Qui trovate una piccola galleria di immagini sulla Scuola estiva di pianificazione di eddyburg, 2005. Con alcune delle divertenti caricature di Elena Tognoni
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L’insediamento extraurbano a nastro lungo il tracciato della Padana Inferiore: un percorso critico
Il “percorso critico” del titolo si riferisce contemporaneamente a due aspetti e approcci complementari: lo stato attuale di criticità insediativa del percorso stradale e del suo contesto ambientale immediato; l’esame critico degli strumenti di pianificazione provinciale che ne dovrebbero restituire un’idea strategica di sviluppo spaziale.
Questi due approcci complementari sono stati proposti all’interno del corso (anche a causa dei ristretti tempi disponibili) attraverso una rassegna sistematica di fotografie scattate recentemente lungo i circa 400 chilometri del tracciato, e un testo che a partire dall’idea di insediamento megalopolitano unitario e articolato per grandi zone “specializzate”, tentava di verificare attenzione e continuità dei nove piani provinciali interessati al tema dell’insediamento (soprattutto commercial-produttivo) extraurbano a nastro.
Il percorso fisico documentato dalle fotografie mostrava un “cuore verde della padania” ancora in parte caratterizzato come tale, ma con gravi tendenze alla saldatura delle varie fasce extraurbane secondo sistemi sempre più continui e prolungati, spesso indipendentemente dalla consistenza o dalla stessa esistenza di nuclei abitati o comunque consolidati.
Il percorso critico attraverso le pianificazioni provinciali evidenziava una notevole disparità: sia nelle qualità e consapevolezza degli approcci al problema (del tutto ignorato, o sottovalutato, o affrontato in modo contraddittorio); sia nell’idea di spazio che emergeva dai documenti (che restituiva un’immagine della fascia centrale megalopolitana frammentata e “localistica”). In particolare, sul versante delle ipotesi di sviluppo e governo si oscillava fra un’idea generale di contenimento dei consumi di suolo e di polarizzazione (pur con qualche lacuna), e programmi del tutto opposti di crescita insediativa all’insegna di elementi ad alto impatto (logistica, infrastrutture autostradali parallele al tracciato ecc.).
La provvisoria conclusione di entrambi i complementari percorsi è da un lato la grande disparità che emerge fra un approccio infrastrutturale (autostrade, alta velocità ferroviaria ecc.) che opera a tutto campo a dimensione megalopolitana, e una pianificazione territoriale esplicitamente inadeguata a rapportarsi su un piano di parità. Dall’altro la tendenza visibile alla crescita di interventi che pur concepiti alla scala locale manifestano i propri effetti a dimensione molto maggiore.
Ne emerge quantomeno l’urgenza di ripensare culture e ruoli della pianificazione sovracomunale.
Qualche particolare descrittivo in più nell'articolo Quore di Tenebra (f.b.)
Case di carta: la nuova questione abitativa
I dati sull’emergenza abitativa ci colpiscono per la loro rilevanza: canoni di affitto in aumento, tra il 1998 e il 2004, mediamente del 49%, ma a Venezia del 139% e a Roma del 91%. I valori degli immobili in crescita cresciuti, tra il 2001 e il 2004, di quasi il 40%, media nazionale nelle città capoluogo. In molte città, quindi, sono letteralmente raddoppiati. Gli sfratti per morosità rappresentano, nel 2002, il 68% del totale, nel 1983 erano appena il 13%. E’ anche vero che le famiglie che abitano in case di proprietà sono aumentate. Erano poco meno del 51% nel 1971 e sono diventate, nel 2001, il 71%. Incremento addirittura più consistente si è registrato nelle città metropolitane dove le famiglie in proprietà sono più che raddoppiate: dal 30,6% al 62,5%. E’ frequente la contrapposizione tra i dati sull’emergenza abitativa e quelli sulla proprietà così da poter relegare la prima a problema marginale in fase di risoluzione anche grazie ai bassi tassi dei mutui che agevolano l’accesso alla proprietà.
L’articolazione dell’emergenza abitativa dipende da più fattori ma soprattutto, e in misura sempre maggiore, dalle condizioni di vulnerabilità delle famiglie esposte ai canoni di affitto in regime di libero mercato. Oggi queste sono 3.288.990 (dati Istat 2001), pari al 76% delle famiglie in affitto. E’ questo il bacino della vulnerabilità sociale. Le stime del Cresme mostrano che nel 2007, a seguito dell’incremento dei canoni, le famiglie con un rapporto canone reddito superiore al 30% aumenteranno di circa 400 mila (da 1.355.300 a 1.758.260). E’ la linea della povertà che avanza verso l’alto. Franco Ferrarotti l’ha descritta come «la povertà dignitosa, quella che cerca disperatamente di “salvare le apparenze”». Nei grandi comuni il canone medio per un alloggio di 75 mq è di 1.089€, lo stipendio netto per un impiegato pubblico (ministero, sanità, scuola, enti locali) si aggira intorno ai 1.200€. Così avanza l’emergenza abitativa, aumenta l’insicurezza ed è emergenza sociale.
Quali le ragioni o le possibili spiegazioni della crescita del mercato immobiliare? L’osservatorio immobiliare individua l’inizio del ciclo positivo a partire dal 1997. In quell’anno, infatti, il numero delle transazioni (compravendite) è cresciuto dell’8,7%. Da quel momento la crescita è stata progressiva con un solo dato negativo, nel 2001, quando le compravendite registrano una correzione dell’1,3%. Un ciclo cominciato ben prima che si sgonfiasse la bolla speculativa della new economy e ben prima del crollo delle torri gemelle. Nel 1997 e non nel 2000 o nel 2001. Le cause quindi vanno trovate altrove.
Anche i dati sui finanziamenti oltre il breve termine dell’osservatorio statistico della Banca d’Italia indicano che tra il dicembre del 1997 e il marzo del 1998 si è registrata una inversione di tendenza nei prestiti alle famiglie per l’acquisto della casa che, nel 2004, rappresentano quasi il 30% del totale (a fronte di un 15,8% di finanziamenti per le costruzioni, e di un 10,8% per i macchinari e le attrezzature).
Cosa è successo quindi in quegli anni, tra il 1997 e il 1998, tanto da avviare in modo così deciso e repentino un ciclo economico che ha prodotto una crescita dei valori immobiliari senza precedenti? Certo è che l’allentamento da parte delle banche dei cordoni della borsa a favore delle famiglie ha avuto un effetto anticiclico e ha prodotto un aumento della domanda di acquisto di alloggi contribuendo a rivitalizzare il mercato immobiliare.
Anche il governo di allora, con la legge 431 del dicembre 1998, liberalizzando i canoni di affitto e cancellando la legge dell’equo canone consentì la crescita dei canoni e attraverso questi contribuì ad aumentare la redditività degli alloggi.
Sempre in quegli stessi anni si registrano però altri eventi significativi. Nell’ambito del più ampio processo di ristrutturazione delle imprese di produzione di beni e servizi, tra il 1997 e il 1998, si modifica radicalmente il legame tra impresa e proprietà immobiliare. Questo cambiamento radicale si traduce nell’esternalizzazione del patrimonio immobiliare che viene affidato ad una società (di nuova costituzione o già presente nella ramificazione aziendale).
Il meccanismo finanziario che si realizza è noto nella letteratura come ABS – Asset backed securitization, o semplicemente securitization. Questo meccanismo si basa sulla comparsa nel mercato di un soggetto con sole finalità immobiliari finanziato da una banca e chiamato ad incrementare la redditività degli immobili per assicurare il suo mantenimento. Redditività che è assicurata dai canoni di affitto e dai valori immobiliari che perciò devono, entrambi, crescere o comunque mantenersi su valori alti. Un meccanismo che ha necessariamente bisogno di vedere aumentare i valori del mercato immobiliare (+ domanda) e i canoni di locazione (+mercato). La coincidenza temporale (1997-1998) per cui il sistema bancario concede più facilmente mutui alle famiglie e il governo, dicembre 1998, liberalizza i canoni abolendo non solo l’equo canone ma anche i patti in deroga introdotti nel 1992, non costituisce necessariamente una spiegazione.
Conclusioni. Le case sono diventate di carta, sono state immesse sul mercato finanziario per produrre redditività e sostenere il sistema economico delle banche, la ristrutturazione delle imprese e, soprattutto, per alimentare la rendita finanziaria. I costi di questo processo di ristrutturazione gravano sulle famiglie in affitto ma anche su quelle che comprano casa indebitandosi con i mutui. Le società immobiliari fanno profitti mai visti e incrementano il fatturato da un anno all’altro. La questione abitativa ha dunque caratteri del tutto diversi da quella conosciuta in passato e anche le soluzioni che si richiedono devono essere diverse. Non è questa la sede per approfondire o delineare i caratteri di una possibile politica abitativa. Mi limiterò quindi a segnalare che se è necessario pensare ad un “progetto per le città d’Italia”, questo dovrà contenere tra le priorità l’individuazione di linee di intervento sulla nuova questione abitativa che (a) incidano sui meccanismi di finanziarizzazione, che (b) aprano il mercato a nuovi soggetti, che (c) valorizzino (invece di dismettere) il patrimonio immobiliare pubblico.
Caro Prof Eddy, più ci penso e più sono contenta di aver partecipato alla tua iniziativa. per quanto mi riguarda è andato tutto ottimamente,dagli aspetti logistici , a quelli culturali e perchè no agli aspetti ricreativi. Mentre sugli aspetti culturali devo un po’ lasciar decantare la marea di informazioni che ci avete fornito, mi preme dire che il passaggio da virtuale a reale non mi hanno deluso anzi ,e fra le persone che hanno partecipato ho trovato degli amici. E' vero non c'è stata una sistematicapresentazione dei partecipanti, ciò è comprensibile in relazione alla novità dellesperimento, ma la particolarità del luogo, che sebbene inizialmente ci ha lasciati tutti un pò perplessi, ha favorito la comunicazione e l’aggregazione fra le persone. Infatti alla fine delle lezioni ci siamo scoperti gruppo e personalmente mi dispiaciuto che molti per ragioni varie siano dovuti andare via il venerdì anche perchè in effetti il corso è continuato sul territorio; le parole dei quattro giorni precedenti hanno potuto legarsi a una realtà ben precisa e molto significativa.
Infatti siamo scesi nelle viscere della terra dove generazioni hanno cercato preziosi metalli , abbiamo assaporato la luna rossa di una notte umida nella quale per magia sono tornati a danzare e suonare per noi presenze etrusche, ci siamo immersi nell'impianto appena affiorato di una città sacra e ci siamo sentiti parte della storia, ma soprattutto ci siamo sentiti insieme. Quel territorio è davvero molto propizio alle nostre tematiche, infondo anche noi siamo un po’ minatori che ricerchiamo nuovi filoni di materia preziosa per fabbricare nuovi strumenti per le costruire le città di domani. vi ringrazio tutti, a uno a uno, un grazie particolare a Georg e a Mauro che ci hanno accompagnato anche nelle ultime gite. un abbraccio speciale a te.
Grazie Carla, a te e alle altre e gli altri (anche quelli che non sono potuti vebire) appuntamento fra un anno in Val di Cornia, e magari anche prima per una giornata di discussione.
Note di vita quotidiana alla scuola estiva di Eddyburg
Sembra ieri ed è già domani alla scuola estiva organizzata da Eddyburg nel Parco Archeominerario di San Silvestro in Val di Cornia.
L’arrivo
L’ultima email di Monica inviata a tutti i partecipanti ci aveva istruito su come arrivare a Villa Lanzi dove il martedì mattina sarebbero cominciati gli interventi dei relatori, come da programma.
Il tema della scuola, consumo di suolo, si sarebbe conteso la platea con il dibattito sulla legge Lupi appena approvata dalla Camera dei Deputati. Fin qui tutto come da copione.
Nella tarda serata di lunedì, dopo essermi lasciata alle spalle la strada comunale per Campiglia Marittima, seguendo le indicazioni di Monica mi sono inerpicata con la mia auto lungo una strada ghiaiosa che sembrava perdersi nel silenzio della macchia mediterranea : in mezzo al paesaggio di antiche miniere, oggi circondato dai gradoni delle cave ancora in attività, è apparsa quasi all’improvviso casa Gowett, costruzione dei primi anni del secolo scorso, semplice ed al tempo stesso austera nella sua testimonianza di presidio dei minatori che per decenni hanno lavorato in questa zona.
Il luogo è unico, tra le colline che lasciano intravedere il mare immerso nella luce della sera, e oltre, le sagome delle isole dell’arcipelago toscano. Sono affascinata.
Salgo le ripide scale che portano alla reception, qualcuno dei partecipanti è già arrivato, saluto Carla e Maria Paola; subito si parla, ci si conosce, curiose di poter frequentare questa scuola insieme.
Il prof. Salzano è arrivato presto insieme a Mauro Baioni, Angela era già arrivata, gli altri arrivano alla spicciolata: Elena, Valerio, e poi ancora Elena, Oscar, Rossana, Vanni, Francesca; Paolo e Michele ci raggiungeranno domani; e poi alcuni relatori, Vezio De Lucia, Giovanni Caudo, Georg Frisch, Paolo Berdini: alcuni di loro hanno lavorato attivamente con il prof. Salzano alla costruzione della scuola estiva e il loro sorriso rivela la soddisfazione di essere arrivati al traguardo: la Scuola Estiva di Eddyburg sta per cominciare.
Il primo “raduno generale “ verso le venti e trenta è intorno alla tavola della cena: non serve rompere il ghiaccio, basta il nostro nome e poi tutti ci sentiamo accomunati dai quattro intensi giorni che dedicheremo a parlare di ciò che ci sta veramente a cuore: come direbbe Leopardi, delle magnifiche sorti e progressive del nostro territorio, la casa comune del nostro vivere.
Primo giorno
Dopo una notte un po’ burrascosa di forte pioggia la mattina di martedì ci accoglie con un tiepido sole; cominciano gli interventi dei relatori, mi avvio frettolosamente lungo il sentiero che porta a Villa Lanzi: - “Puntuali!” - ha detto perentorio il prof. Salzano ieri sera!
Dopo il saluto di benvenuto del fondatore di Eddyburg, che invita attraverso le parole di Calvino a ricorrere con ampiezza “all’ottimismo della volontà per saper riconoscere, in questi tempi di lupi, chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”, è compito di Maria Cristiana Gibelli introdurre il tema così attuale del consumo di suolo, con una trattazione quanto mai organica ed interessante impostata sulla valutazione dei costi economici della città dispersa: la sua conclusione va oltre l’affermazione della eventuale necessità di introdurre costi aggiuntivi per chi produce insediamenti diffusi, indicando esperienze europee di buone pratiche di governo del territorio per un più saggio controllo del consumo delle risorse territoriali.
Piero Bevilacqua, soffermandosi sulla evoluzione storica delle trasformazioni che l’uomo ha operato da sempre nell’ambiente in cui vive, ci riporta alla imprescindibile necessità di non perdere la coscienza di un uso naturale delle risorse del territorio negando con fermezza quella da lui definita la “pestilenza ideologica del nostro tempo” che ci porta a credere nella necessità del costruire continuo per favorire e mantenere livelli costanti di sviluppo.
Il pranzo è ormai alle porte a Villa Lanzi: ci si concede una pausa tra un piatto di zuppa toscana e carpaccio di ottimo pesce.
Si torna a parlare nel pomeriggio; e certamente la relazione di Giovanni Caudo è quella che più ci lascia stupiti, quasi interdetti, nel comprendere la semplice quanto perversa logica con la quale in pochi anni siamo stati fagocitati dall’ascesa inarrestabile della rendita immobiliare e fondiaria, con tutte le conseguenze che questa ha prodotto, e sta producendo, sul nostro territorio.
Paolo Berdini ci introduce un caso esemplare di nuovo piano regolatore nella redazione del quale ci si è distaccati dal modello di pianificazione pubblica previsto dalla legge urbanistica nazionale, per fortuna ancora vigente, del 1942: il nuovo PRG di Roma che con operazioni di “compensazione urbanistica” esemplifica, secondo il relatore, la prima vera applicazione delle regole di contrattazione pubblico-privata previste dalla legge Lupi.
La prima giornata finisce con un ritorno alla realtà, che troppo spesso vorremmo credere irreale, documentata da una carrellata di foto di insediamenti produttivi e commerciali a nastro scattate lungo una statale padana che da Torino ci porta a Monselice dall’ ironico quanto mai pungente Fabrizio Bottini, presente anche in qualità di fotografo ufficiale della Scuola Estiva.
Si esce da Villa Lanzi che è quasi sera, alcuni pensierosi su ciò che hanno ascoltato, altri continuando la discussione mentre si avviano verso Casa Gowett; altri ancora vagano in cerca del segnale del proprio telefonino che in questa parte di mondo, dominato per quattro giorni solo dalle nostre discussioni talebane sull’urbanistica interrotte unicamente dal passaggio degli automezzi che provengano dalle aree di cava, ha giustamente ritenuto di dover rimanere muto.
Secondo giorno
Il secondo giorno della Scuola di Eddyburg si focalizza sull’intervento di Vezio De Lucia sulla Legge Lupi: non mi sento di aggiungere alcuna parole alle sue, tanto la relazione è precisa nella ricostruzione delle fasi che hanno portato al disegno di legge quanto accurata nell’ indicare il legame profondo tra l’incremento delle rendite e le regole dettate dai nuovi articoli che cantano il Requiem della pianificazione pubblica.
Non c’è urbanistica se non c’è tutela: su quest’ultima frase di Vezio De Lucia si inserisce l’intervento di Maria Pia Guermandi che ci riporta ad una analisi delle testimonianze culturali del nostro territorio, spesso fagocitate, se non cancellate, dall’avanzare dell’urbanizzazione selvaggia; beni culturali che devono essere sì catalogati ma prioritariamente tutelati e valorizzati come identità della nostra storia.
Dario Franchini, parlando della valutazione strategica, ci riporta alla dimensione progettuale dell’urbanistica ed all’attualità dell’uso ed abuso del termine “sostenibilità”, ponendo l’accento su pregi e difetti del modello toscano, padre in Italia del concetto di sviluppo sostenibile, alla luce della nuova Legge Regionale di Governo del Territorio.
Dopo un pranzo veloce la visita alla Rocca di San Silvestro, insediamento fortificato a poche centinaia di metri da Villa Lanzi, ci apre scenari medievali di incontrastata bellezza oggi riscaldati da un’aria quasi estiva.
Nel pomeriggio ancora tre relazioni, tutte che riportano l’attenzione su casi esemplari di pianificazione pubblica: Piero Cavalcoli ci racconta l’esperienza del PTCP di Bologna sottolineando la necessità, oggi innegabilmente attenuata dalle leggi in materia, della pianificazione di livello sovracomunale.
Georg Frisch e Antonio Di Gennaro, il primo attraverso esperienze europee, il secondo con il racconto della nascita e morte dell’ultimo PTCP di Napoli, non fanno che confermare che la pianificazione genericamente definita “di area vasta” è il livello nodale su cui strutturare modelli corretti di trasformazione del territorio.
Anche oggi i relatori hanno contribuito con grande professionalità ad aggiungere un piccolo ma prezioso tassello al selciato che tutti noi vogliamo porti alla costruzione della strada su cui far progredire il nostro modello di urbanistica: un’urbanistica che per sopravvivere nei suoi valori deve, come dice Eddy, andare necessariamente controcorrente.
La Scuola si prende un piccolo momento di libertà e la sera ci allontaniamo dal nostro ritiro per andare a visitare il borgo di Massa Marittima.
Terzo giorno
Così, ormai abituati al ritrovo mattutino davanti ad una tazza di caffè a discutere delle notizie sulle prime pagine dei giornali che Fabrizio Bottini ci porta puntuale di ritorno dall’edicola più vicina, ci ritroviamo nuovamente a Villa Lanzi per la terza giornata della Scuola Estiva di Eddyburg.
E’ ancora Antonio Di Gennaro che ci parla di come sono cambiati non solo i modelli insediativi sul territorio aperto ma anche come questo sia dominato da nuovi soggetti: ed allora la domanda è come dialogare con questi nuovi destinatari della pianificazione e come possa il territorio rurale “difendersi” dalla crescita urbana.
Ad Alfredo Drufuca spetta invece l’interessantissimo compito di farci capire come possa la realizzazione di un nuovo asse stradale modificare i modelli di crescita urbana sul territorio; e in questo caso la domanda sorge spontanea: quanto le infrastrutture stradali, e non, hanno contribuito alla dispersione urbana? Sono decenni ormai che ci sentiamo ripetere che le strade sono necessarie “allo sviluppo del paese”, l’attuale governo ne ha fatto il suo cavallo di battaglia, noi alla scuola abbiamo cercato di riflettere anche su questo.
E un’ottima conclusione al dibattito è stata la relazione di Carla Ravaioli che argomentando sul concetto di turismo di massa ha riportato l’attenzione al pericolo che tale fenomeno può avere sulla nostra identità culturale legata alla identità dei luoghi in cui viviamo messa fortemente in discussione dalle trasformazioni edilizie volute dagli operatori del settore turistico ed avvallate dalla rendita fondiaria.
Nel pomeriggio abbiamo conosciuto dalle parole del suo presidente Massimo Zucconi e dall’intervento di Carlo Melograni la realtà della pianificazione della Val di Cornia e la vitalità con cui oggi crescono le attività dei Parchi di questa terra di Toscana.
Quarto giorno
Ed è arrivato anche venerdì, ultimo giorno di relazioni e discussioni della Scuola: è Gigi Scano che affronta in prima mattina il tema del rapporto tra legislazione regionale e consumo di suolo: il suo intervento apre un ampio dibattito tra noi; ormai ci sentiamo parte di questa comunità, portiamo i nostri contributi, le nostre idee con semplice entusiasmo.
Mauro Baioni, a cui spetta il grande merito di aver fatto sì che tutto filasse liscio in questi giorni di convivenza, chiude gli interventi dei relatori.
Il pranzo quest’oggi è breve, cominciano a girare gli elenchi con i nomi dei partecipanti e i loro indirizzi email per i futuri scambi di missive.
Eddy ci vuole tutti intorno a lui per un bilancio di questo primo corso: è il momento più intenso dei cinque giorni, ormai ci chiamiamo per nome, trasmettiamo l’un l’altro i colori della cultura dei luoghi da cui proveniamo, ci sentiamo uniti da questo nostro sentire comune, da idee urbanistiche oggi controcorrente che vogliamo non solo difendere ma soprattutto affermare anche all’esterno, anche nei confronti di che la pensa in modo diverso da noi.
La Scuola di Eddyburg tornerà il prossimo anno sempre in Val di Cornia; il ritiro in questo luogo ameno e silenzioso, ed anche un po’ spartano, aiuta la concentrazione ed i rapporti; sul tema c’è ancora discussione: Eddy propone la pianificazione provinciale, Vezio De Lucia il modello toscano.
Tutti noi siamo invitati a dire la nostra perché il nostro mestiere, il mestiere dell’urbanista, continui a farsi portavoce di un modello culturale che rappresenta la capacità di sopravvivenza della nostra civiltà.
Al prossimo anno
Ci salutiamo davanti a Casa Gowett in mezzo ad un andirivieni di valige e borse su e giù per le scale; il piazzale si svuota, torna il silenzio immerso nel verde della macchia mediterranea di questa selvaggia terra toscana scandito dal correre degli automezzi lungo le strade polverose che attraversano le cave.
Un saluto a tutti coloro che hanno partecipato alla Scuola ed un arrivederci al prossimo anno!
Postilla
Monica Porciani è l’impareggiabile organizzatrice che la Parchi della Val di Cornia s.p.a. ha messo a disposizione della scuola. Casa Gowett la foresteria dove erano ospitati i frequentanti della scuola (studenti e docenti), Villa Lanza la sede del Centro di documentazione dove si sono svolte le lezioni e le altre attività connesse
Scuola estiva di pianificazione - 19-24 SETTEMBRE 2005
PROGRAMMA DEL CORSO
Martedi’ 20 settembre
Mattina
• Edoardo Salzano, Introduzione
• Maria Cristina Gibelli, Forma della città e costi collettivi: come governare l'insostenibile dispersione urbana
• Piero Bevilacqua I caratteri del territorio italiano e la sua evoluzione storica
Pomeriggio
• Giovanni Caudo, Le condizioni abitative
• Paolo Berdini, La dimensione metropolitana dell’urbanistica romana
• Fabrizio Bottini, Nel cuore verde della megalopoli padana: insediamenti a nastro produttivi e commerciali
Mercoledì 21 settembre
Mattina
• Vezio De Lucia, Il disegno di legge Lupi. Riforma e controriforma nell’urbanistica dell’Italia repubblicana
• Maria Pia Guermandi, Il territorio dei beni culturali
• Dario Franchini, La valutazione ambientale di piani e programmi: indirizzi per una pianificazione sostenibile
Pomeriggio
• Piero Cavalcoli, Bologna, le origini e il governo dell'attuale modello insediativo
• Georg Frisch, L’Europa
• Antonio di Gennaro, Napoli
Giovedì 22 settembre
Mattina
• Antonio di Gennaro, Il territorio rurale: istruzioni per l’uso
• Alfredo Drufuca, Strumenti per interpretare e governare la città diffusa: accessibilità e mobilità
• Carla Ravaioli, Il turismo: produzione di ricchezza senza controindicazioni?
Pomeriggio
• Massimo Zucconi, Carlo Melograni
La pianificazione territoriale coordinata e la realizzazione del sistema dei parchi della Val di Cornia.
Venerdì 23 settembre
Mattina
• Luigi Scano, Disposizioni per il contenimento dell'uso del suolo nella legislazione regionale.
• Francesco Erbani, La stampa e l’urbanistica
• Mauro Baioni, Consumo di suolo e pianificazione: seminario conclusivo con gli studenti
Pomeriggio
• Approfondimenti concordati con i corsisti
• Bilancio del corso a cura di Salzano e Zucconi
In calce potete scaricare il testo in formato .pdf
Ciao Eddy, come va? è stato davvero un piacere conoscerti. Aver frequentato la tua scuola mi ha aperto a nuove curiosità e a nuove amicizie, e direi che questo è stato davvero moltissimo. Come già sai, a me è mancato parecchio il contatto con il mondo esterno. Ma - tu obietterai - eravamo a SCUOLA! E come darti torto! Ecco, allora direi che mi sono sentita un pò sequestrata, un pò isolata forse.
Confidando nel tuo senso dell'ironia ,da toscanaccia quale sono, ti invio alcune delle mie cattivissime vignette Un caro abbraccio, elena
Grazie Elena. Per l’anno prossimo stiamo pensando a una scuola un po’ meno “isolata”. Naturalmente sarai informata, e magari collaborerai. Grazie delle belle vignette (sono nel file allegato), e sopratutto dell’humour!
Il consumo di suolo è la misura dell’espansione delle aree urbanizzate a scapito dei terreni agricoli e naturali. Il suo monitoraggio è un tema di estremo interesse per l’urbanistica, poiché investe appieno alcune tra le principali questioni che la pianificazione è chiamata ad affrontare: la forma della città, la distribuzione sul territorio delle funzioni, il conflitto tra usi alternativi del suolo.
Nel sito Eddyburg.it e nella prima edizione della scuola estiva di pianificazione è stata avviata una riflessione che non si è limitata ai soli aspetti di tecnica urbanistica. Grande attenzione è stata dedicata a temi apparentemente distanti tra loro, come l’economia, la storia del territorio, la pianificazione dei trasporti, la valutazione ambientale, che solo nel loro complesso intreccio consentono di comprendere le ragioni dell’inarrestabile crescita delle aree urbanizzate, delle conseguenze – economiche e sociali – procurate dalla mancata regolazione dello sviluppo urbano e, solo a questo punto, dei rimedi che possono essere apportati attraverso la pianificazione territoriale e urbanistica.
Ragioni e fattori di crescita del consumo di suolo
E’ spettato a Edoardo Salzano, fondatore di Eddyburg.it e promotore della scuola, il compito di inquadrare il tema, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra consumo di suolo, economia e stili di vita, sottolineandone la patologia e indicandolo come uno degli effetti di un modello socio-economico che tende a disgregare progressivamente polis e urbs.[1]
Nel nostro paese assume un particolare rilievo la rottura dello stretto legame tra modi di produzione e territorio che aveva caratterizzato tutta la storia italiana fino al 1900, come ha spiegato Piero Bevilacqua. Per secoli la necessità di governare le acque, di adattare le terre per le coltivazioni, di rendere affidabili le reti di comunicazione e di difesa ha innervato il rapporto di mutua interazione tra uomo e natura. In poche generazioni questa necessità è venuta meno e con essa l’attenzione al territorio: il paesaggio, da costruzione collettiva del presente, è diventato memoria ingombrante del passato e l’urbanizzazione ha progressivamente e indistintamente invaso consistenti porzioni del suolo nazionale, nelle pianure, nelle coste, nei fondovalle.[2] Una trasformazione, ci ha ricordato Antonio di Gennaro, che ha investito non solo le aree urbane, ma - con altrettanta intensità - il territorio rurale, troppo spesso negletto dalla cultura urbanistica. Anche la campagna si è trasformata perché persino la produzione agricola, alla pari del commercio e della produzione industriale, ha perso il proprio legame con il territorio. Un cambiamento radicale, orientato da politiche commerciali definite a scala europea e mondiale, che si è rivelato comunque del tutto insufficiente a sostenere, economicamente oltre che culturalmente, la competizione con l’utilizzo urbano del suolo, come testimonia la drammatica dissipazione dei suoli fertili e ricchi di storia dell’entroterra napoletano.
L’espansione delle aree urbane è ben lontana da essersi arrestata. Al contrario, essa viene sostenuta dall’impennata delle rendite immobiliari con rinnovato vigore da una decina d’anni a questa parte. Spiega Giovanni Caudo che persino la produzione di abitazioni, edifici industriali e uffici sembra aver subito una mutazione genetica, all’apparenza smaterializzandosi[3]. Gli edifici diventano poste nei bilanci, sono oggetto di continui passaggi di mano tra società, acquistano un valore del tutto slegato dalla loro effettiva funzione. Gli effetti prodigiosi nelle casse delle società immobiliari sono ormai noti ai più, così come l’impennata dei costi di acquisto e affitto delle abitazioni. Dovrebbe essere evidente il nesso, causale e temporale, tra i due fenomeni, ma così non è. La pianificazione non ha finora risposto con la necessaria prontezza, anzi in taluni casi sembra voler agevolare questo perverso meccanismo. Molti sono gli esempi illustrati durante i cinque giorni della scuola.
La pianificazione:
strumento di controllo o di sostegno?
Il caso del Prg di Roma, indagato da Paolo Berdini, è esemplare di quanto possano incidere le scelte della pianificazione urbanistica nell’assecondare l’espansione delle aree urbane. Ma non si tratta di un comportamento isolato, tutt’altro. Anche in Emilia Romagna, nonostante il territorio sia pianificato con completezza e costanza da oltre trent’anni, l’espansione urbana e la dispersione degli insediamenti nel territorio hanno assunto proporzioni consistenti. Piero Cavalcoli ha mostrato la disseminazione di insediamenti produttivi nella piana bolognese, un centinaio di aree grandi 20 ettari o più, disposte a raggiera attorno al capoluogo. Lo stesso avviene in Toscana, dove sono state censite 130 aggregazioni con più di 50 ettari disseminate nei fondovalle e nelle poche aree pianeggianti. Oppure, con forza ancora maggiore, nel Veneto: 556 aggregazioni produttive censite nella sola provincia di Treviso. La razionalità delle singole decisioni assunte dai piani produce, dunque, una complessiva irrazionalità.
I difetti di questo modello, basato sulla sommatoria di decisioni particolari, sono amplificati dalle distorsioni nella rete dei trasporti. Come ha chiarito Alfredo Drufuca, la logica di costruzione e gestione di autostrade, strade e ferrovie è orientata a soddisfare prioritariamente se non esclusivamente le esigenze di bilancio e di funzionamento degli enti gestori, (monopolisti pubblici o privati, poco importa), ignorando la realtà territoriale in cui si collocano le infrastrutture, così come gli effetti territoriali delle scelte compiute. Paradossalmente, la congestione di alcune tratte e la dispersione degli insediamenti si alimentano a vicenda e le soluzioni usualmente proposte non fanno che amplificare i problemi.
Sembrerebbe necessario, dunque, spingere in direzione di una maggiore coerenza complessiva delle scelte, rafforzando il ruolo degli enti pubblici, in particolare di province e regioni. Tutto il contrario di quanto si va affermando con la proposta di legge urbanistica in discussione al Senato. Vezio de Lucia ha evidenziato come la proposta redatta dall’onorevole Lupi porti alle estreme conseguenze il modello “individualista” e frammentario delle decisioni che sta alla base della disarticolazione della crescita degli insediamenti: l’iniziativa sulle trasformazioni della città viene completamente delegata ai privati (rectius, agli investitori immobiliari) e l’autorità pubblica si limita a introdurre qualche correzione, con armi che la stessa legge provvede a spuntare. La debolezza del sistema della pianificazione viene ulteriormente esasperata da altri passaggi del testo legislativo, laddove si depotenziano i piani territoriali e si rinuncia ad una visione dell’urbanistica coincidente con il “governo del territorio”, a favore di una più angusta visione rivolta alle sole trasformazioni edilizie, al cemento e all’asfalto come avrebbe detto Antonio Cederna.
La separazione tra urbanistica, ambiente e paesaggio non è senza conseguenze. Nel ricordarci le difficoltà che hanno incontrato l’applicazione della VIA e la redazione dei piani specialistici, Dario Franchini e Maria Pia Guermandi hanno ben argomentato come questo scorporo finisca col rafforzare quella frattura tra società e ambiente di cui si è parlato all’inizio del paragrafo precedente. In una società sempre più avulsa dal territorio in cui abita, la protezione del paesaggio, dei beni culturali e dell’ambiente sono così percepiti come un vincolo, come un costo, persino come un lusso in tempi di crisi, e non – come sarebbe auspicabile – il fondamento delle scelte.
Modelli di crescita ed effetti prodotti
La crescita delle aree urbane non si è dunque arrestata, né in Italia, né nel resto del mondo, tutt’altro. Sprawl, diffusione, dispersione insediativa: attraverso questi termini Maria Cristina Gibelli ha spiegato come il consumo di suolo si accompagni ad un uso sempre più estensivo dello spazio, alla perdita dei confini della città, alla progressiva formazione di un magma di costruzioni, infrastrutture e aree agricole relitte. Fabrizio Bottini ha percorso una consistenze sezione della principale delle conurbazioni italiane, quella padana, e le sue fotografie – scattate lungo la strada che congiunge Torino a Venezia – illustrano nella loro sequenza quanto sia profonda la dilatazione e destrutturazione dello spazio urbano, a dispetto delle intenzioni dei piani territoriali. Nel panorama della conurbazione convivono tuttora forme tradizionali di espansione, come ricordato da Berdini e De Lucia a proposito di Roma: la crescita della città non costituisce affatto un rimedio alla congestione delle aree centrali. Al contrario, la deregulation dello sviluppo urbano comporta l’esasperazione congiunta di due fenomeni solo apparentemente opposti: l’uso sempre più intensivo di alcune parti del territorio e la dissipazione di superfici agricole sempre più ampie. Lo testimoniano le grandi trasformazioni urbane (Caudo), le dinamiche della mobilità (Drufuca, Cavalcoli) e persino il turismo (Ravaioli), i cui effetti negativi sono legati sia ad un eccesso di pressione nelle città d’arte o lungo le coste, sia ad una sua progressiva diffusione in aree poco vocate e accessibili.[4]
Il confronto con altre nazioni europee, compiuto da Georg Frisch, evidenzia l’abissale vuoto di conoscenze in Italia, a testimonianza di quanto sia poco in auge il tema del controllo degli usi del suolo. Mentre in Germania e in Gran Bretagna, accurati catasti degli usi e delle trasformazioni sono posti a fondamento di politiche di correzione delle dinamiche spontanee di crescita delle aree urbane, in Italia sono disponibili poche ricerche, effettuate senza alcun sostegno e coordinamento da parte dello stato e delle regioni. Quanti km di costa sarda sono destinati al turismo? Quante porzioni dei fondovalle appenninici o delle pianure interne sono stati consumati, in nome dello sviluppo industriale delle piccole imprese? Chi abita nelle nostre campagne? Qual’è la mappa reale degli spostamenti che compiamo ogni giorno?
Altre domande scaturiscano dall’osservazione della distribuzione di costi e vantaggi. Il mancato controllo del consumo di suolo e la dispersione degli insediamenti generano una serie di costi collettivi la cui entità è stata stimata, per la prima volta in Italia, in una ricerca condotta da Camagni, Gibelli e Rigamonti, della quale Gibelli ha presentato gli esiti. Il fatto che pochi gruppi sociali si avvantaggino di una consistente esternalizzazione dei costi, ambientali, sociali ed economici non sembra essere ben compreso. Una sottovalutazione che provoca distorsioni evidenti: attualmente è più vantaggioso urbanizzare il terreno agricolo, rispetto alla ristrutturazione di aree dismesse; attualmente i comuni derivano gran parte del proprio sostentamento da oneri di urbanizzazione e ICI (cioé dalla consistenza e dalla crescita delle aree urbane); nella prospettiva indicata da alcune leggi regionali e fatta propria dalla proposta di legge urbanistica nazionale, la realizzazione e persino la gestione dei servizi pubblici (degli asili, delle scuole, del verde pubblico, degli impianti sportivi...) saranno indissolubilmente legati ad operazioni di trasformazione urbana. Al “motore della crescita urbana”, per usare l’espressione del Sustainability institute americano, non si vuole far mancare il carburante.
Il panorama sulle leggi regionali fornito da Luigi Scano dimostra la superficialità con cui la pubblica amministrazione si occupa del controllo della crescita urbana: qualche dichiarazione di principio relativa alla sostenibilità, poca o nessuna attenzione al territorio rurale, letto al più come supporto per la produzione agricola. Non è dunque un caso che anche nelle regioni con la migliore tradizione urbanistica, Toscana ed Emilia, la crescita e dispersione degli insediamenti abbiano interessato significative porzioni di territorio.
I rimedi possibili: quali sfide per la pianificazione
La panoramica fornita durante la scuola, sopra brevemente riassunta, mostra con sufficiente chiarezza la complessità del problema del consumo di suolo, il cui contenimento non può certo basarsi esclusivamente sul modo in cui vengono redatti gli strumenti urbanistici. Del resto il legame tra urbanistica e politica, così come tra politica e cultura è – o dovrebbe essere – assai stretto. Registriamo, dunque, la necessità che si ristabilisca innanzitutto questo legame, che gli urbanisti ritrovino parole capaci di descrivere la realtà, che smettano di interrogarsi esclusivamente sulla nomenclatura dei piani e riprendano ad occuparsi del rapporto tra società e territorio e di quanto l’organizzazione delle città è importante per la vita quotidiana delle persone. Se il territorio non è nell’agenda politica è anche perché gli urbanisti hanno perso le parole.
In secondo luogo, ben prima della definizione di complesse politiche o di raffinati strumenti di piano, sarebbe bene recuperare un po’ della chiarezza e della semplicità dei piani del passato, frettolosamente archiviati come strumenti inadeguati a governare il cambiamento. Al contrario: quanta forza visionaria era contenuta nei piani coordinati dei comuni della Val di Cornia, così come emerso dal racconto di uno dei loro autori, Carlo Melograni. In una tavola di piano caratterizzata da pochi e semplici colori viene tratteggiato un futuro diverso per lo sviluppo di Piombino e del suo entroterra, basato su una rete di parchi e non sullo sfruttamento immobiliare della costa. E che dire del piano regolatore di Napoli, pressoché l’unica grande città italiana ad avere approvato di recente un nuovo piano regolatore? Che reazione avreste, se vi descrivessero Napoli come una città circondata da un grande parco sulle colline, dove la piana industriale di Bagnoli è stata restituita alla città realizzando una spiaggia e un grande giardino pubblico, dove i turisti visitano il centro restaurato muovendosi con la metropolitana o il treno, dove il traffico soffocante e le macchine a Piazza Plebiscito sono un ricordo sbiadito... Eppure non si tratta della fantasia di uno scrittore, ma del contenuto concreto di un piano urbanistico che, quand’anche tradizionale nella forma, si rivela assai innovativo nei suoi contenuti.
Se appare auspicabile recuperare un po’ di chiarezza nel descrivere e interpretare la realtà, così come nel fornire proposte per il domani, la terza e probabilmente la più importante sfida per la pianificazione consiste nell’attivare gli strumenti che consentono il passaggio dall’idea di piano alla sua concreta realizzazione. E’ Massimo Zucconi, con il suo intervento, a ricordare quanta tenacia occorra per muoversi controcorrente. Eppure la storia di successo della Società dei Parchi Val di Cornia dimostra che è stato possibile tradurre in una realtà concreta l’intuizione tecnico-politica contenuta nei piani redatti all’inizio degli anni settanta. E’ stato possibile e necessario al contempo: se in Val di Cornia i parchi non fossero oggi un modello di gestione, un soggetto economico e un protagonista attivo sulla scena locale è del tutto probabile che le proposte di piano verrebbero facilmente sopraffatte, con esiti analoghi a quanto è accaduto in molte altre aree costiere. Allo stesso modo, la sorte del Prg di Napoli è indissolubimente legata al funzionamento della rete dei trasporti, alla vitalità del parco delle colline, alla progressiva realizzazione dei servizi nelle periferie e della riconversione di Bagnoli. Ad un’idea semplice, ma chiara, dello sviluppo delle città e del territorio deve perciò corrispondere un ventaglio di iniziative che solo nel loro insieme possono rappresentare un antidoto all’anarchia dello sviluppo urbano: politiche fiscali, rafforzamento del coordinamento intercomunale, incentivi al riutilizzo delle aree già urbanizzate, introduzione di regole più severe o di forme più stringenti di valutazione per l’ammissibilità delle espansioni urbane, introduzione di un legame obbligatorio tra localizzazione delle nuove aree urbane ed esistenza di un servizio di trasporto pubblico su ferro, introduzione di densità minime di occupazione del suolo, sostegno all’agricoltura come presidio ambientale e paesaggistico e così enumerando, come testimoniano i numerosi esempi forniti dai docenti della scuola. Nuovamente, si tratta di proposte che necessariamente esulano dallo specifico dei piani, e riguardano innanzitutto il funzionamento della pubblica amministrazione, e inoltre la sfera legislativa, quella economica, l’insieme delle politiche sul territorio, in un percorso circolare che necessariamente riconduce alla politica e alla cultura.
In conclusione
Ben vasto programma, dunque. E molto ricco di sfaccettature, così come era logico che scaturisse da una scuola estiva di pianificazione promossa da Eddyburg.
Per concludere, in questi giorni circola in televisione una pubblicità che mostra un uomo con sua figlia che giocano felicemente insieme. Per tutto il resto, recita lo slogan, c’è la carta di credito. Rovesciando il punto di vista, il mercato con le sue distorsioni sembra occupare ogni giorno sempre più spazio, nell’agenda politica così come nel piccolo mondo dell’urbanistica. Ebbene, per tutto il resto c’è Eddyburg. Questo credo che basti a spiegare l’affetto e l’impegno con cui hanno contribuito, docenti e partecipanti, al successo di questa settimana.
[1] Edoardo Salzano. Consumo e città. Dispense della scuola estiva di pianificazione 2005. Anche nel sito, qui.
[2] Va ricordato che la grande trasformazione descritta da Bevilacqua ha significato l’affrancamento dalla miseria, l’evoluzione del costume e la diffusione del benessere alla più gran parte della popolazione. Non è dunque uno sguardo nostalgico, ma piuttosto desideroso di comprendere il percorso compiuto per giungere sin qui. Nei giorni successivi alla conclusione della scuola, Vezio de Lucia mi ha segnalato il libro Terra di rapina di Giuliana Saladino, una testimonianza esemplare per ricordare quali drammatici eventi abbiano segnato i profondi cambiamenti dell’Italia del ‘900.
[3] Il significativo titolo della comunicazione di Caudo è “Case di carta”.
[4] E’ di questi giorni la demenziale proposta di costruire nuovi impianti da sci sulla sommità dell’Etna, a 2000 metri di quota, esempio paradossale di quanto il falso mito dello sviluppo turistico venga addotto come giustificazione per operazioni dall’elevatissimo impatto ambientale. Ma, all’opposto, anche la silenziosa e progressiva trasformazione della campagna toscana in chiave turistica meriterebbe qualche considerazione più approfondita, come sottolineato anche dai partecipanti al corso.