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Una marcia da Capalbio Scalo (ore 17) alla strada Pedemontana, passando per l'Aurelia. E' la mobilitazione di ambientalisti, agricoltori, enti locali, politici e cittadini che domani scendono in strada contro l'autostrada Livorno-Civitacchia. Un tracciato, anzi due, lungo 207 chilometri e largo 25 metri, che si snoda tra 14 viadotti e almeno 5 gallerie e costa 2.5 miliardi di euro. Con lo Studio di impatto ambientale presentato al ministero dell'Ambiente dalla Società autostrada tirrenica (Sat) - la società di proprietà della Austrade per l'Italia spa che dovrebbe realizzare l'arteria - inizia il percorso per la Valutazione di impatto ambientale (Via) dell'infrastruttura che dovrebbe raddoppiare l'Aurelia. L'apertura dei cantieri è ancora lontana, ma diventa più concreto il progetto che vuole tagliare colline e vigneti della Maremma con una lunga lingua di cemento. Per il resto di certezze ce ne sono ancora poche. Sebbene lo scorso 7 luglio la Sat abbia presentato lo Studio di impatto ambientale, infatti, non c'è un progetto preliminare definito sul tracciato dell'autostrada. Forse non sapendo cosa scegliere, più probabilmente per lasciarsi aperta ogni porta, la Sat ha presentato alla Commissione speciale Via un documento che prevede due varianti di tracciato. Il tratto maggiormente incriminato è quello tra Montalto di Castro e Orbetello. Qui l'autostrada si sdoppia in un tracciato che passa tra Capalbio e il mare e una dorsale collinare, che passa alle spalle del borgo ed è assai simile al tracciato già bocciato nel 1990. In entrambi i casi, per ambientalisti e agricoltori, l'impatto sarebbe devastante. «Siamo molto preoccupati - commenta Corinna Vincenzi, del circolo di Italia nostra di Capalbio - comunque vada l'autostrada biologiche dei paraggi si vedranno negare il marchio di qualità».

In altre parole agricoltura e turismo, ossia le attività su cui si basa l'economia di tutta la zona, saranno irrimediabilmente compromesse. Tutto per un'infrastruttura che non è giustificata dagli attuali flussi di traffico - sono 17 mila i veicoli che transitano ogni giorno per l'Aurelia - iniziata con procedure irregolari. Come hanno fatto presente sia la regione Toscana, sia la regione Lazio, infatti, la procedura adottata per la Via è ritenuta illegittima. La Sat avrebbe dovuto scegliere il tracciato a minor impatto, confrontandolo anche con l'ipotesi zero e con l'allargamento e la messa a norma dell'Aurelia. Ma nello studio della Sat non c'è nulla di tutto questo. Un vistoso vizio di forma che verrà utilizzato dalla regione Toscana per impugnare il procedimento, nel caso in cui venisse approvato il tracciato collinare. A differenza della regione Lazio, però, la Toscana sarebbe favorevole alla variante "marina" dell'autostrada. La data scelta per presentare lo studio, invece, si può definire con una solo parola: balneare. Decisamente discutibile anche il ritardo con cui il progetto di autostrada è stato disponibile alla consultazione del pubblico. Associazioni e cittadini hanno 30 giorni per presentare le proprie osservazioni alla Commissione Via (scadenza all'8 agosto), ma hanno dovuto rinunciare a una preziosissima settimana di lavoro perché il ministero ha messo a disposizione del pubblico il progetto solo dal 15 luglio scorso. Il documento che dà inizio alla Via, è una vera «forzatura» dicono i Verdi. «Il ministera dell'Ambiente e la Sat - spiega la senatrice Anna Donati, Capogruppo Verdi-Unione in Commissione Lavori pubblici - hanno avviato la Via nonostante non si sia ancora concluso il tavolo di consultazione avviato nel 2003 tra regioni, governo, anas ed enti locali interessati».

Come se non bastasse esisteva un procedente progetto dell'Anas per l'adeguamento e l'allargamento dell'Aurelia, che costa un miliardo e mezzo di euro in meno, avrebbe un impatto ambientale certamente minore e riscuote l'accordo di ambientalisti ed enti locali. Con l'avvento del governo Berlusconi nel 2001, però, il progetto è stato misteriosamente bloccato.passerà per vigneti e poderi che saranno espropriati, mentre tutte le vigne doc e le colture

ROMA - Un attacco frontale contro l´energia dolce del vento. Una critica durissima ai magistrati, accusati di voler imporre per legge l´«osceno oltraggio» delle pale eoliche. Un´arringa a difesa delle ragioni del paesaggio contrapposte alle ragioni dell´ambiente. E´ questo il biglietto da visita con cui Carlo Ripa di Meana, ex commissario europeo all´Ambiente, ex ministro dell´Ambiente, si è presentato nella veste di presidente di Italia Nostra.

Nella conferenza stampa di debutto, Ripa di Meana ha glissato sul ribaltone che a fine giugno ha portato alle dimissioni in blocco della presidente di Italia Nostra Desideria Pasolini dall´Onda, del segretario Gaia Pallottino e di otto membri del consiglio direttivo tra cui nomi di spicco come Gianfranco Amendola, Vezio De Lucia e Arturo Osio. Ripa di Meana ha invitato la vecchia guardia a tornare al suo posto indicando un programma in tre punti: modifica del codice Urbani per bloccare la vendita di beni culturali pubblici; battaglia contro il Mose, le dighe mobili a Venezia; recupero di monumenti minori trascurati.

Ma inevitabilmente l´attenzione si è concentrata sul maggior elemento di novità legato all´elezione del nuovo presidente di Italia Nostra. Abbandonata la scena politica (dopo il periodo craxiano era stato portavoce dei Verdi), Carlo Ripa di Meana aveva dedicato tutte le sue energie alla guerra contro l´eolico fondando un´associazione ad hoc, il Comitato per il paesaggio. Ora questa bandiera viene issata sulla sede della più antica associazione ambientalista italiana.

Anche la precedente gestione di Italia Nostra era stata critica nei confronti dell´eolico, arrivando a uno scontro aperto con la Legambiente, più attenta allo sviluppo delle rinnovabili. Ma il protocollo d´intesa firmato dai produttori dell´eolico e dal Wwf a garanzia di un basso impatto ambientale e paesaggistico degli impianti aveva aperto le porte a un ampio accordo per una realizzazione corretta delle centrali a vento.

Ora il quadro cambia. Ripa di Meana ha optato per lo scontro diretto con il Consiglio di Stato colpevole di aver affermato «senza mezzi termini che, dato che l´Italia deve conformarsi al protocollo di Kyoto, i vincoli paesaggistici cedono di fronte ai programmi d´installazione di torri eoliche». Secondo Ripa di Meana, queste sentenze sono frutto di «clamorosi salti logici» e costituiscono un precedente di una «gravità enorme»: «Se non si interviene con una norma ad hoc, è assai facile che nel nostro paese ci si troverà di fronte a un´opzione eolica imposta per sentenza dai giudici, non dalla volontà popolare». Il che «a memoria d´uomo, rappresenterà il più grave vulnus che mai sia stato inferto alla tutela costituzionale del paesaggio voluta a chiare lettere dall´articolo 9 della Costituzione».

Resta da vedere se quest´impostazione che fa dell´eolico il nemico pubblico numero uno troverà un consenso maggioritario all´interno dell´associazione chiamata tra pochi mesi a un congresso per eleggere il nuovo presidente. Il dissenso espresso nei giorni scorsi da trenta sezioni tra le più attive lascia pensare che la battaglia sarà vivace.

La Camera dei Deputati si appresta a votare la riforma del governo del territorio, nel testo approvato dalla VIII commissione parlamentare. Il testo, in gran parte dovuto al presidente della commissione on. Lupi, sopprime il principio stesso del governo pubblico del territorio, che rappresenta una della principali conquiste del pensiero liberale e accomuna tutti i paesi sviluppati, e cancella i risultati di importanti conquiste per la civiltà e la vivibilità della condizione urbana e la tutela del territorio ottenute nell’ultimo mezzo secolo dalle forze sociali e politiche e dalla cultura italiana.

Nella legge si sostituiscono gli “atti autoritativi”, e cioè la normale attività pubblica di pianificazione, con gli “atti negoziali con i soggetti interessati”. La relazione di accompagnamento della legge specifica che i soggetti interessati non si identificano – come sarebbe auspicabile - con la pluralità dei cittadini che hanno diritto ad avere una ambiente urbano vivibile e salubre, ma si identificano invece con la ristretta cerchia degli operatori economici. Un diritto collettivo viene dunque sostituito con la sommatoria di interessi particolari: prevalenti, quelli immobiliari. I luoghi della vita comune, le città e il territorio vengono affidati alle convenienze del mercato.

Nella legge si sopprime l’obbligo di riservare determinate quantità di aree alle esigenze di verde, servizi collettivi (scuole, sanità, sport, cultura, ricreazione) e spazi di vita comuni per i cittadini, ottenuto decenni fa grazie a un impegno massiccio delle associazioni culturali, delle organizzazioni sindacali, del movimento associativo e di quello femminile, delle forze politiche attente alle esigenze della società. Gli “standard urbanistici” sono infatti sostituiti dalla raccomandazione di “garantire comunque un livello minimo” di attrezzature e servizi, “anche con il concorso di soggetti privati”. L’obbligo del rispetto quantitativo degli standard urbanistici è già rispettato nei comuni dove la corretta pianificazione urbanistica è un risultato consolidato, ma è un traguardo ancora molto lontano in numerosissime città italiane.

Nella legge si esclude la tutela del paesaggio e dei beni culturali dagli impegni della pianificazione ordinaria delle città e del territorio. Contraddicendo una linea di pensiero che, da oltre mezzo secolo, aveva tentato di integrare con la pianificazione i diversi aspetti e interessi sul territorio in una visione pubblica unitaria, contraddicendo gli indirizzi culturali e legislativi che dalle leggi del 1939 e del 1942 avevano condotto alla “legge Galasso” e alle successive leggi regionali, paesaggio e trasformazioni territoriali sono divisi: affidati a leggi diverse, a uomini diversi, a strumenti diversi. Non c’è dubbio a chi spetterà la parola in caso di contrasti: non certo a chi rappresenta i musei e il bel Paese, ma a chi investe, occupa, trasforma, agli “energumeni del cemento armato”, pubblico e privato.

Ci siamo limitati a sottolineare alcuni aspetti più negativi della legge, che ci sembrano sufficienti per esprimere un giudizio preoccupato e severo: preoccupato per gli effetti, severo nei confronti non solo di chi l’ha proposta, ma anche di chi non l’ha contrastata.

E’ grave il silenzio della stampa.

E’ grave l’atteggiamento minimalista dei gruppi parlamentari dell’opposizione che, nel migliore dei casi, si sono limitati a un’azione di piccoli emendamenti e di espressione di parziale dissenso a una linea radicalmente eversiva.

E’ grave il silenzio dei partiti politici, che si presentano di nuovo alle elezioni senza aver espresso con chiarezza il loro orientamento (anzi, le loro decisioni) su un argomento così rilevante per il futuro del paese, per le condizioni di vita dei suoi abitanti, per la sorte stessa della democrazia.

Roma, 28 gennaio 2005

Tutte le adesioni raccolte

Nel patrimonio, in sé straordinario, del nostro Paese un grande capitale era sino a ieri costituito dal “palinsesto” che legava il paesaggio, per lo più agrario, e i centri storici, grandi, medi, piccoli e minimi. Ben 22.000, secondo una indagine Istat. Di essi almeno un migliaio di straordinaria bellezza. Tanti di origine etrusca, magnogreca o romana. Purtroppo questo capitale lo abbiamo in parte dissipato nel Novecento e continuiamo ad impoverirlo. Nonostante che la popolazione italiana cresca ormai pochissimo. Nonostante che lo stock di abitazioni sia enormemente aumentato (oltre 120 milioni di vani), sia pure nel modo più squilibrato. Nonostante che gli alloggi vuoti o precariamente utilizzati siano centinaia e centinaia di migliaia (e non si tratta soltanto di seconde o terze case). Assistiamo così ad una duplice dissipazione. Da una parte, constatiamo di continuo che le città edificate fino agli anni 20-30 del Novecento sono sempre meno abitate in modo stabile, con numerosi vuoti o con utilizzazioni saltuarie, magari molto redditizie come le camere o i letti dati in affitto a studenti universitari fuori sede. Dall’altra, tocchiamo con mano una crescita continua di nuovi quartieri, di centri commerciali, di multisala, di vere e proprie “cattedrali dell’iperconsumo”, che condannano gli italiani a spostarsi di continuo in automobile e che agiscono pesantemente sulle stesse città vecchie che così perdono di continuo negozi (alimentari anzitutto), sale cinematografiche, e altro. Da un lato, quartieri storici o soltanto vecchi di un’ottantina d’anni, provvisti di tutti i servizi primari e secondari, costati somme considerevolissime ai nostri padri, nonni, o avi, risultano sempre meno utilizzati. Dall’altro i Comuni devono svenarsi per portare gli stessi servizi, primari e secondari, ai nuovi insediamenti, residenziali e terziari. In tal modo – nonostante la sostanziale assenza di crescita demografica – consumiamo incessantemente sempre nuovi terreni sino a ieri a coltura, oppure a bosco, a pascolo, comunque non edificati né infrastrutturati.

Questi gli argomenti di fondo di cui ci occuperemo stamane. I casi che per la mia parte voglio proporvi fanno parte di una “campionatura”, lo ammetto, non rigorosamente scientifica. Nel senso che vi porterò una serie di esempi, fra loro piuttosto simili, costituiti da città italiane di diversa grandezza, del Nord, del Centro e del Sud, dove a fatica – per lo più con l’aiuto di amici, di colleghi giornalisti, di bravi cronisti – sono riuscito a raccogliere dati statistici utili sui centri storici e sulla evoluzione in essi della popolazione.

Consentitemi di partire da un caso-limite di spopolamento, quello di Urbino, la città alla quale ho dedicato il mio ultimo libro “L’enigma di Urbino. La città scomparsa” uscito da Aragno. In quella splendida e conservata capitale del Rinascimento il calo dei residenti entro le mura è uno dei più drammatici, pari all'86 per cento rispetto al 1951, con la punta incredibile del 95 per cento nel pieno del Poggio (uno dei due colli su cui è adagiata la città), cioè nel quartiere del Duomo. Dei 350 residenti del dopoguerra, da me ricontati, assieme ad altri testimoni diretti, si è precipitati a 16 abitanti appena. Il quartiere è occupato da Istituti e istituzioni universitarie (e per i grandi palazzi era pressoché inevitabile) e da "pollai" per studenti creati dagli affittacamere. Le ultime notizie sono queste : alcuni contenitori urbinati sarebbero stati di recente acquistati da investitori della Riviera romagnola in cerca di investimenti di “rapina” ad alto reddito. Nelle notti d’inverno, il giovedì per l’esattezza, la città ducale è stata a lungo prescelta quale meta di scorribande in base al richiamo di gruppo (o di branco) : Urbino, la Riccione d’inverno. Tutto il Comune collinare e montano di Urbino perde popolazione, ma in proporzioni decisamente inferiori : 8.000 abitanti in meno rispetto ai 23.000 del dopoguerra, cioè – 34 per cento contro l’86 per cento in meno della città murata. Nonostante questo calo complessivo, la periferia urbinate, per contro, si è molto estesa. Anche lì, dunque, Villettopoli avanza. Con un “consumo” di terreni agricoli e boschivi, con una usura del paesaggio che sta diventando impressionante. Purtroppo una legge-quadro sui centri storici non c’è, essendo rimasto allo stato di proposta il disegno di legge presentato dall’allora ministro Veltroni ai tempi del governo Prodi. Nulla di organico è stato realizzato, nel frattempo, dalle Regioni : né per i centri storici né per una gestione finalmente attenta dei consumi di suoli agricoli o comunque non edificati (pur avendo le Regioni delega assai ampia nelle materie dell’urbanistica, dell’ambiente e dell’agricoltura). Un quadro normativo così vuoto da risultare francamente desolante.

Passando alla analisi nazionale promessa, mi corre l’obbligo di rimarcare fin dall’inizio che da un ventennio circa è in atto un declino complessivo di tante nostre città, anche di quelle sempre in testa nelle classifiche del “buon vivere”. Quasi tutti i capoluoghi di provincia, quasi tutte le città di un certo peso perdono abitanti. Perché la natalità è drasticamente caduta. Perché continuano le espulsioni dovute ai meccanismi speculativi di un mercato sovente “in nero”, senza regole (la questione-casa è tornata ad essere una emergenza), meccanismi ora accelerati dai grandi processi di cartolarizzazione, anche di case di proprietà comunale. Perché le giovani coppie sono forzate dal caro-alloggi ad emigrare verso Comuni della “cintura” metropolitana e anche oltre. Fenomeni di spopolamento che nei centri storici risultano tuttavia decisamente più marcati, assumendovi talora le dimensioni di una vera, inarrestabile emorragia.

Con alcune relative eccezioni. Nel centro storico di Genova, antica residenza di marittimi e di portuali oltre che di famiglie patrizie, lo spopolamento è stato di certo molto forte in passato, in parallelo peraltro col rattrappimento demografico dell’intero Comune (sceso da oltre 800 mila a poco più di 600 mila residenti dagli anni ’50 alla fine del secolo scorso), ma nel ventennio 1981-2000 quel calo è rallentato : le tre Circoscrizioni storiche, Pré, Maddalena e Molo, hanno perduto complessivamente 4.245 residenti su 27.461 (- 15,45%). Ne ha perduti soprattutto il quartiere del Molo (- 2.715, cioè - 21,7 %). Spopolamento più limitato quindi, specie nel quartiere, tradizionalmente popolare, di Pré (-10,06 %). Dopo tanti anni di progetti si sono di recente innescati processi di recupero e di riuso, pianificati dal Comune, che poggiano sul Porto Vecchio divenuto sede di Facoltà universitarie, dell'Acquario, di ristoranti, ecc. Un pezzo di città. Si può quindi notare come il complesso dei tre rioni storici registri, nell’ultimo decennio, pesino un lieve incremento delle residenze, mentre, parallelamente, continua in modo marcato il calo di popolazione del Comune e della stessa Provincia.

Poco sopra Genova, ancora in Lombardia, c’è Voghera, una città media dell’Italia media, che ha subito essa pure una vistosa diminuzione di residenze nel centro storico ( - 34,19 per cento nell’ultimo ventennio contro un calo demografico dell’11 per cento nell’intero Comune). Questo centro del Nord, di reddito medioalto, con un elevato tenore di vita, gravitante sull’area di Milano, ha conquistato un primato negativo :per parecchi mesi non ha avuto in città un solo cinematografo regolarmente aperto, vale a dire a portata di piede, di bicicletta, o di bus, e non, forzatamente, di auto. Tutti resi anti-economici dalla multisala inaugurata nel vicino Comune di Montebello della Battaglia, accanto ad uno dei primi ipermercati. Oggi è stata recuperata per una programmazione non quotidiana una sala di proprietà della locale Società Operaia di Mutuo Soccorso. L’unica disponibile per chi non ha o non vuole usare l’automobile anche per andare al cinema, e non si rassegna alla sola televisione. Un caso evidente di come centri commerciali, multisala e strutture consimili determinino dall’esterno la vita stessa dei vecchi centri abitati, spostando flussi di traffico e abitudini, nei consumi e nell’uso del tempo libero, concorrendo a togliere vita sociale alle città tradizionali.

Processi analoghi a quelli verificati a Urbino, anche se, mediamente, con patologie meno gravi, sono riscontrabili in tutte le città universitarie. Prendiamo il caso di Perugia che ha due poli universitari : quello per studenti italiani e l’altro per studenti stranieri. Una elevata quota di iscritti fuori sede che ha trasformato buona parte della città, in specie quella antica, in una sorta di dormitorio per studenti, in una costellazione di letti in affitto. A Perugia il crollo demografico del centro storico si è verificato in modo netto fra 1971 e 1981 con oltre 5.000 residenti in meno, proprio mentre il Comune cresceva ancora, complessivamente, e la stessa Zona urbana manteneva i propri abitanti. Nella città murata il calo è proseguito, a goccia.

Altri centri, divenuti di recente sedi universitarie, hanno cominciato a fissare un "tetto" massimo agli iscritti : per esempio, Cesena dove il numero chiuso per le facoltà distaccate dall’Ateneo bolognese è stato posto a 5.000 iscritti. Nella città romagnola, anni fa, venne restaurato e recuperato in pieno centro storico il quartiere popolare della Valdoca che, con grande piacere, ho visto mesi fa, a tarda sera, con tante finestre illuminate. Qui si ha ben presente che il piano Fanti-Cervellati attuato nel capoluogo emiliano, a partire dal 1970, per il recupero e il riuso in affitto di numerosi edifici minori (e quindi abitati da ceti poveri) venne insabbiato proprio dalla lobby potente degli affittacamere e dei bottegai. Vicino a Cesena, sul mare, “tiene” abbastanza, per esempio, il borgo marittimo di Cesenatico, ancora fittamente abitato da famiglie di marinai, quindi con una sua forte identità sociale e culturale che gli ha consentito di resistere, in parte, alla “colonizzazione” turistica stagionale.

Sempre in Romagna, Forlì rappresenta una delle rare eccezioni alla regola, quasi costante, del continuo, anche se oggi più ridotto, svuotamento dei quartieri storici. Qui l’emorragia demografica si è avuta nel ventennio 1971-1991. Poi i residenti nella città antica si sono stabilizzati poco sopra quota 10.000 per salire di nuovo verso quota 11.000 nell’anno passato. Anche in questa città le facoltà distaccate da Bologna si sono radicate bene, soprattutto in centro, con circa 10.000 iscritti, provocando tuttavia problemi non lievi di rincaro di affitti e di alloggi.

Ma questo stabilizzarsi della popolazione forlivese in zona storica rappresenta davvero una eccezione. Succede infatti tutto il contrario a Viterbo, città dove l’insediamento universitario è ancora recente, autonomo e consolidato. Qui i residenti degli antichi quartieri, dopo aver “tenuto” per anni, sono letteralmente crollati nel decennio 1990-2000 : da 19.000 a 10.000. Oggi, ufficiosamente, si parla addirittura (cifra non verificata) di appena 7.000 abitatori. Una rotta. E il degrado avanza, con pub, bar, locali rumorosi. Soltanto di recente l’amministrazione comunale ha deciso peraltro di limitare, per esempio, il traffico veicolare entro le mura ponendo un primo argine al degrado. Ma vi sono strade, vicoli e piazzette in cui i residenti si contano sulle dita di una mano o poco più.

Viterbo ha nella sua provincia, un piccolo ma efficace modello al quale ispirarsi : si tratta del Comune di Bassano in Teverina (VT) dove l’allora sindaco Ugo Sposetti, senatore Ds, oggi tesoriere di quel partito, prese ad esempio, molti anni dopo, il piano Cervallati e lo attuò nel suo centro storico medioevale, quasi integralmente abbandonato dopo un terremoto : investì infatti nel risanamento di 31 alloggi i fondi ricevuti per l’edilizia economica e popolare, mentre altri 45 appartamenti furono poi recuperati dall’iniziativa privata. Altri stanziamenti pubblici sono stati impegnati nel consolidamento e nel risanamento del borgo medioevale che consta in tutto di circa 300 alloggi e che è tornato a vivere senza diventare una Disneyland per ricchi. Gli alloggi pubblici sono stati assegnati in affitto secondo rigorosi criteri sociali. Mi risulta che, con un piano meno ampio, un’esperienza analoga stia promuovendo il vicino Comune di Ischia di Castro (VT).

A Roma dedicherà la propria relazione, subito dopo la mia, Paolo Berdini. Posso soltanto anticipare che essa confermerà il dato di uno spopolamento mediamente molto elevato, che risale ad anni lontani e che tuttavia non sembra volersi mai arrestare, ponendo questioni assai spinose.

Nel Sud lo spopolamento è risultato in alcuni centri pressoché totale, fino ad una rioccupazione "storica", dopo molti secoli e nel modo più precario, da parte di immigrati arabi, maghrebini. E’ accaduto anche a Palermo, nella Kalsa. Sulle Madonie centri storici tradizionali come Gangi si stanno letteralmente svuotando.

A Lecce, città universitaria da decenni, il periodo di massimo svuotamento dei rioni storici è stato quello fra il 1971 e il 1981, con quasi 13.000 residenti in meno (- 64 per cento). Il deperimento sta proseguendo e tuttavia è consistito soltanto in un migliaio di residenti in meno negli anni 80 e di una settantina appena nel decennio successivo.

A Taranto la situazione è assai più compromessa. Anche perché il piano di restauro della antica “isola dei pescatori”, elaborato con intelligenza e competenza da Franco Blandino alla fine degli anni ’80 (sul modello Bologna), aveva dato risultati ammirevoli. Purtroppo mancava in loco una cultura specifica ; era venuto meno il legame affettivo fra gli antichi abitanti e il loro antico centro di residenza. Difatti il ripopolamento di quella zona abbandonata da molti anni era subito risultato problematico, a partire da una equa riassegnazione degli.alloggi recuperati. Certo nessuno poteva attendersi il vero e proprio crollo di popolazione, la fuga di massa registrata invece nell’ultimo periodo (- 78,33 per cento nel trentennio 1971-2001, nonostante il piano di risanamento e la reimmissione di abitanti nelle case splendidamente risanate).

I centri storici, i rioni antichi diventano per lo più o pied-à-terre per ceti abbienti, magari per stranieri colti e intelligenti (si pensi alla Toscana, ma anche all’Umbria e, in parte, alle Marche), ma, ancor più, sedi di uffici, di banche, di assicurazioni, di studi professionali, vivendo, anche di traffico veicolare, durante il giorno e “morendo” letteralmente quando scende la sera. Salvo trasformarsi, di notte, in un rumoroso “divertimentificio” che irrita e, alla fine, scaccia i pochi residenti superstiti rimasti legati a quelle vecchie pietre e che la mattina dopo deve lavorare, o comunque vivere ad orari normali. Un conflitto che si verifica dovunque, specie nelle città universitarie. In Italia ma anche in giro per l’Europa. E insieme agli abitanti se ne vanno i negozi di alimentari, gli artigiani di servizio, le scuole e altri servizi essenziali. Al loro posto subentrano pizze a taglio, negozietti di souvenirs, negozi di “stracciaroli” spesso effimeri, bar e pub che nascono e muoiono in modo sospetto, sovente luogo di spaccio.

A Firenze – secondo una inchiesta condotta da Francesco Erbani per “Repubblica” e comparsa il 20 novembre 2004 – nell’ultimo decennio le residenze, già molto diradate, sono diminuite, in centro, di un altro 12 per cento. Nel capoluogo toscano, divenuto capitale, con Venezia, del turismo di massa, denuncia il prof. Manlio Marchetta, professore di Urbanistica all’Università, la quota di centro storico destinata ad abitazione stabile era ancora pari al 30 per cento nel 1987, mentre ora è precipitata al 10-15 per cento. “Per il centro storico”, denuncia lo stesso docente, “non esiste un piano specifico, nonostante lo prescriva una legge regionale”.

Il grido di allarme che abbiamo voluto lanciare raccontando in sintesi alcune vicende esemplari, dalla desertificata Urbino alla non meno spopolata Taranto, riguarda ormai tutta Italia. Il vero enigma è come mai un popolo evoluto dissipi contemporaneamente due patrimoni straordinari : i suoi centri storici, le sua città antiche (anche le meglio conservate) e la campagna circostante, l’ambiente, il paesaggio. Tanto che fra città e campagna spesso non c’è più alcuna interruzione : il continuum cemento+asfalto risulta terribile. L’ultima volta che sono sceso in aereo su Venezia, sono rimasto scioccato vedendo come fra Mestre, Treviso e Padova non ci sia più campagna, come fra centri abitati, fabbriche, centri commerciali e altri centri abitati, altre fabbriche, altri centri commerciali non ci sia più la benché minima interruzione. Il continuum di asfalto e cemento è impressionante. Credevamo che il fenomeno fosse soprattutto meridionale e invece dobbiamo renderci conto del fatto che esso costituisce ormai un’autentica emergenza nazionale. In una Italia che sull’Appennino è da anni un deserto, per centinaia e centinaia di chilometri, e che in pianura o sulle coste è ormai soltanto cemento & asfalto. Del resto, nel solo ventennio 1961-81 hanno cambiato destinazione più aree agricole di quanto non sia avvenuto nei duemila anni precedenti. In generale, la superficie agricola e forestale è scesa, nell’intero Paese, dai 30 milioni di ettari del 1950 a meno di 20 milioni di ettari nel 2001, diminuendo di oltre un terzo.

Secondo il Wwf, ogni anno dai 50.000 ai 100.000 ettari vengono sottratti al patrimonio agricolo e boschivo per essere ricoperti di cemento e di asfalto. Nell’arco di un ventennio (nella migliore delle ipotesi) continuiamo a perdere dunque tanta buona terra, agricola e forestale, per una superficie pari a quella della Puglia. Tutto ciò mentre la popolazione italiana rimane, nel complesso, quasi ferma, o aumenta di poco. Le città perdono residenti che si spargono nei piccoli centri o nelle campagne. La diffusione di mega-centri commerciali e di multisala cinematografiche nelle periferie urbane accelera il processo di svuotamento delle città provocando in esse, soprattutto nei quartieri centrali, la chiusura a catena di esercizi commerciali e di sale cinematografiche. I Comuni sono spiazzati, o si lasciano spiazzare, da questi sviluppi che hanno, in parte, rinunciato a controllare, dovendo pertanto inseguire Villettopoli, Fabbricopoli, Commerciopoli, Filmopoli e naturalmente costruire altre arterie stradali e potenziare quelle esistenti poiché la grande massa degli spostamenti avviene esclusivamente in automobile. Non a caso la densità auto/abitanti è giunta (record europeo) nelle aree metropolitane a 1 vettura ogni 1,50 residenti, bambini inclusi. Sono fenomeni che vanno per conto proprio, in modo dirompente, svuotando la pianificazione urbanistica (del resto sforacchiata da continue varianti) e invadendo una campagna sino a ieri verdeggiante, distruggendo velocemente e per sempre uno stock sensazionale di beni primari (terra coltivata, boschi, pascoli, acque di falda e di superficie, ecc.) o comunque deteriorandolo in profondità. Tutto ciò in un Paese che è prevalentemente di collina e di montagna e che sempre più appare per una parte semideserto o deserto e per l’altra congestionato, superaffollato. Fino a ieri pensavamo che questa stridente contraddizione riguardasse da una parte le zone collinari e montane e dall’altra le aree di pianura e le coste. Oggi, invece, ci rendiamo conto che la contrapposizione fra aree svuotate e aree congestionate riguarda anche, da una parte i centri storici o le città soltanto vecchie e dall’altra le zone metropolitane di nuova edificazione. Con meccanismi assolutamente folli che bisognerà pure ingegnarsi di fermare e di razionalizzare, prima che finiscano per divorare, letteralmente, il Paese e il suo patrimonio (che è anche sociale, che è anche economico) di bellezza paesaggistica, storico-artistica, naturalistica. In altri Paesi, negli stessi vastissimi Stati Uniti, in genere nel mondo anglosassone, è da tempo aperto il dibattito sull’“urban sprawl”, sulle città “disordinate” (o, più letteralmente, “stravaccate”). In Italia, Paese di spazi ben più ridotti, con un reticolo di centri abitati prezioso che risale agli Etruschi, ai Greci e ai Romani (ben 2.684 Comuni hanno questa origine, mentre altri 4.164 risultano fondati fra l’800 dopo Cristo e il 1300), in Italia, dicevo, lo stesso dibattito appare molto più flebile e arretrato. E invece, proprio nel Bel Paese o in quanto resta di esso, non possiamo e non dobbiamo assolutamente rassegnarci a tanta rovina, frutto della più incolta speculazione, di una finta modernità, in realtà tutta affaristica, ma, qualche volta, frutto anche di pura imbecillità, comunque di una visione dissipatrice di quel patrimonio di tutti rappresentato dall’ambiente e dalla storia.

Un vivo ringraziamento va agli amici che mi hanno validamente aiutato nella raccolta dei dati e della documentazione sui centri storici in giro per l’Italia. In particolare ringrazio Bruno Gabrielli per Genova, Enrico Marelli per Voghera, Marina Foschi per Forlì, Giordano Conti per Cesena, Marta Zani per Cesenatico, Marcella Calzolai per Perugia, Arnaldo Sassi per Viterbo, Ugo Sposetti per Bassano in Teverina, Arturo Guastella per Lecce e Taranto, Teresa Cannarozzo per Gangi e altri Comuni delle Madonìe.

Allo stesso convegno, la relazione di Paolo Berdini su Roma

Pubblicati i bandi per i porti di Marina di Puolo di Massa Lubrense e Amalfi con il contributo di capitali privati

L’Assessorato ai Trasporti della Regione Campania comunica che sono stati pubblicati sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania (Burc) i bandi per la realizzazione e la gestione dei porti turistici di Marina di Puolo di Massa Lubrense e Amalfi, mediante la procedura della finanza di progetto (project financing), ossia con il contributo di capitali privati, secondo quanto previsto dalla normativa sui lavori pubblici.

In base ai bandi - che rientrano nel Progetto regionale integrato per lo sviluppo della portualità turistica in corso di realizzazione - i soggetti interessati alla costruzione e alla gestione dei due scali (cosiddetti "aspiranti promotori") potranno presentare le proposte (progetti) al settore Demanio marittimo dell'Assessorato regionale ai Trasporti entro il 30 giugno 2005, o - in caso di assenza di proposte alla prima scadenza - entro il 31 dicembre 2005.

La procedura prevede una prima scelta di una proposta e quindi una successiva gara per l'individuazione definitiva del soggetto che realizzerà e gestirà le opere, che dovrebbero essere avviate entro il prossimo anno per concludersi intorno al 2008.

Ai capitali privati così reperiti, si aggiungeranno poi i fondi regionali già appositamente stanziati nei mesi scorsi per un massimo rispettivamente di 3,1 milioni di euro (per Marina di Puolo), e di 2 milioni di euro (per Amalfi) (vedi schede allegate).

"Con la pubblicazione di questi due bandi - ha affermato il presidente Antonio Bassolino - si fa un forte passo in avanti per la realizzazione di porti turistici in località importanti come Amalfi e Massa Lubrense.

L'incremento dei posti barca nel rispetto dell'ambiente è uno dei punti fondamentali della nostra attività per potenziare il turismo e rendere il mare più vivibile e godibile."

Il Progetto per la portualità turistica fa un altro passo avanti - dice l'Assessore regionale uscente ai Trasporti, Ennio Cascetta - coinvolgendo i privati in quella che è un'autentica sfida per lo sviluppo del nostro territorio e di cui auspichiamo ora un'ampia e qualificata partecipazione.

I due bandi pubblicati si aggiungono agli altri già in corso e agli interventi già avviati, per un programma che prevede complessivamente un investimento di circa 680 milioni di euro, dei quali 310 pubblici (150 solo di fondi regionali tra ordinari, POR e Progetto integrato) e 370 privati (provenienti dalle procedure avviate del project financing).

Grazie a questi interventi il sistema di porti turistici della Campania sarà dotato entro il 2008 di 19.300 posti barca (di cui 7.000 nuovi e 7.400 rifunzionalizzati, ossia con tutti i servizi necessari), sia in porti e approdi recuperati, messi in sicurezza e attrezzati, sia in nuovi scali in corso di realizzazione".

SCHEDE

1. IL PORTO DI AMALFI

Per quanto riguarda Amalfi, l'intervento (per un totale di 23 milioni di euro, di cui 2 di fondi regionali) prevede un'offerta diportistica compresa tra i 350 e i 400 posti barca tra nuovi e rifunzionalizzati.

In ogni caso l'infrastruttura dovrà garantire le seguenti funzioni minime:

L'intervento, inoltre, dovrà garantire:

2.IL PORTO DI MASSA LUBREBNSE - MARINA DI PUOLO

Per quanto riguarda invece Marina di Puolo, l'intervento (per un totale di 6,2 milioni di euro, di cui 3,1 di fondi regionali) prevede tra gli 80 e i 130 posti barca tra nuovi e rifunzionalizzati.

In ogni caso l'infrastruttura dovrà garantire le seguenti funzioni minime:

WWF Friuli Venezia Giulia - Italia Nostra Trieste

Ill resoconto di una serie di atti e dichiarazioni che rivelano come la legge e il rispetto di norme antichissime (1942-1946) che garantiscono la partecipazione dei cittadini vengano calpestati da amministrazioni democratiche. Allegato il testo integrale del documento del 27 gennaio 2005

[…] Per quanto attiene l’iter della variante n. 21 al PRGC di Duino-Aurisina, la relazione dell’assessore [regionale – ndr] Sonego omette di dire che la sentenza del TAR n. 287/2004 ha annullato le delibere di approvazione sia della variante in questione, sia del successivo piano particolareggiato relativo all’intervento di “valorizzazione turistica” della baia di Sistiana (ambito A 8 secondo il vigente PRGC) . L’annullamento è stato motivato con la clamorosa violazione da parte del Comune di Duino-Aurisina, in entrambi i casi, dell’art. 31, c. 7 della L.R. 52/1991, che prescrive l’esame puntuale - da parte del Consiglio comunale - delle osservazioni presentate dai cittadini.

E’ quanto meno sorprendente che ai competenti uffici regionali, sia “sfuggito” il fatto che nessuna osservazione era stata esaminata dal Consiglio comunale di Duino-Aurisina. Non si comprende perciò come possa essere stata presa per buona l’affermazione palesemente falsa contenuta nella delibera poi annullata dal TAR (affermazione poi incredibilmente ripresa anche nella relazione dell’assessore), secondo cui “Il Consiglio comunale di Duino-Aurisina approvava la variante n. 21 al PRGC con le modifiche conseguenti all’accoglimento di parte delle osservazioni…”. Quale accoglimento, se le osservazioni non erano state esaminate dal Consiglio (e ciò era evidente ictu oculi ad un semplice esame della delibera poi annullata dal TAR) ?

Addirittura la relazione dell’assessore fa propria l’interpretazione riduttiva della sentenza del TAR, sbandierata ai quattro venti dal sindaco di Duino-Aurisina, nell’evidente – ed umanamente comprensibile, ma non per questo giustificabile – tentativo di sminuire la clamorosa illegalità commessa. Scrive infatti l’assessore che “La sentenza di annullamento è stata determinata dall’illegittimità procedurale consistente nel non aver esaminato in sede di Consiglio comunale ciascuna delle osservazioni e opposizioni presentate, in quanto le stesse sono state valutate in modo raggruppato tenuto conto della tipicità ed omogeneità delle richieste.” Come detto, non di “illegittimità procedurale” si tratta (“formalità” ha ripetuto per mesi il sindaco di Duino-Aurisina, sperando che qualcuno ci credesse e almeno uno – l’assessore Sonego – sembra averci creduto…), bensì di esplicita e grave violazione di una disposizione di legge. Chi è il primo custode del rispetto delle leggi regionali, se non la Regione stessa ?

Va rimarcato che la norma in questione rappresenta un’evidente garanzia a tutela del diritto dei cittadini di intervenire nell’iter degli strumenti urbanistici, garanzia brutalmente ignorata dal Consiglio comunale di Duino-Aurisina. Non è certo di consolazione il fatto che la delibera in questione sia stata approvata a larga maggioranza, compresi quindi anche molti esponenti dell’opposizione di centro-sinistra. Semmai questo è un sintomo preoccupante dell’indifferenza “trasversale”, con cui vengono trattati i diritti dei cittadini in certe assemblee elettive…

Inoltre, gli uffici della Direzione regionale della pianificazione territoriale, che tra l’altro avevano ricevuto (com’è facile verificare al protocollo…) copia delle osservazioni di WWF, Italia Nostra e Legambiente, non possono non essersi accorti che nessuna delle dettagliate osservazioni presentate era stata esaminata, né singolarmente, né “raggruppata”. Perché allora avallare la tesi del sindaco di Duino-Aurisina ? Sta di fatto, appunto, che una delibera palesemente illegittima è “passata” impunemente sotto gli occhi degli uffici regionali, che infatti ne hanno predisposto la conferma di esecutività, e soltanto il ricorso al TAR di WWF e Italia Nostra ha permesso di ristabilire la legalità sostanziale.

E’ altresì quanto mai significativo chela Regione si sia guardata bene (come anche il Comune, del resto) dall’impugnare al Consiglio di Stato la sentenza n. 287/04. Appare perciò quanto meno azzardato affermare che rappresenti un “atto dovuto” la conferma di esecutività, da parte della Giunta regionale, sulla delibera del Consiglio comunale di Duino-Aurisina, di riapprovazione della variante n. 21.

[…]

Rimane tuttavia necessario, a giudizio di WWF e Italia Nostra, anche un ripensamento globale da parte della Regione (e ovviamente anche da parte del Comune di Duino-Aurisina) sull’intera questione del progetto di “valorizzazione turistica” della Baia di Sistiana, anche se i più recenti atti della Giunta regionale non vanno certo in questa direzione.

Si è appreso infatti (v. comunicato dell’ufficio stampa della Giunta regionale del 20/1/2005) che :

1) il presidente Illy ha incontrato il sindaco di Duino-Aurisina, con il quale ha esaminato l’ ”ultimo progetto” per il “recupero della Baia”, progetto che ha giudicato “a misura d’ambiente e d’equilibrio sociale, oltre che accettabile dal punto di vista paesistico” ;

2) ciò è avvenuto “dopo essersi adoperato per favorire il dialogo tra la proprietà della baia ed alcune forze politiche di maggioranza che rappresentano le principali associazioni ambientaliste”.

Va osservato che nessuna competenza ha il presidente della Regione, per giudicare in merito alla compatibilità ambientale, sociale e paesistica di progetti di qualsivoglia natura, esistendo norme, procedure ed uffici (regionali e statali) all’uopo preposti. Dichiarazioni del tenore di quelle sopra riportate hanno semmai il sapore di indebite ingerenze e pressioni nei confronti di chi ha il compito di svolgere queste funzioni. Quale funzionario regionale oserà mai esprimere valutazioni negative sul progetto della Baia di Sistiana, dopo le “esternazioni” del presidente Illy ?

Va altresì osservato che l’”ultimo progetto” non è noto ad alcuno, essendo stato presentato al Comune di Duino-Aurisina – a quanto si appreso dalla stampa – già l’anno scorso, venendo subito “secretato” dal sindaco.

[…]

Sempre dagli organi di informazione si è poi appreso (v. comunicato dell’ufficio stampa della Giunta regionale del 22/1/2005) che :

1) il presidente Illy, “dopo aver parlato con alcune forze della maggioranza regionale ed in particolare con il segretario regionale dei Verdi, ha incontrato i rappresentanti della società promotrice del progetto” ;

2) il presidente ha presentato 11 richieste “affinché il progetto possa essere sostenibile sotto l’aspetto sociale, ambientale e paesaggistico”, richieste che “sono state accolte e saranno inserite nel progetto”.

Quelli che viviamo sono i peggiori anni per la cultura e per i suoi beni. Il governo Berlusconi, stavolta per mano del fresco ministro della Funzione pubblica, Mario Baccini, si accinge a stabilire, per regolamento, che, per fare lavori impegnativi anche in un edificio vincolato, basterà la dichiarazione d’inizio attività. Se la Soprintendenza competente non risponderà in tempo, per ragioni anche gravi (perché in quel momento i suoi sparuti funzionari sono in altre faccende immersi), scatterà il silenzio/assenso. Meccanismo che stravolge i criteri stessi della tutela: un vincolo architettonico, storico-artistico o paesistico non viene apposto per sfizio bensì per ragioni che esprimono un interesse generale; per apporlo ci son voluti magari anni e in poco tempo i suoi effetti vengono nullificati.

Diventano “carta straccia”, come ha ben detto su «Repubblica» Salvatore Settis, uno specialista che, da qualche tempo, sta denunciando la politica distruttiva di questo governo e dei suoi ministri, dopo essere stato fra gli esperti e i presentatori del Codice Urbani. Già, e il ministro Urbani? Ha detto subito che la norma Baccini non può venire applicata ai Beni culturali. E a cos’altro, di grazia? La dichiarazione d’inizio attività per gli immobili non soggetti a vincolo è, purtroppo, in vigore da anni. La indignata presidente di «Italia Nostra», Desideria Pasolini dall’Onda ha osservato: «Non ci rassicura la reazione di Urbani: aveva detto di no anche al condono paesaggistico contenuto nella legge-delega sull’ambiente, ma nessuno lo ha ascoltato». In effetti, Urbani è fatto così: protesta, ma poi si adegua.

Con la norma Baccini, siamo di fronte ad una nuova “semplificazione” perfettamente coerente col proposito berlusconiano di consentire a tutti i padroni e padroncini di qualcosa di poter dire: «Ognuno è padrone a casa sua». Per anteporre gli interessi privati all’interesse generale, lui “semplifica” non passando dal Parlamento, “semplifica” eliminando ogni volta che può il potere tecnico-scientifico dei Soprintendenti, diventato, col Codice Urbani, preventivo e soltanto consultivo. Berlusconi ha dato il buon esempio ponendo, per decreto, il segreto di Stato su tutti gli edifici di sua proprietà, su quelli della numerosa famiglia (allargata) e dei collaboratori “non indicati”. Così, a partire dal tombone di famiglia ad Arcore, tutto è al riparo da occhi indiscreti, anche da quelli di un Soprintendente. Misure inaudite.

Questa la logica alla quale s’intona, nell’interesse dei singoli proprietari privati, il regolamento Baccini. Su di esso è intervenuto ieri il direttore generale dei Beni culturali del Lazio, Luciano Marchetti, sostenendo che «la norma in sé non sarebbe un problema» (bravo, anzi bravissimo) e che «la difficoltà nasce dal fatto» che, non essendo stato sostituito il personale tecnico, «gli uffici perdono efficienza e quindi si configura un rischio per il patrimonio culturale». Per la verità, anche prima del mancato turn-over gli uffici delle Soprintendenze competenti erano affollati di pratiche da sbrigare e poveri di personale (architetti, ingegneri, ecc.). In Sardegna, alla fine degli anni ‘90, ogni funzionario doveva sbrigare oltre 1.000 pratiche; in Liguria, 1.871. E così via. Figuriamoci ora con le mancate sostituzioni.

D’altronde, questo governo - per far quadrare la più traballante delle Finanziarie - ha calato la scure sul già esangue Ministero per i Beni e le Attività culturali tagliando del 46 per cento le spese di funzionamento, del 26 quelle di investimento (un altro 10 per cento è saltato in sede di Finanziaria), della metà il fondo derivante dal lotto del mercoledì, e togliendo infine una bella fetta al Fondo Unico per lo Spettacolo. Col risultato di mettere ancor più nei guai musica, balletto, teatro, cinema, e di assestare colpi durissimi alla qualità e alla quantità delle attività culturali. Colpi tanto più pesanti nel momento in cui le imprese investono meno nelle sponsorizzazioni o riservano i loro denari ai “grandi eventi”. Soldi ne ha soltanto la società Arcus, finanziata - una sorta di incesto - col 3 per cento delle Grandi Opere (per le quali non c’è più Valutazione d’Impatto Ambientale, altra “semplificazione”). Ma le scelte dell’Arcus eludono i criteri tecnici essendo fuori dall’ambito ministeriale.

La cultura e i suoi beni sono dunque meno finanziati e meno tutelati. I condoni, ai quali il ministro Urbani sempre s’inchina, hanno concorso ad imbarbarire ancor più le coscienze in un Paese già fortemente vocato all'illegalità. Quello ambientale è fallito quasi ovunque (il governo si è dunque screditato per pochi euro), tranne che nella già devastata Sicilia dove le domande di sanatoria risultano 6.500. Questa è la regola, tutta cementizia, dell’«ognuno è padrone a casa sua». Anche sulle coste più belle, dentro la Valle dei Templi o vicino ai colonnati dorici di Selinunte. Chi protesta, appartiene alla “sinistra barricadera” (così Oscar Giannino sul «Riformista» di ieri) e naturalmente vuol male all’Italia.

Rendete la Baia di Sistiana inedificabile. Una ventina di urbanisti e architetti italiani, docenti alla Sapienza di Roma o al Politecnico di Milano, più il capogruppo dei Verdi in consiglio comunale a Milano, più la vicepresidente della Provincia di Roma, in taluni casi vicini al Wwf, hanno scritto una lettera al presidente della Regione, Riccardo Illy, e al sindaco di Duino Aurisina, Giorgio Ret. Contrastano il fatto che in «un luogo di assoluta eccellenza per la bellezza del paesaggio, ai primi posti di una possibile classifica nazionale» si faccia «un pesante insediamento carico di grandi cubature edilizie, non giustificabile con la mistificatoria accezione di ’’sviluppo’’ turistico».

Parole dure per rifiutare insediamenti: «Anni di tentativi dimostrano che non esistono le capacità imprenditive in grado di realizzare un intervento di turismo qualificato e pienamente sostenibile, quale quello prefigurato dal Prg del 1997/2000 - dice il documento - , e che l’unico destino possibile della Baia, se la sua utilizzazione è determinata dagli interessi economici dei proprietari, è la sua distruzione». Secondo gli urbanisti (fra cui vi è Edoardo Salzano dello Iuav di Venezia, autore del Prg di Duino Aurisina), «per evitare che la Baia diventi un quartiere residenziale anonimo o un villaggio turistico squalificato, l’unica possibilità è conservare la Baia così com’è. Siamo veramente allarmati - proseguono -, riteniamo pienamente condivisibili le prese di posizione di Wwf e Italia nostra e, al contrario, sorprendenti e incomprensibili le adesioni delle autorità regionali e comunali al progettato intervento di privati: tanto da volersi opporre in Consiglio di Stato, appunto insieme ai proprietari, contro la sentenza del Tar che accogliendo il ricorso di Wwf e Italia nostra, ha annullato l'autorizzazione paesaggistica e la concessione edilizia regionale per il cosiddetto modellamento nell'ex cava». I firmatari chiedono che si preservi l’uso «naturale» del sito, che si fermino i lavori nella cava, che «si promuovano immediatamente le procedure per stabilire con assoluta chiarezza il vincolo di inedificabilità totale e di intangibilità».

Da tempo seguiamo le vicende relative ai progetti e alle azioni tesi a trasformare un luogo di assoluta eccellenza per la bellezza del paesaggio, vale a dire perfetta compartecipazione di costa e mare nella definizione di un punto geografico ai primi posti di una possibile classifica nazionale, in un pesante insediamento carico di grandi cubature edilizie, certo non giustificabile con la mistificatoria accezione di “sviluppo” turistico.

Anni di tentativi dimostrano che non esistono le capacità imprenditive in grado di realizzare un intervento di turismo qualificato e pienamente sostenibile, quale quello prefigurato dal PRG del 1997/2000, e che l’unico destino possibile della Baia, se la sua utilizzazione è determinata dagli interessi economici dei proprietari, è la sua distruzione. Per evitare questo destino, per evitare che Baia Sistiana diventi un quartiere residenziale anonimo o un villaggio turistico squalificato, l’unica possibilità è quella di conservare la baia così com’è.

Scriviamo a loro, signor presidente e signor sindaco, perché siamo veramente allarmati. Riteniamo che la presa di posizione e il continuo impegno del WWF e di Italia Nostra per difendere “la baia di Rilke” siano condivisibili pienamente e che, al contrario, siano sorprendenti e incomprensibili le pervicaci adesioni delle autorità regionali e comunali al progettato intervento di privati: tanto da volersi opporre in Consiglio di Stato, appunto insieme ai proprietari dei terreni, contro la sentenza del Tar del dicembre 2004 che, accogliendo il ricorso di WWF e Italia Nostra, ha annullato l'autorizzazione paesaggistica e la concessione edilizia regionale per il cosiddetto modellamento nell'ex cava.

A questo punto, per conservare l’ambiente attuale, gli unici provvedimenti che dirigenti politici e amministratori davvero intenzionati a salvaguardare i territori che ricadono sotto la loro pertinenza urbanistica, e in questo caso anche di preservarne l’uso per così dire naturale che da sempre i cittadini e i visitatori ne fanno, devono essere, a nostro giudizio:

- negare ogni ripresa dei lavori relativi alla cava;

- accantonare qualsiasi progetto di intervento nella baia e nel contesto territoriale;

- promuovere immediatamente le procedure per stabilire con assoluta chiarezza il vincolo di inedificabilità totale e di intangibilità della condizione paesaggistica esistente.

Convinti di un Loro ripensamento,

- Lodovico Meneghetti, professore ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano

- Edoardo Salzano, professore ordinario di Urbanistica, Istituto universitario di architettura di Venezia

- Maurizio Baruffi, capogruppo dei Verdi nel Consiglio comunale di Milano

- Irene Berlingò, presidente Assotecnici, Roma

- Lorenzo Berna, professore ordinario di Urbanistica, Università degli studi di Perugia

- Piero Bevilacqua, professore ordinario di Storia contemporanea, Università “La Sapienza”di Roma, coordinatore del bollettino di studi e ricerche di storia ambientale “ I frutti di Demetra”

- Sergio Brenna, professore associato di Fondamenti di urbanistica, Politecnico di Milano

- Giancarlo Consonni, professore ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano

- Vezio De Lucia, urbanista, Roma

- Antonio di Gennaro, agronomo, Napoli

- Maria Pia Guermandi, dirigente istituto Beni culturali della Regione Emilia

Romagna, Bologna

- Fausto Martino, architetto, ex assessore all'urbanistica di Salerno, funzionario del ministero dei Beni artistici e culturali, Roma

- Rosa Rinaldi, vicepresidente della Provincia di Roma, Roma

- Mariarosa Rizzi, architetto, esperto politiche territoriali Regione Umbria, Perugia

- Sergio Rizzi, architetto, consulente del WWF per l’Isola d’Elba, Campo nell’Elba (Livorno)

- Michele Sacerdoti, membro delle Commissioni edilizie e urbanistiche dei Consigli di circoscrizione 1, 2 e 3 di Milano

- Graziella Tonon, professore straordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano

Come si legge nella cronaca, Illy “di recente si è adoperato anche per favorire il dialogo tra la proprietà della Baia di Sistiana e alcune forze politiche della sua maggioranza che rappresentano le principali associazioni ambientaliste, da sempre scettiche e critiche sul piano di recupero”. Strabiliante

E intanto la Variante 21 supera l’esame

Da Il Piccolo del 21 gennaio 2005.

Variante 21, versione 2, la rivincita. La Giunta regionale ha approvato la nuova versione della Variante 21 al piano regolatore del comune di Duino Aurisina, riveduta e corretta dopo l'annullamento del provvedimento (o meglio, della fase di approvazione da parte del Comune) da parte del Tar per una serie di vizi di forma. Dopo la ripetizione dell'iter, con una serie di modifiche, da parte del consiglio comunale di Duino Aurisina, nei giorni scorsi è toccato alla Giunta regionale – non senza polemiche da parte dei Verdi e di Rifondazione comunista, che avevano chiesto di bloccare l'iter autorizzativo – ratificare il documento urbanistico, che entrerà in vigore con la pubblicazione.

Ambientalisti ed esponenti di Rifondazione comunista avevano chiesto prima di Natale – sulla base della vittoria di un altro ricorso al Tar, relativo alle procedure di autorizzazione dei lavori di ripristino della ex cava – che i provvedimenti della Giunta in merito alla Variante 21 venissero bloccati in via cautelativa. Ma l'assessore Sonego ha spiegato la scelta della Giunta: «Il documento presentato dal Comune di Duino Aurisina risulta a posto dal punto di vista formale, e la ratifica della Giunta regionale si legge come atto dovuto nell'ambito di una regolare procedura».

E' stato dunque riassorbito in circa sei mesi il ritardo dovuto all'annullazione del documento urbanistico, che ha fatto cadere, come in un complesso domino, anche il piano particolareggiato della Baia. Spetta ora proprio alla proprietà della Baia presentare nuovamente il piano particolareggiato, e rendere finalmente noti i nuovi disegni relativi ai lavori in cava. L'ex soprintendente, Giangiacomo Martines, infatti, aveva concordato con il Comune e la proprietà una versione meno impattante sul territorio del grande albergo e del borgo sul mare che dovrebbero sorgere dai resti della cava, ma dopo il blocco della Variante 21 quei disegni erano stati secretati. Intanto si attende di sapere l'esito dei «controricorsi» relativi all'annullamento della concessione edilizia per i lavori nella ex cava: ci vorranno almeno due mesi per capire se le posizioni del Tar saranno confermate o meno dal Consiglio di Stato.

Intanto la proprietà si muoverà sul fronte del piano particolareggiato, e - alla luce delle novità - lo ripresenterà certo fra breve.

fr. c.

Illy dà il placet al progetto della Baia di Sistiana

Il presidente della Regione mediatore tra i «contrari» della sua maggioranza e la proprietà del sito

Cambia, per lo meno politicamente, lo scenario relativo alla intricata questione della Baia di Sistiana, da mesi alle prese con ricorsi al Tar e con un piano particolareggiato ancora fermo, e anzi da ripresentare.

Ieri il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, ha incontrato il sindaco di Duino Aurisina, Giorgio Ret, e lo ha rassicurato sulla validità dell'ultimo progetto - non ancora reso noto pubblicamente, però - per il recupero della Baia di Sistiana, che ha definito «a misura d'ambiente e d'equilibrio sociale, oltre che accettabile dal punto di vista paesistico».

Illy di recente si è adoperato anche per favorire il dialogo tra la proprietà della Baia di Sistiana e alcune forze politiche della sua maggioranza che rappresentano le principali associazioni ambientaliste, da sempre scettiche e critiche sul piano di recupero. Rifondazione comunista e Verdi in particolare stanno conducendo una serrata battaglia.

Ma Illy ha sottolineato ieri al sindaco l'importanza di provvedere al recupero della Baia e ha notato d'aver riscontrato, da parte della proprietà dell'area, la disponibilità ad accogliere i suggerimenti delle associazioni ambientaliste «sul mantenimento delle caratteristiche del sito».

Illy e Ret hanno infine concordato su un punto importante, che interessa anche molti cittadini, firmatari di petizioni: la necessità di conservare alla comunità il libero utilizzo di tutte le spiagge.

Ret ha confermato al presidente della Regione che la parte della Costa dei Barbari appartenente al momento al proprietario della cava e della Baia di Sistiana sarà ceduta al Comune. E dunque il Comune intende rendere anche questa zona disponibile al pubblico.

Baia: tutti spiazzati dal «sì» di Illy

Da Il Piccolo del 22 gennaio 2005

Intanto anche la giunta ricorre al Consiglio di Stato per i lavori nella cava

E’ sceso in campo a favore del progetto della Baia di Sistiana con un colpo di scena, all'insaputa di tutti: politici, amministratori e tecnici. Il presidente della Giunta regionale, Riccardo Illy, dribbla le polemiche e si esprime in maniera netta a favore della Baia. Convoca in gran segreto il sindaco di Duino Aurisina, Giorgio Ret («Non l'ho detto nemmeno a mia moglie», confida il sindaco), si fa mostrare le carte, svolge verifiche, rimanda a casa Ret con la richiesta del più totale riserbo sull'incontro, e poi, a tarda sera, fa diramare un comunicato nel quale conferma «la validità dell'ultimo progetto», definito «a misura d'ambiente e d'equilibrio sociale, oltre che accettabile dal punto di vista paesistico». Terapia d'urto, insomma, per la Baia di Sistiana, da anni insabbiata nelle polemiche e bloccata da ricorsi al Tar: e proprio in merito al Tar, ieri nuovo importante passaggio in Giunta regionale, dove – fatta eccezione per l'assessore di Rifondazione, Roberto Antonaz – si è votato a favore del ricorso al Consiglio di Stato sull'annullamento della concessione edilizia per i lavori di ripristino della cava. Dopo la proprietà e il Comune (che deve formalizzare l’atto), ora anche la Regione sceglie di tutelare quanto fatto sul piano formale per avviare i lavori.

«Sono rimasto sorpreso dall'immediatezza che Illy ha dimostrato nel prendere posizione a favore del progetto, e sono soddisfatto: un segnale che ci permette di andare avanti più spediti - dice Ret -. Il presidente della Giunta ha visto il nuovo piano, decisamente più vicino alle richieste degli ambientalisti. L'obiettivo ora è marciare uniti». Se Illy ha dato un segnale forte (forse più forte di quanto i sostenitori del progetto potessero sperare), non mancano i distinguo. Ieri il verde Gianni Pizzati e il consigliere di Rifondazione Igor Canciani hanno compilato una lunga lista della spesa: quindici richieste a proprietà e Comune in cambio del loro appoggio al progetto. I temi riguardano libertà di fruizione delle spiagge, gratuità dello shuttle, prezzi modici e controllabili per i parcheggi, meno impatto dell'albergo e del parcheggio stesso, cessione della Costa dei Barbari al Comune, zone filtro per isolare natura da turismo, convenzione chiara e piano del porto, mantenimento dell'attuale ciglione della cava, ovvero niente più scavi. L'incontro con Illy pare aver sbloccato anche la situazione delle società nautiche: la prossima settimana Ret è pronto ad attivarsi sul piano formale per avviare definitivamente il processo.

È una storia avventurosa quella che Antonio di Gennaro racconta in questo libro. Di Gennaro fa di mestiere l’agronomo, non l’investigatore, ma come un investigatore si è comportato. Ha avuto dei sospetti, si è procurato i documenti e ha letto le cose che molti non avevano letto, perché sepolte sotto una messe apparentemente innocua, ma invece molto nociva, di dati e di riferimenti cartografici. Il protagonista della storia che racconta non ha fattezze umane: è la fatica spesa per convincere gli altri dell’evidenza. Quel Piano territoriale di coordinamento, messo a punto dalla Provincia di Napoli, conteneva micidiali indicazioni che avrebbero prodotto un consumo di suolo una volta realizzato il quale sarebbe rimasto ben poco di un paesaggio e di un’agricoltura, residue quanto si vuole, già umiliate da un cinquantennio di maltrattamenti e abusi, ma ancora fra le più celebrate e produttive dell’intero territorio nazionale.

Il particolare saltato agli occhi di Antonio di Gennaro era quella specie di sfondo fra il bianco e il grigio che nelle cartografie del piano avvolgeva le parti già edificate, densamente o sfrangiatamente urbanizzate. Cosa rappresentava? Perché si era scelto un colore così neutro, sfuggente, che restituiva l’indefinita immagine di un aggregato nuvoloso? Di Gennaro non ha fatto altro che sovrapporre le carte, girarle e rigirarle, scorrere con l’occhio e con il dito da un numeretto all’altro. Cercava nelle “legende” cosa volesse indicare quella tonalità. Ed ecco che si è imbattuto nella più equivoca e seducente delle formule che spesso campeggiano nei documenti urbanistici: “aree di prevalente riqualificazione urbana”.

Riqualificazione non è una parola. E’ un passe-partout. Riqualificare in italiano significa restituire qualità a qualcosa che la qualità l’ha persa. L’ha persa perché qualcuno gliel’ha sottratta o perché il tempo l’ha usurata. In molte parti d’Italia, dentro il tessuto storico delle città, ma soprattutto ai suoi bordi, esistono vaste aree in cui la qualità o non c’è e non c’è mai stata o c’era ed è andata deperendo. Per esempio nelle estese periferie che circondano i centri urbani, dove si sono accumulati gli oggetti di scarto di una crescita sregolata, quelle funzioni, quelle attività e quegli esseri umani che si reputava fastidiosi. Ripristinare la qualità è un’operazione delicata. Per dirla in termini profani - i soli di cui io disponga - va studiata la storia di quel luogo, va analizzato cosa c’è intorno, cosa c’è sotto, di cosa hanno bisogno le persone che vivono nei pressi, se nella zona le parti edificate sono già sufficienti per le abitazioni, per le scuole, gli ambulatori e gli altri servizi, come ci si arriva, se è opportuno realizzare o preservare parti umide. Nella generalità dei casi quel che manca è il senso della collettività, il posto fisico in cui stemperare la dominante individuale: e allora occorre aggiungere verde, spazio pubblico, zona di produzione o di scambio culturale. Ma raramente ci si cimenta, animati da questa indole, con le periferie, che sono dei laboratori nei quali la cultura architettonica può cimentarsi, smentendo la diceria che la vorrebbe incapace di incidere nel moderno e raccogliendo la sfida lanciata da questi luoghi sovente inospitali, nati per accumulo, prodotto di interventi pubblici oppure – quando le cose sono andate peggio – risultato di marchingegni speculativi.

E invece – la constatazione è puramente empirica, ma ha il suffragio dell’alta frequenza – quando si sente parlare di riqualificazione il pensiero corre ad altro cemento. Un prato incolto, ricoperto di sterpi è considerato un oggetto improprio e da riqualificare. Come oggetto da riqualificare è l’edificio diroccato che un tempo ospitava un’industria. Oppure uno spazio vuoto sopravvissuto in una cornice di palazzi. In tutti questi casi la soluzione più immediata è: riqualifichiamo con altro cemento, mettiamoci manufatti, aggiungiamo elementi. Ed è così che la riqualificazione si coniuga con la valorizzazione immobiliare, declinata col verbo di un project financing, e si identifica plasticamente in quei complessi di banalità architettonica composti da una piazza, una fontana, quattro alberelli, un’aiuola, un parcheggio interrato, un ipermercato, alcuni negozi, un centro benessere, una palestra, qualche ufficio e qualche casa.

Io credo che di Gennaro abbia intravisto dietro quel colore biancastro, oltre ad altre cose, un futuro del genere per molte porzioni del territorio provinciale di Napoli, che già si infittisce di questi luoghi simbolici della sciatteria e dell’affarismo. Non che quel Piano territoriale lo auspicasse esplicitamente. Come spiega Edoardo Salzano in un intervento che compare in questo volume, non lo prevede, ma lo consente. Però consentirlo in generale non va mai bene, perché sarebbe più opportuno che una norma scritta contenesse indicazioni ferme ed esplicite, senza lasciare soverchia discrezionalità. Tanto più non va bene in una regione come la Campania già martoriata dalle edificazioni e i cui piani di governo del territorio devono essere improntati, e non lo sono, a criteri molto rigidi di salvaguardia.

Stando ai calcoli di Antonio di Gennaro, il Piano territoriale della Provincia autorizza la trasformazione di 25 mila ettari su 60 mila, il 40 per cento del territorio rurale della provincia di Napoli. E così vanno a bollire nel pentolone della “riqualificazione urbana” i versanti pedemontani settentrionali del monte Epomeo, nell’isola di Ischia; molti aranceti del Piano di Sorrento; le terre murate di Meta; persino le falesie di tufo grigio della marina di Sorrento; i terrazzamenti montani di Agerola; gli uliveti di Massa Lubrense; le aree agricole della pianura flegrea e della pedemontana vesuviana; i noccioleti del nolano; gli orti del Sarno.

Questo libro induce poi a riflettere su un altro versante della questione, quello politicamente più spinoso, che allarga l’orizzonte alla scena nazionale: il ruolo che in materia urbanistica e di governo del territorio si sono assunti la sinistra e il centrosinistra. Il caso della Provincia di Napoli non è isolato, anche se esaltato nella sua singolarità dal fatto che a presiedere la giunta si siano alternati negli ultimi anni due esponenti del partito dei Verdi. Con crescente frequenza le amministrazioni locali di centrosinistra si trovano a fronteggiare il malumore e le proteste di associazioni ambientaliste e di tutela, di esponenti del loro stesso schieramento o di quell’infinito numero di comitati cittadini che spuntano ovunque, nelle grandi come nelle piccole realtà, al Nord come al Sud, e che rappresentano quella che i sociologi chiamano “nuova soggettività territoriale”, sottolineando che di forti elementi di coscienza politica essi si nutrono e non di antipolitica. L’addebito che più spesso viene mosso alle amministrazioni di centrosinistra è quello di inseguire la destra e di aver abbandonato la logica di una corretta pianificazione e l’idea stessa che un territorio vada governato attraverso una visione organica e d’insieme e non per via di una sommatoria di progetti, una via che rende l’autorità pubblica più debole rispetto agli interessi privati, più disposta agli accordi e ai negoziati con proprietari fondiari e immobiliaristi. In molte giunte di centrosinistra prevale una specie di pragmatismo: è questo il nuovo abito indossato dall’antica mitologia dello sviluppo fondata sull’idea che la crescita sia garantita dalle quantità e dal consumo. Le parole come compatibilità e sostenibilità sono spesso esibite, ma appartengono più a una retorica ambientalista, che non alla sostanza di un progetto politico. E così accade che trovano accoglimento le spinte alla deregolamentazione e a contrattare con i possessori delle aree e con i grandi investitori gli interventi di trasformazione dei luoghi.

Dalle regioni italiane dove è storicamente più radicata la presenza della sinistra (l’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria) a quelle zone dove le maggioranze si alternano con più frequenza (la Sicilia, per esempio) o dove il centrosinistra riesce a prevalere da tempo, ma con scarti di voti non consistenti (bastino i casi delle grandi città: Roma, Napoli, Torino, Venezia), la tensione fra i governi guidati da Ds o da esponenti della Margherita e le associazioni di tutela si moltiplicano. Lo scollamento sui temi della salvaguardia è un dato politico più che evidente e procede parallelamente alla crisi che investe da anni tutti i meccanismi di rappresentanza e di selezione e corrode il radicamento dei partiti di centrosinistra. I segnali di allarme si infittiscono. Ne cito due, su scala diversa. A Firenze, pur possedendo sulla carta una solida maggioranza, il sindaco dei Ds è costretto, nel giugno del 2004, al ballottaggio perché un candidato, espressione di un altro partito della sinistra, ma anche di comitati cittadini sorti qui contro un parcheggio, lì contro l’ennesimo centro commerciale o per bloccare il tracciato sotterraneo della Tav, ha raccolto il 12 per cento dei consensi. E lo stesso è accaduto in un’altra roccaforte di sinistra, Orvieto, dove una lista civica che si qualificava sui temi dell’ambiente, avversaria della giunta di centrosinistra e di alcune sue dissennate decisioni, ha sfiorato il 16 per cento.

I casi di conflitti sono tanti. A Bologna, dopo la sconfitta nel 1999 che portò alla sindacatura di Giorgio Guazzaloca, è emerso un forte movimento di critica alle scelte urbanistiche compiute negli anni precedenti dal centrosinistra, scelte improntate ai meccanismi più collaudati di urbanistica contrattata con i privati (che non sono i pensionati o gli studenti e nemmeno le categorie economiche, ma i proprietari dei suoli e le grandi cooperative). Risultato: un centro storico invivibile per traffico e inquinamento e la distruzione di aree verdi in varie zone della città. Per evitare la strozzatura dell’Aurelia (che si potrebbe sbloccare allargando il tracciato, come prevede l’Anas), la Regione Toscana progetta un’autostrada litoranea in Maremma che, quanto a impatto ambientale, non è tanto meno dannosa del tracciato sotto le colline previsto dal Ministero delle Infrastrutture. A Venezia la giunta è divisa al suo interno e il sindaco è contestato dagli ambientalisti sul progetto di una metropolitana sublagunare che intaccherebbe lo strato di càranto del fondale, senza apportare significativi vantaggi alla città, anzi aumentando il carico di turismo giornaliero che la affligge. A Roma, dove i residenti sono diminuiti di 190 mila unità in dieci anni e dove si costruisce tantissimo (sessanta milioni di metri cubi fra quelli realizzati e quelli previsti dal nuovo Piano regolatore), si consumano migliaia di ettari dell’agro romano e si edificano case per altre 300 mila persone. A Salerno si accantona il già discutibile piano di Oriol Bohigas e si procede a trasformazioni caso per caso, soprattutto allo scopo di valorizzare i proprietari delle aree industriali dismesse. A Prato si vogliono trasformare in miniappartamenti le Cascine di Lorenzo de’ Medici. A Spilamberto, in provincia di Modena, si vorrebbero costruire trecento villette nei sessanta ettari dove c’era una fabbrica d’armi.

Di vicende se ne potrebbero raccontare ancora. Per restare al solo ambito campano ecco la trattativa fra la Regione e la famiglia Coppola sul litorale domiziano affinché siano i Coppola a sanare, guadagnandoci, gli scempi dei Coppola; l’insistenza della stessa Regione e del Comune di Ravello per costruire un auditorium; l’infatuazione ancora della Regione per la Coppa America e per i suoi cascami di cubature su Bagnoli.

Di Gennaro racconta in modo esemplare una vicenda esemplare. Ma quella vicenda, una vicenda di investigazione, di trucchi e di scoperte, ha il sapore del paradosso, perché ancora non se ne conosce il finale. La politica, nella versione cui si è adagiata negli ultimi tempi, preferisce concertare le sue soluzioni al riparo dagli sguardi. Ama il tempo che trascorre, che fa dimenticare e nasconde. Che modifica e camuffa. Questo libro ha lo scopo opposto.

Il 29 dicembre su questa pagine l’ex-presidente della Legambiente Trieste, Roberto Barocchi, scriveva un “malinconico addio a Martines”, Sovrintendente ai Beni culturali. Il 30 dicembre la Giunta regionale ha confermato l’esecutività della variante 21 al PRGC di Duino-Aurisina, riguardante il progetto di “riqualificazione turistica” della Baia di Sistiana.

Sono rammaricato anch’io per il trasferimento dell’ottimo arch.Martines, che proprio sulla questione di Sistiana si è speso moltissimo urtando molte sensibilità. Tuttavia ritengo che il futuro delle valenze ambientali e paesaggistiche della nostra Regione non possa dipendere dalle capacità di un Soprintendente. Servono regole, precise ed efficaci normative, che impediscano la distruzione del nostro patrimonio naturale. La legge Galasso (L.431 del 1985, ora compresa nel Decreto Urbani), che impone delle fasce di rispetto sulle coste, le sponde dei fiumi, dei laghi, ecc. – dopo vent’anni – non ha ancora trovato applicazione nella nostra Regione, per precise responsabilità dei nostri amministratori, sia politici sia funzionari regionali. La conseguenza dell’inadempienza della Regione Friuli-Venezia Giulia è sotto gli occhi di tutti: il progetto di Muja Turistica, l’espansione edilizia a Barcola-Bovedo e Grignano, la Baia di Sistiana, la cementificazione totale dell’Isola dei Bagni a Monfalcone, fino ai palazzoni previsti a Grado ed alla piscina nella Pineta di Lignano. Un vero assalto alla costa, di fronte al quale centro-destra e centro-sinistra appaiono in grande sintonia.

I giornali nazionali usano accomunare il nostro Presidente Illy a quello della Sardegna Soru, due imprenditori di successo alla guida di due Regioni a statuto speciale. Eppure il Presidente Soru, appena insediato, per far fronte ad anni di mancata pianificazione urbanistica, ha emesso una delibera con la quale fissava l'inedificabilità per una profondità di due chilometri sulle coste sarde, fino all’approvazione di un piano paesistico regionale; per contro la nostra Regione è ferma ad un Piano urbanistico del 1978, diventato vecchio senza essere mai stato applicato e non adeguato alla normativa nazionale. Soru si batte per la chiusura della Base Nato della Maddalena e la restituzione di quel mare e di quella costa alla popolazione del luogo, mentre Illy si fa fotografare vestito da top-gun su un bombardiere americano della Base di Aviano, per la quale auspica il raddoppio. Soru ha manifestato l’intenzione di acquistare terreni privati di particolare pregio, per salvaguardarli dalle speculazioni, mentre il nostro Illy è promotore – con Lunardi e Berlusconi – del Corridoio 5 che devasterà l’Isontino ed il Carso, aree di valore naturalistico inestimabile.

Con il nulla osta della Regione alla cementificazione della Baia di Sistiana spero che la Giunta del Friuli-Venezia Giulia abbia toccato il fondo. Certo la classe politica non scende dal cielo ma rispecchia la realtà culturale della società che democraticamente se la sceglie. Alla società civile, alle associazioni, al mondo accademico, prima che alla classe politica, spetta un lungo cammino per riconquistare una dignità che oggi appare davvero compromessa.

ROMA — La galleria di quattro chilometri che doveva passare sotto il colle di Capalbio non c'è più. E anche il viadotto che lambiva la frazione di Pescia Fiorentina è magicamente somparso. E' questa la sorpresa della nuova versione dell'autostrada Tirrenica, proposta dal ministero delle Infrastrutture, nella tratta più discussa: la Montalto- Orbetello.

LA VARIANTE — Una modifica che sembra fatta apposta per sopire le polemiche sul precedente percorso, sollevate dalle numerose personalità residenti nella zona, preoccupate dell'impatto dell'opera.

Il nuovo tracciato, subito ribattezzato « variante salva- vip » e contrapposto al percorso costiero sponsorizzato dalla Regione Toscana, circolava da mesi tra i capalbiesi adottivi.

Ma da lunedì scorso quella variante è diventata la proposta ufficiale del ministero. Ne ha preso atto l'Anas che ha rinviato questo tracciato, e quello della Regione, alla valutazione di impatto ambientale, astenendosi da qualsiasi giudizio.

GLI SVINCOLI — La variante ministeriale è questione di pochi chilometri: la precedente versione prevedeva che l'autostrada varcasse il confine tra Toscana e Lazio all'altezza di Pescia Fiorentina.

Adesso invece, superato lo svincolo di Montalto di Castro, l'autostrada aggira a nord Pescia e tira dritta per il lago Acquato dove viene posizionato lo svincolo di Capalbio, ben più a nord dell'omonimo borgo. Fatta questa curva il tracciato rientra nel percorso originario fino alla Polverosa. In questo stesso punto si ricongiungono pure il percorso del ministero e quello della Regione. Basterà questa modifica a riconquistare alla causa del ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, le simpatie dei numerosi vip che avevano gridato allo scandalo per quel tunnel che avrebbe sventrato la collina di Capalbio? Le reazioni sembrano al momento fredde in attesa del verdetto finale.

CONTRARI — Su posizioni assai critiche si colloca da sempre il Wwf che sostiene invece il potenziamento dell'attuale tracciato dell'Aurelia: « La scelta dell'Anas va contro i propri interessi — sostiene Stefano Lenzi, responsabile rapporti istituzionali del Wwf Italia — e favorisce soltanto la concessionaria privata Sat. Così si abbandona il progetto definitivo di potenziamento dell'Aurelia, allungando i tempi della messa in sicurezza » . Il Wwf si chiede poi che fine abbia fatto l'altro progetto a quattro corsie dell'Aurelia, anch'esso targato Anas, « a tipologia autostradale » , su cui avevano puntato associazioni ambientaliste, comitati cittadini, sindaci, esponenti del mondo della cultura, ma rimasto nei cassetti dell'Anas dal giugno 2001.

Secondo Valentino Podestà, architetto e portavoce storico di Italia Nostra in Toscana, proprio quel progetto che è stato abbandonato potrebbe oggi risolvere definitivamente il confronto tecnico tra governo centrale e Regioni, che non ha trovato un punto d'intesa, mentre l'Aurelia resta una delle strade a maggior rischio incidenti in Italia.

LA SFIDA — Ostenta tranquillità l'assessore ai Lavori pubblici della Regione Toscana, Riccardo Conti: « Noi siamo così convinti della superiorità del tracciato costiero che non abbiamo dubbi: la valutazione d'impatto ambientale, cui parteciperemo, ci darà ragione. Purtroppo bisognerà aspettare il 2006 » . Non c'è dunque nessuna possibilità di conciliare il progetto di Lunardi e quello della Regione? Neppure con questa nuova variantina? « Non esiste — risponde Conti — : noi abbiamo tutti i via libera delle sovrintendenze. Lunardi invece propone un tracciato difficile e più costoso » . Questo non vuol dire che la versione proposta dalla Regione Toscana non presenti qualche difficoltà di esecuzione: « E' vero — ammette l'assessore — , bisogna intervenire con precisione chirurgica perché comunque si tratta di terreni agricoli. Quello che però gli ambientalisti dovrebbero capire è che il potenziamento dell'Aurelia, prevedendo la costruzione di complanari, ha un impatto ambientale ben più devastante » .

Una precisazione di Vittorio Emiliani

28 dicembre 2004

Nel puntuale articolo che Antonella Baccaro ha dedicato, sul “Corriere della Sera” del 22 dicembre, all’annosa questione dell’Autostrada della Maremma, l’assessore regionale Riccardo Conti afferma, fra l’altro, che il progetto Anas per il potenziamento della statale Aurelia, sostenuto dai Comuni della zona e dalle associazioni ambientaliste, è assai più pesante dal punto di vista dell’impatto ambientale dell’autostrada costiera sostenuta dalla Regione Toscana, sottolineando le “complanari” che esso esigerebbe. Argomento inesistente dal momento che l’Aurelia così potenziata (tutta a 4 corsie, con la eliminazione graduale degli incroci a raso) non avrebbe le infrastrutture pesanti, quelle sì “devastanti”, che invece l’autostrada a pedaggio – costiera o interna – richiederebbe. Inoltre il costo dell’autostrada costiera è stato stimato in 2,2 miliardi di euro, mentre l’intero potenziamento dell’Aurelia costerebbe la metà. Comuni e Associazioni reclamano, da subito, i cantieri per l’adeguamento a 4 corsie dei due tratti di Aurelia ancora a 2 corsie, i più pericolosi in assoluto di Toscana e Lazio : circa 13 Km in Comune di Capalbio e altri 9 Km fra Tarquinia e Civitavecchia, con alcuni incroci a raso ai quali ovviare con altrettanti sottopassi. Cantieri utili a breve, di importo in fondo modesto e che eviterebbero altri morti e feriti. Mentre sia l’Autostrada costiera voluta dalla Regione Toscana sia quella interna proposta dal ministro Lunardi richiederanno almeno dieci anni (sempre che si trovino i finanziamenti). Il tracciato Lunardi, passando dietro il centro storico di Capalbio, oltre a tranciare brutalmente paesaggi e aziende agricole, farebbe di quell’abitato una sorta di isola spartitraffico. E’ infatti facilmente prevedibile che il traffico locale – che rappresenta ben il 75 per cento del totale - continuerà a scegliere la strada statale del tutto gratuita. Mentre il traffico nazionale, pur salendo rispetto all’attuale 25 per cento, non basterebbe secondo i trasportisti prof. Boitani e Ponti, a ripagare l’investimento privato.

Una nuova sentenza del Tar, un’altra vittoria ambientalista. Basterà a fermare il massacro di Baia Sistiana? Già la scorsa primavera il Tar aveva accolto il ricorso degli ambientalisti contro la realizzazione di un complesso “turistico” da oltre 170 mila metri cubi in una delle zone più belle lungo la costa triestina. Regione e Comune, però, non hanno mai impedito la prosecuzione dei lavori mascherandoli sotto il progetto di “modellamento” della ex cava Sistiana e ignorando anche le diffide degli ambientalisti al presidente della Regione, Riccardo Illy ed al sindaco di Duino-Aurisina, Giorgio Ret.Il “modellamento” consisteva nell’estrazione di ben 780 mila metri cubi di roccia carsica, preliminare alla costruzione di un albergo e di un finto villaggio istro-veneto con una darsena artificiale e un megaparcheggio: elementi cardine del progetto “turistico” originale. Il presunto “modellamento” ha comportato anche la distruzione di circa 2 ettari di bosco sopra l'ex cava, di elevato pregio naturalistico e compreso all'interno di un Sito d’Importanza Comunitaria.

“L’ultima sentenza – commentano WWF e Italia Nostra – dimostra su quale colossale alterazione dei fatti e di illegittimità si sia voluto fondare il sedicente progetto “turistico”, e non per semplici vizi formali. Il Tar dichiara, senza ombra di dubbio, che i lavori di escavazione (e viene ribadito che non si trattava affatto della “messa in sicurezza” della cava, come continua a ripetere il sindaco di Duino-Aurisina), non dovevano legittimamente proseguire dopo che la precedente sentenza aveva annullato il piano regolatore comunale ed il piano particolareggiato. Non solo, ma anche l’ autorizzazione regionale mancava delle necessarie motivazioni e perciò non poteva tutelare il bene ambientale plurivincolato: un obbligo che la Regione doveva assolvere nell’interesse pubblico.”

L’attività di tutela degli ambientalisti continuerà ora con la segnalazione all'Unione Europea per la parziale distruzione del bosco soprastante l'ex cava, area S.I.C., e probabilmente con l’avvio di una richiesta di risarcimento per il danno ambientale prodotto con l'escavazione illegale. Vi è, poi, la questione delle responsabilità penali per l’abuso paesaggistico compiuto mediante il falso “modellamento”: responsabilità di chi materialmente ha estratto la roccia, ma anche di chi lo ha illegittimamente autorizzato e di chi, potendo, non è intervenuto per impedire lo scempio.

“Ci auguriamo – concludono WWF e Italia Nostra – che la sentenza del TAR faccia cambiare rotta agli amministratori rispetto a quanto fatto finora, ponendosi l'obiettivo di tutelare l'interesse pubblico alla difesa dell'ambiente e del paesaggio anziché appiattirsi su interessi privati orientati alla rapina del territorio. E’ una questione urgente dopo che il Comune di Duino-Aurisina ha riapprovato la variante al piano regolatore bocciata dalla sentenza del TAR di aprile, mentre sta per essere presentato un nuovo piano particolareggiato dalla SGP.”

Dopo questa sentenza, si evidenzia prepotentemente la gravità dell’assenza di un Piano Paesistico regionale, obbligatorio per legge dal 1985 ma mai approvato, che impedirebbe episodi come quello di Sistiana in cui la Regione copre scelte urbanistiche scellerate come quelle del Comune di Duino-Aurisina.

Sappiamo che la cosiddetta variante agricola del piano regolatore di Duino-Aurisina non è stata approvata nella seduta del 25 agosto. Ma sappiamo che i timori espressi dal WWF sono fondati. L’esperienza ci dice che “la sagra dell’ipocrisia” (così il WWF) sfocerà alla fine nell’approvazione, magari con qualche ritocco insignificante che, dubitiamo, potrebbe accontentare l’opposizione. Il sindaco, la giunta, i consiglieri di maggioranza la vogliono fortemente questa che Predonzan ha denominato “villettizzazione del territorio”, contropartita di un surplus di voti garantiti. Il falso denunciato di una variante che il tranello nominalistico non riesce a nascondere rappresenta l’addio all’integrità e alla salvaguardia del territorio carsico, l’abolizione del milionesimo pezzo di territorio nazionale di alto valore storico, paesaggistico, produttivo. Così sia nel Malpaese, come ogni giorno da sessant’anni. Dovremmo ridiscutere la questione della democrazia locale e dei poteri assegnati ai sindaci e alle giunte (ai governatori, ai presidenti…) da un riforma che non avrebbe avuto bisogno degli anni trascorsi dall’adozione per convincermi della sua pericolosità: un’apertura a una sorta di dittatura della persona al vertice e delle oligarchie alla base. Posso dirlo serenamente, insieme ad altri vecchi insospettabili che, sembra ora un paradosso ma non lo è, si sono battuti dal dopoguerra in favore delle autonomie locali.

Salzano ha manifestato i propri dubbi sul funzionamento delle nuove amministrazioni dopo le elezioni di giugno vinte dal centrosinistra. Penso che comprendessero la preoccupazione circa, appunto, i poteri che oggigiorno (vedi anche il progetto della destra riguardo alla figura del primo ministro) la cultura media dei politici, non esclusi certi all’opposizione, vuole sempre più ampi e forti e concentrati anche nella singola persona, in omaggio a un principio di assoluta stabilità governativa da cui non può non conseguire l’aumento della debolezza delle minoranze: già ora penosamente respinte come in ricetti medievali dove non possono combattere ad armi pari sul terreno, non riescono ad attaccare con qualche speranza, al contrario devono condurre l’estrema difesa buttando a casaccio roba dall’alto dopo aver bruciato le scale di legno.

I poteri personali e oligarchici nelle amministrazioni locali dei tre livelli ci vietano l’uso del vecchio linguaggio. Esempio: per noi la locuzione “sindaco democratico” era peculiare; il sindaco era primo fra i pari (e “democratico” significò, ad un certo momento della battaglia politica, “di sinistra”). La nuova definizione dovrebbe essere “sindaco padrone”, padrone altresì spesso arrogante anche perché sostenuto da un’uguale vocazione degli assessori. Ancora l’11 agosto scorso Salzano si è sentito costretto a ribadire la sua posizione – da tanti altri di noi condivisa e manifestata in Eddyburg – sullo scandalo dell’auditorium di Ravello, giacché l’insolente tracotanza del sindaco e dei colleghi di giunta, purtroppo apprezzata addirittura da Bassolino per umiliazione dell’amico napoletano Eddy, è cresciuta a un tal grado che li colloca, a mio parere, fuori della democrazia. Lo sapete: se la costruzione dell’auditorium è inammissibile a causa delle regole del piano, dunque procedere sarebbe illegale, le si modifichi ad hoc per ammetterla. Si commetteranno due reati, due atti illegali, non uno solo, perché una variante ad hoc, in realtà ad personam, strombazzata prima a destra e a manca è già fuori degli obblighi di correttezza. Ma cosa importa al nuovo tipo di amministratore podestarile?

Che dire, noi milanesi, del sindaco Albertini e della sua giunta che lasciano Milano in mano a imprenditori e impresari edili, finanzieri, commercianti, signori della moda? A costoro il compito liberista di negare nei fatti le regole dopo che la giunta le ha negate in documenti ufficiali curiosamente scritti da colleghi di una sinistra culturale denominata cinica (o postmoderna). Così ci siamo goduti in questi anni l’illegalità sostanziale di interventi quali la nuova Bicocca di Tronchetti Provera, colossale “variante”, espansione urbana fuori di qualsiasi cenno di pianificazione almeno a scala comunale (peraltro insufficiente in situazioni di gigantismo metropolitano come quello milanese) e persino di una qualche idea di città pubblicamente espressa. Discussioni? Sì, intime, riservate, signorili, quelle richieste dalla contrattazione/negoziazione (ah! la geniale anticipazione della proposta Lupi di nuova legge urbanistica nazionale) fra l’ex industriale, tanto incapace di reggere il compito di produrre beni e profitto quanto pronto a recitare da protagonista nel campo della rendita fondiaria/edilizia, e un’amministrazione pubblica prona, adorante. E oggi? Dobbiamo goderci, fra un mucchio di annose illegalità ritenute “minori” (per esempio, quei 16.000 primi casi di neo-condono emersi appena si era vista l’occasione dell’ennesima sanatoria mentre era lontanissima dalla conclusione – e lo è tutt’oggi – la regolarizzazione dell’immenso abusivismo anteriore), l’osceno “maggiore” stravolgimento della linea del cielo di Milano a causa dell’applicazione senza freni della famosa legge regionale cosiddetta dei sottotetti (vedi nel sito i miei interventi del 10.12.03 e del 24.6.04): una dimostrazione di come si può fare a pezzi una città, certe strade, certe case mediante l’impiego di una legge ad hoc: precisamente come a Ravello cambiare le norme (a Milano relative all’inabitabilità dei sottotetti) per rendere legale l’illegale. Ci sovrastano ormai poco meno che 4.000 casi di interventi pesantissimi, ossia rifacimenti radicali con vasti ampliamenti, nuove edificazioni aeree, trasformazioni irragionevoli: il tutto riguardante edifici di buona e alta qualità, vale a dire dotati di una loro forma architettonica dignitosa quando non addirittura di un’assoluta bella presenza ottocentesca o novecentesca. E nuovi progetti e attuazioni premono.

Su “la Repubblica” del 13 settembre Pietro Citati racconta il caso del sindaco di Welsberg (Monguelfo nella ridicola obbligatoria versione italiana), provincia di Bolzano. Verso la fine di ottobre del 2001 la combinazione fra declassamento del sovrintendente, poteri del sindaco, onnipotenza della giunta provinciale ha ottenuto la demolizione, voluta ostinatamente da Friedrich Mittermair, di un vecchio edificio adibito a pretura dotato di parti del XV e XVI secolo. Questa volta non tutto è andato liscio al molto energico personaggio. Dopo diversi interventi di Consiglio di stato, Ufficio di tutela dei beni culturali di Bolzano, Tar e “non so quanti altri istituti” esigenti la tutela dei ruderi, nel giugno scorso il sindaco è stato processato al tribunale di Bolzano. A una richiesta del P. M. di cinque mesi di reclusione il giudice Carla Scheide ha risposto con una condanna a dodici mesi di reclusione e ad altrettanti mesi di interdizione dai pubblici uffici. “Mai in Italia – scrive Citati quasi che il Sud Tirolo non vi appartenga – potrebbe accadere qualcosa di simile: un sindaco condannato a un anno per aver offeso un vecchio edificio”. Eppure, penso, le province autonome e le regioni a statuto speciale godono di privilegi che, a sessant’anni dalla fine della guerra sarebbe ora di giudicare anacronistici. I poteri autonomi erano già molto estesi e indiscussi ben prima della riforma relativa alle amministrazioni locali normali; sarebbero occorse riforme per diminuirli. Si aggiunga alla situazione abnorme dei poteri personali e oligarchici privi di controlli, salvo quelli occasionali della magistratura, l’altra ugualmente eccezionale, cioè il trasferimento di somme dallo stato le quali, paragonate ai finanziamenti delle regioni a statuto normale, rivelano valori pro capite del doppio, triplo e più. Si concluderà che quella specialità e autonomia funzionano a piacere degli amministratori senza giustificare esattamente la destinazione politica ed economica delle risorse avute in dono: soprattutto in merito alle politiche urbanistiche ed edilizie, città, casa, territorio, paesaggio. A questo proposito l’Alto Adige, nonostante il sindaco pazzo di Welsberg, è sempre parso a chi lo conosce nel complesso ed evita ogni esagerata laudatio una specie di paradiso: opposto, che so, a una Sicilia inferno, regione a statuto speciale epitome di tutti gli abusi, di tutte le convalide politiche “legali” delle illegalità, insomma di tutte le realizzazioni più stravolgenti ma convenienti ai potenti che la concentrazione e l’indipendenza assoluta, personali e oligarchiche, dei poteri ha reso facilissime: una volta tacitato il popolo con l”equa redistribuzione” dei trasferimenti statali che i clan e il primo di essi, il governo regionale, sono in grado di attuare con storica, siciliana finezza. Lo stato disastroso delle città, del territorio, delle zone monumentali e così via è una risultante geometrica, non un accidente casuale nel corso astuto della storia.

E per quale motivo non ci occupiamo mai – urbanisti, uomini di cultura, politici attenti – di un’altra regione autonoma, la Valle di Aosta, circa la quale può capitarci di sentir cantare che T.v.t.b.m.l.m. ( Tout va très bien madame la marquise) poiché le statistiche indicano un tasso di abusivismo edilizio dello zero virgola…? Grazie tante. Ecco un caso perfetto di legalitàlocale speciale, soddisfatti e vanterini i bravi centomila valdostani tutti ricchi o benestanti: per benevolenza statale ma soprattutto per la rendita e il reddito edilizi enormi e capillari generati da piani “regolari” compiacenti che i due livelli dei poteri, regionale e comunale, varano da decenni con ritmo allegro costante e coerente all’obiettivo economico-sociale. Favolosa come le masche dei recessi montani questa legalità valdostana convenientemente costruita, e tipica come la fontina. Ogni visitatore non cieco sa cosa ha comportato: la violazione e poi la distruzione dei caratteri storici, paesaggistici e architettonici della grande valle; non bastano i castelli o le residue case lignee coi loro bravi funghi pietrosi di sostegno a riscattarne la rovina. Il Breui/Cervinia era già infrequentabile quarant’anni fa, tanto ripugnava ai nostri sensi la sua caotica bruttezza.

Vorrei che tornassimo indietro. Vorrei ricuperare il tempo del confronto democratico e delle discussioni sincere, del rispetto delle regole e norme severe non costruite ad arte, degli amministratori locali difensori integri dei beni comuni, dei tecnici comunali e degli urbanisti non servili consapevoli della delicatezza dei loro compiti, dei cittadini pensosi della comunità e non dell’interesse personale. Vorrei, come il giovane Marx dei Quaderni etnologici, il regresso come progresso.

Dopo qualche giorno di riposo (compimento di un numero troppo alto di anni...) trovo la gran bella notizia. Grazie WWF, grazie Italia Nostra. Ma, anche, nostra soddisfazione per essere stati attenti, per esserci allarmati. Come abbiamo fatto in ogni frangente, come dobbiamo fare ogniqualvolta i pochi residui di Belpaese entro l'enorme Malpaese vengono minacciati di morte. (Dusana: aspetto nuove osservazioni, ma non ritenerti obbligata, potresti stufarti) Vedi la cartella SOS Carso

Anche il sito del WWF Trieste

Uno sguardo d’insieme

La provincia di Napoli si appresta ad adottare il Piano territoriale di coordinamento (Ptc).

La valutazione strategica degli impatti che il nuovo piano urbanistico avrà sulle risorse naturali, agricole e paesaggistiche del territorio napoletano evidenzia numerosi e preoccupanti aspetti:

dei 60.000 ettari di superficie agricola ad oggi presenti nel territorio provinciale (51% della superficie territoriale), il piano prevede specifiche misure di tutela per circa 35.000 ettari, individuati come aree “di interesse primario per la produzione agricola”;

il piano provinciale sancisce la trasformabilità ad usi non agricoli per i restanti 25.000 ettaridi aree agricole pregiate, che rappresentano il 42% circa delle aree agricole provinciali;

il piano prevede di fatto l’estinzione dei paesaggi agrari di più elevato valore ecologico-ambientale, storico ed estetico percettivo presenti nel territorio provinciale, che risultano pressoché per intero compresi nelle aree “di prevalente riqualificazione urbana” ai sensi dell’art. 22 delle normative di piano;

le scelte di piano conducono di fatto ad una frammentazione delle aree agricole in un insieme residuale, disorganizzato e caotico, privo di alcun attributo sistemico;

manca nel piano un progetto di rete ecologica provinciale: risulta infatti evidente l’isolamento ecologico delle aree a più elevata naturalità, in completa assenza di qualsiasi elemento di connessione avente funzione di corridoio ecologico, ed in assenza delle aree agricole con funzione di cuscinetto ecologico necessarie alla loro sopravvivenza.

L’elemento strutturale e funzionale che può essere considerato centrale nel piano è invece il sistema di aree di possibile trasformazione, ci riferiamo alle aree “di prevalente riqualificazione urbana”, che interessano il 44% circa del territorio provinciale. Sono proprio queste aree a costituire una rete integrata di spazi di trasformazione, che rappresentano nella visione del piano il tessuto connettivo, la matrice a più elevata continuità del territorio provinciale.

Manca nel PTCP ogni tentativo di definire una rete ecologica provinciale che risulti coerente con lo sviluppo e la continuità dei sistemi ambientali presenti: le aree agricole e seminaturali vengono così a configurare un sistema caotico, residuale, privo di qualsiasi elemento di connessione ecologica.

In particolare, le aree “di interesse primario per la produzione agricola” ai sensi dell’art. 18 della normativa, risultano frammentate in corpi isolati e non comunicanti, il cui perimetro appare assolutamente arbitrario e non legato ad elementi tecnico-scientifici salienti, riconducibili alle caratteristiche fisiografiche, alla natura dei suoli, al paesaggio rurale, allo schema idrologico di superficie. Il risultato complessivo è quello di un mosaico residuale di aree rurali, privo di qualunque elemento strutturale o funzionale in grado di assicurarne la connessione e continuità all’interno di un sistema unitario e vitale.

Ancor di più appaiono frammentate le aree a più elevata naturalità, i “parchi territoriali”, privi come già detto di qualsiasi corridoio ecologico di pertinenza, e molto spesso privi anche delle indispensabili aree accessorie con funzione di cuscinetto ecologico.

Le aree di prevalente riqualificazione urbana

Dei 60.000 ettari di superficie agricola ancora presenti in provincia di Napoli solo 35.000 ettari circa ricadono nelle aree definite dal Ptcp “di interesse primario per la produzione agricola”: mancano all’appello circa 25.000 ettari, che ricadono in prevalenza all’interno di aree definite “di prevalente riqualificazione urbana”.

In tal modo, 25.000 ettari di superficie agricola - il 42% del totale - vengono preliminarmente sottratti dal Ptcp ad ogni strumento specifico di tutela attiva.

La normativa prevista per tali aree non prevede infatti alcuno degli strumenti prescrittivi efficaci ad assicurare la prosecuzione delle attività agricole ed a scongiurare l’arbitraria ed irreversibile trasformazione ad usi urbani o comunque extragricoli.

Come si dirà in seguito, appare complessivamente incerta la natura stessa di tali aree, che in molti casi (vedi soprattutto gli ambiti di Acerra e Nola) comprendono, unitamente ad aree urbane e di frangia, aree rurali assolutamente integre, che costituiscono spesso più del 50% della superficie totale, oltre il 65% nel caso di Nola.

La previsione operata dal piano circa le possibilità, all’interno di queste aree, di continuazione dell’uso agricolo riveste il carattere di mera enunciazione di principio, essendo accompagnata dalla ben più concreta facoltà di localizzare in tali aree:

- servizi e spazi pubblici o di uso pubblico,

- infrastrutture per la mobilità del trasporto pubblico,

- luoghi per di aggregazione e relazione sociale,

- interventi finalizzati “…alla riqualificazione degli interventi edilizi abusivi, attraverso la dotazione di infrastrutture a rete e attrezzature pubbliche”,

- interventi edilizi di integrazione di quote di residenza,

- sistemi insediativi integrati e complessi (residenze, attività produttive e terziarie, attrezzature) per fini di eliminazione del disagio abitativo e di decompressione delle aree a rischio vulcanico, per 100.000 nuove stanze da localizzarsi nelle aree giuglianese, acerrana a nolana,

- insediamenti destinati alla produzione di beni e servizi a carattere artigianale.

Passando a considerare alcune situazioni specifiche, appare particolarmente rappresentativo il caso dell’area “di prevalente riqualificazione urbana” che il piano individua nel comprensorio nolano, per un’estensione complessiva pari a circa 5.540 ettari. Di questi, solo il 35% è attualmente destinato ad usi extragricoli: il piano provinciale prevede pertanto in tale ambito la trasformabilità per quasi 3.600 ettari di suoli agricoli altamente pregiati.

Ancora, nell’ambito di Acerra, l’area di prevalente riqualificazione urbana ha una superficie di 5.260 ha, dei quali solo il 50% è attualmente urbanizzato: così, anche in questo caso, il piano prevede di fatto la possibilità di trasformazione di ben 2.600 ettari di fertili orti acerrani.

Alla luce delle tendenze territoriali registrate in provincia di Napoli nell’ultimo quarantennio, con il sostanziale dimezzamento della superficie delle aziende agricole, ed in assenza di dispositivi specifici tesi ad assicurare la continuazione degli usi agricoli e la regolamentazione delle trasformazioni urbane, è realistico considerare la possibilità di permanenza della destinazione agricola in queste aree sicuramente subordinata a qualsiasi altro uso extragricolo consentito dalla normativa.

Le quantità, quando superano determinate soglie, esprimono orientamenti di tipo qualitativo, e contribuiscono a identificare le ipotesi di lavoro strategiche che sono alla base del piano: il fatto che nelle zone di prevalente riqualificazione urbana si registri il 50%, a volte quasi il 70% ed oltre di aree agricole significa che queste aree non possono essere definite di riqualificazione, e nemmeno di completamento, bensì più propriamente come aree di espansione urbana.

Espansioni urbane da realizzare anche nelle zone a più elevato rischio del territorio provinciale. Nella zona vesuviana molte delle aree di riqualificazione urbana ricadono all’interno della “zona rossa” individuata dal piano di emergenza per il rischio vulcanico. Il piano non prevede in questo caso attenzioni specifiche, e sopratutto il restringimento della gamma delle trasformazioni ammissibili, confidando nei meccanismi vincolistici contenuti nei piani di prevenzione del rischio vulcanico. In particolare, colpisce il fatto che negli pregiati spazi agricoli interclusi - dove però si continuano a produrre i fiori più pregiati e le migliori albicocche d’Italia - si configuri in prospettiva un solo divieto di realizzare nuove residenze, mentre vengono offerte ampie possibilità di localizzare servizi, attrezzature, infrastrutture. E’ al contrario evidente come, proprio in questi ambiti, il mantenimento di spazi rurali ed aperti dovrebbe invece rappresentare un importante fattore di sicurezza.

Una notazione conclusiva: è vero che il piano prevede la possibilità per i comuni, all’interno delle aree di riqualificazione urbana, di individuare con gli strumenti urbanistici comunali aree agricole integrative rispetto a quelle definite in sede provinciale come “aree di interesse primario per la produzione agricola”. Ma questa ipotesi appare remota, in presenza di una disciplina che appare invece pregiudizialmente tesa a sancire preliminarmente per tali aree una gamma di trasformazioni ammissibili ben più ampia e promettente.

Il ptc ed i paesaggi agrari storici della provincia di Napoli

E’ veramente singolare il fatto che ricadano pressoché integralmente nelle aree “di prevalente riqualificazione urbana” ai sensi dell’art. 22 delle normative del Ptc i più straordinari paesaggi rurali della provincia di Napoli, con specifico riferimento:

- agli agrumeti e gli arboreti promiscui ad elevata complessità strutturale del pianoro ignimbritico di Sorrento, nonché agli oliveti della collina costiera marnoso-arenacea di Massalubrense e S. Agata sui due Golfi;

- ai terrazzamenti montani della conca di Agerola;

- agli arboreti promiscui ed i vigneti dell’area pedemontana di Gragnano e Lettere;

- agli orti della piana del Sarno;

- ai terrazzamenti storici di Capri;

- ai vigneti, gli orti arborati e le pinete delle aree pedemontane dell’isola d’Ischia;

- agli agrumeti e gli orti interclusi dell’isola di Procida;

- agli orti arborati dei terrazzamenti storici delle colline napoletane flegree.

Giova ripeterlo ancora una volta:in assenza di meccanismi di tutela specifici, la gamma di usi che il piano considera in queste aree, per la maggior parte ricadenti in ambiti di elevata tutela secondo i piani paesistici vigenti, equivale di fatto a sancirne irrimediabilmente la trasformabilità urbana, con la definitiva estinzione di paesaggi agrari storici di rilievo mondiale.

In queste aree il piano provinciale cade in un palese errore tecnico-metodologico.

Nei paesaggi suddetti, infatti, la compenetrazione all’interno di un mosaico estremamente fine e complesso di usi agricoli ed urbani rappresenta una caratteristica genetica, strutturale, storica: si tratta di aspetti che connotano l’identità stessa di questi luoghi, un’identità conosciuta ed apprezzata a livello planetario.

E’ necessario tener conto del fatto che questi paesaggi presentano una struttura complessa, caratterizzata dall’intima compenetrazione di elementi naturalistici, rurali, storici, insediativi, che definiscono nell’insieme un unicum vivente e inscindibile, che necessita pertanto di una tutela unitaria, del tipo di quella attualmente prevista dalla Convenzione europea sul paesaggio e dai piani paesistici vigenti.

In questi paesaggi, da considerare necessariamente nella loro inscindibile integrità, l’elemento naturalistico e rurale è decisamente quello caratterizzante dal punto di vista ecologico, agronomico, ambientale, estetico-percettivo, e come tale deve essere oggetto delle più rigorose misure di tutela e gestione attiva. Esso non può essere considerato, come il piano mostra di fare, alla stregua dell’elemento debole, accessorio, come uno spazio libero, disponibile ad una così ampia gamma di possibili trasformazioni.

Pertanto, la disciplina di piano per queste aree non può essere differente da quella delineata dai piani paesistici in vigore, basata sulla tutela integrata del sistema complessivo di risorse ambientali, rurali e storiche in essi presente.

I parchi territoriali

La definizione dei parchi territoriali – comprendenti le aree forestali e gli ecosistemi a più elevata naturalità del territorio provinciale - è condotta dal piano senz’alcun riferimento al loro inserimento in una rete ecologica provinciale di aree a maggiore naturalità.

La conservazione della biodiversità e dei valori ecologici delle aree a più elevata naturalità presenti nel territorio provinciale non può essere assicurata senza inquadrarle all’interno di una rete ecologica provinciale che comprenda, accanto agli ecosistemi seminaturali, corridoi ecologici adeguatamente definiti e progettati, in grado di assicurarne la connessione, la vitalità e gestione sostenibile. Nel territorio della provincia di Napoli, tale funzione strategica di connessione può essere assicurata dalle aree agricole di pianura, delle quali deve essere preservata la continuità e l’apertura. Tale continuità è costantemente impedita, all’interno del piano, proprio dalle aree “di prevalente riqualificazione urbana”, che funzionano come fattore diffuso di discontinuità paesaggistica ed ecologica.

In mancanza di corridoi ecologici, i parchi territoriali sono tutti relegati ad una condizione di insularità, che risulta esiziale per il mantenimento dei valori di integrità e diversità ecologica.

Tale condizione di isolamento ecologico ed insularizzazione caratterizza in particolare le aree a più elevata naturalità del Parco nazionale del Vesuvio. Qui il piano provinciale, non recependo gli indirizzi relativi alle aree contigue proposti dal piano del parco, omette di sottoporre tali aree a specifica tutela, includendole generalmente nelle aree di prevalente riqualificazione urbana. Viene così interrotta la necessaria continuità, pregiudicando defintivamente la possibilità di mantenere corridoi ecologici di comunicazione tra il Vesuvio, la linea di costa e le dorsali carbonatiche ad oriente ed a settentrione del complesso vulcanico.

Una condizione di isolamento ecologico ancora maggiore caratterizza le aree a più elevata naturalità delle colline flegree. Per la tutela di queste aree risulta infatti di fondamentale importanza riconoscere il valore indispensabile di cuscinetto ecologico svolto dai versanti a prevalente uso agricolo, specie all’interno del Parco regionale delle colline napoletane di recente costituzione.

Vi è poi la questione legata alle trasformazioni ammissibili all’interno dei “parchi territoriali”, con la possibilità di localizzare in ambiti fragili e generalmente soggetti ad elevata tutela paesistica:

- campi sportivi e piscine,

- campi da golf,

- pergole tettoie, piccole tribune per spettacoli ed altre attrezzature in legno,

- edifici a servizio delle attrezzature quali uffici, spogliatoi, bar, ristoranti, chioschi, depositi, palestre.

Il ptc non prevede per queste attrezzature un dimensionamento complessivo, cosicché viene di fatto spalancata la possibilità di collocare diffusamente, all’interno di ecosistemi ad elevata fragilità, le più variegate iniziative di sviluppo, in mancanza di qualsiasi criterio localizzativo e di valutazione preventiva dell’idoneità dei siti. A tale riguardo, è quasi superfluo considerare come nella pianificazione delle aree protette e dei parchi, questo tipo di interventi sia solitamente localizzato nelle aree a minor grado di tutela adiacenti a quelle a più elevata naturalità.

In ultimo: i parchi territoriali ricadono in aree caratterizzate da elevata pericolosità vulcanica e idrogeologica, così come evidenziato nei piani di bacino. Così, ad esempio, le aree della montagna calcarea con coperture piroclastiche dei monti Lattari e dei monti di Palma Campania e di Avella sono diffusamente interessate da rischio di colate piroclastiche rapide. Non si comprende, alla luce delle caratteristiche morfo-pedologiche e idrogeologiche dei luoghi (ma anche delle caratteristiche della rete viaria di comunicazione e accesso) dove possano essere reperite aree idonee ad ospitare, in condizioni di sicurezza, le infrastrutture ed i servizi di cui ai punti precedenti.

Le necessità inderogabili di modifica del Ptc

Alla luce delle considerazioni svolte risulta evidente la necessità di riconsiderare radicalmente alcuni contenuti del Ptc prima di una sua eventuale adozione.

Ciò soprattutto in considerazione del fatto che la legge urbanistica regionale in corso di elaborazione assegna al Ptc il valore congiunto di piano di bacino, di piano paesistico, e di piano delle aree naturali protette.



1) E’ necessario definire all’interno del piano un progetto unitario di rete ecologica provinciale. Per far questo si rende necessario integrare la perimetrazione delle aree “di interesse primario per la produzione agricola” ex art. 18 in maniera tale da assicurare:

- le definizione ed il mantenimento a scala provinciale di cospicui corridoi a prevalente uso agricolo in grado da funzionare come corridoi ecologici di pertinenza delle aree protette e dei parchi territoriali

- la definizione di aree rurali con funzione di cuscinetto ecologico interposte tra i parchi territoriali ed i tessuti urbani e rurali/urbani a più elevata antropizzazione;

- la definizione di cospicui corridoi rurali in grado di assicurare un adeguato grado di connessione tra le diverse aree agricole, all’interno di un sistema unitario e vitale di risorse rurali a scala provinciale.

2) E’ necessario estrapolare i grandi paesaggi agrari storici della provincia di Napoli dalla aree “di prevalente riqualificazione urbana” ex art. 22. Per conseguire tale obiettivo è necessario ridefinire i limiti cartografici di tale aree in maniera tale da escludere tassativamente da esse:

- tutte le aree tutelate ai sensi dei piani paesistici vigenti: Piano Urbanistico-Territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana e Piani Territoriali Paesistici dei Campi Flegrei, Agnano-Camaldoli, Posillipo, Ischia, Capri e Comuni Vesuviani, ed in particolare le aree ricadenti nelle zone di protezione integrale, di protezione integrale con restauro paesistico-ambientale, e di recupero urbanistico-edilizio e restauro paesistico-ambientale;

- tutte le aree comprese nelle varianti al Prg della città di Napoli adottate e nel Parco regionale delle colline Napoletane;

- tutte le aree contigue individuate nel Piano del parco del Vesuvio.

- 3) Per i seguenti ambiti:

C. - Area Giuglianese

E. - Area Acerra-Pomigliano.

F. - Area Nolana

G. - Area Vesuviana Interna

è necessario ridefinire i limiti delle aree “di prevalente riqualificazione urbana” in maniera tale da estrapolare le ampie porzioni di aree agricole pregiate immotivatamente incluse all’interno di esse che rappresentano, in particolare negli ambiti acerrano e nolano, più della metà dell’area complessiva di riqualificazione, venendo così a configurare piuttosto degli ambiti di espansione urbana.

4) La ridefinizione dei limiti delle aree “di prevalente riqualificazione urbana” deve essere accompagnata da una modifica della normativa ad esse relativa, con l’introduzione di specifiche misure di salvaguardia di tutte le aree verdi, agricole ed incolte in esse incluse – abbiano esse una più significativa estensione e grado di connessione; ovvero risultino intercluse ed intimamente compenetrate nel tessuto urbano – la cui diversa destinazione non sia motivata da specifici criteri di dimensionamento a scala provinciale. Per queste aree, le misure di salvaguardia devono esplicitamente prevedere l’impossibilità di trasformazione urbana - e quindi l’equiparazione giuridica ad aree “di interesse primario per la produzione agricola” - sino a che non intervengano eventualmente a disporre in maniera differente gli strumenti di pianificazione comunale, sulla base di idonee e dettagliate valutazioni tecnico-scientifiche relative al loro valore pedologico, agronomico, paesaggistico, estetico-percettivo e storico-culturale.

5) E’ necessaria una modifica dell’art. 13 punto d) della normativa, escludendo tassativamente la possibilità nelle aree di “parco territoriale” di realizzazione di nuova viabilità. E’ necessario inoltre eliminare l’intero punto e): le attrezzature ed i servizi di nuova realizzazione non possono essere localizzati all’interno di aree forestali o comunque interessate dalla presenza di ecosistemi a più elevata naturalità ma, piuttosto, nelle aree adiacenti alla aree di parco territoriale. All’interno dei parchi, la localizzazione di attrezzature e servizi può essere esclusivamente autorizzata utilizzando strutture e volumi esistenti.

Giovanni Valentini

Un piano urbanistico della provincia di Napoli

trasforma in aree urbane circa la metà dei suoli agricoli

“Torna a Sorrento...”, continueranno a cantare i suonatori di chitarra e mandolino alle comitive di turisti, nei ristoranti e nelle pizzerie sotto il Vesuvio. Ma a Sorrento e dintorni si rischia di non veder tornare più nessuno, se andrà in porto il piano urbanistico ratificato dalla Provincia di Napoli e sottoposto fino al 4 dicembre alle osservazioni degli enti territoriali, dei tecnici, degli esperti e dei cittadini interessati, a fianco dei quali sono già scese in campo le maggiori associazioni ambientaliste.

Poi, dopo quella data, l’amministrazione dovrà rispondere puntualmente a tutti i rilievi e a quanto pare è intenzionata a concludere l’iter del provvedimento entro Natale. Il conto alla rovescia, per cercare d’impedire in extremis questo nuovo scempio del territorio e del paesaggio, è arrivato quindi agli sgoccioli.

Approvato a scatola chiusa in una torrida giornata di agosto, il Piano territoriale di coordinamento provinciale prevede di “strappare” 25mila ettari su 6Omila di superficie agricola, circa il 42% dei terreni coltivati in provincia di Napoli, per trasformarli in aree urbane con una destinazione ancora imprecisata. Un’operazione che approssimativamente può valere 30-35 miliardi di euro, circa 60-70mila miliardi di vecchie lire, insomma l’equivalente di una grossa manovra finanziaria.

Oltre ad alberghi, ristoranti, strade e parcheggi, si parla di circa 100 mila nuovi vani da costruire, per un totale di due milioni e mezzo di metri quadri, a quattro milioni di lire al metro. L’obiettivo o il pretesto dichiarato è quello di decongestionare la fascia costiera a sud di Napoli. Ma qui si tratta piuttosto di salvaguardare un paradiso naturale che comprende la Penisola Sorrentina, il Vesuvio, i Campi Flegrei, Posillipo, Agnano, la collina dei Camaldoli, fino alle isole di Ischia e Procida. E, come spiega l’agronomo Antonio di Gennaro, consulente del Wwf, in questa zona benedetta da Dio e baciata dal sole si coltivano arance, limoni, uva, albicocche, ortaggi pregiati e anche fiori, come rose e garofani.

Con uno sciagurato accordo tra la maggioranza di centrosinistra e l’opposizione, la Provincia presieduta dal verde Amato Lamberti si appresta ora a stravolgere l’ambiente e a deturpare il paesaggio, in nome di un malinteso sviluppo urbanistico ed economico che rischia invece di innescare un ulteriore degrado. Tra legittime preoccupazioni elettorali, ignoranza e interessi forti, è maturato così un assalto al territorio che apre di fatto la campagna per le amministrative della primavera prossima.

Per la verità la “legge Bassanini”, approvata dall’Ulivo nella scorsa legislatura, affidava opportunamente all’amministrazione provinciale il compito di varare un Piano urbanistico organico, d’accordo con gli enti che sovrintendono ai singoli piani di settore (quello paesistico, quello di bacino, quello dei parchi e delle aree protette). Ma in assenza di tali intese, forzando il meccanismo della legge e approfittando di quella urbanistica regionale a maglie troppo larghe, un colpo di mano ha scardinato tutti gli strumenti di tutela ambientale in vigore finora.

Con la pretesa di definirle “aree di riqualificazione urbana”, come se fossero dimesse o abbandonate, i 25mila ettari vengono svincolati dalla loro destinazione originaria e consegnati al grande business dell’edilizia. In questo modo, non solo si rompe un mosaico agricolo-urbano, fatto di terreni coltivati, campi, orti, case rurali. Ma si provoca anche di conseguenza la frammentazione delle aree agricole esistenti, pregiudicando la sopravvivenza e la crescita dell’economia locale.

Nel Piano territoriale manca poi del tutto la previsione di una “rete ecologica provinciale”, indispensabile per evitare l’isolamento e il degrado delle aree naturali. Senza il “cuscinetto” dei terreni coltivati, accerchiate dal cemento e dall’asfalto, queste sono destinate inevitabilmente a deperire, alterando l’equilibrio ambientale. Per una regione che affida la propria attrattiva principalmente al patrimonio paesaggistico e culturale, al turismo e all’agricoltura, la condanna rischia di diventare senza appello.

«L’egoismo di pochi sta per compromettere il futuro di tutti», protesta in prima linea l’Associazione Gaia. «In una zona già largamente satura - si legge in un comunicato - il Piano territoriale di coordinamento finisce col realizzare i sogni nel cassetto di tutti quelli che ritengono la penisola sorrentina poco più di un autogrill, dove l’unico valore da perseguire è l’arricchimento attraverso il saccheggio delle risorse ambientali e le uniche esigenze da soddisfare sono la realizzazione di strade, parcheggi, posti letto e villaggi turistici». E la stessa associazione chiama a raccolta i cittadini, sollecitandoli a inviane il suo appello o comunque le osservazioni individuali al presidente della Provincia di Napoli.

Mentre la popolazione di Scanzano Jonico (Matera) è ancora mobilitata contro il deposito di scorie radioattive, arriva un altro attentato ai danni dell’Ambiente e del Mezzogiorno. Questa volta, però, non è il governo di centrodestra a colpire da Roma una regione meridionale piccola e povera. E’ invece un’amministrazione locale di centrosinistra, guidata per di più da un verde che ha studiato e combattuto la camorra, a mettere un’ipoteca sul futuro di Napoli e della sua provincia. Sarà un motivo di più per convincersi definitivamente che l’ecologia richiede un impegno trasversale, al di là degli schieramenti e degli interessi politici.

Eleonora Bertolotto “Cemento nelle ultime oasi verdi”Napoli, Capri, Sorrento, Ischia: a rischio 25.000 ettari

Venticinquemila ettari di terreno agricolo, miracolosamente intatto, nonostante abusivismo e speculazione, potrebbero essere aggrediti dal cemento, se dovesse essere approvato il Piano territoriale di coordinamento provinciale che porta la firma dell’assessore Guido Riano e che, per entrare in vigore, aspetta solo il vaglio della Regione. L’allarme viene dalle associazioni ambientaliste. Italia nostra denuncia: «Il Ptcp pretende di subentrare ai piani disalvaguardia che finora hanno tutelato zone preziose, come le isole, le costiere amalfitana e sorrentina, il parco del Vesuvio, Campi Flegrei, Posillipo. Ma lo fa senza aver consultato gli enti preposti, come Soprintendenze e Autorità di bacino, e accontentando invece le richieste campanilistiche dei Comuni. Se dovesse essere approvato, sarà bene prepararci a una colata di cemento su oliveti e agrumeti, su quella cornice che, nonostante le devastazioni passate, fa ancora straordinario il Golfo di Napoli». Non sarebbe esente dalla cementificazione legale, realizzata in nome della riqualificazione urbanistica, neppure la fascia vesuviana compresa in zona rossa, ad altissimo rischio vulcanico. Critiche anche sul riequilibrio territoriale impropriamente deciso solo su scala provinciale, senza tener conto del resto della regione.

La minaccia del cemento sulle ultime oasi verdi

Un piano (Ptc) può sconvolgere le norme di tutela: DA Sorrento a Capri ai Campi Flegrei

Un colpo di mano. Uno strumento per aggredire con ruspe e cemento 25.000 ettari di verde miracolosamente scampato alla speculazione. Non è ancora passato al vaglio della Regione, il Piano territoriale di coordinamento della Provincia, ma è già un caso. Il grido d’allarme parte da Italia nostra, che, lavorando alle osservazioni, ha scoperto una situazione sconcertante. Come prevede la legge Bassanini, il Ptcp, qualora venga approvato, subentra ai piani paesistici, di bacino, dei parchi. Per il territorio napoletano, significa sostituire le norme di tutela della penisola sorrentina, dei Campi flegrei, delle isole, del territorio vesuviano, di Posillipo, dei Camaldoli, di Agnano. Ma «invece di assorbire i criteri di salvaguardia delle risorse naturali, storico-culturali e paesaggistiche di aree tra le più belle d’Italia, il Piano introduce scenari preoccupanti permettendo di edificare», in nome della riqualificazione urbanistica, in zone che finora sono state difese con grande fatica dall’assalto della speculazione e dell’abusivismo.

Com’è potuto accadere? «In realtà - accusa Antonio di Gennaro, docente di valutazione di impatto ambientale al Secondo Ateneo di Napoli, che ha curato le osservazioni degli ambientalisti - il Piano è stato elaborato in modo anomalo, scavalcando Soprintendenze, Ente parco, Autorità di bacino, e spostando l’asse della consultazione sui Comuni, che spesso non sono portavoce delle necessità di salvaguardia, ma di interessi più concreti». Il risultato sono 25.000 ettari agricoli (dei 60.000 superstiti) sottratti a qualunque tutela. «Il che vuoi dire – si accalora di Gennaro - consegnare all’aggressione del cemento gli agrumeti di Sorrento, gli oliveti di Massalubrese e Sant’Agata sui due golfi, i terrazzamenti di Agerola, i vigneti di Gragnano e di Lettere, gli orti della piana di Sarno, i terrazzamenti di Capri, le pinete di Ischia, il verde delle colline napoletane”. Con il risultato paradossale di trasformare in discutibili corse in avanti le varianti di salvaguardia approvate, per esempio, dal comune di Napoli per gli orti di Posillipo e dei Camaldoli. Non si tratta di speculazione dichiarata, ma di riqualificazione urbanistica. Il che significa che si costruisce per realizzare spazi e servizi pubblici, infrastrutture per il trasporto, e via elencando. Cemento, in ogni caso. Per non parlare della vera e propria colata prevista sul giuglianese, il nolano, l’acerrano, quantificabile in centomila stanze.

Il Piano provinciale, va detto, non entra in vigore se non con il vaglio regionale. E questo parzialmente tranquillizza Legambiente, che si associa alle critiche ma fida nei correttivi, come spiega il direttore Anna Savarese. Non basta a tranquillizzare Italia nostra. Protesta di Gennaro: «La legge urbanistica regionale, ai blocchi di partenza, si configura a maglia piuttosto larga. Che cosa aspettarsi dal combinato di una legge quadro permissiva e di un piano subordinato devastante?»

Corriere del Mezzogiorno, edizione di Napoli, 23 novembre 2003

Gimmo Cuomo

Penisola, scontro Provincia-ambientalisti

Accuse degli ecologisti, Lamberti replica: il nostro piano non prevede nuovi insediamenti

E ormai scontro aperto tra le associazioni ambientaliste e la Provincia di Napoli. Casus belli il Piano territoriale di coordinamento provinciale, adottato lo scorso luglio dall’ente di piazza Matteotti, che secondo l’accusa lascerebbe ampio spazio alla cementificazione del territorio a scapito dell’agricoltura. Un’accusa insopportabile per Amato Lamberti, l’unico verde in Italia guidare una Provincia. Ieri mattina il presidente ha così convocato un incontro con la stampa per difendere l’operato della sua giunta e il Piano, firmato dall’assessore Guido Riano. Lamberti non ha nascosto l’amarezza per gli attacchi di Wwf, Italia Nostra e Gaia. «È dal 1995— ha ricordato — che combattiamo per la tutela del territorio. L’accusa di essere l’ente che vuole la cementificazione è francamente assurda». Lamberti ha evidenziato le principali iniziative della sua gestione e soprattutto «la radicale inversione di tendenza determinata in un’area aggredita dall’abusivismo spietato». Passando al merito, Lamberti ha sottolineato che «il Ptcp è semmai uno strumento finalizzato proprio alla valorizzazione del territorio provinciale attraverso l’ampliamento e la tutela delle aree verdi, delle aree a destinazione agricola, la riduzione drastica e, in alcuni casi come la Penisola sorrentina, le isole, i parchi nazionali e regionali, totale della possibilità di nuove edificazioni». Ma la risposta della Provincia non ha chiuso il caso. Ieri pomeriggio il presidente della commissione Ambiente della Provincia Rino Nasti ha partecipato a Piano di Sorrento ad un incontro con i rapprentanti di Gaia, Wwf e Italia Nostra, che hanno ribadito le loro tesi. L’esponente verde ha invitato i suoi interlocutori a un’audizione che dovrebbe tenersi domani mattina con l’assessore. La principale contestazione delle associazioni, sostenuta dallo studio di un gruppo di tecnici, riguarda la classificazione come aree destinate a prevalente riqualificazione urbanistica di alcune zone agricole. Antonio di Gennaro, uno degli autori della ricerca, spiega: «In Penisola sorrentina le aree che potranno essere oggetto di riqualificazione urbana hanno un’estensione complessiva di 5.287 ettari. Di questi 3731 sono destinati all’agricoltura». Gli ambientalisti non mollano. Sono decisi ad andare fino in fondo. E il 4 dicembre, alle 10, all’Istituto per gli Studi filosofici di Napoli presenteranno la documentazione grafica a sostegno delle loro critiche. L’assessore Riano, responsabile del Ptcp, non perde la calma. «La lettura politica — esordisce —di questi attacchi non mi è chiara. Posso solo ricordare che la natura innovativa del piano ha rimesso in gioco l’assetto degli interessi per la gestione degli altri piani sovracomunali». Poi scende nel merito. «Per la prima volta —spiega — abbiamo messo sotto tutela 35mila ettari destinati all’agricoltura, sottraendoli alla possibilità di edificazione. Per quanto riguarda la Penisola sorrentina, poi, la tutela assicurata al territorio sarà molto maggiore di quella attuale». Riano aggiunge: «La prima stesura del Piano risale al febbraio 2003. Poi, recependo alcune indicazioni, abbiamo apportato modifiche prima dell’adozione da parte del consiglio. Forse chi ci critica si è basato su carte non aggiornate». Riano conclude con una considerazione. «Probabilmente in Penisola c’è un eccessivo innamoramento per Il Piano urbanistico territoriale, che ha certamente assicurato la tutela del territorio, ma non per questo deve considerarsi inviolabile». Ma di diverso avviso sono i consiglieri regionali Ds Nino Daniele e Antonio Amato, che sottolineato che «tale strumento resta un presidio indiscutibile per salvaguardare l’identità ambientale e storico culturale, nonché le vocazioni produttive di un territorio unico al mondo». Il commento di Daniele e Amato a margine di una nota in cui annunciano la presentazione di un’interrogazione sull’abusivismo edilizio in Penisola sorrentina-amalfitana presentata all’assessore regionale Marco di Lello, con la richiesta di “convocare ad horas tutti i sindaci dell’area per approntare un piano straordinario”.

Corriere del Mezzogiorno, edizione di Napoli, 23 novembre 2003

Michele Cinque

Ecco perché vogliono costruire sugli agrumeti

Sorrento. Gli ambientalisti della Penisola sono sul piede di guerra contro il Ptcp. “La Penisola Sorrentina – sostengono – ha già un piano paesistico, che è il Put della Regione. Conquiste di decenni di letta civile verrebbero stravolte con questo piano”.

“Il piano territoriale di Coordinamento della Provincia di Napoli così com’è va completamente rifatto per quanto riguarda la Penisola Sorrentina – attacca Massimo Maresca di Italia Nostra – siamo rimasti sconcertati nel vedere stravolti in varie aree le tutele conquistate con il Put, il piano urbanistico territoriale istituito con legge regionale nell’87. Con il Ptcp verrebbero declassate molte aree protette dove in teoria si potrebbero costruire strutture recettive”.

In un documento congiunto Italia Nostra, WWF, rappresentato da Andrea Finga, e Gaia, rappresentata dall’ex sindaco di Sorrento Raffaele Attardi, le associazioni ambientaliste della Penisola Sorrentina, confortate dai rispettivi vertici nazionali denundiano che sono a rischio l’area del Deserto a Sant’Agata, i giardini del Museo Correale e del Parco dei Principi, il parco di Villa Fondi, gli agrumeti storici de “Il Pizzo” a S. Agnello, di “Sopramare” a Piano, il “Fondo Cementano” a Meta. Si denuncia poi che nelle aree di salvaguardia ambientale destinate a Parco naturale, quello che dovrebbe essere il futuro Parco dei Monti Lattari, sono previsti interventi di ogni tipo”. Poi la spiegazione “tecnica”: “In pratica molte aree sono state declassate, da primo a secondo livello. Zone protette da sempre come il Deserto di Sant’Agata e Il Pizzo sarebbero a rischio, è incredibile, poi, che molti Comuni non sono ancora in possesso della planimetria definitiva – dice Maresca – nella cartografia allegata al Ptcp non sono completamente individuate le diversità ambientali, e questo è del tutto inadeguato a preservare l’ambiente unico costituito dai valloni e dai rivoli della Penisola Sorrentina”.

Un’altra contestazione viene sulle aree dove dovrebbe sorgere il futuro Parco dei Monti Lattari. “Il Ptcp prevede di poter realizzare in tali aree strade con larghezza fino a sette metri – dice Massimo Maresca -, e strutture con superficie coperta fino all’un per cento dell’area, con un massimo di 500 metri quadrati. In aree che sono protette. Chiediamo che il Piano si rifaccia completamente.

La Repubblica, edizione di Napoli, 23 novembre 2003Eleonora BertolottoCemento nelle oasi verdi. La provincia nella buferaLamberti si difende: “Sono verde, tutelo l’ambiente”

L’assessore non c’è. Fuori Napoli. E’ l’unico che potrebbe rispondere con cognizione di causa (politica) e competenza tecnica sul caso di S un piano provinciale che porta la sua firma e che, secondo gli ambientalisti, muta 25.000 ettari di verde agricolo in aree di riqualificazione urbana. Ma non si trova Guido Riano, architetto, Ds delega al Piano territoriale di coordinamento, non risponde al telefono: è a Roma, inconsapevole della bufera. Così, dopo una ricerca un po’ affannata, la difesa della Provincia nel corso di una conferenza stampa tocca al presidente Amato Lamberti, e alla giunta (che tace) quasi al completo. Per il presidente, verde, ambientalista doc, è una brutta tegola, a un passo dalle elezioni. E quella che viene elaborata è una specie di mozione degli affetti, largamente «emotiva», come ammette lo stesso Lamberti, «visto che l’accusa di violazione dell’ambiente è assurda, essendoci anzi noi sempre schierati per il controllo più rigido, Insomma, stiamo persino comprando il Faito.». E poi: «Il Piano è uno strumento di valorizzazione del territorio che amplia e tutela le aree verdi, riduce drasticamente, e in alcune aree del tutto, la possibilità di nuove edificazioni». Altro che cemento sulla penisola sorrentina.

Presidente, ma è vero che è stato elaborato senza le previste consultazioni con le Soprintendenze? «Lo nego. Ci sono i verbali».

Presidente, ma è vero che sottrae 25.000 ettari all’agricoltura della provincia? «Non so da dove esca questa cifra». E poi, confortato dal tecnico Vincenzo Guerra, che gli mostra le carte: «In realtà ne abbiamo vincolati 35.000. Perla prima volta. E’ una conquista».

Presidente, visto che gli ettari agricoli nel Napoletano sono calcolati in 60.000 ettari, i conti tornano... Ma la domanda si perde nella bagarre della sala affollata.

Presidente, a parte il verde sottratto ad aree come la fascia vesuviana e la penisola sorrentina, c’è il problema degli insediamenti residenziali di Acerra, Nola, Giugliano: centomila vani. «Il Piano si propone come elemento di riequilibrio territoriale. Se si deve decongestionare la zona costiera...».

Per Enrico Pennella, diessino, presidente del consiglio provinciale, ci sono due inesattezze da contestare ai resoconti di Repubblica. «Primo: non si è trattato dell’approvazione a scatola chiusa in una torrida giornata d’agosto,,. La giornata poteva pur essere torrida, ma era di luglio. E chiudeva una maratona di tre sedute. «Secondo: non c’è stato alcun accordo trasversale tra maggioranza e opposizione». L’opposizione, anzi, seccata per la bocciatura di alcuni emendamenti, aveva abbandonato l’aula, lasciando il governo del territorio al proprio destino. E, se ce ne fosse bisogno, la conferma viene dai capigruppo della Casa delle libertà: Angelo Romano (An), Giuseppe Cuomo (Fi), Giovanni Romano (Udc) e Stefano Caldoro (Nuovo Psi).

Rotta la diga del silenzio concordato, tutti vogliono puntualizzare. Specie l’anima diessina della giunta, la stessa che ha condotto una guerra di posizione a Santa Lucia, sulle questioni edilizie ai piedi del Vesuvio. Per Antonio Giordano, Formazione: «Stupisce un attacco così virulento su un Piano che smentirebbe anni di lavoro. Adottato, non approvato. E tuttora aperto». Per Guglielmo Allodi, Bilancio: «Si vuole colpire il potere pubblico nel momento in cui tende a rafforzare la propria funzione. Chiaro che ci sono interessi particolani danneggiati». Per Paquale Sommese, Urbanistica: «Ad oggi non sono arrivate osservazioni da parte delle associazioni ambientaliste. E’ vero che c’è tempo fino al 3 dicembre, ma fare politica attraverso i giornali...».

La mappa (e.b.)

Una settimana di fuoco, la prossima, per la tutela del territorio. Mercoledì le delegazioni di Italia nostra e Wwf sono attese dal presidente della Provincia, Amato Lamberti. Lunedì, riunione ad hoc della Commissione ambiente, convocata dal presidente, il Verde Rino Nastl. E poiché il caso che coinvolge l’intera provincia parte dalla penisola sorrentina, ieri pomeriggio Wwf, Gaia, Italia nostra si sono incontrate a Piano di Sorrento per discutere una serie di osservazioni che verranno presentate in quelle sedi, confermando - come spiega Massimo Maresca «senso e contenuti dell’allarme» lanciato attraverso Repubblica: il rischio che attraverso la voce riqualificazione urbana passino tonnellate di cemento è reale.

Ma quali sono i beni in pericolo imminente nella zona sorrentina? Ecco, voce per voce, il quadro del possibile scempio.

Le falesie. “Secondo il Ptcp - dicono gli ambientalisti - sono un valore da salvaguardare. E rientrano fra queste i giardini di Villa Fondi, di Sopramare, l’aranceto del Pizzo, lo sbocco dei valloni. Ma nella cartografla allegata queste bellezze sono classificate in parte centro storico e in parte zona di riqualificazione urbana. Classificazioni inadeguate a preservare il costone tufaceo”.

Valloni e rivoli “Sono dichiarati beni da salvaguardare, ma non sempre sono individuati completamente ed hanno anch’essi talvolta classificazioni di centro storico o di zona di riqualificazione urbana. Ben altra tutela meritano i valloni e i rivoli di Sorrento, il Vallone dei Mulini, il rivolo Conca, la cascata e le sorgenti di Capodimonte di Sorrento”.

Uliveti e agrumeti. “Il Ptcp classifica l’area agricola collinare di Sorrento, con la sola eccezione di Punta Capo, come area di riqualificazione urbana, includendo gran parte degli agrumeti. Eppure si tratta di un patrimonio che non solo induce turismo ma attività economiche integrative, anche attraverso le produzioni tipiche”.

I parchi. “Vi si ammettono costruzioni di strade fino a 7 metri e strutture con superficie coperta fino all’uno percento dell’area, con un massimo di 500 metri quadrati”.

La nuova strada. “Non serve a migliorare la situazione della penisola congestionata, perché strade e parcheggi sono collettori di nuovo traffico, costano una media di 12 alberi ogni metro, producono fenomeni di urbanizzazione aggiuntiva. Meglio studiare un sistema di collegamento alternativo, che può essere realizzato in parte su ferrovia e con interconnessioni con altri sistemi dimobilità”.

I luoghi. Da Sorrento e dalla sua costiera parte il primo allarme: il Piano territoriale di Coordinamento sostituisce il Piano Urbanistico territoriale che è stato finora garanzia di tutela.

Il grido d’allarme investe anche le isole. A Capri in pericolo i terrazzamenti storici; ai Ischia i vigneti, gli orti erborati e le pinete; a Procida gli agrumeti e gli orti interclusi, tutti “trasformabili”.

Agevola, con la sua conca, Gragnano e Lettere con gli arboreti promiscui e i vigneti dell’area pedemontana, ricadrebbero pressoché integralmente nelle aree di riqualificazione urbana, edificabili.

La Repubblica, edizione di Napoli, 23 novembre 2003Roberto FuccilloGalasso protesta “Errore la delega”

Il Padre della legge sui vincoli: salviamo i suoli agricoli

Giuseppe Galasso è ormai quasi sinonimo di vincolo. Professore, che succede, lo spirito della sua legge sta venendo meno?

«Indubbiamente non c’è la stessa tensione di dieci anni fa. Però quella normativa è ancora in vigore, anzi è rafforzata dal testo unico che riunisce le disposizioni in materia paesistica e ambientale».

E dunque dovrebbe essere inglobata nei nuovi strumenti pianificatori come quello della Provincia di Napoli?

«La delega urbanistica a enti infraregionali, prevista nella Bassanini, non è stata un provvedimento saggio. Nel nostro caso poi l’applicazione è sorprendente.

Allude alla sparizione di 25mila ettari agricoli?

«Non discuto la possibilità di intervenire su quote di territorio per riqualificazione urbana. Discuto invece di tre punti. Primo: i suoli agricoli in Campania sono scesi negli ultimi cinquant’anni dal 75 a meno del 40 per cento, e dieci anni fa erano spariti 27Omila ettari rispetto al 1960. Se ora togliamo anche questi 25mila favoriamo una marginalizzazione del settore ben oltre quella determinata dall’abbandono naturale della terra. Il secondo punto è che, con tutto quello che si è costruito, non si può dire che ci siano carenze.

Veramente il piano parla di riequilibrio di densità abitative.

«E allora vorremmo vedere garanzie che nuove cubature corrispondano a demolizione delle vecchie. L’esperienza insegna che si finisce sempre con la vittoria dell’aggiuntivo sul sostitutivo. Un ultimo punto: piuttosto che alla riqualificazione urbana perché non puntare là dove ci sono già strutture e impianti inutilizzati, come capannoni e fabbricati abbandonati? Va poi tenuto d’occhio il rapporto fra riqualificazione urbanistica e espansione edilizia. Ogni intervento X comporta un moltiplicatore edilizio pari a 5 volte X. Tutti i timori in tal senso mi appaiono opportuni».

Forse lavorare sul solo territorio provinciale è sbagliato?

«Razionalità vorrebbe che la congestione napoletana venisse in qualche misura risucchiata da altri vuoti esterni. Basti pensare agli spazi della provincia di Salerno o delle aree interne. E ciò conferma l’errore della delega alle Province».

Preferisce che la materia resti alle Regioni?

«Anche le Regioni hanno il problema di integrarsi fra loro. Ma in questo caso il collegamento è più facile, mi accontenterei».

Il piano vuole anche centralizzare l’esame dei progetti, superare lo stillicidio di pareri da parte dei vari enti. La cosa la convince?

«Se incide sul timing burocratico, si può convenire. Se invece serve a elidere o aggirare determinate normative, allora no».

Il Mattino, 23 novembre 2003Francesco VastarellaCemento in costiera, bufera sulla provincia

Gli ambientalisti: “Il piano territoriale favorisce le speculazioni”. Lamberti: “No, vincoli più stretti per le aree agricole”

“Nessun vano in più in Penisola sorrentina. Vincoli più stretti per le aree agricole, anche rispetto al piano paesistico in vigore. Le aree di espansione edilizia del Napoletano ridotte all’indispensabile in tutta la provincia». A piazza Matteotti, sede dell’Amministrazione provinciale di Napoli a guida del verde Amato Lamberti, ieri si sono affannati a difendere il Ptcp, sigla che sta per piano territoriale di coordinamento provinciale, adottato il 29 luglio dal Consiglio con i 26 voti della maggioranza di centrosinistra, mentre il centrodestra uscì dall’aula con tutti i suoi 300 emendamenti non esaminati.

Il piano ha scatenato un putiferio sebbene non sia ancora in vigore, perché dovrà essere la Regione a dare l’imprimatur, perché la fase deòòe osservazioni da parte dei cittadini è aperta fino al 4 dicembre. Il ptcp è finito sotto accusa per l’allarme lanciato nei giorni scorsi da Wwf, Italia Nostra e associazione a Gaia per le presunte conseguenze a danno del paesaggio della Penisola sorrentina: «Le previsioni di riqualificazione urbana - sostengono gli ambientalisti - rischiano di rovinare 5.287 ettari di preziose colture della Costiéra. Nessun vano in più, certo, ma c’è la possibilità di una colata di cemento con il pretesto delle riqualificazioni urbane attraverso infrastrutture di servizio, dai parcheggi agli interventi per la mobilità,

l’incentivazione per il riuso delle abitazioni stagionali in attrezzature turistico-ricettive e abitazioni permanenti». «Non è affatto così, abbiamo ristretto addirittura rispetto alle possibilità che si hanno oggi con le norme in vigore. E pensare che finora ci hanno accusato di avere ingessato il territorio», puntualizza il presidente Lamberti.

«Se le accuse degli ambientalisti dovessero rivelarsi fondate sarebbe paradossale, vorrebbe dire che il piano non sarà mai approvato», commenta un urbanista di collaudata esperienza come Guido D’Angelo.

Ma all’origine dello scontro con gli ambientalisti potrébbe esserci anche un clamoroso equivoco: mappe diverse per le copie del Ptcp in circolazione. «Ho appena incontrato le associazioni ambientaliste - spiega Rino Nasti, capogruppo dei Verdi - Mi sono reso conto che le mie copie erano diverse dalle loro. In una materia così complessa basta poco per fare saltare l’equilibrio dei dati. Noi, comunque, faremo nostre le perplessità espresse dagli ambientalisti, lunedì (domani, ndr) all’incontro in commissione urbanistica. Anche il presidente Lamberti ha detto che la tutela ambientale ha ispirato tutte le scelte».

Venerdì si incontreranno i sindaci sorrentini. La polemica è destinata a durare. Al fianco di Lamberti ieri sono scesi in campo, nel corso di una conferenza improvvisata, quasi tutti gli assessori e il presidente del Consiglio provinciale, Enrico Pennella, che ha respinto le accuse di un accordo con l’opposizione per il varo dei piano: «Abbiamo litigato e loro sono andati via». “Sì, siamo usciti dall’aula quel giorno - ricorda Giuseppe Gnomo, capogruppo di Forza Italia e assessore a Sorrento - per contestare la volontà di stringere i tempi del dibattito, su un argomento tanto delicato. Con una mozione d’ordine bloccarono i nostri 300 emendamenti. Non voglio speculare, non voglio dare per certi intenti speculativi. Tuttavia, la fretta potrebbe avere generato errori, bisogna subito correggere». Per Italia Nostra e Wwf l’obiettivo è uno solo: «Le aree di riqualificazione urbana devono scomparire dalle previsioni del Ptcp». Lamberti insiste invece sulla sua linea: «Si dicono cose false partendo da dati sbagliati. Tutti i comuni della Penisola sorrentina hanno un piano regolatore e nessuno prevede cementificazione. Sorrento voleva aumentare la dotazione di edilizia popolare e dicemmo di no anche a quello. In quattro anni sul Ptcp abbiamo discusso con tutti. Se correzioni ci dovranno essere le faremo in senso restrittivo contro cemento e abusi».

Il Mattino, 23 novembre 2003Francesco VastarellaL’assessore Riano: «Accuse ingiuste, pronto al confronto»Riqualificare non vuol dire altri palazzi. Correzioni solo in senso restrittivo

“Bisogna mettere subito in chiaro una cosa. Per la prima volta ben 35mila ettari di territorio agricolo della provincia di Napoli, sui 60 mila totali, vengono strettamente vincolati, diventano intoccabili per tutelare le produzioni. Poi vediamo il resto, ma con questa premessa è già evidente l’obiettivo ambientalista del Piano». L’assessore provinciale Guido Riano, architetto, professore universitario, si sente chiamato direttamente in causa perché delegato dalla Giunta alla preparazione del Piano provinciale di coordinamento territoriale, Ptcp.

Ci sono gruppi di ambientalisti, ma anche amministratori, che temono un effetto esattamente contrario per zone dl pregio come la Penisola sorrentina.

«Non è affatto così, sono pronto al confronto con gli ambientalisti per dimostrarlo».

Dovrà ammettere che la possibilità di riqualificazioni urbane in aree agricole qualche sospetto lo genera.

«Io rispondo che si potrà fare molto meno di quanto consentano le regole in vigore oggi».

Che vuoi dire?

«Oggi ci sono vincoli e leggi regionali che comunque non bloccano in maniera drastica gli interventi, ci sono aree di riqualificazione urbana anche negli attuali piani, a cominciare dai Prg».

Lei si riferisce anche al piano paesistico varato dalla Regione, che però viene scavalcato dal Ptcp?

«Non scavalcato, il Ptcp deve essere approvato anche dalla Regione e dunque diventerà un suo atto, avrà valore anche di piano paesistico».

L’agronomo Antonio di Gennaro, consulente di Wwf e Italia Nostra, sostiene che gli effetti devastanti si possono notare sovrapponendo norme e grafici.

«Bisogna che ci sia però una lettura aggiornata».

Si parla di cartine differenti in circolazione, di supporti magnetici che riportano diversi rilievi aerofotogrammetrici.

«Fanno fede soltanto le carte allegate ai piano adottato dal Consiglio provinciale. Anche io so però che ci sono grafici con diverse indicazioni in circolazione, questo potrebbe avere generato confusione e anche la legittima iniziativa delle associazioni ambientaliste».

Insomma, lei non toccherà una virgola del piano?

«Niente affatto, sono pronto a correggere, ma soltanto in senso restrittivo. Bisogna arginare ogni idea di cementificazione o speculazione, in qualsiasi forma, soprattutto, poi, in zone come quella sorrentina».

NAPOLI — Nessuna cementificazione della penisola Sorrentina. Lo ha assicurato Antonio Bassolino, governatore della Campania. “Sono fiducioso che sarà la stessa Provincia di Napoli, retta da una maggioranza di centrosinistra, a fugare le preoccupazioni che sono state espresse sul piano territoriale di coordinamento all’attenzione del Consiglio provinciale — ha detto ieri Antonio Bassolino a margine della seduta del Consiglio — Seguiremo comunque con grandissima attenzione i contenuti e le scelte del piano territoriale di coordinamento. È infatti chiaro che non deve esserci alcuna cementificazione della Penisola Sorrentina”. Così il presidente della Regione è intervenuto in merito alle preoccupazioni emerse da più parti su un rischio cementificazione della Penisola Sorrentina legate al piano territoriale di coordinamento varato dalla provincia di Napoli.

Altre notizie sulla rassegna stampa: Consensi e dissensi

Il Mattino

Urbanistica, la Provincia fa dietrofront

« Linee guida e premesse, su questo non si discute. Ma per il resto del Piano provinciale di coordinamento territoriale, Ptcp, neppure un metro cubo di cemento in più». Tre ore fitte di discussione, ieri dalle 10 alle 13, nella sede della Provincia di Napoli, a piazza Matteotti. Presenti al vertice il presidente Amato Lamberti, i due assessori freschi di nomina, Francesco Domenico Moccia (Ptcp) e Fulvio Mamone Capria (parchi), gli assessori Luca Stamati (ambiente) e Pasquale Sommese (urbanistica).

Un confronto difficile, ma alla fine si è riusciti a mettere a punto la nuova strategia a due settimane dallo scontro con le associazioni ambientaliste della Costiera sorrentina e con i sindaci delle aree interessate ai nuovi insediamenti edilizi; a una settimana dalle dimissioni dell’assessore diessino Guido Riano, ideatore del piano, a pochi giorni dallo scontro interno ai Ds dopo la nomina di Moccia, che risulta tra i fondatori della cosiddetta lobby bassoliniana, Diametro.

A sentire i resoconti del vertice, è chiaro che ci si prepara a una sostanziale correzione del piano che fu varato dal Consiglio il 29 luglio, fuori dall’aula per protesta le opposizioni che avevano presentato 300 emendamenti bocciati in un colpo solo. Dunque, ecco gli obiettivi che si sono posti Lamberti e i suoi assessori: «Ribadire le linee guida del piano, tese alla massima tutela ambientale e delle aree agricole, dalla Costiera sorrentina alle aree interne; riquallficazione urbanistica soltanto sul patrimonio edilizio e infrastrutturale esistente, consentendo cioè di abbattere e ricostruire a parità di volumetrie. Nuove funzioni per i parchi ecologici e archeologici esistenti. Nuovo confronto con sovrintendenze, autorità di bacino e sindaci. Massima attenzione alle osservazioni presentate, nessun rinvio tecnico dei termini per la presentazione delle osservazioni, ma ascolto fino all’ultimo momento utile prima del varo definitivo».

Dunque il cammino riprende, a meno di sei mesi dalla fine della consiliatura e in un clima politico appesantito dalle sfide tra partiti per le candidature alle provinciali e alle europee. «Riprende il percorso - spiega l’assessore Luca Stamati - per mettere in condizioni il Consiglio di approvare il Ptcp prima della fine del mandato, con la più ampia partecipazione di tutti alla stesura definitiva. Il piano è troppo importante per essere bloccato».

Il Corriere del MezzogiornoPiano, Lamberti: “Niente cemento”Gimmo Cuomo

L’amministrazione provinciale di Napoli ha definito la svolta sul Piano territoriale di coordinamento. Ieri mattina il presidente della giunta Amato Lamberti ha presieduto una riunione degli assessori tecnici per fare il punto sul Ptcp dopo le contestazioni degli ambientalisti e dopo la presentazione delle osservazioni da parte dei comuni e delle associazioni. Con Lamberti si sono riuniti il neoassessore al Ptcp Francesco Domenico Moccia, succeduto da una settimana a Guido Riano; il responsabile dell’Urbanistica Pasquale Sommese, l’assessore all’Ambiente Luca Stamati e il collega Mamone che da pochi giorni ha ricevuto tra le altre deleghe quella ai Parchi, in pratica tutti i componenti della giunta con attribuzioni di natura tecnica. Un modo per rimarcare la necessità di maggiore collegialità sul Piano.

L’orientamento emerso parte dalla riaffermazione delle premesse del Ptcp: non solo nessun vano in più, ma anche nessun metro cubo di cemento oltre l’esistente. Massima aperture, nei limiti naturalmente delle premesse stesse, verso le osservazioni raccolte (poco più di un centinaio), che dovranno essere discusse dal consiglio. L’amministrazione provvederà preventivamente ad oridnarle e ad istruirle.

“Tenderemo – conferma Lamberti – a recuperare tutto il recuperabile. Del resto è proprio questa la ratio delle osservazioni, per cui quelle che evidenziano distrazioni o dimenticanze rispetto ai principi ispiratori del Ptcp saranno senz’altro accolte”. Prima che la parola passi al Consiglio, l’amministrazione provinciale avvierà un nuovo giro di consultazioni con i Comuni che hanno presentato le osservazioni a partire da quello di Napoli. I partecipanti alla riunione hanno anche convenuto sulla necessità di rilanciare il dialogo con la Regione e di istituire un tavolo con le Soprintendenze e con le Autorità di bacino. Dopo le polemiche e le accuse di scarso coinvolgimento, rivolte dalle associazioni alla Provincia, l’obiettivo della giunta Lamberti è dunque di “realizzare un Ptcp partecipato”, che venga cioè migliorato attraverso il coinvolgimento più ampio, da approvare al più presto possibile.

Dai principi alle nuove previsioni il passo tuttavia non è né breve, né scontato. Le polemiche degli scorsi giorni hanno infatti dimostrato la divaricazione tra le premesse le loro traduzioni pratiche. Di fronte ai rilievi degli ambientalisti Lamberti ha promesso la nomina di un consulente personale che potesse assistere il presidente. Poi dopo le dimissioni di Riano, non è più tornato sull’argomento. “Non so – afferma ora Lamberti – se sarà più necessario. In ogni caso il consulente non avrebbe significato una sorta di diminuzione dell’assessore delegato”.

La Repubblica, edizione di Napoli, 4 dicembre 2003

Piano-scandalo, no del Comune

Ottavio Lucarelli

Stop alla Provincia, 27 osservazioni. Pronto ricorso al Tar.

Iervolino e Papa attaccano il progetto che lascia senza tutela le oasi verdi: Posillipo, Agnano, Camaldoli, Pianura.

Palazzo San Giacomo contro la Provincia. Si estende lo scontro istituzionale e ora nella guerra contro il piano territoriale di coordinamento entra prepotentemente in campo il Comune di Napoli con ben ventisette osservazioni firmate dal vicesindaco Rocco Papa e approvate ieri sera in giunta in una riunione a cui ha partecipato Rosa Russo Iervolino.

Si allarga il conflitto contro il piano urbanistico del presidente Amato Lamberti e dell’ex assessore provinciale Guido Riano che, secondo le robuste denunce degli ambientalisti, mette a rischio cemento ben venticinquemila ettari di territorio agricolo. Il Comune interviene con decisione e incalza su tre fronti. La giunta Iervolino-Papa presenta 27 modifiche ma le misure contestate sono sostanzialmente tre. In Municipio, innanzitutto, non si accetta che il piano provinciale possa prevalere sul piano regolatore del Comune. Non lo si accetta e, su questo punto, era pronto ieri sera anche un ricorso al Tribunale amministrativo per il momento solo congelato. E non solo. La giunta comunale sostiene anche che le scelte della Provincia non possano mettere in discussione i piani paesistici, che non possano in sostanza modificare le norme di salvaguardia di aree come i Camaldoli, Posillipo, Agnano, Pianura, di gran parte dell’area flegrea della città. E su questo punto la linea del vicesindaco segue quella già tracciata nel pacchetto di osservazioni firmato da Italia Nostra, Wwf e Coldiretti assieme all’associazione Gaia.

Il terzo affondo è sulla tutela dei centri storici. «Noi — spiega Rocco Papa—chiediamo solo il rispetto della legge. La normativa per il centro storico l’abbiamo già approvata e non c’è alcuna necessità di creare nuove sovrapposizioni. È vero, avevamo anche pensato a presentare un ricorso amministrativo, ma abbiamo scelto la linea delle osservazioni anche per cercare un’intesa con la Provincia».

Ma lo scontro istituzionale resta violento perché il ricorso al Tar sembra a questo punto solo rinviato. Ieri sera sono stati gli interventi della Iervolino e dell’assessore all’avvocatura Roberto De Masi a congelare una decisione che a metà pomeriggio sembrava già presa.

«La giunta — insiste il vicesindaco — propone integrazioni e modifiche per migliorare il piano, renderlo conforme alla normativa e salvaguardare le scelte che il consiglio comunale ha già preso in materia urbanistica. Sono state scelte importanti quelle prese negli anni scorsi e non possiamo rittere in discussione il nostro piano regolatore, i piani paesistici, persino la variante di Bagnoli».

Oggi alle 12 scade il termine per presentare le osservazioni in Provincia e i pacchetti più consistenti arrivano dagli ambientalisti e dal Comune. Con Papa che lancia un segnale: «Sono disponibile a lavorare assieme al nuovo assessore Domenico Moccia per migliorare il piano». Ma su un punto in Municipio c’è già l’intesa: se le scelte non cambiano si ricorrerà al Tar.

La Repubblica, edizione di Napoli, 4 dicembre 2003Bufera nella segreteria Ds per la nomina di Moccia Eleonora Bertolotto

“Chi ha scelto l’assessore di Diametro?”. Lettera a Belliazzi. “Gestione non trasperente edl partito. In tre lasciano.

NON aveva ancora partecipato alla prima giunta (lo ha fatto ieri, accolto formalmente con tutti gli onori dai colleghi, come annota il presidente della Provincia Amato Lamberti) che già la sua nomina era diventata un caso in via dei Fiorentini, spaccando la segreteria. Poche ore prima la corrente morandiana dei Ds, LibertàEguale, che fa capo a Berardo Impegno ed ha in Giuseppe Russo il coordinatore provinciale, aveva scritto una lettera riservata al segretario Diego Belllazzi per chiedergli spiegazioni della scelta caduta su Francesco Domenico Moccia in sostituzione del dimissionario Guido Riano, assessore al Piano territoriale di coordinamento. Un documento pesante che parte dalla mancata consultazione del capogruppo Ciro Cacciola e del responsabile degli enti locali, Io stesso Russo, prosegue con l’elenco dei luoghi di sofferenza diessina, da Castellammare a Pozzuoli, e conclude con un’accusa non solo di eccessivo dirigismo, ma di supina accettazione di una “direzione parallela”. La parola Diametro non viene citata, ma si parla di esposizioni lobbistiche, ed è chiaro che l’appartenenza di Moccia alla lobby filobassoliniana ha il suo peso. Insomma, l’implosione del Ptcp in Provincia continua a produrre danni in casa diessina. E se la corrente che mira alle gambe del segretario rappresenta un peso minoritario in seno al partito (20 percento a Napoli), ciò non di meno il malumore è diffuso se uno pacato come il senatore Massimo Villone sbotta quasi adirato: «Le scelte non si fanno nelle segrete stanze e qui non è stato consultato nessuno. L’appartenenza a Diametro è solo un’aggravante».

Al centro dell’inattesa bufera, Diego Belliazzi ha convocato per venerdì i ribelli (con Russo, Leonardo Impegno e Anna Sicolo) che intanto si sono autosospesi dalla segreteria e chiedono una direzione provinciale urgente nella quale “proporremo che il partito tragga tutte le conseguenze”. Segrete stanze? Belliazzi dice di aver «raccolto le necessarie indicazioni in seno al partito» e di aver «scelto sulla base della competenza. La polemica su. Diametro è stucchevole, un po’ stupida e fascista. Se fosse stato indicato Benedetto Gravagnuolo, che è tra i fondatori, si sarebbe detto che era uno di Diametro o il preside diArchitettura? La qualità di Moccia è fuori discussione». Getta acqua sul fuoco Gugliemo Alllodi, leader dei dalemiani, ex segretario e assessore provinciale al Bilancio: «Bisognava risolvere il problema in tempi rapidi ed è stato fatto. Altre discussioni sono improprie. Quanto a Diametro, il valore degli uomini si misura per ciò che fanno». E Michele Calazzo. sindaco di Pomigliano d’Arco nonché consigliere provinciale: «Al nuovo assessore ho telefonato per dirgli che ne ammiro il coraggio: affrontare un Piano contestato, e in pochi mesi, ne richiede parecchio, e di questo dovrebbe essergli grato tutto il partito. Dalle correnti, poi, gradirei sentire osservazioni sul merito del Piano. Invece se ne ascolta la voce al momento della distribuzione degli incarichi, sui quali bisognerebbe lasciare totale autonomia a presidenti e sindaci». Guido Riano, va detto, era considerato, all’interno della casa madre diessina, in quota morandiana.

Il Mattino, 4 dicembre 2003Urbanistica, anche la Iervolino contro Lamberti Luigi Roano

No a nuove case a Posillipo e ai Camaldoli: a Napoli la giunta presenta 27 osservazioni al Piano. - Tesa riunione dell’esecutivo. IL vicesindaco Papa attacca: “Come fa la Provincia a dire che il suo progetto vale più del nostro Prg?” Escluso per ora il ricorso al Tar.

Scontro sull’urbanistica fra Comune di Napoli e Provincia. Il Ptcp (Piano territoriale di coordinamento provinciale) elaborato dall’ex assessore di piazza Matteotti Guido Riano non piace al sindaco Rosa Iervolino e all’assessore all’Urbanistica Rocco Papa. Quanto stabilito da Riano influisce e pesantemente sulla zona flegrea della città e in particolare ad Agnano, Posillipo, Pianura e i Camaldoli. Siti che nel Prg di Napoli appena approvato da Palazzo San Giacomo non sono destinati a edificazione, bensì a verde. Nel disegno della Provincia, invece, ci sarebbe ampio spazio per tirare su palazzi e case. Vero è che l’ente presieduto da Amato Lamberti ancora deve adottare i Ptcp, tuttavia l’amministrazione ha già messo in campo le contro-mosse.

Nella giunta di ieri sera, sono state prese importanti decisioni. La prima è di presentare osservazioni al Ptcp. Oggi scadono i tempi, ma Rocco Papa ha preparato insieme al dirigente dell’ufficio Urbanistico Roberto Giannì un pacchetto corposo di modifiche ben 27, che verrà consegnato in mattinata. La seconda notizia è che Palazzo San Giacomo per ora ha receduto dall’intento di ricorrere al Tar. Una sorta di ricorso preventivo con il quale intendeva dirimere una volta e per tutte la madre di tutte le questioni. Ovvero perché il Prg ddi Napoli, dovrebbe adattarsi e piegarsi a quello della Provincia. Queste perplessità si sono tramutate in parte delle 27 osservazioni.

“Abbiamo scartato - conferma Papa - l’ipotesi di ricorso. In un’ottica di collaborazione abbiamo proposto le modifiche. Da oggi sono disponibile a un confronto leale e serrato con l’assessore Moccia, così come ho fatto già con Riano, per trovare insieme le soluzioni condivise alle problematiche di riassetto dell’intera area metropolitana”. Deciso il vicesindaco che insiste: “La Provincia non può dire che il loro Piano prevale sui Prg o sui piani paesaggistici oppure attuativi, allo stato della normativa nazionale e regionale questo non esiste. Aspettiamo le decisioni del Consiglio regionale sulla materia, quanto mai necessarie e anche in questi giorni se ne è vista l’urgenza».

Per ora, niente ricorso. Per ora, perché Palazzo San Giacomo se non si dovesse trovare la quadratura del cerchio con le osservazioni, è intenzionato a ritornare alla carica. A frenare l’impeto di Papa ci hanno pensato Roberto De Masi, assessore all’Avvocatura e la stessa Iervolino. Lo sa bene Diego Belliazzi, segretario provinciale dei Ds e consigliere dell’ente di Piazza Matteotti che fino all’ultimo si è battuto per scongiurare il ricorso al Tar. Gli è andata bene su questo fronte, non su quello delle osservazioni visto che i Ds si sono battuti affinché la grana non scoppiasse promettendo di risolvere la questione dentro le mura della Provincia. Ma Rocco Papa e soprattutto la Iervolino hanno detto di no.

Del resto lo scontro con la Provincia non è nuovo, basta ricordare le polemiche che scoppiarono all’indomani dell’approvazione del Prg sul destino dello scalo di Capodichino. Con Palazzo San Giacomo che ha licenziato il piano dove è prevista la delocalizzazione dell’aeroporto e il Ptcp che invece lo considera vitale per lo sviluppo dell’intera area metropolitana dì Napoli.

Il Mattino, 4 dicembre 2003Sorrento, Riano si è dimesso anche da consulente del Comune.

L’architetto Guido Riano ha rinunciato all’incarico di predisporre la revisione del piano regolatore generale del Comune di Sorrento. La notizia è stata ufficializzata nel corso della seduta del Consiglio comunale, tenutasi l’altra sera. li Consiglio ha approvato, inoltre, con i voti dei consiglieri presenti, ad eccezione di tre astenuti, un documento sul Piano territoriale di coordinamento predisposto dalla Provincia. “Il Consiglio comunale – viene sottolineato – considera positivamente la metodologia del Ptcp predisposto dall’amministrazione provinciale, che riattribuisce al livello locale la programmazione urbanistica pur nel quadro delle indicazioni di massima fornite dal livello ultracomunale. li piano, infatti, riconosce maggiore autonomia ai Comuni rispetto a quanto non sia avvenuto in passato e in ciò appare in linea con il principio di sussidiarietà e con la nuova posizione assunta, nel sistema, dall’ente che direttamente rappresenta le comunità locali».

Il Mattino, 4 dicembre 2003Il caso Moccia: strappo nei Ds, l’area Liberal lascia la segreteria.Paolo Maniero

In un partito, i Ds, già alle prese con polemiche interne, la nomina di Moccia assessore provinciale ha l’effetto di una bomba. Nella Quercia c’è disagio, e non solo perché il successore di Riano è iscritto a Diametro. Sotto accusa c’è la gestione politica del partito ed è di ieri la presa di posizione dell’area Liberal che lascia la segreteria provinciale. Uno strappo peer certi versi annunciato quello di Peppe Russo, Leonardo Impegno e Anna Sicolo, e che in sostanza mette fine, dopo appena quattro mesi, alla gestione unitaria del partito. A Belliazzi, segretario provinciale dei Ds, l’area LiberaI contesta il modo in cui è stata gestita la crisi alla Provincia di Napoli e soprattutto contesta l’epilogo, ovvero la scelta di Moccia, fatta, a dire di Russo, Impegno e Sicolo, senza aver consultato il partito e al di fuori delle sedi ufficiali come se esistesse «un sistema di direzione parallela e non trasparente». «Nel partito - spiega Russo - permane un asse politico incertoe condizionato dalla necessità di trovare in via preventiva un accordo nel correntone. Ciò è un freno sotto l’aspetto della linea e dell’iniziativa politica ed è un detonatore sotto quello della gestione perché è in questo ambito che si cerca di rendere compatibile sul piano politico ciò che è impossibile. Sembra che nel correntone sia in vigore la massima catulliana del nec tecum ne sine te». La gestione unitaria è durata dunque lo spazio di un mattino. «Il governo unitario del partito -dice Russo - era non solo una scelta consapevole per dare sbocco alla crisi del correntone ma era anche una condizione ineludibile per cercare di rilanciare un partito che ha perso progressivamente consenso elettorale».

Intanto, il presidente della Provincia Lamberti non trova mezze misure per chiarire quale è «la filosofia» del Piano di coordinamento territoriale: «Non vogliamo aggiungere un metro cubo di cemento rispetto a quelli già esistenti». Per Lamberti si deve «decongestionare» la fascia costiera che va da Napoli a Castellammare di 150mila abitanti e il capoluogo di circa lOOmila per alleggerire la pressione demografica sul territorio. «Una parte è possibile allocarla lungo l’asse Giugliano-Nola, l’altra nel resto della regione, sfruttando il patrimonio edilizio esistente», chiarisce Lamberti smentendo la ventilata costruzione di circa 3Omila nuovi vani. E la possibile cementiflcazione della penisola sorrentina? «C’è stato un fraintendimento, noi vogliamo solo dotare l’area dl servizi essenziali come ospedali e scuole e non costruire nuove case». Ma i 25mila ettari di terreno agricolo non vincolati? «Sono solo destinati alla riqualificazione urbana attraverso la costruzione di servizi destinati a migliorare la qualità della vita di oltre 3 milioni di abitanti».

Il Corriere del Mezzogiorno, 4 dicembre 2003Assessore di Diametro, terremoto nei Ds Gimmo Cuomo

I Liberal: “Gestione parallela del partito, non partecipiamo più alle riunioni”. Villone: “Non c’è stata discussione”.

NAPOLI — È ormai guerra aperta all’interno dei Democratici di sinistra dopo la nomina nella giunta provinciale di Napoli di Francesco Domenico Moccia quale successore di Guido Riano, dimissionario in seguito alle accuse al Piano territoriale di controllo. Ieri sono usciti allo scoperto gli esponenti dell’area liberal Giuseppe Russo, Leonardo Impegno e Anna Sicolo che, in una lettera indirizzata al segretario provinciale della Quercia Diego Belllazzi, hanno comunicato che non parteciperanno più ,alle riunioni di segreteria e che nella prossima seduta della direzione— che hanno chiesto a Belllazzi di convocare al più presto, proporranno che il partito tragga tutte le conseguenze.

Non è andata giù la designazione di Moccia e la sua appartenenza all’associazione Diametro. «Il modo in cui è stata gestita la vicenda — è la continuazione di una pratica di esproprio della decisione politica dei luoghi deputati che sono i soli abilitati a istruire la corretta procedura di formazione delle nostre scelte». Il riferimento a Diametro non è esplicito ma è comunque chiarissimo. «E evidente — si legge nella lettera — che c’è un sistema di direzione parallela e non trasparente che definisce criteri e nomi per risolvere le questioni della nostra rappresentanza istituzionale a tutti i livelli». Ma le critiche alla gestione del partito riguardano non solo la Provincia, ma anche Pozzuoli, Castellammare, Casoria, Giugllano e Melito dove «i Ds vivono drammatiche situazioni di lacerazione di cui si fanno artefici i capi corrente estranei alle dinamiche delle singole realtà locali». In sofferenza anche gli esponenti di Socialismo 2000 li cui leader campano, il senatore Massimo Villone, accusa: «Belliazzi ha sbagliato a non assicurare il coinvolgimento del partito nella gestione della vicenda della Provincia di Napoli. Non mi risulta infatti che i nomi da proporre per l’assessorato siano venuti fuori da una discussione». Quanto alla decisione del liberal di non partecipare più alle riunioni della segreteria Villone osserva: «Stiamo negli organismi dirigenti per assicurare la gestione unitaria del partito, ma è chiaro che se alcuni segmenti vengono meno, viene meno automaticamente anche la stessa gestione unitaria. In ogni caso se l’appartenenza a Diametro fosse stata il fondamento o la concausa della poca trasparenza in vista della decisione, ci troveremmo indubbiamente di fronte ad un’aggravante».

Le polemiche in casa Ds si sovrappongono a quelle interne al centrosinistra regionale che sottintendono le aspirazioni delle forze politiche per il dopo Lamberti. La guida della coalizione che affronterà le elezioni della prossima primavera viene rivendicata innanzitutto dai Verdi, in nome della continuità; ma anche dallo Sdi. E, sotto sotto, si registrano aspirazioni in tal senso anche in casa Ds e nella Margherita. Il leader nazionale dell’Udeur Clemente Mastella non ci sta. «Tutti rivendicano e tutti prenotano. Ma fanno i conti senza di noi che in Campania rappresentiamo una forza significativa e siamo determinati a farla pesare. Una delle tre candidature per le Province di Napoli, Salerno o Avellino spetterà a noi». Nelle polemiche si inserisce anche l’opposizione. Il consigliere provinciale dl Fi Nicola Di Raffaele ironizza: «Che Diametro, fosse una garanzia per il futuro degli iscritti era già chiaro». Un appello alla calma arriva invece dall’assessore provinciale all’Urbanistica Pasquale Sommese della Margherita. “sarebbe auspicabile che la Regione e la Provincia cogliessero l’occasione per ottimizzare il lavoro fin qui svolto, collaborando com’è giusto tra amministrazioni amiche”.

Ieri la conferenza dei capigruppo della Provincia ha deciso «fermi i termini di legge per la presentazione (oggi alle 13, ndr), dl consentire ove possibile la discussione delle osservazioni al Ptcp che perverranno entro il 16 dicembre. Anche il Comune di Napoli ha presentato le sue. Si tratta di 27 rilievi, presentati dal Dipartimento autonomo di Pianificazione urbanistica che fa capo all’Assessore Rocco Papa. Il più importante chiede l’abolizione della prevalenza e dell’immediata efficacia del Ptcp sul Piano regolatore generale di recente approvato dal Comune. Perché, secondo la giunta, il Ptcp avrebbe potere solo di indirizzo e non potrebbe sostituirsi al Prg. In un primo momento, la giunta aveva valutato l’ipotesi di ricorrere al Tar. Poi, però, visto che la delibera votata dalla Provincia non avrà validità fino a che la Regione lo avrà ratificato, «ha prevalso un consolidato orientamento giurisprudenziale che avrebbe visto non presentabile un ricorso del genere», spiega l’assessore all’Avvocatura di Palazzo san Giacomo, Roberto De Masi. Stamattina all’Istituto per gli studi filosofici le associazioni Gaia, Italia Nostra e Wwf presenteranno pubblicamente le osservazioni al Ptcp. Saranno presenti anche Lamberti e Moccia. Anche Rifondazione comunista rimarca la necessità di «modificare in modo sostanziale il Ptcp».

La Repubblica, edizione di Napoli, 5 dicembre 2003Politica e potere ma paga sempre il territorioEleonora Bertolotto

Per tutta la mattina, al convegno “Salviamo il territorio di Napoli” prende diligentemente appunti, ascoltando i molti perché della levata di scudi contro il Piano territoriale della Provincia. Poi Francesco Domenico Moccia, assessore, alla sua prima uscita pubblica, si esprime così: «Se nelle aree di qualificazione urbana ricadono zone di pregio, mi impegno a stralciarle. Ma per il resto mi chiedo: dobbiamo identificare ogni spazio aperto come area agricola? Vogliamo imbalsamare il territorio impedendo persino la realizzazione di un parco?».

Una posizione diametralmente opposta, ci si passi la battuta, a quella appena esposta da Vezio De Lucia, condivisa da Pasquale Coppola e persino dalla Coldiretti di Vito Amendolara: «Ciò che resta del verde deve essere perimetrato e tutelato come valore in sé, così come fu fatto per i centri storici. Nell’ultimo cinquantennio, a fronte di una crescita demografica del 25 per cento, l’espansione urbana ha raggiunto il 400 per cento. Quando si saranno isolati i centri storici da un lato e le campagne dall’altro, resterà la periferia, e cioè il terreno su cui fare esercizio di riqualificazione urbana. Estendere la città all’infinito vuoi dire solo estenderne la bruttura». Chiaro che di fronte a uno scenario così delineato, la cautela dell’assessore lascia con l’amaro in bocca gli ambientalisti, che ridono quando dice con un candore non immune dagli equivoci: «Ci sono molti interessi in campo, e si deve far presto. D’altra parte, il Ptcp non è stato concepito in una stanza, si saranno fatte consultazioni, le scelte vengono da qualche parte...».

Tutto il resto, in questa giornata, è Diametro. Ovvero la guerra di successione (alla Provincia) che si combatte sotto mentite spoglie dietro il paravento dell’urbanistica. E la guerra intestina che lacera i Ds e trova nell’urbanistica, o meglio sul metodo di scelta del neoassessore, il pretesto per manifestarsi. Ieri anche la corrente di Socialismo 2000 si è autosospesa dalla segreteria e se anche tutti fanno spallucce («Valgono le qualità dell’uomo, non i club a cui si iscrive”, sostiene Andrea Cozzolino, «E’ una polemica provinciale», lo stesso Moccia), è evidente che il confronto politico nella prossima direzione provinciale sarà lacerante. Peccato. Lo dice Antonio di Gennaro che ha vivisezionato il Ptcp ed è un po’ il padre dello scandalo. Lo dice mostrando le diapositive dei beni in nome dei quali conduce la battaglia: dai nocelleti del Nolano agli oliveti di Massa Lubrense. Peccato che ogni problema concreto muti in fumus, in lotta di spartizione o di potere, nell’insostenibile leggerezza dell’essere in politica.

La Repubblica, edizione di Napoli, 5 dicembre 2003Comune, pronto il ricorso al Tar: “La Provincia è fuorilegge…”Ottavio Lucarelli

Le osservazioni di Palazzo San Giacomo al piano territoriale “Mette a rischio l’ambiente” -

Il ricorso al Tar contro il piano territoriale di coordinamento della Provincia è sulla scrivania del vicesindaco Rocco Papa. Dodici pagine firmate dall’avvocato Giuseppe Tarallo che, in sette punti, raccoglie le ventisette Osservazioni inviate ieri mattina da Palazzo San Giacomo in piazza Matteotti. Doveva essere presentato ieri, poi il Comune ha preferito scegliere in prima battuta la strada delle Osservazioni ma il documento è pronto per partire appena la provincia dovesse respingere le indicazioni del Comune o, peggio ancora, nel caso in cui non riuscisse a sbrogliare la matassa prima delle elezioni di giugno 2004.

Il Comune contro la Provincia a tutela del territorio della città, «a tutela della aree più pregiate — spiega Papa — ma anche della pianificazione urbanistica fin qui approvata nella Sala dei Baroni». Perché quel piano di coordinamento territoriale firmato dall’ex assessore Guido Riano è smontato punto per punto nella delibera votata due sere fa in municipio.

«Un piano—accusa il Comune—che non rispetta le regole, che non risrispetta i piani paesistici, che mette a rischio le oasi di Agnano, il verde di Posillipo, dei Camaldoli. Che addirittura, si scontra con i piani urbanistici di Bagnoli e Coroglio».

Ma il nodo principale contestato dal Comune è contenuto nell’articolo 44 del piano di coordinamento dove, al punto 3, la Provincia afferma che le discipline d’uso del suolo «sono immediatamente efficaci e prevalgono sulle norme dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi comunali». Nel mirino è anche il punto 7 del medesimo articolo: «Con l’entrata in vigore del piano territoriale di coordinamento gli indirizzi e le direttive allegate alla legge regionale 14 del 1982 decadono relativamente ai piani regolatori dei Comuni».

La Provincia, in sostanza, si inserisce in una lacuna normativa in materia urbanistica che la Regione conta di colmare nei prossimi mesi.

Mentre il Comune di Napoli (ma anche il parco del Vesuvio, il Wwf, le sovrintendenze, i costruttori e decine di altre amministrazioni comunali) sceglie la strada delle Osservazioni, in via Santa Lucia si tenta di correre ai ripari.

«La nostra legge regionale — annuncia l’assessore all’urbanistica, il socialista Marco Di Lello —arriverà in aula entro il prossimo mese di gennaio. Daremo il quadro di riferimento in cui muoveranno le Province, cui spettano solo gli indirizzi generali perché le decisioni di gestione dei piani urbanistici restano ai Comuni».

Il Corriere del Mezzogiorno, 5 dicembre 2003De Lucia critica Moccia: posizioni antiquate.Gimmo Cuomo

Un esordio pubblico discreto, prudente. Che però ha finito per deludere gli ambientalisti che, probabilmente, si aspettavano dal neoassessore provinciale al Piano territoriale, Francesco Domenico Moccia, parole più decise contro le aree di riqualificazione urbana individuate nelle osservazioni presentate come il vero punto debole del Ptcp.

Ieri mattina all’Istituto per gli studi filosofici di Napoli si sono confrontate due diverse visioni dell’urbanistica, corrispondenti a scelte di fondo difficilmente conciliabill. Da un lato gli ambientalisti (Italia Nostra, Wwf, Gaia) e Coldiretti, confortati dalle parole di Vezio De Lucia, il padre del Piano regolatore di Napoli. Dall’altro l’approccio pragmatico di Moccia, che ha evitato di rinnegare del tutto l’eredità del predecessore Riano («Sarebbe semplicistico affermare che recepiremo tutti i rilievi che vengono mossi al Ptcp»). Il neoassessore ha infatti spiegato: «Suppongo che le scelte effettuate tengano in qualche modo presente il problema dei diversi livelli di pianificazione esistenti, quello provinciale appunto, ma anche quello comunale, che vanno in qualche modo conciliati in virtù del principio di sussidiarietà». Il nucleo del ragionamento di Moccia è chiarissimo: «Sono disposto — ha assicurato — a sostenere una battaglia per la tutela delle aree agricole di pregio dl rilevante valore paesistico. Ma non so se qualificare tutte le aree aperte, cioè al di fuori dei centri urbani, come aree agricole sia la soluzione migliore. Il mio compito è trovare soluzioni praticabili. Non credo allora che in una zona agricola non si possa realizzare un parco».

Di tutt’altra opinione gli ambientalisti. «Chiediamo — aveva appena ribadito De Lucia— che nel Ptcp venga individuato, perimetrato e isolato tutto lo spazio rurale aperto e che venga attribuito a queste aree valore equivalente ai centri storici. La Provincia ha tutti gli strumenti per farlo. D’altra parte, escludendo i centri storici e le aree agricole, resta una quantità enorme di territorio devastato: questa deve essere l’area sottoposta a riqualificazione. Del resto, solo inibendo l’utilizzo degli spazi agricoli si potranno concentrare risorse e mezzi in favore delle periferie, altrimenti destinate a restare nel degrado». Dopo aver ascoltato Moccia, De Lucia ha aggiunto: «Dire che tra le aree agricole vanno salvaguardate solo quelle con valore paesistico è una posizione antiquata. Spero tuttavia che l’assessore, di fronte alle responsabilità concrete, dimostri capacità di intervento e di governo e soprattutto maggiore chiarezza di idee».

Sulla nomina di Moccia e soprattutto sull’assenza di confronto preventivo, infuriano le polemiche nella Quercia. La gestione unitaria del partito a Napoli è ormai superata. Sulla scia dei Liberal di Libertà Eguale anche Socialismo 2000, che in Campania ha il suo leader nel senatore Massimo Villone, formalizza la frattura. In una lettera indirizzata al segretario provinciale dì Napoli Diego Belliazzi, Flora Di Monda annuncia la decisione di «sospendersi dalla segreteria» e chiede la convocazione di una riunione della direzione «per un confronto politico sulla situazione nazionale e napoletana». «In nessun caso — aggiunge — regole e comportamenti possono consentire al segretario di assumere decisioni importanti con l’apporto di singoli compagni fuori dalle sedi ufficiali del partito». Contro la demonizzazione di Diametro si schiera il consigliere regionale Andrea Cozzolino. «Dobbiamo superare definitivamente l’epoca fascista e stalinista. Si discuta della qualità degli uomini e delle donne, della loro storia e delle competenze e non della loro appartenenza a questa o quella componente di partito. I Ds proprio in questo frangente difficile l’hanno fatto, pur sacrificando una personalità come Riano nell’interesse della coalizione e dei cittadini della provincia di Napoli. Queste discussioni su Diametro mi sembra figlia degli anni Ottanta e di una cultura politica superata». E quando gli viene fatto notare che la scelta di Moccia ha sancito la fine della gestione unitaria del partito, Cozzolino è lapidario: «Se è finita su questo, evviva la fine della gestione unitaria». Questo mentre il segretario nazionale della Quercia Pietro Fassino, nel corso del suo intervento al convegno dei Riformatori per l’Europa organizzato dall’assessore comunale Enrico Cardillo, ricordava agli uomini e alle donne della Quercia «che i Ds sono un partito che discute» ma che «le diversità devono sempre essere ricomposte in un punto di sintesi unitaria».

Il Corriere del Mezzogiorno, 5 dicembre 2003Comune di Napoli, 27 osservazioni al Ptcp: “Mette a rischio anche il Pue di Bagnoli”Paolo Cozzo

Le dodici pagine di ricorso del Comune di Napoli erano già sul tavolo della Giunta; l’avvocato Giuseppe Tarallo, dell’Avvocatura di Palazzo San Giacomo, le aveva già stilate, pronte per essere depositate al Tar. Poi è arrivata la frenata, decisa, per evitare un conflitto istituzionale tra Comune di Napoli, Provincia e, soprattutto, Regione Campania. Oggetto del contendere: il Piano territoriale di coordinamento provinciale, il Ptcp; piano votato dal consiglio provinciale che, se approvato poi dalla Regione, scavalcherebbe il Prg del Comune. Ma soprattutto, bypasserebbe la legge sui Piani paesistici, consentendo, potenzialmente, anche di edificare in zone sotto tutela come Posillipo, Capodimonte, Bagnoli e così via.

In giunta, quindi, c’erano due scuole di pensiero: una che propendeva per il ricorso al Tar, l’altra più soft, che poi ha prevalso, che al ricorso ha preferito la presentazione di alcune osservazioni. Che poi, in sostanza, altro non sono che quei passaggi sul Ptcp che avrebbero costituito il ricorso vero e proprio. Diversamente dal Comune di Napoli, l’Ente Parco del Vesuvio ha invece inoltrato ricorso al Tar. Mentre alla fine della giornata di ieri, sono stati trenta i Comuni ad aver presentato complessivamente 120 osservazioni, di cui ben 27 dal solo Comune di Napoli. Al centro delle polemiche, quindi, le disposizioni finali dell’articolo 44 del Ptcp, secondo il quale le norme sono «immediatamente efficaci e prevalgono su quelle del Prg e dei regolamenti edilizi comunali con l’entrata in vigore del Ptcp, anche senza l’adeguamento dei Prg al Ptcp». E ancora: «Con l’entrata in vigore del Ptcp, gli indirizzi e le direttive allegate alla legge regionale 14/82 decadono relativamente ai Prg dei Comuni della provincia».

Una cosa impensabile per il Comune di Napoli, che nelle osservazioni, fatte recapitare alla presidenza di piazza Matteotti entro mezzogiorno di ieri, prima del termine ultimo, ha preso le distanze dal Ptcp. E in una delle osservazioni depositate, la numero 2, scrive che «l’efficacia del Ptcp inerisce i contenuti che ad esso derivano ai sensi di legge, prevede per la Provincia compiti di programazione e, inoltre, che la Provincia adotti il piano di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio, fermo restando le competenze dei comuni». Insomma, programmazione e indirizzi sì, ma non pianificazione. E’ questo il convincimento della giunta comunale dl Napoli. Che comunque confida in un atteggiamento irremovibile della Regione, che ha l’ultima parola.

Ma il Ptcp «tocca» anche Bagnoli. E qui il Comune fa notare, nell’osservazione numero 13, che l’area dl Coroglio «è in parte classificata nel Ptcp come parchi di attività integrata», e che «per quella zona esiste un Piano urbanistico esecutivo», che ha previsto un parco dl 120 ettari senza alcuna presenza di cemento al suo interno.

La Repubblica, edizione di Napoli, 6 dicembre 2003Nuove accuse alla Provincia “Cemento sul monte Faito” Eleonora Bertolotto

Anche il Comune di Castellammare contesta il piano territoriale dell’area sorrentina. Ad Acerra dimenticato il polo pediatrico.

La bordata più pesante arriva da Castellammare, che ha inviato tredici osservazioni al Piano territoriale di coordinamento, firmate dal sindaco Ersilla Salvato e dall’assessore all’Urbanistica Gennaro Caiazzo. Ma basta scorrerle per trasecolare, perché il Comune è costretto ad opporsi a cose del tipo: ampliamento fino al 30 per cento degli edifici esistenti e realizzazione di alberghi senza alcuna limitazione di volumetrie sul Faito. Scopo, il rilancio turistico. Oppure: sanatoria delle opera abusive anche nelle aree tutelate dal Piano urbanistico territoriale. Altro che battaglia bassoliniana contro il condono. E la vicenda ha anche aspetti paradossali: perché il 24 novembre proprio il consiglio provinciale ha approvato in via definitiva l’adeguamento del Piano regolatore di Castellammare all’ormai famoso Put dell’area sorrentino-amalfitana. Una mano alla tutela e l’altra alla deregulation, insomma, in una sorta di impazzimento che ha come unica giustificazione una superficialità senza misericordia. «Fermatevi: in nome dello sviluppo si cancella l’ambiente», è l’appello del sindaco Salvato. E Caiazzo motiva: «E’ necessaria una rivisitazione della filosofia stessa del piano, perché vi siano riportate le esigenze di tutela del patrimonio naturale e culturale dei nostri territori».

Scaduti i termini per la presentazione (ma saranno valutati e discussi anche i rilievi arrivati entro il 16 dicembre, giorno di convocazione del consiglio provinciale), ora tocca alla commissione Urbanistica presieduta da Giuseppe Zolfo passare al vaglio le richieste di riesame, che al momento superano già abbondantemente il centinaio. Massima trasparenza e collegialità nella procedura, assicura Zolfo: «Lo scopo del nostro lavoro è di sottoporre al consiglio uno strumento che possa essere condiviso da tutte le forze, incontrando, se necessario, i presentatori delle osservazioni, in piena collaborazione con le altre commissioni e aprendo, come previsto dal regolamento, a tutti i consiglieri». Intanto il presidente Amato Lamberti ha convocato per oggi gli stati generali della sua giunta, per la parte che si occupa di governo del territorio — dal neonominato Francesco Domenico Moccia a LucaStamati (Ambiente) a Pasquale Sommese (Urbanistica) a Fulvio Mamone Capria (Parchi) a Gugliemo Allodi (Bilancio) — per decidere una strategia comune, anche in vista di un eventuale tavolo di concertazione con Comune e Regione che, viste le uscite estemporanee dei vari enti, è richiesta da più parti.

Quanto alle osservazioni, ce ne sono di tutti i tipi. A partire da quelle dei comuni come Giugliano (le aveva preannunciate il sindaco Francesco Taglialatela) e Acerra, dove Michelangelo Riemma spiega che «abbiamo dovuto ricorrere perché nel Ptcp sono stati omessi Parco archeologico e Polo pediatrico». Un dossier con 130 emendamenti è stato presentato dall’Associazione costruttori presieduta da Ambrogio Prezioso: «Si tratta di note squisitamente tecniche, ma la contestazione di fondo al Ptcp per com’è stato elaborato è che travalica il suo ruolo: deve essere un documento di indirizzo, non può pretendere di diventare un piano di dettaglio, ruolo che spetta ai Prg dei Comuni». Posizione analoga a quella dell’Unione industriali che, come spiega il direttore Michele Lignola, ha presentato una serie di osservazioni sulla identificazione di aree industriali, in particolare quelle a vocazione provinciale, ma nella sostanza contesta la filosofia verticistica del Piano, «poco rispettoso della programmazione dell’ente di prossimità, prodotta in coerenza con le linee guida dettate dall’alto».

Gaia, Italia nostra, Wwf esprimono il loro dissenso in dieci capitoli, firmati in collaborazione con la Coldiretti per cui, puntualizza il direttore regionale Vito Amendolara, «l’ambiente rappresenta l’emergenza prioritaria: gli imprenditori agricoli sono pronti a scendere in piazza per difendere e salvaguardare il territorio anche, se necessario, ricorrendo ai trattori».

Il Corriere del Mezzogiorno, 6 dicembre 2003Piano della Provincia: gli urbanisti si spaccano su MocciaGimmo Cuomo

Chi ha ragione, il neoassessore provinciale al Piano territoriale di coordinamento, Domenico Moccia, o Vezio De Lucia, il padre del prg di Napoli? Non è questione meramente personale. Ma di merito: nel dibattito sulle modifiche al ptcp si fronteggiano due visioni opposte dell’urbanistica. La massima divergenza di opinioni si registra sulle aree agricole, che, secondo il primo, in certi casi si potrebbero destinare ad interventi di riqualificazione urbana, mentre per De Lucia dovrebbero essere sottoposte a vincoli rigorosissimi. “Per me – osserva Nicola Pagliara, ordinario di progettazione architettonica – ha ragione Moccia perché l’integralismo culturale produrrebbe una politica del territorio del tutto inconsistente. Alcuni spazi verdi se non sono attrezzati non servono assolutamente a niente. Ma, d’altra parte, De Lucia ha ragione su di un punto: in provincia di Napoli si è strafatto. Dunque è soprattutto il territorio già pregiudicato che deve essere riattrezzato. Ma se poi c’è l’esigenza di invadere territori inesplorati – parlo naturalmente di interessi pubblici mirati e non di speculazione privata – si lasci pure fare”. Con Moccia anche l’urbanista Fabrizio Mangoni. “Nelle polemiche di questi giorni sul Ptcp – commenta – c’è tanta strumentalità che nasconde i bisogni reali. In provincia di Napoli c’è una domanda non soddisfatta per i servizi elementari, come le scuole e i giardini, stimabile in 5 o 6mila ettari. Il fabbisogno abitativo è aumentato, perché è aumentato il numero delle famiglie. Per l’esodo dal Vesuvio poi avremo nei prossimi anni una vera e propria città di 100mila abitanti che dovrà pur atterrare da qualche parte, senza contare la domanda di aree industriali. La riforma della Costituzione ha dato nuova centralità ai Comuni: è dunque difficile immaginare vincoli totalizzanti che espropriano la potestà programmatoria di questi ultimi”. Di tutt’altro avviso Pasquale Coppola, ordinario di Geografia economica e politica, che si schiera apertamente con De Lucia. “Oggi – spiega – applichiamo un modello abitativo che ha già consumato troppo spazio verde e troppi suoli agricoli. Per me non si può continuare a consumarne, quindi la categoria della riqualificazione urbana si può applicare solo all’edificato. Anche per allocare chi andrà via dall’area vesuviana, non si può immaginare di utilizzare nuovi suoli nel Giuglianese. Occorre avere la capacità di utilizzare i contenitori esistenti. In Giappone, dove pur si registra grande densità abitativa, quando si deve procedere ad una sistemazione viaria si opera in modo da moltiplicare i livelli: nel sottosuolo la metropolitana, una strada a raso, un’altra sopraelevata.”

Intanto un duro attacco al Piano territoriale adottato dalla provincia arriva dal Comune di Castellammare di Stabia guidato dalla sindaca ds Ersilia Salvato. Nel documento con le osservazioni presentate giovedì si chiede “la sospensione delle procedure di approvazione del piano stesso”.

La Repubblica

Chiediamo scusa per quel piano della Provincia

Gianfranco Nappi, Segretario Ds Campania

Dobbiamo chiedere scusa per la vicenda del Ptcp, il Piano territoriale della Provincia dl Napoli: semplicemente, non doveva accadere. Lasciamo stare le sciocchezze morali su Guido Riano: un professionista serio. Ma parliamo della politica.

Del merito, intanto. Abbiamo incontrato le associazioni ambientaliste per ascoltare. Ne abbiamo il dovere. Così come mi sembra Importantissimo l’orientamento emerso dall’ultima riunione del presidente Lamberti con i suoi assessori. Il merito chiama In causa anche il Consiglio regionale che ha da licenziare al più presto la legge urbanistica per la quale il centrosinistra deve profondere un impegno rinnovato. Tutta la vicenda interroga la politica: c’è una responsabilità che investe tutti dalla quale ripartire non per distribuire torti e ragioni ma per cogliere le Indicazioni per il futuro; Altrettanto sicuro è che non può salire in cattedra una opposizione priva dl idee.

Quali lezioni più generali possiamo trarre?

La prima. I contenuti devono tornare al centro del confronto politico. La produzione di idee non può essere delegata esclusivamente alle espressioni dl governo. Senza, i partiti diventano inessenziali o riducono la loro funzione a lotta per i “postl”, per le visibilità. Mi sorprende dunque la polemica dannosa e lnfondata che Libertà eguale e Socialismo 2000 hanno montato nel confronti del segretario Diego Belilazzi, correttisslmo nel metodo e nel merito. I partiti, a cominciare dal nostro, sappiano farsi avanti sul terreno delle Idee.

La seconda. Occorre rilanciare uno stile nelI’amminlstrare che non si deve mai smarrire: la gestione è uno strumento per realizzare una politica, non è un fine cui piegare ogni contenuto ed ogni merito. Bassolino con la sua longevità di governo riformatore è la dimostrazione di quanto questo principio sia vitale dal punto di vista etico ma anche quanto Io sia per continuare a vincere. Anche di questo dliscuteremo oggi pomeriggio all’Istituto italiano dl studi filosofici con Franco Barbagallo a proposito del suo ultimo lavoro su Enrico Berlinguer.

Vedo qua e là invece affiorare allentamenti, disabltudini a rispondere a qualcuno, che non sia se stessi, del proprio operato; vedo crescere una inclinazione in diversi luoghi ad un uso della responsabilità della gestione, volto solo alla costruzione di consenso: alt. Il più netto e fermo. Dovremo anche tornare a discutere di codici per gli incarichi amministrativi: se un professionista accetta un incarico di governo e di amministrazione non può contemporaneamente averne altri, pubblici o privati, che possano essere anche lontanamente influenzati dal suo incarico di governo; se uno dirige un partito, dirige un partito: non può contemporaneamente gestire enti pubblici o parapubblicl la cui direzione nasca da decisioni e politico-Istituzionali.

La terza. Più forza di governo e, perciò, più forza della società. Venerdì sarò al congresso della Margherita. Sosterrò che occorre avviare rapidamente la costruzione della sinistra unitaria; che occorre farlo senza pregiudiziali; che occorre coinvolgere fin dall’inizio i movimenti, le associazioni, le singole personalità che intendano concorrervi. Oggi spesso si determina un corto circuito tra partiti e società. Noi dobbiamo costruire un circuito virtuoso riaprendo il cantiere dei rinnovamento della politica. Ed è tutto il centrosinlstra che, più unito, deve stare sul terreno dell’innovazione.

La quarta. Abbiamo grandi responsabilità di governo, siamo il nucleo essenziale dl forze cui la maggioranza dei cittadini campani ha affidato da un decennio le sorti di un futuro diverso: questo è il prius della nostra politica. Andiamo ad una tornata amministrativa dl grande valore. Insieme dobbiamo determinare la massima unità e la scelta partecipata del candidati migliori. Di fronte ad appuntamenti così impegnativi, ogni disputa interna di partito deve cedere il passo al lavoro per questi obiettivi: tutto il resto ci allontana dall’esercizio delle nostre responsabilità.

Il Corriere del MezzogiornoGli ambientalisti bocciano Moccia

Vertice ieri mattina sul piano territoriale della Provincia dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste e professionali nella Federazione napoletana dei Democratici di Sinistra.

All’incontro hanno partecipato il segretario regionale dei Ds Gianfranco Nappi, il segretario provinciale Diego Belliazzi, il consigliere regionale Antonio Amato. Le associazioni hanno ancora una volta esposto, come si legge in una nota diffusa dalle stesse associazioni, “la loro ferma contrarietà al piano che, in assenza di alcun disegno strategico, priva di ogni tutela ed anzi sancisce la trasformabilità ad usi non agricoli delle porzioni di maggior pregio della provincia, per complessivi 25.000 ettari”.

Le associazioni ritengono insoddisfacenti le risposte dell’assessore Moccia e chiedono di rivedere il perimetro delle “aree di riqualificazione urbana”.

Il MattinoAmbientalisti, ancora no al piano della ProvinciaIncontro con i Ds

Ieri mattina si è tenuta in via dei Fiorentini una riunione promossa dai Ds con le associazioni ambientaliste e professionali che nelle scorse settimane hanno espresso critiche nei confronti del Ptcp approvato dalla Provincia. Le associazioni hanno ancora una volta esposto i motivi della loro ferma contrarietà al piano.

Il comunicato stampa delle associazioni ambientaliste

Questa mattina si è tenuta in via dei Fiorentini una riunione promossa dai Democratici di sinistra con le associazioni Italia Nostra, Coldiretti e WWF per entrare nel merito delle critiche che queste hanno espresso nelle scorse settimane nei confronti del Piano territoriale di coordinamento (Ptcp) adottato dal Consiglio provinciale.

Erano presenti il segretario regionale Ds Nappi, quello provinciale Belliazzi, l’on. Amato vicepresidente della commissione Urbanistica del Consiglio regionale, il sindaco di Pomigliano d’Arco e consigliere provinciale Michele Caiazzo, il neoassessore provinciale al Ptcp Moccia.

Per le associazioni erano presenti Luigi De Falco (segretario regionale Italia Nostra), Vito Amendolara (direttore Coldiretti Campania), Enzo Russo e Guido Guerrasio (WWF Campania) ed Antonio di Gennaro, consulente delle associazioni.

In apertura dell’incontro le associazioni hanno ancora una volta esposto, su invito dei segretari Nappi e Belliazzi, i motivi della loro ferma contrarietà al piano che, in assenza di alcun disegno strategico, priva di ogni tutela ed anzi sancisce la trasformabilità ad usi non agricoli delle porzioni di maggior pregio del territorio rurale della provincia, per complessivi 25.000 ettari.

Si tratta, giova ripeterlo ancora una volta, dei grandi paesaggi agrari della Penisola sorrentina, Ischia, Capri, Procida, del Vesuvio, dei Campi Flegrei e di estesi settori del Piano Campano.

Le associazioni hanno ribadito come queste aree rappresentino invece la risorsa strategica ed il principale volano dell’economia provinciale, in virtù della eccezionale produttività agronomica, del valore strategico delle produzioni tipiche, nonché dello straordinario valore ambientale e paesaggistico.

Le risposte dell’assessore al Ptcp Moccia ai rilievi mossi delle associazioni sono da queste ritenute nel complesso estremamente insoddisfacenti.

Da un lato, le associazioni hanno registrato la volontà, del resto già espressa nei giorni scorsi dell’assessore Moccia, di riparare alla mancata concertazione con le amministrazioni di settore – soprintendenze, autorità di bacino, enti parco – attraverso l’istituzione di tavoli per la definizione delle intese necessarie affinché nel Ptcp possa realmente realizzarsi la sintesi delle differenti tutele previste dai piani di settore.

Dall’altro, le associazioni giudicano negativamente la mancata disponibilità a rivedere il perimetro delle cosiddette “aree di riqualificazione urbana”, definite espressamente dall’assessore come le aree che il Ptcp assegna alla pianificazione comunale, e la cui ridiscussione metterebbe in gioco l’intero impianto del piano.

Emerge dunque – a parere delle associazioni - la vera natura che il piano assegna a queste aree pregiate, che rappresentano ambiti di completamento urbano esplicitamente contrattati con i comuni.

La mesta conclusione è che il Ptcp, invece di predisporre gli strumenti per frenare l’indiscriminato consumo di suoli fertili (la superficie aziendale agricola si è dimezzata in quarant’anni e la città è quadruplicata, a fronte di un incremento demografico inferiore al 25%), e di circoscrivere gli ambiti di riqualificazione urbana alle aree edificate di bassa qualità, getta le premesse per una nuova fase di espansione urbana, con la perdita di un ulteriore 40% di territorio rurale, a prevalente detrimento proprio dei suoli e dei paesaggi di maggior valore.

Le associazioni ritengono che l’amministrazione provinciale sia già in possesso degli strumenti tecnici e conoscitivi per individuare e tutelare nella sua unitarietà il territorio agricolo provinciale, con il ricorso a meccanismi e dispositivi diffusamente presenti in molte regioni e province italiane.

In conclusione, le associazioni che hanno partecipato all’incontro registrano un non auspicato allontanamento delle posizioni, ciò che induce a pessimistiche previsioni circa la possibilità, nel tempo a disposizione, di migliorare il Ptcp facendone uno strumento realmente idoneo a valorizzare le risorse e le opportunità di sviluppo del territorio napoletano.

Italia Nostra, Coldiretti, WWF

Napoli, 9 dicembre 2003

Una nuova legge regionale

E’ un momento di importanza cruciale per il futuro del territorio della Campania.

L’assessore regionale al territorio Di Lello ha manifestato la volontà di accelerare l’iter di approvazione del disegno di legge urbanistica regionale n.109 (“Norme sul governo del territorio”) [1].

L’obiettivo della legge è quello di definire i rapporti tra i diversi livelli di pianificazione (regionale, provinciale, comunale), superando l’attuale situazione nella quale, in assenza di specifiche procedure d’adozione, i piani territoriali di coordinamento provinciale restano di fatto privi di efficacia.

Il secondo obiettivo dichiarato è quello di favorire la semplificazione normativa e lo snellimento delle procedure: l’assunto di base è che il processo di formazione e adozione dei piani richiede oggi tempi eccessivamente lunghi, ciò che impedisce alle amministrazioni di definire con tempestività e chiarezza le scelte e le norme che regolano l’uso del territorio.

Il disegno di legge lascia alla Regione il compito di definire, con il Piano territoriale regionale, gli indirizzi strategici relativi all’organizzazione territoriale, alla tutela del patrimonio paesistico ed ambientale ed allo sviluppo infrastrutturale.

Un ruolo centrale è assegnato al Piano territoriale provinciale (Ptc) che, tra l’altro, assume valore e portata di piano territoriale paesistico, di piano di bacino e, nelle aree protette, di piano del parco.

Il fatto che nel Ptc si realizzi una sintesi degli strumenti e delle misure di tutela delle risorse ambientali, naturali, storico-culturali e paesaggistiche non può che essere valutato positivamente. Purché, naturalmente, il disegno di legge definisca contestualmente, con la dovuta chiarezza, obiettivi, strumenti e procedure per la predisposizione dei piani, in grado di assicurare un effettivo livello di tutela del patrimonio ambientale, di concerto con le altre autorità competenti (autorità di bacino, enti parco ecc.).

Nulla di tutto questo. Nel disegno di legge non è possibile rintracciare, se non in forma di enunciati generici, nulla che sia operativamente paragonabile ai meccanismi che in altre regioni tutelano effettivamente il territorio rurale ed i paesaggi storici dai dirompenti fenomeni di espansione infrastrutturale ed urbana diffusa [2].

Una maggiore chiarezza circa le regole e le condizioni di trasformabilità dello spazio rurale è tanto più indispensabile in una regione - la Campania - che nell’ultimo mezzo secolo ha distrutto più della metà dei suoli fertili di pianura per dar vita, tra due vulcani attivi ad altissima pericolosità, ad una delle più informi, caotiche e congestionate conurbazioni europee.

Ad ogni modo, le preoccupazioni relative alle attuali insufficienze del testo di legge potrebbero apparire fuori luogo se ci si trovasse dinnanzi all’evidenza che gli scempi passati abbiano avuto definitivamente termine, che i processi patologici di consumo di suolo si siano in qualche modo arrestati.

I dati ISTAT del Censimento generale dell’Agricoltura 2000 mostrano invece come questo non sia affatto vero, come la Campania abbia ancora perso, nel corso dell’ultimo decennio, 100.000 ettari di spazio rurale e naturale, una superficie di poco inferiore all’intera provincia di Napoli [3].

Il dato preoccupante è che metà di questi suoli sono stati persi nelle province di Caserta e Avellino: sull’onda lunga della ricostruzione, lo sprawl, l’espansione urbana diffusa, a bassa densità, dopo aver consumato le pianure costiere, risale ora l’interno, verso le conche e le colline pregiate che sembravano al riparo da simili dinamiche.

Insomma, mentre l’emergenza territoriale è tuttora in corso, spiace dover constatare come l’orientamento culturale che anima il disegno di legge urbanistica appaia, di fatto, ancora quello di considerare il territorio rurale alla stregua di una illimitata riserva di spazio, in grado di soddisfare tutti gli usi possibili - residenziali, produttivi, infrastrutturali -, sulla base di una capacità di carico altrettanto illimitata.

Il piano territoriale regionale

Le preoccupazioni destate dall’impianto della nuova legge si rafforzano ulteriormente quando si passa ad esaminare i contenuti della bozza di Piano territoriale regionale (Ptr, “Linee guida per la pianificazione territoriale regionale”), la cui formazione è condotta contemporaneamente al processo legislativo in corso.

Con riferimento ai temi della tutela dei grandi paesaggi rurali campani, colpisce ad esempio il modo con il quale il Ptr designa le aree che costituiscono di fatto la green belt della grande area metropolitana partenopea, l’agro aversano, quello acerrano e quello nolano, come “sistemi a dominante urbano-industriale”. Alcuni di tali ambiti, pensiamo ad esempio all’agro acerrano, sono stati nell’ultimo cinquantennio quelli meno interessati dai processi incontrollati di urbanizzazione diffusa. Il grande comune agricolo di Acerra, con i suoi 4.500 ettari di fertili orti di pianura, ha registrato nell’ultimo cinquantennio un decremento della superficie agricola del 15%, contro una media provinciale oscillante tra il 40 ed il 50%, conservando per di più il modello insediativo storico di tipo accentrato. In queste aree si produce la rinomata patata acerrana, per la quale Regione Campania ha ottenuto il riconoscimento del marchio europeo di denominazione protetta.

Così come accennato in precedenza il sistema di aree verdi ancora presenti nella cintura della conurbazione napoletana, al di là del mero valore agricolo, rappresenta di fatto la green belt della metropoli, una risorsa strategica da tutelare e valorizzare per le attività rurali, agro-forestali, per la vita all’aria aperta, per la compensazione e la mitigazione degli impatti del sistema urbano.

Come si concilia con tali obiettivi l’etichetta di “sistemi a dominante urbano-industriale”?

Migliore trattamento è riservato all’agro giuglianese, alle pregiate pianure di Pomigliano e Marigliano, e all’Agro Nocerino-Sarnese, ai quali viene almeno riconosciuto il rango di “sistemi a dominante rurale-industriale”, mentre invece, la pianura del Sele, sarebbe a dire l’area agricola economicamente e strutturalmente più forte della Campania, rientra nei “sistemi costieri a dominante paesistico-ambientale-culturale”.

Il piano territoriale di coordinamento provinciale

Le perplessità aumentano ulteriormente esaminando i contenuti del Piano territoriale di coordinamento della provincia di Napoli, presentato di recente [4].

Le indagini specialistiche condotte sul capitale rurale del disastrato territorio partenopeo [5], hanno riconosciuto l’esistenza, nonostante il dissennato consumo di suoli agricoli dell’ultimo cinquantennio, di una rete ecologica e rurale ancora cospicua, la cui definizione e tutela rappresentano un obiettivo arduo ma imprescindibile all’interno di un piano complessivo di riqualificazione urbana ed ambientale. Tutto ciò, tenuto conto del fatto che i dati ISTAT evidenziano, seppur in una situazione di complessivo rallentamento rispetto ai decenni precedenti [6], un tasso di consumo dei suoli nelle aree di pianura tuttora insostenibile con valori, nel periodo 1991-2000, al di sopra del 10%.

Ora, rispetto all’esigenza imprescindibile di tutelare in modo unitario il complesso sistema provinciale di aree verdi, assicurandone il più possibile la connettività e l’integrazione, il Ptc compie invece una impietosa operazione anatomo-chirurgica, enucleando di fatto gli ambiti agricoli provinciali a maggiore integrità (circa 30.000 ettari), e definendoli “aree di interesse primario per la produzione agricola”. Ricadono in questa zona di piano le porzioni meno urbanizzate delle pianure pedemontane flegrea, vesuviana e dei monti Lattari, insieme alla pianura alluvionale dei Regi Lagni.

I restanti 15.000 ettari di territorio rurale di elevatissimo pregio, localmente caratterizzati da una maggiore compenetrazione con la frangia periurbana – ci riferiamo a porzioni rilevanti delle colline flegree, delle aree agricole della penisola sorrentina-amalfitana, dei versanti pedemontani meridionali del Somma-Vesuvio, delle aree pedemontane di Gragnano e della pianura dei fiumi Sebeto e Sarno – vengono definiti come “aree di prevalente riqualificazione urbana”.

Stiamo parlando di aree che contengono i paesaggi agrari storici in assoluto più celebrati a scala europea e mondiale, dagli orti arborati flegrei agli aranceti delle terre murate che circondano la piana di Sorrento.

Sono proprio queste aree, sovente, a svolgere all’interno della rete provinciale di aree verdi, la funzione strategica di corridoi di connessione e di cuscinetti ecologici nei confronti degli ambiti a maggiore naturalità dei rilievi flegrei, del Parco Nazionale del Vesuvio, dei monti Lattari.

Ancora, ricadono in questo ambito alcune aree agricole collinari di valore strategico, come ad esempio lo Scudillo e tratti significativi del Vallone S. Rocco, tutelate dalla Variante di salvaguardia del Prg di Napoli, e destinate a far parte tra breve, con il completamento dell’iter istitutivo, del nuovo Parco regionale delle colline napoletane.

Con un’operazione concettualmente analoga a quella proposta nella bozza di Piano territoriale regionale, l’obiettivo del Ptc sembra purtroppo essere quello di destinare tali ambiti rurali pregiati alla rilocalizzazione di nuove attività e funzioni, nell’intento dichiarato di decomprimere le aree urbane costiere a più elevata densità. La lettura delle norme di zona, infatti, evidenzia l’assenza, al di là delle enunciazioni di prammatica, di qualunque dispositivo effettivamente idoneo alla tutela delle aree rurali in essa presenti, nei confronti di una loro indiscriminata trasformazione urbana.

Una simile prospettiva rappresenterebbe l’atto finale in vista del completo annientamento dell’articolato sistema di risorse rurali della provincia di Napoli.

Su tali basi, sembra difficile che il Ptc della provincia di Napoli possa utilmente operare l’auspicata sintesi delle tutele attualmente contenute nei piani paesistici, nei piani di bacino e nei piani delle aree protette.

Il momento ha una certa gravità: il combinato disposto di una legge inadeguata e di piani di area vasta di discutibile impostazione espongono il capitale naturale delle regione Campania a rischi sino ad ora inimmaginabili.

Il disegno di legge urbanistica regionale non può essere approvato nella sua attuale stesura.

Se non si riuscirà, con uno sforzo adeguato, a conseguire un sostanziale miglioramento degli strumenti legislativi ed urbanistici in fase di formazione, tanto vale allora restare nella situazione attuale, meglio confidare sulle tutele assicurate dalle leggi nazionali vigenti, senza sforzarsi di anticipare inutilmente gli esiti cui certamente giungerà comunque il nuovo testo unico in materia ambientale predisposto, in stanze ahimè troppo lontane da quelle parlamentari, dal comitato di esperti del ministro Matteoli.

[1]Il testo del disegno di legge urbanistica e le Linee guida sul governo del territorio possono essere scaricati all’indirizzo:http://www.regione.campania.it/territorio/index16.htm

[2]Scano L. (2002). Riflessioni sulla disciplina del territorio non urbanizzato. In: A. di Gennaro (a cura di ) “I sistemi di terre della Campania”, Firenze

[3]Vedi il commento sui dati del Censimento generale dell’Agricoltura 2000 consultabile all’interno di questo sito

[4]Gli elaborati del Ptc della provincia di Napoli sono scaricabili all’indirizzo http://www.sit.provincia.napoli.it/

[5]di Gennaro A. e Terribile F. (1999). I suoli della provincia di Napoli, Firenze, insieme agli interventi di Miriana Pezzullo e Giovanni Dispoto, sempre nel medesimo volume.

[6]La superficie agricola totale della provincia di Napoli è diminuita, secondo il Censimento generale dell’Agricoltura ISTAT, solo del 6% nel periodo 1991-2000.

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