - quanto l’atto impudente e noncurante di quelle regole valide per tutti, un altro degli indizi della”egocrazia” del premier di cui parla Franco Cordero.

E se si utlizzassero le strutture dello Stato già dotate di adeguati sistemi di sicurezza per gli incontri tra grandi della Terra ? Quanto alla sicurezza delle vacanze, non è immaginabile che ogni alta o piccola carica istituzionale attrezzi la propria abitazione al mare, in montagna in danno del paesaggio (si pensi alla sobria scelta di Ciampi a La Maddalena!).

E ancora: Berlusconi è presidente pro tempore. Non è Cosimo dei Medici che per ragioni di sicurezza - sua e dei suoi discendenti - collegava i suoi palazzi fiorentini vecchi e nuovi con l’elegante corridoio disegnato da Vasari. Senza chiedere il permesso e senza offrire spiegazioni.

Berlusconi - ci auguriamo - è provvisoriamente capo del governo. E dispiace immaginare che quell’ ulteriore danno al paesaggio gallurese possa stare li per sempre. Anche perchè non è, purtroppo, il corridoio vasariano.

Pochi giorni fa: L'ultima spiaggia di Silvio

PORTO ROTONDO

- Il segreto di Stato nel bunker di Villa Certosa vale anche per la magistratura. Per ora, nessun "estraneo" può entrare nella residenza blindata di Silvio Berlusconi, a Punta Lada, sulla costa di Porto Rotondo. Ma il caso è destinato a finire davanti alla Corte costituzionale: la Procura della Repubblica di Tempio, competente per territorio, ha deciso di presentare opposizione contro il divieto annunciato dal prefetto di Sassari, Salvatore Gullotta. Di fatto, l'autorità giudiziaria sta sollevando quello che i giuristi definiscono "un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato". E l'intera faccenda fa nascere già altre polemiche politiche.

In questi giorni il sostituto procuratore Giovanni Porcheddu ha incontrato i legali di Berlusconi, notificando il decreto di ispezione dell'opera. Era l'ultimo atto dell'inchiesta aperta dopo diversi esposti e segnalazioni di ambientalisti e parlamentari sulla violazione della legge urbanistica e delle norme di tutela paesaggistica. I magistrati di Tempio volevano poter fare una serie di verifiche nella residenza estiva del premier. E a questo scopo il sostituto Giovanni Porcheddu aveva anche notificato ai difensori il decreto d'ispezione. La richiesta però è stata bloccata "per motivi di segretezza legati alla sicurezza nazionale". E se il prefetto ha negato qualsiasi contrasto fra organi dello Stato, la Procura ha scelto di far intervenire la Corte costituzionale.

Gli avvocati di Berlusconi si sono detti disponibili a spiegare la posizione del premier. Uno dei legali del premier, Niccolò Ghedini, esponente di Forza Italia, ha innanzitutto precisato che il decreto della magistratura riguarda la società Idra Immobiliare, proprietaria ufficiale della Certosa, e quindi sottolineato come l'intera questione interessi di fatto il rappresentante del governo e la Procura di Tempio. "Esiste ormai un problema tecnico-giuridico - ha aggiunto - Noi abbiamo ribadito massima disponibilità: l'intervento fatto alla Certosa è più che regolare, ben venga dunque il sopralluogo".

Nel frattempo diversi esponenti politici dell'opposizione hanno già protestato. Tra i primi, Ermete Realacci. Il rappresentante della Margherita ha sottolineato che in questo modo "in Sardegna continua l'ambigua telenovela sul segreto di Stato". "Proprio non si riesce a capire quale grave conseguenza verrebbe prodotto da un sopralluogo e da una verifica da parte della magistratura sui lavori svolti alla villa - ha rimarcato - Oppure si deve concludere che persino i magistrati possano attentare alla sicurezza nazionale?" "Più che di Stato, il segreto è di Pulcinella" ha invece commentato Marco Lion, deputato Verde della commissione Ambiente. "La scelta del prefetto è priva di motivazioni realistiche. Conferma solo che Berlusconi ha reintrodotto nel Paese odiosi privilegi per i potenti".

Una visione di Villa Certosa la trovate qui

Altre informazioni e qualche commento rovistando in questa cartella

ROMA

«Arrigo Boldrini sottolinea un tema vero, delicato, preoccupante. C’è una spinta in una larga fetta della maggioranza che tende al revisionismo. Questo non è ammissibile». È un appello accorato, quello di Oscar Luigi Scalfaro. Un appello al Parlamento e alle massime istituzioni del Paese per mantenere in vita la memoria della Resistenza. E per ripristinare il contributo statale a sostegno dell’Anpi che si appresta a festeggiare il sessantesimo anniversario della Liberazione. Il presidente dell’associazione dei partigiani, sulle pagine di questo giornale, ha sollevato il problema: il centrodestra ha bocciato al Senato lo stanziamento di 3 milioni di euro per le celebrazioni, e contemporaneamente votato il riconoscimento di «militare belligerante» per gli ex repubblichini di Salò.

«Due episodi a torto considerati minori, ma che hanno un forte valore simbolico e pratico, avvenuti entrambi in Parlamento - spiega Boldrini -. Ecco perché appare difficile non ipotizzare che dietro questi fatti ci sia un preciso disegno politico per farla finita per sempre con il ricordo di pagine storiche che a taluno possono risultare indigeste».

Presidente Scalfaro, Boldrini denuncia le manovre del governo Berlusconi. Sostiene che la Resistenza potrebbe essere cancellata. Come valuta l’improvvisa decurtazione dei fondi assegnati all’Anpi? Corriamo davvero il rischio di un azzeramento del 25 aprile?

Esiste, ed è vero, una spinta sotto traccia, lenta ma forte, da parte della maggioranza che cerca di cambiare la carte in tavola della nostra storia. Non tutta la maggioranza, sia chiaro. C’è, tuttavia, una fetta della coalizione di governo che tende al revisionismo. Questo non è accettabile. Soprattutto a ridosso di un anniversario importante come i sessantanni che ci apprestiamo a celebrare. Una pagina cruciale nel cammino di libertà e democrazia del Paese. Una pagina che segnò la grande resurrezione dell’Italia. Fu la fine della guerra, il ritorno della pace, il ritiro di un esercito occupante che non si era limitato ad una guerra convenzionale, ma aveva massacrato cittadini inermi, facendo scempio del concetto stesso di umanità. I valori della patria non possono, non devono essere logorati. Sarebbe uno stravolgimento imperdonabile.

Non crede che sarebbe necessario ribadire temi quali libertà e democrazia a fronte di una guerra in cui il nostro Paese è coinvolto?

Ne sono convinto, oggi più che mai perché di tratta di un momento storico particolarmente delicato. Sul piano internazionale l’Italia sta offrendo con grande sofferenza il proprio sacrificio di vite umane: militari e civili hanno già perso la vita in una guerra contro una dittatura senza dubbio sanguinaria. Ma l’adesione al conflitto non rispetta lo spirito dell’articolo 11 della nostra Costituzione che andava e va, invece, rimarcato.

Lei presiede anche l’Istituto per la storia del movimento di Liberazione in Italia. Avete in serbo delle manifestazioni per il 2005?

Il nostro progetto è partire ai primi di aprile dalla Puglia, seguendo la linea storica della Resistenza. Un percorso fatto di sangue, morti, torture, miserie ed atti eroici fino a raggiungere Milano dove esplose la Liberazione. Si tratta di un percorso sul filo della memoria e in difesa delle radici storiche del Paese. Stiamo parlando di una delle pagine più importanti della nostra vita. Faccio un appello: non mortifichiamo ciò che di grande, di straordinario e di umano è nel nostro patrimonio. Guai a non difendere il passato. Guai a spegnere i valori che ci guidano, lo spirito della libertà, la Costituzione nata dal sacrificio di molti, dal dolore di un intero popolo.

C’è un altro aspetto denunciato da Boldrini e dall’Anpi, e sottoscritto volontari per la libertà, dall’associazione degli ex deportati politici nei campi nazisti, dai perseguitati politici antifascisti. Riguarda un disegno di legge di An approvato dalla commissione Difesa del Senato che riconosce come legittimi belligeranti gli appartenenti all’esercito della sedicente repubblica sociale italiana. Fatto gravissimo, non crede?

Norme antigiuridiche non possono diventare giuridiche all’improvviso. Così come ciò che era illegittimo non può acquisire legittimità solo perché sono trascorsi molti anni. E’ vero, il tempo è passato, ma la storia non può essere ristrutturata a piacimento da un gruppo di revisori.

Presidente, che memoria conserva delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della Liberazione?

Ero Capo dello Stato e avevo accanto una commissione autorevolissima presieduta dal senatore Gerardo Agostini, e della quale faceva parte lo stesso Boldrini. Ci impegnammo con una somma rilevante perché le celebrazioni fossero degne di un anniversario così importante. Partecipai a tutte le manifestazioni e conservo ricordi emozionanti perché difendere le radici significa difendere il futuro.

Continuerà, dopo la visita di Blair, il vai e vieni di ministri e cortigiani nelle case di Berlusconi in Sardegna. Nuove immagini evidenziano lo sfoggio autocelebrativo degli insolenti addobbi del grande parco di parata a Punta Lada. Mentre emerge con nitidezza il disegno, curato nei dettagli, di fare apparire le case di proprietà del presidente come gli scenari veri dell'azione di governo. Un'altra prova per gli analisti della politica italiana che scrivono da un po' a proposito di «riforme istituzionali implicite», di «presidenzialismo preterintenzionale», di «egocrazia» ecc. Nella casa sarda e in quella romana si ostentano comportamenti - le cronache sono ricche di gustosi particolari - che riportano ad altri tempi. A lungo il potere è stato gestito senza che vi fosse un chiaro confine tra dimore private e sedi istituzionali. Le stanze private di splendidi palazzi e ville suburbane hanno fatto da sfondo a decisioni che hanno influito in modo rilevante sulla vita pubblica, e decretato la sorte di uomini che ne ignoravano le fattezze.

Il principe, più o meno illuminato, aveva poco piacere a manifestarsi fuori dalle mura domestiche. Il suo palazzo era più bello, più comodo e rassicurante di ogni altro luogo vagamente pubblico. Ogni stanza e ogni occasione - un pranzo di gala, una festa da ballo, una notte d'amore - erano buone per prendere decisioni.

I moderni governi, abbandonate le ambigue consuetudini, si dotano di più sedi ufficiali per accogliere le diverse autorità. Le decisioni che riguardano la collettività è meglio che siano assunte in luoghi deputati, distinti e riconoscibili: per ovvie ragioni anche connesse ad un ordine simbolico e protocollare. (Nessuno però ha mai creduto a processi decisionali formati esclusivamente in sedi pubbliche ma un qualche rispetto della forma è stato in qualche modo assicurato).

Negli ultimi tempi è successo che in Italia le sedi istituzionali siano sempre più ostentatamente marginali nell'attività politica (anche le sedi dei partiti e le hall degli alberghi romani ormai frequentati da politici di secondo piano). Tutto, proprio tutto succede tra palazzo Grazioli a Roma e le ville in Sardegna (sempre meno ad Arcore). Che spesso ospitano appuntamenti che assumono un significato pubblico tutt'altro che marginale, nonostante si tenga a precisare che si tratta di incontri tra amici come quest'ultimo con Blair. La prima riserva è sulla opportunità che passi l'idea che l'Italia non disponga di sedi all'altezza delle necessità (che, ad esempio, il palazzo già degli eredi Chigi sede della presidenza del Consiglio sia inadatto alle funzioni di rappresentanza). E che solo grazie ad un presidente molto ricco, un grande paese possa assolvere i doveri di buona ospitalità senza sfigurare.

La seconda riserva riguarda l'ostentata e procurata confusione che suscita questo modo di fare (ascritto alla vanità e sottovalutato dalle opposizioni). Sbaglia però chi pensa che sia frutto di improvvisazione. L'equivoco è utile (non all'Italia: a Berlusconi). «Il premier ha incontrato questo e quello a palazzo Grazioli e villa Certosa», titolano tg e giornali (tutto maiuscolo), omettendo di dire che quel palazzo, quella villa sono casa sua. La precisazione è sottintesa, (non è elegante) e va bene così.

C'è infine l'aspetto dell'informazione o dei filtri che possono assicurare queste addomesticate condizioni. Situazioni a prova di imprevisti, al paro dalla presenza di indesiderati, e al popolo si potranno proporre le immagini che la regia dirà. Ciò che accade nelle sue case attraverso le sue tivù.

Tutto già visto tanto tempo fa. Non serviva più o meno a questo il corridoio progettato da Vasari per i Medici che a Firenze potevano così comparire in un palazzo o nell'altro, quello vecchio e quello nuovo, al momento più opportuno?

Ma Blair? Si sarà sentito a disagio, si spera , in questa sguaiata messinscena in terra sarda, spinto paradigma del gusto degli arricchiti (ben evidenziato dal confronto con l'assestata sobrietà della vecchia fattoria dei Guicciardini in Toscana sede principale della sua vacanza in Italia)? Con la questione non chiarita delle autorizzazioni dei lavori, ancora coperte da segreto di stato, il premier di un paese rispettoso delle regole (i suoi connazionali non conoscono il termine abuso edilizio) avrebbe forse preferito un rapido incontro in una sede istituzionale. Pensando ai suoi connazionali appunto, che non apprezzano le esuberanze sprecone e sono ben sicuri che nell'appartamento di Downing Street, di proprietà pubblica, gli inquilini pro tempore non spostino neppure i mobili.

Cliccando qui, la galleria completa delle fotografie scattate il 16 agosto 2004, da la Repubblica online

Vi consiglio l'interpretazione di Votantonio

ROMA - Trentotto minacce di morte, due anni che il Cesis vuole un approdo sicuro, sette primi ministri che attendono di passare l´estate a Villa Certosa. Silvio Berlusconi alla fine non ha potuto resistere e ha dovuto dare il via libera alla costruzione del contestato approdo ad una delle sue ville sarde. Ma «quelle sono coste bellissime» e il premier è «un fanatico dell´ambiente e della natura», ricorda il Cavaliere ai "colleghi" dell´Associazione nazionale costruttori edili. Alla fine, rivela il premier, «ho detto "fate gli scavi" e ho chiamato Pietro, il professionista del tunnel».

Pietro sta per Pietro Lunardi, il ministro delle Infrastrutture, ingegnere, titolare di una azienda che realizza trafori. «Ho chiamato Pietro ? prosegue il presidente del Consiglio ? gli ho detto di non buttare nulla in mare. Allora ho fatto arrivare un chiattone, ho messo un foglio di plastica per non sporcare le rocce e una impalcatura di tubi Innocenti per non toccare nemmeno un cespuglio». Ma come al solito tanta solerzia e buona volontà non è stata apprezzata dalla stampa. Soprattutto quella sarda. «Sono stato accusato di costruire bunker, ascensori con la possibilità di fare arrivare incrociatori, sommergibili». Tutte falsità messe in giro da «pagliacci infiniti».

Dunque il bunker si fa perché lo vuole il Comitato di coordinamento per i servizi di informazione e sicurezza. Per proteggere il Cavaliere e i suoi esigenti ospiti. Uno dei sette primi ministri, rivela il Cavaliere, «mi ha chiesto di poterci rimanere per cinque giorni: pensate che bello!». A rovinare le ferie non saranno comunque le elezioni. Su questo Berlusconi sparge ottimismo. «Non ho preoccupazioni», dice. E si dice sicuro che finirà la legislatura. Anzi vuol fare come la Thatcher, 15 anni di governo, Mitterrand, 14, e Khol, arrivato a 16.

Il Cavaliere spiega ai "colleghi" costruttori quanto sia difficile il mestiere dell´innovatore e il tempo che ci vuole per capire i problemi. Anche perché, dice, l´Italia si porta dietro il peso di un debito pubblico enorme. Un fardello che fa dire al Cavaliere: «Il governo infatti è come un prigioniero. Vorrebbe attuare una politica del deficit superiore al 3 per cento, ma non può, c´è già un debito pubblico troppo altro», E qui il Cavaliere ricorda che noi «non possiamo andare oltre il 3% come Francia e Germania anche in relazione alle agenzie di rating». Berlusconi però non rinuncia all´idea di abbassare le tasse. Dice che «all´interno della maggioranza c´è l´accordo per la diminuzione delle aliquote per i ceti medi, ora stiamo discutendo per introdurre la riduzione anche per i redditi più alti», perché «bisogna ridurre la pressione sui percettori di redditi più alti, non conosco altro modo per far sì che i percettori di redditi più alti possano investire di più». E visto che si ci siamo, il Cavaliere dice che pensa di cancellare l´Irap. Come, non si sa. «E´ da eliminare, ma è un introito forte, bisogna trovare un fatto sostitutivo», dice.

La platea però e tiepida. Qualcuno mormora: «Questo è un comizio, ci manca solo la barzelletta». E allora spunta il prezzo del ferro cresciuto vertiginosamente. Bisogna intervenire con un decreto anche su quello, dice: «E´ già stato proposto al Consiglio dei ministri, ma per ora il ministro dell´Economia non lo ha preso in considerazione». Ma alla fine Tremonti cederà, assicura. Però voi, conclude Berlusconi, «se volete che le cose cambino, non lasciate da solo il governo. Non lasciato da solo uno bravo come Berlusconi...».

B. ammette qualcosa. Ma non dice ancora tutta la verità: che i lavori pagati con i nostri soldi, e realizzati abusivamente, consistono nella realizzazione di una megapiscina privata per la sua villa privata (es)

Signor presidente del Consiglio,

le parole con cui Ella ha voluto esprimere i suoi giudizi sulla Resistenza e sul ruolo che in essa vi ha svolto la sinistra hanno suscitato in me - e Le assicuro non solo in me - sconcerto e indignazione.

Sì, perché quelle parole sono frutto al tempo stesso di ignoranza e di arroganza. L’ignoranza di chi parla di cose che non conosce; l’arroganza di chi crede che a un presidente del Consiglio tutto sia consentito.

E, invece, chi ha la responsabilità di guidare una nazione ha il dovere di conoscerne la storia e di rispettarla.

Lei non può ignorare - anzi non “dovrebbe” ignorare - che quella Repubblica di cui Ella oggi guida il Governo affonda le sue radici nella lotta antifascista, quando uomini e donne di credo politico diverso, di ogni appartenenza sociale, di sensibilità culturali differenti, si unirono nel comune impegno di liberare l’Italia dal fascismo e dalla guerra catastrofica a cui la dittatura l’aveva condotta.Tra quegli uomini e quelle donne molti erano di sinistra - comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani - che fecero fino in fondo la loro parte di combattenti per la libertà.

Mi auguro che Lei non ignori che in calce a quella Costituzione della Repubblica - sì, quella che Lei ha sbrigativamente definito “sovietica” - accanto alle firme di un convinto liberale come Enrico De Nicola e di un cattolico come Alcide De Gasperi c'è la firma di Umberto Terracini.

E non voglio davvero credere che Lei non conosca nomi come Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli, Piero Gobetti, Bruno Buozzi, Leone Ginzburg, uomini di sinistra che insieme a tantissimi altri pagarono con la vita il loro coraggio antifascista.

O nomi come Sandro Pertini, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Gian Carlo Pajetta, Camilla Ravera, Giorgio Amendola, Carlo Levi, Emilio Lussu, Ernesto Rossi, Pietro Calamandrei, uomini di sinistra che pagarono con l’esilio, il confino, il carcere duro la loro tenace volontà di non piegarsi.Forse, non è inutile ricordarLe che nei giorni di aprile di cinquantotto anni fa Milano - la sua città - prima che arrivassero le truppe alleate fu liberata dai partigiani di Cino Moscatelli, Corrado Bonfantini e Tino Casali. E Milano liberata vide sfilare alla testa dei partigiani, fianco a fianco, cattolici come Enrico Mattei insieme a uomini di sinistra come Riccardo Lombardi, Ferruccio Parri e Luigi Longo. Le potrei ricordare che nell’aprile del ’44 a Torino caddero sotto lo stesso piombo fascista, gridando insieme «viva l'Italia libera», il monarchico generale Perotti, il socialista Erik Giachino e il comunista Eusebio Giambone.

Le potrei ricordare che combattendo a Megolo, nell’alto Piemonte, morirono insieme il cattolico Antonio Di Dio, il raffinato borghese Filippo Maria Beltrami e Gaspare Paietta.

Le potrei ancora ricordare come a Genova i tedeschi del generale Meinhold si siano arresi ai partigiani del cattolico Paolo Emilio Taviani e dell’operaio comunista Remo Scappini. Potrei continuare con mille altri esempi - dalle giornate di Napoli al sacrificio dei fratelli Cervi - di quanto la sinistra abbia contribuito a quel moto nazionale di liberazione democratica che non a caso fu chiamato “Secondo Risorgimento”, riscattando così l’onore dell’Italia infangato dal fascismo e dalle sue avventure di aggressione. Boves, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, le Fosse Ardeatine, il Portico d’Ottavia, la Risiera di San Saba, il Lager di Fossoli sono lì a testimoniare il pesante contributo di dolore e sofferenza con cui questo nostro Paese ha riconquistato la sua libertà.Una storia che appartiene all’Italia e agli italiani. Una storia che Lei non solo dovrebbe avere la sensibilità di conoscere, ma soprattutto di rispettare. Perché lì c’è l’identità democratica e civile dell’Italia di oggi.

E dunque, Presidente, in questo 25 aprile renda onore a chi per la libertà ha pagato con la vita, a chi per la libertà si è battuto, a chi la libertà ha conquistato per ciascuno di noi. Anche per Lei.

Vedi alla Voce Complice

Una pagina di storia da ricordare, oggi che si tenta di accreditare la tesi che “di notte tutti i gatti sono grigi, che fascisti e antifascisti erano uguali, partigiani e repubblichini avevano ragione entrambi. I gatti sono tutti ugualmente grigi solo la notte: nella notte della smemoratezza. Rosetta Loy, su l’Unità del 10 ottobre 2003, ci aiuta a ricordarlo

Viviamo in uno strano tempo dove accadono guerre che avevamo creduto non dover vedere mai più. Solo che oggi vengono addobbate con nomi «soft»: guerra umanitaria, enduring freedom, guerra preventiva, simili a quei belletti spalmati sui defunti perché i parenti possano, in quelle guance dipinte di rosa e in quelle bocche rosse, illudersi sulla rigidità cadaverica. Lo stesso progetto di edulcorazione sembra spandersi come un miele sulla storia alle nostre spalle, o più precisamente su una certa storia che ha marchiato di tragedie l’Italia, e succede sempre più spesso che nei discorsi su Mussolini si rimanga invischiati in una sorta di melassa quasi tornasse l’eco dell’agitarsi dei gagliardetti e la mascherata delle divise, i roboanti proclami del Mare Nostrum. La mia generazione cresciuta fra «Credere Obbedire Combattere», «È l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende», «Noi tireremo diritto» con il calce l’inconfondibile firma, ha dovuto faticare non poco per liberarsi dall’apoteosi di una violenza che ci avvolgeva in un tripudio di glorie a venire, e mai avvenute.

Ma abbiamo anche imparato a fiutarne subito l’odore.

La data di oggi porta a riflettere sull’addolcimento che ha ammorbidito anche le «leggi razziali» fasciste, mettendole a confronto con quelle naziste. È una vecchia storia questa di buttare sempre le colpe sulle spalle dei tedeschi. Un velo pietoso viene oggi disteso sulle leggi che difendevano la nostra purezza di «razza ariano nordica» (chissà se ne penserebbe Bossi di un calabrese o un lucano «ariano nordico»), le prime leggi razziali a interessare un paese europeo, dopo la Germania. Esecrabili, anche se non ancora criminali; e arricchite di infiniti codicilli persecutori durante il corso disastroso della guerra. Ma è soprattutto sulle disposizioni adottate dalla Repubblica Sociale dopo l’8 settembre che l’amnesia è totale. Un colpo di spugna è passato sui diciannove mesi in cui la Repubblica di Salò rimase attiva. Eppure il giorno stesso della sua costituzione, il 23 settembre del 1943, quella Repubblica sanciva «la deportabilità degli ebrei di cittadinanza italiana». Una sola frase che equivaleva a una condanna a morte in quanto significava Auschwitz. Ma questo era solo l’inizio: il 10 e l’11 ottobre i quotidiani in edicola informavano gli italiani che tornavano in vigore le norme antiebraiche abrogate dopo il 25 luglio e annunciavano ulteriori misure intese a «mettere definitivamente gli ebrei in condizione di non poter più nuocere agli interessi nazionali» (chissà quale minaccia rappresentavano delle persone in maggioranza private del lavoro, della scuola, e di buona parte dei loro beni). Il 6 novembre Mussolini aveva già sul suo tavolo il progetto di legge «inteso a regolare la questione razziale, appoggiandosi alla legislazione germanica in materia, nota sotto il nome di legge di Norimberga». Progetto trasformato nel «manifesto programmatico» presentato il 14 novembre, alla prima assemblea del nuovo Partito Fascista a Verona, manifesto che al punto 7 stabiliva che «gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». La stessa assemblea quel giorno dichiarava che il nuovo stato era «programmaticamente antisemita». E con tutta tranquillità il 20 novembre il ministro dell’Interno Buffarini Guidi poteva disporre, con l’ordine di polizia n. 5, l’«arresto di tutti gli ebrei a qualsiasi nazionalità appartengano e il loro internamento in campi provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento appositamente attrezzati».

Sempre quello stesso anno, il 16 dicembre, il Consiglio dei ministri, presieduto da Mussolini, approvava lo schema destinato a diventare decreto legge il 4 gennaio del ’44 che imponeva ai capi delle provincie di procedere «immediatamente alla confisca di tutti i beni di qualsiasi natura (aziende, terreni, fabbricati, crediti vari, valori depositati nelle banche, mobili di arredamento, soprammobili, stoviglie, lenzuola, vestiario ecc.) delle persone di razza ebraica».

Nel marzo del ’44 furono ancora elaborati alcuni progetti legislativi che estendevano la persecuzione a tutte le persone con più di un bisnonno ebreo. Progetti che fortunatamente non fecero a tempo a essere realizzati e l’ordine di arresto (e conseguente deportazione) continuò a colpire «solo» le vittime già individuate, ossia tutti quelli che avevano otto o sette bisnonni ebrei, praticamente tutti quelli che ne avevano cinque, una parte imprecisabile ma consistente di quelli che ne avevano quattro, un ristretto gruppo di chi ne aveva tre o due. Ma lascio qui la parola a Michele Sarfatti il cui libro «Gli ebrei nell’Italia Fascista» raccomando soprattutto a chi è colpito da amnesia o è stato scarsamente informato.

Scrive Sarfatti: «Dal 1° dicembre 1943 i capi delle Provincie della Rsi cominciarono ad allestire i campi di internamento provinciali e i questori a programmare gli arresti. Le operazioni iniziarono presso le abitazioni degli ebrei, perquisite alla ricerca di arrestandi e poi sigillate perché poste sotto sequestro. Gli arresti furono in linea generale attuati da reparti non «specializzati» della polizia ordinaria. Il capo della provincia di Vercelli trovò del tutto ovvio chiedere ai podestà, nella loro qualità di ufficiali di pubblica sicurezza, di collaborare «pienamente con gli altri organi di polizia». Anche da parte italiana, tra i corpi che contribuirono con un apporto specifico all’arresto degli ebrei, vi furono quelli incaricati della sorveglianza al confine con la Svizzera. Fiero dei cinquantotto arresti eseguiti «dai primi di ottobre ad oggi» e dei «rilevanti valori» sequestrati in tali occasioni, il 12 dicembre 1943, il comandante della II legione «Monte Rosa» della Guardia nazionale repubblicana confinaria scrisse al capo della provincia di Como: «È così che la corsa verso il confine degli ebrei, che con la fuga nell’ospitale terra elvetica - rifugio di rabbini tentano di sottrarsi alle provvidenziali e lapidarie leggi Fasciste, è ostacolata dalle vigili pattuglie della Guardia Nazionale Repubblicana che indefessamente, su tutti i percorsi anche i più rischiosi con qualsiasi tempo e a qualsiasi ora, con turni di servizio volontariamente prolungati, vigilano per sfatare ogni attività oscura e minacciosa di questi maledetti figli di Giuda».

Forse non è inutile ricordare che gli ebrei bulgari furono gli unici, nei paesi alleati dei tedeschi, a non finire in un campo di concentramento perché il Re si rifiutò di firmare l’ordine. Re Boris morì poco dopo in circostanze misteriose, probabilmente ucciso. Ma nessuno dei suoi sudditi fu deportato.

Essi esprimono bene i sentimenti di molti italiani nei confronti della proposta di graziare uno dei responsabili della strage delle Fosse Ardeatine. 337 persone, scelte a caso nelle carceri romane, furono assassinate in una cava di tufo per vendicare trenta soldati tedeschi uccisi in un attentato a Via Rasella. Aggiungo una lettera che ho mandato a Radio Tre per contestare una sciocchezza detta da una signora a proposito dei “veri colpevoli” della strage nazista, in calce agli articoli

Miriam Mafai Quel diritto a non perdonare

Siamo tutti un legno secco della storta pianta umana: Priebke che passa gli ultimi anni della sua vita nella casa romana del suo avvocato, Adriano Sofri che passa gli anni della sua maturità in una cella del carcere di Pisa, l´ignoto extracomunitario condannato per traffico di droga, la ragazza di Novi Ligure che ha ucciso la madre e il fratellino e che è stata condannata a non so quanti anni di carcere. Legni secchi della storta pianta umana. Ma nessuno, salvo Priebke, ha condotto al macello e macellato, con un colpo alla nuca, non so quanti giovani e meno giovani romani un giorno di marzo del lontano 1944.

Io non ho avuto né parenti né amici seppelliti in quel carnaio. Non sono dunque tra coloro che potrebbero o dovrebbero, secondo Adriano Sofri, perdonare quello che era allora un giovane ufficiale tedesco e che oggi è un novantenne condannato all´ergastolo, e consentirgli di tornare a casa sua, a Barilolce, dove lo aspetta una moglie altrettanto vecchia e malata. Ho visto anch´io i manifesti affissi sui muri di Roma nei quali i promotori di una manifestazione per la grazia a Priebke accostavano il suo nome a quello del detenuto di Pisa. Un accostamento osceno. Ma non riesco, per quanto onestamente mi sforzi, a condividere la posizione di Sofri, quando chiede alla comunità ebraica di Roma di perdonare l´ergastolano, o più precisamente , di «voltare le spalle e il viso alla scena nella quale si consumerà il tempo estremo di uno che si prestò ad essere un odioso nemico». Non faccio nemmeno parte della comunità ebraica di Roma. E non credo che si debba chiedere a questa un atto di generosità o di comprensione. Anche perché tra le vittime delle Ardeatine non c´erano solo ebrei, ma anche ragazzi che, nati e cresciuti a Roma, non sapevano forse nemmeno dove fosse la sinagoga, e ufficiali del nostro esercito che, combattendo contro i tedeschi, pensavano di servire ancora il Re.

A me sembra che nessuno di noi, dei sopravvissuti a quelle tragiche vicende, abbia il diritto di perdonare. Solo le vittime potrebbero , forse, farlo. Ma quelle non ci sono più. Sono state sepolte sotto la calce e il tufo di quella cava a pochi chilometri dal centro della nostra città. Ci sono reati, i delitti contro l´umanità, che non cadono mai in prescrizione. Tra poche settimane , il 20 aprile, sarà celebrato a La Spezia il processo contro gli autori della strage di S. Anna di Strazzena, dove nel maggio del 1944, centinaia di civili vennero trucidati, molti bruciati vivi con i lanciafiamme (non vennero risparmiati nemmeno i bambini, nemmeno le donne in stato interessante) da un gruppo di SS agli ordini di un certo sergente Sontag. Non credo si esprima in questi tardivi processi nessuna volontà di vendetta. Ma un desiderio di verità e di giustizia sì. Ed io credo che questo desiderio di verità e di giustizia non possa, non debba, venir soverchiato dalla pur comprensibile umana pietà di cui si è fatto interprete e portatore Adriano Sofri, l´unico che può farlo con tanta sensibilità, intelligenza, e pudore. Io, lo confesso, non ci riesco. E, da legno secco della storta pianta umana di cui tutti siamo fatti, non credo che questo mio sentimento possa essere considerato alla stregua di una mancanza di umanità, quasi una colpa.

Il nostro mondo è ancora oggi pieno di atrocità consumate a danno di vittime innocenti. Il fatto che tali atrocità vengano ancora commesse non ci esime dal ricercare e condannare i responsabili di quelle commesse nel passato. Al contrario. Se chiedo, sia pure invano, che Pinochet, ormai vecchio e gravemente malato, sia condannato per i suoi delitti, non vedo perché dovrei provare compassione per il vecchio nazista che è stato riconosciuto, e si è ammesso colpevole della strage delle Ardeatine.

Per questo, a differenza di Sofri, ho condiviso la decisione di Walter Veltroni e del prefetto Serra di non concedere una piazza della nostra città a coloro che intendevano manifestare a favore della grazia per il vecchio e non pentito nazista.

Per questo ho apprezzato le parole pronunciate ieri sera dal presidente Ciampi che ancora una volta ha saputo interpretare i sentimenti della maggior parte di questo Paese, cui qualcuno vorrebbe impedire di ricordare il proprio passato, sottoponendolo ad una sorta di lobotomia in virtù della quale nessuno dovrebbe più essere in grado di distinguere le vittime dagli assassini.

Walter Veltroni Priebke, una ferita ancora aperta

Caro Adriano, ho letto il tuo articolo di venerdì su Priebke. L´ho letto con l´interesse e la partecipazione che ho sempre per le tue osservazioni, per i tuoi ragionamenti, per le immagini con cui accompagni spesso il tuo argomentare. Puoi immaginare come mi abbia colpito il tuo disegnare quel «detenuto anziano, grande e pesante, nel pigiama triste del ricoverato» che cade in ginocchio e scoppia in lacrime quando gli dicono che se ne potrà andare a casa, in Calabria, a trascorrere lì il suo ultimo tempo. E puoi anche immaginare, credo, come io sia d´accordo con te, in principio, su un altro tuo ritratto: quello del «legno secco della storta pianta umana» , della comunanza tra simili di cui tutti dovremmo avere di più, sempre, piena consapevolezza.

Proprio qui, però, mi sono fermato un primo momento, nel leggerti. Qui, dove dici anche che «non occorre sapere chi sia, né chi sia stato» , quell´uomo dal triste pigiama d´ordinanza al quale viene concessa la libertà. È vero, è come dice Miriam Mafai: le ragioni di umana pietà per cui a tuo avviso Erich Priebke potrebbe tornare a morire a casa sua, in Argentina, da sua moglie, tu le esponi in tutto il seguito dell´articolo con la sensibilità e l´intelligenza di sempre, e anche con un giusto pudore. Io però proprio su questo punto, vorrei soffermarmi. Qui non c´è, caro Adriano, solo «un ramo secco». Qui c´è una enorme ferita aperta, che attraversa la carne viva, che fa soffrire i cuori e non abbandona, non può abbandonare, le menti. Qui c´è la tragedia di un popolo intero e di una comunità, quella degli ebrei romani, di tutta Roma, che è molto più grande, troppo più grande, di un´aula di giustizia, di un «semplice» delitto e di una sentenza, di una domanda di grazia. E nel caso di Priebke io non riesco - credimi, non riesco - a non pensare a chi sia, e a chi sia stato, quest´uomo. Può darsi sia qualcosa che va al di là delle orribili colpe di cui può essersi macchiato un individuo colpevole non di un omicidio, ma di una strage di innocenti in ginocchio, di bambini e di reclusi a via Tasso; una strage per la quale è scappato, lasciando dietro di sé il dolore inumano di tante famiglie, che hanno il diritto di veder rispettati i loro sentimenti, il loro dolore, e se credono il loro diritto a non perdonare. Può darsi che sì, la Storia arrivi ad essere davvero troppo grande e complessa per un uomo che oggi ha più di novant´anni, e d´altra parte la Storia fu ancora più grande e atroce per chi stava da quest´altra parte, e la vita la perse a venti o trent´anni, preso in un ingranaggio infernale che non aveva voluto, che non comprendeva, che odiava.

Ma è così, e io credo sia davvero difficile, allora, non pensare, dimenticare anche solo per un attimo, a chi è stato Priebke, a cosa furono le Fosse Ardeatine, a cosa sono oggi, simbolo della storia e della vita del nostro Paese, spazio fondamentale di quella memoria collettiva che è elemento costitutivo di una società civile. Quel passato dobbiamo continuare a guardarlo. Dobbiamo starci di fronte, coi piedi ben piantati per terra, accompagnati da chi lo visse e lo subì, tenendo a nostra volta per mano i ragazzi di questa generazione, perché non dimentichino, come abbiamo fatto ad esempio durante il viaggio con i ragazzi delle scuole romane ad Auschwitz, lo scorso ottobre. Io temo, caro Adriano, che non sia possibile e non sia giusto «voltare le spalle e il viso» nemmeno alla scena che vedrà consumarsi il tempo estremo di quest´uomo di novant´anni, perché a sua volta - ripeto, forse al di là del suo stesso essere uomo - egli è un simbolo di qualcosa di troppo grande e atroce, davvero di «un delitto contro l´umanità che ha colpito profondamente i sentimenti del popolo italiano», come ha voluto sottolineare il presidente Ciampi. È una ferita aperta, troppo profonda. Lo capisci dal dolore ancora vivo dei parenti, lo senti dalle loro parole, lo vedi dai loro sguardi quando ogni 24 marzo in un silenzio doloroso e irreale vengono letti, uno per uno, i nomi delle 335 vittime. È lo stesso sguardo di chi pensa o torna a Marzabotto e a Sant´Anna di Stazzema, ad Auschwitz e a Dachau. Di chi ogni 16 ottobre si ritrova al Portico d´Ottavia, nel cuore del Ghetto di Roma. Tutti questi nomi sono simboli incancellabili. Ma anche le persone che vollero e permisero questo sono destinate a portare un macigno più grande delle loro spalle di uomini, e sono un simbolo. Non ha avuto torto Simon Wiesenthal a ricercare, per tutta la sua vita, questi simboli. Non ha torto il Tribunale penale internazionale a processare gli uomini che sono simbolo di Trnopolje, dei campi di detenzione di quei Balcani che conosci così bene, che hai raccontato come pochi. La giustizia non deve essere mai accanimento, non deve essere inumana, deve saper guardare alle persone che con il tempo possono non essere più le stesse, deve avere come obiettivo non la segregazione in sé ma il recupero e il reinserimento nella società. Su questo sai come la penso, ne abbiamo parlato tante volte, anche per cose a cui teniamo entrambi, e tu - come posso dire - con qualche motivo in più rispetto a me. Nel caso di Priebke, però, ha ragione Tullia Zevi: siamo di fronte a un uomo che non ha mai dato segni di pentimento o di ravvedimento, né di pietà verso le vittime del nazismo. E poi stiamo parlando di una persona che non è in carcere, che sta trascorrendo la detenzione in una abitazione privata. E´ per questo, caro Adriano, che voglio dirti per prima cosa che trovo odiosi quei manifesti che accostano il tuo nome a questa vicenda, perché la tua libertà, che io spero e sollecito, nasce in primo luogo dalla grandezza del tuo comportamento in questi anni difficili. E poi voglio dirti che è per tutto questo che non ho ritenuto di poter limitarmi a «un´alzata di spalle» quando si è trattato di decidere se concedere o no l´occupazione del suolo pubblico ai sostenitori della grazia per Priebke. Non so se conosci personalmente Piero Terracina, certo avrai letto di lui, e le sue testimonianze di ragazzo rinchiuso ad Auschwitz e tra i pochi ad essere tornato. Bene, ti assicuro che Piero è una persona di profonda umanità e apertura, privo di qualsiasi spinta vendicativa anche verso chi allora fu suo carnefice, portandogli via tutta la famiglia, nessuno escluso. Mi è stato di conforto, allora, il modo in cui ha condiviso le decisioni che abbiamo preso, senza impedire il diritto di esprimere le proprie opinioni ai sostenitori della grazia, ma anche senza concedere - e in questo apprezzo la sensibilità dimostrata dal Prefetto Serra - l´avallo ufficiale delle istituzioni a una manifestazione che avrebbe offeso la comunità ebraica, tutta Roma e per primi i parenti delle vittime. Il Ghetto di Roma, dal quale furono strappate in una notte più di mille persone, è ancora oggi un luogo che trasuda dolore e grida, smarrimento e pianto. Non c´è equilibrio fra 335 morti innocenti e un uomo che è fuggito e non ha mai riconosciuto l´orrore assoluto del proprio comportamento. Almeno la memoria, quell´equilibrio deve salvaguardarlo.

Edoardo SalzanoLettera a Radio Tre, Prima Pagina

Caro Calabresi,

Una signora, ieri, ha detto che il responsabile della strage delle Fosse Ardeatine è chi ha compiuto l'attentato di via Rasella e non si è consegnato quando ha saputo che 335 persone sarebbero state uccise. Nella risposta lei non ha citato un fatto decisivo ai fini di ogni giudizio. Cioè che della strage delle fosse Ardeatine si è data notizia quando il crimine era già stato compiuto. Qualunque storia di quegli anni lo sottolinea, e così lo ricorda chi - come me - in quegli anni era a Roma e ha ancora presente il titolo del Messaggero di allora.

La strage fu conclusa alle ore 19 del 24 marzo, e la notizia dell'avvenuta esecuzione avvenne il giorno successivo, 25 marzo, alle ore 12. Il titolo e il sommario del Messaggero informavano dell'avvenuto attentato, della decisione di fucilare "dieci comunisti badogliani" per ogni soldato tedesco ucciso, e dell'avvenuta esecuzione: "l'ordine è già stato eseguito".

Grazie dell'attenzione

FALOMI (Misto). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FALOMI (Misto). Signor Presidente, i senatori della lista Di Pietro-Occhetto Società Civile voteranno contro questa legge. Con questa legge Berlusconi e le sue aziende si portano a casa un bel gruzzolo, si portano a casa non meno di 1,2 miliardi di euro (oltre 2.400 miliardi di vecchie lire) grazie alla vanificazione di ogni vincolo antitrust, che consente una consistente crescita del gruppo. Si portano a casa altri 600 miliardi vecchie lire all'anno, grazie all'esclusione delle telepromozioni dai tetti di affollamento pubblicitario.

E mentre sulle aziende di Silvio Berlusconi, del presidente del Consiglio, piovono miliardi, per i pensionati e lavoratori invece piove sul bagnato. State infatti per tagliare 6.000 di euro all'anno per sei anni alla spesa per le pensioni. Ai lavoratori della FIAT di Melfi, che chiedono salari e condizioni uguali a quelle dei loro colleghi degli altri stabilimenti, avete mandato la polizia. Alle migliaia di lavoratori dell'Alitalia che rischiano il posto di lavoro avete offerto soltanto risse tra Ministri e nessuna idea di una diversa politica di trasporto. Qui non è in ballo, come qualcuno ha detto in passato, un patrimonio del Paese, è in ballo il patrimonio personale del Presidente del Consiglio, in nome del quale questa legge riduce gli spazi di libertà e di pluralismo di informazione.

Per queste ragioni noi siamo contro questa legge e lavoreremo per abrogarla, quando saremo al Governo.

PAGLIARULO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAGLIARULO (Misto-Com). Signor Presidente, i Comunisti Italiani votano contro questo provvedimento. Il signor Berlusconi controlla la televisione privata e quella pubblica. Da questa strapotenza è nata la ragione di fondo di un intollerabile dominio nel mondo delle comunicazioni. Perciò il problema del conflitto di interessi rappresenta un paradosso unico al mondo e pone il nostro Paese fuori dall'Europa. Questa legge sul sistema radio televisivo lo ratifica.

Il Presidente della Repubblica la rinviò alle Camere perché, in particolare, non rispettava il pluralismo e perché l'altisonante sistema integrato delle comunicazioni consentiva la formazione di posizioni dominanti; la riscrittura della legge non la cambia nella sostanza, irride al monito del Presidente della Repubblica, contraddice le sentenze della Corte costituzionale. Il pluralismo si è trasformato in una prospettiva che non si realizzerà mai.

L'Europa ancora una volta ha sanzionato l'anomala situazione del nostro Paese nel campo dell'informazione, mentre la RAI è stata brutalmente normalizzata; vige la censura, si espellono e si cancellano uomini e programmi non graditi. In RAI si vede un Paese che non esiste, dove il Governo consegue straordinari successi, che sono solo nella sua propaganda elettorale. Questa legge assegna odiosi privilegia alla persona che oggi è Presidente del Consiglio e ai poteri che la circondano. Viene colpito a morte l'articolo 21 della Costituzione, ove si afferma la libertà di stampa. Perciò l'approvazione di questa legge è un altro durissimo colpo a quell'insieme di tutele, garanzie, diritti, libere rappresentanze che abbiamo chiamato democrazia, e che si incardina nel modo assoluto nella Costituzione.

Il Governo è irresponsabile, inerte, inetto sul drastico peggioramento sulla vita delle famiglie, litiga in modo furibondo sugli assetti di potere dei singoli Ministri, maè attentissimo a costruire un comando autoritario e centralizzato attorno alla figura di Berlusconi. Se ne vada, e al più presto!

Per queste ragioni noi, Comunisti Italiani, diciamo no a questa legge. (Applausi dai Gruppi Misto-Com e Misto-RC e del senatore Rotondo)

SODANO Tommaso (Misto-RC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SODANO Tommaso (Misto-RC). Signor Presidente, affermare che quello che stiamo trattando è un provvedimento scandaloso è davvero poca cosa. Gli interessi da difendere sono evidentemente troppo grossi per preoccuparsi dell'indignazione degli italiani. A nulla sono valse le indicazioni delle sentenze della Corte costituzionale e del messaggio del Presidente della Repubblica, che hanno avuto in comune il richiamo ad un maggior rispetto del pluralismo dell'informazione. Purtroppo, questi richiami hanno trovato una maggioranza sorda ed il testo continua a legittimare la condizione di illegalità diffusa in questo settore.

L'ultima versione della legge Gasparri realizza un aggiustamento falso, formale e inefficace di un sistema truffaldino, quale il sistema integrato delle comunicazioni.

L'essenza del provvedimento è una cristalizzazione di quei poteri forti, di quelle posizioni dominanti, di quei conflitti di interesse di cui l'attuale maggioranza è fortemente intrisa e attraversata, tanto da caratterizzarsi ormai chiaramente come un vero e proprio contratto di affare. È impressionante come, nell'affrontare i problemi inerenti al sistema pubblico, ci scontriamo innanzitutto con gli interessi politici della maggioranza e quelli privati del Presidente del Consiglio.

L’informazione oggi è il bandolo di cui il Governo, il Presidente del Consiglio in primo luogo, intendono servirsi per ricostruire un consenso che si è incrinato.

Di fronte a un evidente blackout del consenso, rispondete come avete fatto a Melfi con la repressione o tentando di ingabbiare il pluralismo con un’operazione tutta anomala e illegale.

Lo spirito antidemocratico di questo provvedimento non può essere dunque emendato, ma dev’essere debellato demolendone l’impianto strategico. (Richiami del Presidente).

Quella della legge Gasparri è un’impostazione ad personam che assegna odiosi privilegi all’interesse privato.

Il Governo fa carta straccia dell’articolo 21 della Costituzione, senza garantire il pluralismo delle voci, dei soggetti e della libera informazione della stampa. La legge Gasparri rappresenta una chiara metafora della maggioranza e della sua cultura politica. Non è neppure un caso che per tale via ha inteso operare ancora un imbavagliamento del conflitto sociale, dei movimenti della scuola, dell’università, del precariato, del lavoro e di quello per la pace.

Non si può cancellare quanto sta accadendo nel Paese; non si possono cancellare le immagini dei lavoratori e delle lavoratrici di Melfi, che reclamano un trattamento dignitoso e subiscono cariche indiscriminate; non si può cancellare l’ondata di malcontento che attraversa il nostro Paese e che rischia di travolgervi.

Il giudizio di Rifondazione Comunista su questo provvedimento è estremamente negativo, ma non ci limiteremo ad esprimere in quest’Aula il nostro voto contrario: faremo di tutto per renderne difficile l’applicazione reale nel Paese, affiancheremo tutte le mobilitazioni che la società civile metterà in campo contro quest’ennesimo schiaffo che il Governo intende dare alla democrazia del nostro Paese. (Applausi dai Gruppi Misto-RC, Misto-Com e del senatore Bonavita. Congratulazioni).

FABRIS (Misto-AP-Udeur). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABRIS (Misto-AP-Udeur). Signor Presidente, colleghi, la maggioranza ci sta costringendo ancora una volta a votare una legge che non solo fa gli interessi del Presidente del Consiglio, ma che già sappiamo rischia di cadere, dopo la sua approvazione, sotto la scure della Corte costituzionale.

A nome dunque dei senatori di Alleanza popolare-Udeur annuncio il voto contrario alla cosiddetta legge Gasparri, anche se il Ministro non me ne vorrà, ma noi pensiamo che non sia proprio lui il padre biologico non sia lui…

Ricordo che questa legge è stata rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica con un messaggio assolutamente chiaro e inequivoco nei contenuti. Vi era in quel rinvio un elemento di novità che la maggioranza ha fatto finta di non capire. Per la prima volta il Capo dello Stato ha rinviato una legge di sistema sottoposta a censura di fatto nel suo intero impianto, che in quanto tale doveva essere riconsiderata nel suo insieme e non per singole parti come avete fatto voi.

Non vi sono dubbi, dunque, che questa legge, come già altre leggi di questo Governo, inevitabilmente finirà sotto la scure della Corte costituzionale! È già successo con il lodo Schifani sta per succedere con la legge Bossi-Fini, come a suo tempo noi avevamo ampiamente pronosticato.

Il problema vero è che questo Governo non sa fare buone leggi e avete sprecato più di due anni per fare questo regalo a Berlusconi, invece che risolvere i problemi degli italiani.

Abbiamo assistito a un episodio di una gravità istituzionale senza precedenti: qui al Senato, come e peggio che alla Camera, il messaggio con il quale il Presidente della Repubblica aveva rinviato il testo della legge è stato nei fatti svilito, ridimensionato, direi ridicolizzato.

Le questioni rilevantissime che vi erano evidenziate sono state accolte, non come un saggio e autorevole contributo da utilizzare nell'iter di formazione di una legge importante (che riguardava - lo ricordo - il pluralismo nel settore dell’informazione), bensì come un fastidioso e ingombrante ostacolo alla tutela degli interessi del Presidente del Consiglio.

Francamente, ci saremmo aspettati un Senato un po’ più orgoglioso, un po’ meno inerme. Ma qui, a differenza che alla Camera, i colleghi della maggioranza non hanno mai dimostrato alcuna autonoma capacità (Richiami del Presidente). Ho finito, signor Presidente, di intervento rispetto ai desiderata del Presidente del Consiglio.

Tutte le proposte del Governo qui al Senato vengono digerite dai colleghi di maggioranza, lasciando ai loro colleghi della Camera, che evidentemente essi ritengono più coraggiosi e intelligenti, il compito di correggere i loro errori, salvo poi - da bravi soldatini - votare il compito corretto dalla Camera.

Noi voteremo dunque contro questa legge per questi motivi, ma anche perché essa nei fatti uccide il pluralismo e la democrazia nel sistema delle telecomunicazioni è dell'informazione. (Applausi dei senatori Zanda e Vitali).

MARINI (Misto-SDI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINI (Misto-SDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo che la maggioranza sta per approvare sollecita una riflessione generale sul modo di essere della nostra democrazia. Il provvedimento quindi va ben al di là dei contenuti tecnici che sostiene, ed a mio giudizio è riduttivo, anche se corrisponde a verità, denunciare la grave anomalia e la lesione che si determinano all’interno della nostra democrazia considerata la condizione nella quale il Parlamento esprime un voto che riguarda il sistema dell’informazione.

Noi sappiamo che il Presidente del Consiglio difende suoi interessi, che l’intera maggioranza è in ostaggio, si pone a difesa degli stessi ed è acritica rispetto a questa situazione. Secondo me però questo è poca cosa rispetto al problema più generale, perché la questione è ampia e si intreccia, da un lato, al rapporto comunicazione-formazione-opinione politica dei cittadini e, dall’altro, alla libertà e al pluralismo dell’informazione in uno Stato democratico.

Il ruolo dell’informazione in una società democratica è fondamentale, perché contribuisce a costruire la volontà dei cittadini, ed è fondamentale soprattutto per quei cittadini meno attrezzati culturalmente, che hanno minori possibilità di leggere i quotidiani e non conoscono esattamente i termini delle varie questioni affrontate, di volta in volta, da chi guida il Paese. Eppure la nostra Costituzione, nella sua Parte I, quella che anche voi colleghi della maggioranza ritenete non vada toccata, anzi tutelata, detta i principi fondamentali della nostra democrazia, ponendo al centro la libertà dei cittadini, presupposto della quale è la formazione libera della coscienza democratica.

L’articolo 49 tutela il principio di libertà della formazione dei cittadini, con una volontà che si esprimerà attraverso l’associazionismo. Ma tutto ciò passa attraverso la neutralità dell’informazione, che a nostro giudizio manca oggi in Italia e che con questa legge mancherà ancor di più.

Come si può determinare una politica nazionale voluta dai cittadini in una democrazia se non attraverso la partecipazione, il coinvolgimento degli stessi nei momenti, se non decisionali, quanto meno di promozione delle decisioni? Come è possibile costruire una democrazia partecipata senza corretta informazione? Ricordo che la formazione corretta passa attraverso il pluralismo dell’informazione, ma tale pluralismo può essere forse garantito da un monopolio? Secondo me no e credo che nemmeno voi possiate pensare una cosa simile.

Il pluralismo si determina in due modi, o attraverso il dominio assoluto dell’informazione, e questo non può essere rimesso all’Esecutivo, ma a cittadini al di sopra delle parti, o attraverso la concorrenza, con l’esistenza di una serie di reti e di strumenti di informazione. Più reti, diverse proprietà; diverse proprietà, diverso modo di presentare l’informazione. In Italia noi abbiamo invece una situazione assurda, da un lato la RAI, che esercita metà dell’informazione, e sappiamo che è pessima, spazzatura, dall’altra un proprietario privato, che rappresenta l’altra metà dell’informazione e che determina il cinquanta per cento pubblico.

Se questa è la situazione, ed è di fronte agli occhi di tutti, credo non si possa che essere convintamente contrari a questo disegno di legge. Noi socialisti voteremo contro. (Applausi dal Gruppo Misto-SDI e del senatore Fabris).

DONATI (Verdi-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, rappresentanti del Governo, il giudizio dei Verdi su questo provvedimento resta estremamente negativo, perché il disegno di legge Gasparri/Mediaset continua inesorabilmente ad andare in direzione contraria a quelle norme di "garanzia del pluralismo ed imparzialità dell’informazione", invocate dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio al Parlamento, il 23 luglio 2002.

Stiano discutendo nuovamente questo provvedimento, perché il 15 dicembre 2003 il Presidente della Repubblica ha rinviato il provvedimento alle Camere, invitandole a rivedere il testo in quanto contravveniva al principio fondamentale del rispetto del diritto al pluralismo dell'informazione e con la garanzia di un sistema pubblico in grado di assicurare realmente una informazione equa e non di parte.

Le sentenze della Corte costituzionale, le indicazioni dell’Autorità garante, il messaggio del Presidente della Repubblica hanno tutti in comune il richiamo ad un maggior rispetto, ancora assolutamente disatteso nel testo che il Senato si appresta a votare, del pluralismo dell'informazione nonché all'obbligo del legislatore (cioè noi) di contrastare la concentrazione nelle mani di pochi del sistema radiotelevisivo.

Ma Governo e maggioranza, anziché rivedere seriamente il disegno di legge oggetto dei rilievi del Presidente della Repubblica, si sono limitati soltanto ad apportare piccole operazioni di lifting al testo, lasciandolo sostanzialmente inalterato.

E un testo che i Verdi e le forze dell'opposizione unite hanno duramente contrastato sia in Commissione sia in quest'Aula del Senato, ma che non ha impedito a Governo e maggioranza, accecati dall'esigenza di tutelare gli interessi privati del Premier, di procedere comunque nel più evidente disprezzo dei rilievi avanzati dal Capo dello Stato.

La prima fondamentale obiezione riguarda il limite di concentrazione per un unico soggetto proprietario sul complessivo Sistema integrato delle comunicazioni, una sorta di paniere allargato del sistema informativo che consentirà agli attuali operatori di espandersi ulteriormente. È stato stimato che Mediaset potrà crescere del 55 per cento e la Rai del 100 per cento. In pratica pochi operatori equivalgono a poco pluralismo nell’informazione, è semplice da comprendere.

In secondo luogo, il disegno di legge Gasparri-Mediaset, opportunamente integrato con il decreto salvareti, autorizza l'ennesima proroga per consentire a Rete 4 di continuare a trasmettere in chiaro per un lungo periodo transitorio, nonostante una precisa sentenza della Corte, la n. 466 del 2002, abbia stabilito in modo indiscutibile che dal 1° gennaio 2004 dovevano essere liberate le frequenze.

Inoltre il provvedimento consente a chi già possiede più di due reti nazionali di acquistare subito le radio e dal 2010 anche giornali e quotidiani: è questo un grave colpo al sistema pluralistico che ha sempre caratterizzato il sistema della carta stampata nel nostro Paese. Aumenterà ancora la concentrazione nelle mani di pochi proprietari dell'intero sistema di informazione, riducendo quindi di conseguenza la libertà di espressione e di opinione.

Altro elemento grave del testo riguarda l'affollamento pubblicitario, che permette di mandare in onda più telepromozioni negli orari di massimo ascolto televisivo. È una norma fatta solo per assicurare più pubblicità al sistema televisivo, riducendo ancora le opportunità di raccolta per giornali e radio, nonché per il sistema locale televisivo. Ma Governo e maggioranza, nonostante un preciso richiamo del Presidente della Repubblica su questo punto, non hanno voluto correggere la norma perché evidentemente di vitale importanza per Mediaset.

Infine, il provvedimento interviene sul riassetto della RAI, con una privatizzazione sbagliata quanto inutile senza porre alcun limite di detenzione del 51 per cento in mano pubblica, e lasciando questa scelta delicata in mano al Governo ed espropriando così anche il Parlamento.

Ma certo non è sfuggito ai cittadini che la privatizzazione consente di riaprire il balletto delle nomine nel Consiglio di amministrazione della RAI restituendo un ruolo molto forte ai partiti per le scelte sui futuri assetti e lottizzazioni dell'azienda pubblica. In questo testo per la RAI mancano un progetto strategico e risorse adeguate per garantirne il rilancio ed il ruolo essenziale di servizio pubblico, e le aggressioni davvero volgari e continue alla Presidente di garanzia, a cui va la nostra solidarietà, sono solo un assaggio dell'assalto che si prepara per la RAI.

Il risultato concreto di queste norme sarà una RAI sempre più debole ed asservita al potere politico, le reti Mediaset sempre più forti, nessun nuovo soggetto privato in grado di crescere, perché gli viene impedito per legge, con l'aggravante che le tre reti private sono di proprietà personale del Capo del Governo, confermando il nodo irrisolto del palese conflitto d'interessi del presidente del Consiglio Berlusconi e consolidando quella che, a livello europeo, si configura già come una vera e propria anomalia italiana. Conferma quest'ultima arrivata anche dal Parlamento Europeo che, la scorsa settimana, ha approvato a larga maggioranza un Rapporto sulla libertà dei mezzi di comunicazione in Europa, che mette precisamente sotto accusa in modo esplicito il potere mediatico del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Il rapporto rileva l'anomalia della situazione italiana "dovuta ad una combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo".

Anomalia destinata a peggiorare, come abbiamo dimostrato tante volte, se verrà approvato questo disegno di legge Gasparri-Mediaset, ma contro cui non ci arrenderemo continuando la battaglia fuori da quest’Aula, sostenendo ricorsi e mobilitazioni per impedirne la sua attuazione.

Proprio perché restiamo convinti che la libertà di espressione ed il pluralismo nell’informazione siano un ingrediente essenziale per un Paese democratico come sancito dall'articolo 21 della Costituzione, annuncio a nome del Gruppo dei Verdi un convinto e deciso voto contrario su questo provvedimento. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U, Mar-DL-U e della senatrice De Zulueta).

ZANDA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZANDA (Mar-DL-U). Signor Presidente, signori senatori, signori membri del Governo, oggi i cittadini italiani avrebbero il diritto di sapere che il loro Senato è stato convocato per discutere della tragedia irachena, dell'agonia dell'Alitalia e della crisi sociale ed industriale della FIAT di Melfi. Invece, il Governo obbliga i senatori ad occuparsi di affari privati. Che si tratti di affari privati ce lo ha ricordato poche settimane fa il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri che, con la franchezza che solo i veri potenti possono permettersi, ha reso pubblici i vantaggi finanziari che la legge sul riassetto della televisione porterà alle casse di Mediaset: quattromila miliardi di lire l'anno.

Signori senatori della maggioranza, con l'approvazione di questo disegno di legge, voi vi apprestate a violare quel patto costituzionale di mutuo rispetto tra il Parlamento e la funzione di garante della Costituzione che tutti i Presidenti della Repubblica italiana, dal 1948 ad oggi, hanno sempre esercitato con il pieno rispetto di tutti i Governi e di tutti i Parlamenti.

Con i suoi messaggi del luglio 2002 e dello scorso dicembre, il presidente Ciampi ha chiesto al Parlamento di garantire il pluralismo dell'informazione e di impedire posizioni dominanti nella proprietà di network televisivi e della carta stampata. A questo invito Governo e maggioranza hanno risposto con un provvedimento che aggrava i problemi dell'informazione schiacciata dall'assenza di pluralismo e dalla prepotenza di un monopolio di fatto.

Signori senatori, credo che oggi in quest'Aula si debba parlare chiaro. Il Presidente domandava più pluralismo e da domani ne avremo di meno. Domandava meno posizioni dominanti e da domani ne avremo di più. Il Governo Berlusconi sta chiedendo al Senato di approvare un provvedimento che è tale e quale a quello che il Presidente della Repubblica aveva rinviato alle Camere, salvo qualche ritocco tecnico che nella sostanza non cambia nulla.

Mi rivolgo a lei, ministro Gasparri perché ha firmato questo provvedimento e perché lei è oggi qui in rappresentanza del Governo. Onorevole Gasparri, lei può spiegare al Senato dove è finita la firma del Presidente del Consiglio? Può per cortesia dire pubblicamente e formalmente perché il Presidente Berlusconi non ha firmato un disegno di legge così importante? Può almeno una volta oggi riconoscere nell'Aula del Senato la vastità - la vedo sorridere; questo non è un argomento comico, onorevole Ministro (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI e Misto-AP-Udeur) - le dimensioni e la pericolosità di quel conflitto di interessi che ha impedito al presidente Berlusconi di sottoscrivere, come sarebbe stato suo preciso dovere, questo provvedimento?

Vede, onorevole Ministro, la mancata firma del presidente Berlusconi al suo disegno di legge non è un indizio di ritrovato senso di decenza del Governo della maggioranza; è la prova dell'indecenza della vostra azione politica e di Governo.

Permettetemi due parole sul contenuto di questo provvedimento. Non voglio parlare della falsa privatizzazione della RAI e nemmeno della sua sempre maggiore dipendenza dalle forze politiche di Governo né voglio ricordare questa commedia - perché si tratta di una vera commedia - del digitale terrestre, l'unico obiettivo di aggirare le disposizioni della Corte costituzionale su Rete 4.

Voglio fare soltanto un accenno agli effetti di questo disegno di legge sulle due questioni che più stanno a cuore al Presidente della Repubblica: le posizioni dominanti e il pluralismo dell'informazione.

Nessun Paese democratico moderno con un’economia di mercato tollera più le posizioni dominanti in alcun settore industriale, figuriamoci nel settore della comunicazione.

Oggi, RAI e Mediaset si spartiscono, fifty-fifty, quasi il 95 per cento del mercato televisivo italiano. Ditemi voi se questa non è una posizione dominante.

Vista le legislazione europea, visto l’esempio degli altri Paesi occidentali, letto il messaggio del Presidente della Repubblica, gli italiani si sarebbero aspettati che il Governo avesse presentato un disegno di legge che riducesse la presenza di RAI e Mediaset e lasciasse spazio alla concorrenza aprendo il settore al mercato.

Signor ministro Gasparri, non la voglio disturbare mentre telefona, ma voglio chiederle se potrebbe spiegare, non tanto al Senato che vedo non le interessa, ma almeno all’opinione pubblica italiana, come mai questo fantomatico SIC invece di ridurre la scandalosa posizione dominante di Mediaset, farà proprio il contrario, ne aumenterà la forza di più del 50 per cento?

E poi, con riferimento al pluralismo, signor Ministro, occorre dire che pluralismo e posizioni dominanti sono due concetti assolutamente inconciliabili e la presenza del monopolio di fatto RAI-Mediaset è la spiegazione reale e chiara del mancato pluralismo televisivo in Italia.

Ma il provvedimento che stiamo esaminando e che forze voi approverete a breve, non si occupa solo di televisione: qui è avviata una vera e propria aggressione anche al pluralismo della carta stampata.

Ciò avviene in due modi, vale a dire attraverso la legalizzazione delle telepromozioni oggi illegali, così sottraendo risorse pubblicitarie ai giornali, e abolendo il divieto di intrecci proprietari tra televisione e carta stampata, ultimo argine allo strapotere di Mediaset.

Tra qualche anno, Silvio Berlusconi se vorrà, potrà acquistare quotidiani (ad esempio, il "Corriere della Sera") e non dovrà più chiedere una cortesia a suo fratello Paolo come ha fatto quando ha finto di vendergli "Il Giornale". Potrà acquistare giornali legalmente e personalmente.

Anche al proposito, signor Ministro, può spiegarmi come questa norma sulle telepromozioni e sugli intrecci proprietari potrà favorire il pluralismo dell’informazione?

Questo disegno di legge, onorevoli senatori, è incostituzionale; vìola clamorosamente l’articolo 21 della Costituzione e la sua incostituzionalità verrà dichiarata dalla Corte costituzionale, non perché i giudici della Corte siano comunisti, come molti di voi, senatori della maggioranza, sostengono, ma perché la Corte costituzionale italiana, in tutta la sua storia, è stata sempre coerente con le proprie decisioni e non potrà che confermare la sua giurisprudenza e le sue sentenze che, sinora, hanno costantemente definito il pluralismo dell’informazione in modo esattamente opposto a quanto realizza il disegno di legge che voi volete regalare all’Italia.

Permettetemi di concludere con una considerazione politica. Tutti qui in Senato sappiamo che molti, probabilmente moltissimi senatori della maggioranza non condividono alcunché di questo provvedimento, ma lo votano lo stesso perché pensano che questa sia l’ultima volta che vengono chiamati ad approvare una legge che trova origine negli interessi personali o patrimoniali del Capo del Governo.

Vorrei mettere sull’avviso i senatori della maggioranza. Questa legge non sarà l’ultima di questo genere. Dopo la detassazione delle successioni miliardarie, dopo la legge Cirami, il lodo Schifani, i vincoli alle rogatorie internazionali, il falso in bilancio, il condono fiscale, le norme sul rientro dall’estero dei capitali, il provvedimento spalma-calcio, il decreto-legge salva Rete 4, arriva adesso la legge Mediaset-Berlusconi.

Signori senatori della maggioranza, non fatevi illusioni. Votando la legge Mediaset-Berlusconi voi non chiudete il capitolo delle leggi ad personam e nemmeno quello delle leggi illiberali. (Richiami del Presidente). Concludo, signor Presidente.

Sarete costretti a sempre più numerosi compromessi con la vostra coscienza personale e politica e molti di voi, già dopo le elezioni del prossimo giugno, si pentiranno di aver votato questa pessima legge, contro la quale tutti i senatori della Margherita voteranno convinti e compatti. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U e dei senatori De Zulueta, Michelini e Pedrini).

BRUTTI Paolo (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUTTI Paolo (DS-U). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi senatori … (Il ministro Gasparri si trova sui banchi di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Signor Ministro, torni al suo posto e ascolti anche il collega della sinistra. Occorre ascoltare tutti e due i tipi di dichiarazioni di voto, da una parte e dall’altra.

PASCARELLA (DS-U). "Gasparri, missione compiuta"!

PRESIDENTE. Ministro, torni al suo posto. (Commenti del senatore Garraffa). Senatore Garraffa, abbiamo evitato richiami all’ordine ed espulsioni. Vediamo di finire in bellezza.

BRUTTI Paolo (DS-U). Signor Presidente, sta per concludersi con il voto che daremo tra poco una delle pagine meno onorevoli del Parlamento e del Senato. Hanno contribuito a questo accadimento uomini convinti di quel che facevano (il senatore Tofani ha detto che qui ci sono uomini più realisti del re o più berlusconiani di Berlusconi). Tuttavia mi dispiace particolarmente che ciò si determini con la cooperazione di uomini della maggioranza che, per altro verso, stimo e che so che non esprimono questo voto con il cuore libero. Non hanno trovato la forza di liberarsi da una coercizione, da una pressione esterna, che li ha fatti strumento, loro, come tutta la maggioranza, della realizzazione degli interessi materiali di un grande gruppo finanziario e industriale, la Fininvest.

Non vi è importato nulla che per questa via non si facessero gli interessi economici del Paese e gli interessi economici del settore della comunicazione radiotelevisiva, che dopo questo provvedimento e le correzioni che sono state apportate, resta ingessato entro un asfissiante duopolio RAI-Mediaset, che poi in realtà duopolio non è, perché la RAI non ha più un’autonoma volontà e un’autonoma capacità imprenditoriale.

Essa si avvia a diventare, da grande e ambizioso polo culturale e industriale pubblico, un avvilente scimmiottamento dei caratteri più negativi delle televisioni commerciali. Questa legge peggiora, se possibile, la condizione della RAI e ne fa strumento asservito agli interessi politici del Governo del momento, ora a quelli della Casa delle Libertà, proprio alla vigilia di un importante tornata elettorale.

La legge non è ancora approvata e già manifesta appieno tutta la sua influenza nefasta sulla RAI. Il direttore generale, che ha scarsa dimestichezza con la comunicazione radiotelevisiva e molto con le frequentazioni delle stanze del potere politico, ha decretato la sospensione dei poteri del consiglio di amministrazione, inaugurando un nuovo stile: in diretta i serial killer, in differita il movimento dei lavoratori, nell’oscuramento del movimento della pace. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U e Misto-Com).

Se ci fosse una ragionevole giustizia, occorrerebbe piuttosto mandare in differita, almeno di una settimana, il salotto di "Porta a Porta", nel quale il Presidente del consiglio e i suoi Ministri si avventurano in spericolate affermazioni che mettono in discussione i rapporti internazionali, la sicurezza del Paese e la sicurezza dei cittadini.

Infine, questa legge è uno schiaffo al Presidente della Repubblica e alla sua paziente opera di difesa dei valori costituzionali del pluralismo e della libertà di espressione.

Il Presidente della Repubblica ha chiesto di modificare almeno il SIC, questo obbrobrio, riducendolo e rendendolo più omogeneo al fine, egli dice, che "chi detiene il 20 per cento delle risorse non acquisisca una posizione dominante sul mercato radiotelevisivo".

Ebbene, ministro Gasparri, il SIC, il sistema integrato delle comunicazioni a cui la legge dà vita, è esattamente il doppio di quello su cui attualmente si calcola il limite di concentrazione dei mezzi finanziari.

Nel nuovo SIC Mediaset potrebbe rientrare entro il limite legale del 20 per cento dei ricavi, pur tuttavia espandendo il proprio fatturato fino a 5,2 miliardi di euro contro i 4 miliardi attuali, cioè al 30 per cento in più dell’attuale. Si è quindi realizzato il miracolo che Mediaset potrebbe dominare di più il mercato delle telecomunicazioni ed essere giudicata in una posizione meno dominante di ora. Questo è il senso della vostra legge. Mi si potrebbe rispondere che anche la RAI può farlo, ma permettetemi di dire che bisogna cominciare a pensare alla testa, non alla coda, e oggi la RAI è la coda.

È il caso paradossale che abbiamo già vissuto per i limiti di inquinamento: se c’è un limite di inquinamento non si disinquina, ma si modificano i livelli in modo da far diventare l’inquinamento legale. Questo inquinamento delle telecomunicazioni voi lo state facendo diventare legale. E questo sempre che sia legittimamente sostenibile per via giurisprudenziale, cosa di cui io dubito, che la lettera della legge riferisca questo limite di concentrazione del 20 per cento alla Fininvest e non alle società di comunicazione che ne fanno parte: Mediaset, Mondadori e Medusa.

Abbiamo votato un ordine del giorno in questo senso, ve lo voglio rammentare, ma se così non fosse, la somma delle posizioni di Mediaset, Mondadori e Medusa nel SIC, ancor quando ciascuna fosse inferiore o uguale al 20 per cento del mercato, porterebbe l’intera Fininvest molto oltre le soglie consentite.

Abbiamo sentito tutti le affermazioni impegnative del presidente Grillo, del sottosegretario Innocenzi e quelle un po’ meno chiare e un po’ più borbottate dello stesso Ministro. Loro sono uomini d’onore, ma anche Confalonieri è un uomo d’onore e appena ieri ha dichiarato che subito dopo che la nuova legge glielo consentirà si espanderà nella radio, nell’editoria elettronica e in Internet. Non credo che Confalonieri pensi di farlo a spese della pubblicità televisiva di Mediaset. Dunque vedremo alla fine quale punto di vista prevarrà. E se dovessimo scommettere so che nessuno scommetterebbe, nello scontro Confalonieri-Grillo, a favore del presidente Grillo sperando che egli abbia la meglio sul presidente Confalonieri e, sia detto per inciso, sul vice presidente Berlusconi.

Dunque il messaggio del Presidente della Repubblica è stato ignorato nel suo punto fondamentale, nella forma e nella sostanza. La legge meriterebbe di essere di nuovo rinviata alle Camere. Se il Presidente della Repubblica lo facesse compirebbe un atto di igiene costituzionale.

In ogni caso, è evidente - e in questo nostro dibattito parlamentare è apparso chiaro - che la legge mostra gravissimi profili di incostituzionalità, perciò cadrà sotto la censura della Corte non appena qualcuno vi farà ricorso (e qualcuno che farà ricorso ci sarà!).

La legge è contraria alle direttive europee in materia di comunicazione televisiva, come ha stabilito il Parlamento europeo che si è appena espresso sulla Gasparri…

PRESIDENTE. Senatore Brutti Paolo, la invito a concludere.

BRUTTI Paolo (DS-U). Signor Presidente, per questi motivi voteremo contro questa pessima legge, per salvaguardare i valori costituzionali nell’interesse dell’impresa di comunicazione e della cultura italiana; soprattutto voteremo contro per dire all’opinione pubblica e al Paese, ai tanti che in questi mesi si sono battuti per la difesa del pluralismo e per la libertà di comunicazione, che nella casa della sovranità popolare abitano ancora uomini liberi che non permetteranno che si inaridisca una delle radici della libertà, la libertà di informazione. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com, Misto-RC e del senatore Michelini. Molte congratulazioni).

Le percentuali elettorali non danno mai il senso degli spostamenti reali. Tanto più quando tra l’elettorato e il potere c’è di mezzo un sistema elettorale così scombinato come quello italiano. Sappiamo tutti che il potere l’ha conquistato Berlusconi (e sappiamo pure con quali mezzi, e con quali complicità soggettive e oggettive). Sappiamo, un po’ vagamente, che però il popolo non ha dato al nuovo Capo l’adesione totalitaria alla quale aveva indirizzato le ingenti risorse gettate nella battaglia: dal 1996 al 2001 Berlusconi ha enormemente aumentato il suo potere, non la sua forza di convinzione sull’elettorato.

Luigi Scano, lavorando sui dati del Ministero degli interni, ha elaborato qualche tabella utile per riflettere. A voi i commenti: se me li mandate, li inserisco.

Camera dei Deputati - proporzionale


Elezioni 1996 Elezioni 2001

Centro sinistra e sinistra


Democratici sinistra 6.145.569
PDS 7.894.118
Sub-totale 7.894.118 Sub-totale 6.145.569
POP - SVP - PRI - UD -PRODI 2.554.972
Rinn. It. - Dini 1.627.380
La Margherita 5.374.266
SVP 200.056
Sub-totale 4.182.352 Sub-totale 5.574.322
Fed. dei Verdi 938.665
Il Girasole 804.352
Comunisti italiani 616.649
Totale 13.015.135 Totale 13.140.892
Rifondazione comunista 3.213.748 Rifondazione comunista 1.867.712
Totale 16.228.883 Totale 15.008.604
Lista Di Pietro 1.443.057
Totale 16.228.883 Totale 16.451.661
PDS + Rifondazione comunista 11.107.866 DS + Comunisti italiani + Rifondazione comunista 8.629.930
PDS + Rifondazione comunista + Verdi 12.046.511 DS + Comunisti italiani + Rifondazione comunista + Girasole 9.434.292


Centro destra e centro


Forza Italia 7.712.149 Forza Italia 10.921.335
Alleanza Nazionale 5.870.491 Alleanza Nazionale 4.458.651
CCD - CDU 2.189.563 CCD - CDU 1.193.694
Sub-totale 15.772.203 Sub-totale 16.573.680
Lega Nord 3.776.354 Lega Nord 1.456.490
Totale 19.548.557 Totale 18.030.170
Nuovo PSI 352.862
Totale 19.548.557 Totale 18.383.032
Pannella - Sgarbi 702.988
Pannella - Bonino 841.214
Totale 20.251.545 Totale 19.224.246
Democrazia europea 886.988
Totale 20.111.234
Leghismi dissociati
Liga fronte veneto 74.288
Totale 74.288
Estrema destra
Mov. Soc. - Tricolore 339.351
Fiamma tricolore 142.894
Fronte nazionale 23.230
Forza nuova 13.550
Totale 339.351 Totale 179.674
Altri
Verdi - verdi 25.788 Verdi - verdi 18.251
Altre liste verdi 15.560
Lega d’azione meridionale 72.062 Lega d’azione meridionale 23.812
P.S.d’az. 38.002
P.S.d’az. - Sard. Natz. 34.345
Liste autonomiste 206.059
Liste socialiste 149.441
Social. auton. 6.775
Partito pensionati 68.242
Noi siciliani 7.798
Paese Nuovo 33.353
Abolizione scorporo 27.067
Liberi e forti 7.254
Comunismo 5.203
Lista Amadu 11.513
Lib. Dem . - Basta 6.202
Mov. Libertà 6.773
Altre liste 158.607 32.160
Totale 665.519 Totale 291.667

Senato della Repubblica

Elezioni 1996 Elezioni 2001

Tre aneddoti su B. Con quanta empatia venerdì 23 agosto racconta i suoi miracoli all´assise riminense Cl: l´assemblea invoca luce; e toltasi la giacca, lui irradia torrenti luminosi. Poche settimane dopo, ritto sulla jeep, sfila davanti a reparti in armi, acclamato «Silvio!, Silvio!». Martedì 26 novembre il Tribunale viene da Palermo a sentirlo sul sodale bibliofilo, sotto accusa d´affari mafiosi, e lui non risponde, quale ex possibile imputato d´un procedimento connesso. Siamo nella norma? Complicano l´anomalia artisti d´una politica esoterica. L´archetipo italiano è Ludovico Sforza, detto il Moro, usurpatore del ducato milanese (reggente dal 1479, spodesta l´erede Giangaleazzo). Philippe de Commines lo descrive instabile, sottile, ombroso, funambolo, "homme sans foi": la paura gli stimola un funesto eretismo tattico; temendo gli Aragona (Isabella, moglie del nipote in gabbia, è un´aragonese, nipote del re Ferdinando), tresca con Massimiliano d´Absburgo, poi chiama Carlo VIII; gioca partite sincrone; ogni tanto cambia cavallo e finisce malissimo. Caso altrettanto tipico, nel mondo slavo, l´ultimo ministro degli esteri polacco anni Trenta, colonnello Joszef Beck. Alla domanda d´un ospite straniero, cosa pensi d´Hitler, risponde inarcando le sopracciglia: bravo, e sorride; ma quanto dista dal colonnello Beck (A.J.P. Taylor, "The Origins of the Second World War", Penguin Book, 248). Voleva sedere a Monaco, quinto Big: concupisce l´Ucraina; non degna le proposte tedesche su Danzica e Corridoio, sicuro d´intimidire i colossi confinanti; tra due lievi colpi del dito sulla sigaretta incassa l´inutile garanzia inglese; rifiuta l´aiuto russo, molto equivoco ma era la sola carta; e in tre settimane la Polonia sparisce. Esempi da ripensare quando intenditori sopraffini deplorano che gli allarmisti "strillino al regime". Ogni tanto i politicanti parlano lingue lunatiche. Nel lessico comune, dove "regime" significa varie cose, è chiaro che l´Italia 2002 ne subisca uno: sono tanti quanti gli stili governativi; e visto l´attuale, definiamolo regime personale.

Ha qualcosa delle signorie trecentesche. Il punto comune sta nell´investitura popolare o balìa ma, issato al potere dalla borghesia grassa, il signore, appena può, taglia il cordone ombelicale inaugurando politiche meno classiste: perequa i carichi fiscali; nel Pavese i Visconti abbassano i magnati e proteggono le campagne, oppresse dal Comune; a Firenze il duca d´Atene tutela i popolani. La metamorfosi, insomma, porta anche ordine, giustizia, stabilità. È cominciata dal voto assembleare: gli oligarchi delegano i poteri; il mandatario s´emancipa quale vicario imperiale; e dal titolo signorile ereditario nasce lo Stato (A. Anzilotti, "Movimenti e contrasti per l´unità italiana", Laterza, 1930, 1-31). Ora, mentre le Signorie puntavano al futuro, B. incarna forme regressive del potere. Nella fisiologia dell´alternanza il sistema ammette profondi dissensi (mercato del lavoro, fisco, istruzione, ecc.), ma qui sono a repentaglio regole capitali, come non avviene tra Pompidou o Giscard d´Estaing e Mitterand oppure quando Margaret Thatcher sbaraglia le Trade unions. Solo i finti ciechi non vedono l´anomalìa italiana. Era cresciuto sotto l´ala d´una consorteria politica, orfano della quale, irrompe sul campo perché deve salvarsi. Nell´anno 1992 l´auriga dal garofano rosa arranca, poi affoga. Cade il trinomio Caf (Craxi-Andreotti-Forlani), vacanti Quirinale e Palazzo Chigi. L´establishment muore infognato nel malaffare, avendo condotto l´Italia a due dita dalla bancarotta: fosse ancora vitale, impedirebbe i processi mobilitando sapienti inerzie (così avveniva ai bei tempi); e moltiplicato da labili psicodrammi popolari, l´evento giudiziario affretta lo scioglimento. Naufragano Dc, Psi, Psdi. Vanno alla deriva masse d´elettori captabili dal concorrente più abile. L´unico sopravvissuto è l´ex Pci in cerca d´identità. Manca l´organismo politico dell´opinione liberalsocialista. Mai viste congiunture così fluide.

Anziché puntare sulle lobbies o assumere politici professionisti, B. giostra a viso scoperto, incurante degli avvertimenti (dal fedelissimo alter ego): cava dall´azienda un partito, avendo sotto mano masse elettorali nel suo pubblico televisivo; imbarca i post-fascisti, sdoganandoli dalla quarantena, e Lega; sceglie una sigla dal lessico nazional-calcistico; rende ossequio labiale al movimento epuratorio, mentre raccoglie l´eredità attiva della classe politica folgorata; inalbera insegne d´anacronistico anticomunismo; e gioca al tavolo delle ciarle. Passerà alla storia come supremo antipedagogo, l´Attila degli schermi. Gli spettatori hanno 12 anni, ripete senza stancarsi, esigendo dagli spacciatori formule elementari che vadano diritte alla midolla: dove soffia lui, non cresce più l´erba intellettuale; altro che i dottori Mabuse e Caligaris nei film espressionisti tedeschi. Paragonati agli attuali, i vecchi programmi televisivi erano arte, varia cultura, decoro, sentimento morale. In mano sua lo spettacolo diventa ignoranza, volgarità aggressiva, ciarlataneria, svago plebeo. Con tali arnesi cattura mezza Italia, pescando nelle acque vedove, erede d´un ceto sulla cui caduta versa lacrime da coccodrillo, imputandola al complotto comunista, mentre se fosse meno istrione, ammetterebbe d´avervi guadagnato. L´avventura governativa dura appena 6 mesi. Sconfitto 2 anni dopo, sopravvive benissimo ai 5 nel deserto, anzi, cresce sulla pelle degli alleati e ruba voti agli antagonisti, nei quartieri operai, ad esempio. Stavolta piglia tutto.

Più che vittoria sua, è un suicidio ex adverso. Rammentiamolo perché le memorie politiche deperiscono. Nella primavera '96 il Centrosinistra vince sul traguardo, avendo giocato meglio la partita con uno schieramento dall´area liberale alla neocomunista, mentre sulla destra mancano i voti della Lega. Il da farsi appare chiaro: governare bene, riassestando i conti affinché l´Italia entri nell´Unione europea, obiettivo arduo; e risolvere l´aberrante conflitto d´interessi, cominciando dalle televisioni. L´opera riesce a metà: buono l´esecutivo; funesta la politica nelle Camere; e quanto meglio lavora il governo, tanto meno vitale appare; i becchini contano le settimane; l´aspirante erede postula un B. senza futuro politico o addomesticabile: due ipotesi false, e avvia dialoghi intesi niente meno che a rifondare la Repubblica. L´affabile mago vende fumo, nel qual mercato incanterebbe anche Asmodeo, uno dei più fini alla corte diabolica. L´abbaglio costa caro nella partita con un eversore quale costui era ed è. Alla falsa diagnosi seguono scelte empie. Imperdonabile l´oblio del conflitto d´interessi, né aveva senso colpire le toghe, nemmeno incombesse un temibile potere inquisitoriale: dei dulcamara tengono consulto; un barbiere arrota i ferri; l´Italia corrotta trova benevoli rivalutatori; corre voce che i giudizi berlusconiani siano risolubili extra ordinem, Dio sa come, magari attraverso salvacondotti parlamentari, simili alle lettres de grâce con cui monarchi iure divino salvavano i loro protetti. La Bicamerale tiene a balia filosofie forzaitaliote. Passi falsi elettorali completano la débâcle e poteva finire peggio.

B. deve molto ai "comunisti": erano manna elettorale i diavoli rossi, né fiatavano gli opinanti cosiddetti liberali (salvo schernire l´"apocalittica" antiberlusconiana, e dopo le figure ridicole o pietose al governo, apparso qual è l´uomo d´Arcore, un bagalùn d´l lüster bravissimo solo nell´arricchirsi sulla pelle pubblica, gli rendono l´ultimo servizio predicando il disgelo); non fosse esistito quel Pci, lo inventerebbe; vuole oppositori su misura. Qualche uomo della nomenclatura convola nelle sue file o se lo sogna partner. Lievitano affinità trasversali e pose dialoganti. Ma ogni tanto batte dei colpi un´etica immanente nella storia: e allora le furberie amorali perdono; uomini d´apparato divorano i concorrenti; poi, nonostante l´imprinting bolscevico o forse a causa dello stesso, cadono nelle fauci berlusconiane. S´illudevano d´averlo catturato, quasi non fosse il suo mestiere spacciare illusioni da quando intratteneva i croceristi sulle navi. Bisognava chiudere seriamente la partita. Gli epigoni del Moro filano intese costituenti, l´accreditano e gli lasciano l´ordigno con cui li sgomina. In francese l´idea è presto definita: i dialoghi sono auspicabili con Chirac, avversario, ma lui era Le Pen, nemico; né appare meno predone dopo la vittoria, meno che mai adesso, con l´acqua alla gola. Il lupo nell´ovile non perde i vizi; e se falsi testimoni lo dicono penitente, stia attento l´uditorio: sono favole da Malebolge, le fosse «color ferrigno» contenenti il mondo della frode, «ruffiani, ingannatori, lusinghieri» e simili (Inferno, XVIII).

Innanzitutto, ci sembra cosa gradita presentare una parte della squadra che abbiamo eletto e ci governa

BERRUTI MASSIMO MARIA (F.I.)
arrestato per corruzione negli anni 80, condannato per favoreggiamento

BIONDI ALFREDO (F.I.)
ha patteggiato una condanna per frode fiscale

BONSIGNORE VITO (C.C.D.)
condannato a 2 anni per corruzione

BRANCHER ALDO (F.I.)
accusato per aver pagato una tangente di 300 milioni a De Lorenzo

CANTONI GIAMPIERO (F.I.)
inquisito per vari reati ha patteggiato alcune accuse

COMINCIOLI ROMANO
imputato a Roma per rapporti con la mafia, Latitante per Mani Pulite, imputato per le false fatture in Publitalia (società di Berlusconi). Candidato da Forza Italia

COPPERTINO GIOVANNI (C.C.D.)
rinviato a giudizio per calunnia ai danni di due pentiti, noto frequentatore di feste di boss della malavita

DELL'UTRI MARCELLO
pregiudicato, condannato per false fatture, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, inquisito per calunnia: capolista per F.I.

DEL PENNINO ANTONIO (F.I.)
coinvolto nello scandalo Enimont e in quello della metropolitana di Milano

DE GENNARO GIUSEPPE (F.I.)
condannato per voto di scambio

DE RIGO WALTER (F.I.)
ha patteggiato una pena di un anno e quattro mesi per aver architettato una truffa ai danni del ministero del tesoro e della CEE

FALLICA GIUSEPPE (F.I.)
condannato per false fatturazioni in Publitalia

FORTE MICHELE (F.I.)
arrestato negli anni 80

GIANNI PIPPO (F.I.)
arrestato e condannato in primo grado per concussione

LOMBARDO RAFFAELE (C.C.D.)
due volte arrestato

MARTELLI CLAUDIO
pregiudicato, condannato a 8 mesi per tangenti Enimont

NESPOLI VINCENZO (A.N.)
coinvolto in un'inchiesta per concussione

PINI MASSIMO (A.N., indipendente)
ex detenuto di Mani Pulite

SODANO CALOGERO (F.I.)
storico inquisito, paladino degli abusivi

SUDANO DOMENICO (A.N.)
Plurinquisito

TOMASSINI ANTONIO
qui la storia ha dell’incredibile: ginecologo, condannato a tre anni per falso: ha prima contraffatto e poi soppresso il cartogramma di una paziente da lui assistita; la bambina è nata cerebrolesa. Questo tizio era in lizza per il ministero della salute.

VERDINI DENIS (F.I.)
indagato per falso in bilancio

VIZZINI CARLO (F.I.)
salvato dalla prescrizione da una condanna per tangente Enimont

PREVITI CESARE
no comment, ci sarebbe troppo da scrivere.

BERLUSCONI SILVIO
si presenta da solo
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spesso l’apparenza inganna, quindi, prima di giudicare,
vediamo il lavoro svolto…

anno 2001

13 maggio
·Il cavaliere e suoi vincono le elezioni politiche (gli italiani ringraziano).

giugno
·Berlusconi forma il suo governo, illustra il "Contratto con gli italiani" e pianifica le attività dei primi 100 giorni.

·Il ministro ultràcattolico Buttiglione attacca la legge n.194 sull’aborto ma, oltre all’opposizione, anche una parte della destra non è con lui quindi, per ora, la legge e la libertà delle donne rimangono.

Ricordiamo all’on. Buttiglione che da quando l’aborto è legale il numero di interruzioni di gravidanza volontarie è in continua diminuzione.

luglio

·Abolizione della tassa di successione. Chi ha beni fino a 350 milioni (80% della popolazione) non pagava già nulla; la tassa viene abolita solo per chi ha più di 350 milioni (20% della popolazione, cioè la minoranza riccona). E’ davvero così immorale e ingiusto che un possessore di più di 350 milioni di lire paghi una tassa del 4% al momento di donare tutto ai figli? Lo stato così non incasserà una lira da chi è straricco come, guarda a caso, Berlusconi il quale possiede beni per circa 25.000 miliardi di lire. Tutto ciò nell’interesse del paese, ovviamente.

·Con una operazione finanziaria definita "capitalismo medioevale" dagli altri stati europei, il governo non interviene e lascia mano libera all’imprenditore Tronchetti Provera (vicino a Berlusconi) che si aggiudica, tra le altre cose, la proprietà di "La Sette" che avrebbe dovuto dare origine al cosiddetto "terzo polo televisivo" ed essere di contrasto alle reti Mediaset. Così ci troviamo un governo che oltre a controllare la Rai (come ogni governo) ha tre reti della proprietà del presidente del consiglio e senza nessun polo televisivo privato antagonista.Tutto ciò per l’interesse del paese e per la pluralità dell’informazione, ovviamente.

·Giorni 20-21 e 22, Genova. L’ordine pubblico durante il G8 viene gestito in maniera completamente irresponsabile e repressiva permettendo ai violenti (black block) di sfasciare tutto per poi giustificare le violenze gratuite delle forze dell’ "ordine" sui manifestanti pacifici picchiati e insultati anche nelle caserme. Un manifestante di 23 anni, Carlo Giuliani viene ucciso da un colpo di pistola (forse due?) sparato da un carabiniere.

Centinaia sono le denuncie delle persone pestate e poi rilasciate con nulla a loro carico.

La magistratura apre sei inchieste. L’Italia pesantemente criticata dai giornali di tutto il mondo.

·Il governo dice che a Genova, le forze dell’ordine sono state "professionali e serie" e poi rimuove dall’incarico tre alti dirigenti della polizia per incompetenza (ma come? non erano professionali e serie?)

agosto

·Abolizione del regime fiscale agevolato delle cooperative: le cooperative dovranno pagare le tasse come una azienda normale e molte attività saranno messe in seria difficoltà o non potranno mai nascere.

·Approvazione di un disegno di legge proposto, tra gli altri, dal noto plurindagato per mafia Dell’Utri di Forza Italia. Tale disegno di legge riduce di fatto la collaborazione tra la giustizia italiana e quella svizzera e favorisce ancora una volta Berlusconi che è coinvolto in due inchieste internazionali(All Iberian e Sme) per truffa ecc…Un provvedimento che la maggioranza del parlamento ritiene sia sicuramente nell’interesse degli italiani.

·Depenalizzazione del reato di falso in bilancio: falsificare i conti di una azienda, truffando anche lo stato, diventa una cosa da niente quasi impunita (senza carcere e qualche multina da nulla, per un miliardario). Ricordiamoci che Berlusconi è tuttora imputato in tre processi per il reato, guarda a caso, di falso in bilancio. Tutto ciò sempre nell’interesse del paese, ovviamente.

·In barba agli accordi del 1947 e 1997 sulla restituzione dell’obelisco di Axum, il governo decide di non restituirlo. L’obelisco si trova a Roma e fu trafugato dal regime fascista e portato solennemente in Italia nel 1937 dopo aver invaso parte dell’Etiopia e massacrato le popolazioni "incivili" locali.

Vittorio Sgarbi dichiara: "Il popolo etiope deve considerarsi fortunato ad avere una vetrina nella città eterna del ricco mondo occidentale". Un po’ come noi ci sentiamo fortunati ad avere "La Gioconda" nella bellissima vetrina del Louvre a Parigi…Grazie! Siamo fieri di essere Occidentali!

settembre

·Annuncio del condono fiscale del ministro Tremonti: il nocciolo del provvedimento dovrebbe consistere in uno "scudo fiscale" a protezione di capitali che decidono di rientrare in Italia (non si tratta di conti corrente da impiegato ma di grosse aziende e multinazionali) . Il Sole 24 Ore ha calcolato che la cifra ammonterebbe solo tra l’1 e il 3% sui capitali "pentiti". Non vi è previsione di alcuna sanzione, segnalazione, nessun pagamento di aliquote progressive per gli anni pregressi e soprattutto evidente aggiramento delle norme antiriciclaggio cioè non si potrà distinguere un sciùr Brambilla da un Totò Riina o, peggio ancora, da un Berlusconi. Tutto sempre per l’interesse del paese.

·Il ministro Lunardi frettoloso di riaprire i cantieri delle grandi opere dopo mani pulite, soprattutto al sud, dichiara che bisogna "convivere con la mafia"…e anche con Dell’Utri.

·Martedì 11. Attentato agli USA, vengono abbattute le Twin Towers e parte del Pentagono con alcuni Boeing dirottati: migliaia le vittime. Il gesto viene prontamente considerato un atto di guerra per poi poter giustificare i successivi attacchi statunitensi all’Afganistan dove si ritiene sia il presunto responsabile: il miliardario saudita Osama Bin Laden. Berlusconi si sdraia sulle posizioni di Bush offrendo l’aiuto totale dell’Italia, anche militare.

·Berlusconi durante un viaggio a Berlino, pubblicamente fa affermazioni sulla "superiorità della civiltà occidentale" imbarazzando anche la destra europea. Chissà se Berlusconi, pensando alla nostra superiorità, si riferiva alle nobili gesta occidentali quali le crociate medioevali della Chiesa, la colonizzazione, il razzismo istituzionale in Sud Africa, la schiavitù negli Stati Uniti, le dittature fasciste sudamericane, le dittature comuniste dell’Est Europeo… chissà?… come mai? non ci risulta che Stalin, Hitler, Mussolini, o Truman (il presidente americano che decise di "sperimentare" la bomba atomica sul Giappone) avessero origini orientali, musulmane… Mah…?

ottobre

·Giorno 7. USA e Gran Bretagna attaccano l’Afganistan. Guerra totale al terrorismo, si dice, e… intanto si parla di costruzione di oleodotti in Afganistan, di instaurare un governo amico per le nostre imprese petrolifere ecc… Tutti i leader occidentali e arabi amici vanno da Bush che "tarda" a ricevere Berlusconi proprio per le imbarazzanti dichiarazioni sulla superiorità occidentale.

·La maggioranza del parlamento italiano vota a favore dell’intervento armato della NATO in Afganistan (anche con l’appoggio di parte del centro sinistra). In virtù dell’art.5 del Patto Atlantico, ogni stato dell’alleanza che subisce un atto di guerra (come è stato considerato, non a caso, l’attentato alle Torri Gemelle) può richiedere l’aiuto degli altri partners. Berlusconi, sempre più "cagnolino da salotto di Bush" si prostra all’amico americano offrendo la massima collaborazione e truppe.

·Giulietto Chiesa, noto giornalista de "La Stampa", sottolineiamo "La Stampa", non de "Il Manifesto", "Liberazione" o altri giornali "comunisti sovversivi", dichiara che non si può sostenere una guerra al terrorismo alleandosi con chi il terrorismo lo finanzia (il generale Musharaf, dittatore del Pakistan ideatore e sostenitore del regime dei Talebani in Afganistan).

·Il governo decide di eliminare molte delle scorte a magistrati in prima linea nella lotta alla mafia costringendo così alcuni ad abbandonare l’incarico. Viene tagliata anche la scorta al noto prete antimafia Don Turturro il quale si dichiara sdegnato e preoccupato. Alcuni sindacati di polizia dichiarano che bisogna eliminare molte scorte "status symbol" per concentrare gli uomini nella lotta alla criminalità; capite, lotta alla criminalità, non alla mafia che probabilmente, per questa gente, non è crimine ma solo un effetto collaterale con il quale "bisogna convivere" [Lunardi, settembre 2001]. Non vi è alcun dubbio che tutto viene fatto nell’interesse del paese, ovviamente.

·Il governo decide di sostituire Tano Grasso, commissario di governo contro il racket e l'usura in prima linea nella lotta alla mafia.

·Dopo vari provvedimenti presi, Don Ciotti accusa il governo Berlusconi: "Contro terrorismo e violenza non ci deve essere nessuno sconto, ma non bisogna che esso divenga il tappeto sotto cui nascondere omissioni, colpe e coperture di illegalità". Così don Luigi Ciotti (presidente dell'associazione antimafia "Libera"), che ha poi attaccato il governo italiano: "Lo diceva già Giovanni Falcone nel 1983 che è difficile andare a scovare dove finisce il denaro nero della criminalità e del terrorismo. Contro tutto questo occorre la trasparenza del sistema finanziario a livello internazionale. E inquieta che l'Italia abbia preso provvedimenti in una direzione contraria, come quelli sulle rogatorie e sul falso in bilancio".

Nonostante tutto ciò, il "capo" dell’opposizione, Francesco Rutelli, in questo periodo pensa alle riforme istituzionali e dichiara di volerle fare insieme a questa maggioranza. Bene! invece di mobilitare il paese andiamo a braccetto con questa gente.

·La vedova di Libero Grasso (l’imprenditore palermitano ucciso dalla mafia perché rifiutava di pagare il pizzo) sgomenta per i provvedimenti presi si schiera contro il governo dichiarando che tali decisioni potrebbero (potrebbero…, perché noi le prove non le abbiamo…ma se le avessimo cambierebbe qualcosa???) essere un "pagamento elettorale" alla mafia. Non dimentichiamo che in Sicilia in tutti (sottolineiamo TUTTI) i collegi sono stati eletti uomini del cavaliere.

·Il governo sotto pressione ritira il provvedimento della rimozione di Tano Grasso e il ministro dell’interno Scaiola dichiara che è stato fatto un brutto pasticcio. Chissà se si riferiva alla rimozione o al fatto che ha dovuto fare un passo indietro?

·Tano Grasso viene comunque affiancato da un commissario straordinario (un controllore). Così, indignato, Tano Grasso si dimette (era quello che volevano) dichiarando che il suo impegno anti usura non era mai stato oggetto di critiche da parte di alcun schieramento politico; il suo ufficio è stato preso ad esempio dalla Comunità Europea e i suoi risultati sono stati tangibili e sotto gli occhi di tutti. Basti pensare che sotto la sua dirigenza, le denunce sono aumentate del 20%.

·A difesa di tutti i provvedimenti sulla "giustizia" presi dal governo, Berlusconi dichiara che in Italia troppe persone vengono condannate senza prove.

Il cavaliere sa anche che in Italia "alcune" persone non vengono condannate pur avendo le prove.

·Alla vigilia di un viaggio a Norimberga di Berlusconi (poi cancellato), il giornale tedesco "Nuernberger Nachrichten" pubblica un appello, firmato da un centinaio di intellettuali e professionisti in cui la visita del premier italiano era definita "un’offesa alla città della pace e di diritti umani". Berlusconi vi era descritto come "antidemocratico", corresponsabile dei "brutali comportamenti" polizieschi di Genova, autore di leggi che lo proteggono dalle azioni giudiziarie promosse contro la sua persona.

·L’ambasciatore Sergio Romano (uomo non certo di estrema sinistra), sul "Corriere della Sera" noto quotidiano che non sembra essere proprio un giornale comunista, lamenta che Berlusconi sia ormai additato a livello europeo come un dittatorello. Dice Romano: "Spiace constatarlo, ma si direbbe che Berlusconi stia diventando, per una parte dell’opinione pubblica europea un piccolo Milosevic contro cui esercitare una continua vigilanza democratica". Grazie! Siamo orgogliosi di essere Italiani!

·Varato il disegno di legge Bossi sull’immigrazione. Annullata ogni libertà di movimento, aumentano le pene per che rientra in Italia dopo essere stato espulso ed è introdotta la carcerazione automatica al secondo rientro illegale.

In un recente convegno a Venezia il capogruppo della Lega Nord in regione dichiara che gli extracomunitari sono più portati a delinquere rispetto agli italiani. Ciò alla luce dei seguenti dati: il 30% della popolazione carceraria è costituito da stranieri a fronte di solo il 2,5% di popolazione straniera libera rispetto a quella italiana.

Intelligentissima deduzione. Al signor capogruppo non gli è neanche sfiorata l’idea che gli alti numeri si spieghino per la differente azione della giustizia italiana che per definizione lenta ed inefficiente, diventa stranamente rapida ed inesorabile per gli extracomunitari. 58 mila detenuti in totale nelle carceri italiane (record del dopoguerra) con un impressionante numero di suicidi e morti proprio nelle ultime settimane debitamente taciuti da governo e mass media dato che, non essendo "eccellenti", non necessitano di nobili mobilitazioni quali accuse di complotto alla magistratura, manette troppo facili, carcere preventivo troppo lungo e quant’altro già sentito all’epoca di mani pulite per qualcun altro, ricordate?

Inoltre sono state ristrette le norme di ricongiungimento familiare con gli stranieri che già vivono nel nostro paese chiudendo le frontiere ai parenti di secondo e terzo grado.

La famiglia da aiutare – secondo la coppia Storace/Bossi – deve essere solo ed esclusivamente quella fondata sul matrimonio e di rigorosa origine comunitaria.

novembre

·Il vice presidente del consiglio Gianfranco Fini va in visita alla comunità di San Patrignano e annuncia: la riduzione del danno è finita. Nonostante nel corso degli ultimi anni, con leggi meno restrittive e la distribuzione di metadone ai tossicodipendenti, il numero di morti per eroina fosse diminuito, il nostro governo vuole reprimere chi fa uso di sostanze stupefacenti senza pensare ad una seria riduzione del danno. Fini non fa nessuna distinzione tra droghe leggere e pesanti ma tutto sarà sempre più illegale e clandestino.

Potremmo, magari chiedere a Fini di rendere illegale, oltre che le coltivazioni di marijuana, anche i vigneti. Ogni anno 30.000 persone muoiono per malattie causate dall’abuso di alcool, senza contare gli innumerevoli incidenti stradali per stato di ebbrezza e i casi di violenza tra le mura domestiche – spesso contro donne e bambini - dovuti all’alcolismo.

Ricordiamo inoltre all’on. Fini che con la legge attuale (riduzione del danno), il numero di decessi in Italia per overdose è calato da 1.566 del 1996 a 1.012 nel 2000; si dovrebbe continuare a migliorare in questa direzione, non invertire la tendenza.

·L’Italia a favore della guerra. Il giorno 7, la stragrande maggioranza della camera dei deputati, tutto il centro destra ovviamente, e gran parte del centro sinistra, con 513 sì, vota a favore della partecipazione dell’Italia alla guerra in Afganistan. Berlusconi entusiasta riesce così ad ottenere la "prova di devozione all’interesse nazionale". Tutto ciò andando contro i principi di un pezzo di carta con 139 articoli che, per i tanti smemorati, ricordiamo si tratta della nostra Costituzione della Repubblica italiana secondo la quale non vi è alcun motivo di entrare in guerra, salvo che il paese sia attaccato; infatti all’art.11 afferma: "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."Belle parole, vero!? Peccato che ormai governo e gran parte dell’opposizione le abbiano completamente dimenticate.

·Gino Strada, il medico fondatore di Emergency che cura le vittime di guerra in Afganistan si rivolge ai nostri onorevoli dicendo: "Quello che state scegliendo non è una semplice esportazione di mezzi militari navali e terrestri ma l’importazione della guerra in casa nostra."

·In discussione al parlamento la modifica della legge 180 ossia la proposta di una sostanziale riapertura dei manicomi (cose da pazzi?) presentata dalla deputata di Forza Italia, Burani Procaccini facendo scaturire sempre più accese polemiche e proteste soprattutto da chi lavora a diretto contatto col disagio. In merito, ecco quanto dichiara la Società Italiana di Psichiatria: "La legge 180, attualmente in vigore, fissa alcuni principi fondamentali sul problema della salute mentale; 1) il superamento degli ospedali psichiatrici; 2) l’integrazione dell’assistenza psichiatrica nel servizio sanitario nazionale; 3) l’orientamento prevalentemente territoriale dell’assistenza psichiatrica; 4) la limitazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ad alcune situazioni ben precisate.

Si tratta di principi largamente condivisi sia dagli operatori del settore che dagli utenti e dalle loro famiglie. Inoltre grazie a questa legge, la maggior parte degli italiani ha imparato ad avere nei confronti delle patologie mentali un rispetto e una tolleranza maggiori che in passato".

·La riforma della scuola del ministro della pubblica (ancora per quanto tempo?) istruzione Letizia Moratti prende forma. In sostanza scompaiono le scuole superiori così come le conosciamo oggi ossia ci saranno solo due indirizzi possibili: la formazione liceale o formazione di avviamento al lavoro. La scelta tra i due indirizzi viene posta a 12 anni. Sì, avete capito bene..., appena a 12 anni un bambino dovrà decidere della propria vita…capire se è sveglio e brillante per il liceo o se è un po’ lento e poco dotato, adatto quindi per un avviamento al lavoro. L’Unione studenti sconcertata dichiara: "un pesante ritorno al passato". Sono previste una serie di mobilitazioni… già si parla perlomeno di innalzare l’età della scelta a 14 anni.

·Formigoni fa il buono con i soldi pubblici. Il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni (Forza Italia) ha investito 58 miliardi di lire di denaro pubblico per i buoni scuola (privata) dicendo che sono per tutti gli studenti in condizioni economiche disagiate. Bene! Vediamo come e a chi sono stati erogati: 11.107 buoni sono stati destinati a famiglie che dichiarano un reddito annuo procapite (da moltiplicare cioè per il numero dei componenti il nucleo familiare) da 30 a 60 milioni di lire, per un totale di 15 miliardi, addirittura superiore alla somma spesa annualmente in Lombardia (14 miliardi) per il diritto allo studio di quasi un milione di studenti. A fianco di questi ricchi (non è una colpa) e finanziati dalla regione (questa sì che è una colpa) vi sono 26 famiglie che dichiarano un reddito negativo e 1.806 che dichiarano di guadagnare annualmente da 0 a 5 milioni procapite. Scusate l’ignoranza, ma con un simile reddito, come fanno a spendere 6, 8 o 10 milioni all’anno per mandare i figli alla scuola privata? Viene il sospetto che si tratti della buona e vecchia evasione fiscale, ma Formigoni, prima di sganciare, non ha pensato di controllare. La protesta dei movimenti studenteschi lombardi ha condotto alla citazione per incostituzionalità dei buoni alla Corte Costituzionale ma, guarda a caso, il governo Berlusconi l’11 luglio annulla il ricorso. Tutto ciò in palese violazione dell’art.33 della Costituzione della Repubblica italiana dove al secondo capoverso, leggiamo : "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato."

·La regione Sicilia segue Formigoni. Il presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro (centro destra) decide di seguire l’esempio lombardo ma con un lodevole sforzo in più: stanzia ben 100 miliardi di lire (di soldi pubblici ovviamente) per il finanziamento alle famiglie (bisognose?) che manderanno i figli alla scuola privata. Altra violazione dell’art.33 della nostra Costituzione.

·Inchiesta ONU sulla polizia per i fatti di Genova durante il G8 a luglio. I pubblici ministeri che indagano sulle violenze della polizia denunciano una scarsissima collaborazione delle forze dell’ordine (apertamente difese e coperte da Fini&Co.) nel fornire un album fotografico per il riconoscimento degli agenti coinvolti nei pestaggi della caserma di Bolzaneto. Foto piccole, vecchie e di nessuna utilità commentano gli avvocati del Genoa Social Forum. "Sono foto in cui una madre non riconoscerebbe il proprio figlio" commentano anche in procura.

L’avvocato Gamberini di Bologna si è rivolto alla commissione speciale dell’ONU che si occupa dei diritti umani, con un esposto sui fatti di Genova. La commissione l’ha ritenuto meritevole di approfondimenti, ha deciso di occuparsene e potrebbe giungere ad assumere dei provvedimenti nei confronti dell’Italia retrocedendola nella classifica mondiale del rispetto dei diritti. Un onore che, in ambito europeo è toccato solo alla Turchia.

Siamo sempre più fieri di essere Italiani!

·Il grande costruttore di gallerie, temporaneamente ministro per le infrastrutture, l’ing. Lunardi, propone l’innalzamento a 150 chilometri orari dei limiti di velocità sulle autostrade, aggiungendo, per chiarezza, che il limite "serve a garantire una maggiore fluidità sulle strade più congestionate dove dovremmo anche prevedere multe salate a chi viaggia a sinistra creando ingorghi". Un ingegnere davvero acutissimo e lungimirante. Invece di far rispettare i limiti attuali (più di 6000 morti sulle strade nel 2000 in cui la principale causa è proprio l’eccesso di velocità: fonte Polizia Stradale) pensa di aumentarli…insieme ai morti. Pensate che in alcuni paesi del nord Europa si sperimentano isole formate da quartieri residenziali con la riduzione del limite a 30 orari, realizzazione di piste ciclabili e rispetto per l’ambiente… ma… si sa, a noi italiani piace andare veloce.

·Sanità: tornano i ticket. La maggioranza del parlamento vota a favore della reintroduzione dei ticket sanitari (entrate dello Stato previste dalla finanziaria) per visite specialistiche e farmaci (aboliti la scorsa legislatura). Vengono ridotti i posti letto da 4,5 per mille abitanti a 4; vengono concessi poteri alle regioni per introdurre eventuali tasse sanitarie. In poche parole, si prospetta la creazione di 20 sistemi sanitari diversi…regioni di serie A e di serie B, magari anche serie C. Per quanto riguarda la carenza del personale infermieristico (solo in Lombardia ci vorrebbero almeno 8.000 infermieri in più), il governo propone agli infermieri in pensione di rientrare a lavorare e alza il tetto massimo di ore di straordinario settimanale a 49. Bene! Così, addio nuova occupazione e se ci ricoverano all’ospedale, sarà più facile che un infermiere stressato da troppe ore di lavoro ci mandi a quel paese quando abbiamo bisogno. Non era meglio risparmiare i 2.000 miliardi di spesa previsti nella finanziaria dal governo per la guerra (della quale agli italiani non frega nulla) e investire di più in salute (sicuramente agli italiani interessa di più) ?

·Il governo del nostro presidente operaio, su richiesta della Confindustria,vuole abolire l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori che prevede la giusta causa per i licenziamenti. Questo articolo stabilisce che in caso di licenziamento ingiustificato, se il lavoratore fa causa e la vince ha diritto al reintegro in azienda. La nuova proposta prevederebbe al massimo, sempre nel caso in cui il lavoratore vinca la causa, un risarcimento monetario ma non il ritorno sul posto di lavoro. Tutto ciò va contro l’art.30 capitolo IV del Trattato di Nizza dell’Unione Europea che non è una legge vincolante ma dà una indicazione precisa in termini di garanzia di una giusta causa per il licenziamento di un lavoratore. Inoltre, nel 2000 gli italiani hanno votato contro l’abolizione di tale articolo in un referendum proposto dai radicali, ricordate? I sindacati (non tutti) promettono battaglia. Speriamo bene.

·Istituzione di un mandato di arresto europeo. L’unione europea ha intenzione di creare un nuovo strumento giudiziario che permetterà il coordinamento su tutto il territorio dell’unione per la ricerca di persone che hanno commesso reati. La discussione in corso porterà a decidere per quali reati far valere il nuovo mandato di arresto. Non ci crederete ma l’Italia, nella veste del ministro dell’interno Claudio Scaiola, ha chiesto di escludere tra i reati, la corruzione e quelli connessi con illeciti finanziari come il falso in bilancio; strano? Non tanto…capiamo l’imbarazzo del ministro che senza questa richiesta indecente rischierebbe, prima o poi, di vedere il governo in manette. Manette europee, non quelle dei giudici milanesi "comunisti e giustizialisti".

·Cesare Previti, arcinoto extra - pluri - stra - indagato, sfruttando subito la nuova legge sulle rogatorie, voluta dal suo capo Silvio, chiede ai suoi legali di invalidare alcuni documenti provenienti dalla Svizzera riguardanti alcune delle infinite inchieste in cui è coinvolto.

·Il sottosegretario agli interni, avvocato Carlo Taormina, dichiara che i giudici milanesi dovrebbero essere arrestati per il loro abuso di potere esercitato durante le indagini su Cesare Previti e sul presidente del consiglio. La magistratura si difende e prepara un documento di protesta. L’opposizione parlamentare prepara una mozione di sfiducia per Taormina per la quale anche qualche partito della maggioranza (CCD), probabilmente scandalizzato dalle parole del sottosegretario, lascia libertà di voto ai suoi.

·Il governo vara un decreto di misure "contro il terrorismo" e contro la nostra libertà. Tale decreto dà pieni poteri al ministero dell’interno di far eseguire perquisizioni, intercettazioni telefoniche ed ambientali senza ricorrere all’autorità giudiziaria cioè senza la necessità di un mandato, senza un minimo di garanzia democratica. Sarà necessario un semplice sospetto, delle dichiarazioni… Dovremo stare attenti a quello che diciamo al telefono? a parlare troppo male del governo? o peggio a sostenere che la guerra non è giusta?… stiamo attenti a dire certe frasi "sovversive".

Nota di colore: anche l’Ulivo ha votato a favore di questo provvedimento… Mah? l’Ulivo non è all’opposizione?

·Il Parlamento Europeo vota una risoluzione contro i provvedimenti che l’Italia ha preso e che di fatto riducono la collaborazione giudiziaria internazionale. In sostanza il Parlamento di Strasburgo ha preso posizione contro la legge sulle rogatorie voluta da Berlusconi, Previti e dal resto della Banda Bassotti che ci governa. Non sarà che tutta l’Europa sia diventata improvvisamente comunista !?

·L’Italia decide di non mandare più le truppe in Afganistan. Il ministro degli esteri Ruggiero dice che sarebbe troppo pericoloso data la situazione di enorme confusione che regna nel paese asiatico. Se non fossero in gioco vite umane, verrebbe da dire: ora si va costi quel che costi! Davvero una bella dimostrazione di coerenza: dopo aver imbevuto gli Italiani di guerra giusta al terrorismo, patria, tricolore e altre chiacchiere retoriche ci accorgiamo che sarebbe pericoloso… figuracce a parte, siamo ben contenti di non partecipare ad una guerra che ai cittadini non frega assolutamente nulla. Le navi da guerra italiane rimangono comunque nel Mar Arabico (a fare solo bella mostra di sé) al costo di 71 miliardi di lire al mese…e poi la sanità costa troppo… Tutto sempre, ovviamente, sicuramente nell’interesse degli Italiani.

·Il governo si vendica dei magistrati. Il presidente del CCD (partito di governo), Marco Follini ammette che nella maggioranza c’è chi "coltiva sentimenti di vendetta". Un esempio: viene tolta la scorta al magistrato Ilda Boccassini, che dopo aver scoperto gli assassini di Giovanni Falcone rappresenta a Milano l’accusa nel processo toghe sporche. Nel frattempo il sottosegretario ai Beni culturali (non ci crederete ma è proprio Vittorio Sgarbi), un obiettivo a basso rischio, viene costantemente seguito da ben tre auto di uomini armati.

dicembre

·Il sottosegretario Carlo Taormina si dimette. Ormai era così scandaloso che anche parte del centro destra lo ha convinto Taormina ad andarsene per le sue dichiarazioni sprezzanti contro il lavoro della magistratura.

·L’Italia e sola in Europa contro tutti gli altri 14 stati dell’unione per proteggere Berlusconi e i suoi dalle inchieste della magistratura. Gli attacchi alla magistratura da parte del governo (ministro della "giustizia" Caselli) purtroppo continuano e addirittura l’Italia (l’unico paese dei 15 dell’Unione Europea) fa saltare l’accordo a Bruxelles sul mandato di arresto europeo. Il governo Italiano continua a non voler assolutamente includere nei reati, previsti dal mandato di arresto europeo, la corruzione, il riciclaggio e la frode fiscale (cioè alcune tra le attività principali dei nostri ministri). A nulla è valsa la telefonata che il premier belga, Verhofstadt ha fatto a Berlusconi per tentare di convincerlo. Il magistrato francese Jean De Maillard accusa il governo italiano de essere compiacente con il crimine e di mettere a repentaglio lo stato di diritto in Europa.

·Per la prima volta nella storia della repubblica, l’intera giunta dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) si dimette. Il presidente della giunta Giuseppe Gennaro annuncia le dimissioni rispondendo in maniera clamorosa ai continui attacchi del governo alla magistratura.

·Il ministro della "giustizia", Roberto Castelli promuove una azione disciplinare contro Francesco Pinto, il sostituto procuratore genovese che criticò l’assalto alla scuola Diaz dopo il G8 e rilevò che il black block aveva agito indisturbato in diverse zone della città di Genova. Per quelle dichiarazioni riportate da Stampa e repubblica, il pm Pinto fu estromesso dall’inchiesta sul blitz della notte del 21 luglio al quartier generale del Genoa Social Forum.

·Il ministro della salute Sirchia propone una nuova normativa per i medici che consentirà loro di esercitare sia nel pubblico che nel privato; così i medici delle strutture pubbliche potranno approfittare della loro posizione per pubblicizzare e indirizzare i pazienti nei loro ambulatori privati… anche se non ne abbiamo bisogno.

Ci piacerebbe che il ministro cercasse di migliorare la sanità pubblica; infatti la logica di una sanità pubblica è che meno ci ammaliamo e meno lo stato spende, invece quella privata è che più ci ammaliamo e più i privati guadagnano… deducete voi le conseguenze… non è chiaro? Un esempio:

·Una inchiesta fatta in Svizzera, dove la sanità e in larga parte privata, è stato rilevato che i parenti e amici dei sanitari vengono sottoposti mediamente ad un numero di interventi chirurgici inferiore di un quarto del resto della popolazione… chiaro no? il bisturi bisogna pur farlo tagliare per guadagnare.

·Il senato dà il via a milioni metri cubi di cemento in opere pubbliche (molte inutili o devastanti per l’ambiente: vedi i lavori dei due tunnel del Gran Sasso - 1968/1987 - che hanno causato la perdita della metà delle sorgenti d’acqua nella zona) per circa 236.000 miliardi di lire, in 10 anni, volute fortemente dal ministro per le infrastrutture, Lunardi. Strano? Assolutamente no, se pensiamo che per esempio una azienda che realizzerà parte di queste opere (la Rocksoil), ha alcune cariche direttive intestate alla moglie e le due figlie del ministro. Ovviamente prima di diventare ministro, Lunardi era il titolare delle cariche direttive ma dopo, per risolvere il conflitto di interessi…, passa tutto a moglie e figlie. Tutto risolto.

·Il ministro Lunardi "compra" l’ANAS. Lunardi vuole cambiare il consiglio dell’Ente nazionale per le strade, eletto e in carica per cinque anni. Così il ministro offre al presidente del consiglio ANAS, Giuseppe D’Angiolino 2 miliardi e 500 milioni di lire (il doppio del suo stipendio di 5 anni) per andarsene e cedere il posto al compiacente Vincenzo Pozzi. Ovviamente i soldi sono dei contribuenti, non di Lunardi. Inoltre siccome la legge prevede che per guidare l’ANAS occorrono almeno 5 anni come amministratore (Pozzi ne ha solo uno) il ministro cambia il regolamento…ed ecco fatto!?

·Grazie alla legge Tremonti, le grandi aziende, potranno rinnovare il parco auto risparmiando centinaia di milioni di lire grazie al risparmio riservato a professionisti e dirigenti (sicuramente poveri e bisognosi) del 25 – 30%. Per una macchina da 50 milioni di lire si potranno risparmiare fino a 12 milioni e mezzo. Inoltre, un accordo prevede un sostegno di 900 miliardi di lire per gli autotrasportatori per riduzioni sul prezzo del gasolio e, peggio ancora, diminuzione dei periodi di divieto circolazione dei mezzi pesanti. Per metropolitane e tram restano gli spiccioli: 75 miliardi (il costo di qualche chilometro di metrò) per il 2002, 125 per il 2003 e 2004. Tutto nell’interesse dell’ambiente, e della nostra salute, ovviamente.

Un dato: In Svizzera il 50% del trasporto merci avviene su rotaia, in Svezia il 38% in Francia il 24% e in Italia solo un misero 9%… ogni commento sarebbe superfluo.

·La lega fa gli omaggi ai musulmani. In un comizio, il leghista Borghezio, rivolgendosi ai musulmani, testualmente afferma: "Marmaglia di bastardi, banda di cornuti, se non provvede la nuova legge, ci penseremo noi a prendervi per la barba e a buttarvi fuori a calci in culo".La platea (Dio li perdoni) lo acclama inneggiando insieme a lui alla "Padania Cristiana". Interviene anche il ministro della "giustizia" Castelli che spiega: "Se non mi fossi opposto al mandato di cattura europeo, avremmo corso il rischio di avere un vero e proprio reato d’opinione su razzismo e xenofobia. Tutti voi avreste rischiato d’essere arrestati da un qualsiasi magistrato europeo di sinistra, e vi assicuro che ce ne sono molti, solo perché siete qui a manifestare contro l’immigrazione clandestina".

A parte il linguaggio così elegante, curato ed equilibrato di alcuni personaggi, a nessuno viene in mente che magari qualche italiano o "padano" potrebbe non voler essere cristiano?

·EURO. Il governo bandisce una gara per creare e stampare milioni di opuscoli esplicativi riguardo la nuova moneta, da distribuire alla cittadinanza. Alla gara (forse non lo sapeva nessuno?) si presenta una sola azienda: la Mondadori alla quale viene affidato l’appalto per circa due miliardi di lire. Strano? assolutamente no. La Mondadori è di proprietà della famiglia Berlusconi quindi il cavaliere prima tira fuori i soldi (nella veste di Silvio Berlusconi, capo del governo), poi passa dall’altra parte del bancone, e ritira la somma (nella veste di… Silvio Berlusconi)… chiaro? Chiarissimo.

·Berlusconi finalmente, accetta le regole europee sulla giustizia. A conti fatti, il governo italiano ha dovuto accettare quello che appena quattro giorni prima a Bruxelles, rifiutava. Ha strappato una concessione solo sui tempi: entro il 2003 e solo dopo che il parlamento "armonizzi" il nostro sistema giudiziario con quello europeo. In sostanza il governo vorrebbe cambiare la costituzione in materia gi giustizia; non sono ancora chiare le modifiche che si vorrebbe fare… per ora si parla solo di cambiamento dell’art.26 della Costituzione che afferma: "L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.". Chissà cosa vorranno mai cambiare…?

·Voto di scambio, 44 arresti. Tra le persone accusate ci sarebbe anche il deputato di Alleanza Nazionale Basilio Catanoso, membro della Commissione parlamentare antimafia (pensate un po’). Catanoso ha annunciato che si autosospenderà, in via cautelativa, dalla Commissione parlamentare antimafia.

·Finalmente la tanto agognata riforma fiscale del ministro Giulio Tremonti che elimina mille tasse e balzelli; vediamo come funziona. Sono state eliminate diverse fasce, cioè adesso ci sarà una grossa fascia da 0 a 197 milioni di lire annue (100.000 Euro) dove per il fisco sono uguali (tutti insieme… poveri, meno poveri, benestanti e quasi ricchi) e pagheranno la stessa percentuale di tasse (aumentata per tutti al 23% di aliquota Irpef) poi gli altri sopra i 197 milioni (i ricchi, solo il 5% della popolazione) pagheranno appena il 33% (con una diminuzione di 10% rispetto ad oggi… i ricchi ringraziano). Inoltre la tassa a carico delle imprese (Irap) andrà progressivamente scomparendo… anche le imprese ringraziano. Tutto ciò in palese violazione dell’art.53 della Costituzione che dice:"Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività". Lo Stato avrà circa 45.000 miliardi di lire di entrate in meno quindi… sanità, pensioni, scuole di qualità… solo a chi pagherà. Cosa possiamo dire…? … Probabilmente, il ministro Tremonti ha letto la storia di Robin Hood tenendo il libro sottosopra!!!

·Pensioni privatizzate. Il governo chiede la delega per abolire il TFR (trattamento di fine rapporto) cioè la liquidazione che i lavoratori ricevono alla fine del rapporto di lavoro. Le pensioni di anzianità così come le conosciamo adesso non esisteranno più. I lavoratori non riceveranno più i soldi della pensione statale e neanche la liquidazione che verrà accantonata (per legge) nei Fondi Pensione (privati, ovviamente). I sindacati e le piccole imprese sono contrari, infatti le aziende non potranno trattenere i soldi della liquidazione fino alla fine del rapporto di lavoro del dipendente ma dovranno alimentare i fondi. Bel colpo! Verrebbe da dire… beato chi è già anziano e la pensione statale la prende!

·Tagli alla scuola. Approvato anche l’articolo della legge finanziaria che consentirà un riduzione del personale docente nelle scuole. Primo effetto: Non sarà garantito l’insegnamento dell’inglese su tutto il territorio nazionale alle elementari. Quanto all’educazione fisica e all’informatica non se ne parla.

Ricordate la campagna elettorale? "le tre i , Internet, Inglese, Impresa"… così, con l’inglese e l’informatica, saltano le prime due " i " del Berlusconi pensiero. Resta salda l’impresa: a lezioni di ginnastica si andrà il pomeriggio e dietro pagamento.

…continuando a resistere,

che dire?…

…evidentemente l’apparenza non ingannava.

Tanti auguri per il nuovo anno…

…ne abbiamo davvero bisogno.

C’è chi, come D’Alema, sostiene di no; e forse ha ragione, se si considera il grande potenziale di democrazia che c’è nelle piazze (avete notate come il luogo topico della democrazia, la piazza, sia diventata nel linguaggio della destra un termine peggiorativo?) e nelle istituzioni. C’è chi, come i molti partecipanti ai “girotondi”, pensa di si; e forse hanno ragione anche loro, se si riflette sul breve testo che mi è pervenuto da un frequentatore del mio sito, che riporto qui di seguito. È un testo che comunque è utile per aver presente quale sia l’orizzonte verso il quale il “sistema Italia” è avviato. Forse il regime non c’è oggi, ma certo la direzione di marcia; e il nostro futuro, se non lavoriamo perché alle prossime elezioni il potere cambi di segno.

RIFLESSIONI DI UN ABITANTE DEL PAESE DI OZ (O DI AZZ? MAH NON RICORDO)

Salve, mi chiamo A. vivo a Milano 2, in un palazzo costruito dal Presidente del Consiglio.

Lavoro a Milano, in un'azienda di cui è azionista principale il Presidente del Consiglio.

Anche l'assicurazione dell'auto con cui mi reco al lavoro è del Presidente del Consiglio.

Mi fermo tutte le mattine a comprare il giornale, un giornale di cui è proprietario il Presidente del Consiglio.

Al pomeriggio, esco dal lavoro e vado a far spesa in un supermercato del Presidente del Consiglio, dove compro prodotti realizzati da aziende del Presidente del Consiglio.

Alla sera, quasi sempre guardo le TV del Presidente del Consiglio, dove i film (spesso prodotti dal Presidente del Consiglio) sono continuamente interrotti da spot realizzati dall'agenzia pubblicitaria del Presidente del Consiglio.

Allora mi stufo e vado a navigare un po' in internet con il provider del Presidente del Consiglio.

Soprattutto, guardo i risultati delle partite, perché faccio il tifo per la squadra del Presidente del Consiglio.

Una volta a settimana, più o meno, vado al cinema, nella catena del Presidente del Consiglio, anche lì vedo un film prodotto dal Presidente del Consiglio, e gli spot iniziali sono realizzati dall'agenzia del Presidente del Consiglio. La domenica rimango a casa, leggendo un libro, la cui casa editrice è di proprietà del Presidente del Consiglio.

Naturalmente, giustamente, come in tutti i paesi democratici anche in Italia è il Presidente del Consiglio che fa le leggi, che vengono approvate da un parlamento dove la maggioranza è saldamente in mano al Presidente del Consiglio.

Che ovviamente governa nel mio esclusivo interesse.

Il decreto che sblocca le centrali, annulla la pianificazione territoriale e mortifica la valutazione ambientale

Il così detto "decreto sblocca centrali", il DL 7/2002 pubblicato il 9 febbraio 2002, contiene alcuni interessanti e drammatici elementi che fanno parte - presumibilmente - del disegno di sistematica eliminazione della pianificazione e della programmazione territoriale che l'attuale Governo della Repubblica sta scientificamente perpetrando, e inflazionano ulteriormente il processo di federalismo - così tanto sbandierato - e di sussidiarietà, riducendo le Regioni e gli Enti Locali a meri vassalli del principe.

S'intitola "misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale" e ha due soli articoli, eversivi e dirompenti. Rassicura gli italiani circa le soluzioni che "urgentemente" il principe sta adottando per garantire a tutti la luce necessaria e l'energia sufficiente almeno per tenere accese le sue tv. Si dice insomma (ma sarà vero?) che in Italia c'è un grave pericolo di restare senza elettricità e perciò, dal 9 febbraio 2002, chiunque voglia costruire una centrale elettrica può direttamente chiederlo al ministro per le Attività Produttive (a proposito, chi è? ma soprattutto dov'è?), il quale con gran celerità - al massimo 180 giorni (comma 2) - darà un assenso che scioglierà qualsiasi "laccio e lacciuolo", garantendo, in men che non si dica, la cantierabilità. Con questa "autorizzazione unica" infatti, il Ministro dichiara la pubblica utilità dell'opera e "sostituisce autorizzazioni, concessioni, ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti" (articolo 1, comma 1); ciò significa che essa - l'autorizzazione unica - "ha effetto di variante degli strumenti urbanistici e del piano regolatore portuale" (comma 3) e "fino al 31 dicembre 2003 sospende l'efficacia dell'allegato IV del DPCM 27 dicembre 1988 [istitutivo dello studio di compatibilità ambientale di alcune opere, tra cui anche le centrali elettriche, ndr]", assieme alla sospensione dell'efficacia di altre norme per la tutela e la prevenzione ambientale (commi 2 e 5).

Con un solo articolo quindi si afferma che la pianificazione territoriale e urbanistica è inutile, e che in ragione dell'utilità pubblica delle centrali elettriche private, essa si può tranquillamente surrogare. Come se non bastasse, pure la procedura di Valutazione d'Impatto Ambientale viene martoriata - sebbene già moribonda - attribuendo la titolarità unica di "valutatore" al Cipe - organo di programmazione economica composto dai ministri del governo - esattamente come avviene per le opere ritenute strategiche dalla legge obiettivo (legge 443/2001), di cui questo decreto rappresenta un'oggettiva e preoccupante estensione (quali altre opere saranno in futuro strategiche e potranno godere dell'esenzione da qualsiasi regola?). Tutto ciò avviene in assenza di programmazione energetica, poiché non è dato conoscere il Programma Energetico Nazionale, e - semmai esistessero - i programmi energetici regionali, a questo punto, sono inutili: il privato cittadino industriale dell'energia può ora recarsi direttamente dal principe e assolvere in quella sede ogni atto.

Agli enti locali è riservata certo un funzione, vanno cioè "sentiti" (comma 3), in quanto secondo la pirotecnica procedura di surroga della strumentazione urbanistica dovranno in qualche modo adottare "l'autorizzazione unica", che implica la variazione al Piano. Ma è oscuro anche il futuro degli strumenti sovraordinati al Piano Comunale, e le competenze degli enti preposti alla loro redazione. Non si capisce infatti se e come questa autorizzazione varierà anche i Piani Paesistici, quelli dei Parchi, di Bacino, i Piani per il Dissesto Idrogeologico ecc. Staremo a vedere, sperando di non contare morti o feriti.

Ma dopo il danno anche la beffa: se a qualcuno, leggendo il termine "pubblica utilità" - motore di questo decreto - venisse alla mente la legge sugli espropri, non abbia di che preoccuparsi, perché la similitudine è del tutto azzeccata. Infatti questo decreto s'ispira a una fattispecie contemplata dall'articolo 12 del Testo Unico sugli espropri. Con un'interpretazione che ribalta la logica naturale delle cose, il legislatore ha inteso che la "pubblica utilità" può derivare da un'autorizzazione che al fine di garantire l'energia alla collettività, favorisca con "urgenza" le casse dei privati. Insomma, il fine giustifica i mezzi. E il principe sorride.

La proposta di legge alla Camera.

OGGI le cose vanno così. Per trasferire un processo dalla sede naturale a un altro diverso giudice (ipotizziamo il processo a Berlusconi e Previti da Milano a Brescia) bisogna che l' autonomia morale dei protagonisti (giudici, parti, testimoni...) sia «pregiudicata da gravi situazioni locali, non altrimenti eliminabili, tali da turbarne lo svolgimento». Franco Cordero ha spiegato da queste colonne (Repubblica, 26 marzo 2002) che, per la «rimessione» (il termine tecnico del trasferimento), «occorre la prova d' effetti perturbanti da fuori, tali che quel processo risulti patologicamente anomalo». Dunque, «non bastano i sospetti». Non è sufficiente la diffidenza o il dubbio. E' necessario che il pregiudizio sia documentato; che la «grave situazione locale» sia provata; che non ci siano infine altre strade per eliminare quella maligna influenza sul giudizio. Come se fosse consapevole del rilievo, la Casa delle libertà è già all' opera per modificare quelle regole. Non solo la rimessione ma anche i benefici delle attenuanti per gli incensurati o per coloro che hanno compiuto sessantacinque anni.

Cinque giorni prima della pubblica riflessione di Franco Cordero, la Casa della Libertà ha mosso l' iter legislativo per correggere la norma sfavorevole al desiderio del presidente del Consiglio e del suo sodale Previti di non essere giudicati a Milano, dove sono imputati di corruzione in atti giudiziari. Il 21 marzo, in commissione Giustizia della Camera presieduta da Gaetano Pecorella (avvocato del premier), l' onorevole Giancarlo Pittelli (Forza Italia) ha illustrato la proposta di legge n.1225 avanzata per iniziativa di dieci deputati: due di Forza Italia (Patria e Zanettin), tre di Alleanza nazionale (Anedda, Alboni, Cola), tre del Ccd (D' Alia, Mazzoni, Tanzilli), due della Lega Nord (Lussana, F. Martini).

La proposta - che in 44 articoli modifica, all' ingrosso e alla rinfusa, il codice di procedura penale e il codice penale - riforma integralmente le condizioni della «rimessione» adeguate a "delocalizzare" un processo. Il nuovo articolo 45 del codice di procedura penale prevede che anche soltanto il «sospetto» può giustificare il trasferimento del giudizio perché, a parere della maggioranza, il «legittimo sospetto» ha già di per sé un effetto inquinante capace di alterare l' evento giudiziario. In questo caso, la Corte di Cassazione deve rimettere il processo ad altro giudice. La norma, se approvata, andrebbe rubricata tra le leggi «di interesse privato» varate dal Parlamento per cavare al capo del governo le castagne dal fuoco di Milano. Come già è avvenuto in passato, per la riforma del falso in bilancio e le correzioni sulle rogatorie internazionali.

Purtroppo, nella proposta di legge della maggioranza non c' è soltanto la riscrittura della «rimessione». C' è dell' altro, c' è di peggio. C' è un altro articolo della «legge Anedda» (così chiamano la proposta n.1225) che sembra tagliato a misura per i due illustri protagonisti dei processi milanesi. L' articolo 40 riforma, infatti, il regime delle «attenuanti generiche», cioè degli elementi che possono operare a favore del reo. «Il giudice - si legge nella proposta di legge - diminuisce sempre la pena quando l' imputato è incensurato o ha superato il 65° anno di età... Il giudice deve applicare le circostanze attenuanti e considerarle prevalenti rispetto alle eventuali circostanze aggravanti, ogniqualvolta, per effetto della diminuzione della pena, il reato risulti estinto per prescrizione». Incensurato. Sessantacinque anni di età. Prescrizione a un passo. Tre condizioni che disegnano la condizione degli imputati Silvio Berlusconi e Cesare Previti come anche dei coimputati in toga, Renato Squillante e Filippo Verde, o senza toga, Attilio Pacifico. Al di là dell' attenzione legislativa alle preoccupazioni giudiziarie del capo del governo e del suo sodale, la «legge Anedda» stravolge al cuore il processo penale, la condizione di «libero cittadino» del giudice, la sua funzione nell' ordinamento giudiziario. La proposta di legge svela innanzi tutto una granitica diffidenza per la magistratura, il robusto sospetto che quel corpo collettivo non possa essere mai davvero imparziale. Ha sempre un interesse da difendere, un avversario da colpire, un potere da ribadire. Da qui, la volontà di affiancargli, come sostiene la relazione di Giancarlo Pittelli, «il popolo».

Interi titoli del codice penale saranno di competenza della corte d' assise dove accanto ai togati ci sono i giudici popolari. La corte d' assise oggi giudica «ogni delitto doloso, se dal fatto è derivata la morte di una o più persone», i reati che prevedono pene dai 24 anni di carcere all' ergastolo, l' omicidio, la strage. Negli auspici della maggioranza, la corte d' assise deciderà domani dei delitti contro la pubblica amministrazione (dal peculato alla corruzione); contro l' ordine pubblico; contro l' incolumità pubblica; contro il matrimonio; contro la morale familiare e, infine, dei delitti contro l' attività giudiziaria che vedono i magistrati come imputati o parte lesa.

Sei giudici popolari e due togati (spesso in luogo del giudice monocratico) si ritroveranno a giudicare la quasi totalità dei reati, anche i minuscoli. Per fare qualche esempio: resistenza a pubblico ufficiale, violazione dei sigilli, omessa denuncia (pena prevista dai 30 ai 500 euro), somministrazione colposa di elementi nocivi, favoreggiamento. Le "necessità" di questa riforma, che rinuncia definitivamente alla rapidità del giudizio, sembrano nascondersi altrove. In due "passaggi" che la maggioranza spiega così: «Alla fine di rinvigorire i principi stabiliti dall' articolo 101 («La giustizia è amministrata in nome del popolo») e 102, terzo comma, della Costituzione («La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all' amministrazione della giustizia») si propone l' ampliamento della competenza della corte d' assise. Tra i vari delitti che vengano attribuiti a questo organo, sono inseriti quella contro la pubblica amministrazione e quelli in cui sono coinvolti, a vario titolo, i magistrati». E' «il popolo» dunque che deve decidere e assolvere o condannare i corrotti e i corruttori; che ha il diritto di vagliare le responsabilità dei magistrati o i loro diritti, nel caso siano stati lesi.

Ecco le ragioni: «Considerate le vaste proporzioni raggiunte, negli ultimi anni, dalla criminalità amministrativa, si è reso necessario attribuire l' accertamento del buon andamento della pubblica amministrazione a un giudice che assicuri una decisione direttamente attribuibile al popolo. Analoghe considerazioni valgono per l' attribuzione alla corte d' assise dei reati commessi dai magistrati. Quanto ai delitti che coinvolgono individui appartenenti all' ordine giudiziario, nella veste di persone offese o danneggiate, la competenza della "corte popolare" si giustifica con l' esigenza di dissipare qualsiasi sospetto di agevolazione corporativistica, che potrebbe derivare dalla decisione emessa da un giudice nei confronti di un suo collega». Un magistratura ostile al potere politico per pregiudizio o ideologia. Un corpo collettivo che, per legge, deve essere contenuto, accerchiato, controllato, nel caso minacciato. Pare questo l' obiettivo di altri due articoli della «legge Anedda». L' articolo 3 obbliga il giudice ad «astenersi» (rinunciare ad occuparsi di un affare, penale civile o amministrativo che sia) «se esistono ragioni di convenienza determinate da comportamenti o manifestazioni di pensiero o da adesione a movimenti o associazioni che determinano fondato sospetto di recare pregiudizio all' imparzialità del giudice». Come dire che, approvata la legge, sarà arduo e grave per un magistrato scrivere un articolo su un giornale, partecipare ad una manifestazione pubblica, aderire al Rotary, a Magistratura democratica e forse anche all' Associazione magistrati se l' Associazione magistrati dissente dalle opinioni del governo, di un deputato o solleva qualche obiezione a una risoluzione del Parlamento. Ancora più esplicito, in questo intento "punitivo", l' articolo 44 che introduce nel codice penale un nuovo reato, l' «abuso d' ufficio in atti giudiziari» che curiosamente deforma gli abituali motivi per l' impugnazione di una sentenza in "fatto criminale". Guai per la toga che vi incappa. Genericissimo nella definizione (l' abuso d' ufficio per i pubblici ufficiali è stato di fatto soppresso), il reato novissimo prevede per i magistrati pene severissime. Dai due ai sei anni di carcere. Se dal fatto deriva, per l' imputato, un' ingiusta condanna non superiore ai cinque anni, la pena della reclusione per il magistrato può arrivare a dieci anni. Se poi l' ingiusta condanna supera i cinque anni, il magistrato potrà essere condannato anche alla pena di diciotto anni. Come fosse un mafioso, un sequestratore, il complice di un assassino.

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