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E’ in discussione in questi giorni il PTRP (Piano Territoriale Regionale Particolareggiato), con contenuti di piano paesistico, predisposto per la fascia costiera della Provincia di Trieste, che interessa i Comuni di Duino-Aurisina, Trieste e Muggia.

Si tratta del primo tentativo di dare attuazione anche in Friuli Venezia Giulia (con un ventennio di ritardo) ad un preciso disposto della Legge 431/1985 (la cosiddetta “Legge Galasso”, poi assorbita nel D. Lgs. 490/1999).

1. Gli antefatti.

E’ bene ricordare che il Friuli Venezia Giulia fu in prima fila tra le Regioni che, nel 1985, tentarono di far annullare la 431, presentando ricorso alla Corte Costituzionale. Ne uscirono sconfitte, ma il Friuli Venezia Giulia riuscì – anche per l’ignavia del Ministero per i Beni Culturali – a far passare comunque la curiosa tesi secondo cui già con il P.U.R.G. (Piano Urbanistico Regionale Generale) del 1978 si era data, addirittura in anticipo, attuazione a quanto previsto dalla “Galasso”.

Non era vero, ma a tanti faceva comodo crederlo e così per almeno quindicennio tutto continuò come prima (cioè male).

Immeritatamente assurto al rango di “prima della classe” tra le Regioni italiane fin dagli anni ‘70, per il solo fatto di disporre di un Piano Urbanistico Regionale, il Friuli Venezia Giulia ha conosciuto infatti – in misura solo leggermente ridotta - gli stessi fenomeni di degrado territoriale tipici di altre Regioni del Nord Italia : espansione incontrollata delle aree urbanizzate a spese di quelle agricole e naturali, dispersione degli insediamenti produttivi e commerciali sul territorio (specie lungo i principali assi viari), pessima qualità architettonica dei nuovi interventi, nessun riguardo alle peculiarità dei luoghi e della loro identità urbanistica ed edilizia, ecc.

Anche il “sistema delle aree protette”, che rappresentava il fiore all’occhiello del P.U.R.G. (erano previsti 14 parchi regionali e 76 “ambiti di tutela ambientale” per una superficie complessiva pari al 30 % circa del territorio regionale), si rivelò ben presto un’esile foglia di fico. I parchi rimasero sulla carta, in quanto appunto “parchi di carta”, risolti tutti nella fase pianificatoria delegata all’iniziativa dei Comuni e privi in compenso di qualsiasi struttura gestionale, di norme, personale e fondi ad hoc.

Idem per gli “ambiti di tutela”, che disponevano di norme di tutela esclusivamente urbanistiche e sui quali la Regione non esercitava comunque alcuna reale vigilanza, essendo quindi anch’essi lasciati totalmente alla mercè della buona (che qualche volta c’era) o della cattiva (più frequente) volontà dei Comuni.

Per le aree protette fu gioco forza dotarsi di una legislazione ad hoc (varata però soltanto nel 1996, dopo asperrime lotte con le lobby contrarie – cacciatori ed agricoltori – ed i loro referenti politici trasversali agli schieramenti), riducendosi però a tutelare solo il 7 % circa del territorio con un sistema di parchi e riserve naturali “veri”, secondo i dettami della Legge-quadro statale 394/1991.

Rimaneva il problema di come garantire la tutela del resto del territorio e da questo punto di vista l’attuazione della “Galasso” restava un problema aperto.

2. Il PTRP.

L’ultima maggioranza di centro sinistra degli anni ’90 riuscì – prima di essere sconfitta alle elezioni del 1998 – a varare uno stanziamento finalizzato alla redazione di un PTRP, con contenuti di piano paesistico, per l’area costiera triestina (sottoposta da decenni al vincolo ex L. 1497/1939).

L’incarico fu affidato nei primi mesi del 2000, abbastanza controvoglia, dalla nuova Giunta di centro-destra subentrata nel ’98, ad un team guidato dal prof. Luciano Semerani.

Un nutrito gruppo di architetti, naturalisti, geologi, biologi marini e giuristi si mise al lavoro, producendo una notevole serie di analisi soprattutto per quanto concerne gli aspetti ambientali del territorio costiero (e dei fondali marini antistanti).

Il WWF, affiancato da Italia Nostra, Legambiente e Acli “Anni Verdi”, produceva nel giugno 2000 una serie di “osservazioni preliminari” al redigendo PTRP, come contributo propositivo sia per gli estensori del nuovo strumento, sia per i decisori che ne avrebbero seguito l’iter.

Articolato in una Fase 1, seguita da una Fase 2, il PTRP frutto del lavoro di Semerani & co. sconta tuttavia dei limiti strutturali evidenti : eccessiva complessità, astrusità di linguaggio in alcune parti, ma soprattutto la rinuncia a priori ad intervenire in alcune parti del territorio costiero (proprio quelle di maggiore delicatezza, in quanto oggetto di piani attuativi in itinere, derivanti da PRGC preesistenti). A questo proposito, si veda l’analisi puntuale del PTRP contenuta in un recente documento della Sezione WWF di Trieste (nel sito http://ambiente.triesteincontra.it/wwf/, che contiene anche il documento di osservazioni preliminari del giugno 2000 e molto materiale sulle altre vicende urbanistiche relative all’area triestina), frutto del lavoro congiunto di Wilma Diviacchi, Dusana Valecich e del sottoscritto.

Basti dire che praticamente nulla dice il PTRP a proposito della Baia di Sistiana, nè sul Porto Vecchio di Trieste (al centro di confusi progetti di “riuso”, che si intrecciano con la candidatura di Trieste per l’Expo 2008 e che scontano peraltro anche la mancanza di un piano regolatore del Porto – si veda in proposito l’apposita sezione del sito già citato), nè su altre zone costiere in Comune di Trieste, di Muggia, ecc.

In pratica, il PTRP viene a ridursi ad un piccolo numero di “progetti strategici”, riferiti a porzioni tutto sommato modeste del territorio costiero (la zona circostante le risorgive del Fiume Timavo e la fascia soprastante la battigia a sud della Baia di Sistiana in Comune di Duino-Aurisina, l’area dei terrazzamenti – i “pastini” – tra Trieste e Duino-Aurisina, l’area costiera più occidentale in Comune di Muggia).

Per queste zone vengono soltanto “proposti” interventi di vario genere (consolidamento di versanti franosi, ripristino o creazione di percorsi pedonali e ciclabili, di terrazzamenti e di colture agrarie tradizionali, ristrutturazione di viabilità comunale o provinciale, ecc.), con soluzioni in molti casi interessanti e migliorative rispetto alla situazione attuale.

A ciò si aggiunge un corposo insieme di norme, in pratica equivalenti ad un (buon) regolamento edilizio : prescrizioni circa l’uso di materiali, i colori degli edifici, ecc.

Il vero problema irrisolto è però il rapporto con gli altri strumenti di pianificazione, piani regolatori comunali in primis.

Sia il PRGC di Trieste, sia quello di Muggia, infatti, contengono previsioni del tutto incompatibili con una seria tutela del paesaggio.

2.1. Trieste

Va infatti ricordata l’edificazione diffusa consentita dal PRGC di Trieste (varato ai tempi della Giunta Illy, ma sicuramente gradito anche all’attuale amministrazione di centro-destra) nelle zone “turistiche” e nelle molte zone di espansione residenziale previste lungo la costa.

Merita citare ad esempio l’ignobile piano particolareggiato per il raddoppio dell’hotel “Riviera” in località Grignano - a due passi dal Parco e dal castello di Miramare – con pesantissimo impatto paesaggistico, approvato di recente anche con i voti di tutto il centrosinistra all’opposizione in Consiglio comunale, forse perchè firmato dall’ing. Giovanni Cervesi, ex assessore all’urbanistica della precedente Giunta Illy, nonchè uomo-chiave anche nella distribuzione del potere gestita dalla Giunta regionale presieduta dal “governatore” Illy ....

Per non parlare del previsto raddoppio, in piena area boscata anch’essa a ridosso del Parco di Miramare, della SISSA (scuola internazionale superiore di studi avanzati), per la quale è pronto a cominciare l’iter un altro piano particolareggiato affidato all’ing. Ondina Barduzzi, pure ex assessore all’urbanistica della Giunta Illy.

2.2. Muggia

Anche a Muggia, il piano regolatore vigente prevede massicce edificazioni “turistiche” in tutte le aree verdi costiere, sopravvissute alle devastazioni pianificate tra gli anni ’60 e gli ’80 (ma anche dopo) dalle amministrazioni di sinistra di quegli anni.

In pratica, tra massicci interramenti, nuove darsene nautiche e colate di cemento per alberghi residences, ecc. (pronti alla trasformazione in residenze vere e proprie, come sta accadendo nel celebrato Porto San Rocco, costruito con pessimo gusto estetico nel sito dell’omonimo ex cantiere navale) neppure un metro di costa rimarrebbe indenne, con l’evidente corollario di una sostanziale privatizzazione dell’intera fascia costiera.

Qui, almeno, l’iter dei piani particolareggiati appare più lento ed irto di ostacoli, sia per la reazione crescente dei cittadini (stimolati dall’efficace azione delle associazioni ambientaliste e di comitati locali), sia per divisioni interne all’amministrazione comunale di centro-destra (non certo per l’efficacia dell’opposizione di centro-sinistra, che fatica alquanto a smuoversi da posizioni di retroguardia...).

2.3. Duino-Aurisina.

L’unica “isola felice” nel desolante panorama urbanistico triestino era fino a qualche tempo fa il Comune di Duino-Aurisina (dotato di un ottimo PRGC, approvato nel 1999 dopo decenni di pessima gestione del territorio), nel quale però la nuova Giunta di centro-destra sta riportando la situazione nel solco della “normalità” italica.

Lo testimoniano non soltanto le tristi e anche turpi vicende della Baia di Sistiana – più volte trattate su “eddyburg.it” – ma anche l’opera di progressiva demolizione dello strumento urbanistico vigente, cominciata proprio sulla scia della vicenda di Sistiana e proseguita con l’infame variante “agricola”, le ulteriori varianti in arrivo, ecc.

2.4. La “devolution cementificatrice”.

In un simile contesto, è evidente che soltanto un forte strumento di tutela, sovraordinato ai piani di livello comunale, poteva permettere di impedire la prosecuzione degli scempi e la banalizzazione speculativa del territorio.

Spunti interessanti in questa direzione erano contenuti negli elaborati del PTRP di “Fase 1”, ma sono pressochè scomparsi in quelli successivi. La pietra tombale è stata però rappresentata dalla delibera di “generalità” con cui la Giunta regionale il 17/10/2003, ha avallato quanto dichiarato dal presidente Illy, e cioè che “ ... nella stesura definitiva del Piano non saranno inserite previsioni che contrastino o contraddicano gli strumenti urbanistici dei comuni interessati”.

E’ evidente il contrasto tra questa impostazione del PTRP e quanto previsto dall’art. 149 del D. Lgs. 490/1999, secondo il quale i piani paesistici sono sovraordinati rispetto agli strumenti urbanistici di livello inferiore. Concetto confermato anche dal Consiglio di Stato, con la decisione n. 1763/99 dell’8/6/1999, che concludeva un contenzioso tra la Regione Friuli Venezia Giulia ed il Comune di Trieste, innescato proprio dalle modifiche introdotte nel ’97 dalla Regione nel PRGC della Giunta Illy e motivate da ragioni di tutela paesaggistica (l’area per il raddoppio della SISSA, alcune zone residenziali lungo la costa, ecc....).

La decisione del Consiglio di Stato è stata “venduta” negli anni successivi da Illy e dai suoi come un fondamentale riconoscimento della totale autonomia comunale in campo urbanistico, contro le intromissioni indebite della Regione (quindi una vittoria del “federalismo” e della “sussidiarietà”), benchè il suo contenuto non giustifichi affatto tale interpretazione.

Nei fatti, invece, l’esito della battaglia legale tra Regione e Comune di Trieste si è risolto nell’avallo alle scelte cementificatrici del PRGC, che – come il Consiglio di Stato conferma – soltanto un piano paesistico poteva consentire di mettere in discussione. Una volta arrivato al governo della Regione, Illy si è premurato di evitare questo rischio ...

3. Conclusioni.

Il guaio peggiore è che la furia “federalista” (al di là delle pagliacciate leghiste di cui sono piene le cronache politiche nazionali) trova convinti e determinati esecutori ad ogni livello amministrativo e – come si vede – del tutto trasversali agli schieramenti politici.

Infatti, proprio la falsa lettura della citata decisione del Consiglio di Stato sul PRGC di Trieste, viene usata da anni per legittimare la rinuncia della Regione Friuli Venezia Giulia a qualsiasi serio intervento sui PRGC e ad ogni velleità di pianificazione d’area vasta (paesistica o d’altro genere) degna di questo nome.

Quella lettura è infatti, dichiaratamente, la base di partenza della “riforma urbanistica” che la nuova Giunta regionale di Riccardo Illy ha in programma di portare a termine (utilizzando per di più come testo di riferimento la bozza di legge predisposta - con la leghista Federica Seganti assessora alla pianificazione territoriale - dalla precedente Giunta di centro-destra).

Certo, non è questo l’unico esempio di come forze e ceti politici di “centro-sinistra” finiscano per fare propri valori e scelte tipici della destra. Non è neppure una sorpresa che proprio l’urbanistica e le scelte sulla gestione del territorio rappresentino, purtroppo, un terreno privilegiato di queste “trasversalità”. Rimane il fatto che ciò avviene nel momento in cui anche i pochi presidi esistenti a livello normativo vengono meno (si pensi al passo indietro compiuto, proprio in materia di paesaggio, con il “Codice Urbani” rispetto al D. Lgs. 490/1999), con il che anche le speranze di contrasto sul piano delle azioni legali vengono assai ridimensionate.

Resta solo la speranza in una decisa reazione dei cittadini, come l’esempio citato di Muggia sta a testimoniare. Basterà

INTRODUZIONE AL CONVEGNO SUL CORRIDOIO TIRRENICO – CAMPIDOGLIO 5 MAGGIO 2004

La vicenda, anche quella più vicina, del Corridoio autostradale tirrenico nord e sud, appare impregnata di una cultura delle infrastrutture che rimonta ad un quarantennio e più addietro, a quando in Italia, anche sotto la spinta della potentissima lobby automobilistica, si riservavano i finanziamenti pubblici alle sole autostrade, mentre venivano lesinati in modo indecente alla stessa viabilità ordinaria, ma ancor più ai porti (disperdendoli fra oltre 100 scali classificati) e alle ferrovie sottoposte ad una cura dimagrante che cozzava contro l’orografia stessa di un Paese per due terzi di montagna e collina e contro la tendenza europea e mondiale la quale di nuovo dava grande spazio innovativo ed espansivo alla rotaia. In quegli anni di ebbrezza autostradale il direttore generale delle FS, Rubens Fienga (lo raccontò in un convegno qualche anno più tardi), si sentì dire dal ministro dei Lavori Pubblici :”Allora direttore, quando le chiudiamo queste ferrovie?” Questa era la mentalità al tempo in cui nasce anche la prima idea di Corridoio Tirrenico.

Oggi, quarant’anni dopo, l’Unione Europea punta più risolutamente sulla ferrovia, sulle autostrade del mare e sull’intermodalità, ma l’Italia, Paese marittimo come nessun altro, scommette invece sulla formula asfalto&cemento ormai obsoleta, su nuove autostrade col contorno di bretelle, complanari, tangenziali, ecc. Così ci condanniamo ad un consumo di territorio e di terra a coltivo, a bosco o a magari a parco, insensato in un Paese che, pur fermo demograficamente e con uno stock di vani d’abitazione enorme, viaggia al ritmo annuo di circa 100 mila ettari di terreni “mangiati” da nuove lottizzazioni, ipermercati, fabbriche, ma anche strade e autostrade, ecc. : ogni decennio una regione grande come la Puglia. Così ci condanniamo a ferrovie vecchie e lente, non soltanto nel Sud ma anche nel Centro specie nelle trasversali (oltre 3 ore, nel migliore dei casi, fra Roma e Pescara per 240 Km, o fra Roma e Ancona) e nella linea tirrenica per Genova (oltre 5 ore coi treni più rapidi fra Roma e il capoluogo ligure per 501 Km). Così ci condanniamo ad essere “colonia” per il cabotaggio.

La prima idea di Corridoio Tirrenico nasce in quella cultura già allora arretrata rispetto alle esigenze reali del Paese e alle tendenze delle economie più avanzate. Essa si trascina a lungo senza trovare sbocchi. In Toscana viene realizzata la superstrada da Rosignano a Grosseto che regge bene senza grandi sacrifici ambientali il traffico veicolare, mentre nei PRG dei Comuni di quell’area il tracciato dell’Aurelia viene migliorato con circonvallazioni e altro. Non così purtroppo da Grosseto al confine col Lazio, o soltanto in parte, a spezzoni. Ed è lì che tuttora si concentra il maggior grado di pericolosità e di incidenti mortali dovuti alla persistenza delle due sole corsie e di numerosi e rischiosi attraversamenti a raso. Una pericolosità nettamente superiore a quella della media regionale.

In sequenza : nel ’97 il Parlamento decide di sospendere la realizzazione dell’autostrada a pedaggio Cecina-Civitavecchia, ma ne conferma la concessione alla SAT la quale riceverà dall’ANAS nel ’98 oltre 172 miliardi di lire a titolo di transazione. Alla fine del 2000 – governo Amato, ministro Nesi, sottosegretario Mattioli – viene siglata con la Regione Toscana (presidente Martini) l’intesa in base alla quale si procederà alla realizzazione di una Aurelia sicura a quattro corsie senza pedaggio e anche senza attraversamenti a raso. Sulla base del dettagliato e molti versi apprezzabilissimo progetto redatto dall’ANAS. Verranno così superate le strozzature gravi e pericolose di Orbetello, della Torba, di Capalbio fino alla ex Dogana, di Vulci-Montalto e poi Tarquinia. Il progetto ANAS va alla VIA e lì purtroppo è tuttora bloccato. Incredibilmente.

Le elezioni 2001 vengono vinte da Berlusconi che ha in cima al suo programma le Grandi Opere e pochi giorni dopo, in modo per me ancora sorprendente, il presidente della Regione Toscana, Martini, dichiara al “Sole-24 Ore” : adesso l’autostrada si può fare. L’intesa di cinque mesi prima è già archiviata. Torna in campo la SAT (che pure è stata indennizzata con oltre 172 miliardi di lire) e comincia il balletto dei tracciati : quello collinare con numerosi tunnel sponsorizzato dal ministro Lunardi e quello essenzialmente costiero sostenuto dalla Regione. Il primo viene rigettato per i suoi maggiori costi. Il secondo – che costa meno ma che, secondo stime del Wwf, consuma ancor più territorio pregiato – incontra molte opposizioni : di Comuni, di agricoltori qualificati, di comitati di cittadini, e ovviamente di associazioni per la tutela. Con manifestazioni ripetute. Anche sul fronte politico si registra l’opposizione di alcuni significativi esponenti parlamentari dei Ds e della Margherita oltre che dei Verdi. La Regione Toscana rimane alla fine abbastanza isolata dopo essersi arroccata a difesa del suo progetto che poi progetto non è ma semmai un tracciato e poi nemmeno quello visto che non se ne conosce uno definitivo e si parla tutt’oggi di un “ibrido” fra collinare e costiero. Mai risolti, in ogni caso, restano alcuni problemi nodali, per esempio quello dell’attraversamento autostradale fra Tarquinia e Vulci, parco naturalistico e archeologico dei più sensazionali per bellezza e integrità. L’ultima uscita del presidente Martini reca la data del dicembre 2003, per dire che : 1) “l’accordo sul tracciato è ormai vicino” ; 2) il costo del tracciato costiero non è poi tanto superiore a quello del progetto ANAS dal momento che quest’ultimo è raddoppiato negli oneri (articolo sul “Tirreno” del 24.12.03). Ora di quell’accordo vicino non si sa più nulla, mentre il costo del tracciato costiero stimato da Maria Rosa Vittadini sui 2,20 miliardi di euro nel gennaio 2003 rimane molto ma molto più alto di quello del progetto ANAS valutato sugli 800 milioni di euro ed ora attorno a 1 miliardo e 100 milioni. Come fa quest’ultimo ad essere più che raddoppiato nei costi in così poco tempo, essendo fra l’altro, il solo progetto dettagliato, pure negli oneri? Forse Martini intendeva così mitigare un’obiezione di fondo : perché mai lo Stato dovrebbe dare un contributo di 1,2 miliardi di euro al tracciato costiero quando l’intero progetto ANAS gli costerebbe un bel po’ di meno? Qui però si fermano le dichiarazioni ufficiali e a questo stiamo. Di percorsi identificabili non se ne conoscono, a meno che non si voglia prendere per tali i tratti di pennarello che anche sul Corridoio Tirrenico abbiamo visto tracciare alla brava dal capo del governo a “Porta a porta”, addirittura come cantieri già aperti o attivati. Parola, quest’ultima, piuttosto vaga, in sé e per sé.

Meno prolungata nel tempo, ma carica anch’essa di tante contraddizioni, grazie anche alla incapacità, o impossibilità, di redigere un progetto minimamente credibile dal punto di vista territoriale e da quello finanziario, la vicenda del prolungamento a sud di Fiumicino del Corridoio Tirrenico. Il tracciato disegnato in gran fretta dalla Regione Lazio e dal suo presidente presenta tutta una serie di palesi incoerenze : col Piano generale dei trasporti della Regione Lazio (1990) dove si parla di “adeguamento della SS148 Pontina dal GRA a Terracina”, col Piano Regionale della Viabilità del 1993 (che prevede il raddoppio della Pontina fino a Terracina), col programma di sviluppo della viabilità regionale del 2001, con l’Ipotesi di fattibilità regionale 2001 (delibera CIPE) e con l’Intesa-quadro Ministero-Regione del marzo 2002, col PRG del Comune di Roma (dove non ce n’è traccia), con lo Schema territoriale della Provincia di Roma (dove si parla sempre di “adeguamento funzionale e potenziamento della Pontina”), con la zonizzazione della Riserva di Malafede che l’autostrada attraverserebbe colmandone, fra l’altro, il fosso.

Il frettoloso progetto è stato nella sua prima versione ritirato per farlo tornare in sede di VIA il 7 aprile scorso, con una procedura quindi aperta, interrotta e riaperta, i cui termini per le osservazioni scadono in questi giorni. Se nella parte romana tranciava le riserve di Decima e di Malafede nel percorso a sud passava a cento metri appena dal Lago di Fondi dopo aver tagliato in due quella piana. La sua seconda versione corre parallelamente alla Pontina, con nuovi devastanti impatti sulla Riserva di Decima-Malafede. Dopo di che francamente non si capisce perché invece di adeguare e potenziare questa strada statale, la si debba trasformare in autostrada a pedaggio. Il cui percorso abbandona la Pontina a sud, da Fondi (con i gravi inconvenienti ambientali e paesistici sopra segnalati) a Formia. Numerose sono poi le incongruenze fra il tracciato riportato nella Corografia generale e quello riprodotto nelle tavole specifiche della cartografia stradale.

Altre rilevanti criticità sono le ricadute sul Massiccio carbonatico dei Monti Musoni e Aurunci. Un’area questa nella quale si registrano valori ambientali elevati variamente tutelati. Infatti anche il secondo intervento interferisce con la zona del Parco naturale dei Monti Aurunci e nell’IBA (ImportantBirdAreas), ai sensi della normativa europea estesa a questo gruppo montuoso ricomprendendo i Monti Musoni. C’è poi la valutazione da compiere sulla cantierizzazione di gallerie e viadotti nei tratti in variante. Poiché il progetto è stato incluso nella delibera del CIPE del 21.12.01, esso andava sottoposto alla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) da parte del Ministero dell’Ambiente. Invece non risulta corredato da tale Valutazione. Ma il fatto più singolare è che, a fronte della censura inflitta dall’Autorità Antitrust della procedura di infrazione della Commissione Europea sulla violazione delle norme riguardanti le norme sulle gare pubbliche e sugli appalti – visto il ruolo svolto dall’ARCEA SpA – Governo ed ANAS si sono ben guardati dall’intervenire sulla Regione Lazio ed hanno anzi consentito la presentazione alla VIA di un nuovo progetto.

Sul piano della procedura rilievi decisamente pesanti sono stati mossi il 14 gennaio scorso dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici in relazione all’affidamento alla società ARCEA Lazio SpA (a prevalente capitale regionale) della progettazione, realizzazione e gestione dell’opera. Essa infatti ritiene che l’ARCEA abbia natura di organismo di diritto pubblico e quindi sia soggetta alle regole della legge Merloni sugli appalti pubblici. Pertanto occorre per essa esperire una regolare gara d’appalto. La Regione Lazio non ha tenuto conto del rilievo operato dall’Autorità (che ha sede presso il Ministero delle Infrastrutture) affidando direttamente all’ARCEA una Variante al progetto preliminare. La Commissione Europea ha inviato per essa una lettera di messa in mora per violazione di due Direttive europee e degli art. 43 e 49 del Trattato UE.

Poi ci sono anche qui evidenti incoerenze e contraddizioni nel piano finanziario dell’opera. Sia il primo che il secondo progetto costano infatti la bellezza di 3 miliardi di euro. Tanti rispetto alle risorse disponibili e ai flussi (modesti) di traffico che colpedaggiamento potranno coprire soltanto una quota molto contenuta dei costi complessivi dell’opera. Se poi sommiamo il costo dei due Corridoi Tirrenici (Nord e Sud) avviciniamo i 5 miliardi di euro,quando dal 2002 al 2006 il Governo ha stanziato per l’intero Primo Programma delle opere strategiche sul territorio nazionale soltanto 9 miliardi di euro.

A questo punto occorre sottolineare il ruolo essenziale che hanno avuto sia in Toscana che nel Lazio comitati di cittadini sganciati dai partiti di ogni collocazione, associazioni locali e nazionali notoriamente “trasversali”, riunendo in modo molto vitale e consapevole anche imprenditori e operatori del settore agricolo-alimentare, del comparto industriale e turistico.

Lungo l’Aurelia non ancora a quattro corsie e con frequenti attraversamenti a raso il numero e la pericolosità degli incidenti continua ad essere elevata. Ancor più alti si presentano gli indici di rischio sulla Pontina. La pretesa di realizzare, anche senza i mezzi indispensabili e senza progetti tecnicamente credibili, altrettante autostrade non fa che allontanare cinicamente nel tempo la soluzione realistica dell’adeguamento e del potenziamento delle due strade statali, non fa che rendere cronico lo stillicidio di morti, di feriti, di infortunati su di esse. L’Aurelia, nel tratto grossetano e ancor più in quelloviterbese, e la Pontina presentano infatti indici di gravità, di incidenti/Km, di rischio di incidenti e di rischio di mortalità spesso nettamente superiori alla media delle altre strade statali delle rispettive regioni. Adeguare e potenziare le due arterie, al più presto, è, o dovrebbe essere, un preciso dovere. Questo drammatico rilievo di fondo era inevitabile alla fine di un riepilogo cronistico delle vicende che hanno accompagnato, con passaggi francamente sconcertanti, i due tracciati, quanto mai approssimativi, del Corridoio Tirrenico. Qui, oggi, ne verrà fatta una analisi molto approfondita, a conferma che i “no” all’idea vecchia e superata, tutta autostradale, delle Grandi Opere non sono affatto “ideologici” e che comunque ad essi non ci limitiamo facendo emergere controproposte serie, realistiche e ben fondate.

Vittorio Emiliani

Il Libro Bianco tratta della vicenda che va sotto il nome di Bor.Set.To. (acronimo per Borgaro. Settimo. Torino); esso vuole raccontare innanzi tutto “agli uomini e alle donne di buona volontà” di come si stia compiendo un ulteriore attentato di grandi dimensioni contro il governo democratico del territorio.

La vicenda, che verte sul destino da assegnare a 3,5 milioni di metri quadrati, non è né unica né isolata; se ne potrebbero raccontare molte altre: da “Millenium Canavese” a “Mondo Juve”, ai vari episodi di prevaricazione (il Piano Regolatore di Torino è assai ricco in proposito), attuati dai grandi e medi potentati della proprietà immobiliare, che in un crescendo continuo da ormai quindici, venti anni tendono ad imporre alle assemblee elettive degli enti locali decisioni di propria convenienza, prima o piuttosto che di interesse generale, in merito a qualità, forma, contenuto della città postindustriale.

Nell’operare in tale direzione i nuovi padroni della città non hanno neppure più la necessità di presentarsi in prima persona, con il proprio profilo imprenditoriale, tecnico, finanziario, come avveniva in qualche modo negli anni ruggenti del boom economico italiano (si veda la ricostruzione storica della vicenda Bor.Set.To. contenuta nel Libro Bianco). No, non è più così.

Attraverso una lunga stagione di confronto politico culturale, avviata a partire dagli anni ’80 (svolta significativa è stata la Sentenza della Corte Costituzionale del febbraio ’80, che ha colpito al cuore la riforma urbanistica del 1977) gran parte della cultura urbanistica e delle forze politiche anche della sinistra si sono assunte il compito teorico pratico di smantellare via via le basi culturali ed amministrative, che assegnavano unicamente al sistema democratico delle autonomie locali il compito e la responsabilità di decidere dove, come, quando trasformare l’ambiente urbano e rurale del territorio. Così ora è esclusivamente la cultura urbanistica, talvolta con la complicità del sistema delle autonomie, che consente alla proprietà immobiliare di defilarsi e quindi si assume il compito di smentire le prerogative di governo, che la legge (fino a quando?) ancora assegna agli enti locali.

Il Libro Bianco intende entrare nel merito della vicenda Bor.Set.To. tuttavia qui, in apertura, è delineato il profilo più generale, il filo conduttore della vicenda, che, nel susseguirsi di atti, ignoti o comunque poco comprensibili ai più, conduce invece ad importanti decisioni, destinate a condizionare per lunghi anni a venire la vita dei cittadini più o meno direttamente interessati.

Atto importante, si potrebbe dire di apertura della scena, che dà la misura del significato e della posta in gioco con la vicenda Bor.Set.To., è rappresentato dalla adozione, avvenuta in Consiglio Provinciale di Torino in data 28 aprile 1999, del Piano Territoriale di Coordinamento, che, per entrare in vigore, abbisogna per legge della approvazione della Amministrazione Regionale.

Quel piano aveva il compito (così definito dalla legislazione in materia) di indicare le linee di sviluppo o comunque di trasformazione del territorio provinciale a valere per gli anni successivi. Esso giungeva in Consiglio Provinciale dopo un susseguirsi complesso di fasi di informazione e di confronto con i Comuni, con le Comunità Montane, con le più significative forze sociali ed economiche della provincia torinese.

I contenuti di tale piano pertanto erano ben noti quanto meno nelle linee generali, ancora prima che il piano stesso venisse presentato al Consiglio per l’adozione. Detti contenuti in sintesi e nella sostanza, per quanto qui interessa, riguardavano:

1. la tutela assai puntuale, quanto meno all’interno dell’area metropolitana torinese e dunque in particolare anche sulle aree Bor.Set.To., del territorio destinato dai piani regolatori in vigore all’attività agricola, specie di quelle porzioni di maggiore fertilità, al fine di preservare le poche potenzialità ancora presenti in un intorno territoriale, soggetto da lungo tempo ai processi di trasformazione in senso urbano, che tanti problemi, ora di dominio pubblico, hanno creato in ordine all’ambiente per ragioni di inquinamento dell’aria e delle acque, di riduzione degli spazi aperti, di congestione. Le aree della Bor.Set.To. figuravano fra quelle oggetto di tutela più stringente per la ragione di essere riconosciute per la quasi totalità di elevato valore dal punto di vista agricolo;

2. l’indicazione delle direttrici di ulteriore sviluppo in termini di insediamenti residenziali ed industriali, in primo luogo nell’area metropolitana. Questa scelta intendeva fornire ai comuni linee guida per orientare le scelte dei piani regolatori verso direttrici opportune per ragioni climatiche, ambientali, per l’esistenza o l’opportunità di nuove relazioni funzionali, per la ricerca di più adeguati collegamenti viari e di trasporto collettivo a scala territoriale. Coerentemente con quanto al primo punto, il settore urbano di Borgaro – Settimo (e dunque le aree Bor.Set.To.) non era affatto compreso fra le direttrici di ulteriore espansione sia per le residenze che per le attività produttive.

3. il Piano, adottato dal Consiglio provinciale nella primavera del 1999, in conformità alle disposizioni di legge (la legge regionale urbanistica in primo luogo) nei confronti dei propri dettati istituiva una cautela fondamentale (la cosiddetta salvaguardia), in base alla quale fino alla approvazione da parte della Regione o almeno per tre anni dalla data di adozione i comuni non potessero formare piani regolatori contenenti indicazioni contrastanti con le linee del Piano Provinciale.

In ogni caso l’Amministrazione Provinciale, adottato nell’aprile del 1999 il Piano Territoriale di Coordinamento, lo inviò alla Regione per l’esame e per l’eventuale approvazione.

E qui incominciano a sorgere problemi e difficoltà, che renderanno possibili fra altre decisioni la “soluzione” della vicenda Bor.Set.To.

I

ntanto si scopre che per un banale refuso dell’articolo di legge (la legge regionale urbanistica), riguardante la salvaguardia, non è possibile applicare quella cautela a favore delle indicazioni del Piano territoriale provinciale nei confronti delle decisioni dei comuni in ordine ai Piani regolatori. Ne deriva dunque che i comuni, ove l’intendano, possono tranquillamente adottare e farsi approvare varianti o nuovi piani regolatori anche contrastanti con quanto indicato dal Piano territoriale provinciale. Così, invece di risolvere l’errore (perché di questo si trattava e si tratta) mediante semplice ed immediata correzione dell’articolo della legge regionale, la questione rimane a marcire senza soluzione, tanto da non essere risolta neppure ora, a distanza di cinque anni dal suo appalesarsi.

Ciò non basta a contrastare il disturbo arrecato dal Piano provinciale; all’interno della Regione, nella Commissione a ciò preposta ed in generale lungo l’iter di approvazione del documento in questione (il Piano Provinciale adottato nel 1999), prende avvio la discussione in merito, con tutta calma ed a partire da una questione interpretativa.

Si può dire “con tutta calma” perché mentre la legge regionale fissa 90 giorni, affinché la Regione approvi ovvero respinga il Piano Territoriale, la decisione formale è stata assunta nel volgere di tempo di oltre 4 anni (vale a dire in oltre 1.460 giorni).

Si può dire altresì che è stata sollevata una questione interpretativa assolutamente pretestuosa, che ha condotto a consentire alla Regione di entrare nel merito delle scelte del Piano Provinciale (prerogativa che la legge non le dava) e quindi di stravolgere e di sterilizzare i contenuti fondamentali del Piano Territoriale, quelli per intendersi, richiamati sopra in estrema sintesi.

Ma mentre la Regione “valuta” e comunque prende tempo per modificare i contenuti meno graditi del Piano Territoriale, alcuni comuni del settore nord dell’area torinese, per altro con il conforto sia della Regione che della Provincia di Torino, avviano alcuni provvedimenti di programmazione territoriale (formalmente di programmazione si badi bene e non di pianificazione), che porteranno a devitalizzare i contenuti del Piano Territoriale Provinciale ed a porre le basi per l’operazione Bor.Set.To.

Da alcuni anni infatti sono disponibili a livello nazionale strumenti di programmazione territoriale assai equivoci, creati formalmente per finanziare l’attuazione delle indicazioni dei Piani Regolatori, sostanzialmente in grado di stravolgere i piani stessi, quando essi si frappongano alla volontà o dei comuni stessi o degli operatori privati, che intendono intervenire con finalità assolutamente di parte. Attraverso l’uso di tali strumenti con un perverso connubio fra forze private ed enti pubblici si manifesta in tutta la sua estensione la cultura del caso per caso, della negazione cioè di ogni e qualunque forma di programmazione, in ragione della volontà di intervenire a breve, dove, come e quando si manifestino interessi corposi, capaci di rimuovere i “lacci e laccioli”, costituiti dai programmi di medio o lungo periodo.

Così su proposta del Comune di Settimo Torinese, assieme ai Comuni di Borgaro Torinese, Leinì e Volpiano, prende avvio il cosiddetto URBAN Italia. I programmi URBAN sono finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale, a favore dello sviluppo sostenibile (termine assai abusato) di città e quartieri soggetti a crisi appartenenti all’Unione Europea.

Quello strumento, nato in generale per programmare e per finanziare gli interventi previsti nei piani, è di fatto utilizzato per modificare anche profondamente i piani in vigore. Nel caso specifico di URBAN Italia le indicazioni in esso contenute infatti mutano e smentiscono totalmente i principi e le linee, sulle quali poggiava il Piano Territoriale di Coordinamento provinciale, quello stesso che nel frattempo, privo di salvaguardia, dall’ormai lontano 1999 langue tranquillamente presso la Regione, in attesa di una qualche eventuale decisione.

In questo modo URBAN Italia ha tutto il tempo di essere approvato in data 27 maggio 2002 con Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e di essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 settembre 2002.

In sintesi i contenuti di URBAN Italia sono:

1. l’indicazione per la formazione di una conurbazione a corona da Volpiano a Leinì, nel settore territoriale più esterno, rispetto all’area torinese, con protendimenti in direzione di Caselle. Tale direttrice si appoggia ad una infrastruttura di carattere superstradale, o “Asse distributore n. 2”, diretto a levante a connettersi con la cosiddetta “tangenziale est”, in attraversamento del Po a valle di Gassino ed a ponente verso la Strada Statale n. 460 a nord di Leinì, con prosecuzione verso Ciriè Lanzo;

2. l’indicazione per la formazione di una conurbazione a corona più interna, rispetto all’area torinese, sostenuta da un tracciato stradale o “Asse distributore n.1”, da Settimo a Borgaro. A detto tracciato sono assegnate funzioni di alleggerimento del sistema tangenziale torinese ed inoltre di sostegno alla “tangenziale verde” (di cui alle considerazioni svolte più oltre a proposito dell’altro strumento PRUSST 2010 Plan) e di servizio per gli insediamenti produttivi, fra i quali anche quelli previsti sulle aree Bor.Set.To.

3. un insieme di indicazioni riguardanti il sistema dei trasporti e delle comunicazioni, fra cui:

·l’intersezione delle due corone di sviluppo urbano sopra menzionate con tutte le componenti radiali viarie e ferroviarie di fuoriuscita da Torino, ivi compresa la prosecuzione verso Leinì della linea tranviaria torinese n. 4;

·una navetta di collegamento anulare dei centri urbani collocati sulle due corone con connessione attraverso la strada della Cebrosa verso il centro di interscambio della Stazione Torino – Stura;

·un sistema di trasporto pubblico dalla Mandria in Venaria alle sponde del Po ed alla collina di Torino, con tracciato affiancato al lato nord della Tangenziale autostradale torinese, a servizio della “tangenziale verde” e delle aree per lo svago;

4. l’individuazione di numerosi e quantitativamente rilevanti insediamenti produttivi a favore di un non meglio definito “riequilibrio territoriale” (riequilibrio di che, rispetto a cosa?). Fra tali insediamenti si evidenziano:

·la particolare consistenza urbanistico – territoriale, che presenta l’insediamento indicato fra l’autostrada A5 (per Aosta) e la Strada Provinciale n. 3 della Cebrosa, della estensione di 125 ettari circa;

·la zona di Leinì – Mappano, a ponente dell’Autostrada A5, di cui si prevede un consistente completamento;

·a ponente di Mappano gli insediamenti produttivi: tra la frazione e la superstrada per Caselle, sulle aree Bor.Set.To (denominate parco tecnologico) ed inoltre a ponente della superstrada stessa, in prossimità della Centrale di compostaggio dell’AMIAT (ovvero PIP di Borgaro).

In complesso dunque URBAN Italia, in assoluto contrasto con le indicazioni del Piano Territoriale di Coordinamento formato legittimamente dalla Provincia di Torino, configura un comprensorio industriale compatto di centinaia di ettari, vale a dire una barriera senza soluzione di continuità, attraverso la quale filtrano senza misure di tutela e di valorizzazione ambientale due direttrici di accesso a Torino: la superstrada di Caselle e l’autostrada A5 di Aosta.

Se URBAN Italia costituisce lo strumento (il bastone), che sconvolge con le proprie indicazioni i contenuti del Piano Territoriale di Coordinamento, pressoché nello stesso periodo viene formato il provvedimento di rilievo intercomunale, che si propone come l’iniziativa buona (la carota), tendente a qualificare il territorio prossimo alle grandi infrastrutture stradali di Torino, denominato con termine suggestivo “tangenziale verde”. Dal punto di vista formale esso è parte di uno dei nuovi strumenti promossi dallo Stato: il PRUSST (Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio).

Detto strumento in generale, con il compito di promuovere lo sviluppo “sostenibile” sotto l’aspetto sociale, economico ed ambientale, ha per oggetto un insieme di interventi, rivolto a settori territoriali estesi, comprendenti preferibilmente più comuni.

Nel caso specifico nel novembre del 2000 con il nome di PRUSST 2010 Plan è stipulato un protocollo d’intesa fra I Comuni di Settimo T.se, Borgaro T.se, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, con l’adesione del Comune di Torino. Nel maggio del 2002 con il Ministero Infrastrutture e Trasporti è stipulato un accordo quadro per la riqualificazione di aree, comprese nel territorio dei comuni menzionati, per la realizzazione e lo sviluppo di un vasto parco intercomunale di connessione tra parchi urbani e regionali, denominato “Tangenziale verde”.

Esso rappresenta un’anticipazione ed uno sviluppo settoriale di URBAN Italia, in quanto è volto ad intervenire sulla fascia adiacente al lato nord della Tangenziale torinese, da Borgaro a Settimo, con propaggini riguardanti:

·il Parco della Stura ad ovest, con riferimento in particolare al cosiddetto ed assai funambolico “parco Chico Mendes”;

·la zona dei laghetti di Falchera a sud, in territorio di Torino;

·ad ovest, sebbene in termini assai frammentari, il parco fluviale del Po.

Il PRUSST 2010 Plan, oltre ad istituire una sorta di fascia di rispetto nei confronti della Tangenziale (tratto nord di Torino), con compiti di attenuazione degli effetti acustici e visivi, intende altresì individuare occasioni e luoghi adatti per l’uso del tempo libero e dello svago, elementi di qualificazione lungo la linea di connessione fra Torino e le nuove aree di espansione indicate da URBAN Italia.

Per questo motivo, per il fatto cioè che le aree interessate dal PRUSST (in particolare quelle appartenenti alla proprietà Bor.Set.To.) in seguito alle indicazioni del programma URBAN Italia sono divenute residuali in quanto collocate fra Torino e la prima corona di espansione, compresa fra Borgaro e Settimo, quelle stesse aree vanno perdendo forzatamente la loro originaria destinazione agricola, ormai superata dal nuovo ruolo di aree per lo svago, e quindi “assurgono” ad aree da destinare a parchi urbani e territoriali.

Conseguentemente il Comune di Borgaro con “lungimiranza” (e si vedrà perché) approva una variante al proprio Piano Regolatore Generale, finalizzata a destinare a servizi pubblici di rilievo urbano e territoriale quella porzione della proprietà Bor.Set.To., indicata a parco dal PRUSST 2010 Plan, soggetta pertanto ad esproprio.

A questo punto, fine 2002 primo scorcio del 2003, mentre il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia continua ad attendere l’approvazione da parte della Amministrazione Regionale, senza che si possa in alcun modo riconoscere una qualche mano invisibile, volta a tirare le fila di una qualche operazione men che plausibile, tuttavia si danno oggettivamente le condizioni perché finalmente, dopo oltre 40 anni di traversie, si possa giungere alla soluzione dell’annosa vicenda delle aree, che, dalla denominazione originaria in qualche modo autorevole e prestigiosa di Società Generale Immobiliare nel frattempo attraverso varie sigle (e passaggi di mano) hanno assunto quella incolore di Bor.Set.To.

Le condizioni oggettive, al contorno, sono le seguenti:

1. il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino attende tranquillamente l’approvazione regionale; comunque a scanso di sorprese la regione ha “consigliato” (in modo assolutamente illegittimo) e la Provincia ha accettato di fare proprie correzioni al Piano, che rendono assai meno incisivi i vincoli originari in particolare sulle aree Bor.Set.To.;

2. sono diventati documenti operanti URBAN Italia e PRUSST 2010 Plan, che danno alle operazioni previste di espansione e di utilizzo delle aree Bor.Set.To. il carattere dell’ufficialità e del prestigio: PRUSST 2010 Plan, promosso dal Comune di Settimo T.se con l’adesione dei Comuni di Borgaro T.se e di Torino si è classificato al secondo posto nella graduatoria nazionale e primo in Piemonte, accedendo ai finanziamenti previsti dal Bando del Ministero LL.PP.;

3. il Comune di Borgaro T.se ha approvato una variante al proprio Piano Regolatore, che trasforma la destinazione di parte delle aree Bor.Set.To. da agricola a servizi per parchi urbani e territoriali. Questa destinazione, in base alla legge, dovrebbe comportare l’esproprio delle aree relative; ma da tempo grazie all’apporto qualificato della migliore cultura urbanistica vige la linea generale, il costume che a fronte di esproprio, costoso in genere per la collettività e inviso alle proprietà, si può praticare una strada più “civile”: concordare con la proprietà una sorta di “do ut des”, in base al quale il Comune concede possibilità di costruire su parte dei terreni oggetto di esproprio in cambio della cessione gratuita della restante proprietà. Questa è la strada che si profila come migliore e più conveniente anche per le aree Bor.Set.To., dato che sarebbe proprio una incongruenza, figlia ormai di un passato lontano e superato, imboccare la strada dell’esproprio sulle aree destinate a parco.

Queste dunque sono le condizioni, che, al termine della vicenda qui esposta, in un susseguirsi di atti, che certo, come si può evincere dalla vicenda, non hanno fra loro alcunché di preordinato, rendono tuttavia possibile ed opportuno il Protocollo d’intesa fra i Comuni di Borgaro T.se, Settimo T.se, e Torino (Comuni nei quali si estendono le proprietà Bor.Set.To. per un totale di circa 3,5 milioni di metri quadrati) con la partecipazione della Provincia di Torino e della Regione Piemonte.

Il Protocollo d’intesa (si veda al proposito la trattazione specifica, contenuta all’interno del Libro Bianco), seppure non ancora fatto proprio dalle diverse assemblee elettive interessate, stabilisce con assoluta precisione cosa si debba fare in termini di edificabilità per le diverse destinazioni e di contro quali e quante aree si debbano cedere come contropartita ai rispettivi Comuni (Borgaro, Settimo, Torino), nei quali ricadono le aree di proprietà Bor.Set.To.

Il Comune di Borgaro il 6 febbraio 2003 fa propri i contenuti del Protocollo d’intesa e successivamente il 24 luglio 2003 adotta la variante di Piano Regolatore, che consacra destinazioni e quantità edificabili conseguenti a quanto definito dal Protocollo d’intesa stesso.

In data 1 agosto 2003 finalmente, dopo oltre quattro anni di elaborazioni e verifiche assai impegnative, la Regione approva con propria delibera di Consiglio il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino, la quale riconoscente ringrazia.

Post scriptum.

Alla data di pubblicazione del Libro Bianco tutte le cinque assemblee elettive interessate hanno fatto propri i contenuti del Protocollo d’intesa, anche se in forme non propriamente allineate.

La Variante del Piano Regolatore di Borgaro non è stata ancora approvata dalla Amministrazione Regionale ed è forse per questo che le aree destinate a servizi pubblici ed a parchi urbani e territoriali indicate dal Protocollo d’intesa non sono ancora passate in proprietà ai rispettivi Comuni (Borgaro, Settimo, Torino), fatto di cui nessuno ha motivo di dubitare.

Resta tuttavia un aspetto della vicenda non chiarito. Le aree destinate a parchi urbani e territoriali dal Protocollo d’intesa (e ad esempio dalla variante di Piano Regolatore di Borgaro) sulla base del progetto fino ad ora conosciuto, riguardante la linea ferroviaria di Alta Velocità o Capacità che dir si voglia, sono interessate dal tracciato relativo e da alcuni cantieri di estese dimensioni, previsti per la realizzazione della stessa.

Non si vorrebbe che la mancanza di pianificazione o meglio il disprezzo, dimostrato per tutta la vicenda del Piano Territoriale di Coordinamento, possa trasformare in crusca la farina del diavolo.

Nota: le due immagini sono state inserite ex-post nel testo di Raffaele Radicioni solo per inquadrare l'area di cui si parla. Sono una scansione di una mappa stradale e un estratto del Piano Intercomunale del 1967 (fb)

COMUNICATO

Quale futuro per i Porti dell’Argentario ??

Sul tema dei Porti dell’Argentario sono in corso due iniziative che affrontano il caso in modi completamente diversi.

Da un lato si stanno svolgendo degli incontri pubblici quale prosecuzione dei Laboratori Tematici organizzati dalla Provincia di Grosseto nell’ambito della revisione del PTC.

A questi veri e propri Tavoli di Lavoro, promossi da MAREVIVO, che riguardano un progetto per il porto di Porto Ercole, stanno partecipando attivamente le componenti sociali, economiche e imprenditoriali dell’Argentario e in particolare di Porto Ercole. Sono stati già raggiunti diversi obiettivi che hanno portato alla formulazione di una bozza di progetto condivisa da un’ampia base locale (popolazione, operatori di settore, Associazioni e gruppi di rappresentanze locali) e che prevede la riorganizzazione dell’area portuale nel pieno rispetto delle sue caratteristiche ambientali e paesaggistiche e dell’attuale utilizzo socio-economico del porto.

Inoltre, nel corso degli incontri è stato espresso da più parti un fortedissenso sulla possibile conclusione di una Convenzione, tra il Comune e la Società Italia Navigando, che escluderebbe dalla gestione del porto la comunità locale”.

Dall’altro lato proseguono delle operazioni che vedono coinvolti una parte dell’Amministrazione Comunale di Monte Argentario e le Società Argentario Approdi e Italia Navigando, per concordare tale Convenzione che, se dovesse concludersi, porterà all’affidamento a Italia Navigando della gestione di tutti e due i Porti dell’Argentario fino al 2084!.

In questa trattativa, che non vede una partecipazione attiva né della cittadinanza nè dei gruppi locali né delle associazioni di tutela ambientale, il ruolo richiesto all’Amministrazione Comunale è solo quello di ratificare la costituzione di due Società tra Argentario Approdi e Italia Navigando per creare due veri e propri Marina Turistici di forte impatto ambientale e paesaggistico e che metteranno fuori gioco le imprenditorie locali e l’autonomia delle attività economiche e commerciali locali (anche l’ultima bozza di convenzione, revisionata in questi ultimi giorni, non cambia la sostanza delle cose).

Ci sentiamo in particolare molto preoccupati per la prospettiva di una trasformazione dell’ambiente “unico” di Porto Ercole in un “Marina a sfruttamento intensivo” (Porto-Garage per mega barche) che comporterà il completo stravolgimento delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche attuali e la conseguente perdita di un patrimonio di inestimabile valore!

Riteniamo che l’Amministrazione Comunale debba attivare un’immediata e intensa attività di Concertazione, che non vuol dire “presentare degli accordi a cose fatte”, ma coinvolgere tutta la popolazione e tutti i gruppi interessati prima di approvare atti che mettono in gioco il futuro dei porti del nostro territorio e che causeranno inevitabilmente la perdita di patrimoni di inestimabile valore ambientale, storico e paesaggistico!

Tutto rinviato alla prossima consigliatura: l’ultima riunione del consiglio provinciale di Napoli prima dello scioglimento elettorale ha sancito che ormai non c’è più tempo per approvare un piano che aveva destato molte preoccupazioni e polemiche. Attirando anche l’attenzione – cosa insolita di questi tempi per un oggetto complicato quale è un piano – della stampa nazionale e locale.

Due gli aspetti contestati del piano territoriale di coordinamento della provincia di Napoli. Innanzitutto, il ridimensionamento delle tutele paesistiche in aree di importanza mondiale come la Penisola sorrentina, il Vesuvio, Ischia, Capri, Procida, Posillipo. In secondo luogo, la designazione di 25.000 ettari di territorio rurale, il 40% di quello ancora presente in provincia dopo un quarantennio di scempio, come “aree di riqualificazione urbana” (sic!), nelle quali il piano consentiva la localizzazione di abitazioni (100.000 nuovi vani), attrezzature, servizi, infrastrutture. Aree di riqualificazione che comprendevano i paesaggi rurali più rinomati della provincia di Napoli.

L’opposizione al piano era stata promossa da un cartello di associazioni comprendente WWF, Italia Nostra, Coldiretti ed altre sigle locali, ed era culminata in un convegno nazionale svoltosi lo scorso 4 dicembre presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.

Intanto, il clamore della vicenda aveva condotto alle dimissioni dell’assessore competente ed alla sua sostituzione, nonché al ritiro del piano, con l’impegno pubblicamente sancito dal presidente della giunta provinciale Amato Lamberti di procedere ad una sua approfondita ridiscussione e revisione.

Ma le cose sono andate diversamente, e negli scorsi giorni, dopo aver constatato come l’impianto del piano fosse rimasto sostanzialmente immutato, le associazioni erano ancora intervenute, chiedendo ai partiti di maggioranza di astenersi da una sua approvazione definitiva in extremis, negli ultimi spiccioli di consigliatura. L’invito è stato accolto o, più probabilmente, i partiti hanno autonomamente ritenuto di non riaprire le polemiche proprio alla vigilia delle elezioni. Scampato pericolo dunque, ma quello che è successo non rappresenta una vittoria per nessuno, quanto piuttosto una sconfitta di tutti. Perché la provincia di Napoli ha bisogno di un piano. E perché rimane l’interrogativo su come possa accadere che un’amministrazione di centro-sinistra a guida verde possa esprimere una cultura di governo del territorio tanto inadeguata. La ricerca delle possibili risposte è parte del lavoro che dovrà continuare nei prossimi mesi.

Il dossier sulla vicenda su www.risorsa.info.

Su questo argomento anche:

Eddytoriale n. 31 del 23 novembre 2004

Eddytoriale n. 32 dell'11 dicembre 2003

Non è tanto la sovrabbondanza di vincoli e burocrazia ad ostacolare (come ha lamentato di recente il noto viticoltore Edi Kante) l’attività agricola sull’altopiano carsico, quanto la mancanza di strumenti adeguati per la pianificazione e la tutela del territorio.

Infatti, se l’attività agricola e l’allevamento tradizionali costituiscono un elemento essenziale per la conservazione del paesaggio storico e naturale del Carso, è chiaro che ciò deve avvenire rispettando nel contempo le straordinarie peculiarità naturalistiche di questo territorio (i campi solcati, le doline, gli ecosistemi indispensabili per la vita delle specie vegetali e animali che rendono quest’area unica in Europa dal punto di vista della biodiversità), le quali rappresentano anche un ovvio fattore di richiamo turistico.

Uno degli strumenti per far convivere armonicamente la conservazione di questo straordinario patrimonio con le attività tradizionali (e favorirne la valorizzazione), è rappresentato dal Parco del Carso, che tra l’altro consentirebbe anche di semplificare e ricondurre in capo ad un unico ente (il Parco, appunto) le competenze oggi sparpagliate irrazionalmente tra i Comuni, la Provincia, i vari uffici regionali, ecc.

Sarebbe questa anche l’occasione per eliminare vincoli – come quello idrogeologico – che in Carso (come osserva giustamente Kante) non hanno alcun senso.

Peccato che la proposta del Parco (internazionale, perchè il Carso è uno solo, di qua e di là dal confine : il WWF lo chiede da oltre 15 anni) non abbia finora suscitato alcun interesse reale in chi occupa le istituzioni.

Il perchè lo spiega – involontariamente - l’intervento del vicesindaco di Duino-Aurisina, Romita, il quale nel replicare a Kante (sul PICCOLO del 13 aprile scorso) non trova di meglio che rivendicare a merito della propria amministrazione la variante “agricola” al piano regolatore.

Peccato si tratti di uno strumento che, con il pretesto di favorire l’agricoltura, apre in realtà all’edificazione praticamente ogni area classificata “agricola” sul territorio comunale.

Si vorrebbe infatti diminuire drasticamente la superficie minima di territorio coltivato che da’ diritto ad edificare. Verrebbero ammesse poi nuove edificazioni - anche residenziali - non soltanto per gli agricoltori, ma anche per i parenti di primo grado.

Agli agricoltori “non a titolo principale”, cioè in pratica a chiunque, verrebbe inoltre consentito di edificare 150 metri cubi (destinati a qualsivoglia uso) in qualsiasi punto di qualsiasi zona agricola.

Si ammetterebbe ancora la proliferazione dei “capanni per attrezzi” e la costruzione di serre di grandi dimensioni (fino a 7 metri di altezza).

Non basta : la variante permetterebbe di modificare le destinazioni d’uso di qualsiasi edificio nelle zone agricole (da produttivo a residenziale e viceversa). E così via.

Porte aperte, quindi, alla “villettizzazione” del territorio, alla sua banalizzazione paesaggistica ed al degrado naturalistico. Altro che agricoltura !

Ulteriore prevedibile effetto della variante “agricola” sarebbe quello di innalzare a dismisura i prezzi correnti dei terreni. Una volta rese edificabili anche le aree agricole, infatti, è evidente che il loro costo salirebbe di molto rispetto ad oggi, con evidenti danni per i veri agricoltori, che dovessero trovarsi nella necessità di acquistare terra per ampliare le proprie aziende.

Siccome sul cemento non crescono nè viti, nè altro, sembra evidente che la variante “agricola” in questione rappresenti un esempio di ciò che i veri agricoltori del Carso dovrebbero aborrire con tutte le forze.

E’ anche, purtroppo, evidente, che fino a quando i destini del Carso saranno affidati a culture amministrative e politiche come quelle che ispirato la suddetta variante di Duino-Aurisina, c’è da temere il peggio per questo territorio. La speranza è che questo strumento venga perciò cassato da chi ne ha il potere (la Regione), perchè altrimenti si porrebbe una pesante ipoteca sul futuro di una parte essenziale dell’altopiano, condannandolo probabilmente alla definitiva banalizzazione e quindi al disvalore tanto ambientale, quanto – in definitiva - economico.

Ringraziando per l’ospitalità che spero possa essermi concessa, porgo i più distinti saluti

COMUNICATO

Nuova minaccia per Porto Ercole

Tra le ipotesi di intervento per il porto di Porto Ercole, che ultimamente circolano all’Argentario, ce n’è una molto preoccupante: qualcuno vuole creare un Marina “a sfruttamento intensivo” che stravolgerà completamente tutta l’area portuale ed avrà gravi ripercussioni nelle limitrofe aree a terra.

Si vuol fare di Porto Ercole un Porto-Garage occupando quanto più possibile dell’area portuale, dove verranno depositate più di 700 imbarcazioni grandi fino a 30-50 metri (provenienti soprattutto dall’estero) per tutto l’anno, lasciando spazi minimi ai natanti ed alle attività portuali svolte oggi dai residenti. Una presenza locale che si vedrà privata non solo delle caratteristiche paesaggistiche, storiche e ambientali dell’attuale Porto Rifugio e dello storico borgo marinaro, ma che sarà condizionata da una nuova gestione privatistica del porto che imporrà all’abitato, tra l’altro, un incremento dei problemi di traffico veicolare e di inquinamento, soprattutto durante il periodo estivo.

Questo modello di sviluppo è sbagliato: non solo il Piano Regionale dei porti prevede un massimo di 500 posti barca, ma concepire un nuovo marina per imbarcazioni utilizzate solo durante il periodo estivo contrasta con gli stessi principi del Piano Strutturale del Comune e del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Grosseto, che indicano tra i principi irrinunciabili la “destagionalizzazione” dell’offerta finalizzata allo sviluppo di un turismo tutto l’anno.

Non viene inoltre considerata la vicina realtà di Cala Galera che ha una vocazione completamente diversa da Porto Ercole: mentre questo è un antico borgo marinaro con un porto dedicato a imbarcazioni medio-piccole e da pesca, l’altro è un moderno Marina privato dedicato a imbarcazioni medio-grandi e inserito in una vasta area cantieristica e di rimessaggio dedicata esclusivamente alla nautica. Non bisogna pertanto creare doppioni ma intervenire in modo diversificato nei due siti, rispettando le attuali e specifiche vocazioni.

Per realizzare tale nefasto progetto si sta per stipulare una convenzione (la cui bozza sta circolando da alcuni giorni) tra due Società a partecipazione pubblica, Italia Navigando e Argentario Approdi con lo scopo di realizzare una nuova Società (con un vincolo di 80 anni!!!) in cui Italia Navigando avrà indiscutibilmente una posizione dominante. Infatti l’Amministratore Delegato di tale nuova Società risponderà direttamente a Italia Navigando, avrà tutti i poteri operativi e gestionali sul porto e su tutte le attività commerciali e artigianali ad esso connesse, sia a terra (bar, ristoranti, rivendita carburanti, cantieristica, rimessaggio, officine, ecc.) che a mare (noleggio imbarcazioni, noleggio posti barca, ecc.) e dovrà seguire “Linee Guida” già fissate e improntate alla massima redditività.

Tutto questo porterà a due cose: da un lato a uno sfruttamento intensivo di tutta l’area portuale, già ampiamente visibile dalla bozza di progetto presentata per il Marina di Porto Ercole, con il conseguente degrado dei valori ambientali e paesaggistici del porto, e dall’altro gli interessi attualmente costituiti intorno al porto verranno sopraffatti, con la messa fuori gioco delle imprenditorie locali e dell’autonomia delle attività economiche e commerciali locali.

Quindi non solo verrà danneggiato il patrimonio ambientale e paesaggistico di Porto Ercole, annullando in tal modo quei presupposti di attrazione turistica sui quali finora si è basata l’attività economica della popolazione portercolese, ma tale trasformazione si accompagnerà anche alla perdita di una libera ed effettiva partecipazione degli imprenditori locali allo sviluppo economico e commerciale del paese.

Tutto questo sconvolgimento si potrebbe verificare molto presto se tale nuova Società (o meglio Italia Navigando) chiederà una concessione unica per il porto, sulla base di questo nefasto progetto, all’Ente competente, che è tuttora il Ministero delle Infrastrutture.

Ci auguriamo tuttavia che il Ministero non vorrà scegliere proprio tale nuova Società, con il suo progetto globale di intervento, ma piuttosto altre alternative, più rispettose dell’ambiente, del paesaggio e delle realtà attuali, che potranno essere la base su cui altri concorrenti potranno, a buon diritto, richiedere le concessioni sul porto.

Riflessione sui progetti presentati sino ad oggi nel territorio nel Comune di Monte Argentario.

Molti pensano che le nostre reazioni alle aggressioni ambientali e paesaggistiche dell’Argentario siano le solite esternazioni di pochi, contrari ad ogni progresso.

Molti lettori rimangono radicati nella loro convinzione che i piani e progetti, che suscitano tanto allarme e richieste di modifiche da parte degli ambientalisti, siano invece quanto di meglio si possa volere e non si chiedono affatto se certe scelte strategiche, progettuali o tecniche possano invece essere migliorate nell'interesse di tutti.

Troppo spesso la popolazione argentarina non viene informata correttamente sulle vere cause dei ritardi, malcontenti, insoddisfazioni e danni creati dagli studi, dai piani e dalle progettazioni di molti interventi. Questo è ancor più grave dal momento che non vengono applicate le normative europee sulla concertazione e partecipazione di tutte le componenti sociali per assicurare uno sviluppo veramente sostenibile del territorio.

Sono le scelte sbagliate che non fanno andare avanti i piani e i progetti, che danneggiano la collettività e che fanno insorgere quanti vogliono tutelare un patrimonio comune. Questo non accadrebbe se i progetti fossero correttamente elaborati ovvero non causassero danni ambientali o non creassero uno stravolgimento del paesaggio.

Purtroppo la lista dei Piani e Progetti che vorremmo non aver mai visto a Monte Argentario è sempre più lunga ma per fortuna sta crescendo anche il numero di quanti si stanno accorgendo del degrado in atto e vogliono opporsi a tutto questo.

Da vari anni le Associazioni Ambientaliste hanno accompagnato le loro osservazioni e commenti con delle proposte e soluzioni tecniche alternative in grado di conciliare le esigenze di tutela e salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio con i reali fabbisogni della popolazione locale. In molte occasioni si è offerta la massima collaborazione agli Amministratori locali per contribuire allo sviluppo del patrimonio territoriale. Tali aperture sono state sempre vane e spesso causa di insofferenze.

E' molto importante che la cittadinanza sappia come stanno le cose e noi non ci stancheremo mai di richiamare gli "addetti ai lavori" ed anche la pubblica opinione a svolgere più responsabilmente i loro compiti.

Si auspica quindi che ogni soggetto coinvolto nel processo di studio, elaborazione, valutazione, approvazione e realizzazione di un Piano o Progetto sul territorio dell’Argentario voglia rivedere con maggiore attenzione e considerazione gli aspetti legati all’ambiente ed il paesaggio specie dove tali realtà sono più rilevanti e già sottoposte a vincoli di tutela.

E' un' isola collegata alla terra da due sottili lingue di terra, i tomboli della Feniglia e della Giannella, emersi solo alla fine dell'età preistorica. Il centro più antico è PORTO ERCOLE, che lega la sua origine al mitico viaggio dell'eroe greco diventato dio. Ma il centro principale dell' isola è oggi PORTO SANTO STEFANO, che aveva nel XVIII secolo, sotto il dominio di Orbetello, solo 60 abitanti. In breve tempo si popolò di genti provenienti da Napoli, dalla Liguria, dal resto della Toscana, che desideravano navigare, commerciare o coltivare la terra.

Le numerose fortezze che costellano il promontorio testimoniano la posizione strategica che il Monte Argentario aveva nella difesa dello Stato dei Presidi. Le più imponenti, tra le quali quella di Porto Ercole, il Forte Stella e la Fortezza di Porto S.Stefano, sono rimaste nei secoli simbolo di potere ed oggi, ben conservate, sono a disposizione per eventi di natura culturale, convegni e congressi internazionali.

Monte Argentario è ora mèta turistica ambita ed attrezzata per un turismo di alto livello, tra le località più note della costa grossetana, pur conservando ancora buona parte della sua flotta peschereccia che era, un secolo fà, la più grande d'Italia.

Dall' Argentario è facile raggiungere le due splendide isole dell' Arcipelago Toscano, il Giglio e Giannutri.

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E' un' isola collegata alla terra da due sottili lingue di terra, i tomboli della Feniglia e della Giannella, emersi solo alla fine dell'età preistorica. Il centro più antico è PORTO ERCOLE, che lega la sua origine al mitico viaggio dell'eroe greco diventato dio. Ma il centro principale dell' isola è oggi PORTO SANTO STEFANO, che aveva nel XVIII secolo, sotto il dominio di Orbetello, solo 60 abitanti. In breve tempo si popolò di genti provenienti da Napoli, dalla Liguria, dal resto della Toscana, che desideravano navigare, commerciare o coltivare la terra.

Le numerose fortezze che costellano il promontorio testimoniano la posizione strategica che il Monte Argentario aveva nella difesa dello Stato dei Presidi. Le più imponenti, tra le quali quella di Porto Ercole, il Forte Stella e la Fortezza di Porto S.Stefano, sono rimaste nei secoli simbolo di potere ed oggi, ben conservate, sono a disposizione per eventi di natura culturale, convegni e congressi internazionali.

Monte Argentario è ora mèta turistica ambita ed attrezzata per un turismo di alto livello, tra le località più note della costa grossetana, pur conservando ancora buona parte della sua flotta peschereccia che era, un secolo fà, la più grande d'Italia.

Dall' Argentario è facile raggiungere le due splendide isole dell' Arcipelago Toscano, il Giglio e Giannutri.

Dal sito

E' un' isola collegata alla terra da due sottili lingue di terra, i tomboli della Feniglia e della Giannella, emersi solo alla fine dell'età preistorica. Il centro più antico è PORTO ERCOLE, che lega la sua origine al mitico viaggio dell'eroe greco diventato dio. Ma il centro principale dell' isola è oggi PORTO SANTO STEFANO, che aveva nel XVIII secolo, sotto il dominio di Orbetello, solo 60 abitanti. In breve tempo si popolò di genti provenienti da Napoli, dalla Liguria, dal resto della Toscana, che desideravano navigare, commerciare o coltivare la terra.

Le numerose fortezze che costellano il promontorio testimoniano la posizione strategica che il Monte Argentario aveva nella difesa dello Stato dei Presidi. Le più imponenti, tra le quali quella di Porto Ercole, il Forte Stella e la Fortezza di Porto S.Stefano, sono rimaste nei secoli simbolo di potere ed oggi, ben conservate, sono a disposizione per eventi di natura culturale, convegni e congressi internazionali.

Monte Argentario è ora mèta turistica ambita ed attrezzata per un turismo di alto livello, tra le località più note della costa grossetana, pur conservando ancora buona parte della sua flotta peschereccia che era, un secolo fà, la più grande d'Italia.

Dall' Argentario è facile raggiungere le due splendide isole dell' Arcipelago Toscano, il Giglio e Giannutri.

Dal sito ouverture.it

Un milione di metri cubi di cemento, dei quali 200.000 abusivi. Villini, parcheggi e complessi alberghieri stanno stravolgendo le coste dell'Argentario, in Toscana. A Monte Argentario la situazione è in assoluto la più grave. Il nuovo «Piano Strutturale», pervicacemente voluto dall'amministrazione comunale (nonostante l'opposizione di Marevivo, WWF e Italia Nostra), apre in prospettiva all'edificazione gran parte della fascia costiera, sia lato Laguna che lato mare, e sacrifica in particolare le aree oggi scarsamente edificate(Cala Grande, Cala Piccola, Cala Moresca, Cannelle, Sbarcatello, ecc.). Parcheggi e servizi commerciali lungo le coste della laguna di Orbetello, in zone finora intoccabili.

LA SANATORIA - Oltre a tutto questo, l'esplicita previsione nel Piano Strutturale di una sanatoria delle centinaia di abusi edilizi avvenuti tra gli anni '70 e oggi (oltre 200.000 mc, nelle zone più delicate e in violazione di ogni vincolo) sanatoria che potrebbe presto diventare possibile grazie all'annunciato condono edilizio. Una vera e propria valanga di cemento, che in parte anticipa (indebitamente) le previsioni di un Piano Strutturale non ancora esecutivo, in parte le viola (non ci sono misure di salvaguardia) ed in buona parte è realizzata grazie a opinabili «varianti» al vecchio Prg.

CAPANNONI A CALA GALERA - Ma l'invasione edilizia dell'Argentario è già in atto. Con una serie di varianti al vecchio Prg, delibere, ecc. il Comune sta già realizzando il 50% di quanto previsto dal «futuro» Piano. L'elenco è terribile: 130.000 metri cubi di capannoni "industriali" a Cala Galera (per lo più rimessaggi per barche, le associazioni chiedevano di adottare tipologie architettoniche più adeguate al contesto!), un Peep - Piano Edilizia Economica e Popolare - (in progetto) a Porto Ercole per 34.000 mc., un complesso sportivo (stadio, campi di gioco, parcheggi, ecc.) a Le Piane, sul margine della Laguna, un complesso alberghiero di 15.000 mc sempre a Le Piane, un "centro multifunzionale" di 53.750 metri cubi nello storico giardino Iacovacci a Porto S. Stefano, un centro polisportivo di 16.000 mc in Val di Prato (in avanzata realizzazione), altri 6.500 mc di edilizia residenziale al Pozzarello. E poi 26.000 metri cubi a Cava Legni di Porto S. Stefano, 26 villini per 10.000 metri cubi a Terrarossa, a ridosso di un'area archeologica (in parte già realizzati, vedi foto), ulteriori zone Peep (Piano Edilizia Economica e Popolare) al Pozzarello e a Porto S. Stefano (in totale quasi 120.000 mc), 30 appartamenti per 9.000 m.c. a Poggio del Valle, Porto S. Stefano.

A COSA SERVE LA TUTELA PAESAGGISTICA? - «In questo panorama c'è da chiedersia cosa serva mai la tutela paesaggistica - insorgono le associazioni ambientaliste -, debolmente esercitata dalla Sopraintendenza di Siena. E sarebbe forse il caso di riflettere seriamente sulla politica della Regione Toscana negli ultimi 20 anni». Mentre Vittorio Emiliani, del «Comitato per la Bellezza», accusa il «partito dei geometri» che spadroneggia in Maremma.

Siamo il Paese europeo con più camion, autotreni, cisterne e Tir (oltre che automobili per abitanti): anche i nostri nipoti saranno condannati a questa catena assordante e inquinante, la quale reclama sempre nuovo asfalto e cemento in autostrade, bretelle, tangenziali, viadotti, ponti, ecc. ? Non riusciremo in futuro a riequilibrare con la ferrovia e col cabotaggio marittimo un sistema di trasporti nazionale fondato sul quasi monopolio della gomma, vecchio, irrazionale e poco efficiente?

Segnali di insofferenza per una simile politica dei trasporti a senso unico ve ne sono sempre più, con diffuse proteste anche contro nuove autostrade, una volta agognate ed ora invece ritenute inutili, dissipatrici di buona terra agricola, di paesaggi, di bellezze panoramiche. Oltre che di euro.

Manifestazioni di massa come quelle organizzate, con una folta partecipazione di agricoltori e di cittadini, prima in Maremma (più volte) e di recente nell’area Pontina contro il cosiddetto Corridoio Tirrenico sarebbero state soltanto pochi anni fa impensabili.

Tali proteste – dalle quali emergono da tempo ragionate controproposte - attraversano partiti e schieramenti politici. In Toscana è infatti una Regione di centrosinistra, presidente il ds Claudio Martini, a battersi con forza per l’autostrada avendo scelto il tracciato costiero da Cecina a Civitavecchia e incontrando forti opposizioni in alcuni sindaci, anche di centrosinistra, in parlamentari dell’Ulivo come Boco, Bassanini, Brutti, Donati, Montino, Realacci, Zanda. Nel Lazio è una Regione di centrodestra, presidente Francesco Storace di An, a farsi paladina del Corridoio Tirrenico Sud da Fiumicino a Formia incontrando la netta opposizione di tutti i Ds, dei Verdi, dell’Ulivo, del Prc. Sfavorevole è lo stesso Comune di Roma, che vedrebbe tranciate alcune delle zone più intatte dell’Agro Romano e così pure una parte consistente della destra tradizionale (l’ex sindaco di Latina, Aimone Finestra) la quale difende l’integrità della bonifica pontina in effetti fondata su complessi e delicati meccanismi idraulici che verrebbero presumibilmente sconvolti. Per non parlare del paesaggio, storico e agrario, e dell’ambiente alle spalle della costa, alle spalle del già sconciato Circeo, o nella zona umida e agricola di Fondi.

Dall’Europa arrivano per i contestatori buone notizie: il Corridoio Tirrenico non sarà inserito dall’Europarlamento fra le infrastrutture prioritarie, cioè nelle Reti transeuropee-Ten che puntano molto su ferrovie e cabotaggio. Poiché di denari propri questo governo ne ha ben pochi, è probabile che vi sia altro tempo per riflettere, studiare e magari intervenire sui punti più critici con adeguamenti, messa in sicurezza, ecc. Al più presto e con costi in fondo limitati che produrrebbero però grandi benefici. Anche a tempi brevi.

Da Firenze, capitale della Regione Toscana, le associazioni per la tutela (Italia Nostra, Legambiente, Wwf, Comitato per la Bellezza, ecc.) e i parlamentari citati hanno lanciato un appello al presidente Martini anzitutto, che comincia così: «Auspichiamo che la Regione Toscana constati il nulla di fatto delle sue trattative con il Governo e torni sulle sue decisioni scegliendo il potenziamento in sede a quattro corsie della Statale Aurelia, come l’opzione più sostenibile per l’ambiente e lo sviluppo della Maremma». Secondo loro, la scelta autostradale è “indifendibile dal punto di vista tecnico, economico e istituzionale”.

Dal punto di vista tecnico-economico: l’autostrada comporta infatti una spesa di oltre 2 miliardi di euro per il tracciato costiero fra Cecina e Civitavecchia, sostenuto dalla Regione, e di oltre 3 per quello collinare interno prospettato dal ministro Lunardi. Mentre il progetto Anas per portare l’Aurelia a 4 corsie con le due di emergenza comportava un costo di circa 800 milioni di euro, oggi certamente aumentato, ma non raddoppiato come pretendeva (sulla base di suoi misteriosi calcoli) il presidente Martini il 24 dicembre scorso sul “Tirreno”. A parte il “consumo” di aree agro-turistiche di grande pregio, di riserve naturali, a parte il taglio di falde e di unità poderali, dove sono le risorse finanziarie per una simile opera? Per il periodo 2002-2006 sono stati dichiarati disponibili appena 9 miliardi di euro per tutte (dico tutte) le Grandi Opere infrastrutturali disegnate da Berlusconi in persona. Ne verranno mai spesi 2 o 3 per un’autostrada che registra soltanto 14.500 autoveicoli, dei quali tre su quattro percorrono tratte locali? E gli enti pubblici dovrebbero fornire 1,2 miliardi di euro di contributi ai privati per un’autostrada a pedaggio così povera di traffico? Contributi pubblici coi quali si finanzierebbe l’intero progetto Anas?

Oltretutto quest’ultimo è il solo studio di dettaglio esistente. Una volta aggiornato, potrebbe produrre rapidamente altrettanti cantieri nei punti più critici, quelli cioè dove si susseguono gravi incidenti: i tratti a due sole corsie fra Capalbio e la ex Dogana, fra Montalto di Castro, Tarquinia e l’innesto nell’autostrada a Civitavecchia. Dalle statistiche Aci l’Aurelia diventa infatti strada decisamente insicura nel percorso indicato, fra Toscana e Lazio. Lo è anche di più tutta la Pontina per la quale sono gli stessi operatori agricoli e industriali locali a reclamare l’adeguamento a quattro corsie in luogo di una devastante autostrada a pedaggio con caselli, bretelle, complanari, ecc.

L’obiezione del ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, e di altri è che “non si può lavorare in sede all’allargamento”. Obiezione smentita dalla già avvenuta trasformazione a quattro corsie del trafficatissimo Gra di Roma o del tratto ipercongestionato dell’Autosole fra Roma Nord e Orte. Certo, i problemi tecnici ci sono e però sono stati, più volte, affrontati e risolti. C’è un ultimo aspetto allarmante: la “resurrezione” della Società per l’Autostrada Tirrenica (SAT) sepolta con un indennizzo pari a 172,15 miliardi di vecchie lire per la mancata realizzazione, negli anni ’90, dell’autostrada stessa e inaspettatamente riportata in vita quale concessionaria. Come se nulla fosse. “Resurrezione” che la Corte dei conti ha già giudicato severamente e che, secondo i senatori Anna Donati (Verdi), Paolo Brutti, Franco Bassanini ed Esterino Montino (Ds) e Luigi Zanda (Margherita), autori di una dettagliata interrogazione parlamentare, contrasta con la normativa vigente su concessioni e appalti. Tutto ciò mentre la ferrovia tirrenica resta fra le peggio servite d’Italia (e con essa i porti di Civitavecchia e Livorno), mentre molto si parla di cabotaggio marittimo e poco si fa per esso, mentre gli incidenti si susseguono, con morti, feriti e infortunati, nell’Aurelia meridionale fra Toscana e Lazio, un tratto che si sarebbe potuto da tempo portare almeno a quattro corsie munendolo di alcuni svincoli e sottopassi. Senza faraonismi vecchio stile. Senza inutili sprechi. Di tutto.

Inusuale, innovativa, da estendere come modello a tutta la Toscana. Così definirei la riunione convocata giovedì 11 marzo a Siena dal soprintendente ai Beni Architettonici Gianni Bulian per esaminare le lottizzazioni di Capalbio (Grosseto) su aree vicine al centro storico e alla macchia demaniale. Erano infatti presenti i tecnici della Soprintendenza regionale, della Regione, della Provincia, del Comune nonché rappresentanti delle associazioni per la tutela (Italia Nostra, Wwf, Comitato per la Bellezza, ecc.), in qualità di osservatori. Riunone che ha consentito a tutti di saperne di più, di capirne di più, di fornire contributi di conoscenza tecnica e di cui bisogna quindi ringraziare le Soprintendenze.

Certo, si trattava di lottizzazioni già previste nel Piano Regolatore Generale vigente, sulle quali tuttavia è stato possibile aprire un dibattito interessante. L’incontro è servito a porre in evidenza alcuni dati :

a) aveva grandemente ragione l’allora soprintendente Maria Forlani Conti quando, nel 1989, scriveva al Comune di Capalbio di ritenere “opportuno fermare l’ulteriore espandersi di edifici che creerebbero un grave danno al paesaggio” richiamando in proposito il vincolo sulla macchia demaniale ai sensi della legge n.1497 del 1939 ;

b) il PRG capalbiese non ne tenne conto e, pur con cubature dimezzate dalla Soprintendenza, ha consentito una sorta di “assedio” cementizio al borgo storico (per non parlare dell’orrendo maxi-parcheggio sotto le mura nord) ;

c) le nuove lottizzazioni presentate (due con mappe e disegni, una a voce) sono, per lo più, di qualità scadente e invadono pesantemente gli uliveti storici esistenti sbancando, cementificando, asfaltando, ecc.

Per quella di Poggio del Leccio è stata chiesta, quanto meno, una riduzione delle cubature a vantaggio di una maggiore e più concentrata quota di verde privato.

Per l’altra, davvero infelice, davanti al Cimitero, con tre “stecche” di fabbricati proprio brutte a vedersi, è stato invocato uno specifico vincolo idrogeologico che impedirebbe ogni edificazione in zona sopra i 170 m. (lì si è un po’ più alti). Quindi, giudizio rinviato.

La terza lottizzazione – prevista su di un pendio a uliveto assai ripido dietro la sede del Comune – è stata esposta soltanto a voce. Francamente essa appare quanto mai problematica per motivi sia paesaggistici che funzionali : quale strada di allacciamento e di servizio può venire mai tracciata a ridosso della macchia demaniale?

Della quarta lottizzazione – prospettata nella contigua area detta del Bargello, dentro un uliveto ancor più bello, pienamente visibile dal borgo – non s’è proprio parlato. Ma, a quanto si sa, consterebbe di due massicci fabbricati : di 23 e 17 appartamenti, rispettivamente. Un altro bel blocco di cemento fra centro storico e macchia. Un altro contributo all’”assedio” di Capalbio e al suo imbruttimento.

Tutti elementi di cui tener conto oggi e ancor più domani nel quadro del Piano strutturale del Comune in fase di preparazione. Esso continuerà a considerare il patrimonio paesistico locale soltanto come un insieme di terreni in attesa di reddito speculativo (per pochi) o non lo assumerà invece come una formidabile occasione di sviluppo socio-economico (per tutti)? Sviluppo sostenibile fondato su di una agricoltura e zootecnia di marchio, sull’agriturismo e, in genere, su di una ospitalità qualificata, sul turismo culturale e naturalistico. Insomma, su di un paesaggio ed un ambiente salvaguardati : dalla montagna alle oasi e alle dune marine.

La Regione Toscana, vero arbitro tra i tanti interessi in gioco, ha gettato la sua spada sulla bilancia. E lo ha fatto Claudio Martini, uomo che in altre occasioni si era rivelato intelligente e sensibile.

Nei due articoli Gaetano Benedetto e Vittorio Emiliani riprendono le ragioni dell’alternativa, tante volte documentatamente illustrate da Valentino Podestà e Anna Donati, Mariarosa Vittadini e Vezio De Lucia, Andrea Boitani e Lucio Caracciolo e tanti altri. Claudio Martini, presidente della Toscana, dichiara le ragioni del Si, e se ne assume la responsabilità. Anche lui con tanti altri: soprattutto con la SAT, concessionaria e beneficiaria della decisione.

Tirreno, 23 dicembre 2003Benedetto, Emiliani SISTEMIAMO L’AURELIA

La Regione Toscana ha fatto prevalere la sua linea : il Corridoio Tirrenico verrà completato come autostrada a pedaggio da Rosignano a Civitavecchia e nel tratto dopo Orbetello seguirà il tracciato costiero, sull’Aurelia, con possibili deviazioni in corrispondenza di Capalbio e di Montalto di Castro. C’è dunque la riaffermazione di un “principio” : l’Autostrada a pedaggio, con caselli, bretelle, complanari, ecc. si farà. C’è l’indicazione di un tracciato : sulla costa. Nient’altro. Perché non c’è nient’altro. Non esiste infatti un vero progetto esecutivo,né tantomeno un progetto finanziario. Non c’è infatti nulla di lontanamente paragonabile al dettagliatissimo progetto realizzato alla fine degli anni ’90 dall’Anas con la messa a norma europea dell’Aurelia (con la variante di Orbetello). Su di esso “giurò” anche il presidente della Regione Martini ai tempi del governo Amato, ministro Nesi, sottosegretario Mattioli. Salvo ripensarci, repentinamente, subito dopo le elezioni del 2001 e concorrere a resuscitare la concessionaria SAT estinta nel frattempo dietro congruo indennizzo (più volte, mai smentito, l’ex sottosegretario Mattioli ha parlato di 120-130 miliardi di lire).

Mentre esiste dunque un solo progetto (quello Anas) che attende da due-tre anni l’esame della VIA, l’Autostrada della Maremma voluta dalla Regione è stata : 1) avversata dalla maggioranza degli amministratori locali; 2) rigettata da comitati e organizzazioni locali e dalle Associazioni nazionale; 3) sonoramente bocciata dagli esperti del Politecnico e della Università Cattolica di Milano perché non ha traffico sufficiente, perché il divario costi/benefici è enorme e così via (suggeriscono di “non farne niente”).

Dunque non si sa con quali tempi e finanziamenti essa potrà essere soltanto avviata. Per contro il progetto Anas sarebbe rapidamente cantierabile con concreti benefici al più presto. L’obiezione del ministro dell’Ambiente, Matteoli, e di altri secondo cui sarebbe praticamente impossibile realizzarla senza chiudere, in pratica, l’Aurelia attuale è stato smentito, pubblicamente, dai tecnici che hanno già completato la terza corsia della Roma Nord-Orte dell’A1 e del GRA romano, trafficatissimi. Perché la Regione Toscana si intestardisce a tal punto? Le ragioni tecniche, economiche, ambientali non ce lo spiegano. Bisogna però essere molto netti sul progetto Anas :è il solo compatibile con la Maremma oltre che quello largamente di minor costo. Se si comincia coi distinguo, i se e i ma, ci si prepara a compromessi al ribasso. Sulla pelle della Maremma.

Gaetano Benedetto, Relazioni istituzionali Wwf

Vittorio Emiliani, Comitato per la Bellezza

Claudio Martini AUTOSTRADAVA BENE COSI’

E’ vero. La scelta del definitivo tracciato per il completamento del corridoio tirrenico è più vicina. E il 2004 potrebbe essere l’anno in cui aprono i primi cantieri. Ma non è prevalsa come scrivono Gaetano Benedetto e Vittorio Emiliani sul “Tirreno” la linea della Regione. E’ il risultato di un’ampia convergenza : le Regioni Toscana e Lazio, la maggioranza degli Enti locali, la SAT, il Ministero dei Beni Culturali, e finalmente lo stesso governo coi ministri Lunardi e Matteoli.

La scelta di completare il tracciato autostradale non è una novità. Risale al gennaio 2002. Allora il governo decise non finanziaria chiaramente con i soli fondi statali l’opera. Scelta che comportava il coinvolgimento dei privati e quindi la realizzazione di una autostrada con il pagamento sia pure in forma differenziata del pedaggio, per recuperare parte dei costi. Scelta che si è rivelata lungimirante per almeno due ragioni.

La prima. Perché si tratta di completare un collegamento di interesse non soltanto nazionale. Esiste una autostrada che parte da Lisbona, attraversa Spagna, Francia, e prosegue sino a Roma. In questo percorso esiste un’unica interruzione, quella tra Rosignano e Civitavecchia. Completarlo è un dovere oltre che una necessità : significa migliorare i collegamenti della costa col resto del continente, con i porti e quindi con le autostrade del mare, significa offrire una alternativa all’autostrada del Sole.

La seconda ragione. Perché nel frattempo l’Unione Europea ha introdotto nuove norme per garantire una maggiore sicurezza su strade e autostrade. Nuove regole che noi vogliamo realizzare. Ciò impone al progetto di adeguamento dell’Aurelia maggiori vincoli progettuali tanto impegnativi da essere oltre che di difficile realizzazione anche molto costosi. L’investimento sarebbe lievitato fino al punto di rendere più conveniente il progetto dell’Aurelia. Ricordo che la soluzione ipotizzata dall’Anas sulla base di un progetto non ancora esecutivo prevedeva all’epoca un costo di circa 1.696 miliardi di vecchie lire. Oggi è più che raddoppiato : siamo a circa 1.400 milioni di euro. Mentre per realizzare l’autostrada sul tracciato individuato da Toscana e Lazio occorreranno 2.100 milioni di euro. La differenza c’è, ma, pur percepibile, non è tale da sconsigliare l’opzione autostradale, quella che garantisce più sicurezza.

Il tema della sicurezza è per noi irrinunciabile. Mi ha colpito l’assenza di questa parola chiave nel vostro articolo. E’ proprio la sicurezza dei cittadini il principale argomento in favore della scelta compiuta, l’unica che consente di eliminare le condizioni di pericolosità della viabilità attuale. Il percorso autostradale costiero è la soluzione migliore, non solo per la sicurezza e per rafforzare i collegamenti della Toscana con l’Europa, ma anche per sostenere lo sviluppo della Maremma che è un po’ più grande del tratto su cui si appuntano tante attenzioni. Tutto il sistema dei porti toscani, delle attività produttive e turistiche beneficerà di questa arteria.

Ora il problema è di realizzare nel migliore dei modi e nel massimo del rispetto per ambiente e persone. Qui il contributo di ambientalisti come Benedetto ed Emiliani può essere prezioso. Usciamo dalla polemica e mettiamoci al lavoro.

Claudio Martini

Presidente della Regione Toscana

[…]Oggi, nulla di tutto questo si avverte più. Dall’uscita a valle del traforo sulla strada diretta a San Martino a San Martino sul Fiora e fino alla base del poggio su cui sorge la Tomba Ildebranda è un continuo susseguirsi d’interventi che hanno letteralmente massacrato la bellezza primitiva di quel territorio. Le transenne che delimitano dappertutto i sentieri, le tre aree di parcheggio e i ponticelli in legname realizzati per il superamento dei fossi, l’area attrezzata per i picnic situata accanto alla chiesetta di San Sebastiano adibita a punto vendita, i botteghini in legno per le biglietterie, una struttura in cemento per i servizi igienici, un box, la segnaletica verticale troppo vistosa, hanno “modernizzato” una realtà archeologica, storica, monumentale di struggente fascino arcaico, riducendola al rango di bottega, dove si possono “comprare” immagini da cartolina – ma non emozioni – del tempo che fu.

Conforta questo nostro giudizio la severità di Philippe Daverio con il quale ci troviamo in perfetta sintonia. Così si esprime infatti il noto critico d’arte, conduttore della trasmissione televisiva «Passepartout» su Raitre (“Il Tirreno”, 13 settembre 2003): «La più repellente bruttura della Toscana in assoluto, è rappresentata dal parco archeologico di Sovana, il luogo più deprimente che io abbia visto negli ultimi anni. Lì, uno dei punti più commoventi della terra, la tomba di Ildebrando (Ildebranda, n.dell’a.) ha subito a causa della legge Ronchey, che vuole il patrimonio messo a frutto, una grandissima e vergognosa violenza. Hanno dato in mano il parco ad una cooperativa, che lo ha trasformato in una specie di luna park, con la casettina di legno dove si vendono i souvenir, il biglietto di cinque Euro per vedere quello che prima era gratuito, le false palizzate maremmane, per camminare lungo i fiori. Proprio come si fa appunto in un parco dei divertimenti, ignobilmente e senza alcun ritegno nei confronti di un pezzo di storia».

Questi scempi non andrebbero autorizzati, perché le necropoli sono affascinanti se l’ambiente in cui si estendono rimane intatto. Anche nel caso in cui non si voglia rinunciare alla loro utilizzazione turistica, si lascino come si trovano, tranne per quanto riguarda eventuali restauri ai sepolcri. Si rispetti insomma la natura che le circonda. Pure un bambino capirebbe come non ci si possa e non ci si debba comportare diversamente se si ha davvero la volontà di rispettare un patrimonio culturale e ambientale che – immutato per millenni – è pervenuto a noi non per essere snaturato, alterato, bensì per godere di un’intelligente tutela.

E che dire, poi, dell’albergo costruito nei pressi del duomo di Sovana? Ma perché, poi? Sovana, vestita com’è totalmente di Medioevo, austera e stupenda, può sopportare l’insulto di un grande edificio moderno e, per giunta, nelle vicinanze della sua antichissima, celeberrima cattedrale? Vien fatto di pensare che stiamo impazzendo, che il miraggio del turismo facile – e del denaro che ne deriva – stia togliendoci il ben dell’intelletto.

L’architetto dell’opera difende a spada tratta, attraverso i giornali (“Il Tirreno”, “La Nazione”, 25 marzo 2003) la sua creatura (poteva essere diversamente?). E lo fa allegando un suo disegno in cui, fra la Cattedrale e il nuovo albergo, è un deserto d’uomini e di cose. Il luogo che ospita il Duomo di Sovana è affascinante, infatti, proprio per quel suo essere appartato, solitario e silenzioso. Ma lo sarebbe altrettanto se – ipotesi non peregrina, sapendo come vanno le cose sull’italico suolo – una variante urbanistica permettesse di realizzare nell’area prospiciente l’albergo anche un parcheggio al servizio del medesimo dove si muovesse o sostasse un certo numero d’automobili?

E poi, cosa c’entra il discorso della «ricostruzione filologica» accampato dal professionista e approvato dalla soprintendenza? Qualora venisse accettato non ci sarebbero più argini agli scempi, perché dappertutto si troverebbe un rudere, la cui presenza in un qualsiasi contesto urbanistico o ambientale potrebbe invogliare a mettere in atto iniziative di ripristino edilizio. Ciò che bisogna capire è l’unicità monumentale di Sovana, che non può essere toccata senza creare danni irreparabili. Per cui, la “Città di Geremia” deve restare così com’è. Solo il restauro degli edifici esistenti, e soprattutto di quelli che hanno fatto la sua storia, può essere ammesso.

Se l’albergo si voleva fare – per una necessità di accoglienza del forestiero – si costruisse pure, ma all’esterno del centro storico e lontano da questo; e magari meno in vista possibile; anzi, schermato da una bella cortina di piante sempreverdi che lo rendessero estraneo al paesaggio circostante.

È un po’ la stessa opinione – questa – di Angelo Gentili della segreteria nazionale di Legambiente, il quale – dopo aver criticato il Sindaco di Sorano per aver «autorizzato la costruzione facendo appello alla trasparenza delle procedure e al rispetto della normativa» – ha sostenuto giustamente: «L’albergo avrebbe potuto essere costruito in un altro luogo senza pregiudicare il successo dell’iniziativa imprenditoriale ma rispettando puntualmente la memoria storica». Aggiungendo: «Se Sovana è famosa nel mondo, lo è per i tesori che possiede e che vanno tutelati in modo ferreo per poter realizzare un binomio vincente fra conservazione e sviluppo turistico» (“Il Tirreno, 19 marzo 2003).

Ha perfettamente ragione anche il leader dei Verdi grossetani, Marco Stefanini, quando nel “Tirreno” del 21 febbraio 2003) sfoga civilmente e appassionatamente tutta la sua rabbia per lo scempio perpetrato nella città natale di Gregorio VII.

«Ma com’è possibile – egli si domanda – che una meraviglia come Sovana, che affonda le sue radici nell’età del bronzo, dove hanno lasciato tracce etruschi, romani, bizantini e longobardi, dove gli Aldobrandeschi, gli Orsini e poi il Granducato hanno preservato la “storia” in modo impeccabile, com’è possibile – dicevo – che quel sito possa essere destinato a cambiare volto. Com’è possibile non capire, non cogliere il significato del suo meraviglioso essere “isola di storia” degli uomini in un mare di natura, di boschi? Come si può pensare, o peggio autorizzare, un albergo accanto al duomo di Sovana?».

Si vedano le immagini dell’albergo in costruzione nel documento

SOS Città del tufo

L'autostrada della Maremma passerà in collina come vuole il ministro Lunardi o a pochi chilometri dalle coste come invece preferirebbe il presidente della Regione Toscana Claudio Martini? Un aut-aut da cui le associazioni ambientaliste si svincolano rilanciando un terzo progetto, quello originale. Un piano che prevede la riqualificazione della strada statale Aurelia che venne elaborato dall'Anas e approvato dal governo Amato con un protocollo d'intesa siglato nel dicembre del 2000.

Due proposte, quelle del ministro Lunardi e della regione Toscana, cui le associazioni ambientaliste si oppongono strenuamente rilanciando invece il vecchio progetto di adeguamento dell'Aurelia che, dicono, «costerebbe molto di meno, avrebbe un impatto ambientale molto minore e risolverebbe in tempi più rapidi il problema». E proprio in quest'ottica Wwf, Italia Nostra e Legambiente, assieme ad altre sigle ambientaliste, hanno organizzato ieri ad Orbetello il convegno «Per la Maremma una sola "strada": l'Aurelia sicura» durante il quale hanno proposto la costituzione di un "patto" con Regione ed enti locali perché vengano seriamente ponderati tutti i progetti sul tavolo, soprattutto quello presentato dall'Anas e accantonato troppo in fretta, analizzandone i costi ed i benefici.

«Il Patto - hanno spiegato Fulco Pratesi presidente del Wwf Italia, Gaia Pallottino segretaria nazionale di Italia Nostra, Angelo Gentile della segreteria nazionale di Legambiente e Rosy Miracolo del Soccorso ambientale maremmano - serve a rilanciare sui tavoli politici e tecnici il progetto di adeguamento dell'Aurelia da Rosignano a Civitavecchia (196 km di cui 15 di variante per un costo di circa 750 milioni di euro). È questa soluzione che noi riteniamo sia più difendibile dal punto di vista economico, infrastrutturale, trasportistico e ambientale - oltre ad essere immediatamente cantierabile -, rispetto all'ipotesi di autostrada interna da Tarquinia a Grosseto (90 km di cui 13 in galleria e 8 viadotti) sostenuta dal ministero per le infrastrutture e all'ipotesi di autostrada costiera (con variante interna di 30 km) sostenuta dalla Regione Toscana».

Un parere condiviso anche dai molti esperti intervenuti al convegno. «L'istruttoria del progetto Anas era praticamente conclusa - ha spiegato Maria Rosa Vittadini, docente di Pianificazione dei trasporti all'Università di Venezia e membro della commissione di valutazione per l'impatto ambientale - e la commissione aveva chiesto soltanto di ottimizzare alcune soluzioni, ma l'Anas, sinora, non ha risposto, ha cominciato a tacere da quando Lunardi ha rilanciato l'ipotesi autostradale». E chissà per quale motivo, visto che l'Anas è un ente dipendente proprio dal ministero delle Infrastrutture.

«Il ministro - ha poi commentato Anna Donati senatrice dei Verdi - ostenta sicurezza ed arroganza senza fare i conti con la Regione Toscana, di cui è prevista l'intesa sul progetto, che ha avanzato una proposta radicalmente diversa; per non tacere poi che la la Sat (la concessionaria che dovrebbe realizzare e gestire l'opera n.d.r.) ha una concessione sospesa dalla legislazione vigente e che le risorse pubbliche previste dalla delibera Cipe ammontano a 438 milioni di euro quando il costo complessivo dell'opera, sempre secondo il Cipe, è di 1.859 milioni».

E a quanti liquidano il progetto di riqualificazione dell'Aurelia adducendo motivazioni legate all'Unione Europea ha risposto Gianni Mattioli, ex sottosegretario ai Lavori Pubblici. «Gli orientamenti espressi chiaramente dalla Comunità Europea nella definizione delle linee guida e delle proposte contenute nella Rete Transeuropea di trasporti - ha precisato - indicano chiaramente nell'adeguamento della Aurelia a “standard elevati”, la scelta preferibile per il cosiddetto Corridoio Tirrenico. I co-finanziamenti comunitari non sono quindi vincolabili alle ipotesi autostradali».

Dopo il “rito ambrosiano”, “la pratica meneghina di piegare le norme al variare delle circostanze” (per dirla con De Lucia) e il “pianificar facendo” romano, “sinonimo eufemistico dell’urbanistica contrattata alla milanese” (sempre Vezio De Lucia nel “Giornale dell’Architettura”, maggio 2003) potrebbe essere il “centro-sinistra “moderno”“ a determinare il nuovo modo di fare urbanistica.

Così infatti, a domanda specifica, sembra essersi definito il gruppo dirigente del Comune di Campo nell’Elba, impegnato a prospettare, con Piano di Edilizia Economica e Popolare, Piano Spiagge e Piano Strutturale, linee e strategie di intervento sul territorio Campese.

Questa Amministrazione è la riconferma pressoché integrale del precedente Centro-Sinistra, a meno del Sindaco, evidentemente poco “moderno” perché non più ripresentato, nonostante si dovesse proprio alla sua immagine il clamoroso successo elettorale di allora (1995), dopo 20 anni di balena bianca, e l’apertura, a fronte di un lungo periodo di mancata Pianificazione (il Comune era dotato di un semplice Programma di Fabbricazione primi anni ‘70), di una nuova significativa stagione urbanistica. Coincideva, quella elezione, con l’emanazione della nuova Legge Regionale Toscana (la n° 5 del gennaio ’95) una Legge che promuove una grande apertura di credito (non sempre ben corrisposta) nei confronti degli Enti Locali nella determinazione pressochè autonoma dei propri strumenti urbanistici.

La coincidenza favorì indubbiamente, non solo come stimolo, l’interesse amministrativo ad assegnare significato ad indirizzi programmatici, obiettivi, finalità da perseguire e indicazioni strategiche per il governo del territorio, un orientamento finalizzato, dopo tanti anni di silenzio urbanistico, alla determinazione degli strumenti propedeutici di sostegno per la nuova pianificazione.

Lo studio fondamentale di questa linea di sostegno propedeutico, peraltro previsto dalla Legge 5 per la valutazione degli effetti sull’ambiente delle scelte di Piano, è il “Progetto Ambientale” che si è sviluppato tramite l’analisi storica dell’uso del suolo delle classi interessate (aree boscate e a macchia, aree agricole, aree a vigna, terrazzamenti, muri a secco, sorgenti, fossi) e delle loro variazioni relazionate alla cartografia di riferimento (1955) con visualizzazione delle trasformazioni all’inizio degli anni ’70, a metà degli anni ’80, a metà degli anni ’90.

La finalità dichiarata era la definizione dei Sistemi Ambientali Invarianti da sottoporre alla Pianificazione per l’organizzazione delle direttive di tutela, dei programmi di valorizzazione ambientale, degli interventi di riqualificazione territoriale e di rilancio dell’attività agricola, nella linea di un intervento di tutela dei valori ambientali attivato con il ripristino funzionale, anche sulla base delle agevolazioni CEE che prevedevano un regime di aiuti finanziari alle colture agricole a condizione che gli interventi avessero “effetti positivi per l’ambiente e lo spazio naturale” e che l’attività impiegasse metodi di produzione compatibili con le esigenze dell’ambiente, delle risorse naturali e del paesaggio. Lo studio interagiva con un complementare “Progetto di recupero delle Sorgenti Montane” e prospettava pure una metodologia di approccio alle Verifiche Ambientali da attuarsi da parte del Piano Strutturale tramite “Matrici” predisposte per mettere in relazione gli interventi provocabili sul Territorio dalle destinazioni funzionali delle diverse aree rispetto alle caratteristiche dell’ambiente naturale. Operativamente, nel rapporto col Piano Strutturale in elaborazione, il Progetto Ambientale prospettava momenti di reciproca verifica per permettere al Piano di utilizzare progettualmente le informazioni che derivavano dall’analisi dell’ambiente e, contemporaneamente, al programma di ricognizione dell’ambiente di verificare la rispondenza delle soluzioni ipotizzate rispetto alle esigenze ambientali.

La scadenza del mandato amministrativo e il conseguente rimando del Piano Strutturale alla prossima Amministrazione non parve problema per nessuno, vista, tra l’altro, la continuità tecnica e l’avanzata elaborazione interattiva col Progetto Ambientale (già approvato) che lo sosteneva. D’altra parte sarebbe stata proprio la pubblicazione delle “linee programmatiche” della successiva Amministrazione (giugno’99) a rendere merito alla precedente Amministrazione “caratterizzata dalla necessità – quasi emergenza – di intervenire su una realtà disaggregata che sembrava aver dimenticato ogni attenzione alla qualità del territorio e dei servizi”, riconoscendo anche che “l’eredità della Amministrazione degli ultimi quattro anni è importante e orientativa”, e soprattutto ricordando come il “Progetto Ambientale” che ha guidato la prima stesura del Piano Strutturale e il “Progetto di recupero delle Sorgenti Montane” abbiano realizzato “una lettura storica del territorio capace di recuperare la cultura antica pur rifuggendo da un immobilismo nostalgico”. Sulla base di queste lusinghiere argomentazioni e a commento di un documento regionale di “Istruzioni” per l’analisi degli effetti ambientali, pubblicato in inizio d’anno (Bollettino Regionale n° 6 del febbraio ’99), dopo un primo momento di assestamento amministrativo, viene presentata sull’argomento alla nuova Giunta una.specifica relazione che, indipendentemente dall’ovvia disponibilità ad operare le eventuali integrazioni, segnala l’omogeneità di analisi e contenuti ecocompatibili svolti sul territorio campese dal Progetto Ambientale a supporto del Piano Strutturale con le menzionale istruzioni tecniche della Regione, peraltro emanate successivamente all’approvazione Consiliare del menzionato Progetto. La disponibilità per un incontro operativo in proposito, pur dichiarata, non viene mai confermata. Per contro il 20 giugno 2000, esattamente un anno dopo le elezioni amministrative, con Deliberazione di Consiglio Comunale il Progetto Ambientale viene accantonato.

Delle aree salvaguardate per qualità ambientale, rilancio dell’agricoltura, tutela dei terrazzamenti e delle vigne, recupero del paesaggio e delle sorgenti montane, un anno prima indicate come capaci di esaltare “la cultura antica pur rifuggendo da un immobilismo nostalgico” non si parla più. Una squisitezza il dispositivo di Delibera che giustifica la riserva di annullamento del Progetto Ambientale con la finalità di “non costituire in alcun modo vincolo allo studio” del nuovo tecnico incaricato.

E’ sostanzialmente questo l’incipit della nuova politica territoriale. Gli eventi successivi, che portarono persino l’estensore del Piano Strutturale ad uscire dall’incarico, avrebbero in qualche misura reso più comprensibili (come si vedrà) le ragioni di quell’accantonamento, non potendo certamente esserci spazio nella nuova urbanistica “moderna” per quel lavoro mirato alla “definizione di un continuo ambientale chiamato a caratterizzare l’area periurbana, proponendosi alla Pianificazione con le finalità di tutela dell’Ambiente, di ricostruzione del Paesaggio, di incentivo al ripristino funzionale, di riconnessione della campagna con l’ambiente urbano”. Intanto l’Amministrazione trova subito un buon alleato nel DUPIM (Documento Unico Programmatico Isole Minori) che propone 10 nuovi porti turistici all’Elba, in aggiunta a quelli già esistenti, “un inno alla cementificazione del mare” come afferma Lega Ambiente. Il cronista del “Tirreno” (20 agosto 2000) informa: “Un impatto ambientale all’interno di un’area simbolo dell’ambiente nazionale (tanto da essere inserita nei Parchi Italiani) che è riuscita a fatica a sopportare le colate di cemento, le violenze urbanistiche lungo le coste dove raramente sono stati applicati i vincoli della legge Galasso. Ora tocca al mare…Nel dettaglio il documento in questione prevede un nuovo porto turistico a Marina di Campo per 750 imbarcazioni, adiacente al porto attuale”. “E’ molto probabile –sostiene Lega Ambiente- che il porto sia previsto sulla costa di Galenzana, un’area protetta dal Parco nazionale e non raggiungibile se non attraverso la realizzazione di nuove strade”.

Accantonate al momento le ambizioni portuali (ma il problema “Galenzana” ritornerà col Piano Strutturale) circa un anno dopo è il Piano di Edilizia Economica e Popolare (PEEP) la nuova prospettiva per l’Amministrazione di Campo. L’istituto delle “Osservazioni”, l’unico strumento di partecipazione dei cittadini, assume in Aula aspetti farseschi: l’Amministrazione si presenta in Consiglio Comunale senza avere elaborato le relative “Controdeduzioni”, sostenendo meravigliata che queste sarebbero dovute emergere dalla discussione consiliare; messa di fronte alle sconosciute disposizioni di Legge, l’Amministrazione improvvisa alcune rapide risposte incaricando della cosa il tecnico estensore del Piano. Molte comunque le Osservazioni dichiarate pervenute fuori tempo; respinte quelle del WWF, è invece la Provincia a dichiarare il proprio parere favorevole, peraltro piuttosto strano considerando la scarsa aderenza del lavoro al Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) che dovrebbe costituire il quadro di riferimento primario per la programmazione sul territorio degli Enti Locali.

Commento nell’Osservazione (anch’essa dichiarata fuori termine) che una analisi non troppo superficiale rivela “adesioni piuttosto scarse rispetto agli obiettivi fondamentali del PTC, sia in ordine alle indicazioni mirate alla riqualificazione dei centri minori, sia in ordine alla necessità di contenimento delle espansioni residenziali e commerciali, sia in ordine alla tutela delle risorse ambientali, sia ancora nel merito dei problemi finalizzati al recupero del patrimonio edilizio esistente, sia relativamente alla salvaguardia delle aree e delle colture agricole”. In particolare, pur non entrando in modo specifico nel merito dei numerosi insediamenti previsti, segnalo che “specialmente quelli adiacenti alle Frazioni di montagna e in particolare a S. Ilario, presentano davvero tali errori di valutazione dei rapporti di scala e di immagine con gli insediamenti esistenti da rendere evidente la loro posizione antagonista, specialmente per Carraie e Campotondo (gli insediamenti previsti ai due lati di S. Ilario) nei confronti della morfologia urbana cui si contrappongono nella linea di una totale non considerazione di ogni valore ambientale e paesaggistico. In sostanza per questi, ed anche per gli altri interventi, il dato che sembra emergere in maniera più vistosa…è il disinteresse nei confronti dell’ambiente cui si relazionano, tanto da collocare persino alcuni insediamenti all’interno dello stesso Parco, o sull’estremo limite, una scelta, questa, davvero improponibile e che snatura da sola ogni corretta intenzione iniziale”.

Nello stesso autunno si apre l’incredibile caso dell’abbattimento dei pini. Una breve nota del “Tirreno” (20 nov. 2001) annuncia nel titolo: “Saranno abbattuti i pini di Campo”. Si tratta delle alberature, più che trentennali (qualcosa come oltre 100 piante) messe a dimora nelle vie centrali, Mascagni, Roma, Pietri interessate dal programma di ristrutturazione e di rifacimento delle.pavimentazioni che sarebbe ostacolato dalla presenza di questi alberi, le cui radici affioranti provocano sollevamento di marciapiedi e manto stradale. Nel menzionato articolo un irritato Assessore ai Lavori Pubblici dichiara: “Delle due l’una: o si cerca di rendere praticabile il centro storico anche alle persone che usano le carrozzelle o ci teniamo questi alberi”. Immediata la presa di posizione del WWF (“Una città senza gli alberi è una città senz’anima”), e pesantissime le reazioni contro l’Esecutivo Galli per “un paesaggio che verrà cancellato per sempre”. Il titolare di un noto negozio di abbigliamento sportivo, l’ambientalista “verde” Paolo Franceschetti, è, come pubblica “lisola” (L’informazione dell’Arcipelago Toscano), il “coraggioso responsabile della catena di Sant’Antonio avviata per Internet contro la malaugurata ipotesi di sopprimere la “galleria di pini” di Marina di Campo che, insieme alla lunghissima spiaggia di rena chiara, è uno dei pochi tesori che il paese è ancora in grado di offrire”.

Centinaia le lettere di protesta giunte da ogni parte d’Italia, e tantissime dall’estero. Da Milano scrivono: “Siamo tutti pini campesi…Quindi risparmiateci, grazie infinite”. Durissima l’invettiva di Lodovico Meneghetti, Ordinario di Urbanistica a Milano, con il Preside Antonio Monestiroli e altri 25 Docenti del Dipartimento di progettazione dell’architettura del Politecnico di Milano: “…Uno stravolgimento dell’ambiente inammissibile. Nessuna giustificazione, tantomeno quelle di tipo ipocritamente “sociale”, può rendere plausibile la distruzione di un bene che non potrà ricostituirsi se non in decenni, ammesso che lo si voglia fare…Ciò che rende veramente appagante il percorso verso il centro è la straordinaria sequenza del doppio filare d’alberi, che riesce persino a riscattare la sostanziale mediocrità dell’architettura. L’autentica architettura di alta qualità sono per l’appunto i pini…” Personalmente svolgo qualche riflessione su “lisola”, richiamando, innanzi tutto, una relazione del Dr. Francesco Ferrini, Docente alla Facoltà di Agraria a Milano, che, per ovviare all’inconveniente dovuto al sollevamento delle pavimentazioni da parte delle radici, indica il principio base di “migliorare le caratteristiche del terreno, aerandolo e, al contempo, aumentare il volume a disposizione delle radici” ed affermando anche, come ulteriore prescrizione, che “la creazione di uno strato isolante costituito da sabbia e pietrisco risolve il problema” al punto che ricerche effettuate a distanza di diversi anni dall’intervento “anche su piante di oltre 30 anni non presentano segni sulla pavimentazione dovuti al sollevamento da parte delle radici”. E certamente non risultano superflue anche alcune considerazioni di merito, nella linea tracciata dal “documento Meneghetti”: non si può infatti non rilevare che nell’obiettivo, assai condivisibile, di un consolidamento dell’uso pubblico dell’area urbana questo “sistema verde” rappresenta un elemento imprescindibile. La giusta preoccupazione di assegnare maggiore vivibilità all’insediamento verrebbe di fatto contraddetta nella prassi ove l’abbattimento dichiarato venisse davvero portato a termine, a fronte di abbellimenti sovrastrutturali di pavimentazioni, cordoli, fioriere, panchine e quant’altro proposto in fatto di attrezzature dello spazio pubblico in uno sforzo davvero inutile e secondario, ove tale spazio fosse poi privato dell’unico elemento di significato che lo sostiene, come d’altra parte si annota quando, provenendo dall’alberata via Marconi, (opera della precedente Amministrazione, pavimentazione nuova e alberi antichi) ci si affaccia sul primo tratto di via Roma orfana dei primi pini già abbattuti.

La durezza del paesaggio è solo mitigata dal sospiro di sollievo che suscita la lontana, bellissima visione della successiva galleria alberata. Un elemento di sostegno alla salvaguardia del viale viene a metà gennaio 2002 da Oliviero Beha che, in trenta minuti di trasmissione, porta i “pini di Campo” in diretta a Radiouno Rai.

Il Comune di Campo non interviene ma categorica appare l’affermazione del Sovrintendente di Pisa in conclusione di trasmissione: “I pini di Marina di Campo non devono essere tagliati, se sono malati potranno essere sostituiti con altri pini, ma non deve essere cancellato il viale, non si può tagliare nulla”. La situazione si trascinerà con alterne posizioni anche nei prossimi mesi, con attenta vigilanza, anche legale, del WWF, nessun intervento sul viale nonostante alcune reiterate velleità di abbattimento e qualche speranza, considerando che nella primavera del successivo 2003 la riasfaltatura di via Pietri (una delle strade coinvolte nel piano di abbattimento) sarà realizzata salvaguardando i pini esistenti col solo taglio delle radici affioranti. Cresce invece la tensione al Pian di Mezzo, un’area precollinare caratterizzata da insediamenti residenziali contigui ad una lottizzazione artigianale nella quale, per quanto le Norme del P.di F. vigente (e che saranno richiamate anche nel successivo Piano Strutturale) ne prescrivano l’assoluta incompatibilità con “insediamenti di industrie nocive di qualsiasi genere e natura”, risulta invece occupata, a ridosso delle abitazioni esistenti, da una “stazione di betonaggio”, ovviamente al centro di numerose lamentele da parte degli abitanti della zona, in gran parte costretti a specifiche cure mediche per le conseguenze delle gravi irritazioni agli occhi e alla gola. La lunga e dura protesta del “Comitato del Pian di Mezzo” inascoltato dall’Amministrazione è invece accolta dal Giudice Civile che, con sentenza clamorosa, rispettosa anche dei pareri dell’ARPAT di Piombino e del Consulente Tecnico del Tribunale che ne avevano dichiarata l’insalubrità e l’inammissibilità dell’insediamento.in vicinanza di abitazioni civili, afferma che la stazione di betonaggio costituisce “fonte di pregiudizio imminente e irripetibile quale impianto idoneo a cagionare danno alla salute”.

La sentenza costituisce un punto fermo ma la vicenda sembra comunque lontana dal considerarsi risolta, tanto più che l’Amministrazione, dopo aver deliberato lo spostamento dell’impianto di alcune decine di metri, (provvedimento già di per sé inefficace a sanare la situazione) aggiunge nell’area l’insediamento di una “Stazione Ecologica Comunale”, tra l’altro oggetto anche di “previsione di futuri ampliamenti”, senza che siano specificati, almeno in linea di massima, quali interventi si sarebbe ritenuto di operare in ordine alla indispensabile eliminazione di inquinanti e di altri nocivi riflussi sull’ambiente. La risposta arriverà a settembre, nel Piano Strutturale, quando, non solo si dovrà verificare l’assoluta mancanza di indicazioni finalizzate ad affrontare la questione della ricollocazione in area idonea degli insediamenti insalubri del Pian di Mezzo, ma anche l’assenza di qualsiasi cenno probante in ordine all’analisi delle loro ricadute sull’ambiente, valutazione per la quale la Legge Regionale 5/95 individua 7 categorie di analisi per le valutazioni di merito, l’ultima delle quali è sicuramente riferibile al Pian di Mezzo laddove prescrive espressamente “l’accertamento del rispetto delle norme igienico-sanitarie”, accertamento per il quale il Piano Strutturale si limiterà ad annotare che “la qualità dell’aria è sostanzialmente buona per l’intero territorio comunale”, affermazione di certo non sufficientemente confortata dalla successiva annotazione circa l’opportunità di intervenire sulle “emissioni di tipo industriale e artigianale con impianti di depurazione specifici”.

Analoghe considerazioni devono essere avanzate anche per quanto riguarda l’Ecocentro, ovvero la Stazione Ecologica del Comune. Alla voce “Rifiuti” non si troverà traccia di “analisi” o di specifici “provvedimenti”, né all’interno del capitolo che tratta in modo specifico della ”Raccolta Differenziata”, né tanto meno in quelli successivi (“indicatori di “stato”” e “indicatori delle politiche”), nonostante la dichiarata “consapevolezza” che i problemi riguardino, in generale, “un territorio di altissimo valore ambientale”. Siamo all’inizio d’estate 2002 e l’Amministrazione rivela qui tutta la sua “modernità” nel Piano Spiagge, uno strumento di organizzazione e uso degli arenili, un tempo emanazione delle capitanerie, ora affidato alle Amministrazioni Comunali, secondo provvedimento anche condivisibile per l’evidente maggiore conoscenza delle realtà locali, e che il Comune di Campo sembra intenzionato ad utilizzare nella definizione interattiva delle spiagge col primo urbano.

“Ma l’intenzione iniziale – commento nella “Osservazione” - certamente interessante di prendere in esame l’immediato retroterra per quel tanto di interazione che le spiagge debbono avere con l’intorno più prossimo, sembra essere clamorosamente sfuggita di mano all’Amministrazione Comunale, trasformando un Piano per la “fruizione degli arenili” in uno strumento di variante generalizzata del Programma di Fabbricazione vigente, nel quale l’organizzazione dell’accesso al mare e del suo uso (dove per improvvida dimenticanza non figura mai l’aggettivo “pubblico”) sembrano assunti solo come occasioni per incrementare ulteriormente l’uso privato del Territorio”. Sulla dichiarazione dell’Assessore all’Urbanistica, che sintetizzando in Consiglio Comunale le linee guida del Piano, aveva informato di avere ricevuto “grandi consensi da parte della Regione” che lo avrebbe addirittura assunto “come modello per tutti gli altri che saranno adottati in tutta la Toscana” (“lisola” 4 giugno 2002), annoto nella stessa Osservazione: “Si può capire, certo, che la Regione, informata circa l’intenzione di elaborare un Piano Spiagge interattivo col proprio retroterra, abbia potuto esprimere su questa affermazioni “grandi consensi”…Sarebbe peraltro interessante sapere poi quali potrebbero essere le valutazioni conclusive a fronte della pressochè totale privatizzazione dell’intera spiaggia di Campo, della riduzione del vincolo pubblico sulle pinete, della alienazione della esistente Scuola Media, della trasformazione di quel vincolo scolastico in residenziale privato, della definizione di nuove ed estese aree per la ricettività alberghiera, delle varianti, anche consistenti, alla Viabilità Urbana ed Extraurbana senza la prioritaria definizione di un Piano del Traffico, né tanto meno di specifiche preliminari analisi dei flussi di circolazione veicolare. Né si può, d’altra parte fare tanto torto all’intelligenza dei cittadini pensando che tutto questo possa essere compensato dalla ricostruzione delle cosiddette “dune”, una specie di museo del finto, ignorando che le dune erano un sistema naturale interattivo col mare e col proprio intorno, e che la loro ricostruzione museale senza alcun riferimento possibile con la condizione ambientale al contorno, ora assolutamente non riproponibile (ed anzi peggiorata dalle nuove conurbazioni previste dal Piano), svuota l’iniziativa di qualsiasi senso logico, annunciandosi, se mai, quale evidente esempio di come la natura non accetti contraffazioni, e rendendo esplicita la considerazione che essa va salvata nelle sue condizioni originarie e non contrabbandata poi con le mistificazioni del finto naturale”. Sull’adozione del Piano Spiagge come “Variante del P.di F.”,resa possibile, anche prima dell’adozione del Piano Strutturale, dalle Norme transitorie della Legge 5/95 purchè relativa a “varianti necessarie per apportare rettifiche di minima entità alle perimetrazioni di zona, e che complessivamente non comportino incremento di volume o di superficie utile degli edifici”, annoto nella menzionata Osservazione che “sarebbe utile alla comprensione del Progetto che l’Amministrazione precisasse come intende conciliare con la norma richiamata.le varianti volumetriche e il nuovo carico urbanistico determinati sul territorio dai numerosi insediamenti di residenzialità ricettiva, alcuni dei quali svolti, tra l’altro, con variazioni delle destinazioni da pubbliche a private”.

Per il WWF che annuncia “Osservazione” complementare all’Osservazione Rizzi, nella linea di una reciproca collaborazione tecnica mirata all’analisi dei problemi ambientali connessi con la Pianificazione del Territorio, “il Piano Spiagge adottato dal Comune di Campo risulta connotato da uno smodato incremento di antropizzazione e di svilimento commerciale a vantaggio di pochi esercenti. Quest’ultimo poi risulterebbe irreversibile nelle previsioni di costruire sugli arenili nuovi stabilimenti balneari, in localizzazioni spesso di rilevanza paesaggistica ove non addirittura interne al Parco Nazionale. Una connotazione che nessun recupero di finte dune può stemperare…” E ancora: “il Piano Spiagge di Campo nell’Elba è tutto teso a spingere verso la fruizione non tanto pubblica quanto economicamente privata di una offerta di servizi già presente ed adeguata, fino ad imporla di fatto a chi non la desidera…anche a causa della totale assenza di confronto, sia nella fase preparatoria che dopo, con le altre forze politiche, le associazioni, le categorie economiche…” Ed infine, la riduzione delle spiagge libere, sempre richiamando l’Osservazione WWF, “…è particolarmente da criticare per la spiaggia di Marina di Campo, anche tenuto conto che l’esercizio della attività di noleggio degli ombrelloni sconfina quasi sempre nell’abuso di impegnare con ingombranti attrezzature l’arenile, teoricamente di libero uso, anche in assenza di clienti…Della proposta per la pineta di un’area di ripristino per finte dune nel fronte mare, la nostra opinione è che in realtà si voglia individuare un retroterra di parcheggi e di accessi carrabili più che a vantaggio dei frequentatori di una spiaggia finora facilmente accessibile da chiunque, quanto a vantaggio degli appetibili nuovi esercizi commerciali che verrebbero edificati sull’arenile…Particolarmente esecrabile è soprattutto la proposta di compensare gli espropri di pineta agli attuali proprietari con la possibilità di concedere l’edificazione di nuove volumetrie, a compenso, nella fascia più interna della pineta stessa. La possibilità di costruire nuovi volumi sul fronte mare, anche se fossero solamente stabilimenti balneari, è un errore del passato che non va ripetuto…”

Un argomento cui l’Osservazione WWF riserva una particolare attenzione è l’alienazione della esistente Scuola Media, sostituita da destinazione alberghiera, nonostante “la buona collocazione funzionale e baricentrica dell’attuale complesso scolastico, con altrettanto buone possibilità di completamento e di arricchimento dell’offerta di servizi culturali erogabili…”, annotando ancora, relativamente al concetto, contrastato dal PTC, dell’antropizzazione del territorio, che “questo Piano Spiagge, in materia scolastica ed in materia alberghiera innova solo nel senso che lascia in sospeso la localizzazione della nuova scuola media…” localizzando peraltro “un albergo da subito, salvo dislocare una scuola media chi sa dove…”. Sulla questione non è superfluo annotare il Progetto prodotto dalla precedente Amministrazione (livello definitivo della Legge Merloni per le opere pubbliche) che aggregava alla esistente (e funzionante) Scuola Media, già servita da refettorio e palestra-auditorium, una Scuola Elementare, con aule anche all’aperto, laboratori e campi gioco, all’interno di uno studio complessivo di “Polo Scolastico Unitario” comprendente appunto Materna, Elementare, Media e biblioteca Comunale. In ordine ai tempi ravvicinati col “Piano Strutturale” (adottato un mese dopo il “Piano Spiagge”) molto puntuale nell’Osservazione di Lega Ambiente la premessa introduttiva: “E’ singolare che il Comune di Campo nell’Elba presenti una Variante al Piano di Fabbricazione nei giorni precedenti alla presentazione del Piano Strutturale che tende a superare quel P.di F.; è evidente che la variante, dato l’ampiezza e l’impatto urbanistico ed ambientale delle proposte contenute per un territorio così vasto, delicato e strategico per lo sviluppo urbanistico, economico e sociale del Comune avrebbe dovuto far parte integrante del Piano Strutturale, ed è altrettanto evidente che l’Amministrazione Comunale ha scelto la strada della Variante (che è molto più di un cosiddetto “ Piano Spiagge” per la “Definizione dei criteri di utilizzazione degli arenili”…) per intervenire con più libertà e rapidità sull’intera fascia costiera e su buona parte dell’abitato costiero. Le condivisibili premesse contenute nella Relazione di “riduzione della pressione sulla costa” ci paiono ampiamente contraddette dalle previsioni della Variante…L’impressione netta è che, partendo da promesse e dati condivisibili, si approdi a scelte che niente hanno a che fare con il riequilibrio economico ed il recupero di errori e ritardi nell’uso sostenibile del territorio e delle risorse…”

Nel merito Lega Ambiente annota ancora: “La spiaggia di Marina di Campo ha perso, dal dopoguerra ad oggi, quasi per intero il suo sistema dunale, e lo stesso arenile è stato devastato ed eroso da strade sulla spiaggia, da opere portuali e da costruzioni a ridosso del mare e delle attrezzature balneari, un grandissimo patrimonio ambientale e paesaggistico di cui rimangono alcune tracce nelle pinete private (certamente più “naturali” e salvaguardate del tratto di pineta pubblico); è singolare che l’Amministrazione Comunale chieda di rendere pubblica una fascia di pineta, mentre concede ai privati nuove aree della spiaggia, ed offra in cambio nuove edificazioni ed ampliamenti in un’area da salvaguardare assolutamente.” Significativa la notazione circa il tentativo di ampliare surrettiziamente la quantità di costa balenabile a sostegno dei parametri del Piano Spiagge-Variante P.di F.: “…a questo fine si usano anche le spiagge e il mare di Pianosa, inserite dal DPR istitutivo del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano in Zona 1 di massima salvaguardia, forma di protezione (Zona A) che il Piano del Parco Nazionale conferma con l’esclusione di Cala.Giovanna…”, peraltro limitata alle visite organizzate e contingentate, e con limitata deroga del Ministero rispetto al Decreto. Naturalmente la stessa Cala Giovanna (è sempre Lega Ambiente ad annotare) “…ha grandissimi valori ambientali e paesaggistici e non può certamente essere trasformata e banalizzata con uno stabilimento balneare…”. Ed ancora: “Per quanto riguarda l’utilizzazione per la balneazione di Cala del Bruciato e Porto Romano si tratta di una vera e propria follia dal punto di vista ambientale: le due zone sono tra le aree più delicate dell’isola…e un uso balneare di aree tanto delicate produrrebbe un impatto umano continuato che stravolgerebbe un equilibrio naturale che non può essere sacrificato alla semplice balneazione, al traffico ed al disturbo che ne deriverebbero; tutto questo sarebbe devastante per rare presenze faunistiche a mare e a terra, per la qualità dell’ambiente e del paesaggio”.

La “follia”, richiamata da Lega Ambiente per la balneazione, sarà poi ulteriormente rafforzata nel Piano Strutturale con la previsione di un aeroporto a Pianosa, prendendo a pretesto il ripristino di una vecchia pista, una striscia utilizzata nell’ultima guerra dalle “cicogne” tedesche. Vincenzo Tessandori, inviato de “LA STAMPA” di Torino, il 26 agosto 2002, intrecciando “follia a follia”, commenterà: “Fantasia, delirio o speculazione? C’è una pista in mezzo al mare, in terra battuta, semisepolta dai rovi e seminata di buche. E’ lì, in quel luogo disabitato e remoto, per quanto possa essere remoto un posto nel Mediterraneo, quasi su quell’isola del giorno prima chiamata Pianosa. Vorrebbero farne un aeroporto. Poi, questa storia, che suggerisce pensieri un po’ gotici e un po’ gaglioffi, si sposta di 26 chilometri, sull’Elba, e va avanti con 118 pini condannati alla pena capitale, otto nel braccio della morte. Il quadro si chiude, o si apre fate voi, con una colata di cemento che rischia uno sfregio indelebile…” Ventiquattro ore prima, il 25 agosto, Lega Ambiente aveva promosso sulla spiaggia di Marina di Campo una grande manifestazione di protesta, “liberi sulla spiaggia…liberi dal cemento”, contro l’annunciata grande privatizzazione degli arenili, con una altissima adesione, tanto che in pochissimo tempo erano state raccolte oltre 600 firme di adesione a “Sos Elba” (“il Tirreno” 26-8-’02) il movimento di Lega Ambiente “per la difesa dell’Elba e dell’Arcipelago Toscano” che accoglie dal 21 luglio consensi e adesioni trasversali in tutta l’isola.

Nel frattempo l’Amministrazione di Campo ha adottato, due mesi prima, il 28 giugno, il Piano Strutturale, ed è proprio Sos Elba (ormai a tremila adesioni) ad organizzare alla Linguella di Portoferraio, alla fine di agosto, un dibattito con l’Onorevole Fabio Mussi, parlamentare della circoscrizione. L’incontro si è soprattutto incentrato sul Piano di Campo, piuttosto criticato dallo stesso Mussi per l’eccesso previsionale di crescita urbana a fronte di “un ambiente meno gradevole, spremuto oltre ogni limite delle risorse naturali che non sono infinite”, ma prospettando anche la necessità di pervenire ad un “Piano unitario di sviluppo coinvolgendo Comuni, Provincia, Regione ed anche intelligenze scientifiche e culturali”. Ugualmente critico l’intervento di Campos Venuti, Presidente Onorario dell’INU, che ha posto in evidenza le contraddizioni del Piano di Campo a fronte delle Leggi Regionali sugli Arenili e sui Piani Regolatori, finalizzate a contenere le eccessive concessioni sui litorali e a prevenire processi speculativi a danno dell’ambiente e delle risorse, a fronte del Piano Strutturale di Campo che riduce le spiagge libere e opera previsioni urbanistiche “trentennali” favorendo speculazioni e rendite di posizione.

“Porti, case, alberghi, spiagge, Parco, tutto il cemento prossimo venturo” è il titolo di un “Dossier” di Sos Elba uscito nello stesso mese di agosto, un’analisi critica delle iniziative proposte su tutta l’isola. Il quadro di Campo conferma tutte le preoccupazioni. Sul PEEP: “E’ un Piano di Edilizia Economica e Popolare strano e preoccupante quello del Comune di Campo nell’Elba. Le previsioni sono esagerate per una realtà in stasi demografica e dove le seconde, terze e quarte case sono la stragrande maggioranza del patrimonio edilizio…Le esigenze di prima abitazione previste dal PEEP appaiono esagerate e non corrispondono certamente alla reale situazione del Comune di Campo nell’Elba, un territorio già pesantemente provato dalla speculazione edilizia e nel quale le emergenze abitative si limitano a pochissimi casi…Non si può usare il PEEP per favorire una nuova indiscriminata espansione urbanistica…” Sul Piano Strutturale: “…previste fino a 1500 nuove abitazioni, un aeroporto a Pianosa, un interporto alla Bonalaccia…una vera e propria cementificazione della piana di Campo, una saturazione di tutte le frazioni collinari e costiere con previsioni edificatorie che si spingono fin dentro il Parco…” Sul Porto: “Il Piano dei Porti regionale prevede un piccolo approdo (meno di 100 barche) dentro l’attuale Porto; il Comune chiede di realizzare un nuovo Porto per 750 imbarcazioni “in adiacenza a sud del Porto attuale”. L’unica “adiacenza” a sud è la costa di Galenzana, protetta dal Parco Nazionale e non raggiungibile se non con nuove strade o tunnel di accesso…”

Al dibattito richiamo dalla mia Osservazione : “Galenzana descrive la contrapposizione naturale alla filosofia del tutto costruibile di questo Piano, al proliferare dei residences, degli alberghi, delle spiagge privatizzate. Naturalmente, nella linea scarsamente descrittiva delle interazioni tra scelte e territori, nulla che spieghi il luogo, niente che descriva il rapporto tra l’area urbana e la baia, la frequentazione della spiaggia e dei salandri, l’assoluta pedonalità da sempre dell’accesso, le modificazioni che un sistema carrabile di viabilità potrebbe determinare sul territorio..Non sentire la responsabilità di tutela assoluta per questi luoghi significa disattendere il primo fondamentale compito che la Legge Regionale affida agli Enti Locali in ordine alla difesa delle risorse e del territorio”. Settembre registra sostanzialmente l’inoltro delle prime Osservazioni, anche se un ritardo nel segnalare al BURT l’avvenuto deposito da parte dell’Ammnistrazione (28.8.’02), consentirà, di fatto, il prolungamento dei termini di presentazione o la riserva di successiva integrazione. Rilevante, per chiarezza di analisi e di intenti, l’Osservazione del WWF, anche in ordine ad alcune significative annotazioni: “E’ da tener presente la novità, ufficializzata anche alla Soprintendenza, che secondo alcune fonti vi sarebbero gallerie che partono dalla zona del carcere duro (il Cardon) dove doveva esserci il Palazzo romano principale dell’isola: qui non sono mai state fatte ricerche per ovvi motivi legati alla sicurezza del carcere e sicuramente saranno stati danneggiati i resti archeologici, ma devono essere condotte ricerche sia su quello che può restare del Palazzo sia sulle gallerie che vi si dipartono. Quanto sopra appare incompatibile, almeno quanto l’essere Pianosa un’isola del Parco Nazionale e pressoché disabitata, con la previsione del Piano Strutturale di una destinazione aeroportuale dell’area da Punta Brigantina a Cala della Ruta, a sud del Cardon, al di fuori di ogni previsione del PTC oltre che del buon senso. Inoltre il problema isola-parco va visto nell’insieme e non frammentario:c’è tutto il discorso della protezione marina nell’insieme e di ecosistemi particolarmente ben mantenuti come la prateria di posidonia, come i “marciapiedi” corallini: porti e turismo tradizionale non possono essere altro che nefasti…” Sui fondali di Pianosa che “ospitano numerosi reperti di epoche diverse e dislocati diversamente attorno all’isola” il WWF richiama gli Atti di un importante e significativo Convegno di Studi svolto a Pianosa nel 1997 col sostegno della precedente Amministrazione Campese, (“Pianosa: Passato, Presente e Futuro”) finalizzato a promuovere per l’isola un grande centro studi internazionale di biologia marina, di analisi ambientale, di ricerca archeologica, di tutela dei “beni storici” aggiungendo “che è probabilmente del tutto indispensabile e non più procrastinabile insediare una entità gestionale e di controllo culturale a tutto campo e senza interferenze turistiche-economiche-carcerarie tradizionali” Ed ancora: “La storia offre ricchezze ulteriori di eccezionale importanza che in parte rimangono inspiegate: il periodo romano trova il massimo splendore con l’esilio di Postumo Agrippa connesso alle congiure di palazzo nel periodo imperiale di Ottaviano Augusto. La situazione carceraria legata alla gestione di massima sicurezza ha per ora impedito di accertare quanto rimane del palazzo principale, citato dagli storici e da altre testimonianze. Il Cristianesimo si specchia nel vasto complesso catacombale ancora in fase di studio e considerato il secondo per importanza a nord di Roma e l’unico su un’isola.(ved.studi di Bartolozzi Casti).

La conclusione del WWF è decisa e senza incertezze, come si deve in tali situazioni: “E’ del tutto impensabile che, a fronte di un patrimonio così vasto ed importante, non ancora del tutto studiato e con la possibilità di ulteriori nuove individuazioni e ritrovamenti di vecchi siti, l’Isola venga interamente lasciata alla libera frequentazione di possibili aspiranti residenti e turisti…”

La ritardata pubblicazione sul Bollettino Regionale circa l’avvenuto deposito del Piano Strutturale ha consentito anche a noi (Giuliano Banfi, Marco Carcano, Marco Ponti, Sergio Rizzi) di svolgere l’Osservazione in due sezioni, con un primo documento, ai primi di stettembre, finalizzato all’analisi generale di significati, strategie, sistemi territoriali, infrastrutture, previsioni demografiche, e una successiva integrazione, a ottobre, maggiormente indirizzata a valutare nello specifico alcune scelte progettuali e la collocazione dimensionale del Piano di Edilizia Popolare a fronte del dimensionamento complessivo del Piano Strutturale. L’analisi si origina dalla indicazione normativa della Legge 5/95 la quale dispone che “i Comuni entro 10 anni dall’approvazione dello Strumento Urbanistico Generale…sono tenuti a provvedere all’approvazione del Piano Strutturale e del Regolamento Urbanistico”, norma chiaramente prescrittiva particolarmente per la regolarizzazione di condizioni urbanistiche inadeguate nella linea di un riordino di strumenti urbanistici obsoleti o costruiti su legislazioni superate e rimpiazzate dal gennaio ’95 dalla nuova Legge Regionale, la prima in Italia ad assegnare dignità di Legge alla ricerca di una metodologia in grado di verificare la compatibilità ambientale degli strumenti di Piano. A fronte di questa inequivocabile indicazione il Comune di Campo costruisce invece il proprio Piano Regolatore “decennale” “ancorando tutte le previsioni della programmazione urbanistica ad un dimensionamento demografico trentennale di 900 abitanti, incrementati da un fabbisogno arretrato di 659 alloggi per un intervento pianificatorio commisurato ad un conseguente fabbisogno complessivo di 1.500 alloggi per un corrispettivo di 480.000 metri cubi. Si dovrebbe ritenere, per quanto Relazioni e Norme non ne facciano mai cenno, che lo scenario elaborato dalla “Relazione sulla evoluzione demografica e sulla domanda abitativa” sia stato assunto a supporto di una prospettiva a lunga scadenza, acquisita dal Piano Strutturale che, in quanto Strumento che definisce le “indicazioni per il governo del territorio comunale”, accomuna alle prescrizioni del Piano Territoriale di Coordinamento gli “indirizzi di sviluppo espressi dalla comunità locale”…Tuttavia le Norme Tecniche di Attuazione, che correttamente ricordano, in ognuna delle Aree dei diversi Sistemi, che le indicazioni puntuali degli interventi saranno descritte dal successivo Regolamento Urbanistico, non annunciano mai, neppure superficialmente, che lo “scenario trentennale” elaborato troverà poi applicazione, nello stesso Regolamento Urbanistico, con dimensionamento connesso ad una soglia decennale sostanzialmente riferibile ad un terzo circa della quantificazione desunta dalla Relazione Demografica estesa al trentennio”.Ora, rispetto ad altre Legislazioni Urbanistiche che assegnano già al primo momento progettuale, pur se preliminare, la funzione di determinare il panorama generale delle scelte di pianificazione, con l’indicazione di infrastrutture e servizi, ma anche con la localizzazione puntuale delle aree di intervento private e pubbliche, la Toscana (e qui sta l’innovazione) “assegna al primo momento progettuale (il Piano Strutturale) un significato anche più determinante rispetto alla pianificazione, ma “esclusivamente” per quanto concerne indirizzi programmatici, obiettivi, finalità da perseguire e indicazioni strategiche per il governo del Territorio comunale”, con l’evidente e qualificante obiettivo di affidare ai Comuni la possibilità concreta di “promuovere la pianificazione del proprio Territorio nella linea di una gestione più diretta e discrezionale nella quale il Piano Strutturale assume il ruolo fondamentale di strumento strategico della programmazione pianificatoria. Ma questa opportunità, davvero significativa, sembra non essere stata colta per nulla dall’Amministrazione Comunale di Campo che ha operato nel Piano Strutturale, al di là del rispetto formale della nomenclatura espressa dalla Legge, negli stessi termini, in sostanza, di un Piano Regolatore tradizionale, oltre tutto sopradimensionato”. “Proposizione ugualmente abnorme si ritrova nella rete infrastrutturale viabilistica, sia in ordine alla Grande Viabilità sia in ordine alla Viabilità Urbana, dove il livello degli interventi non è sostenuto, non solo da nessuna analisi della “mobilità”, ma neppure da qualche argomentazione nel merito che ne giustifichi almeno la credibilità e il significato”.

Un esempio per il livello urbano, già richiamato nella menzionata Assemblea Popolare sul Piano Spiagge, è il caso, piccolo ma probante per la sua condizione davvero impensabile, di quei 60 metri della centralissima e pedonale via Roma, dall’angolo di via Pietri all’angolo di via Venezia, nei quali una strada del centro storico, superattrezzata nella pavimentazione, che vorrebbe segnalare e favorire la bellezza dell’accedere pedonale al centro, dall’inizio della via alla Piazza centrale, deve subire, in quel breve tratto, la circolazione veicolare motorizzata in quanto unico accesso al paese di tali mezzi.

Un altro esempio, assai più grave, nell’ambito della viabilità minore e in particolare nel reticolo individuato nel Piano a servizio di aree di nuova edificazione “sembra convergere su una nuova viabilità che, con un andamento per linee di massima pendenza e attraversando aree naturali di alto pregio ambientale e vegetazionale, senza presenza di abitazioni, s’inerpica, con un itinerario tortuoso che sale fino alle Coste Grandi, per poi precipitare, con pendenze ripidissime, alla spiaggia di Galenzana…L’’itinerario risulta assolutamente immotivato dal punto di vista viabilistico e legittima il sospetto di essere preordinato ad altri obiettivi non dichiarati dal Piano Strutturale che ha, invece, il compito di rendere trasparenti le scelte portanti e di quadro della strategia urbanistica di una Amministrazione. La delicatezza del contesto territoriale e paesistico richiede l’immediato stralcio e la cancellazione di questo intervento perché manifestamente immotivato”. Nell’ambito invece delle previsioni viabilistiche della Grande Viabilità l’infrastruttura più significativa e di maggiore evidenza è indubbiamente la “Pedemontana” che partendo dall’incrocio della nuova strada di evitamento di Pila “con giacitura ovest rimonta le ultime pendici collinari, lambisce l’area industriale esistente, per piegare in direzione sud, connettendosi e scambiandosi con l’attuale strada cha dalla Pila arriva a Sant’Ilario, ridiscende, per un tratto, sull’attuale strada che attraversa il Pian di Mezzo dove si sbina per raggiungere la Provinciale con un nuovo ramo di strada che sembra preordinato a consentire il traffico pesante per raggiungere il cosiddetto “ecocentro” e la stazione di betonaggio…attraversa il Vallone (zona di elevata qualità ambientale e consistentemente piantumata con alberi d’alto fusto) prosegue in modo tortuoso e spezzato, con repentini cambiamenti di direzione non giustificati e corrispondenti alla giacitura delle curve di livello, sempre verso sud, per innestarsi sulla strada attuale per Cavoli e l’anello occidentale in prossimità della Chiesina degli Aiali… La Pedemontana risulta un’opera di grande impatto territoriale con grandi opere d’arte impattanti e costose; la sua giacitura sembra dettata più dall’obiettivo di delimitare le nuove aree fabbricabili…piuttosto che dalla ricerca di un assetto di minimo impatto visivo ed ambientale coniugato ad efficacia automobilistica.” In ogni caso, anche condividendo la necessità di evitare i punti di congestione nell’attraversamento di Marina di Campo la soluzione proposta, “non suffragata da adeguati studi dei volumi di traffico, delle loro caratteristiche di stagionalità e da un coerente Piano Urbano del Traffico…risulta assolutamente fuori scala rispetto ai problemi che dichiara di voler affrontare e risolvere, assai onerosa di realizzazione, gravemente impattante sotto il profilo territoriale e ambientale” e sollecita, in conformità ad un corretto Piano del Traffico, rivisitazioni progettuali per l’individuazione di soluzioni meno impattanti e probabilmente anche più efficaci nella rimozione dei punti di crisi.

Sull’ Aeroporto della Pila rileviamo l’indicazione tecnica di esperti del settore, secondo cui “per migliorare il servizio aeroportuale, non sarebbe tanto necessario allungare la pista attuale quanto ruotarla di 15/20 gradi nella direzione dell’asse nord est - sud ovest…operazione che consentirebbe di ottenere maggiore sicurezza e garantirebbe la possibilità di far atterrare aeromobili di maggior peso e dimensione, su percorsi e provenienze anche estere, elevando il servizio commerciale e lo stesso uso di aviazione generale”..Su questo problema potrebbe pure essere accettato che gli interventi di sviluppo dello scalo siano rimandati, come dispone la Relazione del Piano, “alla redazione del Regolamento Urbanistico” con la finalità di valutarne il possibile sviluppo con le “esigenze della popolazione residente”, anche se, per la verità, questa analisi dovrebbe appartenere proprio al Piano Strutturale. “Certamente meno accettabile, ed anzi piuttosto sconcertante, che, contestualmente a questo rimando decisionale, si prospettino due insediamenti di “attrezzature logistico-produttive” lateralmente all’attuale pista, la cui collocazione, l’una all’inizio della pista a nord-est, l’altra pressoché alla fine a sud-ovest, ne impediscono di fatto ogni possibile rotazione.

A fronte di questa indicazione inibitiva sull’esistente aeroporto della Pila e della contestuale proposta di uno “scalo aeroportuale a Pianosa” (dove non è mai esistita una vera pista di atterraggio) è lecito chiedersi quale relazione intercorra tra le due determinazioni, per le quali la Relazione di Piano non offre nessuna motivazione di merito, neppure di massima, in ordine al significato di queste scelte ed alle strategie di programmazione su cui sono fondate”. Anche per quanto attiene alle reti tecnologiche si ripresenta il consueto problema perché “il Piano Strutturale prevede un dimensionamento abnorme di aree rese edificabili con quantità insediative elevate ma non ci si preoccupa di predisporre una rete di smaltimento fognario e di depurazione conseguente e opportunamente dimensionata per assicurare la salvaguardia e la salubrità del mare che costituisce la risorsa più importante per l’economia di Campo”, né di prevedere i necessari interventi per “assicurare adeguate risorse idriche corrispondenti ai fabbisogni della popolazione e delle attività”, problema ulteriormente aggravato dal fatto che “le U.T.O.E. (Unità Territoriali Organiche Elementari), indiscriminatamente estese non consentono una programmazione per interventi prioritari e gerarchicamente strutturati, con condotte principali e ramificazioni secondarie vista la compromissione indifferenziata del territorio”.

Ugualmente sconcertante l’analisi delle previsioni demografiche che in un quadro incerto e scarsamente rigoroso, raffrontato anche con altre realtà piuttosto diverse, come le località turistiche della riviera ligure o della costa azzurra, e affermazioni singolari circa la “perdita di affidabilità delle previsioni demografiche man mano che ci si spinge dal breve al medio, al lungo periodo” propone infine, con conclusione altrettanto singolare, una proiezione trentennale. Esaminando i dati riportati in “Evoluzione e Proiezione della popolazione di Campo nell’Elba 1962 – 2030” annotiamo nell’Osservazione: “Dai 4043 abitanti residenti nel 1962 si passa ai 4070 del 1972, ai 4445 del 1982, ai 4248 del 1992, ed infine, oscillando con modestissime fluttuazioni in incremento o in diminuizione, in un quadro di sostanziale stabilità, ai 4335 abitanti nel 2001. Da quest’ultimo dato rilevato di 4335 abitanti scatta una impennata demografica “cui annettiamo (sostiene l’analista, n.d.r.) la massima probabilità di verificarsi” di un aumento della popolazione “di un po’ di più del 20% nei prossimi 30 anni”. Riteniamo questa proiezione, vista la serie storica dei 40 anni che risalgono al 1962, manifestamente infondata ed illogica, non suffragata da argomentazioni disciplinarmente rigorose, solo strumentali e subalterne, tesa a fornire giustificazioni ad un dimensionamento abnorme di fabbisogno edilizio…” Direttamente conseguente a questa previsione trentennale il dimensionamento dell’incremento urbanistico determinato dagli azzonamenti del Piano Strutturale che, “pur detraendo i metri cubi di previsione PEEP e la volumetria per ampliamenti e ristrutturazioni”, è quantificato, di massima, in 300.000 metri cubi. In una prima analisi, poi approfondita nella successiva “integrazione di osservazione”, rileviamo che “esaminando soltanto l’UTOE 5C, area di frangia nella piana di Campo a ridosso del centro ed estesa fin oltre la Pila e delimitata a monte dalla futura strada “pedemontana”, ne risulta un’estensione continua e compatta, con una misurazione speditiva e sommaria, di oltre 200 ettari, pur avendo detratto le aree impegnate a varia densità da insediamenti esistenti, dall’aeroporto e le previsioni logistiche-produttive espresse dal Piano. Assegnando una volumetria presunta assai estensiva (infatti la definizione degli indici di edificabilità è correttamente rinviata al Regolamento Urbanistico) e tenendo conto che “le nuove edificazioni potranno essere autorizzate solo previa stipula di apposita convenzione con l’Amministrazione Comunale” con la cessione “di norma” del 50% del territorio impegnato, nell’ipotesi, da considerare minimale in rapporto a situazioni analoghe, di costruire 4 unità immobiliari per ettaro, per una volumetria per ciascuna di 500 metri cubi, pari ad una superficie lorda di pavimento di 170 mq., su uno o due piani, con un lotto minimo di 2.500 mq., ne consegue una capacità insediativa di 400.000 metri cubi, eccedente di oltre 100.000 metri cubi le quantità necessarie a soddisfare il fabbisogno dichiarato dal Piano Strutturale. Le volumetrie assegnate, sempre e soltanto nelle “aree di frangia”, a sud di Marina di Campo, di Sant’Ilario, S. Piero, Bonalaccia, Seccheto, Cavoli, Fetovaia, etc. risultano pertanto aggiuntive rispetto al fabbisogno di lungo periodo dichiarato dal Piano”. L’ambigua prescrizione che prevede “di norma” la cessione del 50% dell’area prospetta inoltre “rapporti negoziati impropri con l’Amministrazione Comunale non suffragati da una previsione puntuale e precisa.indicazione delle aree da destinare ad infrastrutture (viabilità, parcheggi, verde pubblico, etc.) e ad urbanizzazione secondaria” e rafforza ulteriormente la considerazione primaria secondo la quale “l’estensione abnorme delle aree edificabili ingenera il sospetto di aver voluto promuovere a opportunità edificatoria un eccesso di superfici e di aree non strettamente utili, un vestito di taglia superiore al necessario, che apre preoccupanti elementi di discrezionalità da parte dell’Amministrazione Comunale, di disparità di trattamento dei singoli proprietari, e soprattutto da cui non si può tornare indietro perché si configurano come diritti acquisiti fin da subito”.

Intanto, ai primi di settembre del 2002, un violento nubifragio lascia profonde ferite all’Isola. Il “Corriere della Sera” del 5 settembre commenta: “ In poche ore acqua e fango hanno ridotto il paradiso dei villeggianti in una palude. Non era mai accaduto fino ad oggi e forse non è solo colpa del maltempo, ma anche degli scempi urbanistici perpetrati da decenni”. Anche più esplicito il WWF della Toscana che, in una dichiarazione di Egisto Gimelli riportata da “il Tirreno” dello stesso 5 settembre, lancia un appello al Presidente della Regione Toscana Claudio Martini affinchè faccia in modo che i Sindaci dell’Isola d’Elba “non portino avanti politiche urbanistiche basate su ulteriore cemento prima di aver risolto i problemi idrogeologici esistenti sul territorio. Come si può immaginare di costruire, anche dentro i confini del Parco Nazionale dell’arcipelago toscano, oltre 1.500 abitazioni, come vorrebbe fare il Comune di Campo nell’Elba, che conta appena 4.400 abitanti, senza prima aver risolto almeno il problema delle fognature, dei depuratori e degli argini dei torrenti già stravolti dal caotico sviluppo urbanistico degli anni passati?”

Sullo stesso “Tirreno”, Fabio Roggiolani, capogruppo dei Verdi nel Consiglio Regionale Toscano, aggiunge: “Le notizie provenienti dall’Elba dimostrano l’estrema vulnerabilità idrogeologica di questo ambiente e quindi confermano l’esigenza di non cementificare gli spazi disponibili, come andiamo predicando (purtroppo con scarsi risultati) da molti anni”. A Campo, è Vincenzo Tessandori de “La Stampa” (“Pioggia e Vento flagellano l’Elba”) a riferire il disastro: “Il paese è allagato, senza luce né acqua potabile, 350 le persone evacuate da campeggi, alberghi e case riunite nella scuola Media, quella che secondo il contestatissimo Piano Strutturale dovrebbe diventare un grande albergo…”. Ma sarà un precedente servizio dello stesso Tessandori, svolto il 2 settembre, prima di allagamenti, frane, strade interrotte, auto in mare ed evacuazioni di massa, che acquisterà particolare significato ed evidenza: ““Utilità e cultura, se esaminate con larghezza di vedute, sono molto, molto incompatibili”, sosteneva Bertrand Russel. Cultura è: rispetto del territorio, della tradizione , del buon gusto, della logica non legata al solo interesse; utilità è: un aeroporto su un’isola deserta come Pianosa, una cascata di cemento all’Elba, un safari contro il pino marittimo, una pineta violentata, un porto turistico.”

Uno scomposto e piuttosto ingenereso commento dell’Esecutivo Campese (“Ambientalisti quelli? Ma per carità, piuttosto cannibali della politica alleati con i potenti locali”. - La Repubblica, 6 settembre 2002) ci induce a formulare, in conseguenza dell’allungamento dei tempi di presentazione, una integrazione all’Osservazione già presentata esponendo ulteriori considerazioni sulle iniziative di Pianificazione adottate ed anche sul Piano di Edilizia Economica e Popolare che, nella precedente, avevamo volutamente tralasciato, nonostante le insufficienze, per molti aspetti palesi, nella considerazione che l’iniziativa, certamente condivisibile, pur con le carenze riscontrate, sostanzialmente promuoveva nel sociale. Anche il PEEP infatti, per quella singolare connotazione che caratterizza la generale caduta nella progettazione dei buoni principi enunciati in epigrafe, presenta non poche contraddizioni rispetto al quadro generale della Pianificazione: “Il Piano per l’Edilizia Economica e Popolare si articola nelle frazioni di Marina di Campo, La Pila, S. Piero, Sant’Ilario in Campo, Seccheto ed interessa una superficie totale di mq. 177.032 per una previsione di mc.93.330 di abitazioni, oltre a mc. 13.700 di strutture commerciali e mc. 4.000 di servizi di uso pubblico per un totale complessivo di circa 111.000 metri cubi. Consente quindi, con una utilizzazione completa delle aree previste e programmate, l’insediamento di oltre 1.000 abitanti cittadini residenti in condizioni di reddito per accedere legittimamente alle agevolazioni che sono proprie degli alloggi di edilizia economica e popolare. In sostanza risulta che l’incremento demografico previsto per il dimensionamento del Piano Strutturale può essere assorbito quasi completamente con l’utilizzazione delle aree destinate al PEEP.” Ora ad una analisi non troppo superficiale sembra evidente che, “o l’incremento demografico previsto e il fabbisogno pregresso trovano soddisfazione nelle aree PEEP, e conseguentemente le aree di espansione del Piano Strutturale (le UTOE 5A, 5B e soprattutto 5C) sono una previsione abnorme riferita prevalentemente a.seconde e terze case, rivolte ad incrementare il mercato edilizio di provenienza esterna, o le stesse aree di edilizia popolare sono eccessivamente estese per una programmazione corretta e correlata all’effettivo fabbisogno di questa tipologia di abitazioni e della disponibilità di risorse pubbliche e private per la loro concreta realizzazione”.

Una corretta e sostanziale revisione del fabbisogno PEEP nel processo complessivo di ridimensionamento del Piano Strutturale appare suggerimento opportuno, anche in ordine alla possibilità di adottare “una strumentazione più flessibile ed articolata che consenta una programmazione più sensibile al contesto territoriale ed ambientale fragile, delicato e critico che caratterizza le localizzazioni proposte” D’altra parte, a fronte di intransigenti conferme delle decisioni già assunte, l’istituto delle “Osservazioni” che, nel caso, ha come obiettivo quello di “consentire comunque la realizzazione di alloggi di prima casa a chi ne ha bisogno e necessità, ma in un contesto di qualità all’altezza della bellezza dei borghi storici, della tradizione e dell’ambiente che è la prima ricchezza di Campo, rischia di risultare un metodo inadeguato”. Su questa ultima notazione e, soprattutto, sul significato della partecipazione popolare alle scelte urbanistiche, intervenendo a Portoferraio in occasione della “Conferenza sulle politiche territoriali ed ambientali per l’Isola d’Elba”, il 15 e 16 novembre 2002, ho richiamato la proposta avanzata con grande senso di responsabilità politica dall’Onorevole Fabio Mussi che, nel suo intervento alla fine di agosto introdusse la nozione di una verifica popolare sulle scelte Comunali di Governo del Territorio, verifica intesa da Mussi, secondo sua definizione, come un vero e proprio “controllo dal basso”. “Il riscontro nella prassi della considerazione di Mussi sta tutto nella necessità che gli adempimenti conseguenti all’iter procedurale previsto per gli Atti di Pianificazione trovino corrispondente pubblicizzazione nei momenti preliminari della loro definizione, affinchè le scelte strategiche individuate non siano competenza esclusiva del Palazzo ma possano invece essere discusse, meditate e dibattute nelle sedi opportune in incontri coi Cittadini, con le Forze Politiche e Sociali, con Enti e Associazioni, per assegnare significato e qualità a quelle strategie, promuovendone il dibattito e rendendo esplicita la definizione di momenti operativi di urbanistica partecipata. Mi auguro che la stessa costruzione del “Piano Guida” degli obiettivi e delle scelte strategiche da adottare per l’Elba, conseguente a questa Conferenza, possa avvenire in questa linea di partecipazione , assegnando significato ed entusiasmo alla sollecitazione di Fabio Mussi”.

Siamo alla fine di agosto 2003: del “Piano Guida”, prospettiva progettuale dell’autunno scorso, non si parla più.

La popolazione residente nel Comune di Capalbio tende a diminuire anziché ad aumentare. Si può dire che essa sia praticamente stabile dal 1961 con una propensione semmai alla diminuzione anziché alla crescita. Nel decennio 1991- 2001 essa è infatti regredita da 4.014 a 3.750 unità ( - 6,5 per cento ). La leggera ripresa verificatasi dal ’91 ad oggi non è tale da modificare la tendenza di fondo.

Il Documento programmatico per l’avvio del procedimento di formazione del Piano Strutturale predisposto dall’attuale Amministrazione comunale sviluppa discorsi ricchi delle migliori intenzioni come “la riqualificazione, il riuso e la valorizzazione delle risorse”, affermando però subito dopo : “Ciò non vuol dire che il Piano strutturale non prevederà (sic!) interventi di espansione e di nuova edificazione”. Per chi, visto che il trend demografico è volto al calo o alla crescita zero?

Eppure il Piano strutturale, a macchia di leopardo e quindi nel modo più costoso per la comunità locale, prevede 72.714 metri cubi per nuove residenze, altri 53.033 mc per piani di edilizia economico e popolare nonché turistico-residenziali (dizione delle più ambigue e flessibili), poi 51.000 mc per volumetrie non residenziali e per ampliamenti di strutture preesistenti dello stesso tipo. Per un totale di 176.747 metri cubi di costruzioni o di addizioni completamente nuove.

I Residences sotto il Borgo e il cemento verso l’Oasi

Tutto ciò mentre già si va sviluppando nel Comune una edilizia la quale, in pratica, non ha nulla a che fare con le residenze stabili, ma che mette sul mercato immobiliare sempre nuove seconde o terze case sotto forma di lottizzazioni più o meno ampie. Con un consumo di terreni coltivati, oppure a bosco o a pascolo, sempre più ingente e con una trasformazione del paesaggio che in alcuni punti appare già stravolto o comunque manomesso. E’ il caso degli alti residences costruiti ai piedi del borgo medioevale sulla vasta area dell’ex Campo Sportivo, visibili distintamente (come nessun’altra lottizzazione prima d’ora) anche dall’Aurelia, sopra la vasta macchia mediterranea. Nonché dall’alto delle mura, oltre la macchia sottostante, essendo stato sanato in corso d’opera quasi un metro abusivo in più in altezza. E’ il caso della scadente lottizzazione sulla collina della Nunziatella, alle spalle della spiaggia di Macchiatonda.

Intanto si sta infittendo pericolosamente l’edilizia residenziale in offerta sul mercato dell’area metropolitana di Roma nell’abitato di Capalbio Scalo, soprattutto lungo l’asse che conduce alla località Selva Nera (ma non solo), con una operazione in grande stile – la prima che si conosca dopo decenni – della Società SACRA (Pirelli Estate) proprietaria di centinaia e centinaia di ettari sin qui agricoli dietro il lago di Burano fin dagli anni ’20 del secolo scorso. Una espansione edilizia che creerà sempre più problemi all’area protetta gestita dal Wwf, la quale ne viene come assediata.

Oltre tutto questa nuova edilizia intensiva viene realizzata sulla rete viaria esistente – quella ancora tipica della bonifica maremmana – la quale si rivela da subito insufficiente a contenere il traffico aggiuntivo, specie nelle settimane di punta di agosto. Anche infrastrutture nate per eliminare gli attraversamenti a raso dell’Aurelia, in assenza di un piano viario accettabile, stanno creando nuovi inconvenienti e pericoli su questa fascia di territorio delicatissima : il recente sovrappasso di Capalbio ha finito per scaricare sulla Strada Origlio, da Selva Nera a Capalbio Scalo e viceversa, un traffico assai superiore alle potenzialità di quella strada di campagna, con numerosi incidenti.

Nuove lottizzazioni fra uliveti secolari

Nuovi interventi edilizi minacciano ancor più da vicino – dopo i già citati Residences dell’ex Campo sportivo e dopo il quartierino multicolore, in rosa e giallo, edificato nella ex cava all’ingresso del paese – lo stesso borgo murato di Capalbio. E’ il caso della lottizzazione prevista nell’area del Bargello – delicatissima anche dal punto di vista paesistico – che digrada dalla Circonvallazione sino alla macchia mediterranea demaniale coprendo di ville e villette una zona quindi visibilissima da tutte le parti e costipando così di cemento, strade, parcheggi una fascia collinare fra il borgo e la macchia che concedeva una pausa di respiro all’insieme. Una ulteriore grave manomissione dell’ambiente e del paesaggio capalbiesi dopo quella prodottasi con la costruzione del maxi-parcheggio privato sotto le mura settentrionali di Capalbio Alta.

Presto saranno urbanizzate aree collinari sin qui integre, di uliveti secolari, come Poggio del Leccio dove già il PRG del 1995 – nonostante i pesanti tagli inferti dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici di Siena e Grosseto (titolare all’epoca Pio Baldi) - prevede volumetrie residenziali per complessivi 12.480 mc, o in zona Vignolo contigua a quella già citata del Bargello, divenuta zona di degrado (secondo la classificazione regionale) grazie all’improvviso sorgere di baracche e baracchette per pollame, maiali ed altro, e dove coleranno 5.400 metri cubi di fabbricati di una certa ampiezza.

Per altre splendide pendici collinari come quelle di Via di Vigna Murata, che scorre fra muretti a secco e grandi ulivi dal Cimitero di Capalbio al bivio per Pescia Fiorentina, la sorte sembra pure segnata : lungo l’arteria la mappa catastale evidenzia tanti lotti di proprietà già predisposti allo sfruttamento edilizio intensivo.

Operazioni destinate ad intensificarsi nella prospettiva dell’Autostrada Cecina-Civitavecchia qualunque sia il tracciato che verrà prescelto (e contro il quale si battono le Associazioni per la tutela dell’ambiente e del paesaggio), sia quello a costa voluto dalla Regione Toscana, sia quello intermedio sul quale stanno lavorando i tecnici della SAT. Il tracciato Lunardi, ancor più interno, praticamente tutto collinare, sembra, al momento, fuori gioco.

Operazioni che intaccano a fondo il patrimonio ambiente-paesaggio (naturalistico, agrario o storico che sia) e che creano le premesse per ulteriori interventi. Come ampiamente evidenzia e testimonia la costa laziale e il suo immediato entroterra.

Cosa minaccia il Piano degli Arenili

Il Piano degli arenili votato a maggioranza dal Consiglio comunale nel luglio scorso prevede sette nuovi stabilimenti nella fascia litoranea – oggi a spiaggia libera con duna alle spalle – che va (da nord a sud) da Macchiatonda all’Ultima Spiaggia con l’ampliamento di quest’ultimo noto stabilimento. Si tratta di un massiccio intervento destinato a trasformare in profondità tutto il sistema di fruizione delle spiaggia capalbiese e quindi anche l’assetto del territorio alle spalle di questa fascia litoranea sin qui frequentata da un pubblico di pendolari, in modo episodico. Un sistema che esigerà, di necessità, un deciso ampliamento delle pochissime strade che conducono al mare (oggi un paio, essenzialmente), con la creazione di parcheggi molto ampi come terminali a ridosso dei cordoni di duna, o addirittura il tracciamento di nuove arterie di adduzione.

In tal modo verrebbe rapidamente e drasticamente eliminata la più forte delle attrattive capalbiesi che è costituita – come più a nord nel Parco della Maremma – da una natura largamente integra o comunque poco sfruttata a fini turistici appiattendola al livello della costa laziale. Una sorta di modello-Ladispoli o Santa Marinella per un turismo di massa proveniente, in prevalenza, dall’area metropolitana di Roma che tende ad espandersi anche verso nord. Una sorta di conurbazione turistica di livello mediobasso, con pochissime strutture ricettive e una marea di seconde e terze case. A ridosso della costa e su di un sistema collinare qui assai più bello e intatto che altrove.

Sottratti capitali alla riqualificazione agricola

Investimenti in seconde e terze case che arricchiscono soltanto i suoi promotori, che appesantiscono fortemente gli oneri di urbanizzazione a carico della collettività (secondo calcoli recenti dell’ANCI i Comuni recuperano dalle lottizzazioni legali un quarto circa delle spese per servizi come luce, acqua, gas, ecc.) e che concentrano nel cemento speculativo la maggior parte di quei capitali che sarebbero invece preziosi per riqualificare l’agricoltura capalbiese. Favorendo ad esempio la ricomposizione di una maglia poderale molto frammentata, piantando vigneti selezionati in luogo di vigne superate o di pascoli degradati, curando in modo più acconcio gli uliveti e così via. Tutte operazioni pazienti e di lunga lena le quali richiedono progetti seri e investimenti adeguati. Senza dei quali passa trionfalmente un modello di sviluppo fondato quasi unicamente sullo sfruttamento del territorio in funzione di una speculazione edilizia di cortissimo respiro destinata a dissipare però in breve un patrimonio sedimentato nei secoli di beni e di risorse primarie irriproducibili le quali hanno composto un palinsesto paesistico storico-agrario-naturalistico di irripetibile fascino e di straordinaria attrattiva.

La sub-delega ai Comuni – e quindi anche al Comune di Capalbio – prevista dalla Regione Toscana

per la parte paesistica fa sì che il solo organismo superiore di tutela in grado di intervenire contro questa dissipazione (alla lunga suicida pure dal punto di vista della crescita socio-economica) rimangano le Soprintendenze statali, sia quella Regionale che quelle territoriali specializzate. Alle quali incombe un compito certo dei più impegnativi e alle quali tutti insieme ci appelliamo.

Popolazione residente nel Comune di Capalbio

( in unità )

1861 :321

1881 :417

1901 :709

1921 : 1.208

1936 : 1.664

1951 : 2.644 (prima della riforma agraria)

1961 : 4.027 (dopo la riforma agraria)

1971 : 3.947

1981 : 4.035

1991 : 4.014

2001 : 3.750

ALLEGATI

L’edificio a ridosso della Provvidenza, comincia la rotta (1996-97)

Vale la pena di documentare un caso che l’11 giugno 1996 ha aperto la strada a tutta una serie di speculazioni edilizie a ridosso del centro storico capalbiese.

In quella data viene presentata da Silvana Belmonti richiesta di autorizzazione a costruire un fabbricato plurifamiliare dietro l’antica Chiesa di Santa Maria della Provvidenza, edificio vincolato ai sensi della legge n. 1089/39, in zona considerata di rilevante interesse paesaggistico. La Commissione edilizia approva tuttavia senza obiezioni di sorta : è il 14 novembre 1996. Ma il 25 febbraio 1997 la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Siena e Grosseto, a firma arch. Pio Baldi, dispone “l’annullamento dell’autorizzazione in oggetto” e invita il Comune e per esso il Sindaco a vigilare “affinché l’unito provvedimento sia notificato agli interessati ed a vigilare sulla sua puntuale osservanza”. La Soprintendenza ritiene la costruzione “per le linee progettuali, l’altezza e l’ingombro volumetrico” (…) costituisca “un elemento invasivo e ingombrante in rapporto all’edificio religioso che è parte importante per l’antico centro storico abitato di Capalbio”. E pertanto la boccia.

Purtroppo non succede nulla. Nessuna vigilanza viene espletata dal Sindaco, né dalla Soprintendenza. Per cui Silvana Belmonti costruisce la sua abitazione plurifamiliare ed è l’avvio di un’era speculativa che non ha subito più interruzioni di sorta.

Altri casi gravi

a) sanatoria in corso d’opera per i Residences dell’ex Campo sportivo alti 70 cm. più del progetto approvato (e perciò perfettamente visibili dalle Mura del centro storico);

b) autorizzazione per una villa, anziché piccolo edificio per un salariato, ai Poggetti (l‘antico Tricosto) avvenuta addirittura a progetto di fatto già realizzato;

c) vicenda del maxi-parcheggio sotto le Mura, documentata in memoria dettagliata a parte, col progetto ampliato e trasformato da pubblico in privato con la sola delibera di Giunta, progetto in cemento armato firmato da un geometra (Marco Folli) presidente della Commissione Lavori Pubblici che rilascia l’autorizzazione, il quale sarà poi, ufficialmente, anche il direttore dei lavori.

Legambiente ha inviato il documento con le osservazioni al Piano Strutturale di Campo nell’Elba al Sindaco di Campo, al Presidente della Regione, al Presidente della Provincia ed al PNAT.

Un lungo documento, ben quattordici pagine, ricco di note puntuali, com’è nello stile dell’Associazione. Il risultato di queste osservazioni conforta purtroppo le anticipazioni date nei mesi precedenti la stagione estiva e le proteste che si levarono da più parti ad opera di cittadini e di comitati. Legambiente infatti, al termine della disamina, boccia senza appello le previsioni dell’Amministrazione campese.

Il Piano Strutturale del Comune di Campo nell’Elba pare in netta contraddizione con il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Livorno e con la Legge Regionale 5/95, Norme per il governo del territorio, infatti, il Piano si sviluppa con previsioni di massiccia cementificazione del territorio che ignorano l’art.5 della suddetta legge ed in particolare il comma 5 che prescrive: “Nuovi impegni del suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono di norma consentiti quando non sussistono alternative al riuso e riorganizzazione degli insediamenti e infrastrutture esistenti. Devono comunque concorrere alla riqualificazione dei sistemi insediativi e degli assetti territoriali nel loro insieme ed alla prevenzione e recupero del degrado ambientale”

Il Piano Strutturale è costruito sulla base di una previsione di crescita trentennale della popolazione valutata in 900 abitanti e con una presunto fabbisogno di alloggi odierno di 659 alloggi. Il Piano Strutturale prevede una massiccia edificazione di 480.000 metri cubi per un numero di 1500 nuove abitazioni.

Formare le previsioni del Piano sulla base di un enorme sviluppo demografico (circa il 20% di crescita prevista), che non trova riscontro nella realtà del Comune di Campo nell’Elba, dell’Elba, della Provincia di Livorno, della Toscana, e dell’Italia, pare un escamotage per giustificare una massiccia cementificazione del territorio. Infatti la popolazione del Comune di Campo nell’Elba dal 1951 al 2001 ha avuto un incremento di soli 98 abitanti ma un calo di 110 abitanti rispetto al 1982.

Ma anche questo molto più contenuto ed oscillante incremento della popolazione non giustificherebbe le previsioni del Piano in merito alle prime case: infatti la crescita della popolazione è il frutto non di un reale incremento della natalità ma delle residenze di comodo (causa agevolazioni ICI, tariffe, tasse, ecc.) di coloro che risiedono a Campo nell’Elba per pochi mesi all’anno o di immigrazione per lavoro da parte di persone che hanno in grandissima parte già soddisfatto le loro esigenze abitative.

L’esigenze di prima casa sono del resto grandemente soddisfatte da un Piano di Edilizia Economica e Popolare già fortemente sovradimensionato che prevede la costruzione di ben 100 mila metri cubi di nuovi appartamenti. Ben 264 case sparse in tutto il territorio, una cementificazione che, con servizi e parcheggi raggiungerebbe circa 170.000 metri quadrati.

Le esigenze di prima abitazione previste dal PEEP appaiono esagerate e non corrispondono certamente alla reale situazione del Comune di Campo nell’Elba, un territorio già pesantemente provato dalla speculazione edilizia, dalla presenza massiccia e prevalente di seconde, terze e quarte case e nel quale le emergenze abitative sono limitate e facilmente individuabili.

Non si può usare anche il PEEP per favorire una nuova ed indiscriminata espansione urbanistica, occorre un’attenta analisi del PEEP per individuare le giuste esigenze di prima casa da soddisfare.

E’ evidente che l’ emergenza abitativa esistente nel comune è costituita realmente da persone con scarse disponibilità economiche o da giovani coppie che, comunque, non sono quasi mai i proprietari dei terreni interessati dalle previsioni del Piano Strutturale e che non avrebbero le risorse per costruirsi una casa agli altissimi costi di acquisto del terreno e di costruzione correnti, il Piano Strutturale rischia di non dare soddisfazione proprio a questi limitati casi che hanno realmente bisogno della prima casa e sembra molto più verosimilmente rivolgersi a famiglie e componenti di famiglie che hanno già case di proprietà ed a volte ne dispongono di più di una e le utilizzano per il mercato estivo degli alloggi per turisti.

In particolare sono preoccupanti le previsioni per l’U.T.O.E. 5 C, un’area di oltre 200 Ha tra la piana di Campo e la Pila e delimitata a monte dalla strada “pedemontana” che si vorrebbe realizzare.

Se si prevede una volumetria presunta assai estensiva e che “le nuove edificazioni potranno essere autorizzate solo previa stipula dì apposita convenzione con l’Amministrazione Comunale .” con la cessione “di norma” deI 50% del territorio impegnato, nell’ipotesi, minima di 4 nuove unità immobiliari di 170 mq per Ha., su uno o due piani, con lotto minimo di 2500 mq., si ha una capacità insediativa di 400.000. mc eccedente di oltre 100.000. mc. le quantità necessarie a soddisfare il fabbisogno dichiarato dal Piano Strutturale.

Le volumetrie previste nelle rimanenti “aree di frangia” risultano aggiuntive rispetto al fabbisogno dichiarato dal Piano.

Il Piano Strutturale prevede una crescita enorme ed ingiustificata delle aree edificabili con un eccesso di superfici e di aree non strettamente utili, che consentirebbe una cementificazione del territorio comunale insostenibile.

Inoltre, la prescrizione che prevede “di norma” la cessione del 50% dell’area, è preoccupante per la discrezionalità che introduce nei rapporti tra i cittadini e l’Amministrazione Comunale.

Il Piano Strutturale prevede indiscriminatamente nuovi volumi e edificazioni in terreni oggi classificati agricoli, proponendo la distruzione del paesaggio agrario residuo, mentre lo sviluppo sostenibile e duraturo viene genericamente citato nel Piano ma mai realisticamente posto in essere con misure precise.

Al contrario, il Piano Strutturale appare come uno strumento urbanistico superato che ripropone un vecchio modello di sviluppo che mostra evidenti segni di crisi, in contrasto con quanto previsto dal più moderno e meditato Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Livorno, con il Piano dei Porti e degli Approdi Turistici della Regione Toscana, con le norme sulle Aree a Pericolo elevato di Frana e di esondazione, ma le sue previsioni collidono anche in maniera fortissima con la presenza del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e con la legge 394/91 e il Decreto del Presidente della Repubblica che istituisce il Parco Nazionale e fissa le norme di salvaguardia.

Un Piano Strutturale che non tiene conto della adozione in itinere del Piano del Parco e del Piano Pluriennale Economico e Sociale e che, anzi, tende a vanificare con le sue previsioni un corretto uso del territorio dell’Area Protetta del SIC Monte Capanne-Enfola e della ZPS di Pianosa,.

Un Piano Strutturale che va quindi radicalmente rivisto, abbassando drasticamente indici e previsioni urbanistiche esagerati ed azzerando opere inutili, dannose e di insostenibile impatto economico e ambientale.

Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano,

Il Piano sembra ignorare e sminuire la presenza su gran parte del territorio del Comune di Campo nell’Elba del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, ignorandone spesso i vincoli e il Piano del Parco in via di approvazione, ma soprattutto quella del sito di Interesse Comunitario (SIC) di ” Monte Capanne e promontorio dell’Enfola” (SIR 58 IT5150012) che occupa tutto il versante sud occidentale del Comune e dalla Zona di Protezione Speciale (ZPS) dell’Isola di Pianosa, che è anche un SIC (SIR 59 IT5150013) le due aree sono comprese nella Rete Natura 2000.

Per questo invitiamo l’Amministrazione Comunale a soprassedere da qualsiasi previsione relativa alle aree protette dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano contenuta nel PEEP, nel cosiddetto Piano Spiagge e nel Piano Strutturale, e riteniamo “utile stabilire una salvaguardia generale che limiti la possibilità di intervenire su immobili esistenti con le metodologie del restauro, della manutenzione ordinaria e straordinaria, della ristrutturazione edilizia D1 o leggera, rinviando al Parco la specifica normativa di intervento su tali aree” in attesa dell’approvazione del Piano del Parco, così come indicato dalla Provincia di Livorno nella Delibera 130 del 1/10/2001 e dallo stesso Ente Parco nelle prescrizioni al Piano Strutturale di Portoferraio che il Comune di Portoferraio (e successivamente quelli di Marciana Marina e Marciana che hanno accolto le osservazioni in tal senso di LEGAMBIENTE) ha recepito.

Questo vale ancor più per l’Isola di Pianosa protetta, oltre che dal Parco Nazionale e dal D.M. che istituisce l’area marina protetta, anche da una Zona di Protezione Speciale e dove addirittura il Piano Strutturale propone di creare un aeroporto, un porto (vedi attrezzature sovracomunali) non previsto dal Piano dei Porti e degli approdi turistici della Regione Toscana, uno stabilimento balneare e punti blu; ipotesi che vanno nettamente respinte per il loro fortissimo impatto ambientale su un ambiente unico e delicatissimo e che contrastano con i vincoli imposti dal Decreto del Presidente della Repubblica che istituisce il Parco Nazionale, con la legge 393/91 e successive modifiche, con le direttive europee per la salvaguardia di SIC e ZPS.

In relazione a quanto sopra scritto si evidenziano alcune incongruenze e previsioni inaccettabili riscontrate nel Piano Strutturale:

Fetovaia

In questa UTOE sono previste aree di insediamento intensivo, esterne ai centri storici dotate di adeguate infrastrutture.

Non è chiaro se il Regolamento Edilizio potrà prevedere una saturazione edilizia. Il Piano Strutturale non definisce le unità abitative previste, i metri cubi per nuove edificazioni e recupero del patrimonio edilizio.

Fetovaia ha già subito una notevole cementificazione, fatta di seconde case o strutture alberghiere, già fortemente eccedente rispetto all’esiguo numero di residenti.

Vi è comunque un equilibri paesaggistico che va salvaguardato non aggiungendo nuove costruzioni o ampliamenti da immettere sul mercato delle seconde case.

Si richiede di trasformare l’area come UTOE 5 B, ovvero area di insediamento diffuso.

- E’ previsto un ambito UTOE 5 C di frangia oltre il Fosso del Canaletto e lungo la strada provinciale per Pomonte.

L’area è in parte compresa nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, il cui perimetro intorno a Fetovaia non è rintracciabile sulla Tavola 1 dei sistemi territoriali.

La possibilità di nuove edificazioni in questa zona destinando il 50% ad opere di urbanizzazione ed infrastrutture porterebbe il perimetro dell’abitato in una zona attualmente a vincolo paesistico-ambientale in gran parte compresa nel perimetro del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano,.

Anche l’impianto di depurazione fognario è previsto in un’area ricadente nel perimetro del PNAT.

Si invita l’Amministrazione Comunale a rinunciare ad ogni previsione che riguardi il territorio del Parco Nazionale

Seccheto, Vallebuia, Cavoli, Colle Palombaia

Anche in queste località si prevedono aree di frangia che consentirebbero una massiccia cementificazione del territorio intorno agli abitati.

A Seccheto è prevista un’ampia zona di frangia in una zona ad elevata pendenza, ad est del Fosso di Vallebuia e compresa nel perimetro del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, dove le nuove costruzioni sarebbero realizzabili solo con grandi sbancamenti. Tutto questo in aperta violazione dei vincoli del PNAT, della legge 394/91 e del DPR istitutivo del Parco.

Le stesse osservazioni valgono per l’ UTOE 5 B tra la strada provinciale e il campo sportivo in una zona interamente compresa nel perimetro del PNAT. per il suo elevato valore ambientale e paesaggistico sul crinale tra il golfo di Seccheto e quello di Cavoli.

Anche in località Vallebuia l’UTOE 5 B si estende almeno per il 50% in una zona compresa nel PNAT.

Non è pensabile un’ulteriore edificazione in Vallebuia, valle a destinazione eminentemente agricola.

Queste previsioni contrastano nettamente anche con quanto previsto dal Piano del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano in via di adozione.

SIC, ZPS, IBA

Lo stesso criterio di salvaguardia precauzionale pensiamo debba essere tenuto per il territorio comunale incluso nel Sito di Interesse Comunitario Monte Capanne Promontorio dell’Enfola (anche in relazione alle ipotesi di nuove costruzioni nelle UTOE che sono in gran parte ricompresse nel SIC), se non si andrà immediatamente ad una puntuale definizione del SIC nel Piano Strutturale ed all’accoglimento dei vincoli nelle norme tecniche.

Si ricorda che l’individuazione del SIC è stata effettuata nel progetto Bioitaly; successivamente, con la L.R. 56/2000, è stato individuato come Sito di Importanza Regionale (SIR 58 IT5150012): L’elenco dei siti individuati nel progetto Bioitaly è stato approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 342/1997. E’ evidente, per le precise misure di salvaguardia relative ai Siti di Interesse Comunitario, che occorre definire con certezza nel Piano Strutturale i confini del SIC nel territori comunale. Va ricordato che l’Unione Europea ha avviato numerosi procedimenti di infrazione Amministrazioni Comunali e Governi che hanno posto in atto strumenti che non rispettavano i vincoli imposti dalla presenza di Siti di Interesse Comunitario e Zone di Protezione Speciale, quindi ogni intervento andrà commisurato ai vincoli del SIC e della ZPS imposti dall’Unione Europea.

Infatti, la Direzione per la Conservazione della Natura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio scrive nel documento NATURA 2000 ITALIA:

“Natura 2000 è una rete di aree destinate alla conservazione della biodiversità sul territorio de/l’Unione Europea. istituita dall’art. 3 della direttiva 92/43/CEE de l2l maggio 1992 per “la conservazione degli hababit naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche” (direttiva Habitat).

Tali aree denominate ZSC (Zone Speciali di Conservazione e ZPS (Zone di Protezione Speciale) nel loro complesso garantiscono la presenza, il mantenimento e/o il ripristino di habitat e specie del continente europeo, particolarmente minacciati di frammentazione e di estinzione. in particolare le ZPS sono definite dalla precedente direttiva 79/409/CEE per la conservazione di aree destinate alla tutela degli habitat delle specie di avifauna minacciate, denominata “direttiva Uccelli”

Al di là del numero e della tipologia degli organismi protetti. la rete Natura 2000 permette agli Stati membri di applicare il concetto innovativo di tutela della biodiversità riconoscendo l’interdipendenza di elementi biotici, abiotici e antropici nel garantire l‘equilibrio naturale in tutte le sue componenti.

La rete Natura 2000 è attualmente costituita dalle Zone di Protezione Speciale (Pianosa n.d.r.) e dall’insieme dei Siti di Interesse Comunitario proposti (pSIC) alla Commissione Europea dagli Stati membri (Massiccio del Capanne n.d.r.).

I due tipi di aree, SIC e ZPS, possono essere distinte o sovrapposte a seconda dei casi. Sulla base di

Sulla base di sentenze della Corte di Giustizia europea contro alcuni stati membri (Spagna, Francia e Regno Unito), i Sic debbono essere tutelati anche prima della loro designazione come ZCS, almeno impedendone il degrado. Infatti, secondo i principi del Trattato dell’Unione non è possibile che uno stato proponga da una parte dei siti per l’inclusione in Natura 2000 e dall’altra attività che danneggiano i valori naturalistici per i quali i siti sono stati identificati.

L’art. 10 del Trattato afferma che ogni Stato membro è tenuto ad adottare tutte le misure di carattere generale e particolare volte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità. Anche in assenza di misure di trasposizione o di applicazione di specifici obblighi posti da una direttiva, le autorità nazionali devono adottare tutte le misure possibili per raggiungere gli obiettivi perseguiti dalla direttiva. Essi devono astenersi dal prendere misure suscettibili di compromettere gravemente la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive, pena l’apertura di procedure a carico degli Stati membri e, per il principio della sussidiarietà, delle singole Amministrazioni regionali”.

Inoltre, si ricorda che l’intero territorio elbano e Pianosa sono identificate come IBA (Important Bird Area) per le quali l’Unione Europea ha stabilito che si applichino gli obblighi previsti dalla Direttiva “Uccelli”.

Valutazione di incidenza per SIC, ZPS e IBA

Tutto quanto sopra scritto è in evidente contrasto con le previsioni del Piano Strutturale di Campo nell’Elba che non tiene alcun conto di SIC, ZPS e IBA. Eppure queste misure di tutela del territorio dovrebbero incidere fortemente sulla stesura di un Piano Urbanistico e sulla sua futura applicazione.

“L’art 6 della direttiva “Habitat” e l’art. 5 del D.P.R. di attuazione 0.357 prevedono che ogni piano o progetto che possa avere incidenze significative su un Sito di Interesse Comunitario debba formare oggetto di una opportuna valutazione d’incidenza che tenga conto delle specifiche caratteristiche e degli obiettivi di conservazione del sito stesso.

Riguardo al campo geografico di applicazione, la necessità di redigere una valutazione d’incidenza non è limitata ai piani e ai progetti ricadenti esclusivamente nei territori proposti come siti Natura 2000, ma anche alle opere che, pur sviluppandosi al di fuori ditali aree, possono comunque avere incidenze significative su di esse. La valutazione infatti deve essere interpretata come uno strumento di prevenzione che analizzi gli effetti di interventi localizzati non solo in modo puntuale ma soprattutto, in un contesto ecologico dinamico, considerando le correlazioni esistenti fra i vari sui ed il contributo che ognuno di essi apporta alla coerenza globale della struttura e delle funzione ecologica della rete Natura 2000.

Inoltre, l’art. 6 prevede che un piano o un progetto possa essere realizzato per i siti caratterizzati da habitat e specie non prioritari, nonostante conclusioni negative della valutazione d’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, solo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica: in questo caso lo Stato Membro deve adottare ogni misura compensativa necessaria per garantire la tute la della coerenza globale della rete Natura 2000. Se il sito in causa è un sito in cui si trovano un tipo di habitat o di specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente o, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.

La valutazione d’incidenza deve essere realizzata dal proponente del progetto o del piano e presentata alla Regione interessata; essa ha lo scopo di identificare le possibili incidenze negative per il sito riguardo agli obiettivi di conservazione del medesimo. tentando, in applicazione del principio di prevenzione, di limitare l’eventuale degrado degli habitat dell’allegato 1 e la perturbazione delle specie dell’allegato 2 per cui il sito in esame è stato designato; ciò anche al fine di evitare l’apertura di procedure d’infrazione da parte della Commissione Europea. Nel caso si tratti di progetti di carattere interregionale, o nel caso in cui la Regione è il soggetto proponente, l’Autorità competente a valutare la relazione d’incidenza è quella nazionale.

Essa deve inoltre essere opportunamente documentata e motivata così da costituire un riferimento di base per la successiva fase decisionale: l’analisi attenta delle in formazioni riportate nel formulano di identificazione del sito rappresenta il primo passaggio sostanziale per la comprensione degli obiettivi di conservazione e consente il mantenimento della coerenza ecologica della rete Natura 2000.

Un’adeguata valutazione d’incidenza richiede che si considerino eventuali effetti congiunti di altri piani o progetti per valutare gli impatti cumulativi che spesso si manifestano nel tempo. Inoltre è opportuno considerare le possibili misure di attenuazione e le soluzioni alternative per limitare le incidenze che il progetto può avere sul sito in esame compromettendone l’integrità strutturale e funzionale. La valutazione d’incidenza, se corretta mente realizzata ed interpretata, diviene quindi uno strumento finalizzato alla sicurezza procedurale e sostanziale che con sente di raggiungere un rapporto equilibrato tra conservazione soddisfacente de gli habitat e delle specie ed uso del territorio: essa, incoraggiando a gestire in maniera sostenibile i siti Natura 2000, rappresenta un elemento chiave di attuazione del principio dell’integrazione dei fattori ambientali nella pianificazione e nell’esecuzione delle azioni previste per numerosi settori economici e sociali, Nel caso in cui l’opera in esame, ricadente in un sito Natura 2000, rientri nella categoria di interventi che debbono essere assoggettati alla Valutazione d’Impatto Ambientale, tale procedura può essere esaustiva, e quindi può non essere necessaria la valutazione d’incidenza, solo se comprende gli elementi specifici che identificano le possibili incidenze negati ve per le specie e gli habitat per le quali il sito è stato designato riguardo agli obiettivi di conservazione degli stessi: se invece tali elementi non sono valutati nell’analisi di VIA,, è necessario redigere ex novo una appropriata valutazione d’incidenza”.

Si invita il Comune a recepire nel Piano Strutturale e nel Regolamento Urbanistico quanto sopra scritto dalla Direzione per la Conservazione della Natura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio nel documento NATURA 2000 ITALIA .

Le indicazioni sulla metodologia procedurale e sui contenuti per la corretta realizzazione della valutazione d’incidenza sono riportati nel sito Internet della Commissione Europea, DG Ambiente all’indirizzo http://europa.eu.int/comm/environment/eia/home.htm, più esattamente nel documento “LA VALUTAZIONE DI PIANI E PROGETTI CHE POSSONO AVERE INCIDENZE SIGNIFICATIVE SUI SITI NATU:RA 2000- Guida metodologica alle indicazioni dell’art.6 commi 3 e 4 della direttiva “Habitat” 92/43/CEE.”

Aree Naturali Protette di Interesse Locale

Il Piano Strutturale propone la realizzazione di tre Aree Naturali Protette di Interesse Locale (A.N.P.I.L): Punta do Fetovaia, Monte Capanne Fascia sistema SIB e Monte Tambone.

Due delle A.N.P.I.L. non sono realizzabili in quanto inserite nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e le previsioni del Comune non paiono ben meditate. Infatti, la legge 394/91 prevede addirittura il contrario: All’articolo 22 comma 5 è scritto: “Non si possono istituire aree protette regionali nel territorio di un parco nazionale o di una riserva naturale statale”, quindi non certamente A.N.P.I.L. che sono aree protette riconosciute dalla Regione su proposta degli Enti Locali.

Anche per quanto riguarda l’ANPIL di Monte Tambone che verrebbe realizzata ai confini del Parco Nazionale (si fa notare nelle tavole del P-S. un perimetro errato del PNAT, che comprenderebbe tutto il territorio dell’ANPIL)

sarebbe meglio che il Comune trasformasse questa previsione in una richiesta alla Regione di istituzione di un’Area Contigua al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano così come contemplata dall’articolo 32 della legge 393/91, si otterrebbero così gli stessi risultati previsti dal Comune (caccia solo per i residenti) e non si aggiungerebbe alla presenza del Parco Nazionale e di un SIC, con una forma di protezione minore che troverebbe scarsa giustificazione dal punto di vista ambientale e sarebbe difficilmente gestibile.

Aree esondate ed a pericolosità idraulica elevata

La stessa disattenzione viene posta dal piano per le aree a pericolosità di inondazione elevata e molto elevata che il Comitato Tecnico di Bacino “Toscana Costa” della Regione Toscana ha individuato, nell’ambito dell’applicazione della Legge n.167 del 3/8/1998. Tali aree sono localizzate in corrispondenza alla “Pianura di Marina di Campo: area ad elevata pericolosità di esondazione che interessa parte del centro abitato di Marina di Campo nonché l’area del campeggio, in sinistra idrografica del Fosso Alzi. Estesa area ad elevata pericolosità idraulica compresa fra Fossi della Galea e della Pila, con limitate condizioni di rischio connesse con la scarsità di elementi antropici esposti” (fonte: Piano del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano) e che sono puntualmente sondate il 4 settembre 2002 provocando gravi danni; a queste vanno aggiunte le aree di Seccheto e Fetovaia esondate nell’estate 2002.

Il Capoluogo del Comune, Marina di Campo, si è sviluppato nel dopoguerra occupando una zona paludosa e un’area dunale. E si vede: frequentissimi allagamenti, anche il 4 settembre con lo straripamento del fosso Votabotte e l’allagamento di Via Vespucci.

Nell’estate 2001 LEGAMBIENTE aveva denunciato con forza il restringimento dell’alveo e della foce del fosso della Galea che sbocca in una zona con una forte concentrazione di campeggi. Nel tratto terminale del fosso, oltre a lavori di rettifica, era stato anche realizzato un parcheggio che si spingeva dentro l’alveo.

Nella primavera 2002 avevamo contrastato l’autorizzazione del Comune di Campo nell’Elba a far costruire, in un’area ad elevato rischio idraulico, un impianto per Go Kart.

Il 4 settembre 2002 il fosso della Galea è straripato e si è portato via il parcheggio e danneggiato la pista e le strutture del Go Kart.

Ma è l’intera piana tra la Pila e la Foce, una antica zona umida almeno fino agli anni 50/60, (che ospita anche l’aeroporto) ad essere stata occupata da strade, mega-antenne per la telefonia, svincoli, parcheggi costruiti in aree paludose…

E' d'altra parte sorprendente come sia stato trattato tutto l'argomento riguardante le problematiche geologiche e idrologico-idrauliche, indagini che non si traducono in Tavole rappresentanti i luoghi da salvaguardare per pericolosità rilevate, e di precauzioni da prendere luogo per luogo, espresse attraverso Norme. Non sono indicate le precauzioni che (con indicazioni cartografiche) dalle indagini avrebbero dovuto esser suggerite lungo e a lato di tutti i corsi d'acqua, nonché in corrispondenza e sull'intorno di frane in atto e quiescenti, di fratture, ecc. Poiché tutto il territorio dell'Elba è una rarità ben nota anche per l'alta complessità geologica e idrogeologica (che è alla base della unicità e del valore dei paesaggi e dell'ambiente elbano) le indagini fin qui svolte avrebbero dovuto dar luogo, già in sede di Piano Strutturale, a vere Norme, precisanti tra l'altro (in funzione degli Atti di pianificazione successivi) i criteri e metodi da adottare sia nelle ulteriori, particolareggiate indagini da svolgere, sia nella definizione di più particolareggiate Norme.Pertanto, parti essenziali del Piano Strutturale devono essere rivedute, anche alla luce di quanto recentemente successo, tutte le previsioni contenute nel Piano Strutturale che riguardano nuove edificazioni e realizzazioni di infrastrutture in queste aree ad elevata pericolosità e di nuove e recente esondazione ed a rischio di frana.





Interporto

Invece, è proprio qui e nelle zone limitrofe (UTOE 4 Attrezzature logistico Produttive) che il Piano strutturale prevede un inutile interporto con migliaia di metri quadri di asfalto, nuove opere stradali, un’area adibita a sosta camper, e nuova edificazione diffusa che prevede circa 10.000 mq di superficie coperta per impianti produttivi che non comprendono “le volumetrie da assegnare alla struttura dell’interporto, per la quale ogni tipo di previsione è rinviata al R.U.”.

In particolare la realizzazione di un interporto per camion non ha nessuna validità per un piccolo paese come Marina di Campo, si rivolge (come del resto quasi tutte le infrastrutture previste) alla risoluzione di problemi di traffico che esistono davvero solo per 15 giorni all’anno e propone una soluzione “autarchica”, che avvicinerebbe ugualmente il traffico pesante al paese ed aumenterebbe in maniera esponenziale il piccolo traffico tra l’interporto e le frazioni, creando ulteriori disagi alla circolazione esattamente nel tratto che si vorrebbe decongestionare.

Forse un interporto avrebbe senso a livello elbano, magari a Portoferraio, non certo come servizio per un solo Comune ed a ridosso di uno dei centri turistici maggiori.

Viabilità

Il Piano Strutturale prevede una nuova strada “pedemontana” che dovrebbe partire dall’incrocio della nuova tangenziale della Pila, lambire l’area industriale, piegare verso sud connettendosi e scambiandosi con una rotonda con l’attuale strada che dalla Pila arriva a Sant’llario e prosegue per un tortuoso itinerario fino ad innestarsi sulla strada per Cavoli e l’anello occidentale.

Se realizzata, la “pedemontana risulterebbe un’opera con un fortissimo impatto ambientale e paesaggistico; il suo percorso sembra dettato più dall’obiettivo di raggiungere nuove aree edificabili che dalla ricerca di una minimizzazione dell’ impatto sul territorio, il percorso non garantisce nemmeno efficacia dal punto di vista della viabilità.

L’ipotesi di percorso della “pedemontana” non è sostenuta da studi dei volumi di traffico e da un Piano Urbano del Traffico serio; è un’altra delle opere che serve esclusivamente a risolvere un problema che si presenta solo in agosto; risulta sovradimensionata rispetto ai problemi che si dice di voler affrontare e con costi di realizzazione elevatissimi.

Si invita l’Amministrazione Comunale ad individuare soluzioni meno impattanti sull’ambiente ed il paesaggio, meno lunghe e tortuose, meno costose da realizzare e più efficaci per lo smaltimento del traffico estivo ed il suo allontanamento da centro abitato di Marina di Campo.

La viabilità minore viene identificata da una tavola del piano strutturale, prevede una ragnatela di strade nel comparto territoriale di Marina di Campo.

La rete di nuove strade è pensata a servizio di aree di nuova edificazione e sembra convergere su una nuova viabilità che s’inerpica in fortissima pendenza attraverso aree di elevato valore ambientale e praticamente disabitate, un itinerario tortuoso che sale fino alle Coste Grandi, per poi dirigersi, con pendenze ripidissime, alla spiaggia di Galenzana, spingendosi fin dentro il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ed interferendo pesantemente con il SIC Monte Capanne.

L’impatto ambientale su una costa di altissimo pregio ambientale e paesaggistico sarebbe devastante ed ingiustificabile.

L’itinerario proposto per raggiungere da sud Galenzana, tortuoso, prolungato immotivatamente fino a Coste Grandi e con fortissime pendenze appare assolutamente immotivato dal punto di vista della viabilità e dell’impatto ambientale, in netto contrasto con la tutela prevista dal Piano del Parco per Galenzana.

Una previsione inutile e dannosa che va stralciata e cancellata dalle previsioni del Piano Strutturale.

Porto Turistico di Marina di Campo

Il Piano Strutturale prevede un porto turistico all’esterno dell’attuale porto, con costruzione di nuove strade, si dice anche in galleria.

L’ipotesi di un porto da 750 barche è inaccettabile dal punto di vista ambientale e paesaggistico e devasterebbe irrimediabilmente una costa fragilissima.

Questo porto sorgerebbe esattamente di fronte alla magnifica spiaggia di Galenzana ed ai confini del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e del SIC di Monte Capanne-Enfola.

Contro questa disastrosa ipotesi negli anni passati si sono espressi i cittadini di Marina di Campo, le Associazioni ambientaliste ed alcune forze politiche che oggi fanno parte della maggioranza e della minoranza del Comune di Campo nell’Elba.

Infatti, il Porto non è contemplato nel Piano Regionale dei Porti e degli Approdi Turistici della Regione Toscana; la stessa Regione ha respinto negli anni passati questa ipotesi, indicando nel recupero dell’area portuale di Marina di Campo e nella realizzazione al suo interno di un approdo turistico la soluzione che ci trova completamente d’accordo.

Tutela dei beni archeologici

Il Comune di Campo nell’Elba ha un patrimonio storico-culturale enorme, con circa 30 emergenze censite, molte delle quali all’interno o nelle immediate vicinanze dei centri abitati di Marina di Campo, San Piero, Sant’Ilario, Seccheto, Cavoli, Pomonte, (vedi cartografia allegata al Piano del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano), alcune sono comprese in UTOE dove il Piano Strutturale prevede nuove costruzioni ed ampliamenti, si invita ad inserire nel Piano Strutturale norme di salvaguardia e tutela per i beni archeologici e storici del Comune ben più efficaci e puntuali di quanto genericamente contenuto nelle Norme Tecniche, noi suggeriamo di inserire nel Piano Strutturale e nel Regolamento Urbanistico le seguenti frasi: “Chiunque, pubblico o privato, in regime di DIA o autorizzazione o concessione, debba incidere il sottosuolo dei centri storici o delle aree censite quali emergenze archeologiche, onde evitare la possibile dispersione o distruzione di dati storico-archeologici importanti o determinanti per la ricostruzione della storia di Marciana, è tenuto a incaricare un archeologo di sua fiducia e di comprovata esperienza con la qualifica di docente universitario o ricercatore CNR o direttore di scavo su concessione ministeriale o professionista con specializzazione post laurea o professionista laureato con almeno 3 anni di tirocinio presso Istituti scientifici o professionista laureato operante presso cooperativa archeologica riconosciuta da Soprintendenza per i Beni Archeologici. L’archeologo incaricato si assumerà la responsabilità del controllo degli scavi. Ove da questi ultimi emergano cose di interesse storico-archeologico di cui all’art. 2 del Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, l’archeologo incaricato dovrà farne denuncia entro ventiquattro ore al Soprintendente o al Sindaco ovvero all’Autorità di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 87, 1 del suddetto D. Lgs., per i provvedimenti del caso”.

Definizione dei criteri di utilizzazione degli arenili con formazione di punti di ormeggio e modifica del P.D.F. vigente nel rispetto della “Direttiva Regionale per la Fascia Costiera” n° 47/90

Le condivisibili premesse contenute nella Relazione di “riduzione della pressione sulla costa” ci paiono ampiamente contraddette dalle previsioni della Variante, così come quanto proposto non ci pare confermare “gli indirizzi generali del PIT per la riqualificazione complessiva dei valori della Toscana turistico. agricola e per il riequilibrio costa-entroterra”.

L’impressione netta è che, partendo da promesse e dati condivisibili, si approdi a scelte che niente hanno a che fare con il riequilibrio economico ed il recupero di errori e ritardi nell’uso sostenibile del territorio e delle risorse, anzi si ripropone il modello di sviluppo turistico ormai in crisi e basato sullo sfruttamento intensivo di territorio e risorse. Il tutto sottacendo che, rispetto ai dati della Variante, la situazione attuale risponde bene non solo alle notevoli presenze estive “ufficiali” ma anche alle esigenze ulteriori di un turismo “sommerso” (quantificabile in presenze in circa il 50% di quello ufficialmente censito e riconosciuto) che la Variante non valuta, mentre propone una inesistente crescita demografica .

La Variante non propone e non raggiunge affatto la declamata “riduzione della pressione sulla costa”, anzi, la aggrava con previsioni urbanistiche e di intervento sulle spiagge, particolarmente a Marina di Campo.

Marina di Campo

E’ soprattutto qui che la Variante va ben oltre il “Piano Spiagge” ed assume un vero e proprio connotato di “pre-Piano Strutturale”: vendita e spostamento delle scuole, previsione di nuove strutture alberghiere (Sottozzona H2 Alberghi, la dove si dice: “per gli alberghi di nuova previsione su terreni non edificati si applicheranno i seguenti indici: If. = 0,50. Rapporto di copertura 30%. Altezza Massima 3,50); ampliamento delle strutture esistenti fino ad un massimo del 20%; interventi edilizi sulle cosiddette “dune pinetate” in cambio di un uso pubblico della fascia di Pineta a ridosso della spiaggia; nuova concessione balneare privata nel tratto di spiaggia libera più affollato e tradizionalmente usata dai cittadini di Marina di Campo; concessioni di specchio acqueo per l’ormeggio di piccole imbarcazioni con la possibilità di ricavare altre aree di ormeggio in futuro.

Nelle schede del quadro conoscitivo si fornisce una fotografia dell’esistente che sottovaluta la reale percentuale di spiaggia occupata dalle concessioni attuali, limitando a pochi metri quadrati l’utilizzo dell’arenile da parte di noleggi e “scuole surf” che in realtà occupano necessariamente una superficie molto più ampia (la scheda allegata alla Variante indica un 37,55% che è sicuramente il dato “ufficiale”, mentre già oggi le strutture private oltrepassano di molto il 40% di utilizzo “reale” della superficie della spiaggia).

La spiaggia di Marina di Campo appare quindi già oggi fortemente privatizzata, attrezzata, sorvegliata (almeno 20 bagnini), con 6 stabilimenti balneari e con una decina di strutture di ristoro tra la spiaggia e nelle immediate vicinanze, con altre strutture di noleggio barche e ombrelloni e scuole surf; l’arenile non necessita di nuovi stabilimenti o “punti blu”, ma di una riqualificazione dell’esistente ed di una attenzione maggiore alla spiaggia libera ed ai diritti di bagnanti, mentre la variante propone una serie di concessioni private intervallate da piccoli corridoi di spiaggia libera.

La spiaggia di Marina di Campo ha perso, dal dopoguerra ad oggi, quasi per intero il suo sistema dunale, e lo stesso arenile è stato devastato ed eroso da strade sulla spiaggia, da opere portuali e da costruzioni a ridosso del mare e dalle attrezzature balneari, I ripascimenti degli ultimi tempi e le strutture a mare hanno solo alleviato il fenomeno erosivo, con avanzamenti della battigia di breve periodo e di scarsa importanza.

Un grandissimo patrimonio ambientale e paesaggistico di cui rimangono alcune tracce nelle pinete private (certamente più “naturali” e salvaguardate del tratto di pineta pubblico), è singolare che l’Amministrazione Comunale chieda di rendere pubblica una fascia di pineta, mentre concede ai privati nuove aree della spiaggia, ed offra in cambio nuove edificazioni ed ampliamenti in un’area da salvaguardare assolutamente. Un grandissimo patrimonio ambientale e paesaggistico di cui rimangono alcune tracce nelle pinete private (certamente più “naturali” e salvaguardate del tratto di pineta pubblico).

Si tratta delle pinete oggi private dell’area tra Via Giannutri e La Foce, quelle pinete che fin dal Pdf del ‘77 furono assurdamente destinate a verde pubblico e per i 5 anni successivi rischiarono - come di nuovo oggi - di essere espropriate. Per essere poi certamente degradate e sfruttate commercialmente, come è capitato alla porzione che fu donata al Comune.

Non si vede alcuna necessità di un provvedimento del genere, che con il pretesto di un improbabile ripristino di “finte dune” vuole in realtà “risolvere” il grave problema dell’erosione con l’arretramento della spiaggia, per poi creare nuove opportunità di sfruttamento commerciale,

Un tale provvedimento appare in contrasto con le prescrizioni della DR 47/90 che con l’ordinamento generale (l’arenile, essendo “demanio naturale”, non può essere oggetto di pianificazione innovativa, bensì solo di ricognizione e descrizione grafica).

Si vorrebbe addirittura porre sotto tutela AST (area di ripristino ambientale) un’area della pineta privata in condizioni naturali eccellenti e ben migliori di quelle della porzione pubblica della pineta stessa, ormai in stato di quasi abbandono, con ben tre concessioni commerciali.

Nella stessa pineta che si vuole sottrarre al privato per “tutelarla” si consentirebbe invece la costruzione di un residence, in ossequio all’assurdo proposito “pinete in cambio di volumi”, proposito inattuabile nelle zone dunali e retrodunali secondo il dettato della 47/90.

Ma si introduce anche una discriminazione tra privati “normali” e privati imprenditori.

Mentre i primi verrebbero espropriati di quote di proprietà fino all’80%, le attività economiche non verrebbero toccate. Pertanto, chi in qualche modo sfrutta commercialmente la pineta se la può tenere, mentre la dovrebbe cedere chi semplicemente e onerosamente la cura e la valorizza con beneficio per tutti.

E’ evidente che si intende rendere sfruttabile una nuova fetta dell’arenile, non riconoscendo alcun valore al fatto che nessuno dei proprietari ha mai pensato di sfruttare economicamente le proprie pinete in questi 40/50 anni, da ben prima, cioè, che venissero posti vincoli da parte dell’amministrazione comunale.

Lo stesso nubifragio del 4 settembre scorso, dimostra che l’aver mantenuto privata la pineta e intatta la natura ha contribuito non poco al contenimento dei danni. Se invece di pini e macchia mediterranea vi fossero stati manufatti, o se fossero stati fatti sbancamenti, i danni sarebbero stati ben più gravi.

L’unico danno in pineta si è verificato, non a caso, nella proprietà adiacente al camping La Foce. La piena è “rimbalzata” sulle strutture del campeggio, sorte sul vecchio letto, ed ha scavato un nuovo solco largo una decina di metri nella parte anteriore della proprietà, sino ad oggi mantenuta intatta come quelle degli altri proprietari. Se il letto del torrente non fosse stato stravolto negli ultimi decenni la piena non avrebbe avuto effetti così devastanti.

La cementificazione, quindi, non è solo quella dei nuovi alberghi o delle seconde e terze case, ma anche quella dei corsi d’acqua, che sono stati deviati, riempiti di detriti, di parcheggi, di costruzioni di ogni tipo.

Nel piano spiagge (recepito dal Piano Strutturale) nessuna previsione è fatta per risolvere il drammatico e urgente problema dell’arretramento del mare al centro del golfo di Campo, che ben risulta anche dai rilievi batimetrici della tavola 3 presentata dagli stessi progettisti. Da essa si apprende che in 30 anni la profondità della spiaggia centrale si è ridotta di 2/3. in alcuni punti di 3/4

Prima di ogni altra iniziativa, occorre assicurare che l’erosione non aumenti, e che anzi sia riconquistata la spiaggia creata in millenni dal mare e persa in pochi anni di follia amministrativa.

Per questo chiediamo all’Amministrazione comunale:

1. l’adozione di provvedimenti finalizzati a bloccare l’erosione della spiaggia centrale e ripristinarne le dimensioni ore-1971 ovvero precedenti all’allungamento del molo maggiore, come prescritto dalla Dir. Reg. 47/90;

2. I’eliminazione del vincolo pubblico sulle pinete private per poter assicurare al golfo di Campo il suo unico fascino, la protezione dagli incendi, la cura delle pinete.

Per quanto riguarda il nuovo stabilimento balneare (scheda 8) è anche da rimarcare che sorgerebbe in un punto in cui la spiaggia è poco profonda, tanto che le mareggiate invernali interessano anche la strada litoranea, lo stesso vale per alcuni ampliamenti di altri stabilimenti e per il posizionamento di alcune strutture di ristoro (zona Iselba, scheda 6), ci pare che non si sia ben valutata la profondità della spiaggia in alcuni punti (oppure non si è tenuto conto della fascia di spiaggia a ridosso del mare che deve essere comunque libera da concessioni), forse sarebbe necessario un nuovo sopralluogo e nuove misurazioni durante la stagione estiva per verificare la possibilità di ampliamenti rispetto alla situazione reale di un’arenile che ha subito forti regressioni in alcuni punti e garantire la sicurezza delle nuove strutture e l’integrità della spiaggia.

Chiediamo che l’Amministrazione Comunale riveda le sue previsioni e si indirizzi verso una riqualificazione delle concessione e dei soli servizi esistenti.

Fonza

Siamo nettamente contrari alla realizzazione dello stabilimento balneare a Fonza previsto dalla Variante.

La piccola spiaggia è compresa nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ed è lontana dal turismo di massa, un oasi di tranquillità che verrebbe irrimediabilmente modificata da una struttura che, vista la necessità di un tornaconto economico, sarebbe costretta ad attirare nuove presenze con un aumento di traffico automobilistico che provocherebbe un forte impatto su un’area di così grande valore ambientale e paesaggistico che il Piano del Parco la inserisce in zona B di Riserva Generale Orientata, difficilmente compatibile con le proposte della Variante.

Galenzana

La spiaggia è in fortissima erosione ed anche qui il sistema dunale è ridotto a rari brandelli da opere murarie che impediscono il naturale ripascimento della spiaggia, la strada pubblica di accesso è crollata e una staccionata impedisce l’accesso alle spiaggette dei Salandri che la Variante non prende neppure in considerazione. La scheda del quadro conoscitivo da una visione non corretta della realtà di Galenzana: ben 18 metri di larghezza media (mentre la spiaggia è ridotta al massimo a 4/5 metri nei tratti più ampi ed è ormai scomparsa in buona parte dei 370 metri di costa occupata un tempo), così come sono note le presenze di manufatti edilizi e di residui di dune e di vegetazione costiera che la scheda nega.

La Variante dovrebbe essere meglio indirizzata al recupero dell’intera costa tra il Porto e Galenzana, all’abbattimento di strutture che impediscono il naturale ripascimento, alla salvaguardia della prateria di posidonia presente, fattore determinante contro l’erosione, messa in pericolo dalla presenza dell’alga Caulerpa Taxifolia. Invitiamo l’Amministrazione Comunale a concordare con l’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (che nel Piano del Parco propone per Galenzana una zonizzazione B) iniziative e progetti volti al recupero naturalistico e paesaggistico di Galenzana.

Colle Palombaia

Le proposte dell’Amministrazione Comunale hanno il sapore di una sanatoria di una situazione abusiva che si trascina da anni e più volte denunciata da LEGAMBIENTE.

La spiaggia è compresa nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (proposta come zona B dal Piano del Parco) ed è frequentata da un turismo appartato e “spartano” e da una presenza di bagnanti provenienti dalla frazione di San Piero, l’accesso è consentito dalla scalinata detta dei 200 scalini che effettua una ulteriore selezione allontanando i frequentatori più pigri che cercano proprio le spiagge attrezzate che si vorrebbero ricreare a Colle Palombaia.

Non si comprende la contemporanea creazione di uno stabilimento balneare e di un punto azzurro in una spiaggia di limitate proporzioni e con frequenze abbastanza contenute.

Seccheto, Cavoli, Fetovaia

Pur concordando con le proposte di valorizzazione e salvaguardia, si invita l’Amministrazione Comunale a non permettere che le attrezzature per il miglioramento igienico-funzionale siano realizzate a ridosso delle spiagge e che vengano allontanati dalle aree di balneazione i campi boe per l’ormeggio e lo stazionamento delle imbarcazioni. . Si esprimono perplessità per l’intenzione di espropriare parte della pineta di Fetovaia per costruire aree di picnic e servizi rintracciabili anche nelle immediate vicinanze.

Inoltre si invita l’Amministrazione a non consentire in tutto il territorio comunale nuove autorizzazioni per il noleggio di moto d’acqua e similari.

Pianosa

E’ evidente il tentativo dell’Amministrazione Comunale di ampliare surrettiziamente la quantità di costa balenabile per giustificare alcuni parametri della Variante, a questo fine si usano anche le spiagge ed il mare di Pianosa, inserite dal DPR istitutivo del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano in zona 1 di massima salvaguardia, forma di protezione (zona A) che il Piano del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano conferma con l’esclusione di Cala Giovanna, inoltre il mare di Pianosa è sottoposto ai vincoli del Decreto del Ministero dell’Ambiente 13/12/1997 che affida all’Ente Parco la tutela di un’Area Marina Protetta nella quale è vietata la balneazione .

Infatti, per poter consentire la balneazione a Cala Giovanna ai visitatori che raggiungono l’isola con le visite organizzate e contingentate, il Consiglio Direttivo dell’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ha dovuto provvedere con apposita delibera a consentire la balneazione richiedendo al Ministero una precisa e limitata deroga rispetto al Decreto stesso .

La stessa Cala Giovanna, che noi crediamo possa mantenere la possibilità di balneazione limitata e contingentata, ha grandissimi valori ambientali e paesaggistici e non può certamente essere trasformata e banalizzata con uno stabilimento balneare. Anzi, le brutte strutture (che il Comune vorrebbe riutilizzare per improbabili sevizi igienici e cabine) ed i muri che sono stati costruiti a ridosso della spiaggia vanno abbattuti per consentire una rinaturalizzazione di un arenile unico al mondo e che l’intervento dell’uomo ha già troppo compromesso, così come bisogna intervenire sulla vegetazione costiera per eliminare l’ailanto e sulla costante manutenzione e salvaguardia dei beni archeologici costieri e sottomarini presenti.

Per quanto riguarda l’utilizzazione per la balneazione di Cala del Bruciato e Porto Romano si tratta di una vera e propria follia dal punto di vista ambientale: le due zone sono tra l’aree più delicate dell’isola, tanto da essere indicate come zone A (Riserva integrale) nel Piano del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e un uso balneare di aree tanto delicate produrrebbe un impatto umano continuato che stravolgerebbe un equilibrio naturale che non può essere sacrificato alla semplice balneazione, al traffico ed al disturbo che ne deriverebbero, tutto questo sarebbe devastante per rare presenze faunistiche a mare e a terra, per la qualità dell’ambiente e del paesaggio.

Comunque, per quanto riguarda le spiagge ricadenti nelle aree del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano si ricorda che ogni utilizzo della costa ed ogni nuova attività economica debbono essere contemplate dai Piani dell’Ente Parco e ricevere dallo stesso il relativo nullaosta per la realizzazione.

A causa dell'assenza o grave insufficienza, nel Piano Strutturale, di chiarimenti e impegni convincenti per ciò che attiene a quelle precauzioni e salvaguardie da prendere in difesa del paesaggio e dell'ambiente, di indicazioni riguardanti i fatti, i fenomeni e i problemi indicati nelle nostre osservazioni, che pongono seri dubbi sui criteri in base ai quali saranno redatti i successivi strumenti di pianificazione e saranno poi rilasciate licenze e autorizzazioni non solo per nuova edilizia, ma anche per nuove infrastrutture e nuovi impianti; con conseguenti, non evitabili modificazioni da apportare a morfologia, a corsi d'acqua, a caratteri naturalistici dei luoghi su cui si interverrà, è necessario un accurato completamento del Piano Strutturale, prima della sua definitiva approvazione.

E’ necessaria una nuova stesura del Piano Strutturale del Comune di Campo nell’Elba che lo renda compatibile col PTC della Provincia di Livorno e con la legge Regionale 5/95, ma anche con il Piano del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Quindi, occorre ridurre fortemente il numero delle nuove abitazioni previste e rinunciare alle infrastrutture di grande impatto ambientale, e rivedere le previsioni anche alla luce del recente nubifragio che ha colpito l’Elba ed in particolare il Comune di Campo nell’Elba

E’ evidente che questo potrà avvenire solo attraverso una concertazione con Regione Toscana e Provincia di Livorno che ha già dato frutti positivi in altre realtà amministrative.

Quindi, per tutto quanto sopra scritto, si richiede una radicale revisione delle previsioni contenute nel Piano Strutturale sulla base delle nostre osservazioni,

Adeguare l’Aurelia come soluzione per il Corridoio tirrenico. Questo l’impegno chiesto al governo dalla Commissione LLPP del Senato che oggi, in sede di esame della legge Finanziaria, ha approvato un apposito ordine del giorno presentato dalla sen. Donati (Verdi) e sottoscritto anche dai senatori Grillo (FI) Menardi (AN) Pedrazzini (Lega) Zanda (Margherita) Montino e Brutti (DS).

L’odg accolto dopo un lungo dibattito che ha visto spaccarsi la maggioranza in Commissione recepisce gli impegni assunti lo scorso luglio in occasione di una audizione informale con il sindaco di Capalbio Gastone Franci.

“L’ordine del giorno votato impegna il governo ad adeguare e potenziare la strada statale Aurelia nel tratto Grosseto-Civitavecchia, sulla base del progetto presentato dall’ANAS nel 2001, per migliorare la sicurezza e l’accessibilità della rete viaria esistente del corridoio tirrenico – ha spiegato la sen. Donati, Capogruppo Verdi-Ulivo in Commissione LLPP - . Inoltre, sollecita la conclusione della procedura di compatibilità ambientale avviata oltre 2 anni e mezzo fa presso la Commissione VIA del Ministro dell’Ambiente per poter identificare le prescrizioni progettuali e mitigative per un’adeguata realizzazione dell’opera nel contesto ambientale e paesaggistico della maremma. Infine l’odg chiede di identificare nel bilancio dell’Anas le risorse necessarie per la realizzazione dell’opera partendo dai tratti più critici per la sicurezza dei cittadini.”

“L’ordine del giorno è un primo importante impegno politico, ma purtroppo non basta perché la legge Finanziaria 2004, all’art. 49 comma 4, abroga la leggina del 1997 che limitava il finanziamento pubblico dell’opera solo al primo tratto e non al secondo e al terzo. Ora invece consente la realizzazione della autostrada della maremma, indipendentemente dal tracciato, e solo la Commissione Bilancio o l’Aula del Senato potranno abrogare il testo della Finanziaria. Continua quindi in quelle sedi la nostra battaglia per sventare la realizzazione di un’autostrada assolutamente inutile, fortemente contestata da Enti locali ed Associazioni ed altamente impattante su un territorio ad altissimo pregio come quello maremmano.

Come già da tempo preannunciato, Legambiente ha presentato ricorso al TAR avverso il Regolamento Urbanistico di Portoferraio. È la prima volta nella sua storia che Legambiente Toscana ricorre contro uno strumento urbanistico ed è la prima volta che il TAR della Toscana dovrà valutare i ricorsi presentati da una pluralità di soggetti - associazioni, comitati di cittadini ed Enti Locali - contro il medesimo provvedimento amministrativo. Legambiente, di fronte ad un Piano privo di presupposti logici, si è limitata a focalizzare l'attenzione su quelle norme palesemente illegittime che contraddicono i principi dell'urbanistica e che fanno sorridere tutti coloro, che da piu' parti ci telefonano, per avere conferma di quanto è apparso sui mezzi di informazione. In sintesi il ricorso attiene all'insieme delle norme ed al loro contrasto con il Piano Strutturale ma è focalizzato in particolare:

1) per interventi diretti che interessano aree molto estese che potrebbero consentire di realizzare Superfici notevolmente maggiori rispetto a quanto previsto dal R.U. per ogni singola zona, non è stabilito il criterio con il quale si potranno rilasciare i permessi di costruzione, fino alla concorrenza massima stabilita;

2) gli articoli nei quali si fa riferimento alla cosiddetta "prima casa" perchè volti a creare situazioni di disparità di trattamento tra i vari proprietari dei terreni, in violazione del principio generale che attribuisce alle norme urbanistiche natura di atti normativi, aventi pari efficacia delle leggi, anche se di natura secondaria rispetto alle norme primarie, in quanto costituiscono un'ulteriore specificazione ed integrazione della legislazione che disciplina l'intera materia;

3) nelle zone dove è ammesso l'intervento diretto l'ampliamento delle abitazioni esistenti e le nuove costruzioni non possono essere riferite alla composizione dei nuclei familiari. La dimensione degli edifici, di qualsiasi tipo, non possono che essere riferite che al lotto di pertinenza, essendo il R.U. lo strumento che conforma il diritto di proprietà, quindi ad ogni terreno deve essere associato un potenziale di edificabilità ed una determinazione funzionale;

4) la norma che consente di demolire, ricostruite anche con traslazioni delle strutture accessorie per il raggiungimento della dimensione minima di cui al D.M. del 1975 è irrazionale, in quanto consente, di fatto, di trasformare le numerose baracche in legno, lamiera ecc, sparse sul territorio in appartamenti di mq. 28;

5) la sottozona Cimitero - Villaggio scolastico poichè la previsione è difforme dalle prescrizioni regionali, frutto di una carente analisi ed individuazione del concreto quadro conoscitivo, tesa a congestionare ulteriormente l'abitato Consumella - Padulella, dove già attualmente, anche nel periodo invernale, esistono gravi rischi per l'incolumità dei pedoni e degli automobilisti. La viabilità esistente, priva di marciapiedi e che non puo' essere ampliata per la presenza di numerosi edifici a filo strada, a cui deve necessariamente collegarsi la viabilità interna al lotto, non puo' sopportare un deciso incremento del traffico indotto dalle scuole ma soprattutto dalle residente. In ultimo ci permettiamo di rinnovare l'invito ai cittadini di non avvalersi delle norme oggetto dei ricorsi ed attendere le decisioni del TAR, facendo rilevare che un immobile realizzato o ampliato in base ad una norma annullata dal TAR diviene illegittimo con tutte le conseguenze che ne derivano. Ci prendiamo inoltre la libertà di dare un suggerimento agli amministratori di Portoferraio: non aggiungete danno al danno, sospendete il rilascio dei permessi di costruzione basati sulle norme oggetto dei ricorsi, potreste essere chiamati a rifondere personalmente i danni prodotti dal vostro comportamento.

Antonio Nicoletti, Direzione nazionale Legambiente, Coordinatore nazionale aree protette e territorio, Via Salaria,403 - 00199 Roma, Tel 06.86268354; Fax 06.86268397; Cell. 349.4597990

ROMA. «La Maremma inizia dove finisce l’autostrada». Conclude in questo modo il suo intervento il sindaco di Manciano, Rossano Galli, al Convegno per la sicurezza dell’Aurelia in alternativa all’autostrada della Maremma, che si è tenuto ieri a Roma. La questione al centro del dibattito (e delle polemiche) è la realizzazione della Grosseto-Civitavecchia, ultimo tratto dell’autostrada che dovrebbe collegare Livorno con Civitavecchia, il cosiddetto corridoio tirrenico. Un progetto che aspetta da anni di essere realizzato, ma per motivi economici ed ambientali (fu bocciato dalla valutazione sull’impatto ambientale nel 1990), è rimasto sepolto in qualche cassetto. Oggi con la politica del governo Berlusconi che ha restituito centralità alle realizzazione delle «grandi opere» per colmare «il deficit di investimenti che ha caratterizzato negli ultimi dieci anni il nostro Paese», il progetto per la realizzazione della Livorno-Civitavecchia è tornato di nuovo sui tavoli degli ingegneri. Il Convegno è stato indetto e presieduto da un gruppo di senatori dell’Ulivo, tra cui spiccano i nomi di Anna Donati, Esterino Montino, Natale D’Amico e Luigi Stanca, gli stessi che nei giorni scorsi hanno presentato nella commissione trasporti e opere pubbliche del senato l’ordine del giorno che impegna il governo ad allargare il tratto già esistente dell’Aurelia, piuttosto che costruire una nuova autostrada. Un ordine del giorno, approvato con il concorso di numerosi esponenti della Cdl, che sarà esaminato in aula la prossima settimana. E dal convegno emerge che questa ipotesi è anche più conveniente. Infatti una nuova infrastruttura che oltre ad essere molto costosa (il prezzo complessivo è stato stimato in 1.859 milioni di euro), non ha neanche i fondi necessari per essere costruita visto che le risorse pubbliche che sono previste a questo proposito dalla delibera Cipe del 21 dicembre 2001 ammontano a 438 milioni di euro. Per dimostrare che la costruzione del tratto Grosseto-Civitavecchia non è un’infrastruttura indispensabile e che risulterebbe troppo costosa i senatori dell’Ulivo hanno affidato uno studio economico sul progetto al professore Andrea Boitani dell’Università Cattolica di Milano, che ha presentato le sue conclusioni in un documento dal titolo «I conti che non tornano per l’autostrada della Maremma». Secondo il professor Boitani, che ha tentato di fare una breve lezione di economia, ingegneria, condite con un po’ di statistica ad una platea di profani, è più conveniente allargare ed ammodernare l’Aurelia piuttosto che costruire nuove infrastrutture. Lo studio di Boitani prende in considerazioni tre alternative per la realizzazione della tratta mancante Grosseto-Civitavecchia. Tre tracciati: il primo interno, l’alternativa collinare proposta dal ministro Lunardi, il secondo nel corridoio costiero già utilizzato dall’attuale strada statale numero 1 e dalla ferrovia, e il terzo quello attuale con il rimodernamento dell’Aurelia. Tramite un difficile calcolo di costi e benefici Boitani conclude che la «proposta Lunardi» risulta la meno percorribile visto che si tratterebbe di una struttura ex novo che avrebbe un pesante impatto ambientale oltre che costi elevati. Quindi restano due alternative: il tracciato costiero o il rimodernamento dell’Aurelia. Anche da questo confronto ne uscirebbe vincitrice la seconda opzione, gradita ai senatori dell’Ulivo che ora passano la parola al Ministero dell’Ambiente e a quello per le Infrastrutture.

La politica dei trasporti del Governo Berlusconi ha restituito una assoluta centralità alla realizzazione delle infrastrutture, per far decollare i cantieri in fretta e “colmare il deficit di investimenti che ha caratterizzato negli ultimi 10 anni il nostro Paese”. Con l’obiettivo implicito che, il raddoppio di ogni infrastruttura non è solo una soluzione concreta per dare lavoro ed attività alle imprese, ma è anche la soluzione ai problemi di mobilità di merci e passeggeri che attanagliano il nostro Paese.

Tra queste infrastrutture inserita negli elenchi delle opere strategiche, vi è anche l’Autostrada Livorno-Civitavecchia, gia bocciata dalla valutazione di Impatto Ambientale nel 1990. Secondo il Ministro delle Infrastrutture, le attuali procedure accelerate della legge Obiettivo, volute da Governo e maggioranza, escludono gli Enti locali dalla decisione e che prevedono una valutazione ambientale semplificata e consentono una rapida realizzazione dell'infrastruttura.

Ma queste certezze del Ministro non fanno i conti con il fatto che la regione Toscana, di cui è prevista l'intesa sul progetto, ha avanzato una proposta radicalmente diversa di autostrada costiera e che è aperto un tavolo tra Regioni, Comuni, Anas e Ministero, istituito il 18 di aprile e che entro il 18 di ottobre avrebbe dovuto concludere i lavori con la proposta concordata di tracciato autostradale.

Va inoltre ricordato che la realizzazione dell’autostrada in concessione alla SAT è sospesa sulla base della normativa vigente, anche se la Legge Finanziaria 2004 presentata dal Governo ed in discussione al Senato ripristina la norma che consente di realizzare l’autostrada (indipendentemente dal tracciato).

La discussione sul testo sarà all’ordine dei lavori nei prossimi giorni della Commissione Bilancio e dell’Aula del Senato ed in proposito va sottolineato che la discussione nella Commissione Lavori Pubblici si è conclusa con un Ordine del Giorno, sottoscritto da maggioranza ed opposizione, che chiede come soluzione del corridoio tirrenico, l’ammodernamento ed il potenziamento dell’Aurelia. Adesso si tratta di trasformare questo importante risultato politico nella concreta soppressione della norma.

Irrisolta è la questione del finanziamento dell’autostrada: le risorse pubbliche previste dalla delibera Cipe del 21 dicembre 2001 ammontano a 438 milioni di euro quando il costo complessivo è stimato in 1.859 milioni di Euro. (si tratta di una stima non del costo di un progetto definitivo che mediamente in Italia lievita del 30% rispetto al preliminare).

Così come lo studio sulla mancata redditività dell’autostrada Livorno-Civitavecchia, presentato da Marco Ponti ed Andrea Boitani, del Politecnico ed Università Cattolica di Milano conferma che sarà indispensabile una robusta quota di finanziamento pubblico, facendo quindi decadere una delle ragioni fondamentali per cui viene invocata. ( vedi atti del convegno “Legge Obiettivo e valutazione dei progetti” organizzato da Università Cattolica del Sacro Cuore, Istituto di Economia e Finanza e Politecnico di Milano, dipartimento di architettura e pianificazione. Milano 16 settembre 2003)

Per queste ragioni l'unica alternativa concreta è il miglioramento e potenziamento dell'Aurelia secondo il progetto Anas ( anche pedaggiando la lunga percorrenza), che deve essere rapidamente approvato dal Ministero dell'Ambiente e finanziato dal Ministro delle Infrastrutture, secondo le risorse previste dal piano Triennale ANAS, ed utilizzando anche i 438 milioni di Euro previsti dalla Delibera Cipe per l'autostrada, o almeno della quota effettivamente disponibile dal Fondo Speciale.

Questa è l'unica opera davvero strategica ed urgente, compatibile con l'ambiente, e con una politica di riequilibro dei trasporti verso cabotaggio e ferrovie.L’inserimento della Cecina-Civitavecchia autostradale tra le opere strategiche

Nei primi 18 mesi di Governo Berlusconi, il Parlamento ha approvato le norme fondamentali per l’accelerazione delle infrastrutture, a partire dalla legge Obiettivo 1, la Delibera Cipe del 21 dicembre 2001 con gli elenchi delle opere2, il collegato Infrastrutture con le risorse e le modifiche alla Legge Merloni3, il Regolamento attuativo con le procedure per l’approvazione, VIA ed appalto dei progetti 4, nonché il contestato Decreto Legge di istituzione di Patrimonio Spa ed Infrastrutture Spa5. Un insieme di norme derogatorie e semplificate con l’intenzione di aprire rapidamente i cantieri.

La Delibera Cipe del 21 dicembre 2001 ha individuato ben 116 interventi, per un ammontare di investimenti dal costo pari a 125,858 miliardi di Euro, che corrispondono a circa 250 infrastrutture connesse al campo dei trasporti e mobilità da realizzare nel prossimo decennio: tra queste anche l’asse autostradale Cecina-Civitavecchia.

La delibera Cipe definisce anche la esatta assegnazione delle risorse disponibili per il triennio 2002-2004, ma specifica che si tratta di previsioni di spesa dal carattere “programmatico” da verificare sulla base delle risorse effettivamente spendibili.

Per l’asse Autostradale Cecina-Civitavecchia la Delibera Cipe stima un costo complessivo di 1859,245 milioni di Euro, nel triennio 2002-2004 sono previsti 438, 988 milioni di Euro di risorse pubbliche e le risorse già disponibili, cioè provenienti da altre leggi o in autofinanziamento dalla concessionaria, ammontano a zero.

Lo sblocco dell’’Autostrada proposto dal Governo nella legge Finanziaria 2004

La normativa vigente ha fissato la sospensione delle tratte autostradali Cecina-Civitavecchia sulla base della legge n 449 del 27 dicembre 1997, inserita all’articolo 55.

La norma ha stabilito che mentre viene innalzato il contributo dello Stato dal 65 all’80% relativamente alla prima tratta ( Livorno-Rosignano) viene sospesa la realizzazione delle altre tratte.

L’effetto concreto di questa norma è stato un accordo transattivo tra Anas e la società concessionaria SAT del 10 giugno 1998, in cui è stato ripianato il disequilibrio economico e finanziario della società, a causa della sospensione delle tratte e quindi di mancati ed attesi introiti tariffari, equivalente ad un versamento di 175 miliardi di vecchie lire in favore della SAT.

Il collegato infrastrutture del Governo, discusso nel 2002 dal Parlamento, conteneva l’eliminazione di questa norma del 1997 e quindi il via libera all’autostrada ma a seguito dell’ostruzionismo dell’Ulivo, la norma è stata soppressa.

Ora il Governo ritenta nuovamente questa “autostrada sbagliata” inserendo nella Legge Finanziaria 2004, all’articolo 49, comma 4, la soppressione della sospensione, al fine di sbloccare la realizzazione dell’opera, senza richiedere peraltro il versamento effettuato in favore della SAT a titolo di risarcimento della mancata realizzazione del secondo e terzo tratto.

Su questo argomento la Commissione Lavori Pubblici del Senato, si è espressa con un Ordine del Giorno che indica nell’ammodernamento e potenziamento dell’Aurelia la soluzione praticabile ed urgente per il corridoio tirrenico.

Abbiamo conseguentemente presentato emendamenti per la soppressione della norma e per destinare risorse all’ammodernamento e potenziamento dell’Aurelia, con l’obiettivo di convincere la Commissione Bilancio e l’Aula del Senato alla soppressione del comma 4, articolo 49 della Legge Finanziaria 2004.

Va anche detto che norme le generali in materia hanno stabilito che una autostrada si può realizzare purchè sia contenuta nel Piano Generale Trasporti, così come la Legge Obiettivo ha stabilito che ogni elenco di opere strategiche costituisce automatica integrazione al PGT.

Dopo la bocciatura del Parlamento alla sua proposta di eliminazione della sospensione per le tratte autostradali Cecina-Civitavecchia, il Ministro Lunardi aveva sostenuto che la norma era superflua, ma in realtà così non è essendoci una norma specifica e vigente che deve appunto essere modificata da una altra norma. E l’inserimento di questa legge Finanziaria 2004 della norma “sbloccautostrada” conferma la necessità di un intervento legislativo.

Le procedure semplificate e le prerogative delle Regioni secondo la sentenza 3003/2003 della Corte Costituzionale

L’intero processo autorizzativo delle opere strategiche è demandato al Cipe. Al Ministro dei Trasporti restano compiti propositivi ed istruttori, la Conferenza dei Servizi ha carattere istruttorio ma non assume decisioni, le Regioni devono raggiungere una “intesa” per la definizione del programma strategico (prima era previsto solo un "parere").

Quindi un forte processo decisionale centralizzato, che può essere assunto a maggioranza dal Cipe sia sul progetto preliminare che sul progetto definitivo, con “il consenso ai fini dell’intesa sulla localizzazione, dei presidenti delle Regioni e Province autonome interessate, che si pronunciano sentiti i Comuni nel cui territorio di realizza l’opera”.

Sui ricorsi contro la Legge Obiettivo presentati da sei Regioni, di cui la Toscana è stata la capofila nella contestazione delle procedure centralistiche, la Corte Costituzionale si è espressa recentemente con la sentenza 303/2003. Pur ribadendo la validità dell’impianto della norma ha però annullato alcune parti importanti in ordine al ruolo delle Regioni, che in nessun caso posso essere escluse o superate a maggioranza.

Secondo la Corte le Regioni devono assicurare una intesa sugli elenchi che definiscono le opere “strategiche”, devono approvare il progetto preliminare e definitivo al Cipe (senza possibilità di essere superate con una scelta a maggioranza) ed ha escluso che le opere possono ottenere il via libera sulla base di una decisione del Consiglio dei Ministri e conseguente Decreto del Presidente della Repubblica.

E’ stato cioè soppresso il comma che prevedeva “in caso di dissenso delle Regioni e Province autonome alla eventuale approvazione si provvede entro 60 giorni con Decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri…” e quindi le prerogative costituzionali delle Regioni restano parzialmente salvaguardate. ( vedi Il sole 24 ore, Edilizia e Territorio, n, 40 -13 ottobre 2003, articoli di Alessandro Arona e Bianca Lucia Mazzei)

Inoltre nel caso specifico la regione Toscana ha sottoscritto una intesa con il Governo che prevede che tutte le opere previste nel proprio territorio siano di “ interesse concorrente regionale” e quindi il suo ruolo nella scelta del tracciato e della soluzione tecnica per il corridoio tirrenico è imprescindibile.

E’ un elemento importante che ci auguriamo la Regione Toscana voglia esercitare pienamente, respingendo le inaccettabili proposte del Ministro Lunardi su tracciati “intermedi”, rinunciando alla proposta di tracciato costiero autostradale per le sue difficoltà finanziarie e localizzative, ed aprendo nuovamente un dialogo con Enti Locali ed ambientalisti per l’ammodernamento e potenziamento dell’Aurelia, anche pedaggiata per la lunga distanza.

Il nodo irrisolto delle risorse finanziarie

Il piano decennale di investimenti per le opere strategiche fissato dalla delibera Cipe ammonta a circa 123 miliardi di euro da attivare nel prossimo decennio.

Secondo le indicazioni del Ministro Lunardi, fornite durante una audizione nella Commissione Lavori Pubblici del Senato, questa enorme mole di investimenti dovrebbe essere finanziata per 32,5 miliardi di Euro con capitale privato, con circa 25 miliardi di euro attraverso i fondi strutturali della UE e circa 46 miliardi di Euro con finanziamenti pubblici. Tra questi ultimi ne sarebbero già disponibili, previsti da leggi pluriennali, circa 14 miliardi di Euro e quindi sarebbero da reperire risorse nell’ambito della finanza pubblica per circa 28 miliardi di Euro.

Le previsioni del Ministro Lunardi sono decisamente ottimistiche visto che è assai complesso ( se non impossibile) reperire una quota così elevata di finanziamenti privati, che le risorse dei fondi strutturali disponibili per il settore dei trasporti ammontano effettivamente a 4,2 miliardi di Euro (di cui 2,4 miliardi di Euro deve essere cofinanziato dall’Italia).

Secondo al legge Finanziaria 2004, le risorse pubbliche disponibili per il fondo speciale opere strategiche, hanno attivato mutui per 4, 5 miliardi di euro nel triennio 2002-2004, a cui vanno aggiunti mutui per 5 miliardi di euro attivabili dal 2005-2006. Un totale di 9,5 miliardi di euro nel periodo 2002-2006 quando il grande piano decennale da 125 miliardi euro del Ministro Lunardi, avrebbe già dovuto reperire almeno 50 miliardi di euro tra risorse pubbliche e private.

A queste risorse devono essere aggiunte, anche se non si vedono nel Bilancio dello Stato, i 2 miliardi di risorse di Anas spa, gli investimenti per l'alta velocità ferroviaria Torino-Milano-Napoli trasferiti ad Infrastrutture SpA con garanzia dello Stato pari a circa 28 miliardi di Euro, i 6 miliardi previsti per il Ponte sullo Stretto, di cui 2,5 saranno risorse pubbliche provenienti da Fintenca (exIRI) ed il resto mutui con garanzia dello Stato. A questi vanno aggiunti anche i piani delle concessionarie autostradali, a partire da Autostrade spa che ha richiesto ( e non ottenuto per il momento) un robusto incremento delle tariffe in cambio di un piano di investimenti pari a 13 miliardi di euro.

Sommando queste risorse risulta evidente il tentativo di aprire cantieri con la logica dei mutui e delle garanzie dello Stato, che produrranno i loro effetti devastanti sul bilancio dello stato negli anni futuri.

Ma nessuna di queste soluzioni “creative” predisposte dal Ministro Tremonti risolve il problema finanziario dell’autostrada Livorno-Civitavecchia, che non si ripaga con le tariffe a causa della sua scarsissima redditività ed ha bisogno di ingenti iniezioni di risorse pubbliche, che non sono disponibili.

Infatti anche le previsioni contenute nella Delibera Cipe del 21 dicembre 2001 , con la previsione di assegnazione di risorse per il triennio 2002-2004 per l’autostrada Livorno-Civitavecchia, in realtà sono solo parzialmente coperte dalla disponibilità del Fondo Speciale per la legge Obiettivo, anche a causa delle decisioni già assunte dal Cipe con l’approvazione di progetti che hanno già impegnato le disponibilità del Fondo.

La scarsità di risorse pubbliche e private dovrebbe indurre ad una accurata selezione delle priorità tra le infrastrutture, considerato anche l’esteso elenco di opere strategiche, in coerenza con una adeguata politica di riequilibrio modale nei trasporti.

Inoltre nel caso dell’autostrada Cecina-Civitavecchia, la scarsa redditività dell’opera, elimina anche una delle ragioni fondamentali per cui viene invocata e cioè la capacità di ripagarsi mediante le tariffe.

Quindi ritorna di enorme attualità e concretezza investire le scarse risorse pubbliche nell’ammodernamento e potenziamento dell’Aurelia, a cui potrebbe essere combinato un pedaggiamento a barriera per la lunga distanza, che escluda l’uso locale della strada dalla tariffazione e che sia capace di ripagare una parte dei costi pubblici.

L’assenza di una strategia e di una politica dei trasporti di contesto per le infrastrutture

Risulta evidente che l’elenco esteso di 250 opere infrastrutturali della delibera Cipe, è una sommatoria di proposte provenienti da Anas, Regioni, Concessionarie Autostradali, Ferrovie, Enti Locali, Ministero dei Trasporti e non configura in alcun modo una politica mirata nel campo dei trasporti, di selezione delle priorità sulla base delle risorse effettivamente disponibili.

Non a caso la Legge Obiettivo dice esplicitamente che si deve solo “tener conto” del PGT vigente approvato nel marzo 2001, e che ogni opera inserita nel programma strategico ne costituisce automaticamente variante, demolendo la già debole cornice strategica del PGT in vigore in cui era inserito un elenco, comunque assai esteso, di infrastrutture da realizzare.

Così come il carattere strategico non assume mai come riferimento il riequilibrio modale verso i sistemi di trasporto a minore impatto ambientale come ferrovie e cabotaggio ed il rispetto degli obiettivi di Kyoto per il contenimento dei gas serra, i cui accordi internazionali sono stati ratificati dal Parlamento, o ancora i limiti dello spazio territoriale e del sistema insediativo del nostro Paese. Anzi, aggiunge agli investimenti ferroviari, un autentico rilancio degli investimenti stradali ed autostradali, che soltanto in qualche caso risolveranno i problemi di mobilità esistente mentre in numerosi casi aumenteranno il traffico motorizzato in avvicinamento ai nodi ed alle città congestionate. Non a caso non si è voluto effettuare una Valutazione Ambientale Strategica sull’insieme delle infrastrutture previste, al fine di selezionare con criteri trasparenti quelle di maggiore utilità trasportistica, di maggior coesione sociale, sostenibili ambientalmente dai territori attraversati e con l’obiettivo di favorire intermodalità e riequilibrio modale.

Nonostante che questa Valutazione Ambientale Strategica sia stata prevista dal Piano generale dei Trasporti vigente e di gli elenchi delle infrastrutture della Legge Obiettivo costituiscono una automatica integrazione., violando quindi una precisa previsione normativa.

Se la VAS venisse applicata sul corridoio tirrenico, confrontando soluzioni differenti ed in coerenza con gli obiettivo di riequilibrio modale e si sviluppo delle Autostrade del Mare, che anche il Governo Berlusconi ha incluso tra i propri obiettivi, è ragionevole pensare che la soluzione di ammodernamento dell’Aurelia, risulterebbe la più appropriata.

Forse è per questa ragione che il Ministro Matteoli si ostina a non effettuare la VAS sul corridoio tirrenico, e più in generale sulla lista sterminata di opere strategiche prevista dalla Delibera Cipe del dicembre 2001.

Infine deve essere sottolineata la distanza della politica italiana dei trasporti ed investimenti rispetto al Libro Bianco della Commissione Europea “Politica europea dei trasporti verso il 2010: l’ora delle scelte” (presentato ad ottobre 2001) che punta ad una efficace integrazione tra trasporti e sostenibilità, con azioni mirate al riequilibrio modale, all’efficienza d’uso, ai trasporti intelligenti, fino a proporre sistemi di regolazione della crescita della domanda.

La proposta sostiene apertamente che la priorità deve essere assegnata al potenziamento delle ferrovie, alle vie navigabili interne, al trasporto marittimo a corto raggio, ai trasporti intelligenti ed innovativi.

Per quanto riguarda la rete stradale, sostiene che la “possibilità di incrementare la capacità estendendo la rete stradale sono limitate, e costituiscono una risposta soltanto temporanea per posticipare la saturazione del traffico della rete”.

Esattamente il contrario di quanto propone il Governo italiano, che punta al raddoppio di numerose strade ed autostrade che alimenteranno la saturazione e la congestione da traffico motorizzato, come il caso dell’Autostrada Livorno Civitavecchia.

1 L.21 dicembre 2001 n. 443 Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti

produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive” pubblicata sulla

G.U. del 27 dicembre 2001, n.299

2 La Delibera Cipe del 21 dicembre 2001 n.121/2001, che ha individuato l’elenco delle opere strategiche, pubblicata sulla G.U. n.51 del 21 marzo 2002

3 Legge 1 agosto 2002 n. 166 “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti” pubblicata sulla G.U. n.158/L del 3 agosto 2002

4 Decreto Legislativo 20 agosto 2002 n.190, “Attuazione della legge 21 dicembre 2001 n.443 per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici e di interesse nazionale” pubblicato sulla G.U. n. 174/L del 26 agosto 2002

5 Decreto Legge n. 63 per la costituzione della società Infrastrutture SpA e Patrimonio Spa,

diventato la Legge n. 112/2002

La baia di Sistiana, stupendo tratto di costa in Provincia di Trieste (Comune di Duino-Aurisina) è minacciata da un progetto di “valorizzazione turistica” che la trasformerebbe in una sorta di “Disneyland dei poveri”. Il progetto prevede infatti la realizzazione di un finto villaggio “istro-veneto, di una darsena artificiale, di un’area ludico-ricreativa corredata di cascate artificiali, giochi d’acqua ed altre “attrazioni”.A questo si aggiunge un albergo di otto piani reso “invisibile” da una mascheratura vegetale, un mega-parcheggio da 2.000 posti auto – esteso su 14 ettari – sull’altopiano a monte della baia e collegato a questa da una funicolare scavata nella roccia.

Il tutto con pesanti costi ambientali: distruzione di vaste aree boscate, rilevanti escavazioni (circa 1 milione di metri cubi) con rischio di distruggere grotte di pregio e di danneggiare il complesso regime idrico sotterraneo (in un’area di risorgenze carsiche), intrusione – con disboscamenti ed escavazioni – anche all’interno di un Sito di Importanza Comunitaria.

Inoltre l’area verrebbe quasi interamente privatizzata, di fatto escludendone i fruitori abituali (bagnanti provenienti da buona parte del Friuli Venezia Giulia e non solo) e precostituendo le condizioni perchè l’intervento “turistico” si trasformi ben presto in una mera speculazione immobiliare di prime e seconde case.

Il WWF è molto critico nei confronti della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, che ha fatto favorito la realizzazione del progetto, forzando sulla procedura di Valutazione di Impatto ambientale, pur in presenza di gravi carenze negli approfondimenti di molti aspetti decisivi (l’impatto delle opere sull’idrologia sotterranea, la mancata valutazione di alternative, la mancanza di un’adeguata analisi sul senso economico dell’intera operazione), segnalate anche dalle osservazioni di WWF, Italia Nostra e Legambiente.

La Regione si appresta inoltre a svendere (ad un prezzo pari ad 1/10 del valore corrente di mercato) un’ex cava di proprietà regionale – compresa nell’ambito di intervento – alla società proponente del progetto. Anche la locale Soprintendenza ha espresso parere negativo, in sostanza coincidente con quanto segnalato da anni dagli ambientalisti.

Il Comune di Duino-Aurisina, in una sostanziale convergenza di quasi tutte le forze politiche di maggioranza (centro-destra) ed opposizione (centro-sinistra), ha manifestato ripetutamente l’intenzione di approvare gli strumenti urbanistici funzionali alla realizzazione del progetto, senza alcuna modifica sostanziale di quanto proposto dalla società privata. Considerata la grande bellezza dei luoghi, che già videro nel 1989 la mobilitazione, allora vincente, di molte personalità del mondo della cultura e dell’ambientalismo italiano, contro un analogo progetto firmato da Renzo Piano e fortemente sostenuto in sede locale.

Le associazioni chiedono al Comune di Duino-Aurisina di modificare gli strumenti urbanistici relativi alla Baia di Sistiana al fine di tutelarne i valori irrinunciabili, e agli organi competenti dello Stato e della Regione, affinché intervengano per garantire la tutela dei beni protetti dalla Costituzione come il paesaggio e l'ambiente.

Aprile 2003

A giorni si riunisce la commissione consiliare in vista dell’approvazione del piano «Portofinto». E’ questo il nomignolo, evocativo quanto basta, che gli oppositori al progetto per la Baia di Sistiana hanno affibbiato all'intervento turistico.

La definizione si deve in realtà a Edoardo Salzano, (il progettista del piano regolatore in vigore a Duino Aurisina), che nel suo sito Internet (www.eddyburg.it, molto noto tra gli addetti ai lavori) così definisce il progetto per la Baia.

Gli ambientalisti non ci hanno messo molto a mutuare dal noto urbanista quella che appare loro essere una «felice sintesi», in grado di riassumere - sempre a loro parere - tutta la differenza tra un sito fortunato come Portofino, e il progetto di recupero turistico della Baia, ancora secondo gli ambientalisti troppo «finto», troppo artificiale, appunto, per essere concretizzato.

E mentre sono attese a giorni, a Duino Aurisina, le riunioni della commissione consiliare che dovrebbero risultare preliminari all'approvazione del piano particolareggiato stesso, la locale sezione del Wwf ha messo in campo tutte le proprie forze «mediatiche», al fine di portare l'argomento alla ribalta nazionale, tentando così di arginare l'iniziativa del Consiglio comunale tesa ad approvare il progetto entro breve tempo.

La protesta del Wwf è partita ieri mattina via Internet, subito ripresa dai notiziari ambiente delle principali agenzie di stampa nazionali: sul sito nazionale del Wwf, www.wwf.it, è stato pubblicato un inserto, un vero e proprio dossier che ripercorre da un lato l'iter tecnico che ha portato alla realizzazione del piano particolareggiato, dall'altro le motivazioni, già note a livello locale, che, secondo il Wwf, Legambiente e Italia Nostra, porterebbero a bocciare l'attuale progetto, giunto fino all'adozione e ora tecnicamente quasi pronto ad essere definitivamente approvato.

Le critiche degli ambientalisti sono già conosciute a livello locale, ma ampiamente riassunte sul web: si fondano «sulla perdita di una rilevante porzione di natura, sulla previsione di un maxi-posteggio a spese di un'area di boscaglia carsica, sulla mancata salvaguardia delle grotte di pregio, sulla distruzione di parte di un Sic, sito di interesse comunitario».

Fin qui l'aspetto ambientale, condito poi dalla critica relativa alla progettazione: secondo gli ambientalisti, infatti, alla base del progetto ideato dall'architetto Francesco Luparelli vi è il criterio del «falso programmatico, architettonico e naturalistico: finto villaggio istro-veneto, finti laghetti, albergo mascherato», giusto per rimarcare il concetto di «Portofinto».

Estremamente categoricaa e pesante, infine, la sintesi critica del progetto, definito come «sfruttamento intensivo della proprietà privata in un intervento di tipo condominiale travestito da intervento turistico».

Gli ambientalisti, insomma, non sono andati leggeri: dopo aver chiesto modifiche alla proprietà (alcune delle quali sono state attuate), dopo aver criticato la valutazione di impatto ambientale, e dopo essersi rivolti al Comune con una serie di osservazioni e opposizioni, ora passano alla sfida finale, coinvolgendo i mass media e utilizzando Internet per raggiungere tutti gli ambientalisti: una strategia che lascia pensare a una questione non ancora chiusa, mentre il Comune di Duino Aurisina si appresta all'atto finale di approvazione.

Francesca Capodanno

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