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Savona, via libera alla svolta Fuksas ma la sinistra radical resta sulle barricate

Luciano Angelini

Fuksas va. Ore 18,38: con 23 sì e 17 voti contrari il parlamentino savonese dà il via libera al progetto, o meglio all´idea progettuale, perché di questo si tratta per ora, al porto turistico della Margonara con torre alta 123 metri, 700 posti barca, parcheggi, annessi e connessi. Ora quello che viene definito l´atto di indirizzo, sette paginette scarse con la storia della "voglia di porto turistico", come l´ha definita qualcuno, dalle origini (1998) ai giorni nostri, passa all´esame della Conferenza di servizi, presieduta da Rino Canavese, per poi tornare, con il progetto preliminare, quello vero con tutte le specifiche necessarie, a Palazzo Sisto IV per l´esame delle commissioni e il definitivo parere del consiglio comunale.

Tutto secondo copione. Si sapeva fin dall´inizio che non ci sarebbe stata partita. Il sindaco Berruti aveva messo in conto che non avrebbe potuto contare sui tre voti degli alleati di Rifondazione comunista, ma recuperato quello dei Comunisti italiani e soprattutto quelli di alcuni riottosi della Margherita, ammansiti con incarichi più o meno significativi, si è presentato con fiero cipiglio all´esame del Consiglio. Il passo più delicato, anche se non il più insidioso, dei suoi primi dieci mesi di governo. Né poteva smuoverlo dalle certezze acquisite, anche se a fine seduta ha confidato di «aver preso in seria considerazione anche l´ipotesi del no», la petizione con tremila firme che una delegazione dei Verdi gli ha consegnato pochi minuti prima della riunione. Lo slogan "riqualificare non vuol dire cementificare" non poteva scuoterlo più di tanto. La strada era ormai tracciata e la maggioranza di centrosinistra aveva messo in conto di prendere un paio di simbolici schiaffoni dagli alleati di Rifondazione. E Milvia Pastorino non li ha lesinati. Parole pesanti come pietre, le sue. «Fuksas è l´ultimo capitolo di urbanistica contrattata in una città ridotta a mercato». E ancora: «Il distacco dai cittadini è grande, siamo di fronte ad una crisi della politica, al predominio del potere economico». Ultimi fuochi anche da Patrizia Turchi (A sinistra per Savona), che ha presentato un suo ordine del giorno (34 no, 5 astenuti, un sì, il suo. «A Savona è chiaro come ci siano soggetti che hanno in mano buona parte delle sorti della città e che ricoprono incarichi nei centri nevralgici. L´atto di indirizzo che andate ad approvare altro non è che il certificato con il quale il Comune di Savona si presenterà al tavolo della Conferenza di servizi e dell´Autorità Portuale per dire "ho in tasca l´approvazione". E´ il via libera ad un altro assalto, forte, pesante del cemento. Non c´è scelta politica, si lascia mano libera ai privati».

L´opposizione ha fatto l´ammoina. Pur favorevolissima al progetto ha presentato un proprio ordine del giorno (12 sì, 27 no, un astenuto). Originale e rivelatrice la proposta di Vincenzo Delfino, il candidato sindaco bocciato dalle urne. «Visto che maggioranza e opposizione vogliono la stessa cosa, perché non votarla insieme?». Non se ne è fatto nulla, ovviamente. Ma, a sorpresa, il consigliere Baiardo, proprio della Lista Delfino, è uscito dal coro e ha votato contro.

L´atto di indirizzo che spiana la strada a Fuksas contiene la foglia di fico di sette prescrizioni, tra cui l´inserimento nell´ambito di un´idea progettuale del fronte mare dal Priamar ad Albissola Marina, la progettazione di una passeggiata pedonale e ciclabile dalla Torretta ad Albissola, funzioni insediative per la fruizione pubblica con ristoranti, bar, spazi congressistici, la soluzione dei problemi della viabilità, un piano economico-industriale ed un dettagliato piano industriale, criteri che minimizzano l´impatto e la sostenibilità ambientale, soluzioni per la nautica sociale, la salvaguardia dello scoglio della Madonnetta e lo sviluppo degli sport del mare.

Berruti ha respinto al mittente critiche, diffidenze e sospetti. «Siamo arrivati al voto dopo un dibattito che ha coinvolto tutta la città, categorie economiche, enti, associazioni, ordini professionali. Una cosa deve essere chiara, non avalliamo scelte fatte da altri. A chi dice che faremo una cosa per i ricchi, rispondo, facendo mia una frase di Olaf Palme, che non dobbiamo combattere la ricchezza ma la povertà. Certo c´è un prezzo da pagare, ma alle nostre condizioni penso che questo progetto di sviluppo darà benefici superiori ai costi, garantirà alla città una nuova vocazione per evitare la deriva del declino». Fuksas, e così sia, insomma.

Albaro, torre di cemento nel verde

Donatella Alfonso

Nel rush di fine mandato del cemento, spunta un´altra torre. Non proprio un grattacielo, ma sette piani più l´attico in via Bosio, un angolo nascosto di Albaro dove il massimo dell´altezza dei fabbricati è di quattro piani, si notano eccome: e mentre tra gli albarini circolano i mugugni, la circoscrizione Medio Levante - unica a guida del centrodestra - si compatta con l´opposizione di centrosinistra che ovunque in città è maggioranza e tutti dicono senza mezzi termini: tutto quello che non è ancora stato deciso, rimandatelo alla prossima giunta, per favore. Mentre nelle ultime sedute consiliari (3, 5 e 11 aprile) si affollano le pratiche urbanistiche da approvare, a partire dalla trasformazione del mercato di corso Sardegna (39 appartamenti, una residenza universitaria, 393 box e quasi 800 parcheggi legati alle attività per i giovani, due asili, gli uffici pubblici, sulla base di un project financing presentato dall´impresa Rizzani-De Eccher), oltre alle palazzine di via Liri e al residence nell´ex convento dei cappuccini di via Nullo. E lunedì una seduta di commissione urbanistica sarà interamente dedicata al parcheggio fai-da-te di Villa Rosa a Pegli, fieramente avversato dalla gente, in particolare dai genitori di 500 scolari delle due scuole ospitate nel parco. Al punto di scrivere una lettera aperta a tutti i consiglieri comunali perché trovino una strada per impedire i lavori: visto che, sotto il profilo delle autorizzazioni, la pratica non dovrebbe passare attraverso il consiglio comunale, ma essere autorizzata soltanto dagli uffici.

La stessa strada seguita dal progetto di via Bosio, peraltro: come tutte le pratiche dell´edilizia privata. Al punto che Bruno Gabrielli, assessore all´Urbanistica, resta trasecolato: «Un palazzo di sette, otto piani in quella zona? Impensabile. E´ vero che si tratta di un trasferimento di volumi rispetto ad altri abbattuti in altre zone della città; ma noi abbiamo dato un coefficiente massimo di ricostruzione di 1, cioè tanto quanto è stato abbattuto altrove; che in realtà abbiamo già dimezzato. Anche se la delibera relativa, a dir la verità, andrà in Consiglio solo martedì....». Il progetto firmato dagli architetti Grattarola e Bandini su un´area in abbandono di proprietà dell´Istituto Buon Pastore a cui è adiacente, impegna 1680 metri quadrati tra le vie Pirandello e Bosio, sulla collina di Albaro di fronte al mare. Lì intorno, a parte il complesso storico del Buon Pastore ci sono costruzioni degli anni Sessanta e Settanta, magari con il giardino al piano. Ecco perché si è pensato ad un blocco "contemporaneo" con attente finiture esterne (vetro e cotto), dice lo studio organico d´insieme; mentre il progetto è redatto "in conformità al Puc" che prevede nella zona un utilizzo esclusivamente residenziale.

Però. Però quello che si presenta nei disegni è una sorta di "fungo" «che da quelle parti non c´entra proprio niente», come sottolinea pasquale Ottonello, presidente del Medio Levante che segnala l´assoluta compattezza di destra e sinistra nel dire: pensateci meglio, e rimandate il tutto. Diciannove appartamenti, sette piani fuori terra, piano attico e tre piani interrati di parcheggio, uno dei quali pubblico; logge e giardini sopraelevati, collegati da "ponticelli" agli alloggi del primo e del secondo piano. Il tutto nel verde; e preoccupandosi dell´impatto. Perché, si legge nella relazione, «pur in assenza di aspetti meritevoli di tutela è necessario che l´impatto visivo salvaguardi le visuali panoramiche degli edifici limitrofi», mentre «le interferenze del volume di progetto con le visuali panoramiche circostanti risultano relativamente mitigate, nonostante le dimensioni plano-altimetriche sensibili del fabbricato proposto».

E in questa smania di torri di fine mandato, che fine hanno fatto le altre? "Segate" tutte dopo le proteste; e alla prossima giunta le decisioni. Tramontata la torre nell´area Boero di Molassana, slitta il parere amministrativo sui 300 appartamenti previsti nella zona. Così l´altra torre nel mirino delle proteste, quella nell´ex Verrina a Voltri: «Anche questa verrà "spalmata" sull´area, costruendo più edifici di minor impatto - risponde Bruno Gabrielli, assessore all´urbanistica - ma i tempi tecnici per ripresentare il progetto sono troppo lunghi».

Oltre a essere incredibile in sé, la vicenda di Casalnuovo sembra esserlo anche per la reazione piuttosto tiepida che ha suscitato al livello politico e istituzionale. È vero che lo scempio è stato bloccato e che sono in corso le indagini della magistratura, ma resta l'impressione che per la classe dirigente campana questo disastro edilizio costituisca né più né meno che uno dei tanti incidenti politico amministrativi di cui è piena la storia di questa regione e su cui non varrebbe la pena scaldarsi troppo. Sicuramente in qualunque altra parte del paese — a eccezione naturalmente delle altre regioni meridionali, dove purtroppo storie come questa sono frequenti — l'edificazione abusiva di 71 edifici in una piccola cittadina avrebbe scatenato un terremoto politico e istituzionale, con il commissariamento de l comune, l'espulsione del sindaco dal partito di appartenenza, la dura condanna dei vertici delle istituzioni locali e avvisi di garanzia per tutti coloro che direttamente o indirettamente avrebbero partecipato al succoso banchetto. Qui invece non è accaduto nulla del genere, salvo modesti e cauti commenti di circostanza da parte di qualche leader politico locale.

Come se si fosse trattato di una villetta tirata su abusivamente in qualche amena località balneare.

Insomma, ciò che colpisce in questa assurda storia è la sproporzione tra la gravità del fatto e la tiepida reazione del mondo politico che, in fondo, della questione non sembra essere né sorpreso né indignato. E non è da escludere che questo clima politico di prudente valutazione preluda a qualche soluzione accomodante, grazie alla quale la storia potrebbe finire per chiudersi senza colpe né colpevoli.

L'assessore all'Urbanistica della Provincia di Napoli, Francesco Moccia, osservava qualche giorno fa su questo giornale come, ad esempio, la « accu rata drammatizzazione » in atto del problema degli incauti acquirenti degli appartamenti incriminati, rischi di aprire « l'autostrada delle intese, delle sanatorie, delle varianti e di tutti quegli espedienti che mettono una toppa al mal fatto » .

Come si spiega questa tiepida reazione? Si spiega col fatto che fenomeni come questo di Casalnuovo non rappresentano una novità per la Campania. Sono decenni, infatti, che la grande periferia napoletana è devastata da un abusivismo edilizio che forse non ha precedenti nella storia del nostro paese, e sono decenni che il mondo politico vi assiste più o meno passivamente. E sono sempre decenni che storie assurde come questa vedono coinvolti amministratori locali « distratti » , forze dell'ordine sonnolente e presenza di capitali d'ignota provenienza, il tutto in un micidiale scambio in cui si rinuncia alla legalità in cambio di voti. D'altronde i dati di Legambiente parlano chiaro: in Campania 61 mila casi di abusivismo nell'ultimo decennio, per un valore di 4,5 miliardi di euro. Perché mai, allora, dovrebbe indignarsi la nostra classe dirigente, visto anche che in vent'anni non ha mosso un dito per arginare questo disastro? « Ci sono in questa storia » , ha osservato Fabrizio Geremicca su questo giornale, « tutti gli ingredienti della cemento connection: omertà, collusioni e interessi della criminalità organizzata » .

E ciò spiegherebbe anche come un sindaco regolarmente eletto dai suoi cittadini possa avere la sfrontatezza di dire che della faccenda lui era del tutto all'oscuro. Dal suo punto di vista il maxi abuso è questione che riguarda strettamente i meccanismi clientelari e spesso illegali di cui vive la politica. Non sarebbe, quindi, una questione che riguarda i cittadini, ai quali perciò si può dare qualunque insensata, grottesca e provocatoria spiegazione.

Radiografia degli abusi in città il record tra Pianura e Soccavo

Roberto Fuccillo – la Repubblica, ed. Napoli, 2 marzo 2007

Oltre 1300 pratiche, quasi 200 mila metri cubi, per un valore di circa 350 milioni. Eccolo qui il fatturato dell´abusivismo a Napoli, per il solo 2006. Fotografato dall´osservatorio apposito del Comune e rielaborato, in alcune sue parti, da uno studio effettuato dal gruppo consiliare di An, che ne ha presentato ieri le risultanze. L´infestazione colpisce ovunque. Il record è a Pianura-Soccavo, con quasi 70 mila metri cubi nuovi. Segue la periferia nord di Piscinola, Chiaiano e Marianella, con oltre 45 mila metri cubi. Sono anche le aree di elezione della speculazione: qui è infatti altissimo sia il rapporto fra superficie e numeri di interventi (circa 150 metri quadrati a operazione) sia il rapporto fra cubature e superfici.

Insomma è qui che si costruisce massicciamente, mentre altrove si possono trovare spazi meno estesi e cubature inferiori, per un quadro più compatibile anche con l´abusivismo minore della piccola soprelevazione o della copertura della veranda. Colpisce però che persino nel centro della città, la Municipalità I, si registrino 5000 metri cubi illegali.

«Spuntano manufatti come funghi anche all´Arenella o a Posillipo, a via Manzoni e a Marechiaro», spiega Andrea Santoro. Un mercato lucroso assai. Pietro Diodato ha calcolato che il valore a prezzo di mercato di questi manufatti si aggira sui 350 milioni. Il record è dalle parti di Miano-Secondigliano, con 80 milioni. Seguono i 75 di Pianura-Soccavo e i 50 di Barra-Ponticelli e di Chiaiano-Piscinola. Situazione grave, che spinge An a censurare anche l´operato dell´amministrazione. Dice Diodato: le pratiche accumulate con il condono, ancora in attesa di risoluzione, indicano che dal ‘94 al 2003 si sono avuti circa mille abusi l´anno. I 1318 registrati nel 2006 sono un peggioramento».

Un flagello contro cui si combatte con armi spezzate. «Gli abbattimenti si contano sulla punta delle dita - dice Luciano Schifone - e poi si tollera troppo che le opere arrivino allo stadio finale, bisognerebbe intervenire prima, quando si vedono gli sbancamenti o le prime fondamenta». Poi c´è anche le beffa, perché gran parte degli abbattimenti vengono fatti in danno, o meglio a spese del Comune salvo incerta rivalsa a posteriori. An si chiede anche se non sarebbe un miglior deterrente l´acquisizione al patrimonio pubblico dell´immobile piuttosto dell´abbattimento. Ma Diodato apre anche un altro vaso di Pandora: «Pendono oltre 2300 ordinanze di ripristino dello stato precedente dei luoghi, e ne sono state eseguite solo 13». Insomma la repressione non funziona, e Diodato chiede inquieto: «Perché i sigilli vengono violati dopo la scadenza del termine per lo sgombero? Chi controlla le violazioni? Quanto tempo passa fra le segnalazioni dei cittadini e i controlli? C´è davvero la sensazione che le imprese, sempre le stesse, godano anche di coperture e siano forti di una dettagliata conoscenza degli ingranaggi del meccanismo di controllo del Comune».

Ecco il trucco di Casalnuovo

Daniela D’Antonio – la Repubblica, ed. Napoli, 2 marzo 2007

Oggi il gip della Procura di Nola ascolterà il costruttore Domenico Pelliccia e il suo tecnico di fiducia Giovanni Raduazzo, i primi due arrestati per lo scempio urbanistico di Casalnuovo. Sono accusati di truffa aggravata, reati urbanistici e falso in atto pubblico. Aspettando i risultati dell´interrogatorio, nella cittadina sono aperte le scommesse su quale sarà il prossimo palazzo abusivo. E in molti puntano su un indirizzo: via Zicarlo, alle spalle della scuola elementare "Viviani", vicino alle giostre e alla caserma dei carabinieri. Lì sorge una grande baracca di lamiera che, si vocifera in paese, nasconderebbe addirittura delle fondamenta degne di un palazzo di cinque piani. Voci, non c´è dubbio, ma la baracca c´è ed è su suolo agricolo. Una piccola (e tipica) storia di Casalnuovo per raccontare uno dei trucchetti più amati dagli speculatori. Un metodo semplice: dalla sera alla mattina sorge una anonima baracca. Ciò che conta, almeno nella prima fase, è il perimetro giacché i proprietari con grande premura si preoccupano si commissionare un rilievo aereo da allegare a una eventuale richiesta di sanatoria. Una immagine dove difficilmente si potrà stabilire l´altezza della costruzione mentre saranno evidenti le misure del perimetro. La baracca alta quattro o cinque metri, così, come per miracolo, a tempo debito si trasformerà in un palazzo alto trenta metri.

L´altro trucco molto in voga è quello del cambio di destinazione d´uso: nelle maglie del piano regolatore si trovano spazi "d´oro" a disposizione di chi vuole costruire. Centinaia di uffici, così, diventano "civili abitazioni" grazie a un generoso cambio di destinazione. Possibile che sia questo il motivo per cui vicino al cinema Megamagic stanno costruendo migliaia di metri quadrati per ospitare una serie di "ostelli della gioventù"? Al momento i lavori sono fermi per problemi burocratici. Ma, giurano in paese, riprenderanno presto. Appena si saranno calmate le acque.

Provincia, allarme degli esperti: nei cd le foto delle opere illegali

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 20 febbraio 2007

«I cd contenenti le mappe? Sono a disposizione gratuita da più di due anni, ma finora solo alcuni fra i sindaci della provincia di Napoli hanno sentito il bisogno di consultarli. Eppure, è proprio guardando le immagini satellitari contenute nei cd che è possibile rendersi conto di quali e quante costruzioni abusive esistano sui territori di propria competenza». Rocco Mari e Vincenzo Guerra sono il responsabile e l’ex responsabile del Sit, il «sistema informativo territoriale», un progetto che, coordinato dall’assessore all’Urbanistica Moccia, la Provincia di Napoli presieduta da Dino Di Palma da anni cura tramite una convenzione stipulata con Telespazio. Nella regione più martoriata d’Italia, qui dove l’abusivismo genera devastazione, morti e rovine, da anni i «primi cittadini» - grazie al progetto Sit - hanno la possibilità di avere sotto gli occhi lo scenario dettagliato e concreto degli illeciti perpetrati in loco. Foto scattate dal satellite. Aggiornate e raffrontate nel tempo. Perciò, precise. Illuminanti. Inequivocabili. E invece? E invece, niente. O quasi. La maggior parte dei sindaci, sebbene più volte sollecitata dall’Ente locale, non solo non si affretta a dotarsene per imbastire una strategia di interventi, ma non si reca nemmeno a visionarle per curiosità. Per poi magari stra-giurare, come spesso avviene quando si scoperchia un grande abuso, di «non averne mai saputo nulla». Un’omissione allarmante, questa dei sindaci. Che sembra dirla lunga sulla reale volontà di combattere, nell’hinterland napoletano, l’orrenda piaga delle case fuorilegge. «Tenga presente - ammettono Mari e Guerra - che la consultazione delle immagini presuppone la conoscenza di tecniche non elementari, di cui alcuni uffici tecnici sono sprovvisti. È anche vero, però, che il Formez svolge ottimi corsi di aggiornamento». Al quinto piano di via don Bosco, grandi monitor per visionare le mappe. Raccontano Mari e Guerra: «Oggi spesso ci convocano come testimoni nei processi su opere abusive. Tutto iniziò cinque anni fa con un progetto commissionato dal Comune di Acerra. Lo scopo era soprattutto di natura fiscale. Poi, abbiamo lavorato con la procura di Torre Annunziata. E con la procura di Nola, che alla fine ha scoperchiato il bubbone dei rioni fuorilegge di Casalnuovo». Sì, ma come si lavora? Qual è il metodo? La risposta: «Sovrapponiamo immagini scattate dall’alto in epoche diverse e raffrontate con le cartografie e le carte catastali di cui abbiamo disponibilità». Aggiunge Guerra: «Il punto di partenza più efficace è una foto storica del luogo. Avuta quella, e se essa è un’immagine nitida, gran parte del lavoro è fatto. Ma attenzione: non sempre quel che appare nella foto corrisponde al vero. A volte, per esempio, i dati catastali sono aggiornati anagraficamente ma non graficamente. O viceversa. Prima di sentenziare che trattasi di abuso, perciò, e per evitare errori bisogna attuare tutte le verifiche più accurate». Non solo. Perché i risultati siano blindati, bisogna - anche e il più possibile - tenere aggiornate le immagini. Perché la realtà cambia. E quella dell’abusivo non è mai uguale a se stessa. Raccontano Mari e Guerra: «Affinché il satellite fotografi il territorio provinciale occorrono quindici giorni. Senza nuvole che oscurino la vista. È un lavoro delicato. Da mesi l’ufficio sta lavorando a una orto-foto a colori, scala uno a cinquemila, cioè a una immagine ad altissima risoluzione scattata dall’aereo ma molto più dettagliata di quelle satellitari. Per intenderci, si vedono i camion a grandezza di macchinine giocattolo. È un lavoro di aggiornamento esteso a tutta la Campania, commissionato dalla Regione. Sarà pronto entro cinque mesi: in questi giorni si stanno collaudando le immagini del Salernitano». Trattasi di un lavoro complesso, operativamente realizzato in tandem da due società specializzate, la Rpa di Bologna e la Stereocarto spagnola. I caratteri? Gli esperti assicurano: «Dall’alto, si giunge a mettere a fuoco perfino una baracca di tre metri per tre». Perciò: abusivi, tremate. Siete finalmente sotto tiro. Sempre che i sindaci si decidano a consultare le mappe. La mappa aggiornata, appunto, ci fa sapere che dal 1988, nella provincia di Napoli (4 milioni di anime su un territorio pari a un decimo di quello campano), l’incremento edificatorio risulta pari al 35 per cento. Le concessioni edilizie - nello stesso lasso di tempo - non hanno superato il 5 per cento o giù di lì. Indovinate, dunque, quanti sono stati gli abusi. (1 - continua)

Così 45mila vani illegali hanno ferito il Vesuvio

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 21 febbraio 2007

Nola. Una procura efficiente, che amministra 33 Comuni. Un presidio ben guidato. E animato da quindici bravi magistrati. Che però, per colpa della carenza di mezzi, da novembre non riescono a registrare tutte le notizie di reato. L’arretrato segna quota ottomila. 45mila le «notizie» ricevute nel 2005. 40.249 l’anno scorso. Di queste, 3.344 riguardano verbali di sequestro. Cioè, illeciti edilizi. Che hanno priorità assoluta. «Il condono? Un disastro. Ha moltiplicato gli abusi, ha scatenato la corsa a far risultare le opere antecedenti al 31 marzo 2003». Francesca Servillo, giovane pm da sei anni e mezzo alla sezione «Tutela del territorio» voluta dal procuratore capo di Nola Adolfo Izzo, usa parole severe contro la sanatoria e le tentazioni che essa suscita nel mondo del cemento illegale. Cinque magistrati. Un impegno totale. E davanti agli occhi, lo scenario angoscioso di un territorio che da Marigliano e Pomigliano, da Volla a Casalnuovo passando per Acerra si estende fino alla dilaniata area vesuviana, dove ai rischi del vulcano da anni si accavallano criminali ondate di cemento che non lasciano scampo a eventuali fughe da eruzione. Qualche anno fa, il procuratore generale della corte di appello di Napoli Galgano ha detto: «Per erigere un edificio di media grandezza c’è bisogno di circa 288 ore di lavoro. Cioè 12 giorni, lavorando 24 ore su 24. Esistono ditte fantasma con manodopera a cottimo specializzate in questo genere di fatica. Sono veloci, efficienti. Per sgominarle, ci vorrebbe un controllo anche notturno». E l’associazione «Cigno verde» denuncia: «200 chilometri quadrati, 600mila abitanti. Nei diciotto Comuni dell’area vesuviana si concentra il top dell’abusvisimo nel Sud d’Italia. Si contano 45mila vani illegali, 50mila richieste di condono. E solo 4mila risultano le ordinanze di abbattimento». Frasche frondose, fogli di lamiera. Se occorre, tende a fasce verticali bianche e blu come quelle da giardino: mille i trucchi usati per occultare un’opera abusiva in fase di realizzazione. Lo scorso anno, nell’area del parco Vesuvio, la procura di Nola ha accertato centinaia di abusi. La «classifica» vede al primo posto Marigliano con 83 casi. Seguono San Giuseppe Vesuviano, Acerra, Somma Vesuviana. E Terzigno. E Ottaviano. All’ultimo posto c’è Liveri. Racconta un vigile urbano: «L’abusivo vesuviano non ha scrupoli. Mai. Né limiti. Costruisce ovunque, perfino a ridosso dei luoghi di culto. Lo dimostra l’orrendo balcone realizzato qualche anno fa a ridosso della chiesa di santa Caterina a Marigliano, gioiellino del 700 in località Lausdomini». Già, ma come fanno? E perché l’abusivo se la cava quasi sempre? Il pm Servillo spiega: «Gli uffici tecnici comunali si accontentano della Dia, la dichiarazione di inizio lavori, e non pretendono certificazioni più accurate, comprese le fotografie comparate dei luoghi, che per legge sono obbligatorie. Pigrizia, compiacenza, ignoranza: a monte c’è un po’ di tutto». E Maria Cristina Amoroso, anche lei pm della sezione «Tutela del territorio»: «Incrociamo tanti tipi di abuso. C’è chi non possiede alcun titolo, chi realizza altro rispetto a quanto dichiarato, chi costruisce in difformità rispetto alla licenza, chi dà luogo a volumi tecnici che tecnici non sono: parlo dei famosi sottotetti di Marigliano, per esempio, trasformati furbescamente in mansarde abitate. A migliaia». Scoprire i furbacchioni è difficile. Perché loro sono abili. E possiedono mezzi in abbondanza. Ma impedire che - una volta scoperti - gli abusi continuino grazie alla sistematica violazione dei sigilli, appare spesso ancora più complicato. Racconta il procuratore capo, Adolfo Izzo: «Ho chiesto da tempo nuclei interforze per intervenire tempestivamente contro chi viola i sigilli. I sindaci però non mi rispondono. E mi chiedo: a che serve il patto di legalità se permangono così gravi silenzi?». E il pm Servillo: «Scoperto l’abuso, noi chiediamo al gip il sequestro dell’immobile. E deleghiamo la polizia affinché provveda allo sgombero. I proprietari, a questo punto, ci presentano istanza di condono. Noi manteniamo lo sgombero. Allora spunta un certificato medico: c’è in casa una donna anziana. E malata. Noi resistiamo ancora. E non sospendiamo lo sgombero. Nominiamo un consulente, affinché effettui la perizia. Ma se nel frattempo, come spesso accade, arriva il condono da parte del Comune non possiamo che arrenderci». Dice Valeria Sico, anche lei pm a Nola: «La gente qui fa fatica a ritenere un reato l’abuso edilizio. Pensa che sulla propria terra possa fare ciò che vuole. La violazione dei sigilli prevede al massimo otto mesi (che nessuno sconta). Entro due anni la pena viene sospesa. L’abuso è un reato che va in prescrizione nel giro di quattro anni. Per essere condannati, tutti i gradi di giudizio dovrebbero esaurirsi in quel lasso di tempo. Ci si sente impuniti. Perciò in pochi accettano di abbattere». E il pm Servillo: «Se riuscissimo a ottenere subito l’abbattimento sarebbe già molto meglio. Da qualche settimana, alla fine dell’iter e di fronte a un mancato abbattimento, disponiamo che l’immobile venga restituito non più al proprietario ma al Comune, che lo acquisisce. È una novità interessante. vedremo che cosa accadrà». (2 – continua)

Melito, parco fantasma nove palazzi sequestrati

Gigi Di Fiore – Il Mattino, 22 febbraio 2007

Melito. Il via vai al supermercato «Deco» fa a cazzotti con il deserto spettrale di venti metri dopo. «Vietato l’accesso ai non addetti ai lavori», dice il cartello all’ingresso di un’area fantasma. È il «parco Guerra», da quasi due mesi sotto sequestro. Un insieme di nove palazzine di due piani, per un totale di 460 appartamenti. Tre palazzine sono ancora in costruzione, una ha addirittura solo i pilastri e i piani appena realizzati. «Tutto abusivo», sostiene la sezione ecologia e ambiente della Procura di Napoli. A novembre, il pm Cristina Ribera firmò il suo decreto di sequestro preventivo. Su quell’atto, in un mese e mezzo si sono espressi due giudici terzi: il gip Alberto Vecchione e pochi giorni fa la dodicesima sezione penale del Tribunale. Tutto confermato. Case e manufatti restano vuoti, con segni di un cantiere ancora aperto da una parte, erba alta e qualche sintomo di vita passata, come gli aeratori dell’aria condizionata. «Il parco Guerra? Non c’è nessuno. In questo tratto di viale Europa, c’è solo la pizzeria ’a Bizzoca», dice un signore fermo al largo «cinque vie». In totale, 460 unità immobiliari, realizzate dall’impresa «Progetto casa 2000 spa» dei fratelli Guerra di Mugnano. Dagli imprenditori, una sola cauta risposta: «Per ora non diciamo nulla, siamo convinti di avere tutti gli atti in regola. Siamo certi che riusciremo a dimostrare la nostra correttezza al processo». I difensori annunciato un rito abbreviato e sollecitano il rinvio a giudizio. Nelle foto aeree, riprese dal comando della guardia di finanza del gruppo di Giugliano guidato dal maggiore Geremia Guercia, colpisce l’ampiezza del parco. L’ingegnere Giulio Dolcetti, consulente della Procura, ha sottolineato una «illegittima lottizzazione approvata dalla Giunta e non dal Consiglio comunale, senza trasmissione dei progetti ai preposti organi di controllo». E poi, ha aggiunto: «Le concessioni edilizie erano state rilasciate per opifici industriali, secondo il piano di lottizzazione. In realtà, in contrasto con gli strumenti urbanistici del Comune di Melito, l’area è stata trasformata di fatto in zona residenziale». Tutte le palazzine sono di due piani. Secondo il consulente del pm, l’attuazione del piano regolatore prevedeva immobili di un solo piano a destinazione artigianale e commerciale. Solo in una palazzina si era aperta un’attività artigianale: il panificio «Abbondante», che ha dovuto chiudere i battenti a dicembre, con tutti gli ingombranti macchinari. Sloggiato, per il sequestro. Insieme con una ventina di famiglie, sgomberate alla vigilia di Natale. Occupanti di case abusive, secondo il decreto di sequestro. Un’inchiesta partita da lontano, anche con intercettazioni telefoniche sugli imprenditori, che coinvolge pure il notaio che ha stipulato le compravendite. «La lottizzazione abusiva è un reato con conseguenze particolari - spiega l’aggiunto Camillo Trapuzzano, responsabile della sezione ecologia e ambiente della Procura di Napoli - la Cassazione a sezioni unite, proprio su un nostro ricorso passato, ha stabilito la confisca obbligatoria. In sostanza, anche dopo un’eventuale prescrizione del reato, complessi realizzati con lottizzazione abusiva possono essere confiscati e assegnati all’ente locale che potrà poi disporne l’utilizzo o l’abbattimento». Ma al Comune di Melito sembra abbiano altri problemi da risolvere. Dal dicembre del 2005, ci sono i commissari straordinari dopo lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche. Solo 74 dipendenti, per un Comune che ha ormai 36 mila residenti. Un villaggio rurale trasformato, in trent’anni, in un agglomerato di case e palazzi dalle origini incerte. Spiega il commissario straordinario Giovanni Lucchese: «Qui abbiamo di tutto, dagli immobili della 219 ad altri. Siamo impegnati a ricostruire l’origine giuridica degli immobili realizzati nel Comune. Impresa non facile, anche perché spesso gli atti furono sequestrati dai magistrati e dobbiamo ritrovarli e metterli assieme. Un lavoro di ricognizione con organico di pochissime unità, nato con un Comune di 30 anni fa». Cittadina dormitorio, napoletani che tornano a Melito solo la sera. Case a prezzi convenienti, molte vendute con domande di condono presentate. Se ne sono accumulate centinaia per i tre condoni degli ultimi anni. Nelle loro memorie difensive, gli avvocati Antonio Abet e Luigi Severino, legali dei fratelli Guerra, hanno sostenuto che anche sul parco sequestrato erano «pendenti domande di condono». La domanda di condono resta alibi e giustificazione per costruzioni che violano i piani regolatori. Contraddizioni delle leggi. In un caos, che fa della provincia napoletana un ammasso di immobili illegali. Il «parco Guerra» a Melito è solo la punta di un iceberg. Per altri edifici nello stesso Comune sono in corso indagini. E si annunciano sorprese. (3 - continua)

La paura del Vesuvio non ferma i costruttori

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 23 febbraio 2007

Parco del Vesuvio. Zona rossa, rossa di vergogna. Diciotto Comuni, oltre trecentomila abitanti. 180 notizie di reato all’anno. Per incendi boschivi. Per rifiuti tossici. E soprattutto, per l’edilizia illegale. Scempio planetario. In un luogo carissimo al mondo. Sono 34 le guardie forestali chiamate a sorvegliare l’enorme area protetta. Dovrebbero essere almeno 50. «Area protetta», così la etichettano per legge. E figuriamoci se non lo fosse. Cemento. Qui l’occhio è invaso da una enormità di cemento che sa di imbroglio più che altrove. È una presenza sgraziata. Cafona. Che si mescola orrenda agli alvei del vulcano, alle sue pendici boscose, ai cumuli di immondizia abbandonati a tonnellate lungo i viali. Quasi introvabili i suggestivi tetti a cupola, quelli tipici delle case locali di una volta. A cupola. Perché così era più facile far scorrere le polveri eruttive. Luigi Saviano, lo storico che oggi ha ottant’anni e gusto sempre fine, li definì «trulli vesuviani». E fanno il paio con i vitigni di Lacrima Christi, il nettare sanguigno che eroico sopravvive fra queste zolle sfregiate ma ancora ribollenti. Ah, vuoi fare un giro? Sì, però usiamo la tua macchina. Perché le visite a Cemento selvaggio vanno consumate senza chiasso, meglio se a bordo di automobili che risultino anonime a chi non ama i curiosi. Statale 268, la trappola mortale. All’uscita di Saviano (il paese), scheletri grigiotopo salutano beffardi. Si sentono al sicuro. Sanno che sulla 268 nessuno può fermarsi, nemmeno per fotografarli in un attimo. E spudorata, ecco in azione sulla destra una immensa pompa di quelle che erogano le gettate di cemento. Un cantiere attivo, e che fa se oggi non è sabato o domenica. Ma questa non era zona rossa? Terra malandrina. A Ottaviano, negli anni ’80, don Raffaele Cutolo stipulava i suoi atti di compravendita direttamente con i sindaci in carica. A me il castello Mediceo, a te il terreno circostante. Cronaca datata? Speriamo. Poco tempo fa, nella vicina San Gennarello, fu scoperta una villa letteralmente sepolta nel terreno. In attesa di spuntar fuori, alle prime avvisaglie di condono. Lungo la strada Panoramica che conduce a Trecase c’è una casupola devastata dai vandali. Doveva essere la sede Infopoint dell’ente Parco Vesuvio. E di fronte al rudere, sullo sfondo il mare, Capri e la penisola sorrentina, si intravede un’area di seimila metri quadri, circondata da un muro perimetrale sormontato da lamiere che ostacolano la vista all’interno. Un cancello chiuso, operai che lavorano. E due enormi ruspe che scavano e scavano. Ma che cosa scavano? E col permesso di chi? Una jeep color del cielo va e viene lenta lungo la stradina che spacca i vitigni. Controlla chi siamo. Con aria seria. Come se fossimo abusivi. Si affaccia un operaio. E richiude il cancello dei misteri. Cerchiamo il cartello che indichi la direzione dei lavori. Non si vede. Forse manca. Possibile? E cantieri si intravedono all’altezza della bocca eruttiva di Viuli, in piena zona lavica. Eccoli, alla vista si offrono come enormi cubi infagottati di stuoie e lamiere, color verdognolo. A risultare invece assai visibili sono i cosiddetti «ferri di attesa». Che cosa sono? Quei ferri che chi costruisce vesuviano ha l’abitudine di lasciare ai bordi del tetto di ogni abitazione. A che servono? Non si sa mai, magari un domani si deciderà di inalzare un altro piano. E un altro ancora. Quei ferri sono un segno. Di «bulimia» edilizia. Di insaziabile protervia. E continua, il viaggio in zona rossa. Lungo la via Zabatta, a Terzigno, si susseguono i manufatti fuorilegge. «Immobile sotto sequestro», hanno fatto scrivere in alcuni casi i magistrati. E il cemento invade perfino il bosco, infestato di scheletri innaturali e osceni. E più avanti, se lungo via Cavour a un certo punto si gira sulla destra, ecco un cantiere in frenetica attività. Stanno erigendo una ventina di villette, il sistema è sempre quello di tener nascosta alla vista l’area in cui si lavora tramite lamiere, stuoie e tutto quanto possa servire. Legambiente, come spesso fa in questi casi, ha segnalato il cantiere all’ente Parco. Perchè si intende capire se davvero tutto è in regola. Il viaggio continua. E tocca il territorio di San Gennarello, frazione di Ottaviano, che - secondo il decreto di scioglimento per infiltrazioni di camorra - «è occupato da edilizia abusiva per il settanta per cento»: «Nel paese del clan Fabbrocino - si legge nel documento - i vigili urbani selezionati dal sindaco non hanno mai proceduto al sequestro di automezzi edili né ad alcuna identificazione. Eppure, il materiale edile risulta fornito da un’impresa il cui titolare è il fratello del sindaco. E si è intervenuti con grave ritardo su una cava abusiva di sabbia gestita da un soggetto legato al clan dominante». Dice Ciro Lungo, ingegnere, coordinatore «territorio e ambiente» del parco Vesuvio, che è anche il capo delle guardie forestali: «Da qualche mese i magistrati con cui collaboriamo stanno ordinando più sgomberi e perquisizioni, anche domiciliari. È un buon segno. Che ci aiuta molto. Dall’inizio di quest’anno abbiamo effettuato già 13 demolizioni. Come dice? Qual è il nostro rapporto con i sindaci dell’area rossa? No, per favore: mi fa un’altra domanda?». (4 - continua)

«Costruzioni fuorilegge il rischio prescrizione»

Gigi Di Fiore – Il Mattino, 24 febbraio 2007

Al decimo piano della torre B al centro direzionale di Napoli, si vive un isolamento dorato. Lontani dal cuore degli uffici della Procura, i magistrati della sezione ambiente e ecologia sembrano relegati in una specie di oasi, affaccendati in indagini da riflettori spenti. Eppure, in mano a 18 sostituti ci sono qualcosa come diciottomila fascicoli pendenti. Piccole e grandi illegalità di un territorio scempiato, violentato. Abbandonato. «Gestiamo indagini di abusivismo in un’area che è la più grande d’Italia per competenza di una Procura - spiega il procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano, responsabile della sezione - Dobbiamo fare di continuo i conti con i pericoli sempre in agguato della prescrizione e della continua assenza degli enti locali, cui, in materia di abusivismo, le leggi affidano tanti poteri e competenze». Nella provincia dei 21 Comuni sciolti per infiltrazione camorristica, il caos amministrativo sui manufatti che violano piani regolatori, piani paesaggistici, prescrizioni edilizie è spaventoso. Le amministrazioni comunali hanno quasi tutte pochi uomini nella polizia municipale impegnati ad occuparsi di abusivismo edilizio, spesso disattenti. Dice Cristina Ribera, la più anziana di concorso in magistratura nella sezione ambiente della Procura: «Quasi sempre svolgiamo funzioni di formatori del personale comunale in materia di norme sull’abusivismo. Sono proprio coloro che dovrebbero svolgere funzioni di polizia giudiziaria nella prevenzione di quei reati». Ognuno dei sostituti della sezione si vede passare in media duemila fascicoli all’anno. Spiega Giuseppe Noviello, uno dei sostituti più attivi della sezione: «Se i Comuni applicassero sempre la legge dell’85, non dovremmo preoccuparci per i pericoli di prescrizione. Sono i Comuni che dovrebbero disporre la demolizione dei manufatti abusivi, o acquisirli al loro patrimonio. Non lo fanno quasi mai. Tutti aspettano i nostri sequestri. Anche sull’abusivismo, svolgiamo sempre funzioni di supplenza». Il territorio provinciale come prateria estesa per costruire, anche con l’alibi della domanda di condono da presentare. Nella certezza che nessuno avrà mai interesse ad esaminarla con rapidità. Dice Paolo Sirleo, altro pm della sezione: «Faccio un esempio per capire quanto si potrebbe fare per evitare gli scempi del territorio. Otto anni fa, tra Associazione dei Comuni, Enel e Legambiente fu sottoscritto un accordo. Prevedeva, per gli immobili abusivi sequestrati, l’immediata interruzione della fornitura elettrica. L’Enel non applica quasi mai l’accordo». Segnalazioni in ritardo, spesso connivenze. E l’illegalità delle costruzioni abusive alimenta il degrado che è poi scenario ideale per altri reati sul territorio. Se in provincia c’è ancora spazio per le vaste lottizzazioni abusive di interi parchi, in città l’ultima moda è il «cambio di destinazione d’uso». Spiega il pm Noviello: «Abbiamo notato nel centro storico, ma anche in quartieri come il Vomero o Chiaia, capannoni che diventano supermercati o garage. Insomma, ex capannoni, magari prima di metallo poi diventati di cemento e allargati, sono stati trasformati in immobili di grosse speculazioni». In un territorio dove si parla molto di legalità, le amministrazioni comunali solo di rado svolgono funzioni di vigilanza preventiva sugli abusi edilizi. Dice il procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano: «La Cassazione a sezioni unite ha dato ragione a un nostro ricorso, stabilendo che quando si accerta una lottizzazione abusiva il manufatto può essere confiscato anche dopo la prescrizione del reato. Piccoli passi, ma spesso affrontiamo questi reati ad armi spuntate. Sono contravvenzioni a pene personali risibili, naturalmente. La confisca o l’abbattimento restano le sanzioni più temute. Al vecchio abusivismo di necessità si è ormai sostituito l’abuso con intento speculativo». Procida, Ischia, Qualiano, Afragola, Giugliano sono le zone che danno maggior lavoro alla sezione. Commenta con ironia Cristina Ribera: «Molte di queste zone non hanno più toponomastica. Gli immobili abusivi hanno l’indirizzo identificato nei lotti numerici». (5-fine)

Sul fenomeno dell'abusivismo in Campania, in eddyburg

Italian police have impounded an entire neighbourhood built illegally on the outskirts of Naples, part of an operation magistrates hope will uproot the mafia wealth hidden behind the day-to-day mob shootings that plague the city.

In three raids this month, police sealed off with crime scene tape 50 new buildings containing more than 300 flats as well as 22 small villas that have appeared on broccoli fields in Casalnuovo, on the rural fringes of Naples' sprawling suburbs.

"About €50-60m (£33-40m) was invested here," said investigating magistrate Francesco Greco. "The money involved, the size of the site and the lack of permits leads us to believe a criminal organisation may be behind it, probably with political support."

Local mayor Antonio Manna, elected as a candidate for Silvio Berlusconi's Forza Italia party, told the newspaper Corriere della Sera he was unaware of the mammoth development and that he would order an inquiry immediately.

Local politicians may have used legislation allowing amnesties on illegal building to let the Naples mafia start the construction, claimed Tommaso Sodano, head of the Italian senate's environmental commission. But investigators used old satellite photographs of the area, which is officially classified as agricultural, to prove the unlicensed buildings were erected after 2003, the last time the Italian government offered such an amnesty.

Today the work is near completion, most streets are paved and lit and the apartments are hooked up to the national electricity network. Five families who have purchased apartments and moved in would have to leave, said Mr Greco.

Mr Sodano said that if local politicians did not organise the demolition of the neighbourhood, Rome should send in the bulldozers. The governor of the Campania region, Antonio Bassolino, has promised to increase satellite photo monitoring of unlicensed building - believed to amount to 16 new houses a day in the region.

There have been five mob-related killings in Campania in three days this month, which have been linked to a turf war between the clans that make up the city's Camorra mafia, despite a crackdown ordered by the government and an anti-violence campaign launched by the city's churches.

Le colpe di chi tollera l'abusivismo

Giacinto Grisolia - Il Mattino,12 febbraio 2007

La vicenda dell’abusivismo edilizio a Casalnuovo, anche per la sua dimensione macroscopica, suggerisce alcuni inquietanti interrogativi ai quali occorrerà comunque dare risposta se si vuole con serietà e impegno contrastare questo fenomeno. Anche perché, pur nella sua insostituibile funzione, la magistratura da sola non potrà mai risolvere la questione generale dell’abusivismo. Il fenomeno in effetti si è radicato nella quasi totalità del territorio regionale della Campania, divenendo un dato fermo della sua fisiologia; si è insomma fatto sistema, con una rete vasta di connivenze e di complicità ma anche con collegamenti con la criminalità organizzata. Non è per caso che, anche in tempi recenti, taluni hanno suggerito che del problema si occupasse, accanto alla magistratura ordinaria, anche quella direttamente impegnata nel contrasto della criminalità organizzata. Per misurare l’invasività del fenomeno abusivo, si tenga conto che la Campania occupa il primo posto nella graduatoria per tasso di abusivismo. Ciò significa che, al di là della repressione dei singoli episodi, una risposta risolutiva deve venire dal sistema politico e di governo delle amministrazioni locali. È fin troppo evidente che ormai la questione fuoriesce dal perimetro degli illeciti edilizi. È divenuta di natura politica, si è fatta terreno per fare politica, per aggregare il consenso politico, per organizzare e sciogliere alleanze politiche e maggioranze di governo che traggono sostegno dall’uso dissennato del territorio.

E allora, per cominciare. Sorprende non tanto la soddisfazione, in sè fondata, con la quale in tanti nei giorni scorsi hanno accolto l’approvazione da parte della Giunta campana del piano territoriale regionale, ma il ruolo che a questo strumento è stato attribuito, quasi di contrasto risolutivo del fenomeno dell'abusivismo. Non è così. Il nuovo strumento regionale, utile e positivo, definisce solo le grandi linee per l’assetto del territorio, ma nel concreto ha di per sè un effetto quasi marginale nei confronti dell’abusivismo. C’è di più. Addirittura gli strumenti urbanistici comunali, in pratica i piani regolatori, che invece per loro natura - questi, sì - devono regolare l’attività edilizia, sono ormai in Campania essi stessi inefficaci di fronte all’abusivismo. Nella realtà territoriale campana, non è sempre vero che, fatto il piano regolatore, stabilite cioè le regole, l’abusivismo viene eliminato. La quasi totalità dell’edilizia abusiva è stata realizzata nei Comuni dotati di strumenti urbanistici. Ciò evidentemente non significa che avere o non avere il piano urbanistico è la stessa cosa. Tutt’altro. Il punto è che non basta fare le regole senza accompagnarle con un impegno e rigoroso per farle rispettare proprio perché l’abusivismo è rottura delle regole e si consuma perchè si pone al di fuori e contro di esse, anche se, come è ovvio, il gioco è più facile quando non esiste lo strumento urbanistico. La via maestra è dunque il controllo rigoroso del territorio comunale da parte delle amministrazioni anche quando c’è il piano regolatore e, a maggior ragione, quando non c’è. La legge urbanistica fondamentale, quella del 1942, la madre di tutta la disciplina urbanistica italiana finora approvata ed in vigore, stabilisce che è responsabilità del Comune, in particolare del sindaco, il controllo e la vigilanza del territorio e di tutte le modificazioni che su di esso intervengono. Come si fa a sostenere che è sfuggito al controllo del sindaco un insediamento di ben 29 edifici nel comune di Casalnuovo? Un sindaco che si consente distrazioni di questa gravità, che non si avvale dei vigili urbani per ispezionare il territorio per tutto il periodo della costruzione e per tutto il tempo resosi necessario per la vendita delle abitazioni configura una materia che è anzitutto di competenza del magistrato e che sarà pertanto discussa nelle aule giudiziarie. Ma emerge anche una questione politica ineludibile sulla idoneità di amministratori tanto «distratti» ad esercitare una carica pubblica di tanto rilievo per l’integrità e la tutela del territorio comunale che è un bene pubblico. Dunque chi ha competenza per porsi questo interrogativo è bene che se lo ponga e che si dia una risposta. Ma vi è un altro interrogativo che pure occorre porsi. Questi edifici abusivi nati sono stati venduti a famiglie, probabilmente incaute, forse con atto pubblico. È possibile che non sia stato chiesto al venditore alcun documento circa la regolarità edilizia ed urbanistica? Possibili tante distrazioni, tanta sciatteria? Le risposte a questi interrogativi possono risultare illuminanti, di certo utili e comunque un buon contributo per individuare dove stanno i punti cruciali delle tante devastazioni del territorio che si consumano in Campania con la pratica dell’abusivismo.

Camaldoli, arrivano le ruspe ma il Tar ferma gli abbattimenti

Stella Cervasio –la Repubblica, ed. Napoli, 13 febbraio 2007

Un´ordinanza del Tar che smentisce in pieno la cronica lentezza della giustizia, ha bloccato la demolizione ordinata dal Comune delle villette abusive nel Parco Metropolitano delle Colline di Napoli. Il Servizio Antibusivismo del Comune aveva disposto l´abbattimento dei manufatti di via Soffritto, nei pressi delle cave di Verdolino, sul versante di via Epomeo del Parco dei Camaldoli e ieri mattina la ditta incaricata dal Comune era sul posto accompagnata dalle forze dell´ordine e dalla polizia urbana. L´operazione era in corso e le ruspe stavano compiendo la loro opera, quando è giunto un provvedimento del Tribunale amministrativo regionale a bloccare l´ordinanza comunale. «I servizi preposti hanno compiuto il loro dovere con diligenza e tempestività - dice l´assessore all´Edilizia Felice Laudadio - ora si tratta di attendere la conclusione della fase cautelare dell´azione giudiziaria. Ma la linea del sindaco non cambia: interverremo con grande determinazione contro gli abusi edilizi». In sei mesi, previa distruzione di un frutteto, nell´area del Parco Metropolitano inclusa nei programmi del Maggio dei Monumenti per un sito di interesse storico archeologico, era sorto un villaggio di palazzine monofamiliari, parte delle quali già abitate da qualche mese. Ieri la città ha tentato di difendersi dall´assalto del cemento, ma non ci è riuscita. Intanto la terza sorpresa abusivismo nel giro di pochi giorni arriva dal territorio di Casalnuovo. Mentre ancora si discute delle sorti di due interi rioni completamente abusivi (per un totale di cinquanta edifici fino a sei piani) sorti a pochi passi dal centro cittadino, ieri terzo intervento dei carabinieri coordinati dal procuratore aggiunto della Repubblica di Nola Francesco Greco: sequestrate ventuno villette a schiera completamente fuorilegge, costruite da una delle imprese che hanno edificato anche i palazzi abusivi. Questione di abitudine.

Postilla

E intanto il "governatore" della Regione annuncia fiducioso (la Repubblica 11.2.2007 e l'Unità 12.2.2007) l'accordo per l'impiego di 7 satelliti, di cui 2 della Nasa, per monitorare dal cielo il territorio campano e impedire costruzioni abusive e mattanze ambientali. Sette satelliti per individuare 50 palazzi cresciuti fino al sesto piano e decine di villette a schiera? Le capacità oftalmiche degli amministratori campani sono davvero deboli.

Ma la prevenzione si accompagna alla repressione: venerdì scorso la Regione Campania ha aumentato considerevolmente i fondi per la demolizione degli edifici abusivi e il recupero delle aree. A demolire ci hanno provato anche ieri ai Camaldoli (subito dopo la denuncia della stampa), bloccati in poche ore dalla celere giustizia del Tar, come di consueto.

Gli esempi del passato, però, ci spronano all'ottimismo: il Fuenti è pur stato abbattuto. Dopo trentuno anni. (m.p.g.)

Sull'argomento, in eddyburg

Credo che oggi la consapevolezza della necessità di governare le trasformazioni del territorio sia notevolmente cresciuta e che ciò sia avvenuto, più che per la persuasività delle argomentazioni di tecnici e scienziati, per la oggettiva forza degli accadimenti reali: le frane e le alluvioni, l’avvelenamento di acque e suoli, le malattie respiratorie da traffico, l’invivibilità degli agglomerati edilizi, privi di spazi verdi e di attrezzature sociali.

Nelle situazioni cui si è giunti, non si può pensare di rispondere a questa necessità se non dando adeguata attenzione, ed in modo integrato e contestuale, alle questioni ambientali, alle esigenze sociali, alle prospettive di sviluppo economico basate su una valorizzazione delle risorse territoriali, che perciò innanzitutto non vanno dilapidate.

Ciò può farsi soltanto combinando in forme coerenti politiche e programmi socioeconomici con la pianificazione urbanistica, che ha il compito di individuare – attraverso processi democratici assistiti da valutazioni tecnico-scientifiche – le parti di territorio che debbono essere tutelate (non solo le pendici franose, ad esempio, ma anche le superstiti aree naturali e i territori agricoli che ci forniscono cibo ed ossigeno) e quelle che possono essere invece trasformate (urbanizzate, edificate) per verificate esigenze socialmente rilevanti.

Considerazioni come queste sarei stato indotto a reputarle banali. Non lo penso più, dopo aver letto su queste pagine sabato scorso lo straordinario fondo di Diego Lama. Il suo commento alla vicenda del rione abusivo di una trentina di edifici “promosso” dalla camorra a Casalnuovo si apre con un richiamo a Mani sulla città, ma si chiude con la aberrante conclusione che “il vero nemico” è “il proibizionismo”: “più i nostri piani regolatori saranno vecchi, dirigistici, vincolistici, severi, non strategici ma coercitivi, più i cittadini tenteranno in tutti i modi di farsi in proprio il whisky, il crack o la palazzina di cinque piani”.

In due-tre righe si concentrano almeno tre tesi mistificatorie: la prima è che la definizione da parte di un’istituzione democratica di un piano che stabilisca quante costruzioni occorrano e dove si possano realizzare sia una manifestazione di proibizionismo; la seconda è che la libertà del cittadino includa tanto il diritto di bere liquori a casa sua quanto quello di costruire una palazzina di cinque piani in un’area che il piano (ossia la collettività, se ha un senso la democrazia rappresentativa) ha destinato diversamente in considerazione del complesso delle esigenze sociali; la terza è che un piano quando è strategico lasci liberi i cittadini di costruire quante palazzine vogliono e dove vogliono come se bevessero un whisky. Infine, conclusione implicita che è bene invece dire a chiare lettere: come ci si può indignare con la camorra se i piani regolatori sono così dirigistici e vincolistici ?

Stupefacente, davvero stupefacente. Complimenti !

Se volete sapere di che cosa si parla vedete qui

Un altro rione che non c´è. Un quartiere che non esiste, una cittadella fantasma. Ventuno fabbricati per 135 appartamenti. Come l´altra, quella a settecento metri di distanza in linea d´aria. Ci sono i palazzi finiti e tinti di rosa e appartamenti arredati. La luce è già stata allacciata e c´è l´acqua. Qualcuno ha comprato l´appartamento con una scrittura privata convalidata da un notaio. Ma non esiste alcuna licenza, zero autorizzazioni.

Due quartieri fuorilegge, rioni virtuali immensi ma che nessuno ha visto durante le fasi di costruzione. Così è cresciuta Casalnuovo negli ultimi tre anni. Cinquanta palazzi alti fino a sette piani completamente abusivi. Nessuna Dia (Dichiarazione di inizio lavori), nessuna autorizzazione del Comune o certificato Antimafia. Ma ci sono stati i tecnici dell´Enel e ci sono stati i vigili urbani per verificare la residenza di chi ne aveva fatto richiesta. Sono state sistemate piante ornamentali e c´è una statua di Padre Pio. Sugli edifici le antenne paraboliche. Come un gioco, in cui ognuno fa la sua parte ma senza mettere nulla nero su bianco. Cemento per sessanta milioni di euro.

Primavera 2003, mese di maggio. I rilievi satellitari registrano terreni a uso agricolo regolarmente coltivati lungo via Filichito a Casalnuovo. Tutto in regola, a due mesi dal decreto sul condono firmato dal governo Berlusconi. Due anni e mezzo dopo ci sono cinquanta palazzi in più. Lo scopre la Procura della Repubblica di Nola, i carabinieri di Casoria coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco. Che ora spiega: «Casalnuovo è solo l´inizio. Faremo controlli a largo raggio sull´abusivismo e sui tentativi di ottenere condoni che, come in questo caso, sono impossibili». Indagini complesse che coinvolgono anche il Comune di Casalnuovo, da cui sono spariti un centinaio di fascicoli che riguarderebbero proprio quelle richieste di condono. Gli inquirenti hanno già interrogato parecchi dipendenti del Comune, una domanda fissa: come è possibile che, a fronte di queste dimensioni di abusivismo, nessuno si sia accorto di niente né abbia denunciato? Nessuna risposta, per ora. Connivenze? Si sospetta di imprenditori collegati con la criminalità locale e di protezioni politiche.

In queste ore, intanto, il sindaco forzista di Casalnuovo, Antonio Manna - che potrebbe disporre l´abbattimento immediato dei rioni fuorilegge - fa sapere che è stato fissato per oggi il Consiglio comunale per affrontare l´argomento, e che una commissione verificherà tutte le denunce anonime su altre costruzioni abusive arrivate in questi giorni in Comune. Intanto però l´inchiesta è solo all´inizio. Sulla vicenda interviene il senatore di Rifondazione comunista Tommaso Sodano, presidente della commissione Ambiente, che ha firmato una interrogazione parlamentare al ministro dell´Interno: «Occorre dare un segnale forte - commenta - demolendo i manufatti abusivi in costruzione. Il territorio è controllato dal clan Moccia di Afragola, camorra imprenditoriale, e quello di Casalnuovo è l´unico Consiglio comunale che non è mai stato sciolto per camorra in tutta la zona». Dunque Sodano chiede al ministro dell´Interno di verificare se «esistono le condizioni per lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche».

L'immagine è dal Mattino del 7 febbraio 2007. Il sen. Tommaso Sodano è il primo firmatario della "legge degli amici di eddyburg"

Baia di Sistiana. Il WWF: “Manca un disegno per lo sviluppo sostenibile del territorio. Regione e Comune di Duino-Aurisina proni agli interessi della rendita immobiliare.”

“Miope e appiattito sugli interessi della speculazione immobiliare”. Così il WWF giudica l'atteggiamento del Comune di Duino-Aurisina, dopo il parere positivo della Commissione Edilizia Integrata sul progetto relativo agli interventi nella cava di Sistiana.

Il progetto, firmato dagli arch. Francesco Luparelli e Barbara Fornasir, contiene sostanziali modifiche rispetto a quanto previsto nel piano particolareggiato. Addossati al fronte della cava e nel finto villaggio previsto attorno alla darsena artificiale (che dovrebbe essere realizzata scavando il piazzale antistante la cava) sorgerebbero infatti 342 alloggi destinati a “residenze turistiche”. Cambia quindi destinazione d’uso e diventa “residenza turistica” il grande albergo previsto dal piano (e ampiamente pubblicizzato dalla proprietà), mentre nel finto villaggio troveranno posto un piccolo hotel con sole 54 stanze ed ancora altre “residenze turistiche”, contornate da verde privato.

Molti aspetti importanti del progetto sono descritti in termini solo indicativi: tinteggiature, materiali, particolari architettonici degli edifici, specie di essenze vegetali previste per il verde ornamentale, ecc.

Il finto “villaggio” sul fondo cava non è più qualificato come “istro-veneto”, ma gli edifici presentano comunque elementi tipologici (bifore, archi, ecc.) incongrui rispetto all'architettura tradizionale dei luoghi.

Vengono enunciati, a mero titolo di “principi”, il recupero delle acque piovane per usi antincendio, l'irrigazione e lo scarico dei water, come pure l'utilizzo della geotermia per il riscaldamento, senza alcun riferimento preciso nel progetto (l'argomento è rinviato a stadi progettuali successivi). Anche l'impianto fognario è presentato a livello di schema di massima.

Ce n'era insomma abbastanza, secondo il WWF, perché la Commissione edilizia decidesse – come la rappresentante indicata da WWF e Italia Nostra ha chiesto ripetutamente, ma invano - di rinviare il giudizio, richiedendo sostanziali integrazioni (e/o modifiche) del progetto. Nulla di tutto ciò: su indicazione del Sindaco, tutti i componenti della Commissione hanno “disciplinatamente” espresso parere favorevole. Unico voto contrario, quindi, quello di WWF e Italia Nostra.

Non è certo la prima volta che il Comune di Duino-Aurisina dà prova di totale appiattimento nei confronti degli interessi dei proprietari della Baia (imitato in questo, peraltro, dalla Regione). Stavolta però si è giunti al limite del servilismo.

Si aggiunga che, come di consueto, i componenti della Commissione hanno appreso l’ordine del giorno della seduta (vale a dire l’esame dei progetti edilizi in cava) il giorno stesso della medesima e non hanno quindi avuto il tempo sufficiente per un esame approfondito degli elaborati. Non è stata fornita neppure una relazione istruttoria sul progetto da parte degli uffici comunali. Un ulteriore esempio di gestione scellerata delle competenze in materia di tutela del paesaggio, che il Comune di Duino-Aurisina persegue ormai da anni, nella più completa inerzia della Regione che tali competenze ha ceduto ai Comuni (e si appresta a cederne altre con la riforma della legge urbanistica). Unica voce, finora, a denunciare questo andazzo scandaloso, quella del WWF e di pochi altri ambientalisti, nel più completo silenzio da parte del mondo delle professioni e della cultura, evidentemente in tutt’altre faccende affaccendato.

“La Regione Sardegna – osserva Dario Predonzan, responsabile territorio per il WWF Friuli Venezia Giulia - con il presidente Soru ha messo fine ad anni di grande disordine nella gestione delle aree costiere, varando il nuovo Piano Paesaggistico Regionale, uno strumento che garantisce un’adeguata tutela del territorio regionale e delle coste in particolare, in un’ottica di sviluppo di un turismo di elevata qualità. In Friuli Venezia Giulia la Regione di Illy asseconda invece – in assenza di un piano paesaggistico - modelli di sviluppo da anni ’60, promuovendo in ogni modo la costruzione di grandi complessi di appartamenti sulla linea di costa.”

“Mentre cresce la richiesta di un turismo di qualità, fondato sulla bellezza paesaggistica e naturalistica, la valorizzazione delle risorse locali, il restauro dei borghi esistenti e la trasformazione in albergo diffuso, gli agriturismi, ecc., l’asse Regione-Comune di Duino-Aurisina si dimostra prono agli interessi della rendita edilizia più che a un progetto di futuro sostenibile per il territorio.”

Ci stiamo abituando a guardare il territorio dall’alto con le sequenze veloci di Google Earth, per cui il punto di vista può essere in ogni luogo mentre il paesaggio - l’iperpaesaggio - si trasforma sotto i nostri occhi. E rischia di sfuggirci il senso di quell’altra percezione, ben più sedimentata, della prospettiva centrale verso una scena ordinata, degli atlanti in scala, delle fotografie e del cinema. E anche delle vicende umane che ogni luogo racconta. Per ritrovare le coordinate spazio- temporali del paesaggio italiano è servita la mostra «L’Italia: paesaggio e territorio» nel complesso del Vittoriano a Roma. Una esposizione sobria fuori dal giro delle mostre-business; della quale è ora disponibile il catalogo che propone in maniera quasi integrale il suo contenuto (pubblicato da Gangemi editore). Circa 200 opere tra dipinti e disegni, incisioni e cartografie, cartoline ecc. Oltre a un ricco apparato di testi che spiegano con precisione gli obiettivi della ricerca (di grande interesse i saggi di Giuseppe Galasso e Guido Melis).

La mostra è una conferma: il paesaggio è una delle fonti essenziali per conoscere la storia d’Italia. D’altra parte, seguendo la traccia proposta dai curatori - coordinati da Sabino Cassese - si vede che la storia ha contribuito in maniera determinante a modificare i quadri della regioni e delle città italiane. Per capire cosa è successo, grosso modo in cinque secoli, sono indispensabili i documenti preziosi distribuiti in tanti archivi e musei nazionali (non solo le opere dei vedutisti da Canaletto a Massimo D’Azeglio a Mario Mafai, ma pure le certificazioni del valore del suolo (cabrei, catasti), le mappe dei reticoli idrografici, stradali, ferroviari, degli itinerari militari, dei confini amministrativi, le carte della morfologia e della geologia. A questa visione del paesaggio «com’era/com’è» si sono intrecciate le visioni ideali che qualcosa hanno conferito ai paesaggi che vediamo: dalla trattatistica del XVI secolo alla progettazione di città ideali dai ritmi geometrici, come quelle immaginate e realizzate dagli architetti razionalisti del XX secolo.

L’esposizione racconta il percorso lento delle mutazioni e delle improvvise accelerazioni. Quella che avviene con l’unità d’Italia quando città e territori subiscono radicali trasformazioni nel segno delle mutate esigenze (nelle città capitali, Torino, Firenze e Roma, che accolgono le imponenti attrezzature dell’amministrazione; e poi nelle regioni ricche che attraggono investimenti con grandi arterie stradali che segnano in lungo e in largo le campagne. Ma non manca il paesaggio più periferico e del Mezzogiorno, con le differenti dinamiche, con le suggestioni del mare e del sole, dei monumenti meno noti. In mostra anche la Sardegna (con due dipinti di Giuseppe Biasi: uno splendido di proprietà della Regione).

C’è l’Italia Bel Paese, di cui non si coglie mai appieno il valore: capita di vivere in Italia e di accorgersi di colpo, magari vedendo le immagini di questa mostra, che è una delle mete più ambite da viaggiatori, poi da turisti e vacanzieri di tutti i tempi; e ogni tanto viene il sospetto di vivere in un posto non comune che attribuiamo a circostanze particolarmente felici, a quell’aria da cartolina o da cinema che in fondo trovi ovunque. Come se per viverci servisse il permesso del regista, molto abile nel farti trovare in atmosfere sorprendenti, anche se di questi posti hai fatto esperienza quotidiana.

Il paesaggio e lo Stato: la questione è sempre sottintesa. Lo Stato si è dotato di norme che ne controllano le trasformazioni. La prima legge italiana è quella del 1939, che mette ordine nella materia, secondo lo schema proprietà privata dei beni-vincolo sul loro uso. Il paesaggio è divenuto con il tempo bene paesaggistico, di cui si occupano le Regioni, con i numerosi problemi: la relazione tra paesaggio e territorio, tra usi produttivi- degradanti e limiti alle trasformazioni, tra i poteri di chi ha compiti di tutela. L’esposizione e il catalogo arrivano in un momento che vede un rinnovato interesse per il tema; anche in seguito alla approvazione del Codice Urbani che ha rilanciato la pianificazione del paesaggio suscitando i primi risultati (il Piano della Sardegna), e per l’allarme lanciato per i tanti luoghi in pericolo (la Toscana nei paesaggi protetti dall’Unesco), con la solita enfasi per gli ecomostri. Tutto serve. Ma perché una gloriosa eredità non vada in malora non bastano le denunce mosse da impressioni frammentarie e soggettive.

Quando la nave si avvicina, intorno alle 6.10 del mattino, Stromboli è un'ombra nera in mezzo a un mare di pece. Giusto la luce intermittente del faro che gira sullo scoglio di Strombolicchio e il fuoco del vulcano che saluta i nuovi arrivi. All'attracco, è già giorno. E all'alba di mezza estate Stromboli ha già il suo piccolo traffico di isola, di gente che approda e che salpa, navi guardate partire e ci vediamo l'estate prossima.

Un centinaio di abitanti (ma all'anagrafe se ne contano 600) nei lunghi inverni di solitudine e mareggiate, Stromboli accoglie ogni estate, secondo le stime ufficiali, circa 4000 turisti, e risuona del ronzio delle motoape con il loro carico di passeggeri pigri.

L'isola silenziosa e schiva segnalata nelle cronache mondane come enclave vacanziera della sinistra e buen ritiro del presidente della Repubblica, si affolla di gitanti scaricati a riva dai barconi turistici: giusto il tempo di arrampicarsi sudando fino a piazza principale e di mettersi in fila davanti alla balaustra in cerca della vista migliore su Strombolicchio. Peccato solo, pensa qualcuno, per il terrazzo di quel bar che sporge verso il mare, e che guasta l'inquadratura perfetta.

Il bar si chiama «Ingrid», come la Bergman. Ma quando lei, nel 1949, venne sull'isola con Rossellini a girare Stromboli, terra di Dio, il bar non c'era ancora e il terrazzo neppure. A costruirlo, nel 1989, ci ha pensato Mario Cincotta, imprenditore e politico strombolano, consigliere di Forza Italia al Comune di Lipari.

Su di lui, in giro, ognuno ha qualcosa da dire, ma nessuno vuol dire niente. C'è chi dice che la sua fortuna se la sia costruita usucapendo le case dei compaesani partiti per l'Australia, chi assicura che abbia collezionato un buon numero di denunce per aggressione, e chi semplicemente lascia intendere che sull'isola è meglio non esporsi troppo. Per incontrarlo, basta passare da «Ingrid» e da «Ingrid», prima o poi, ci passano tutti. Cincotta è lì che chiacchiera con i clienti, quando non tiene d'occhio i conti delle sue case, passa al suo supermercato per controllare le consegne o fa un salto al suo nuovo residence per assicurarsi che i lavori procedano. Finisce tardi la sera e ricomincia presto al mattino: dorme poco e fa grandi progetti per l'isola.

Quest'anno ha presentato al comune di Lipari la richiesta di concessione edilizia per costruire una discoteca-lido nella zona di Scari, alla sinistra del porto, nella vecchia cava di lapillo che scava il fianco della montagna sopra alla spiaggia chiamata Petrazze.

Lo Scari-pub

Tre terrazzi sfalsati, per una superficie di circa 850 mq, collegati con rampe alla spiaggia, dove si prevedono attrezzature balneari, un pontile galleggiante per l'attracco delle barche e un bar, per un totale, secondo le stime di Cincotta, di circa 2000 mq.

L'idea, sulla carta, sembra geniale: le barche attraccano , i passeggeri si stendono sui lettini del lido. Il pomeriggio un aperitivo al bar, e la sera tutti in discoteca.

La sua concessione - preceduta dall'autorizzazione della soprintendenza dei beni paesistici e architettonici di Messina, ottenuta per lavori di «recupero ambientale» dell'ex cava - Cincotta l'ha avuta il 25 gennaio 2006, ma la prima pietra di quello che sull'isola già chiamano lo Scari-pub, è stata posta solo ora. A qualcuno, l'idea di costruire una discoteca sul fianco della montagna e di invitare le barche a scaricare rifiuti a pochi metri dalla riva non è piaciuta per niente.

La cava di lapillo, che confina con una riserva naturale, nell'originario progetto del piano territoriale paesistico delle isole Eolie era dichiarata zona Ma1 (fascia compresa tra gli ambiti di tutela vulcanologia e zone abitate) ma, grazie all'intervento di Legambiente e dell'associazione ProStromboli, che dal 1994 si dedica alla tutela del patrimonio storico-naturalistico dell'isola, nel decreto di approvazione del piano paesistico del 23 febbraio 2001 si è ottenuto che la zona fosse fatta rientrare nel più intenso regime di tutela To1 (tutela orientata), che non consente attività «residenziali, turistiche, infrastrutture sportive attive, spettacolari».

Per bloccare lo Scari-pub, Legambiente e ProStromboli hanno fatto ricorso al Tar di Catania che, nel luglio scorso, ha sospeso i lavori in attesa di chiarire l'effettiva destinazione dell'area. Una battaglia di confine - tra due diversi gradi di tutela - in cui Cincotta ha avuto la meglio: nonostante il Tar abbia riconosciuto che la zona interessata dalla concessione edilizia fosse quella della cava , ha dato il via libera al progetto, perché l'area, stando ai documenti della soprintendenza, è fuori dalla zona di maggiore protezione.

«Il Tar - dice Salvatore Granata, perito di parte e presidente di Legambiente Sicilia - ha deciso di pregiudicare un bene naturale e culturale riconosciuto dal piano paesistico. Ma per noi la questione non è chiusa, faremo appello ».

Il caso Stromboli, tra l'altro, non è che un tassello del complesso mosaico della gestione del territorio nelle Eolie: le isole rischiano infatti di essere cancellate dalla lista dei siti Patrimonio dell'umanità tenuta dall'Unesco se, come ha più volte richiesto l'organismo delle Nazioni unite, non saranno risolti punti critici come l'eccessiva pressione turistica e la mancanza di strumenti di pianificazione del territorio.

«Presenteremo all'Unesco un rapporto sulla gestione dell'arcipelago. - dice Granata - Comportamenti "predatori" come quelli di Cincotta espongono le Eolie al rischio dell' estromissione dalla Heritage List».

Al posto dello Scari-pub, gli ambientalisti vorrebbero un museo vulcanologico all'aperto, per leggere, negli gli strati di lava depositati dal vulcano , tutta la storia dello Stromboli: «ma - spiegano Giuseppina Moleta e Aimèe Carmoz, presidentessa e segretaria della ProStromboli - la pubblica amministrazione non ha mai dato seguito alle nostre richieste. Avrebbe dovuto espropriare terre ai privati, e espropriare significa perdere voti».

Anima delle battaglie civili di Stromboli - dalla prima, per dare una scuola ai bambini dell'isola (che ancora aspettano), fino a quella contro il bar Ingrid, costruito, secondo gli ambientalisti, rialzando abusivamente un rudere - la francese Aimèe continua: «Cincotta ha presentato il suo progetto come bonifica di una zona degradata. In realtà, la cava è ambita dagli speculatori perché unico sito accessibile dell'isola ancora intatto. Inoltre, la spiaggia delle Petrazze è stata la sola a non essere colpita dall'onda anomala causata dall'eruzione del 2002: è la più sicura, privatizzarla sarebbe un errore».

Tutti perdono qualcosa

Seduto ai tavolini del suo bar, invece, Mario Cincotta è sicuro di essere nel giusto. Srotola planimetrie e squaderna documenti, ma il suo asso nella manica è un foglietto scritto di suo pugno che si intitola: «Tutti perdono qualcosa». Sopra, c'è un elenco di nomi, e, accanto a ogni nome, l'indicazione di ciò che ciascuno perderebbe se lui realizzasse il suo lido: suolo pubblico occupato abusivamente, guadagni realizzati attraverso progetti alternativi, sonni tranquilli disturbati dai lontani echi della musica.

«Tra quelli che si oppongono al mio progetto - spiega Cincotta - c'è gente che ha occupato la strada comunale per costruirsi terrazzi e giardini e ostruendo l'accesso alla mia proprietà. Ma io prima glieli farò abbattere, e poi li citerò per danni. E se non hanno i soldi, gli farò pignorare la casa».

E parlando di case, l'imprenditore si appassiona: «Le loro ville le hanno comprate con la speranza dei miei compaesani, pagandole con un biglietto per l'Australia. Da bambino ho visto tante famiglie emigrare, e oggi, se posso dare un lavoro a qualcuno, ne sono fiero. A me i comunisti non sono mai piaciuti, ma qui il vero comunista sono io».

Comunista e ambientalista, se, come sostiene, nello Scari-pub «non ci sarà un centimetro cubo di cemento»: «Solo muretti a secco, strutture mobili, pavimenti in pietra lavica. Ho ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie: mi piace fare le cose in regola».

Ma chissà che qualcuno non sia rimasto influenzato dal suo irresistibile carisma politico: «Cincotta - dice Pino La Greca, consigliere comunale Ds a Lipari - è il consigliere di Forza Italia più votato a Lipari, amico personale del sindaco: magari qualcuno ha chiuso un occhio, o ha firmato senza leggere».

Oppure, senza leggere tra le righe, se è vero, come sostiene Salvatore Granata, che l'imprenditore ambientalista si è spianato la strada per avere le mani più libere. «Nel finanziamento ottenuto da Cincotta si parla di 409.000 euro per le opere murarie, e nel progetto si legge che "il terreno verrà sistemato con muretti a secco e, dove la dimensione non lo consente, in conglomerato cementizio". Quando il genio civile gli farà presente che un muro di sostegno su una scarpata non può reggere a secco, lui sarà libero di cementificare ».

La discarica

Ma quello di Cincotta non è l'unico progetto sulla contrada Petrazze.

La zona che confina con la cava è infatti vincolata dal piano regolatore delle isole Eolie (non ancora approvato) a diventare un'area di stoccaggio dei rifiuti. Toccherebbe alla spazzatura, in pratica dare il benvenuto ai turisti che a poca distanza approdano sull'isola.

Il sindaco di Lipari, il forzista Mariano Bruno, è però sicuro che sia la scelta giusta: «C'è stato un referendum in cui il 99,9% della cittadinanza ha scelto la zona per la trasferenza dei rifiuti» .

L'idea dei clienti dello Scari-pub che bevono mojito a pochi metri dalla spazzatura, invece, non va proprio giù a Cincotta: «La discarica il sindaco se la può scordare. Qui la politica non c'entra, piuttosto di fargliela fare lo denuncio e lo mando in galera».

Eppure, in molti scommettono che i due troveranno un accordo, sempre che non l'abbiano già trovato. «L'unico motivo per cui quella zona è stata individuata come area di stoccaggio - dice Pino La Greca - è perché questo implica la costruzione di una strada per il trasporto dei rifiuti. La soprintendenza ai beni ambientali non autorizzerà mai la discarica, ma, nel frattempo, la strada sarà stata fatta e Cincotta la userà per la sua discoteca. Quanto al referendum, non si può definire tale un voto per acclamazione ottenuto da una claque».

Salvatore Granata è dello stesso parere: «L'obiettivo è di urbanizzare l'intera area, costruendo anche un parcheggio di 200x200 metri per i camion dei rifiuti. Parcheggio e discarica di fronte al porto e alla spiaggia sono una follia, ma il sospetto è che, grazie ai poteri straordinari per l'emergenza vulcano, il sindaco faccia fare subito la strada. La scusa è quella della discarica, ma l'obiettivo reale è fornire un accesso al pub». Dietro alle dichiarazioni di guerra di Cincotta, dunque, si celerebbero «insospettabili» convergenze: «Le Eolie - dice Granata - sono in mano a delle bande. Quello tra Cincotta e Bruno è un gioco delle parti: in realtà, quando ci sono interessi seri in campo l'accordo si trova e come».

Sarà forse, come dice qualcuno, che a Stromboli «la discoteca puzza, come la discarica». Sarà che, da sempre, all'ombra del vulcano si confrontano modi diversi di vivere e intendere l'isola.

E di immaginarne il futuro.

Per alcuni, come le 250 persone che hanno firmato la petizione promossa dalla ProStromboli per il ritiro della concessione a Cincotta, l'unico futuro possibile sta nel preservare l'isola e le sue bellezze. Per altri, come il sindaco Mariano Bruno, il futuro si scrive con l'inaugurazione della nuova scuola, la cui prima pietra, dopo 50 anni di attesa, sarà posta, guarda caso, a ridosso delle elezioni. Per Mario Cincotta, invece, il futuro si insegue correndo dietro al turismo di massa e «puntando sui giovani, perché altrimenti l'isola diventa un ospizio».

Ma, con la grazia dei suoi 77 anni, anche ad Aimèe Carmoz - che a Stromboli vive dal '71 - piace guardare avanti: «Un tempo qui non c'era niente, solo canne e mare. Oggi l'isola è cambiata, ma si può ancora salvare, conservando quel poco che resta».

Si conclude oggi il breve viaggio di Vittorio Emiliani nella bellezza e, purtroppo, nella bruttezza del Belpaese: cioè nell'assalto quotidiano all'integrità del paesaggio e alla storia delle nostre città. Assalto di speculatori, da sempre, nonostante le campagne a difesa di questa «bellezza» da parte di intellettuali, giornalisti, urbanisti e architetti. E da parte di amministrazioni locali coraggiose che, però, negli ultimi anni sembrano cedere alla tentazione del «nuovo» sotto forma di ulteriori costruzioni. Dopo la precedente puntata ( l'Unità del 26 novembre) che ha ripercorso alcune di quelle gloriose battaglie, oggi Emiliani fornisce una serie di dati impressionanti proprio sulla cementificazione del nostro paesaggio e delle nostre città. Vittorio Emiliani è anche autore di una serie in quattro puntate, su questi temi, dal titolo Bella Italia che patria mi sei, in onda sul canale satellitare Raisat Premium.

Stavo seguendo in tv la cronaca di una tappa del Giro d'Italia ripresa dall'elicottero e mi sorpresi a osservare: «Ma guarda che paesaggio ordinato, ben tenuto, senza robaccia di mezzo. Non sembra nemmeno Italia». Difatti non la era: quel giorno il Giro era sconfinato in Austria. Provate a scendere in aereo su Venezia, vi colpirà come un pugno allo stomaco l'assenza di campagna fra Mestre, Treviso, Padova, con una commistione terribile fra quartieri e capannoni, villette e fabbriche. È quello che gli anglosassoni chiamano urban sprawl, il disordine urbano, e di cui stanno discutendo intensamente, loro, i tedeschi, i francesi. Noi quasi per niente.

A parte il recente bel libro di Edoardo Salzano e altri intitolato NO Sprawl (Alinea). Se provaste a sorvolare in aereo il distretto industriale della Ruhr, vedreste un paesaggio molto più ordinato, molto più razionale, con molto più verde di quello veneto. Del resto, gli investimenti nell'edilizia residenziale sono saliti in Italia da 58 miliardi di euro (1999) a oltre 71 miliardi (2005) con un incremento del 23 per cento. Per i permessi di costruzione risultano in testa il Veneto e l'Emilia-Romagna. Per l'intera Italia tali permessi riguardano quasi 881.000 stanze in un solo anno. Con una popolazione, di contro, in crescita lentissima (3 per cento in più nell'ultimo quindicennio) e soltanto per effetto dell'immigrazione. La quale però non trova case a costi sopportabili.

Da noi gli alloggi in affitto sono pochi (19 per cento del totale contro il 55 della Germania) e l'edilizia sociale è stata lasciata precipitare al 4 per cento contro il 20 per cento circa di Francia, Regno Unito e Svezia e il 35 dell'Olanda. Una vergogna. Dunque, quella in costruzione è tutta edilizia per il mercato. La sua corsa continua, inarrestabile: nel primo semestre del 2006, il comparto è arrivato all'indice 128,9 fatto 100 quello del 2000. Nella produzione di cemento siamo in vetta all'Europa assieme alla Spagna, ben davanti a Francia e Germania. E si vede: basta girare l'Italia o attingere alle cronache locali. Mille cantieri aperti a Vigevano dove si aspettano. . .i milanesi in fuga dal caro-città. Poco meno a Vogherà per le stesse ragioni (o illusioni). A Bertinoro, piccolo Comune medioevale della Romagna, balcone sulla pianura, ben 700 cantieri aperti. In Toscana lotti dai 400 alloggi per volta in su (seconde case, per lo più) a Donoratico, a Bagnaia, a Fiesole, a Bagno a Ripoli, ecc. Con un dato nazionale nuovo: dalla costa la speculazione edilizia delle seconde e terze case è ormai risalita all'interno e si sta mangiando la collina.

Anche in Umbria e Toscana. A fronte di una popolazione, ripeto, quasi ferma. E con un patrimonio edilizio gigantesco: dai 36,3 milioni di stanze del 1951 siamo passati ad oltre 130 milioni (+ 247 per cento), più tutte quelle abusive da sanare, albi milioni. Ricordo l'assessore regionale umbro all'Urbanistica, il comunista Ezio Ottaviani, il quale, a metà anni 70, mi esponeva questa linea: «Noi qui cerchiamo di non dare licenze per nuove costruzioni fino a che non siano state restaurate le case e i casali antichi o vecchi che abbiamo sul territorio».

Sembrano passati anni-luce. Invece era una linea nazionale della sinistra da poco al governo delle Regioni. Le quali davano soldi per restauri e recuperi. Tutto dimenticato, tutto sepolto? A volte pare di sì. Eppure - sono dati di una indagine Censis-Ance - esistono in Italia 4.745.270 abitazioni (il 18 per cento del totale) che risalgono a prima del 1919. Di questo stock abitativo antico o vecchio, il 27 per cento risulta non utilizzato, vuoto, inoccupato. Certo, da restaurare, da dotare di servizi, e però spesso inserito in borghi, paesi e cittadine dove acqua, luce, gas, scuole, ecc. ci sono già. Nel quadro della stessa inchiesta gli aspiranti risanatori non mancano, tutt'altro. Solo che è più facile e più sbrigativo, in ogni senso, orientarsi sull'alloggio nuovo in una delle tante lottizzazioni proposte, magari in pieno Patrimonio Mondiale dell'Umanità come il sito di Monticchiello (cito la propaganda della immobiliare che vi sta costruendo e che si fa bella del diploma Unesco che quei lotti cementizi, decisamente brutti, non onorano di certo).

E qui sale il grido di protesta degli amministratori locali: «Ma voi volete trasformare il paesaggio in un museo, metterlo sotto vetro». Non è vero. Ciò che si vuole è intanto il restauro e il recupero del patrimonio antico, o vecchio, esistente e non occupato. Che non è affatto poco pure in Toscana (20 per cento), o in Umbria (26,7), ma che tocca punte incredibili nel Sud: 44 abitazioni storiche su 100 vuote in Abruzzo, 40 in Sicilia, 38 in Calabria. Regioni, queste due ultime, investite da un abusivismo spaventoso che difatti assedia quei bellissimi, desertificati centri storici e sconcia tutta la costa. Autentici monumenti alla sprovvedutezza, perché, come è già accaduto nel Centro Italia (ma pure nelle Langhe), gli stranieri colti e avveduti, o i residenti delle nostre glandi città, si sono accaparrati il meglio di quei borghi svuotati. È successo e succede per esempio in Maremma. A Capalbio, dove le gru dei cantieri sono tante, ovunque, ed ora si sta pure sbancando, in basso, una collina per farvi installare una nuova cantina. O a Montemerano dove, anni fa, il Comune ha costruito dei casermoni fuori le mura, col risultato di svuotare quel centro storico collinare, per la gioia degli stranieri o dei romani.

Ciò significa che in Italia non si deve più costruire? Certamente no. Vuol dire però che, crescendo molto poco la popolazione e quel poco soltanto in forza dell'immigrazione, bisogna puntare assai di più di quanto non si faccia sul recupero (a partire dalle periferie e semideserte metropolitane) del già esistente, migliorandolo, riqualificandolo. Vuol dire che bisogna tornare a quote di edilizia sociale per i più poveri che siano vicine ai livelli europei del 20-25 per cento. Vuol dire che, nelle città universitarie, non si possono trasformare i quartieri storici in costosi «pollai» per studenti fuori sede (a 500 euro per letto), tutto in nero, distruggendo il tessuto sociale, e non perseguire mai una seria politica di collegi e di residenze universitarie, alla maniera di Pavia o di Pisa (casi isolati). Vuol dire che la nuova edilizia va, con queste e altre misure, dosata, raffreddandone l'elevata temperatura speculativa. Che penalizza poi soprattutto i giovani, single o in coppia.

Bisogna, insomma, tornare a pianificare, seriamente. Il grido di allarme che si è levato per Monticchiello facendone un caso nazionale voleva sollevare questi problemi: se persino nella tanto lodata Toscana sta succedendo di tutto, bisogna rivedere alcune politiche.

Per esempio quella della Regione Toscana la quale si ostina, con argomentazioni di sapore fra il democratistico e il populista, a sub-delegare i Comuni nella tutela del paesaggio (che è di tutta la Nazione, come dice la Costituzione). Possono opporsi validamente gli enti locali alla «febbre» cementizia in atto se da essa ricavano entrate preziose per chiudere i loro bilanci impoveriti dai tagli governativi? Non sarà un «ecomostro» la lottizzazione di Monticchiello e però è tanto brutta e «aliena» da far pensare che gli abitanti di Pienza e di Monticchiello abbiano perduto quel senso del paesaggio che Emilio Sereni, grande studioso di paesaggio agrario, comunista (qualcuno lo legge a sinistra? lo conosce ancora?), attribuiva a contadini e a mezzadri toscani. Si poteva, si doveva edificare (se non c'era dell'antico da recuperare) decisamente meglio, con una qualità architettonica più elevata. Certo, nel Sud va peggio. Ma va peggio pure sulla collina veneta, la collina di Parise, di Piovene, di Zanzotto, massacrata da Villettopoli e Fabbricopoli.

E così continuiamo a mangiarci - ecco l'altro problema di fondo - centinaia di migliaia di ettari di buona terra e di bei paesaggi mirabilmente intessuti dall'uomo nei secoli. Dal 1951 ad oggi ci siamo divorati oltre un terzo della superficie italiana libera da asfalto e cemento: più di 11 milioni di ettari. In Germania hanno varato un piano per il risparmio del suolo che entro il 2020 consentirà incisive economie. Nel Regno Unito il rapporto chiesto da Tony Blair ad un famoso architetto Richard Rogers concentra all'80 per cento le nuove costruzioni nell'ambito di quartieri già esistenti e di aree industriali dismesse. Da noi la Regione Toscana ha approvato una legge per il risparmio di suolo. Il programma dell'Unione prevedeva misure nazionali analoghe.

Ma, intanto, una edilizia di pura speculazione galoppa per ogni dove, senza una strategia di governo del territorio e del paesaggio affidato, quest'ultimo, alle fragili mani di Comuni che tanto spesso sono stati inerti nei confronti del cemento (legale e abusivo) e alle indebolite strutture delle Soprintendenze ministeriali. Non è un delitto storico buttar via così il Bel Paese? «Vieni nel paese dove fioriscono i limoni» (W.Goethe) sarà presto sostituito da «non venite nel paese dove fioriscono gli abusi e gli ecomostri»? Un bel guadagno. La grande agenzia Future Brand ci mette ancora al 1° posto per arte e storia, ma dopo il 10° per la natura e dopo il 15° per le spiagge. Vogliamo precipitare ancora? Siamo sulla buona strada.

Un viaggio nella bellezza dei centri storici e dei paesaggi italiani, avendo ben presenti però i guasti della bruttezza, della sciatteria, dell’incultura. Vittorio Emiliani, giornalista e scrittore, specialista di beni culturali e ambientali, ha curato questo viaggio per una serie tv dal titolo Bella Italia che patria mi sei (ricavato da una cantata di sapore risorgimentale di Gaetano Donizzetti). Il programma andrà in onda sul canale satellitare Raisat Premium.

La prima puntata (oggi, ore 16.30) è dedicata a «Città e borghi»: un tesoro minacciato; la seconda è tutta sui «paesaggi italiani»; mentre la terza e la quarta sono rispettivamente dedicate al «paesaggio agrario» e ai grandi monumenti e siti, dedicati a «santi e guerrieri» che diedero luogo a una vera e propria economia di rappresentanza.

Non è soltanto un viaggio «nostalgico» alla ricerca della bellezza che fu e che pure - tra mille attentati - resiste, ma un richiamo ad una presenza fattuale della cultura della tutela e del recupero nell’agire politico. «Presenza perduta», come ci ricorda lo stesso Emiliani in questo primo articolo di una breve serie su questi temi.

I nostri centri storici, o almeno quella parte rilevante di essi salvatasi dagli orrendi «sventramenti» umbertini, mussoliniani e pure post-bellici, si possono oggi dire conservati, per noi e per i posteri. A meno di un impazzimento del Paese, che porti ad un ritorno di fiamma di quanti - e non mancano di certo, fra architetti e costruttori - vorrebbero costruire cose e case nuove dentro le città murate col pretesto che non bisogna fare delle città «un museo» (come se poi il «luogo sacro alle Muse», cioè il museo, fosse un sepolcreto). Al contrario, di recente, accanto alle città antiche si sono inserite nelle salvaguardie dei piani regolatori generali (dove ancora si fanno, a Milano, per esempio, non più) le stesse città del primo Novecento. A Roma, la cosiddetta «città di Nathan», cioè Mazzini-Delle Vittorie, San Saba, ecc. ha avuto lo stesso trattamento normativo di quella ricompresa entro le Mura Aureliane. E un grande architetto come Renzo Piano ha affermato che bisogna pensare soprattutto al restauro. Al recupero e al restauro. «Italia da salvare», fu il fortunato e polemico slogan lanciato da Italia Nostra nel suo periodo più felice - quello con Giorgio Bassani presidente e Bernardo Rossi Doria segretario generale - e che faceva seguito alle indignate campagne di stampa condotte da Leonardo Borgese prima e da Antonio Cederna poi. Quest’ultimo sulle colonne del Mondo di Mario Pannunzio e, più tardi, del Corriere della Sera di Giulia Maria Crespi. La sinistra, all’epoca, assunse come proprie queste bandiere, per i centri storici e per il paesaggio. Erano di area socialista o comunista (ma pure della sinistra dc) gli architetti e gli urbanisti e quindi i politici che sostenevano queste battaglie insieme alla rivendicazione di una più moderna legge urbanistica che aggiornasse quella, pur eccellente, del 1942 (alla quale aveva lavorato il giovane Luigi Piccinato). Alla direzione generale per l’urbanistica del Ministero dei Lavori Pubblici, attorno all’incorruttibile Michele Martuscelli, socialista, si stava creando un valido gruppo di tecnici (Pontuale, Basile, De Lucia e altri). Fu Giacomo Mancini, ministro nel 1965, a vincolare a parco pubblico i primi 2.500 ettari dell’Appia Antica, mentre a Bologna la giunta Dozza, assessore Armando Sarti, vincolava a verde l’intera collina sotto San Luca, San Michele in Bosco e l’Osservanza. Per Urbino venne ottenuta una prima legge speciale grazie alla campagna «Urbino crolla» lanciata da Paolo Volponi, altro uomo di sinistra (non a caso impegnato in esperienze di avanguardia alla Olivetti di Ivrea) e la giunta Pci-Psi, guidata da un ex falegname comunista, Egidio Mascioli, incaricò Giancarlo De Carlo di redigere, con una vasta partecipazione democratica, il PRG di quel mirabile centro storico. C’era insomma un grande fervore, a sinistra, attorno a queste tematiche della conservazione e della tutela, anche se a scriverne erano (o eravamo), anche allora, in pochissimi.

Da questo dibattito su passato e presente delle città italiane, svoltosi anche all’interno dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, creato e per anni presieduto da Adriano Olivetti, e che avrebbe avuto quale guida uno specialista del livello del fiorentino Edoardo Detti, in origine azionista, poi socialista, assessore della giunta La Pira, da questo dibattito, dicevo, doveva prendere le mosse a Bologna - divenuta, con Guido Fanti sindaco, autentico laboratorio politico-amministrativo - il progetto altamente innovativo per il recupero, il restauro e il riuso delle case popolari antiche del centro col fine dichiarato di mantenervi i residenti. Eravamo alla fine degli anni ’60. L’assessore che lavorava a tale progetto coi tecnici comunali, fra i quali c’era Felicia Bottino, poi assessore regionale, era Pier Luigi Cervellati, architetto poco più che trentenne, all’epoca indipendente di sinistra. La sua tesi di fondo: il centro storico costituiva «una ossatura portante del territorio», il punto di partenza della crisi urbana in atto con l’espulsione dei ceti più poveri e la trasformazione speculativa degli antichi quartieri in residenze di lusso, pied-à-terre, uffici, studi, atelier, ecc. Partendo dal rinnovo urbano dei medesimi e dal mantenimento delle residenze popolari, il processo doveva «successivamente investire anche la estrema periferia (…) per attuare una alleanza politica di forze popolari in grado di rivendicare la espansione qualitativa (socialmente e culturalmente) della città». Contemporaneamente il deputato lombardiano Michele Achilli, con un vasto gruppo milanese (Redaelli, Cutrera, Guiducci, Dragone), sviluppava l’azione politica che avrebbe portato prima alla legge-ponte per l’urbanistica e poi alla legge sulla casa n. 865. Politiche fondate sulla preminenza dell’affitto rispetto alla proprietà individuale della casa e su di un forte investimento pubblico nell’edilizia economica e popolare ridotta al 4 per cento (dov’è ora riprecipitata, ultima in Europa, in assenza, anche nel centrosinistra, di una organica politica a favore di essa) rispetto al 25 per cento dei Paesi Ue più avanzati. L’Olanda supera il 30 per cento.

Quello di Cervellati a Bologna fu, difatti, un Peep, cioè un Piano per l’edilizia economica e popolare. Presentato nel 1972, sindaco Renato Zangheri, e adottato l’anno dopo (la vicenda l’ha raccontata Vezio De Lucia nel sempre attuale Se questa è una città, Editori Riuniti, seconda edizione Donzelli, 2006 n.di eddyburg). Con Armando Sarti, assessore al bilancio, che ebbe la brillante idea di far acquistare alcuni ruderi da restaurare, con l’amministrativista Antonio Predieri che teorizzò l’applicabilità delle leggi per l’edilizia economica ai quartieri antichi, con Franco Briatico (uno di Italia Nostra) il quale, da liquidatore della Gescal, finanziò questo di Bologna come, in futuro, altri progetti di recupero in diverse città. Ci furono formidabili opposizioni, di ogni tipo, anche nel Pci. Dove c’era chi combatteva questa linea sostenendo che le tipologie ricavate da Cervellati e dai suoi tecnici a Bologna erano soltanto «paccottiglia» e non invece - come poterono dimostrare - strutture-modello rispuntate, guarda caso, nelle costruzioni del Villaggio Olimpico di Monaco di Baviera. Altre città seguirono l’esempio di Bologna, al Nord (Ferrara, Modena, Vicenza, ecc.) e al Sud (Taranto). Qualcosa fece pure Roma (San Paolo alla Regola, Tordinona). Recuperi molto significativi che servirono a confermare come i centri storici potevano venire rivitalizzati e vissuti, e non ridotti a bei gusci vuoti. Si dimostrò, fra l’altro, cifre alla mano, che un metro quadro di edificio storico recuperato costava la stessa cifra e anche meno dell’edificio nuovo (che però si mangiava altro suolo prezioso ed esigeva nuovi servizi, onerosissimi).

A Bologna si recuperarono centinaia di alloggi, si crearono studentati, ma, ad un certo punto, commercianti e affittacamere indurirono la loro resistenza. Quando poi si passò, nel 1977, ad un piano per «il rinnovo di Bologna», cioè al recupero su vasta scala del patrimonio soltanto «vecchio» degli Istituti Case Popolari in periferia, cominciò l’insabbiamento, per l’offensiva sempre più decisa di immobiliaristi e costruttori. Che lucravano (e lucrano) profitti facilissimi su di una espansione edilizia ininterrotta, scaricando gli oneri di urbanizzazione in gran parte sui Comuni.

In quello stesso torno di tempo veniva trasferita alle Regioni sia l’urbanistica, sia (sbagliando clamorosamente) la tutela del paesaggio. Per la quale ultima si verificò tuttavia la più totale immobilità delle Regioni stesse. Al punto che nel 1985 il Parlamento si vide costretto a varare (quasi alla unanimità) una legge di sostanziale supplenza, la legge Galasso, n. 431, con cui si prescriveva agli enti regionali di redigere entro un anno dettagliati piani paesistici al fine di salvaguardare quel paesaggio che Giulio Carlo Argan, in un memorabile intervento al Senato, aveva definito «il palinsesto, il grande libro nel quale si leggono millenni della nostra storia». Poche furono le Regioni che provvidero tempestivamente alla bisogna (Emilia-Romagna, Marche, Liguria), altre seguirono, altre furono surrogate dal centro, cioè dalle Soprintendenze, per esempio, la disastrata Campania, sotto il coordinamento dell’indimenticabile Antonio Iannello. Altre ancora, come la devastata Sicilia, nulla fecero, né hanno mai fatto. Dunque, nel ventennio ’60-’80, le sinistre si posero spesso alla guida di un movimento culturale e politico che puntava alla tutela attiva delle città tradizionali e del paesaggio (si ricordi l’azione di Luigi Petroselli per il parco dei Fori pensato da Cederna), ad una strategia di quantità/qualità per l’edilizia più economica (si pensi a certe esperienze della ricostruzione napoletana). Grazie ad esse, il nostro Paese - che pure era flagellato, specie a Roma e nel Sud - da un abusivismo terribile, dai costi sociali spaventosi, risultava all’avanguardia in Europa. Dov’è finito quel fervore culturale, dov’è finita quella elaborazione generosa e avanzata, se oggi vi sono governatori, presidenti e sindaci di centrosinistra, i quali sparano a zero contro i vincoli paesistici delle Soprintendenze (una volta, vedi Bologna, li mettevano loro), invocano mani più libere per «non fare delle città e del paesaggio» altrettanti «musei»? Non si accorgono di usare espressioni che anni fa erano dei costruttori? Quale mutazione genetica è avvenuta a sinistra?

(1-continua)

Imballano e trasportano. Montano e smontano, tu scegli e loro ricreano in giardino. È l'Ikea del paesaggio, il grande magazzino illegale della casa in campagna. Comprare un trullo made in Puglia, originalissimo, garantito pietra per pietra, è facilissimo. Costoso, ma facile. Quarantamila euro tutto compreso, trasporto e montaggio: le chianche e le chiancherelle - il pavimento e i piccoli mattoncini che ricoprono i tetti delle caratteristiche case in pietra della campagna pugliese - vengono attentamente scomposte, imballate, caricate nei camion. E poi rimontate nelle campagne toscane, nelle ville della Brianza. "C'è un trullo anche in Giappone", giurano i contadini che da queste parti tutti i giorni fanno i conti della razzia: a Martina, a Noci, a Conversano.

Il fenomeno del trullo da asporto è il nuovo grande business pugliese sul quale la procura di Bari sta indagando da qualche mese. A smontare e rimontare è gente del posto, 'mastri trulli': soltanto in pochi custodiscono il segreto dell'igloo di pietra. Per i lavori di fatica si fanno aiutare da manovalanza straniera, albanesi soprattutto. Ma il sospetto è che tra i ladri di territorio si nasconda anche la criminalità organizzata: "Sicuramente alle spalle c'è un'organizzazione che gestisce gli affari. Probabilmente non è pugliese. Sono loro che prendono le ordinazioni, chiudono gli affari e poi ordinano a gente locale di smontare e impacchettare tutto", spiega Francesco Greco, comandante della Polizia provinciale. Al momento sul tavolo della procura di Bari ci sono due inchieste. La prima, coordinata dal sostituto procuratore Renato Nitti, nasce a marzo quando nelle campagne di Conversano (venti chilometri da Bari) gli agenti scoprono pedane in legno nascoste in un anfratto. Si avvicinano e ci trovano un trullo. Era stato smontato con grandissima arte, ciascuna pietra marchiata, i pezzi posizionati in modo da non poterli confondere. Il tutto impacchettato con una rete metallica, per agevolare il trasporto. Due ore dopo sul posto arrivano due albanesi, pronti a caricare camion. Li arrestano in flagrante, la magistratura si muove. L'obiettivo è arrivare ai vertici dell'organizzazione. L'indagine sembrerebbe a un buon punto, tanto che la Polizia provinciale nell'ultima informativa abbozza anche un prezzario: "Le chianche nuove di cava hanno un valore tra i 20 e i 30 euro al metro quadrato. Quelle asportate illegalmente vanno dagli 80 ai 100. Una stima simile si può fare per le chiancarelle. Per un intero trullo il corrispettivo economico nel mercato nero è di ventimila euro, a cui ne andrebbero aggiunti altrettanti per il montaggio in altra località".

Non solo trulli. Il commercio del paesaggio ha in catalogo anche muretti a secco, scalini, capitelli ornamentali. Addirittura i Menhir. Nelle campagne di Terlizzi, due settimane fa, qualcuno aveva già smosso da terra una delle quattro sculture neolitiche della zona. Doveva soltanto passare a riprenderla, pronta per la spedizione. Sono arrivati prima i carabinieri.

La seconda inchiesta della Procura di Bari sui ladri di territorio riguarda invece le pietre (meravigliose) utilizzate per realizzare i muretti a secco e nasce da un esposto di Legambiente: "Esistono", spiega Francesco Tarantini, presidente regionale dell'associazione, "dei veri e propri depositi di stoccaggio provvisorio delle pietre murgiane. Per essere trasportate senza problemi nei documenti di viaggio risultano essere 'balle di pietre per il contenimento di frane'". Sulla vicenda indaga il sostituto procuratore, Roberto Rossi. Probabilmente però l'organizzazione è unica.

Ma come si fa a comprare un trullo o ad avere un muretto a secco originale nel giardino della propria villa? Se si scende in Puglia per turismo, basta girare per le masserie della Valle d'Itria, fare una buona offerta a un contadino, se si è fortunati nel giro di 24 ore si chiude un affare. Questa strada (almeno per quanto riguarda i trulli) è però poco praticata. "Più semplice", spiegano da Legambiente, "rivolgersi ad alcune aziende del Nord, che si occupano di architettura da giardino. Offrono il pacchetto chiavi in mano".

Alla IV Commissione del Consiglio regionale

Baia di Sistiana. Memoria del WWF

1. L’incuranza per i valori ambientali

Il progetto di “valorizzazione turistica” comporta la distruzione di oltre di 2 ettari di area boscata interna al SIC IT 334001 “Falesie di Duino” (oggi compreso all’interno del SIC/ZPS IT 3340006 “Carso triestino e goriziano”), distruzione già in gran parte attuata, con il consenso della Regione che avrebbe dovuto impedirla.

Il progetto prevede inoltre la trasformazione in parcheggio – e la sostanziale distruzione - di una superficie di circa 16 ettari, a boscaglia e landa carsica (con presenza anche di doline).

Il progetto prevede ancora la costruzione di una darsena artificiale, in un’area dal problematico equilibrio idrogeologico (rischio di interferenza con la falda carsica).

Il tutto in un’area tutelata, in teoria, dal vincolo paesaggistico. E’ significativo che perfino le disposizioni, molto precise, sancite nel 1992 dal Ministero per i beni culturali, per quanto concerne gli interventi nell’area della ex cava di Sistiana, sono state platealmente disattese e contraddette dagli organi preposti alla tutela del paesaggio (Regione e Soprintendenza). Secondo le prescrizioni del Ministero, infatti, “Il ciglio naturale alla sommità del costone roccioso, costituente l’attuale fronte di cava, deve essere conservato nel suo profilo attuale, con l’esistente coronamento di alberature e di verde (piano boscato) da sistemare, reintegrare e migliorare opportunamente … al fine di garantire la continuità dei profili paesaggistici naturali dell’intero comprensorio…”.

A nulla sono serviti gli appelli, le proposte, i documenti inviati nel corso di alcuni anni in varie forme (osservazioni nell’ambito della VIA, osservazioni sugli strumenti urbanistici, lettere aperte agli amministratori comunali e regionali, ecc.) dal WWF, da Italia Nostra e da altri, allo scopo di far modificare il progetto, almeno nei suoi contenuti di maggiore impatto sull’ambiente ed il paesaggio.

Merita considerare, soprattutto, il danno a lungo termine che l’intervento “turistico” nella Baia di Sistiana produrrebbe per quanto concerne la conservazione della biodiversità lungo l’importantissimo “corridoio ecologico” rappresentato dalla fascia costiera in Provincia di Trieste (cfr. i pareri del prof. Livio Poldini, all. 1 e 2).

Su tutto ha prevalso la volontà dei proprietari della Baia, sui quali si sono appiattiti sia il Comune di Duino-Aurisina, sia la Regione, di realizzare l’intervento di “valorizzazione turistica” della Baia, nei termini quantitativi (per quanto concerne le volumetrie, gli spazi occupati, i volumi di escavazione, ecc.) previsti fin dall’inizio dell’operazione (cioè nel 2000), senza alcuna modifica sostanziale.

Hanno anche avuto il sapore della beffa, le dichiarate volontà di “mediazione” tra le parti in conflitto, da parte del Presidente della Regione, Illy, emerse dalla stampa (e soltanto da questa) agli inizi del 2005. Una pura operazione di immagine, con un Presidente autonominatosi esperto di paesaggio e come tale pronto a certificare la bontà del progetto, pur proponendone delle modifiche “migliorative”. Modifiche spacciate all’opinione pubblica con finalità palesemente truffaldine, perché o già previste nelle “prescrizioni” del provvedimento di VIA, o semplicemente irrealizzabili (come il rispetto del ciglio della cava, già distrutto con il “modellamento” di cui sopra).

2. L’incuranza per le leggi

Tutte le norme vigenti in materia urbanistica e ambientale sono state forzate, se necessario, per consentire la realizzazione dell’intervento nella Baia nei termini voluti dai proprietari.

Così è stato per quanto concerne le procedure di approvazione della variante al PRGC e del piano particolareggiato (violata la legge urbanistica regionale, per quanto concerne la discussione in Consiglio comunale delle osservazioni). Così anche per la normativa regionale sulla VIA (è stata forzata una conclusione positiva dell’iter, pur in presenza di danni al SIC “Falesie di Duino”, di compensazioni inesistenti, di evidente e clamorose lacune nello studio di impatto ambientale).

Così ancora per l’enorme escavazione (a fini commerciali), ammessa sotto le mentite spoglie di un “modellamento”, prescindendo da qualsiasi normativa regionale sulle attività estrattive, nell’ex cava di Sistiana. E’ opportuno ricordare che la gran parte del materiale scavato a Sistiana viene utilizzato ai lavori di costruzione del “MOSE” nella laguna di Venezia.

Così è stato anche per quanto concerne la perdurante scandalosa mancanza di atti fondamentali per la tutela dell’ambiente e del paesaggio, pur previsti per legge da molti anni ma ancora inesistenti (piano paesaggistico, di cui alla Legge 431 del 1985, piani di gestione dei SIC, previsti dal DPR 357 del 1997, piani di conservazione e sviluppo delle riserve naturali, previsti dalla legge regionale 42 del 1996), che per logica avrebbero dovuto precedere interventi di grande portata come quelli proposti a Sistiana, al fine di costituirne il quadro di riferimento programmatico.

Risalta, in un simile contesto, la sostanziale inerzia degli organi pubblici che a vario titolo dovrebbero assicurare il rispetto delle norme e delle procedure.

Emblematico il fatto che le associazioni ambientaliste (WWF e Italia Nostra) siano dovute ricorrere alla giustizia amministrativa e penale, nel tentativo di ottenere il rispetto delle leggi violate. Non è certo irrilevante il fatto che in tutte le cause amministrative avviate, WWF e Italia Nostra si siano trovate a lottare contro una coalizione di forze che riuniva i proprietari privati della Baia, il Comune di Duino-Aurisina e la Regione Friuli-Venezia Giulia.

urtroppo, neppure tali iniziative si sono rivelate in grado di fermare lo scempio in atto dalla primavera del 2004, anche per un inspiegabile voltafaccia del TAR, che nel settembre 2005 respingeva il ricorso di WWF e Italia Nostra contro le autorizzazioni al “modellamento” dell’ex cava di Sistiana, contraddicendo la propria precedente sentenza del dicembre 2004 sullo stesso argomento.

3. L’incuranza per i diritti dei cittadini

L’intera operazione Sistiana denota inoltre un evidente disprezzo delle istituzioni pubbliche locali per i diritti dei cittadini. In primo luogo il diritto all’informazione, come dimostra ad abundantiam il fatto che nessuna iniziativa di informazione ed illustrazione del progetto di “valorizzazione turistica” è stata promossa dal Comune di Duino-Aurisina. Ciò malgrado le reiterate richieste delle associazioni ambientaliste e le promesse - regolarmente disattese – del sindaco Ret. Eppure si tratta di un progetto che incide in modo sostanziale, sia sull’aspetto, sia sulla conformazione dei luoghi, sia sulla fruizione tradizionalmente consolidata di un ampio tratto di costa.

Del tutto assente, in materia, anche la Regione.

Va ancora sottolineato come in più occasioni siano state tentate operazioni di autentica disinformazione, nei confronti dell’opinione pubblica. Ad esempio quando si è cercato di accreditare la tesi secondo cui i lavori nell’ex cava consistevano nella “messa in sicurezza” della stessa (laddove il progetto menzionava esplicitamente il “modellamento finalizzato alla realizzazione delle opere edilizie previste nel piano particolareggiato approvato”, con l’estrazione di 780.000 metri cubi di roccia). Oppure quando per mesi, senza mostrarne alcun dettaglio (in quanto i documenti erano stati “secretati” dal sindaco), si sosteneva tuttavia che il “nuovo” piano particolareggiato adottato nel settembre 2005, era sostanzialmente diverso dal precedente (la cui approvazione era stata, come detto, annullata dal TAR su ricorso di WWF e Italia Nostra).

Un semplice confronto delle carte, permette agevolmente di capire come le “novità” siano del tutto marginali e che quasi nulla sia mutato tra le due versioni del piano. Nulla, in particolare, per quanto concerne gli impatti sull’ambiente ed il paesaggio e gli aspetti relativi alla fruizione pubblica della Baia.

Sono scomparse, invece, le simulazioni dell’aspetto del villaggio turistico “istro-veneto” previsto alla base dell’ex cava (con il finto campanile, ecc.).

In secondo luogo, anche l’unico strumento previsto dalla normativa vigente, per la partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche, è stato svilito e vanificato (v. sopra par. 2), con la mancata discussione in Consiglio comunale delle osservazioni presentate dai cittadini.

In terzo luogo, va ricordato che il tentativo del Comitato “L’altra Baia” di indire un referendum consultivo comunale sul progetto, è stato vanificato, con motivazioni discutibili.

Sorprendono perciò le reiterate affermazioni del sindaco Ret, circa il fatto che la grande maggioranza dei cittadini di Duino-Aurisina sarebbero favorevoli al progetto, poiché nessun riscontro oggettivo esiste (perché lo si è voluto cercare) in tal senso.

Sconcerta, infine, l’iniziativa assunta dal Consiglio comunale di Duino-Aurisina e fatta propria dal sindaco, nel senso di studiare con i propri legali la possibilità di “rivalersi” nei confronti degli ambientalisti, per il tempo perduto e le spese sostenute a causa delle azioni legali intentate da WWF e Italia Nostra (!).

Trattasi certo soltanto di un mero – e sgangherato – tentativo di intimidazione verso gli oppositori più tenaci del progetto. Tuttavia, il fatto stesso che una simile iniziativa sia stata votata a maggioranza in Consiglio comunale e che abbia suscitato scarse reazioni anche tra le forse politiche di opposizione, preoccupa non poco, in quanto sintomo di una concezione alquanto distorta della democrazia e del rapporto tra i cittadini e chi rappresenta le istituzioni elettive.

4. L’incuranza per il contesto

Un intervento di grande portata, come quello prefigurato nel progetto di “valorizzazione turistica”, richiederebbe una grande attenzione al contesto territoriale ed ambientale, al fine di armonizzarlo – se possibile – con quanto già esiste e garantirne la compatibilità complessiva.

In quest’ottica, fin dall’inizio WWF e Italia Nostra avevano aggiunto alle proprie osservazioni sul progetto, una serie di proposte per le “condizioni al contorno”, che coinvolgevano diversi altri Enti e soggetti, oltre al Comune di Duino-Aurisina. Tra questi i primo luogo la Regione (per quanto riguarda gli aspetti relativi alla pianificazione paesistica, l’ampliamento e la gestione delle aree protette, lo sviluppo di linee di trasporto marittimo alternativo a quello motorizzato privato, ecc.), ma anche l’ANAS (per una serie di interventi di ripristino ambientale sulla viabilità adiacente la baia, per cercare di ripristinare una continuità tra il corridoio ecologico lungo la fascia costiera ed il Carso retrostante), ecc.

Nessun ascolto hanno avuto tali proposte, ancorché più volte reiterate, da parte degli interlocutori istituzionali.

Un intervento come quello prospettato per Sistiana, avrebbe inoltre richiesto un serio approfondimento sulla fattibilità e la sostenibilità economica dell’operazione, per esempio attraverso la produzione (e l’analisi da parte sia del Comune, sia della Regione) di un business plan. Nulla di tutto ciò è stato prodotto, né richiesto dagli enti competenti. Eppure, di fronte ad un intervento di tale portata, proposto da società prive di qualsiasi credibile esperienza pregressa nel settore, con una capofila dichiaratamente attiva soltanto nel settore immobiliare (l’ Immobiliare Santo Gervasio e Protasio di Mantova), un approfondimento di questo aspetti avrebbe dovuto rappresentare un’esigenza primaria e ineludibile per qualsiasi serio amministratore della cosa pubblica.

Non esiste, pertanto, alcuna seria garanzia circa il fatto che l’intervento proposto possa effettivamente essere realizzato, né che lo stesso – dopo aver impegnato per anni gran parte delle risorse tecniche ed amministrative del Comune di Duino-Aurisina – si risolva davvero in un “volano di sviluppo economico” per tutto il Comune, come i sostenitori pedissequamente ripetono, anziché (come appare invece assai più verosimile, viste le esperienze fatte con analoghe operazioni, per esempio a Muggia - Porto San Rocco) in una semplice speculazione immobiliare incentrata sulla compravendita di prime e seconde case.

5. Conclusioni

La triste vicenda della Baia di Sistiana è purtroppo emblematica, rispetto all’atteggiamento generalmente assunto dalla classe dirigente locale (o almeno dalla maggior parte di essa) nei confronti dei temi ambientali. Il Friuli – Venezia Giulia, in questo senso, rappresenta probabilmente uno dei punti più bassi raggiunti dal ceto politico nazionale, in sostanziale continuità tra centro – destra e centro - sinistra.

Un atteggiamento fatto – come si è visto da quanto precede - di supponenza, pressoché totale ignoranza (voluta) del merito delle questioni e dei problemi, disprezzo per il ruolo ed i diritti dei cittadini, noncuranza delle leggi, ma anche asservimento delle istituzioni pubbliche ad alcuni interessi privati. Interessi, per lo più, rappresentati dalla rendita speculativo-immobiliare, come il caso Sistiana ha ampiamente dimostrato.

Emblematica, a tale proposito, la svendita della cava di Sistiana (fino al 2003 proprietà della Regione) ai proprietari del resto della Baia. La cava, strategica per posizione e per dimensioni nell’ambito del progetto di “valorizzazione turistica”, avrebbe potuto (e dovuto) rappresentare una carta fondamentale da giocare per ottenere dai privati modifiche sostanziali del progetto, nel senso del suo ridimensionamento per ragioni di tutela ambientale e paesaggistica. Oppure, almeno, per ottenere in cambio garanzie serie di ricadute economiche ed occupazionali a beneficio del territorio.

La cava è stata invece svenduta per un prezzo ridicolo, verosimilmente presto recuperato dagli acquirenti con la semplice vendita della roccia scavata per il “modellamento”…

13 giugno 2006

Dario Predonzan, Carlo Della bella

Responsabile settore territorio Responsabile Sezione WWF Friuli – Venezia Giulia di Trieste

Illustre Signor Presidente,

torniamo a rivolgerci a lei perché siamo molto preoccupati della spirale legislativa con cui si sta rapidamente smantellando quel complesso sistema di salvaguardie che sono state elaborate in oltre mezzo secolo di studi, d’impegno e militanza ambientalista a tutela del nostro patrimonio culturale, artistico e ambientale. Siamo ben consapevoli che lo sviluppo è necessario e positivo, e che viviamo in una economia di mercato, ma al tempo stesso riteniamo anche che non è vero sviluppo quello solo quantitativo di produzione e di consumi. La nostra Costituzione, all’articolo 9 tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione e oggi noi vediamo questi inestimabili beni collettivi fatti oggetto di mercato attraverso leggi che riteniamo profondamente sbagliate. In particolare siamo preoccupati degli esiti infausti della legge delega sull’ambiente passata in Senato il 14 ottobre scorso. Riteniamo che si tratti di un provvedimento che sancisce una illimitata sanatoria degli abusi paesaggistici anche in aree vincolate. Inoltre, giudichiamo scorretta e pericolosa la scelta di esautorare il Parlamento dalla discussione e approvazione legislativa su materie centrali per il Paese come la gestione dei rifiuti, la tutela dell’aria e delle acque, la lotta alla desertificazione, la gestione delle aree protette e la valutazione d’impatto ambientale.

Vogliamo anche dire con chiarezza che il nostro giudizio, come quello di molte altre associazioni ambientaliste, non è legato a scelte di schieramento o di maggioranza di governo. Riteniamo che, al di là delle maggioranze e dei governi che mutano, non può dirsi civile un paese che rinunzi a salvaguardare gli antichi e sacri paesaggi dove sono incastonati i nostri centri storici e i monumenti naturali, testimonianza di una continuità culturale unica al mondo.

E’ per questo che ci rivolgiamo rispettosamente e con fiducia a Lei, come garante della legalità costituzionale e custode del l’identità nazionale, per chiederle di non firmare la legge delega per l’ambiente nel caso dovesse passare anche alla Camera.

Qui trovate il modulo per firmare via e-mail

ITALIA NOSTRA

PRONTE 10 MEGA TORRI EOLICHE

DA 110 METRI

Altro che sindrome Nimby (not in my backyard-non nel mio giardino). La guerra all’eolico ormai diffusa in tutta Italia con decine di comitati locali è, al contrario, una battaglia in difesa degli interessi nazionali.

L’arrivo dei padroni del vento con la multinazionale spagnola Gamesa in Maremma, è il sintomo più grave di un attacco generalizzato al patrimonio paesaggistico italiano. A Scansano(Gr), così come a Campobasso, si progettano centrali eoliche che vanno a turbare monumenti di valore nazionale, il cui valore è in larga parte determinato dall’essere ancora immersi nel contesto ambientale originario nel quale sono nati.

In Molise, 16 torri eoliche di 126 metri minacciano gli scavi archeologici dell’antica città di Saepinum, posta a cavallo del tratturo più famoso d’Italia (Pescasseroli - Candela), con effetti disastrosi pur essendo a sei chilometri e mezzo di distanza. E se ne è accorta anche la Regione Molise che su questo caso ha decretato una moratoria dell’eolico.

A Scansano, invece, la distanza tra il Castello di Montepò e i più grandi apparati industriali mai costruiti dall’uomo, sarebbe di soli due chilometri e mezzo.

Non a caso, in questo comprensorio, il PTC (Piano Territoriale di Cordinamento) della Regione Toscana, prescrive che gli stessi interventi “legati all’attività agrituristica e alla valorizzazione della produzione vinicola saranno realizzati secondo criteri di rigorosa compatibilità con l’integrità del contesto ambientale[...]”.

“Se perfino in Maremma, fino ad oggi luogo esemplare di gestione del paesaggio italiano”, ha dichiarato Oreste Rutigliano, Coordinatore del Comitato Nazionale del Paesaggio “dovesse passare questa aberrazione, vuol dire realmente che siamo di fronte ad una emergenza nazionale. La Regione Toscana, bloccando questo insediamento ci riconfermi che vuole essere ancora un punto di riferimento di buon agire culturale”.

LEGAMBIENTE CONTRO ITALIA NOSTRA

SI' A EOLICO SCANSANO (AGI)

Legambiente si costituira' "ad adiuvandum" della Provincia di Siena - nonche' del comune di Scansano, della Regione Toscana e della Sopraintendenza di Siena - in difesa del parco eolico di Scansano, per ottenere che sia respinto il ricorso presentato da Italia Nostra che, se accolto, bloccherebbe la realizzazione dell'impianto. Come spiegano in una dichiarazione il presidente nazionale di Legambiente Roberto Della Seta e Fausto Ferruzza, segretario di Legambiente Toscana, questa scelta ha un obiettivo pratico e un significato simbolico: "Le dieci pale eoliche di Scansano - sottolineano i dirigenti di Legambiente - sorgeranno dove ci sono gia' i tralicci, di analoga altezza, di un grande elettrodotto, dunque il loro impatto paesaggistico sara' molto limitato. D'altra parte, esse consentiranno di approvvigionare con energia pulita quasi 50 mila persone, per un significativo risparmio di emissioni inquinanti". Per tutto questo, aggiunge Legambiente, battersi contro un intervento cosi' vuol dire negare le ragioni stesse dell'ambientalismo: "Dire no all'eolico, come alle metropolitane o agli impianti di compostaggio dei rifiuti - affermano Della Seta e Ferruzza -, e' ostacolare una vera riconversione ecologica dell'energia, dei trasporti, in generale dell'economia e della societa'. Nel caso di Scansano, dire no al parco eolico significa ostacolare 'la Maremma che vogliamo': senza nuova autostrada, con un'Aurelia finalmente sicura, ma anche con un modello di produzione e consumo di energia meno legato ai combustibili fossili e di piu' alle fonti pulite".

Postilla a Legambiente

Chi non conosce il territorio pensa che se una soluzione tecnica buona lo è indifferentemente dappertutto. I pannelli solari sono buoni? Allora installiamoli anche sul Colosseo, e magari sotto i portici di San Pietro. Le torri eoliche sono buone? E allora fottiamocene del paesaggio, magari anche dove il vento è poco.

Che dire poi dell’affermazione “le dieci paleeoliche sorgeranno dove ci sono già i tralicci”? Ricordo che Chicco Testa, quando non era più presidente di Legambiente ma lo era dell’ENEL si propose di eliminare i tralicci dove disturbavano il paesaggio…

Nota: Qui su Eddyburg, per metodologie non arbitrarie di decisione riguardo al territorio e nuove tecnologie energetiche, anche due contributi recenti nei casi dell'Australia e del Regno Unito ; su Mall/Piani, anche alcune linee guida alla progettazione sostenibile (non solo per l'eolico) della East of England Regional Assembly (f.b.)

Carlo Ripa di Meana Italia Nostra; Gianni Mattioli Movimento Ecologista; Fulco Pratesi Wwf Italia; Valentino Podestà Italia Nostra Toscana; Nicola Caracciolo Pres. Italia Nostra Toscana; Vittorio Emiliani Comitato per la Bellezza; Roberto Della Seta Legambiente; Giulia Maria Crespi Presidente del Fai

Egregio Direttore, sembra chiaro che si vuole rapidamente concludere, prima che cambi il Governo, l'iter amministrativo per il via libera all'autostrada Livorno-Civitavecchia. La valutazione d'impatto ambientale è stata fatta poche ore prima delle elezioni. Il Cipe dal canto suo si precipita benché nessuno sappia come finanziare il progetto a dare il benestare. La riunione è prevista per il 18 aprile.

E' un momento questo in cui classe politica, stampa, opinione pubblica si interessano di altro: nella disattenzione generale sta per consumarsi l'ennesimo spreco di denaro pubblico. Le associazioni ambientaliste si sono sempre opposte a questo inutile, costoso e devastante progetto.

La bellezza della Maremma toscana e laziale è parte del patrimonio nazionale. La sua economia, basata su agricoltura e turismo, va difesa da inquinatori e cementificatori.

Non è vero che l'Europa ci chiede questa autostrada. Al contrario la Direzione dei Trasporti della Comunità Europea ha riaffermato la contrarietà ad altri investimenti per i trasporti su gomma per lunghi percorsi. Occorre invece puntare su ferrovie e su cabotaggio marittimo. Per i collegamenti tra Civitavecchia e Livorno, occorre adeguare e adeguare subito la pericolosissima Aurelia.

Non vogliamo riprendere i termini di una lunghissima pluridecennale discussione. Invece sottolineiamo che è stato eletto un nuovo Parlamento e che ci sarà presto un nuovo governo che dovrà riesaminare le proprie priorità. Quanti soldi si potranno spendere? Tra istruzione, ricerca scientifica, sanità e via enumerando, quali sono le priorità?

Un minimo di riguardo e di correttezza imporrebbe di aspettare che il nuovo Governo sia stato insediato.

Metti il suolo... Uno non se lo pone mai il problema di sapere che suolo è quello che sta calpestando. Eppure da noi esistono entisuoli, inceptisuoli, vertisuoli, mollisuoli, alfisuoli, Ultisuoli, aridosuoli, spodosuoli, oxisuoli, histosuoli, andisuoli... A guardarsela così quest´Italia appena riapparsa sulle pagine del nuovo Atlante dei tipi geografici dell´Istituto Geografico Militare, evoca prima il sogno borgesiano della mappa uno a uno. Subito dopo, però, è l´Oscar Wilde del Ritratto di Dorian Gray che ti viene in mente...

Il Vesuvio? Lo sanno tutti che è vivo, pieno di fuoco e, se vuole, sa farsi assassino: eppure una cintura recente di case, ormai, lo strangola da presso.

Chiasso e Como? Erano due paesoni, in mezzo c´erano solo i campi. Oggi, a vederli, sono un´unica distesa di case e villette, spalmata tra Italia e Svizzera.

Le coste? Qualche porto, sì, qualche borghetto a mare, le grandi città portuali, ma tutto il resto era natura, l´Italia. Oggi - e lo si vede - di litorale intatto ce ne rimane pochino assai...

E il mare? Cos´è quel rosa pazzo che colora le onde? Mucillagini, che però al satellite e alle sue tecnologie di termoluminescenza non lui: oggi, però, c´è. Lago di Lavarone si chiama. Lo ha creato la frana precipitata nell´invaso del Vajont.

Riappare così l´Italia, ma tutta nuova, come l´abbiamo fatta noi, nell´ultimo mezzo secolo: è quella del III millennio.

Italia, istruzioni per l´uso si chiama, quest´Atlante (Igm, 100 euro). A firmarlo, è - per la terza volta, da quando l´Italia è unita - l´Istituto Geografico Militare. La prima volta - era il 1922 - l´Atlante IGM uscì a firma di Olinto Marinelli. Una seconda volta, nel 1948 venne affidato a tre scienziati: Roberto Almagià, Aldo Sestini e Livio Trevisan. Ora - coordinato dal direttore della Scuola Superiore di Scienze Geografiche, Salvatore Arca, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica e finanziato dalla Cassa di Risparmio di Firenze ricompare l´Atlante per raccontarci come, dove e quanto l´Italia è cambiata dal 1948 a oggi. Le sue 680 pagine patinate, formato A3, con oltre 2000 illustrazioni, tra mappe, grafici, tabelle, carte d´epoca ma anche satellitari, multispettrali, tridimensionali, termoluminescenti, tutte spiegate da 116 professori di 39 università italiane e da 16 specialisti, ne fanno un kolossal di informazioni aggiornatissime.

E´ stato presentato a Palazzo Vecchio, e ora sta arrivando nelle librerie per geologi, geografi, sociologi, escursionisti... «E anche amministratori pubblici, spero» dice Arca «Ormai è indispensabile che chi decide sul territorio, prima lo conosca davvero. Vi si vede tutto. Quasi un check up: non è un atlante geografico come lo s´intende comunemente ma piuttosto è una raffica di zoomate tematiche sulle caratteristiche peculiari della superficie terrestre: monti, pianure, fiumi, paludi. E, su quest´organismo vivo, mobile che è l´Italia, le opere fatte dall´uomo aggiungendo meraviglie, togliendole, talvolta massacrando. Ecco, noi geografi, tutte queste particolarità, le chiamiamo "tipi geografici"».

Il Viaggio nel Belpaese è esperienza emozionante. Nello spazio, ma anche nel tempo. Passato remoto, 1922: nel Marinelli 1 si vede un´Italia selvatica, ancora contadina: mezza romana, mezza medievale; le città sono dentro le loro mura, i campi sono ancora campi... Passato prossimo, 1948: è un´Italia devastata dalla guerra e plasmata dalle bonifiche, ma comunque è ancora l´Italia di sempre, si vedono ancora le centuriazioni romane... Presente, 2004, oggi: molte zone, troppe, non sembrano più le stesse...

Case, doppie case, triple case: eccola qua quella crosta di cemento e asfalto che angosciava Cederna e che ora ci cambia il clima, ci dirotta i venti. Eccoli - grazie ai «tipi geografici», immortalati in pagina - i mille nuovi errori commessi dall´uomo dell´ultimo mezzo secolo in nome di un progresso spesso scortato da ignoranze e condoni suicidi.

L´uso ritmato di sguardi satellitari e di zoomate ravvicinatissime, paradossalmente rende quest´Atlante assai simile alle primissime carte geografiche. Dice Luciano Lago dell´Università di Trieste: «Le antiche mappe erano già carte antropologiche e culturali, perché vi si trovavano segnati animali, mostri, usi e costumi. È stato solamente quando la geografia comincia a diventare scientifica che gli Atlanti divennero muti. Arrivati, oggi, alla massima perfezione dell´Atlante, c´è un interessante ritorno all´antico».

Il consiglio regionale ha approvato la legge n. 16 “Norme sul governo del territorio”, pubblicata sul BURC del 28 dicembre 2004.

Chi scrive ha espresso da tempo il suo giudizio sulla legge: si tratta di un articolato meramente procedurale, il cui intento dichiarato è quello di snellire le procedure di formazione dei piani urbanistici ai differenti livelli. Una legge anodina, votata quasi all’unanimità (unico voto contrario quello del consigliere Specchio).

Quello che manca in questa legge, contrariamente a quanto succede nelle regioni italiane dove le cose funzionano un po’ meglio (vedi ad esempio la raccolta comparata di leggi urbanistiche regionali curata da Edoardo Salzano per l’associazione Polis), è qualsiasi indirizzo stringente in merito ai problemi che funestano il territorio campano, primo fra tutti il consumo di suoli fertili e il degrado dei grandi paesaggi storici causati da un’espansione urbana assolutamente fuori controllo.

L’importante per l’assessore Di Lello, per la sua maggioranza e, lo si è visto, anche per l’opposizione, è che le procedure siano rapide, che le carte siano a posto, che i vincoli posti dagli enti di settore per difenderci dalle fragilità del territorio e del paesaggio (autorità di bacino, enti parco, sovrintendenze) siano una volta per tutte depotenziati e resi inoffensivi.

Per il resto, avanti così, con la programmazione negoziata che continua a sciupare spazi preziosi a favore di iniziative che non decollano mai (è l’Osservatorio economico regionale a constatarlo), con l’obiettivo, ed è la stessa avvilente storia dell’ultimo mezzo secolo, di continuare a lucrare la rendita privata di trasformazione edilizia con il sostanzioso ricorso a capitali pubblici.

Insomma, il momento ha una certa gravità: il combinato disposto di una legge urbanistica regionale inadeguata e di piani di area vasta di discutibile impostazione (Ptr, Ptcp) espongono il capitale naturale delle regione Campania e dell'area napoletana in particolare a rischi sino ad ora inimmaginabili. E’ compito della prossima legislatura cambiare strada, in direzione dello sviluppo, quello vero.

Incomprensibili, secondo WWF e Italia Nostra, le motivazioni della recente sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia, che ha respinto il ricorso delle due associazioni contro l’autorizzazione paesaggistica regionale e la concessione edilizia comunale per il “modellamento” della cava di Sistiana. Gli ambientalisti sottolineano come il TAR, inspiegabilmente, abbia assunto un atteggiamento diametralmente opposto, rispetto a quanto accaduto l’anno scorso, quando la precedente autorizzazione paesaggistica e la concessione edilizia per il “modellamento” della cava erano state annullate, sempre a seguito di un ricorso di WWF e Italia Nostra che evidenziava i medesimi profili di illegittimità. E ciò, aggiungono gli ambientalisti, benché il progetto presentato dalla “Immobiliare Santi Gervasio e Protasio” sia rimasto esattamente lo stesso, con 780 mila metri cubi di roccia da scavare (per quasi metà già scavati), parziale distruzione del SIC “Falesie di Duino” compresa. Eppure, stavolta il TAR ha giudicato legittime l’autorizzazione e la concessione edilizia, sostenendo trattarsi di un intervento “autonomo” dal piano particolareggiato della Baia di Sistiana,. Quest’ultimo prevedeva la realizzazione di una serie di opere (villaggio turistico, darsena artificiale, ecc.), rispetto ai quali l’escavazione era allora ed è tutt’oggi la premessa necessaria ed indispensabile.

Nel 2004, in effetti, lo stesso TAR aveva giudicato l’intervento di “modellamento” funzionale (com’è peraltro espressamente dichiarato nel progetto della “Gervasio e Protasio”) alla realizzazione delle opere previste nel piano particolareggiato. Piano che nell’aprile 2004, sempre a seguito di un ricorso di WWF e Italia Nostra, era stato peraltro annullato, da cui il conseguente annullamento delle autorizzazioni al “modellamento” della cava, che ormai mancavano di un indispensabile presupposto. Gli ambientalisti esprimono anche sconcerto per il rigetto, nella sentenza recente del TAR, del motivo di ricorso che si riferiva alla mancata comunicazione alle due associazioni, dell’avvio dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni. Ciò è previsto dalla legge 241/1990 sulla trasparenza degli atti amministrativi. E’ evidente, sostengono WWF e Italia Nostra, che – essendo stati accolti ben due volte dal TAR Friuli Venezia Giulia i ricorsi degli ambientalisti relativi ad atti concernenti la baia di Sistiana – era certamente agevole individuare chi poteva “ricevere un pregiudizio negativo” (come sancisce la legge 241/1990) dal rilascio delle nuove autorizzazioni. Da ciò discendeva l’obbligo di comunicare ufficialmente a WWF e Italia Nostra l’avvio dei nuovi procedimenti, cosa che però né la Regione, né il Comune di Duino-Auisina hanno fatto.

La recente notizia ufficiale, secondo cui quanto estratto dalla Baia viene ceduto per la costruzione delle opere del MOSE veneziano, dimostra infine la fondatezza anche di un altro motivo di ricorso sbrigativamente respinto dal TAR, e cioè che ci troviamo in presenza di una vera e propria cava, con utilizzazione del materiale a scopo industriale ed edilizio.

Il TAR dovrà comunque pronunciarsi anche su un ulteriore ricorso di WWF e Italia Nostra : quello contro la variante 21 al piano regolatore di Duino-Aurisina, riapprovata a fine 2004. Si tratta di uno strumento urbanistico predisposto anch’esso in funzione del progetto di “valorizzazione turistica” della Baia di Sistiana : la precedente versione della variante era stata anch’essa annullata dal TAR nell’aprile 2004 (insieme al piano particolareggiato della Baia) su ricorso degli ambientalisti, con la sentenza sopra ricordata. Contro la nuova variante WWF e Italia Nostra erano ricorsi al Presidente della Repubblica, ricorso ora trasposto al TAR Friuli Venezia Giulia.

Postilla

Le vicende di Baia Sistiana e del MOSE si intrecciano per più di una ragione. L'incapacità di instaurare - durante la formazione dei piani e dei progetti - un serio dibattito sui pro e sui contro delle decisioni sposta il conflitto dalle aule dei consigli (dove i progetti incontrano un favore pressoché unanime) a quelle dei tribunali oppure generano altre forme di protesta ( Scanzano, Val di Susa, Inceneritore ad Acerra) a cui devono ricorrere tutti coloro che vogliono esprimere il proprio dissenso. Poiché le ragioni degli ambientalisti e degli oppositori alle grandi opere appaiono quasi sempre molto sensate, bisognerebbe chiedersi perchè le procedure ordinarie non funzionino correttamente e si debba afferrare sempre i problemi dalla coda anziché dalla testa. (m.b.)

L’appello a Romano Prodi pubblicato qui accanto ha raccolto, in pochi giorni, trecento firme, fra le quali quelle di Giulia Maria Crespi, Desideria Pasolini dall'Onda, Arturo Osio, Giuseppe Chiarante, soci fondatori, rispettivamente, del FAI, di Italia Nostra, del Wwf Italia, dell’associazione Bianchi Bandinelli. Hanno firmato anche alcuni ex ministri – Giovanna Melandri, Paolo Baratta, Willer Bordon, Edo Ronchi – illustri storici dell’arte, archeologi, sovrintendenti, urbanisti, studiosi e docenti universitari. Promotore dell’iniziativa è il giornalista e scrittore Vittorio Emiliani, già direttore del Messaggero e consigliere d’amministrazione della Rai, da sempre impegnato nella tutela del patrimonio artistico e ambientale del nostro paese, in prima linea contro i disastri del governo Berlusconi. L’11 novembre, Emiliani ha organizzato una giornata nazionale di protesta con la parola d’ordine: “Cultura, Beni Culturali e Ambiente, un’Italia da rifare”. L’obiettivo è il medesimo che persegue l’appello a Prodi: far capire agli italiani che nell’ultimo quadriennio è stata scardinata l’idea stessa della prevalenza dell’interesse pubblico, sostituita da una pioggia di condoni e di sanatorie, di mance e di premi a favore di chi, invece, persegue esclusivamente i propri interessi a danno del Paese e della sua storia.

L’altra idea scardinata dall’attuale governo e dai suoi lacché è quella della inalienabilità dei beni culturali e ambientali di proprietà pubblica. Un principio in vigore da secoli, fin dalle leggi medicee e pontificie; salvo eccezioni stabilite dagli organi di tutela. Il governo di centro destra ha operato invece un vero e proprio ribaltamento, tutti i beni culturali e ambientali pubblici diventano vendibili, salvo eccezioni. E’ la logica della Patrimonio Spa e simili, desinate a finanziare opere pubbliche devastanti, a fare cassa con pezzi di patrimonio pubblico.

Mi interessa qui soprattutto riprendere e sviluppare il riferimento dell’appello al progetto di legge sul governo del territorio in discussione al Senato. Per due ragioni: perché il territorio è il contenitore di ogni altro bene culturale e perciò il suo buon governo è determinante per la conservazione dell’intero patrimonio pubblico; e perché il disegno di legge è stato già approvato dalla Camera alla fine del giugno scorso ed è urgente mobilitarci per impedirne l’approvazione definitiva. Sapendo che il testo ha goduto del sostanziale consenso di importanti settori del centro sinistra (ben 32 deputati dell’opposizione hanno votato a favore), dell’Istituto nazionale di urbanistica (ormai collaterale al centro destra) e del fragoroso silenzio della stampa (salvo Liberazione e poche altre pregiate eccezioni). Il disegno di legge prende il nome dal suo principale artefice, Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di Milano, ispiratore dell’urbanistica contrattata “di rito ambrosiano”. A Milano le regole urbanistiche sono una lontana memoria. Progetti e programmi pubblici e privati non sono tenuti a uniformarsi alle prescrizioni del piano regolatore ma, al contrario, è il piano regolatore che si deve adeguare ai progetti, diventando una specie di catasto dove si registrano le trasformazioni edilizie contrattate e concordate.

Con il disegno di legge Lupi, l’impostazione milanese viene estesa a tutta l’Italia. Mi fermo solo su tre funesti contenuti. La norma più grave è quella che cancella il principio stesso del governo pubblico del territorio, sostituendo gli atti cosiddetti “autoritativi”, vale a dire quelli propri del potere pubblico, con “atti negoziali”, assunti d’accordo con la proprietà immobiliare. La legge in discussione al Senato cancella poi gli standard urbanistici, che sono le quantità minime di spazi destinate a verde e a servizi garantite a tutti i cittadini, un vero e proprio diritto alla vivibilità, conquistato nell’ormai lontano 1968. E’ la stessa filosofia della devolution, i diritti possono non essere uguali per tutti. Se quasi ovunque nel Mezzogiorno adeguate disponibilità di verde pubblico e servizi sono ancora un miraggio, si provveda allora a ridurre gli obblighi di legge rispetto al centro nord. Il terzo insensato contenuto della proposta riguardal’indiscriminata incentivazione del consumo del suolo. Invece di imporre la preservazione di quanto resta di territorio non urbanizzato, come stanno facendo Francia, Germania, Inghilterra, e come richiede l’Unione europea, se ne legittima la dissipazione. Se avesse operato in passato una norma del genere, l’Appia Antica sarebbe come Casalpalocco, le colline di Bologna e di Firenze sarebbero come Posillipo, non ci sarebbe il parco delle Mura di Ferrara, non sarebbe stata salvata la costa della Maremma livornese, e così di seguito.

Pochissimi gli osservatori che hanno posto in relazione il disegno di legge Lupi con le spericolate avventure dei cosiddetti immobiliaristi che spadroneggiano nella finanza italiana, con la copertura delle autorità monetarie e politiche, e hanno contribuito a fare della rendita il motore dell’economia nazionale. La questione della rendita è strettamente legata all’urbanistica. Negli anni Sessanta e Settanta, l’impegno della cultura di sinistra per la riforma urbanistica era tutt’uno con il più generale impegno per contrastare, contenere e ridurre i privilegi della rendita immobiliare e finanziaria. Il patto fra i produttori, l’alleanza fra salario e profitto contro la rendita, furono efficacissime parole d’ordine e direzioni di marcia che nessuno ricorda. Fra i pochi soggetti che hanno messo in evidenza il primato, nell’Italia di oggi, della rendita sul profitto e sul salario, e della speculazione sull’impresa e sul lavoro, mi limito a ricordare il sito Eddyburg (di cui raccomando la quotidiana frequentazione).

Accanto alla rovinosa politica urbanistica del centro destra, l’appello ricorda le norme devastanti della legge delega sull’ambiente, l’umiliazione di tanta parte della dirigenza pubblica a causa del ricorso brutale allo spoil sytem, il paesaggio agrario ferito a morte, il disordine urbano, la crisi dei trasporti: ragioni tutte che impongono di “rifare l’Italia”, chiedendo a Romani Prodi di impegnarsi in tal senso. Concludo, riprendendo le conclusioni di Vittorio Emiliani alla giornata di protesta dell’11 novembre. In materia di beni culturali, le tesi esposte da Prodi in vista delle primarie non bastano, e la latitanza (o peggio) del centro sinistra nella vicenda della legge Lupi è molto preoccupante. Ci vuol altro: si tratta davvero di rifare, di ricostruire l’Italia migliore, che è stata ferita, macchiata, manomessa e violentata. Nel corpo e nelle leggi. Un compito di per sé immane, da realizzare anzitutto nelle coscienze, sperando che troppe di esse non siano state contagiate e corrotte. Un compito al quale le forze della cultura debbono dedicarsi con forza, ben al di là dei tagli alla Finanziaria, incalzando la politica e i politici sul piano strutturale, reclamando con forza di concorrere a un progetto Italia, a una sorta di New Deal della cultura e dell’arte da porre alla base della ripresa del nostro Paese, bello e infelice.

Dalla regione Lazio arriva un «no» tecnico all'autostrada tirrenica. E la discussione infinita sull'opera di collegamento rapido e a pedaggio tra Civitavecchia e Livorno progettata già nell'82, depennata e rinviata, annullata e poi ri-nata sotto le insegne di Berlusconi e Lunardi, riparte. Con le due regioni rosse e confinanti stavolta contrapposte: di là, il «sì» della Toscana, sia pure per la sola versione «costiera» dell'autostrada; di qua, il «no» di Marrazzo in campagna elettorale, diventato poi «nì» e ora di nuovo ricolorito in un «no» tondo, seppure tutto tecnico. Com'è tecnico il parere che dai tecnici della regione viene affidato a quelli del ministero, chiamati a dare la Valutazione di impatto ambientale necessaria per poter fare l'opera: per il Lazio, quella Valutazione non s'ha da dare. La lista dei problemi è lunga: Maremma alterata, siti archeologici maltrattati, rischi per sistema ecologico e biodiversità, aree protette a rischio, centri abitati assordati. Insomma, quel progetto di strada - messo nero su bianco quest'estate dalla Sat, la Società autostrada tirrenica Spa - è pieno di buchi. «E' una conferma tecnica di preoccupazioni che abbiamo sempre avuto», commenta l'assessore regionale all'ambiente Angelo Bonelli, che chiede alla Toscana di rimettersi intorno a un tavolo. In sé, la bocciatura ambientale per la Civitavecchia-Livorno non è una novità. Nel `90 analoga sorte toccò al progetto originario dell'opera, che era stata infilata dall'82 nel Piano decennale di Grande viabilità. Tant'è che dal 2000 si rinuncia al sogno autostradale per ripiegare su un'alternativa più concreta: il miglioramento della via Aurelia. La soluzione light viene anche messa nera su bianco nel Piano generale dei trasporti del 2001, ma poi il governo Berlusconi cambia tutto e inserisce la Livorno-Civitavecchia (autostrada) nella lista sacra della delibera Cipe 121, quella che nel dicembre del 2001 detta l'elenco delle «opere strategiche». A sostenere strategicamente la via autostradale per l'Argentario e Livorno non sono solo il capo del governo e il suo Lunardi, ma, a sorpresa, arriva anche la regione Toscana, che sponsorizza però un tracciato costiero dell'opera. L'altra regione interessata, il Lazio, favorevolissima all'autostrada nell'era Storace, nicchia invece nell'era Marrazzo: tant'è che proprio ieri una pattuglia di senatori laziali e toscani del centrosinistra, contrari all'autostrada (Montino, de Petris, Bassanini, Battisti, Zanda) ha chiesto udienza al presidente per sapere la sua opinione in materia.

Il progetto della discordia prevede due possibilità per collegare Civitavecchia a Livorno con sei corsie: la «busta A» prevede il percorso collinare che piace a Lunardi, la «busta B» quello via mare che piace alla regione. Costi previsti: 2,4 miliardi di euro la busta A, 2,58 la B. Procedura del tutto inedita, tutte le leggi dicono che è su un solo tracciato che si decide in sede di Via, scrivono i tecnici della regione Lazio. Se i progetti abbondano, tanti altri elementi invece nel dossier Tirrenica mancano. Manca la valutazione ambientale strategica (Vas) del ministero, che invece secondo le regole italiane ed europee sarebbe necessaria per poter valutare l'opera nel suo complesso, e nell'inserimento nella direttrice Nord-Sud. Manca uno «studio trasportistico» che tenga conto delle altre opere presenti e future e dunque dia credibilità alle «stime di domanda». Manca un confronto con i progetti alternativi.

Tutti elementi che sarebbero utili - a partire dalla risposta alla domanda principale: chi la pagherà questa autostrada? - per capire perché sobbarcarsi il peso di un'opera che, sotto il profilo ambientale, ha un impatto giudicato totalmente negativo. Ancora più pesanti le stime e le previsioni sulla fase di costruzione: 56 cantieri, 20 siti di estrazione, 33 di discarica. 11 milioni di viaggi di camion, tutti sull'Aurelia, solo per il trasporto del materiale di cava. Uno scenario infernale, coronato poi dal progetto finale per la strada consolare, che secondo il progetto in molti tratti dovrebbe diventare una «strada-parco», da restringere (dunque, con lavori per demolire l'asfalto appena messo) e rendere inagibile per il traffico veicolare. Sennò l'autostrada del Tirreno chi la prende?

Il traffico di autoveicoli è sempre modesto sulla comoda superstrada tirrenica che porta, lungo l’Aurelia, da Rosignano a Civitavecchia. S’ingolfa e si fa molto pericoloso soltanto in due colli di bottiglia, dove le corsie si riducono a due, cioè in Comune di Capalbio fino alla vecchia Dogana; poi, di nuovo, fra Tarquinia e l’imbocco dell’autostrada di Civitavecchia. Sono, rispettivamente, 13 e 9 maledetti chilometri, con incidenti mortali o gravi. Per curare, subito, le due strozzature, basterebbe portare a quattro, anche lì, le corsie dell'Aurelia. E invece questi due tratti rischiosi, con tanti morti, feriti e infortunati a vita, restano così come sono, in attesa che arrivi una Autostrada della Maremma tanto voluta dall’alto (governo Berlusconi e Regione Toscana, in forme diverse), quanto osteggiata dal basso (Comuni, Associazioni ambientaliste e agricole, comitati locali, ecc.). Autostrada che, secondo un faraonico e contestatissimo, anche da destra, progetto-Storace, sarebbe dovuta proseguire a sud, tranciando intere riserve naturali in Comune di Roma (risolutamente contrario assieme alla Provincia), da Fiumicino a Formia e a Gaeta. Anziché adeguare e mettere in sicurezza, velocemente, la Pontina, ancor più incidentata e rischiosa dell’Aurelia.

Non c’è un euro per questo e per altri maxi-progetti autostradali, ma questo maremmano rispunta con una richiesta di valutazione di impatto ambientale per due tracciati nel tratto fra Toscana e Lazio. Perché? Per ragioni eminentemente elettoralistiche. Per metterci un cappello sopra, così, prima o poi, un qualche governo riuscirà a finanziare l'inutile opera e ad aprire il primo cantiere. I morti sulla strada non interessano. Continueranno per anni. Ma vediamo un po’ il quadro oggettivo della situazione.

Traffico

Tra Rosignano e Civitavecchia, va da 13.000 a 20.000 veicoli al giorno nelle due direzioni. Modesto, quindi. Per giunta, è, al 75 per cento, traffico locale. Il quale continuerebbe a prendere l’Aurelia o la strada statale comunque gratuita che bisognerà assicurare. Il risparmio di tempo con l’autostrada sarebbe, in un tratto di circa 110 Km, di una manciata di minuti. Per il traffico pesante, un’inezia. Da pagare però col pedaggio. Che sarebbe caro: come remunerare altrimenti il capitale privato (che latita)? Va bene, ma i Tir lo pagherebbero? Non credo proprio.

Tracciati

In Maremma sono stati indicati due tracciati. Uno collinare intermedio, proposto dal ministro Lunardi. Uno a costa sostenuto dalla Regione Toscana. I cantieri previsti sarebbero, rispettivamente, 45 e 46, la movimentazione di materiali di cava, calcestruzzi, ecc. sarebbe sugli 8,6-8,8 milioni di metri cubi. Tempo minimo per la costruzione: 5 anni. Tutt’e due con grossissimi problemi da risolvere.

Costi

A nord il Corridoio autostradale costerebbe oltre 2 miliardi di euro, a sud circa 3. Dunque oltre 5. Mentre l’adeguamento e la messa in sicurezza dell’Aurelia, secondo il solo progetto dettagliato esistente (quello Anas del 2000), impegnerebbe, al massimo, circa 1 miliardo. Probabilmente l’adeguamento della Pontina con opere di un certo impegno più a sud, fra Formia e Gaeta, costerebbe di più, ma non molto. È realistico ipotizzare che i due adeguamenti impegnerebbero la metà del costo autostradale, e anche meno.

Impatto ambientale

Ovviamente molto elevato per un’autostrada con pedaggio, che necessita di caselli, svincoli, sovrappassi, oltre che di viadotti e gallerie. Il tracciato costiero prevede una variante di 42 Km. fra Orbetello e Montalto di Castro, molto impattante dal punto di vista ambientale e agricolo. Esso stende fra la collina e il mare due nastri d’asfalto (autostrada e strada statale) più la ferrovia. Quello interno è non meno disastroso in quanto trancia anch’esso zone di agricoltura specializzata e di alto pregio ambientale e paesistico. I siti di interesse comunitario e le zone di protezione speciale coinvolte sono ben 13. Nove le aree naturali protette, nazionali, regionali o locali. Oltre a riserve, oasi Wwf, rifugi faunistici. Ancora non si capisce poi come verrà affrontato, alle spalle di Montalto di Castro (Viterbo), il nodo strategico dello splendido e intatto Parco archeologico e paesistico di Vulci.

A cosa serve

Le relazioni per chiedere la VIA sono decisamente contraddittorie. In un passo si sostiene che il pedaggio scoraggerà il traffico su gomma dovendo lo stesso pagare il costo dell’infrastruttura (ma se soltanto il 25 per cento è transito nazionale, che razza di investimento è?). In un altro invece si afferma che il Corridoio Tirrenico servirà a «ridurre i livello di congestione soprattutto nel tratto appenninico dell’A1 e della E45», quindi a scaricare traffico, inquinamento, rumore, ecc. in Maremma. Bel risultato per questo magnifico territorio.

Schieramenti

Sono per l’autostrada tirrenica a pedaggio la Regione Toscana (sulla costa) e il governo (all’interno). Sono per l’adeguamento dell’Aurelia senza pedaggi: quasi tutti i Comuni (tentenna Tarquinia), le associazioni agricole e quelle ambientaliste (Italia Nostra, Wwf, Comitato per la Bellezza, Legambiente, ecc.), i Verdi della Toscana e il Prc, i Ds della Maremma laziale. Idem per la Pontina, col Comune e la Provincia di Roma da tempo schierate per il suo adeguamento. In Regione, decisamente su questa linea i Ds con il sen.Esterino Montino neo-segretario, i Verdi (loro è l’assessore Angelo Bonelli), e il Prc. Non si è ancora espressa la Margherita. Né, ufficialmente, il presidente Marrazzo. Ma è molto probabile che la Regione Lazio butti a mare il progetto-Storace, facendo così mancare ogni sponda autostradale alla Regione Toscana.

Novità finale

Il maledettissimo imbuto dei 9 Km di Aurelia a due corsie fra Tarquinia e Civitavecchia è stato inserito dall’Anas nell’aggiudicazione della Romea 2. Per risolvere il grosso dei problemi aperti in Maremma, basterebbe dunque aprire i cantieri per portare a quattro le corsie anche in Comune di Capalbio e per eliminare alcuni incroci a raso. «Aurelia sicura subito! Autostrada? No, grazie», è lo slogan della manifestazione che si svolgerà a Capalbio e sull’Aurelia dalle 17 di sabato 30, e che esprime bene lo stato d’animo di quanti vogliono salvaguardare un territorio e un paesaggio fra i più straordinari e ricchi di potenzialità. Anche economiche, se non lo si spreca in cemento e asfalto superflui.

L'immagine è da "il Corriere della sera" del 31.07.2005

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