Gli archeologi, dopo aver scavato per secoli, si sono resi conto, a ragione, che scavare è un’azione distruttiva. Dicono gli archeologi che una tomba scavata e tirata a lucido avrà una vita breve e che il giusto destino di quel sepolcro consisterebbe nel restare com’era.
Tutti, intanto, hanno visto nei giornali i muraglioni mesopotamici che, sotto la sorveglianza dei mistici del non scavo, hanno incorporato le tombe scavate a Tuvixeddu. Qua i muraglioni decidono arbitrariamente dove finisce il Parco archeologico e dove inizia un volgare giardinetto pubblico. Arbitrariamente, visto che ben oltre le colossali fioriere è giusto credere che ci siano altri sepolcri. I baluardi sono alti quasi tre metri e larghi due, un peso immane, e tagliano alcune tombe. Le immagini, almeno quelle, sono incontestabili.
Qualche giorno fa la Sovrintendente protostorica Fulvia Lo Schiavo ha sostenuto in una metafisica conferenza stampa, con una determinazione che ci ha raggelato, come quelle fioriere dal peso incalcolabile proteggano, secondo lei, le tombe. E ha argomentato che siccome lo scavo è “distruzione” allora quelle fioriere sono una difesa per i sepolcri che sono finiti sotto.
Il sillogismo, però, scricchiola.
E vediamo come sono stati “protetti” alcuni sepolcri in tempi recenti.
Dalla fine degli anni novanta sino agli anni 2000 inoltrati, in un’area del colle verso Sant’Avendrace, accanto al vecchio villino Serra – distrutto perché indegno, si vede, di essere conservato - emerse una nuova e grande parte della necropoli.
Affiorarono le innegabili 431 nuove sepolture, in parte perfino fuori da ogni vincolo. Le nuove scoperte dimostravano, alla faccia dei negazionisti, quanto l’area della necropoli fosse molto più grande di quella conosciuta.
Cosa dovevamo aspettarci? Entusiasmo, i giornali pieni di notizie, l’orgoglio cittadino per la nuova scoperta, amministratori di destra, sinistra e centro in visita alle nuove tombe. Una corsa archeologica all’oro.
Secondo i princìpi enunciati dalla protostorica Lo Schiavo le tombe andavano dunque messe al più presto al sicuro.
E avevamo immaginato – ahi, quanto ingenuamente - che il soprintendente avrebbe avviato le procedure di un nuovo vincolo. Nuove scoperte, nuovi vincoli.
Invece, nulla di tutto questo. Nel silenzio archeologico si è scavato e poi costruito un palazzone sulle tombe. I nostri archeologi, esaurito il proprio compito nello scavo, hanno ritenuto che non c’era nulla di più sicuro di una palazzata di undici piani con grande garage, sopra le sepolture. Tutta salute per i sepolcri. Nulla è più protettivo di un palazzo.
E così nel 2004, pochi anni fa, i palazzoni giallini hanno ricoperto gran parte dei ritrovamenti e reso definitivamente brutto anche quell’angolo di colle.
La Sovrintendente protostorica ha accreditato l’idea che l’archeologo sia un tecnico puro, uno scopritore che nulla ha a che fare con un’altra categoria, quella dei costruttori. Chiedere un vincolo? Battersi per una tutela? No. Questa è un’idea romantica dell’archeologia.
E per dimostrare questa teoria ci ha raccontato che sotto la Banca Nazionale del Lavoro, noi valorizziamo oggi delle terme romane. Ci ha assicurato, confermando un vero affetto archeologico per le pietre, che le terme là sotto sono “tranquille”. Chissà che brutta fine avrebbero fatto le terme se, sopra, non avessero costruito la banca.
Mentre la Soprintendente parlava della sua idea di tutela ci siamo chiesti se anche l’anfiteatro romano è valorizzato dall’attuale copertura di tavolacci. Ma non volevamo andare fuori tema.
Però questo anfiteatro non è facile da digerire e riemerge da sotto i tavoloni di continuo.
Ieri, in una bella mattinata autunnale, un signore francese dall’aspetto intelligente, si aggirava in Viale Fra’ Ignazio con in mano una fotografia dell’anfiteatro romano e chiedeva se quella cavità ricoperta di legno e tubi di ferro fosse davvero l’anfiteatro della foto. Non siamo riusciti a fornire una spiegazione coerente però lo abbiamo invitato a rivolgersi alla protostorica dottoressa Lo Schiavo. La protostorica, forse, estenderà ai tavoloni e al ferrame dell’anfiteatro la sua teoria delle fioriere protettive. Ma non convincerebbe l’ostinato viaggiatore francese come, del resto, non ha convinto noi.
Quel che resta del colle, ed è tanto, sepolcri, falchi, orchidee, si salveranno dai metri cubi e noi dovremo conservare la bellezza che Tuvixeddu riconquista da sé ogni volta che si attenta alla sua integrità. Ma una parte è perduta per sempre. E chi ha concorso a questa perdita permettendo che intorno proliferasse un’orribile poltiglia urbana, passerà alla storia della nostra città, e magari anche alla protostoria.
P.S.: forse la sconfitta recente del Sì nel referendum sulla “salvacoste” è dovuta alla mancanza, nei manifesti, del prescritto accento che il creativo della campagna referendaria ha dimenticato. E i sardi hanno risposto con un silenzioso Nò, dotato di un accento sonoro. Segno che le regole della grammatica valgono quanto la pratica e che, come tutte le regole, devono essere rispettate.
«Mio padre aveva ragione. Io ho sbagliato. Voleva liberarmi dalla prigione dell'industria, che sfratta usando la scienza, per restituirmi alla libertà della natura, che trattiene rigenerando la bellezza. Lui aveva visto che il mondo rurale, assieme alla terra, avrebbe perso il potere. Io non ho capito che, nel deserto, comanda il vuoto. La mia vita è la risposta alla tragedia ignorata della Sardegna e dell´Italia». Gavino Ledda, a 70 anni, rinnega "Padre padrone". Nella casa di Siligo, dove è tornato, sta riscrivendo il suo capolavoro. Dopo 35 anni vuole denunciare la violenza opposta a quella che, costringendolo a diventare un bambino pastore, recise il suo destino di scolaro: i genitori ridotti ormai a «spingere nel mercato dello studio», cacciando i figli da campagne e paesi. «Eravamo padri e padroni - dice - ora siamo sterili e servi. Meglio essere proprietà di un padre che di una banca, o di un podestà». È la sintesi del dramma che, nell'arco di una generazione, erige oggi l'isola a specchio di un Paese orfano. «I campi - dice a Baddhevrùstana - sono la metafora dell'enigma chiamato libertà. Dobbiamo ammettere l´incapacità di chiarirlo: e riconoscere che, per non mettere a tutti una valigia in mano, si deve avere una cultura propria da trasmettere».Da sette giorni, per guardare il divorzio italiano dall'agricoltura, dalla natura e dai suoi borghi, vago in Sardegna assieme a pastori, casari, contadini e genti delle Barbagie. In nessun altro luogo, sospeso tra coste brulicanti e montagne inselvatichite, la rinuncia della nazione a se stessa è tanto impressionante. L´ultima crisi del mondo, come l´alluvione annunciata a Capoterra, travolge chi è rimasto a produrre cibo, o a mettere ordine nei campi, sui pascoli e tra i boschi. Migliaia di sopravvissuti sono scossi da uno stupore: prendere atto di essere stati abbandonati.«La mancanza di un grande progetto civile nazionale - dice lo storico Manlio Brigaglia - riproduce la catastrofe antropologica del dopoguerra. L'ufficio sostituisce lo stabilimento. Lo spaesamento sociale, culla di una rivolta possibile, è però peggiore: perché politica e sindacato, inconsapevoli, hanno rinunciato ad affrontarlo». Gli effetti di tale distrazione, motore degli abbandoni, sono una serie di primati devastanti. In Sardegna c'è il luogo più avvelenato d'Italia, Portovesme, e il più intatto, Budelli. Quartu Sant'Elena ha la più alta concentrazione demografica, 602 abitanti per chilometro, e Gerrei la più bassa, 14. L'età media dei contadini è di 62 anni. Non c'è più di un figlio per donna. Attorno al Gennargentu le femmine hanno in media 52 anni. Su 377 Comuni, 164 sono prossimi all'estinzione. Olbia, in trent'anni, passerà invece da 3 mila a 100 mila residenti. Villasimius, in agosto, schizza già da 20 a 110 mila. In estate le persone che vivono sull'isola oscillano da 1,6 a 20 milioni. Arzachena è il Comune più ricco d'Italia, Desulo il più povero. Cagliari, su 9 mila ettari, ospita 190 mila persone. Orgosolo, su 22 mila ettari, 3 mila. L'86% dei sardi vive ormai a non più di 30 chilometri dalla costa, solo il 5% nei villaggi più antichi dell'interno. In due città, Cagliari e Sassari, si è spostato un terzo di tutti gli abitanti. Sull'isola ci sono 800 mila abitazioni: 8 mila vuote solo nel capoluogo, mentre nei paesi il 47% sono abbandonate. In dieci anni la superficie coltivata si è dimezzata, i pascoli incolti sono quintuplicati, mentre 90 milioni di metri cubi di cemento hanno coperto i 1600 chilometri di litorale. Settemila aziende agricole sono all'asta,180 mila contadini pagano i mutui solo grazie ai contributi Ue e sono schiacciati da 800 milioni di euro di debiti.Belano in compenso quasi 4 milioni di ovini: 300 mila quintali di pecorino romano prodotto per il sempre più precario mercato Usa. Il cortocircuito, economico e sociale, tocca qui il suo apice storico. Esprime però, nella sospensione di un'isola a rischio liquidazione, il carattere nuovo dell'Italia all'asta. E rivela infine il suo esito: 300 mila poveri, un sardo ogni cinque. «La costa produce cemento - dice l'antropologo Bachisio Bandinu - l'interno formaggio. Le due materie prime sarde, mare e latte, sono nelle mani di un pugno di persone, in maggioranza del continente, o straniere. Alla gente non resta nulla. La Sardegna, come il resto della nazione, si rende conto dell'errore. Ha trasformato la natura in industria, turistica o alimentare, ignorando la lezione dei petrolchimici. Il guaio è che, nonostante il fallimento di quel modello, lo Stato continua ad alimentare la catastrofe: con la complicità dell'Europa».Il tentativo di reagire, da alcuni mesi, lacera l'opinione pubblica. La Sardegna è l'unica regione italiana ad aver approvato un piano paesaggistico coerente con il codice dei beni culturali.La sola ad aver vietato nuove costruzioni a meno di due chilometri dalle rive. La rivolta, scatenata dal partito di costruttori e speculatori, ha avuto un finale inatteso: il referendum contro la conservazione dell'ambiente, i primi di ottobre, si è schiantato sul 20% di votanti. «Non è purtroppo - dice il leader degli ambientalisti, Stefano Deliperi - un addio al cemento. Certifica però vergogna e nostalgia: l'appello di genti che, ovunque, si sentono sempre più impotenti. Inutili».Il paesaggio in sé, del resto, è un certificato di incertezza. Spiagge, campagne, colline e monti non trasmettono un carattere, né rivelano un'attitudine. Loculi di calcestruzzo, ammassati, si alternano a scollegate distese selvagge. Per metà si coltiva, per metà si abbandona. In parte si tutela, in parte si sfrutta. Una scissione consumata, ma non compiuta. «È un territorio indeciso - dice l'archeologo Giovanni Lilliu - che esprime un'insicurezza, la sfiducia in se stesso. Penso alla mia isola e vedo l'Italia: luoghi dal destino imprevedibile, che nessuno ama più. Ho 94 anni: se l'improvvisazione non si arresta, temo di essere in tempo per assistere a un collasso». I sintomi sono evidenti. La piana tra Uta e Decimoputzu è invasa da migliaia di metri quadrati di serre pericolanti. Scheletri di plastica, o di vetro, con le piante secche ancora all'interno. Centinaia di fallimenti, innescati da contributi illegali. Vani scioperi della fame. Un banchetto, per il credito.«Per ventimila euro - dice Riccardo Piras, di Altragricoltura - battono all'asta terreni che valgono 2 milioni. Un infermiere in pensione, per conto di un'immobiliare milanese - ne ha comprati 32. Prima ci hanno fatto investire, poi fallire. Il verde agricolo perduto, in un anno, diventa edificabile. Politici, banchieri e costruttori, il potere sardo e italiano, si stanno spartendo le campagne». Esemplare, pochi giorni fa, il ciclone tropicale a Capoterra. Fino al 1990 qui si coltivavano carciofi e pomodori. Tre ore di diluvio hanno sommerso una distesa di case brutte, abusive e senza piano. Sugli alvei di fiumi e canali hanno costruito asili, scuole, negozi, cimiteri, strade. «La soglia della sostenibilità - dice Fanny Cao, presidente regionale di Italia Nostra - è stata superata. Confondere lo sviluppo con il cemento non distribuisce ricchezza. Brucia risorse: e semina cadaveri».Una lista terribile di orrori, per l'isola più bella e completa del Mediterraneo. Il Campidano, granaio di Roma, è abbandonato ad un'orticoltura intensiva avvelenata e fallimentare. Portovesme soffoca in una nube tossica. A Porto Torres le scorie restano sepolte nei terreni. Liquami e concimi chimici devastano gli stagni di Arborea. Nel Sulcis, liberato dalle miniere, i fiori sono ancora impregnati di metalli. Pula, la costa del Sud, Villasimius, la costa Rei, Olbia e la Gallura, la Nurra attorno ad Alghero, sono sepolte di hotel e seconde case. Uno squallore: design seriale camuffato da architettura d'autore. Altri milioni di metri cubi di edifici giacciono nei progetti: le onde, invisibili, si gonfiano oltre i centri commerciali. Si salvano solo le valli delle Barbagie. «Perché ormai sono vuote come agnelle arrostite - dice Bachisio Porru, portavoce dei piccoli Comuni - e i politici non sanno nemmeno dove siano. In 60 paesi l'età media è di 48 anni, il ricambio generazionale impossibile. È il destino che sta travolgendo tutto il Meridione, gli Appennini, l'arco alpino. Lo Stato ha tolto l'occupazione, quindi i servizi: quattro italiani su cinque costretti a lasciare le loro immense case nei villaggi. Sono gli stessi che oggi, in città, non riescono a pagare il mutuo dei miniappartamenti. Chiamano globalizzazione quello che nel secondo Novecento battezzavano progresso. Ma i sardi sanno che il cambiamento si risolve in un affare da agenzia immobiliare: chiudere paesi per aprire periferie».Attorno a Nuoro la Sardegna chiusa per paura, e l'Italia che sceglie di trasformarsi in un'isola governata dalla preoccupazione, si impongono con ferma meraviglia. I quartieri della città sono un mosaico di borghi serrati, come se qualcuno li avesse raccolti al tramonto e innestati qui entro l'alba. Molte vecchie, nere e rotonde come bacche di ginepro, siedono sugli usci di condomini incompiuti, in mattoni rossi, come fossero al focolare. I costumi restano abiti: trasportano nei villaggi vicini, di cui non resta che un'indecifrabile traccia, oppure nei paesi che si consumano in un isolamento accanito. Queste stesse donne, che mantengono i figli con pensioncine antiche, si incontrano anche in altri luoghi. Si muovono come fantasmi, calme e indifferenti, e trasformano la regione in una sconfinata, silenziosa corsia di ospedale. «I loro nipoti - dice lo scrittore Giorgio Todde - sono camerieri, o commessi. Non si fidano del turismo, che vedono rapace, ma non credono più nella civiltà rurale, che sanno spietata. Aspettano, come tutti, di vedere se davvero la bellezza può tramutarsi in oro, senza poi sparire».Orune, Lula, Olzai, Teti, Osidda, Oliena, Desulo, centinaia di altri borghi remoti e sacri, restano intanto cavi come ghiande. Non sono più contadini, non ancora altro. I bar offrono sandwich con speck e fontina, o "vero formaggio svizzero fatto in Olanda".I caci affumicati e ingrassati con l'olio, che per secoli hanno annegato i pastori con un sogno, sono irraggiungibili, come una nuvola oltre il Supramonte. Di bello, di valentemente banditesco, restano i cartelli stradali sfondati a pallettoni. Ricordano un destino: una nazione incerta tra Orgosolo e Porto Cervo, esposta al rischio di essere felice perché non si conosce, eternamente.«Sembriamo in effetti la Sardegna - dice a Ollolai Efisio Arbau, portavoce del movimento dei pastori - ma non siamo più capaci di fare i sardi. È chiaro che non possiamo più consegnare 300 mila quintali di latte a 3 industriali, che confezionano un sottoprodotto per gli hamburger made in Usa. Qualità significa però avere una capacità artigianale, credere nella natura, in una identità. Non i piccoli con un carattere, ma i grandi privi di espressione, iniziano a morire. Unendoci, reinvestendo nella nostra dimensione, possiamo sottrarci ai "prenditori" che svendono il Paese a pochi: per incompetenza, o per corruzione». Come sempre, nella "domo de casu" barbaricina, o nello stabilimento di Andrea Pinna a Thiesi, si discute del prezzo del latte di pecora.A Cagliari Giorgio Piras e Luca Saba, leader sindacali, sfornano studi e appelli alla Regione. A Seneghe Francesco Cubeddu lotta per la quotazione della carne di Bue Rosso. Fulvio Tocco, nel Medio Campidano, tratta il costo del porcetto. Battista Cualbu, a Campu Calvaggiu, poco fuori La Corte, si commuove contando quattrocento pecore in linea e pensando al padre: scendeva a piedi da Fonni, per la transumanza nella Nurra, e per mesi dormiva nei cespugli. Potrebbe sembrare tutto immutabile, o reale come le aste - truffa dei terreni contadini a Villasor: una civiltà che affonda nei debiti, tra l'ex Mussolinia e Reggio Emilia, in balìa dell'assistenza e in ostaggio del mercato. «Invece siamo in crisi - dice a Fordongianus Giuseppe Cugusi detto Cuccara, professione pastore, vocazione casaro - solo perché abbiamo dimenticato chi siamo, rinunciato alla storia. Non crediamo più nelle pecore e raddoppiamo le stalle. Non crediamo più nel latte e quadruplichiamo le mungitrici. Non crediamo più nel Fiore Sardo e ci umiliamo con il pecorino romano. Non crediamo più nella terra e investiamo in sementi e concimi. Non crediamo più nemmeno nel mare, e lo sostituiamo con l´idromassaggio. I sardi non credono più nella Sardegna come gli italiani con credono più nell'Italia: perché rinunciano a se stessi e imitano, come patetici replicanti cinesi. Per andare avanti dobbiamo tornare indietro: animali al pascolo, forme preziose stagionate dietro l'ovile, vendita diretta, on-line come un tempo alle fiere. Gavoi che sfila a cavallo, Rimini che sega gli ombrelloni: il massimo della modernità, contro gli strozzini che producono conti. Ma soprattutto contro una politica vecchia, che non vede la profondità di un cambiamento». Francesco Pigliaru, economista originario di Orune, conferma che non è una resa alla nostalgia.«La qualità dell'ambiente - dice - diventa sviluppo perché chi investe su quel valore acquista ormai solo natura. Per averla, paga di più: ma se non c'è, non spende. Il riflesso, per i prodotti agricoli, è il medesimo. Mondo rurale, civiltà paesana e turismo della bellezza, sono davanti al bivio della tutela integrale: o bruciano l'ultima materia prima rimasta all'Italia, o si impegnano per ricostruire un equilibrio infranto, cuore della competitività economica». Cemento, Turixeddu, pecorino romano, serre e "Unione Sarda", contro sabbia, Busachi, Fiore sardo, grano e "l'Unità". «Due Sardegne - dice l´antropologo Giulio Angioni - ma pure due Paesi opposti, un´idea di Europa: una sfida estrema, in primavera, tra ritorno al feudalesimo e riscoperta della democrazia». È già, rapidamente, buio. Gavino Ledda, ancora pastore, continua ad aspettare una donna. Cammina nell'arboreto che ha piantato con i soldi dei suoi libri. Una collina di cotogni, corbezzoli, mirti, ginepri, olivi, sugheri, lecci, erbe. I compaesani adesso hanno capito. Suo padre aveva ragione: ma lui, alla terra da cui era fuggito, lascia infine un giardino. Una profezia, cesti di frutti, come eredità.
L'Unione Sarda, 29 ottobre 2008
Così in trent'anni è esplosa Capoterra.
Un paese agricolo di 7mila persone sfiora oggi 24mila abitanti.
di Giancarlo Ghirra
CAPOTERRA «Se mi chiede cosa ne penso, dico che non sono d'accordo con le scelte urbanistiche e edilizie adottate quasi quarant'anni fa. Ma io, sindaco, ho il dovere di attuare le norme esistenti, anche quelle da me combattute e mai votate, varate con il Programma di fabbricazione del giugno del 1969». Così parla Giorgio Marongiu, cinquantaquattro anni, da sette sindaco di Capoterra, esponente del Partito democratico alla guida di una giunta di centrosinistra. «Ecco perché - insiste - oggi si costruisce ancora a Frutti d'oro come a Maddalena Spiaggia e nelle altre aree dotate di licenze e concessioni. Applico le leggi, anche quelle che appaiono incredibili davanti alla tragedia di una settimana fa. Le leggi trattano un rio, come il San Girolamo, diversamente da un fiume, e consentono di edificare a soli quattro metri di distanza dal corso d'acqua: io posso non condividerle, ma le devo applicare fino a quando Stato e Regione non le cambieranno. Ci sono lotti quasi sulla spiaggia che bloccherei volentieri e sui quali ho chiesto pareri alla Capitaneria, agli uffici nazionali e regionali. Ma quando le pratiche mi tornano indietro con bolli e timbri, devo solo dare il via libera ai proprietari. Non posso impedire al dirigente tecnico di dare via libera al cittadino che potrebbe denunciarci per violazione dei suoi diritti. Certe volte quando rallenti qualcuno arriva addirittura a fare cattivi pensieri». E così Capoterra continua la tumultuosa crescita edilizia che ha trasformato il vecchio paesone agricolo alle porte di Cagliari in un gigantesco quartiere residenziale cresciuto a dismisura e con scarso rispetto per una natura capace di vendicarsi, su innocenti, delle violenze degli uomini all'ambiente.
I RIMBORSI DEI DANNI. A chi oggi soffre per le case devastate dal fango arriveranno - dicono in Comune - i rimborsi per i danni subiti dagli immobili. Non un euro per gli elettrodomestici, le cucine, i mobili, le attrezzature, gli indumenti. «Grazie all'intervento della Protezione civile - spiega Marongiu - registreremo i danni subiti dalle abitazioni. E attiveremo i rimborsi al più presto. Poi bisognerà rimettere a posto un sistema fognario duramente provato, noi che avevamo realizzato i collegamenti al depuratore del Tecnocasic per evitare che neppure un litro d'acque reflue fosse scaricato in mare o in un fiume». Il sindaco è stanco, teso, ma non nasconde i problemi. Anzi, li enumera.
IL PROGRAMMA DEL 1969. «Ci sono ancora costruzioni in corso, figlie del Programma di fabbricazione entrato in vigore il 13 giugno del 1969 e mai superato. Erano, sono, quindici lottizzazioni per quasi due milioni di metri cubi». Il sindaco era in quel momento Felice Baire, esponente della Dc, che avrà poi illustri successori, fra i quali l'allora socialista Raffaele Farigu, oggi consigliere regionale del Nuovo Psi. Fra gli altri successori Tore Caboni, anch'egli socialista ma oggi nel Pd, bersagliato dalle bombe a metà anni Novanta insieme all'assessore all'Urbanistica Franco Piano proprio per le scelte contro nuovi progetti edilizi.
DA 7.000 A 24.000 ABITANTI. Nel corso di trentanove anni Capoterra è passata da meno di settemila abitanti agli attuali ventiquattro mila, ospitati a macchia di leopardo, quasi tutti nelle campagne e sulla costa, spesso su terreni delicatissimi dal punto di vista idrogeologico. Ma allora (e forse ancora oggi) le leggi erano assai permissive. E di questo approfittarono quei pochi che trasformarono in aree fabbricabili campi non più utili per l'agricoltura, e neppure per gli uccellatori famosi a Capoterra per la caccia con i lacci ai tordi trasformati in grive: is pillonis de taccula . La passione per le arrività tradizionali rivelò scarsa capacità di resistenza di fronte all'entusiasmo di un ceto di amministratori che nel 1969 voleva portare la popolazione a quota 50 mila e qualche anno dopo pensò addirittura a quota 62 mila.
GLI ANNI DEL BOOM. Siamo negli anni del boom economico, con le industrie insediate a Macchiareddu, e, dopo la Cinquecento e la lavatrice, la casa-villetta, magari a schiera, fa parte dei sogni di borghesi e proletari. Ma andiamo con ordine. Negli Anni Settanta cominciano i lavori e le costruzioni a Poggio dei Pini, a Maddalena Spiaggia, Torre degli Ulivi e anche vicino allo stagno. Fra i proprietari delle aree si segnalano nomi importanti: Marino Giardini (Maddalena Spiaggia, Su Spantu), Flavio Picciau, il notissimo professor Mario Floris, proprietario di cliniche private (con la "Selene agricola immobiliare" a Rio San Girolamo), la Cooperativa Mille, legata ai partiti della sinistra, che cederà poi parte della lottizzazione all'imprenditore Sergio Zuncheddu, attuale proprietario dell'Unione Sarda, di Videolina e Radiolina. «Tutti gli interventi - precisa il sindaco Marongiu - furono realizzati sulle base delle leggi». In tre anni gli stupefatti ex contadini si ritrovarono davanti, sorti dal nulla, Maddalena Spiaggia, Frutti d'Oro, Torre degli Ulivi, Su Spantu. Poi seguì tutto il resto. Ma intanto continuavano ad arrivare richieste agli amministratori per nuovi investimenti.
ALTRI 2 MILIONI DI METRI CUBI. Per l'esattezza, vennero presentate dagli anni Settanta a oggi 12 domande per costruire altri due milioni e 650 mila metri cubi, in grado cioè di portare sopra quota 50 mila la popolazione di Capoterra. Fra i propositori delle istanze di lottizzazione ci sono nomi di diversa rilevanza: su tutti Edilnord e Villalta di Paolo Berlusconi, che poi rinuncerà a costruire su 152 ettari a nord di Poggio dei Pini. Non mancano nomi di proprietari sardi, come Elisa Nurchi D'Aquila, Matilde Martello, Vittoria Bertolino, Né sfugge alla tentazione-Capoterra uno degli imprenditori locali più attivi sul fronte immobiliare, Peppetto Del Rio, che presenta con la Ediliza Nora il progetto più vasto nell'area a mare, 162 ettari: una sorta di continuazione delle costruzioni da Torre degli Ulivi sin verso Villa d'Orri. Molti di questi progetti sono ancora in campo, ma a partire dalla metà degli anni Novanta il Comune ha scelto di bloccare sostanzialmente le costruzioni anche prima del varo del Piano paesistico regionale, con delibere evidentemente solide, agganciate ai Ptp, contro le quali si sono scontrati vanamente i ricorsi alla giustizia amministrativa di alcuni dei proprietari terrieri. «Il nefasto annullamento dei Piani territoriali paesistici - ricorda ancora il sindaco Marongiu - ci fece trovare privi di paracadute la notte del 31 dicembre del 2003. Il congelamento delle proposte edificatorie era infatti legato ai Ptp. Quando caddero, immediatamente ci arrivaromo le dodici richieste per 600 ettari di lottizzazioni, i 2 milioni e 651 mila metri cubi. Non subimmo attentati e minacce, né bombe come quelle che avevano colpito negli anni Novanta l'assessore Piano e il sindaco Tore Caboni. Ma pressioni tante. Ciò nonostante riuscimmo a varare le due delibere, numero 8 e 9, che non vietano di edificare, ma abbassano fortemente gli indici di fabbricazione». Costruire non conviene più, insomma, perché si può tirar su poco. E le delibere resistono al Tar e al Consiglio di Stato, sino a quando, con il varo della salvacoste e del Piano paesistico regionale, l'edificazione nel 2004 è bloccata in quelle aree. «Oggi guida il Comune un gruppo di amministratori e consiglieri -insiste il primo cittadino- che a metà degli Anni Novanta si ritrovò sull'esigenza di salvare il salvabile di un territorio già fortemente compromesso. Una volta approvati i Piani territoriali paesistici, tentammo già allora di realizzare il Puc. Per farlo era necessaria la doppia conformità: sovrapponendo la carta del programma di fabbricazione alle norme regionali dei Ptp si capiva con facilità che le zone C ed F, quelle di espansione e turistiche, non erano realizzabili. E così, con il sindaco Tore Caboni, decidemmo di congelare le nuove costruzioni. Ma ancora oggi occorre varare subito il Piano urbanistico comunale perché le pressioni continuano a essere insistenti».
LO STOP DEL COMUNE. A Capoterra (e non solo) il dio mattone non dorme mai: le domande ancora sul tappeto riguardano una capacità edificatoria in grado di ospitare sino a 25.000 nuovi abitanti, mica uno scherzo. «Puntiamo a una svolta in futuro - dice Tore Caboni, oggi presidente del Consiglio comunale - sperando non tornino mai quegli anni fra il 1994 e il 1997 con attentati, intimidazioni e minacce, teste di capretto e crisantemi sulle porte di casa. Questo non è più il paese della mia infanzia, con 6,7 mila abitanti, ma ci sforzeremo di impedire che nuove costruzioni sorgano su un territorio delicatissimo. Ci sono quelle che hanno i bolli e i timbri dell'interesse legittimo, con lottizzazioni già assentite . Alcune furono realizzate in modo oggi incredibile, ma secondo le norme: eravamo alla vigilia della Bucalossi, ma per favorire le costruzioni venne varata una legge ponte grazie alla quale le prime case furono tirate su senza la costruzione dei servizi, poi realizzati a spese del Comune. Fu un'urbanizzazione a macchia di leopardo, con il centro storico isolato». Dalla Maddalena Spiaggia alla lottizzazione Picciau, da Frutti d'Oro 1 e 2 fino a Torre degli Ulivi, Su Spantu, Rio San Gerolamo e Poggio dei Pini, passando per la Residenza del Sole e Santa Rosa, Capoterra è, più che cresciuta, esplosa. E molto potrebbe ancora essere costruito, se non arriverà rapidamente un Piano urbanistico comunale. Nell'attesa, lo strumento urbanistico principe ancora in vigore è il Programma di fabbricazione entrato in vigore il 13 giugno del 1969. Almeno due alluvioni e tanti, troppi morti, fa.
Su fiumi e canali si continua a costruire.
CAPOTERRA. Si continua a costruire. Sin dentro i canali, su quei fiumi che dopo il lungo sonno hanno ricominciato a vivere, riprendendosi la loro strada naturale che secoli fa avevano tracciato e che avevano custodito nella loro memoria quando l'acqua era venuta a mancare per colpa della siccità.
Rio S'acqua de Tommasu, storia d'oggi. Le ruspe sono al lavoro, dentro il letto stracolmo di terra e rocce e macerie. Una casa è a rischio crollo, l'onda ha spazzato via il muro di contenimento in cemento armato innalzato tredici anni fa. L'ha abbattuto come fosse un fuscello. Nonostante i trecento quintali di ferro utilizzati per costruirlo. «Ho salvato la mia famiglia poi sono andato a lavorare con la ruspa per aiutare le altre persone», dice Marcello Deidda, proprietario della casa in bilico sul canale. «La mia famiglia è divisa, metà dai miei suoceri mentre io sto da mio padre», spiega Deidda, dipendente comunale e che ieri mattina si è ritrovato senza dimora dopo l'ordinanza di inagibilità firmata dal sindaco Giorgio Marongiu, inevitabile dopo il dettagliato rapporto dei Vigili del Fuoco. «Quando abbiamo costruito le condizioni non erano certo queste, il danno lo stanno facendo i lavori sul rio, quelli avviati dal Consorzio e non ancora terminati e quelli di un vicino cantiere edile». Neppure cento metri più a valle, Le Querce, il complesso residenziale in via di realizzazione che ha messo in vendita di appartamenti di varie metrature fatti costruire dall'imprenditore e editore (è proprietario del periodico "La Voce dei Comuni") Stefano Pala. Sei piccole palazzine da quattro piani ognuna, per un totale di una quarantina di appartamenti, la cui storia è cominciata parecchi anni fa. Sicuramente prima che edilizia da un imprenditore di Quartu, Ubaldo Caria. Vicenda tormentata, quella delle Querce. Con autorizzazioni, nulla osta rilasciati e ripensamenti, richieste di correzioni in corso d'opera del progetto. Con interventi diretti di Regione, Genio Civile, Consorzio di bonifica, Asl, Comune. E tante, davvero molte polemiche. Perché nonostante l'area fosse considerata dalle carte zona edificabile, in quello spicchio di territorio capoterrese, a Su Liori, correva e scorre il rio S'Acqua de Tommasu. Stranamente e inspiegabilmente slegata dal Pai, il Piano di assetto idrogeologico. Incombente, con i suoi vincoli, solo nella parte centrale del rio e non sulle sue sponde. E proprio qui, nel versante che guarda a Capoterra, che le ruspe stanno ora lavorando. Per la messa in sicurezza del complesso residenziale che solo successivamente potrà essere realizzato. Il sì (meno atteso, visto che l'attuale Giunta e il sindaco Giorgio Marongiu in testa si erano sempre detti contrari alle case così vicine al fiume) era arrivato il 19 ottobre del 2006. Un nulla osta della commissione edilizia appena insediata e fatta di soli tecnici, che aveva scatenato le proteste del sindaco e la richiesta di ulteriori accertamenti. Innanzitutto al Centro interdipartimentale di ingegneria e scienze ambientali ma anche Genio Civile e al Consorzio di bonifica. Soltanto per essere sicuri che lì, a Su Liori, non ci fossero pericoli. A parlare, in questi giorni, è stata l'alluvione. Che si è fatta beffa di tanti responsi, giudizi tecnici, carte
Gruppo d’intervento giuridico, 29 ottobre 2008
Quando un sindaco non la racconta tutta.
"Il nefasto annullamento dei Piani territoriali paesistici ci fece trovare privi di paracadute la notte del 31 dicembre del 2003. Il congelamento delle proposte edificatorie era infatti legato ai Ptp". Così parla il sindaco di Capoterra Giorgio Marongiu quasi per giustificare l'alluvione di cemento sulla piana e sui fiumi capoterresi che ha determinato l'alluvione di troppi corsi d'acqua che si sono ripresi violentemente lo spazio rubato loro con prepotenza dalla speculazione edilizia con l'aiuto determinante di una pianificazione urbanistica disegnata su misura.Non dice che quei piani territoriali paesistici - P.T.P. vennero annullati (1998, 2003), su ricorso degli Amici della Terra, dai Giudici amministrativi perché accoglievano affettuosamente proprio miriadi di progetti speculativi in tutta la Sardegna, Capoterra compresa. Proprio il contrario di quello che dovevano fare.
E non dice - ma nemmeno lo chiede il giornalista intervistatore - per quale cavolo di motivo in ben sette anni del suo mandato amministrativo non ha ancora radicalmente modificato quel vecchio programma di fabbricazione del giugno 1969. E non dice neppure per quale altro cavolo di motivo la sua amministrazione comunale ha voluto la del piano di assetto idrogeologico - P.A.I. per zone a grave rischio come quel Rio S'Acqua Tommasu dove già gli Amici della Terra ed il Gruppo d'Intervento Giuridico riuscirono anni or sono a non far realizzare una bella palazzina ed oggi è stato, come al solito, percorso da ondate d'acqua.
Attendiamo con fiducia le risultanze delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari. Se verranno individuate responsabilità non coperte da prescrizione, le associazioni ecologiste Amici della Terra e Gruppo d'Intervento Giuridico, da molti anni impegnate contro le dissennate opere di trasformazione del territorio che comportano nuovo dissesto idrogeologico, presenteranno istanza di costituzione di parte civile nell'eventuale procedimento penale. Stiamo approfondendo, poi, su varie richieste da parte di persone danneggiate la possibilità di promuovere un'azione collettiva (quasi una class action ambientale/territoriale) risarcitoria nei confronti di amministrazioni pubbliche responsabili della cattiva gestione del territorio. Chi fosse interessato può contattarci attraverso questo spazio web all'indirizzo di posta elettronica
grigsardegna5@gmail.com. Vediamo che cosa si può fare in proposito...
Amici della Terra e Gruppo d'Intervento Giuridico
Il sindaco di Orosei si è dimesso riferendosi esplicitamente al clima di intimidazione di tipo mafioso e alle forme di violenza (attentati, incendi e atti vandalici verso beni pubblici e privati) verificatesi in quest’ultimo anno e mezzo nel paese. Forme di criminalità connesse all’uso del territorio e che sono una specificità di limitate aree della Sardegna. Forme simili a quelle che troviamo in Calabria o in altre regioni meridionali dove, a differenza della Sardegna, c’è una criminalità organizzata che controlla il territorio.
Questi fatti conducono a due tipi di avvenimenti: le ordinanze di demolizione delle strutture abusive e la predisposizione del Piano urbanistico comunale. Non c’è un nesso diretto tra abusivismo e Puc, ma certamente sono entrati in rotta di collisione due modi tra loro contrastanti di intendere il territorio. Pur facendo dei distinguo tra le varie pratiche di abusivismo, esso comunque è una manifestazione di illegalità che in Sardegna continua a non essere percepita come tale perché non è considerato un disvalore a livello sociale diffuso. Accanto a ciò va posta la dichiarazione del sindaco di Orosei, secondo il quale meriterebbe attenzione il fatto che queste ordinanze siano rimaste chiuse nei cassetti del tribunale di Nuoro fin dagli anni ‘80.
Non posso entrare nel merito di questa inspiegabile lentezza giudiziaria che, tutta a un tratto, accelera il suo corso, il chiarimento all’opinione pubblica va fatto dagli organi competenti; entro invece nel merito delle questioni attinenti al piano urbanistico comunale, perché come Centro Studi Urbani abbiamo svolto a Orosei due ricerche nelle estati del 2007 e del 2008, su un campione di 300 persone per ogni ricerca. Le ricerche sono servite per cogliere le domande di qualità e le aspettative dei turisti e dei residenti proprio per dare all’amministrazione elementi conoscitivi per il piano urbanistico. Sottolineo che intervistare 300 persone, rappresentative di altrettanti nuclei familiari mediamente costituiti di 3-4 componenti in un paese che ha circa 6.000 abitanti, si traduce in risultati solidamente fondati scientificamente e che hanno un’alta probabilità di essere attendibili: basti pensare che molti rapporti nazionali del Censis sono fatti su un campione di 2000 persone.
Tra gli obiettivi del piano urbanistico segnalo: 1. la preservazione dei territori che non sono stati ancora compromessi; 2 la creazione di un modello di sviluppo turistico eco-compatibile, individuando nel centro urbano forme di accoglienza alternative a quelle dei villaggi tutto compreso nella fascia costiera; 3. la sottrazione dei beni costieri allo sfruttamento immobiliare e agli effetti devastanti delle seconde case e dei villaggi turistici. Come si può constatare dalla semplice elencazione di questi obiettivi, l’amministrazione di Orosei si è posta la finalità di introdurre regole di governo del territorio, orientate verso la salvaguardia del patrimonio esistente.
Ebbene, dall’indagine svolta tra gli abitanti di Orosei non abbiamo rilevato atteggiamenti conflittuali verso questo tipo di impostazione, semmai abbiamo registrato ulteriori richieste di qualità ambientale e culturale che vanno da un’efficiente struttura sanitaria al teatro, dalla domanda di riduzione dei flussi di veicoli dentro il paese alla dotazione di piste ciclabili e pedonali, e così via. Per ragioni di rigore devo sottolineare che sull’abusivismo le risposte sono state contrastanti e comunque sono stati molti gli intervistati che hanno dato all’amministrazione comunale la responsabilità delle demolizioni, piuttosto che censurare un comportamento illecito. Ciò ha supportato i risultati di una nostra ricerca sulla criminalità, secondo cui vi sono alcune aree della Sardegna dove, più che altrove, c’è un problema di legalità.
Pur tuttavia, come si concilia una domanda di normalità con il clima di intimidazione di cui ha parlato il sindaco di Orosei? Mi scuso con lui ma rifiuto di assegnargli il prefisso ex perché nutro la speranza che la sua comunità finalmente esca dal letargo e lo richiami con forza al ruolo di amministratore.
Per concludere, pongo alcuni interrogativi alla comunità di Orosei. Dei giovani professionisti (il sindaco è un avvocato e l’assessore all’urbanistica è un architetto) scelgono di investire gran parte del loro tempo nel governo della cosa pubblica, invece di trarre il maggior beneficio possibile dalla loro attività privata. Scelgono anche di non andar via come avviene invece in molti comuni della Sardegna. Avendo avuto studenti di Orosei e di altri paesi della Baronia, so che quella di dare il proprio contributo al luogo natio è un’esigenza nuova ma sempre più diffusa tra i giovani sardi più acculturati. Come mai la comunità non considera questi nuovi amministratori, probabilmente più ingenui di quelli di professione, ma certamente più ricchi sotto il profilo della passione e della cultura, una speranza per Orosei?
So bene che introdurre limiti di vario tipo in un territorio ricco sotto il profilo turistico, e perciò appetibile dal punto di vista della rendita immobiliare, inevitabilmente genera forti conflitti, ma non è arrivato finalmente il tempo che si smetta di pensare che sviluppo equivalga a edilizia nelle coste e che, anche in Sardegna, le regole vengano considerate le sole che possano garantire equità e sviluppo duraturo, invece di viverle come una limitazione di una presunta libertà individuale?
L’ultimo interrogativo riguarda la democrazia. Si possono avere diversità di vedute ed anche interessi privati da tutelare, ma il confronto va fatto nelle sedi pubbliche e con le diverse forme di partecipazione che ogni comunità può scegliersi in modo civile. Come mai in alcune aree della Sardegna, e Orosei rientra in queste aree, le controversie sono portate avanti con strumenti di intimidazione di varia natura? Prepotenza esercitata da un ristretto numero di persone ma che la maggioranza silente subisce. Non ritengo che in altri comuni ci sia meno conflitto politico, eppure - ne sono certa - le motivazioni addotte dal Sindaco di Orosei non starebbero mai alla base di eventuali dimissioni dei sindaci di Sassari e di Cagliari.
Ho avuto l’onore di conoscere il sindaco di Orosei e la sua giunta. Ho potuto ammirare il lavoro che hanno fatto e stanno facendo. Considero l’esperienza della giovane giunta di Orosei una delle esperienze amministrative più positive nell’Italia di oggi; non a caso, un paio di articoli su Orosei sono nella cartella Pratiche di buongoverno, e non a caso vorremmo prolungare la prossima Scuola estiva di pianificazione (che con ogni probabilità terremo ad Alghero nel settembre 2009) con una visita a quella città della Baronia.
Anch’io, come Antonietta Mazzette, avevo avuto la sensazione che i cittadini di Orosei fossero maturi – culturalmente e umanamente – per comprendere l’eccezionale positività dell’esperienza che vivevano e per condividerla. La speranza è che gli abitanti di quel meraviglioso territorio, ancora ricco di un saggio equilibrio tra vita dell’uomo e vita dell’ambiente, si raccolgano attorno al loro Municipio: che non è un Palazzo, ma un pugno di uomini coraggiosi, dotati di buona volontà, competenza e saggezza, e li stimoli ed aiuti a resistere e ad andare avanti sulla strada fruttuosamente iniziata (e.s.)
Non c'è sindaco-manager, assessore d'impresa, impresario che non ripeta ossessivamente la metafora del "volàno della crescita". In genere, però, della propria crescita.
Indomabili anime lottizzatrici vedono colli non costruiti e si lamentano che là non c'è "niente". La parola "niente" significa, nel vocabolario sviluppista, che non ci sono case, alberghi, garage, parcheggi, e che ci sono solo alberi, fiumi silenziosi e declivi. Colli senza volàno.
Una parte della Sardegna è già perduta strangolata dal cemento, i posti di lavoro promessi sono apparsi e scomparsi come il lampo del magnesio, le rendite sono rimaste sempre le stesse, le medesime persone, però sono ingrassate. Intanto, gomito a gomito con le imprese, alcuni sindaci e politici ogm, insistono nell'immaginare la nostra Isola come una Golconda del mattone e confondono tragicamente l'amministrare con l'edificare. Un mondo a testa in giù che ripete se stesso sino all'estinzione.
Ricostruire.
Beh, ricostruire, come dopo una guerra, il nostro paesaggio mezzo bombardato è un modo saggio e possibile di produrre un lavoro saldo e duraturo poiché la ricostruzione e la conservazione di un tessuto urbano devastato è una faccenda complessa che non ha un termine e richiede intelligenza, inventiva, fatica e pazienza.
Allora sì che la parola "valorizzare" assumerebbe un senso profondo e non nasconderebbe, come ora, la volontà volgare di edificare qualsiasi cosa, sino all'esaurimento del territorio.
I luoghi intatti hanno un valore immenso, anche economico, in sé e certo non li "valorizza" un'impresa edile che agisce senza regole. La politica sì, li può mettere in valore proteggendoli, come è accaduto in Sardegna, con leggi e norme.
Dare un valore ai quartieri desolanti che necessitano di una bonifica urbana, rendere guardabili - e quindi vivibili - le nostre periferie, ricostituirle e dargli un decoro che non hanno mai posseduto. Decostruire i nostri paesi dissennatamente "sviluppati". Beh, questo sarebbe rendere un valore perduto ai luoghi.
Chi definisce estetizzante - con una nota di disprezzo - questa visione del paesaggio e delle cose dimentica che i sensi con i quali noi percepiamo il paesaggio veicolano ogni nostra idea, fantasia, sicurezza, cultura e perfino la salute. E dimenticano che chi costruisce bei paesi e belle città non lo fa perché è un esteta decadente e ozioso ma per l'elementare bisogno di armonia che esiste in ciascuno di noi.
Moltiplicare i metri cubi all'infinito non è "sviluppo". Consolida alcune rendite, sì, e non è definibile "sviluppo".
Ragioniamo su cosa c'è di male nei 50.000 abitanti di Olbia che assume anabolizzanti demografici e svuota i paesi dell'interno, sul significato degli innumerevoli colombari-abitazione nel devastato hinterland di Cagliari, sul perché Sassari si è circondata di una periferia sconfortante, sul perché Nuoro detiene un primato di deformità urbana che vuole estendere al suo monte, sul perché i paesi dell'interno si desertificano sedotti dal brillio della bigiotteria costiera.
Il fallimento di chi ha voluto il referendum sulla legge "salvacoste" per annullarla è il fallimento degli sviluppisti - un goffo fallimento nella Gallura dove chi gridava di più contro il Piano Paesaggistico ha avuto torto - rappresenta, prima che una vittoria politica, il segno felice di una società riflessiva che non vuole uno sviluppo malato ed esige la protezione dei luoghi sacri nei quali si identifica.
Il premier se la prende con «la legge che blocca lo sviluppo». Da Roma Silvio Berlusconi interviene sul referendum urbanistico sardo: «Necessario votare Sì».
Per l'ambiente, per lo sviluppo, per una stagione turistica «che deve durare tutto l'anno». Silvio Berlusconi, all'interno della conferenza stampa sulla scuola (con il ministro Gelmini), dopo aver mandato in soffitta lavagna, gessetti e cancellino, si pone un altro obiettivo: «Chiedo ai sardi di cancellare la legge che ha fermato lo sviluppo economico di questa meravigliosa isola, una terra verde tutto l'anno». Di fronte a una cinquantina di giornalisti e alle telecamere di tutte le testate nazionali, il presidente del Consiglio chiede «un risultato importante» per il referendum di domenica: «I sardi devono votare Sì, per il rispetto dell'ambiente, ma soprattutto perché il territorio diventi una risorsa che dia occupazione per dodici mesi all'anno».
TROPPI VINCOLI Se la prende con «i limiti imposti dal Piano paesaggistico», attacca la politica della Regione «eccessivamente rigida, che non consente agli investitori di pensare e realizzare strutture che diano lavoro e che consentano di destagionalizzare il turismo, certamente la risorsa più importante di cui dispone la mia seconda terra». In sala stampa, ci sono i parlamentari Paolo Vella - entrato in polemica con il presidente Renato Soru proprio a causa della sospensione dall'incarico di direttore della tutela del paesaggio - e Piero Testoni, responsabile della comunicazione del Pdl in Sardegna, il senatore Romano Comincioli (ancora influente in Sardegna nonostante una carriera politica esclusivamente romana) e due consiglieri regionali di Forza Italia, Giorgio La Spisa e Claudia Lombardo. A loro, con lo sguardo, si rivolge il premier: «L'Isola, per chi non ha la fortuna di viverci, non si gode se non un mese e mezzo l'anno: dal 15 luglio al 30 agosto, a causa di una politica che è la negazione di un progetto di sviluppo». Non si ferma, il presidente, nonostante i tempi strettissimi imposti da un cerimoniale che nessuno discute, a Palazzo Chigi: precedenza sempre ai temi nazionali. Per Berlusconi, evidentemente, la campagna referendaria del suo centrodestra ha lo stesso peso della lavagna multimediale del ministro Mariastella Gelmini: «La parola d'ordine deve essere destagionalizzazione, in Sardegna deve finalmente decollare l'industria dei congressi, delle importanti manifestazioni che richiamino il grande turismo anche a gennaio e febbraio, quando la Sardegna è da godere davvero. Fatevelo dire da uno che ci viene tutti i week end dell'anno». Il referendum, ha concluso Berlusconi, «regalerà un risultato importante, anche grazie all'impegno del centrodestra sardo, compatto nel mostrare ai sardi quale strada prendere per disegnarsi un futuro di lavoro e sviluppo. Se fossi sardo, andrei a votare per primo».
IL COMPAGNO DI SCUOLA Tra una battuta e i mille euro - più diploma - consegnati ai venti migliori maturati d'Italia, Berlusconi è rimasto sul tema scuola, dominante ieri sera a Palazzo Chigi, aprendo l'album dei ricordi: «Qui davanti c'è il mio compagno di banco per ben 13 anni ai salesiani. Lui sì che era un professionista della scuola», ha detto il premier, indicando il senatore Comincioli, seduto proprio sotto il tavolo della presidenza, «lui era un vero professionista. Al liceo, ogni volta che i professori lo chiamavano per interrogarlo, lui non c'era mai. E tutti noi, in coro, rispondevamo: è al cesso». Oggi, invece, ha concluso scherzando il presidente, «è un bravissimo senatore e tutti i parlamentari gli chiedono un consiglio, proprio come un vecchio zio». Poi il richiamo al voto di domenica: «La Sardegna è una terra straordinaria, tocca ai sardi decidere di farla crescere».
I sardi sanno che la famiglia Berlusconi è proprietaria dell’area di Costa Turchese, la cui utilizzazione come insediamento turistico è stata bloccata dal Piano paesaggistico regionale. Sanno anche che il referendum è inutile, poiché le legge che con essi ci si propone di abolire non è più efficace, essendo decaduta con la conclusione del periodo di salvaguardia, e sostituita dal PPR redatto in base al Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Al perdurare tenace e recidivo del conflitto d’interessi siamo, ahimè, abituati da tempo, e così alla debolezza dell’opposizione a denunciarlo e contrastarlo. Ma questa nota è interessante soprattutto perché rivela il modello formativo che B. propone agli studenti: il suo compagno Comincioli, il quale, quando lo interrogano, sta al cesso. Ipse dixit.
La Regione si affida ancora al Consiglio di Stato, ma sul tavolo della vertenza Tuvixeddu c’è un documento che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti dei colli punici: è il parere paesaggistico rilasciato dal servizio tutela del paesaggio dell’assessorato regionale alla pubblica istruzione il 27 maggio del 1999. E’ un documento centrale, perchè è grazie a quello che l’intervento immobiliare della Nuova Iniziative Coimpresa ha potuto ottenere la firma dell’accordo di programma dell’agosto 2000, il via libera definitivo al progetto sul quale oggi si combatte su tutti i fronti legali. E’ stato il sovrintendente ai beni architettonici e paesaggistici Fausto Martino a togliere la polvere da quelle carte di nove anni fa per stabilire che si tratta di carte nulle: mancava allora così come manca oggi il perere obbligatorio della sua sovrintendenza. Quindi l’autorizzazione concessa il 25 agosto scorso a Coimpresa dal comune di Cagliari per gli ultimi due lotti dell’intervento non è valida, ma a questo punto non sarebbero valide neppure tutte le altre.
LA DENUNCIA. La storia recente dice che a denunciare l’assenza di questo passaggio tecnico fondamentale - o comunque obbligatorio - erano stati il Gruppo di Intervento giuridico e gli Amici della Terra fin dal 1999, a carte calde. La cosa passò inosservata, i dirigenti ministeriali erano impegnati su altri fronti e comunque su Tuvixeddu il vento del consenso era rotto appena da qualche iniziativa di ecologisti e di cronisti fuori dal coro. Ora le cose sembrano cambiate. L’amministrazione Soru è disposta a tutto pur di fermare le betoniere e la folla di cagliaritani che ha partecipato con passione anche rumorosa al convegno organizzato al palazzo Viceregio da Italia Nostra («Le ragioni del colle») dimostrano che la sensibilità per il futuro della necropoli anzichè assopirsi è cresciuta. LE NORME. Ma al di là delle tendenze culturali e politiche è chiaro che la partita su Tuvixeddu si gioca sul filo del diritto. Ed è qui - secondo il Gruppo di intervento giuridico - che l’iniziativa postuma di Martino potrebbe pesare: i legali della Regione hanno già provato a portare il decreto del dirigente statale davanti al Tar, ma l’hanno fatto in ritardo e in aula è arrivata soltanto una bozza non firmata. Al Consiglio di Stato le cose potrebbero andare diversamente, anche se l’oggetto della controversia è in realtà un altro: lo stop imposto dalla Regione in base alla legge 45, uno stop trimestrale che i giudici hanno bocciato già in fase di sospensiva. L’ACCORDO DEL 2000. C’è però un altro aspetto della querelle che è apparso stranamente trascurato: nella sentenza di fine luglio il Consiglio di Stato ha dato torto alla Regione per via della commissione del paesaggio, che doveva essere costituita con una legge. Ma ha indicato esplicitamente una strada tecnica finora rimasta singolarmente inesplorata: al contrario del Tar, i giudici di palazzo Spada hanno spiegato nella stretta sostanza che l’accordo di programma non è un patto insuperabile perchè va inquadrato fra gli accordi previsti all’articolo 11 della legge 241 del 1990. Ebbene il comma 4 di quell’articolo di legge stabilisce che «per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato». Indennizzi e non risarcimenti, che nel linguaggio giuridico sono cose molto diverse. Resta da superare quel ‘sopravvenuti motivi’, cioè motivi arrivati dopo la firma dell’accordo. Ma qui sembra venire in soccorso della Regione l’avvocatura dello stato, che ha sostenuto (Coimpresa respinge decisamente questa lettura) come siano state scavate centinaia di altre tombe dal 2000 ad oggi. Potrebbe esserci poi il decreto di annullamento dei nullaosta paesaggistici firmato da Martino, in base al quale Stefano Deliperi chiede che l’intero progetto Coimpresa venga bocciato. Potrebbe infine pesare - l’ha detto anche Soru, nel corso del convegno - un’opinione pubblica che sembra voler partecipare con energia al confronto su Tuvixeddu, cui si sono via via affiancate numerose voci autorevoli.
GARZILLO. Ultima quella del direttore regionale per i beni culturali Elio Garzillo, che al convegno di Italia Nostra ha tracciato una cronistoria critica della vicenda: «Mi ha dato da riflettere profondamente - ha detto Garzillo - l’annullamento da parte dei nostri uffici del nulla osta paesaggistico rilasciato dal comune di Cagliari nel mese di agosto per una notevole volumetria a Tuvixeddu. Il nullaosta annullato recitava che il progetto di Coimpresa era compatibile con il paesaggio a patto che ci si assicurasse che i pergolati fossero corrispondenti a certi requisiti. Ricordo inoltre alla nostra soprintendenza archeologica che le aree vincolate con vincolo indiretto dovrebbero essere aree per le quali esiste la certezza dell’assenza di rinvenimenti possibili in quanto dovrebbero essere aree già indagate, perchè la loro funzione è quella di proteggere, appunto, rendere visibili e fruibili le aree di vincolo diretto. Dovrebbero essere aree di protezione del territorio dove è presente il reperto». Una critica netta: chi può assicurare che nell’area del progetto non esistano altre parti della necropoli?
TUTELA. Ecco perchè Maria Paola Morittu di Italia Nostra «Alla sovrintendenza archeologica chiediamo semplicemente un tutela efficace. Le 431 tombe distrutte sono documentate in due pubblicazioni della stessa soprintendenza e sono finite sotto palazzi costruiti tra il 2001 e 2004, in tempi sorprendentemente recenti. Compresa quella che conteneva lo scheletro di madre e figlio sopra il quale c’è oggi una tromba dell’ascensore. Il vincolo vero inoltre, quello davvero efficace, riguarda circa undici ettari classificati zona H di salvaguardia dal Puc e non i 23 dichiarati dalla soprintendenza che non distingue tra vincolo diretto e indiretto».
REGIONE E BONDI. Per l’assessore regionale all’urbanistica Gian Valerio Sanna «vale nelle pubbliche amministrazioni la regola del principio di precauzione e questo principio ci siamo sforzati di seguire. Lo stesso avrebbe dovuto fare anche la soprintendenza, anche a seguito degli incessanti cambiamenti dell’idea del paesaggio che si sono susseguiti (Convenzione europea e Codice Urbani). Una concezione della città e dei luoghi che prevede una crescita, certo, ma anche la possibilità di “sottrarre” e di togliere quello che nel tessuto urbano deve essere rimosso. I paesi europei avanzati non consumano territorio come invece facciamo noi e noi dobbiamo adeguarci e ricercare strumenti protezione e tutela sul consumo dei suoli». Giovedì intanto Soru incontrerà il ministro dei beni culturali Sandro Bondi per parlare del caso Tuvixeddu e chiedere che il sito venga inserito fra quelli protetti dall’Unesco. Qui lo scetticismo è d’obbligo, ma non si sa mai.
Dr. Salzano, da tempo la seguivo, pensavo fosse persona accorta ed obbiettiva, purtroppo mi devo ricredere, ha dato una esposizione dei fatti a dir poco sconcertante. Seguo i fatti relativi al colle di Tuvideddu ormai da oltre due anni, lo faccio da cittadino che ha dato il suo voto al presidente Soru, lo faccio per cercare di capire se ho fatto bene o meno e questa vicenda per me funziona come una cartina tornasole. Le conclusioni sono inequivocabile, ho fatto un errore madornale a dare il mio voto a Soru.
Ma torniamo alla descrizione che Lei da dei fatti, il privato non ha ceduto una parte al Comune ma a ceduto la maggior parte, l’80% delle aree, aree private di gran pregio che vengono date ai cittadini, al posto di valutare positivamente questa cessione la si fa passare in secondo piano omettendo l’entità della cessione. Il privato ha tenuto per se i fronti di cava, le zone meno pregiate e maggiormente degradate, quelle sulle quali sorgevano gli imponenti capannoni della cementeria che per anni ha devastato il colle.
Lei parla delle sentenze come quisquigle come se i magistrati che hanno esaminato sicuramente migliaia di documenti avessero espresso un parere superficiale e insignificante come se non avessero parlato di sviamento di potere e uso distorto del potere (alias abuso d’ufficio).
Una domanda mi sorge spontanea: ma Lei ha mai visitato il colle di Tuvixeddu? Conosce la realtà dei luoghi?
Mi sa proprio di no
Caro signor Giusto, suppongo che lei si riferisca all’articolo che ho scritto per la rivista Carta. Ma dell’argomento mi ero occupato anche altre volte sul mo sito. Mentre la ringrazio per la sua considerazione (che spero sopravviva all’articolo) le rispondo sui tre punti che ella solleva.
1) Il suolo, ogni suolo, di per se non vale niente ai fini dell’edificabilità. Quel suolo in particolare non poteva certo essere utilizzato per coltivare vigne o fiori: anche se a questa utilizzazione fosse stato adibito, il suo valore sarebbe stato quello derivante dalla coltivazione agricola. Il valore che deriva dall'edificabilità è un valore attribuito dalla collettività. Quindi il proprietario non ha regalato niente: ha solo ottenuto 400mila metri cubi. Lei mi dirà: lei mi parla di ciò che sarebbe giusto, ma in Italia le cose vanno in modo diverso. È vero, in Italia le leggi riconoscono al proprietario del terreno una qualche edificabilità. Ma allora, se ci riferiamo alle leggi, ricordiamo anche cje la legislazione italiana, a partire dalla Costituzione, stabilisce che prima di ogni altro diritto e interesse viene quello pubblico di tutelare i beni culturali e paesaggistici; e questi, per fortuna, senza riconoscere nessun obbligo di indennizzo. L’unico indennizzo è quello per le spese legittimamente e documentatamente sostenute dal proprietario per affidamenti che ha legittimamente ottenuto dalla pubblica amministrazione.
2) Se lei ha letto la sentenza del Consiglio di stato (e sono certo che l’ha letta) si sarà reso conto che essa invalida la scelta della Regione per questioni di procedura, non di merito. Non ha detto quell’area non era meritevole di tutela: ha detto che la procedura adottata per tutelarla non era corretta. Riconosco che le procedure sono importanti, ma i nostri posteri piangeranno per il merito della vicenda, non per le procedure.
3) Mi chiede se ho visitato Tuvixeddu. Si, ho visitato e ammirato, grazie a qualche cancello sul versante di via Avendrace che era rimasto aperto. È un sito veramente meraviglioso, mi ha dato un’emozione impagabile. E nulla mi ha turbato e scandalizzato di più che vedere quei palazzoni al piede del colle e sulle tombe, e pensare a quegli altri palazzoni che pensano di costruire lassù in cima, e al giardinetto condominiale nel quale pensano di trasformare la necropoli. Ma quello che mi scandalizza di più, devo confessarle, è il fatto che tanti cagliaritani non si sentano custodi d’un patrimonio che è dell’umanità (e che – per converso – tanti italiani ed europei non abbiano idea di quale tesoro è in discussione). Ripeto spesso che quell’area mi ricorda l’area dell’Appia Antica a Roma, che un benemerito ministro (allora quello ai Lavori pubblici) seppe sottrarre trenta anni fa alle costruzioni. Mi auguro che anche questa volta un ministro (nella fattispecie quello dei Beni e delle attività culturali) venga in soccorso del benemerito Renato Soru, al quale va tutta la mia stima e solidarietà.
È vero quel che dice il Sindaco di Alghero, l’avvocato Marco Tedde.
Ho partecipato per un lungo tratto alla redazione del Piano strategico della città, coordinando il gruppo di lavoro della nostra Facoltà, figurando per un po’ come responsabile scientifico del Piano (da laureato in Fisica cum laude, purtroppo mai fisico “militante”, attualmente Professore di Tecniche urbanistiche, e a volte attivo in urbanistica e pianificazione).
In quelle occasioni ho conosciuto meglio l’avvocato Tedde, apprezzandone la cordialità e la correttezza personale.
Apprezzamento che mantengo, anche se ho dovuto amaramente constatare successivamente che il mio Sindaco, l’Avvocato Tedde non ha ritenuto di rispondere né a mie lettere pubbliche né a una lettera privata istituzionale su temi rilevanti dell’antifascismo e della Costituzione, ma di questo parlerò in altra occasione.
A un certo punto del processo di Pianificazione strategica, ho scelto di mettermi da parte, e l’ho fatto senza clamori, ma con fermezza per un dissenso non marginale su una questione di rilievo.
Cerco di spiegare: i contenuti generali del Piano sono largamente condivisibili e lo conferma il voto unanime del Consiglio comunale.
Tra l’altro, se lo leggiamo attentamente, non pare proprio che il cosiddetto “Piano del porto”, tanto per fare un esempio, sia minimamente coerente con le indicazioni del Piano strategico: tutto il contrario, quell’insieme di interventi, sbagliati e senza motivo (almeno apparente) è in pieno contrasto con le linee generali del Piano strategico.
Quel che è noto a chi si occupa di governo della città è che tra le buone intenzioni scritte in un Piano e la realtà della gestione quotidiana spesso vi è un abisso.
Infatti il dissenso che mi ha portato a ritirarmi dalle ultime fasi della redazione del Piano strategico era proprio questo: era ed è mia convinzione che il Piano strategico dovesse essere reso concreto attraverso un processo di coinvolgimento diretto dei cittadini (dei cittadini tutti: un lavoro difficile e paziente), nei quartieri, nelle borgate, nelle scuole e attraverso la definizione di obiettivi concreti, verificabili e quantificabili; più volte abbiamo sollecitato che questo avvenisse, più volte ho richiamato l’attenzione dell’Amministrazione su questa necessità assoluta: rendere concreto il Piano strategico con la partecipazione diretta dei cittadini nella definizione delle azioni.
Non siamo stati ascoltati e ci siamo messi da parte, senza polemiche (forse abbiamo sbagliato per eccesso di rispetto istituzionale).
Sono tuttavia molto lieto che esistano le linee generali del Piano strategico, approvate all’unanimità dal Consiglio Comunale; rivolgo un appello all’avvocato Tedde perché dia il via ora al processo di partecipazione che possa renderlo concreto, lieto di dare una mano se richiesto; un altro appello è quello di rendere concreto, motivato ed esplicito il riferimento alle linee del Piano strategico in ogni documento di pianificazione (dal porto al commercio al Piano urbanistico comunale): se no a che serve un Piano strategico anche ben fatto e ben scritto?
Il sindaco Tedde non è l’unico amministratore, nell’Italia di questi anni, che si accontenta delle belle parole e ritiene che queste automaticamente generino azioni coerenti. Il degrado delle cittàe la distruzione del territorio sono avvolti in una nebbia compatta, costruita con piani di chiacchiere che impediscono di vedere le scelte vere; quelle, per dirlo con i francesi, che sono opposables aux tiers, opponibili ai terzi: regole certe, non derogabili, precisamente riferite al territorio, che vincolino le azioni di tutti.
Alla cortese attenzione di: Ministro per i Beni e le Attività Culturali sen. Sandro Bondi, Direttore Generale Beni Archeologici dott. Stefano De Caro, Direttore Generale PARC arch. Francesco Prosperetti, Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna arch. Eli Garzillo, Soprintendente ai Beni Archeologici della Sardegna, dott.ssa Fulvia Lo Schiavo, Soprintendente ai BAP della Sardegna arch. Fausto Martino, Presidente della Regione Sardegna dott. Renato Soru, Assessore regionale Beni Culturali dott.ssa Maria Antonietta Mongiu, Assessore regionale Urbanistica dott. Gianvalerio Sanna, Presidente della Provincia di Cagliari dott. Graziano Milia, Sindaco di Cagliari dott. Emilio Floris,
Oggetto: Richiesta di tutela del sistema dei colli Tuvixeddu-Tuvumannu
Italia Nostra ricorda che il Consiglio di Stato, con le sentenze che hanno confermato l’annullamento del provvedimento di vincolo paesaggistico imposto dalla Regione Sardegna - decisioni che consentono, di fatto, l’edificazione di parte dei colli -, ha solo affermato una verità processuale. Una verità obbligata dal rispetto di tempi e procedure e necessariamente limitata dalla rigida osservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Che non si tratti di una verità definitiva e assoluta emerge dalle stesse sentenze, laddove si afferma che, qualora la Regione intenda riavviare una procedura volta all’estensione del vincolo, lo potrà fare tenendo conto “delle notazioni e indicazioni, di carattere essenzialmente formale” prescritte dallo stesso organo giudicante, rinnovando “integralmente e ab origine la necessaria attività istruttoria”.
Per i colli di Tuvixeddu e Tuvumannu, purtroppo, il fatto che la verità processuale possa non coincidere con quella sostanziale, non è una novità.
Il 19 gennaio 1996 un’altra decisione del Tar Sardegna, sempre confermata dal Consiglio di Stato, accogliendo le richieste di un costruttore, dichiarò “illegittimo per difetto di istruttoria e inadeguatezza della motivazione il decreto col quale il Ministro per i Beni Culturali e Ambientali, accertata l’esistenza di antiche testimonianze in alcune unità immobiliari ..., imponga il vincolo di notevole interesse archeologico sull’intera area, senza fornire alcuna specifica e dettagliata indicazione circa l’acquisita certezza della presenza e della dislocazione di reperti archeologici nelle restanti particelle catastali ..., ovvero senza dimostrare congruamente che i beni ritrovati costituiscano un complesso inscindibile, tale da rendere indispensabile l’imposizione del vincolo su tutta la superficie considerata ed il conseguente sacrificio degli interessi della totalità dei proprietari dei lotti di terreno inclusi nella stessa.”
Solo un anno dopo - e fino al 2003 - in quelle stesse aree, a causa dell’attività edilizia autorizzata a seguito dell’annullamento del decreto di vincolo, sono emerse 431 (quattrocentotrentuno) sepolture.
Nonostante l’evidenza dei ritrovamenti, allora, prevalse la verità processuale. Non si diede l’avvio ad un nuovo procedimento di imposizione del vincolo e le tombe - in parte scavate nella roccia e dotate di strutture monumentali - dopo essere state indagate e private dei ricchi reperti, furono ricoperte da una cortina di palazzi. Venne cancellato il panorama sugli stagni dal versante occidentale della necropoli e si oscurò definitivamente la vista del colle dal viale Sant’Avendrace. Al costruttore, grazie ai prevedibili - benché negati in giudizio - ritrovamenti è stato offerto in ricompensa, dallo stesso Ministero, un premio di rinvenimento.
Il ricordo di parte di quelle sepolture rimane affidato a due pubblicazioni in cui, paradossalmente, si attestano “le buone condizioni di conservazione” delle strutture “che hanno consentito ... la comprensione dei modi delle ripetute occupazioni e in qualche caso degli atteggiamenti di profondo rispetto nei confronti dei più antichi defunti”.
All’indomani delle decisioni del Consiglio di Stato, per evitare il ripetersi di simili devastazioni, Italia Nostra chiede al Ministero per i Beni e le Attività Culturali la predisposizione di una seria indagine conoscitiva estesa a tutta l’area dei colli di Tuvixeddu e Tuvumannu - indagine mai effettuata malgrado le espresse previsioni contenute nello stesso Accordo di Programma del 2000 - affinché si realizzi al più presto l’efficace tutela dell’intera superficie. La necessità di un adeguamento del regime vincolistico attuale, del resto, è già reso palese dalla maggiore estensione e dall’accresciuto valore dell’impianto funerario emerso a seguito della scoperta di 1166 (millecentosessantasei) nuove sepolture, rinvenute tutte successivamente alla predisposizione del sistema di salvaguardia risalente agli anni ’96 e ’97.
Ulteriori esigenze di tutela diretta derivano anche dal fatto che nella pineta del villino Mulas e nelle zone circostanti - compresa la stessa via Is Maglias - nel corso degli anni, sono emerse diverse sepolture, a dimostrazione che l’area sepolcrale si è estesa fino a quella ora destinata all’edificazione e che i beni ritrovati - anche se non sempre materialmente conservati -, in quanto parte della medesima necropoli, “costituiscono un complesso inscindibile tale da rendere indispensabile l’imposizione del vincolo su tutta la superficie considerata”.
Italia Nostra sottolinea, inoltre, il “valore primario e assoluto” del paesaggio, sancito dall’art. 9 della Costituzione, rilevando che “la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali”, è un principio fondamentale della sua tutela la quale, “rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali (Corte Costituzionale sentenza n. 367/07).
Italia Nostra, infine, ricorda che per il nostro ordinamento il sistema di salvaguardia deve essere effettivo ed efficace, in grado di proteggere realmente il patrimonio culturale e di assicurarne la conservazione.
Per questi motivi Italia Nostra, certa che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali terrà fede all’impegno assunto con la risposta all’interrogazione parlamentare del 24 luglio scorso, chiede la difesa dell’intero sistema dei colli, perchè soltanto preservando l’unità paesaggistica dell’insieme le eccezionali emergenze archeologiche e naturalistiche ivi presenti potranno conservarsi nel proprio contesto.
Nella speranza che, questa volta, per i colli di Tuvixeddu e Tuvumannu la verità sostanziale prevalga su quella processuale prima che sia troppo tardi.
Per Italia Nostra la Delegata regionale alla tutela del patrimonio culturale Maria Paola Morittu
Nuovo capitolo su Tuvixeddu. Ieri la Coimpresa ha ripreso i lavori e il governatore Renato Soru ha risposto su due fronti. Da un lato ha convocato per giovedì un incontro in presidenza tra Regione, Comune, soprintendenza e Coimpresa. Dall’altro ha annunciato che in settimana la Giunta predisporrà l’ipotesi di delibera (da approvare in Consiglio), per la nomina della commissione al Paesaggio e, in contemporanea, un provvedimento urgente per bloccare i lavori su tutto il colle. La contesa sul colle va avanti dall’11 gennaio del 2007, con l’intervento della Regione per fermare tutti i cantieri aperti sul colle di Tuvixeddu. Ma la storia contemporanea di Tuvixeddu (al cui interno si trova la necropoli punico romana più grande del Mediterraneo) inzia molto prima. Accordo di programma. Tra il 1989 e il 1990 la Coimpresa (che fa capo al gruppo fondato da Gualtiero Cualbu) presentò un progetto per un’ampia lottizzazione del colle. Subito vi fu una mobilitazione di ambientalisti e archeologici (guidati dall’accademico dei Lincei Giovanni Lilliu). Poi il piano iniziale venne fortemente ridimensionato e, dopo varie trattative, si arrivò a un intervento integrato sancito dall’accordo di programma firmato, nel 2000, da Coimpresa, Regione e Comune. Quest’intesa prevedeva, e prevede, tra le varie cose anche un parco archeologico naturalistico di venti ettari (con all’interno la necropoli); da un’altra parte del colle (a lato di via is Maglias), una serie di edificazioni per circa quattrocento appartamenti; e relativa viabilità funzionale al decongestionamento del traffico nell’area di Is Mirrionis, con una strada anche dentro il canyon. Tutela. La lottizzazione di via Is Maglias si trova distante dall’area archeologica, come sottolineato più volte dalla Coimpresa, che ha anche precisato che «da quella parte del colle la necropoli nemmeno si vede». Nel 2004 però, ha affermato la Regione, il Codice Urbani (la legge nazionale sui beni culturali) ha esteso il concetto di tutela anche al paesaggio. Il che significa, ha ripreso ieri il presidente Soru, «che per noi è importante tutelare tutto il colle perchè in questo c’è la storia e la memoria che si rileva anche nel paesaggio e nei ricordi che questo evoca». Due concezioni. Lo scontro è tra «due visioni diverse», ha affermato il governatore. «Noi partiamo da una considerazioine del bene pubblico, il privato no: i ruoli sono diversi». Il concetto di paesaggio viene visto, nel Codice Urbani (a cui si rifà la Regione), come un valore non commercializzabile. Nel caso di Tuvixeddu questo si allarga ben oltre l’area della necropoli: a tutto il contesto che assume quindi un valore culturale pur nella sua contorta morfologia. Da conservare «nella sua integrità all’interno del grande parco che vogliamo fare». Il contenzioso. Dopo il blocco dei lavori del gennaio 2007, la Regione fece una serie di atti sino al vincolo di inedificabilità su tutto il colle. I privati e il Comune (a cui la Coimpresa ha ceduto 40 ettari di terreno del colle e ridotto un vecchio debito legato a terreni irregolarmente espropriati) hanno fatto ricorso al Tar, che ha invalidato tutte le determinazioni e le delibere della giunta regionale. E annullato (per gravi irregolarità procedurali) la commissione al Paesaggio che aveva motivato l’allargamento del vincolo. Sentenza poi convalidata anche dal Consiglio di Stato a cui si era appellato il governo dell’isola. La necropoli. La Regione, ha precisato ieri il presidente Soru, «pensa che alcuni errori procedurali» siano ben poca cosa «rispetto all’importanza di una necropoli, bene dell’umanità, come quella di Tuvixeddu». Un centro archeolgoico dove, «dal 1997 (anno in cui venne posto il vincolo) sono state scavate altre 1.166 tombe», ha pricisato l’assessore Maria Antonietta Mongiu (Cultura). Di cui «ben 430 fuori dal perimetro archeologico e da quello del parco comunale», ha aggiunto l’assessore Gianvalerio Sanna (Urbanistica). E «una parte di queste ultime sono monumentali», ha informato Mongiu. Da qui la richiesta di intervento, ha ribadito Soru, «fatta al ministro alla Cultura. Ma visto che il Codice Urbani assegna anche a noi dei compiti, ricostituiremo la commissione al Paesaggio per riproporre e varare il vincolo a tutto il colle. Nel frattempo, tramite l’articolo 14 della legge urbanistica, attiveremo il blocco dei lavori per novanta giorni». Trattativa. Nell’incontro di giovedì prossimo la Regione proporrà alla Coimpresa una “compensazione” in cambio dei terreni di via Is Mglias. «Vi sono molte aree militari dismesse che possono essere oggetto di scambio - ha affermato il presidente - non precludiamo niente, nemmeno forme di indennizzo, ma puntiamo a una compensazione. Vi sono molte aree in cui è possibile costruire. E discutendo si può arrivare a un accordo che salvaguardi tutti gli interessi: sia del pubblico, che i diritti del privato».
Non sono felici, a Cagliari, le prospettive della necropoli punica di Tuvixeddu, una delle più vaste dell’antichità, notissima nel mondo scientifico internazionale. Vincoli cancellati, spazio alla ruspe. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della Regione contro l’annullamento, da parte del TAR Sardegna, dei vincoli a suo tempo imposti dalla giunta di Renato Soru.
La sentenza del Consiglio di Stato è ampia e stringente. Dice che i quattro membri esterni della Commissione Regionale per il Paesaggio dovevano essere nominati con un provvedimento legislativo, che è mancato. Che il Comune di Cagliari, partecipe oltretutto del precedente accordo di programma sull’area, non è stato coinvolto formalmente. Infine, che la Regione è passata dall’eccesso allo sviamento di potere per aver collegato il vincolo susseguente all’analisi della Commissione Regionale al progetto di sistemazione del colle, una sorta di oggetto misterioso, elaborato dal celebre architetto Gilles Clement. Una forzatura che nei fatti non ha certo reso un buon servizio alla tutela dell’area. Errori di forma e di sostanza democratica difficili da accettare.
Veleni politici esplodono come fuochi d’artificio: chi non ha mai sopportato difesa e valorizzazione di paesaggi e monumenti si lancia, gli occhi iniettati di sangue e cubature, su un caso che promette di trascinarsi sino alle prossime elezioni. Una proterva iniziativa di destra, senza punti di vista culturalmente motivati sulla necropoli, travalica i confini classici della politica impregnando di sé pezzi del centro-sinistra in una rissa fatta di richieste di dimissioni, commissioni d’inchiesta ad uso di polverone elettorale, inaccettabili intimidazioni verso gli esperti della Commissione Regionale (chiamati da esponenti di AN “plotone di esecuzione contro l’accordo di programma”).
Nei commenti la necropoli è nella sostanza assente, travolta, prima ancora che dalle ruspe e premessa necessaria ad esse, da una politica tradizionale che non accetta di passare la mano e da sempre assente o assai debole nella difesa di cultura e paesaggio. Questo incrocio oggettivamente complesso di crisi della tutela, delicate questioni giuridiche con forti elementi di tensioni e contraddizioni istituzionali, pessime concezioni della qualità urbana, bassa cultura della tutela e degrado della politica, offre non pochi insegnamenti. Vediamone alcuni.
Ad esempio, lo scontro fra vincolo regionale e precedente vincolo della Soprintendenza Archeologica: quest’ultimo, l’unico oggi giuridicamente esistente, è ampiamente inadeguato. Ma esso esprime una ben nota modalità operativa media di soprintendenze archeologiche squattrinate, non di rado tese ad accordarsi con enti e privati per una mediazione che permetta di scavare qualcosa e salvare il salvabile (qua il concetto di salvabile appare davvero miope e riduttivo). Un’ottica dello scavo di emergenza/urgenza che produce pasticci a volte assai censurabili e tutela inadeguata, arrivando a consentire persino orrendi buchi nelle strutture dell’anfiteatro romano di Karalis.
Tuvixeddu è stato per decenni abbandonato, in preda al degrado: ma il suo problema, più che da attribuirsi ad imprenditori che fanno il loro mestiere (fermo restando che non prevederebbe danneggiamenti), è la mancata comprensione che un tale patrimonio ammetta solo interventi di tutela e valorizzazione, ed escluda di per sé edilizia abitativa nella sua area. Oggi la Regione sarda mostra di voler salvare il patrimonio culturale anche con interventi di grandi nomi e grandi capitali. Lo fa per supplire alle scarse idee e soprattutto alle risorse inadeguate della tutela classica; questa azione sarebbe comprensibile se fosse accompagnata da processi di coinvolgimento democratico ai quali la sinistra non può rinunciare. Ancora, nel tormentato mare delle competenze statali/regionali la Regione Sarda (e anche la giunta di centrosinistra) non si è mostrata solo innovativa e coraggiosa ma pure, e non raramente, autoritaria e pasticciona; si coglie il rischio di spinte corporative, anche di apparato, che sognano una piena devolution nel campo dei beni culturali con malferme nozioni giuridiche. La saldatura con le tendenze leghiste è di fatto pericolosa. Vi è infine, e non certo da ultima, la forte volontà della destra cagliaritana, al governo nel capoluogo, di capitalizzare il momento politicamente favorevole e muoversi con le mani libere rispetto ad ambiente e monumenti, soprattutto verso i vincoli che essi portano, consolidando una città della speculazione dove si spara senza competenza sul Museo del Betile di Zara Hadid e si progetta un altro stadio di calcio, ritenuto inutile persino da Gigi Riva…
Chi difenderà oggi Tuvixeddu? Chi potrà dire, dopo le nuove centinaia di tombe e i danneggiamenti denunciati, che il vincolo esistente (quello ‘vecchio’ della Soprintendenza) è davvero sufficiente? Il Ministro, il suo Comitato scientifico, il Direttore regionale ai beni culturali e paesaggistici ed i Soprintendenti sardi vorranno prendersi questa responsabilità?
La Regione ha già annunciato alcune contromisure: speriamo che siano efficaci e meglio consigliate e non siano rallentate, come sembra, dalla crisi del PD. La sentenza del Consiglio di Stato non dice – né potrebbe dirlo – che i vincoli non sono appropriati, ma che devono essere fatti bene e facendo tesoro delle sue “prescrizioni”. Ma il problema non è solo giuridico. Speriamo che non si riproducano errori che non è sufficiente ammettere se non si modifica quella parte di prassi autoritaria e approssimativa che ne è causa. Tutti gli uomini che amano la cultura e capiscono il valore della gigantesca necropoli (espressi dall’appello di centinaia di studiosi e semplici cittadini capeggiato da Giovanni Lilliu) devono battersi democraticamente e con grande fermezza per salvarla ed acquisire definitivamente i terreni al patrimonio pubblico. Gli Enti territoriali, e non solo la Regione, dovrebbero togliere ogni edificazione da un’area anche troppo martoriata, eventualmente, laddove come pare vi siano diritti giuridicamente maturati, spostandola in cambio verso altre aree. Intanto, una mobilitazione è bene che riparta, che cittadini, associazioni culturali e ambientaliste vigilino e continuino a documentare e fotografare. Che il luogo non venga abbandonato e la precisa localizzazione dei nuovi rinvenimenti, che modificano profondamente i termini della questione, diventi di evidenza pubblica, anche con una mostra autorevole e ‘indipendente’.
Il fronte a favore del vincolo su tutto il colle di Tuvixeddu, corre ai ripari dopo la sentenza del Consiglio di Stato. Legambiente spedisce una lettera al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi in cui chiede la «realizzazione di un grande parco Tuvixeddu-Tuvumannu». Il Socialforum fa appello alla soprintendenza. E la Giunta regionale discute un provvedimento da prendere al rientro dalle ferie: di «salvaguardia dell'area per motivi d'urgenza sulla base della legge urbanistica».
Intanto al Comune il sindaco ha tenuto un incontro coi funzionari per capire come procedere dopo la sentenza. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della Regione e ripreso, nella sostanza, il precedente pronunciamento del Tar. In particolare per quanto riguarda l'allargamento del vincolo a tutto il colle: il provvedimento regionale è stato annullato in quanto non valida la procedura adottata per arrivare a quella decisione. È stata, infatti, invalidata la commissione regionale al Paesaggio (sulla base delle cui indicazioni era stato ampliata la tutela assoluta). Inoltre il Consiglio ha anche ribadito il giudizio del Tribunale amministrativo, per il «grave eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento», in rapporto all'iter che ha portato la Regione al progetto del paesaggista francese Gilles Clément.
Per gli uffici comunali, però, prima di far riprendere i lavori all'impresa che sta realizzando la viabilità della zona, occorre quantificare i danni. Il cantiere del parco è, invece, sotto sequestro su disposizione della magistratura. Il Muncipio, sulla base delle disposizioni regionali, aveva bloccato le opere e ora le imprese si rivarranno sull'amministrazione che, a sua volta, chiederà i conti al governo dell'isola. Secondo Paolo Zoccheddu, dirigente della divisione urbanistica del Comune, le nuove tombe della necropoli sono state rinvenute nella zona a vincolo diretto e, pochissime, in quella a vincolo indiretto. In ogni caso sempre all'interno dell'area tutelata.
Intanto l'assessore regionale alla Cultura Maria Antonietta Mongiu ha incontrato il dirigente regionale delle soprintendenze Elio Garzillo e hanno ribadito la necessità di una tutela integrale del colle. A monte della forte diatriba - va ricordato - c'è, da una parte, l'accordo di programma firmato nel 2000 tra la Regione, il Comune e la Coimpresa per la realizzazione di una lottizzazione integrata: un parco archeologico (di circa venti ettari) con al centro l'area della necropoli punico romana (la più grande del Mediterraneo) e, in un'altra parte del colle di Tuvixeddu, a lato di via Is Maglias, la costruzione di residenze per circa quattrocento abitazioni. E, dall'altra, c'è l'azione della Regione per la realizzazione di un parco su tutto il colle, che si basa sulle normative del Codice Urbani (del 2004, regola i beni culturali nazionali) che ha acquisito il concetto di paesaggio come bene culturale inalienabile e non commerciabile; e che va, quindi, oltre la difesa dell'area archeologica e coinvolge, nella tutela, il paesaggio in cui questo bene si inserisce.
Tra i ricorrenti al Consiglio di Stato, oltre alla Regione e al ministero per i Beni culturali c'era anche Italia Nostra. «Le sentenze vanno sempre rispettata - precisa Carlo Dore, l'avvocato che ha curato l'esposto dell'associazione ambientalista - ed è certo che vi sono stati degli errori formali e qualcuno di sostanza nel procedere della Regione. Ma lascia perplesso che non venga considerato il nuovo quadro culturale nato dopo il Codice Urbani». Oltre a Legambiente un appello allo Stato centrale viene fatto dai consiglieri regionali del Pd Stefano Pinna e Cicco Porcu, che affermano che Roma «non può stare a guardare ed è chiamata ad apporre su Tuvixeddu il vincolo paesaggistico di fronte a una riconosciuta emergenza storico culturale il cui valore (...) è sotto attestato dal mondo accademico isolano». Il consigliere comunale e regionale del Pd Marco Espa sottolinea che Tuvixeddu sta diventando oggetto di strumentalizzazione politica, «mentre è un bene che appartiene a tutta l'umanità». Ninni Depau e Andrea Scano (consiglieri comunali del Pd), pur ribadendo che le sentenze vanno rispettate, sottolineano l'esigenza di «togliere l'assedio del cemento dal colle di Tuvixeddu, colpevolmente trascurato da decenni». E «oggi Cagliari ha la straordinaria opportunità di ridisegnare completamente il proprio futuro utilizzando le grandi aree dismesse e valorizzando i suoi beni culturali e archeologici».
CAGLIARI. Il curriculum di uno dei quattro esperti esterni che componevano la commissione regionale per il paesaggio riporta una data successiva alla nomina. Questo per il Consiglio di Stato dimostra «la scarsa trasparenza dell’azione amministrativa» della Regione nell’operazione Tuvixeddu. Non solo: doveva essere il consiglio regionale e non la giunta a indicare i nomi dei membri laici, saltati fuori senza alcuna precisazione sui criteri della scelta. «Non è dato comprendere - scrivono i giudici - sulla base di quale norma la giunta si sia direttamente attribuito il potere di designarli».
Ma soprattutto, come aveva già detto chiaramente il Tar l’8 febbraio scorso, era indispensabile una legge regionale per istituire l’organismo previsto dal Codice Urbani perchè le precedenti commissioni provinciali erano state messe in piedi con un atto della massima assemblea sarda. La giunta Soru invece «senza esservi affatto costretta, ha ritenuto di derogare alla disciplina primaria regionale di settore e di ritenere prevalente su questa la sopravvenuta norma statale». A causa di questo incredibile pasticcio la commissione era dunque illegittima e di conseguenza sono illegittimi - come hanno sostenuto i legali di Iniziative immobiliari Coimpresa, del comune di Cagliari e della Cocco Costruzioni - tutti gli atti conseguenti. Nulla la perimetrazione dell’area di notevole interesse pubblico, nulle tutte le nuove prescrizioni imposte su richiesta della commissione e deliberate dalla giunta.
Dure da incassare, per la Regione, le tre sentenze depositate martedì scorso con cui sono stati respinti i ricorsi del governo Soru contro la bocciatura dei vincoli sull’area dei colli punici. Due anni di controversie avvelenate e costose travolti dai giudizi a tratti sferzanti del Consiglio di Stato, che hanno confermato punto per punto la fondatezza dei gravami avanzati davanti al Tar dall’amministrazione di Cagliari e dai privati.
Ci sono però due passaggi di questa decisione ‘una e trina’ che aprono nuove vie all’iniziativa di contrasto mandata avanti dal governo Soru contro la cementificazione di Tuvixeddu: i giudici spiegano chiaramente come dev’essere costituita la commissione per il paesaggio destinata a valutare l’imposizione di nuovi vincoli e chiariscono sia pure sbrigativamente - senza entrare nel merito dei beni da tutelare e delle nuove scoperte nell’area storica - come la Sovrintendenza archeologica «chiamata a monitorare costantemente le aree oggetto delle opere cantierate, sia pur sempre in grado di paralizzare le stesse in presenza di appurate, eventuali nuove emergenze archeologiche». Un’affermazione in sè scontata ma probabilmente ritenuta doverosa dai giudici - presidente Barbagallo, consiglieri Buonvino, Chieppa, Bellomo e Contessa - considerata la leggerezza, denunciata dall’Avvocatura dello Stato e dalle associazioni culturali ed ecologiste, con cui il problema del sito archeologico di Tuvixeddu è stato affrontato negli anni.
Nei giudizi amministrativi la forma degli atti diventa sostanza per le decisioni. Ma in questo caso il Consiglio di Stato ha seguito la traccia del Tar Sardegna e si è addentrato in aspetti non solo formali di una vicenda che ormai coinvolge anche i magistrati penali: per palazzo Spada lo «sviamento di potere» rilevato dai colleghi sardi c’è davvero e rappresenta il lato più oscuro del caso Tuvixeddu. Se infatti i legali della Regione - Vincenzo Cerulli Irelli, Paolo Carrozza e Giampiero Contu - liquidano il progetto alternativo per il ‘parco Karalis’ elaborato dall’archistar francese Gilles Clement come «un semplice studio a carattere orientativo» i giudici di Roma ribattono che «la giunta regionale, di sua iniziativa, nel fare proprio il parere espresso dalla commissione regionale, ha finalizzato puntualmente la propria azione alla realizzazione del progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree secondo le indicazioni dello studio del professor Clement». Lo studio - rilevano i giudici - viene formalmente richiamato «nella stessa delibera di imposizione del vincolo» e quindi «doveva essere ben noto alla Regione nei suoi specifici contenuti e logicamente doveva averne avuto sostanziale approvazione». Ma il punto è questo: «Non è dato comprendere - è scritto nella sentenza - in che modo, in assenza di alcuna formale iniziativa al riguardo e in difetto di ogni motivazione atta a consentire un idoneo scrutinio di legittimità della scelta così operata, possa essere stato individuato quel progetto e possa esserne stata prescritta l’osservanza». Un progetto - scrivono ancora i giudici romani - di «non definita origine e di non precisate fonti normative» che conferma «il grave eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento» di cui la Regione si è macchiata. Ed è qui che il giudizio amministrativo va a incrociarsi con l’inchiesta penale sollecitata dai legali di Coimpresa e aperta su ipotesi di abuso d’ufficio dal sostituto procuratore Daniele Caria: sulla scena di Tuvixeddu, prima ancora che il Tar si esprima sui nuovi vincoli, compare uno studio finanziato in parte dalla Fondazione Banco di Sardegna, conosciuto soltanto alla giunta regionale, affisso negli uffici dei beni culturali ma di cui non c’è traccia nei documenti ufficiali.
Quasi in contemporanea ai vertici dirigenziali dell’assessorato regionale ai beni culturali viene nominata la moglie del presidente del Banco di Sardegna. Se la scelta di finanziare lo studio Clement - ormai censurata sia dal Tar che dai giudici amministrativi di secondo grado - e quella nomina al ruolo inedito di direttore generale dei direttori generali siano fatti significativi da mettere in relazione sarà la Procura a stabilirlo.
La prima volta che La Maddalena ospitò un G8 le cose non andarono tanto bene. Benché fosse giugno, il tempo si mise di traverso, e impedì ai Grandi convenuti nell'isola di sbarcare: era il 1882, e gli emissari delle teste coronate di mezza Europa nonché del presidente degli Stati Uniti si trovarono nell'arcipelago per i funerali di Giuseppe Garibaldi. L'eroe fu salutato dalle salve delle navi, ma poi vento e mare impedirono i rifornimenti e la partenza per giorni. Bizzarrie del tempo maddalenino. Non altrettanto sarà per il G8 che nel 2009 si terrà sull'isola a cui Silvio Berlusconi in persona ha dato il via libera definitivo: lo ha promesso il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, che come commissario straordinario per l'evento si è preso la responsabilità di garantire che tra un anno esatto tutto sarà pronto. E cioè che, laddove oggi c'è un vecchio edificio di fine Ottocento usato come ospedale, ci sarà un albergo a cinque stelle lusso adatto ai Grandi, e che nel vecchio Arsenale, anch'esso di stampo ottocentesco e in disuso da trent'anni, sorgeranno come per incanto la conference room degli incontri dei capi di Stato, l'area stampa, un altro albergo e la darsena per un migliaio di posti barca. Tutto lustro, ecologicamente compatibile e ad autonomia energetica solare, popolato di mezzi elettrici e con la banda larga via etere, con i materiali di scarto riutilizzati nella malta e con cibo 'a kilometri zero'. Una meraviglia tecnologico-turistica destinata non solo a sfruttare le vestigia di vecchie servitù militari di cui la Regione è diventata proprietaria, ma anche a cancellare definitivamente quell'atmosfera da vecchia colonia che aleggia nell'isola. E a lanciare l'arcipelago, fino a pochi mesi fa vincolato (e preservato) dall'ingombrante presenza della base americana, nel grande giro del turismo di lusso. "Non saremo la piscina di nessuno", promette il sindaco maddalenino Angelo Comiti, Pd. Oggi, infatti, secondo i calcoli dell'Ente parco, ogni anno arrivano nell'arcipelago 12 mila barche, e 3.800 passeggeri al giorno vengono riversati dai barconi su spiagge e spiaggette di Santa Maria, Budelli, Spargi, tutti gioielli naturali. Turismo di passo, che non fa la spesa, non va in albergo, non affitta case. Consuma le bellezze naturali, ma non lascia soldi.
Ora invece i soldi per far fare alla Maddalena il grande salto ci sono. Trecento milioni per i lavori dell'evento G8, garantiti da Bertolaso (la Regione ne metterà una settantina, il resto viene da stanziamenti fatti ad hoc, più il rastrellamento di 100 milioni di fondi Fas per le aree sottoutilizzate), ma che lieviteranno fino alla strabiliante cifra di 800 milioni. Come? Agganciando al treno in partenza del grande evento, e alle sue procedure superveloci sull'impatto ambientale, una serie di opere pubbliche che Regione e Comune avevano in mente di fare (con relativo stanziamento): dalle quattro corsie Olbia-Sassari (370 milioni di euro) al nuovo tracciato della Arzachena-Palau (85 milioni), all'allungamento della pista dell'aeroporto di Olbia per far atterrare l'Air Force One, dal depuratore-potabilizzatore dell'isola dimensionato ai futuri consumi (12 milioni), fino al 'waterfront' maddalenino (18 milioni), insomma il porto turistico nuovo di zecca che farà lievitare i posti barca da diporto dai 90 ospitati attualmente nella piccola Cala Gavetta a 650. Più quelli dell'Arsenale, un tripudio di nautica dove oggi la fanno da padroni gommoni e barconi di legno che offrono pasta con le cozze.
Nel compendio militare in città, off-limits fino a febbraio e dove gli americani facevano la spesa, andavano al cinema, portavano i bambini al parco e giocavano a squash, oggi governa la Protezione civile che sorveglia i lavori del G8. Finita l'impresa, tornerà ai proprietari, i Mordini, che in tutti questi anni hanno incassato un canone d'affitto. I quali hanno già un progetto di costruzione di un centro congressi e un albergo. Non sono gli unici. L'ex sindaco Pasqualino Serra ne farà uno a Santo Stefano, il Club Méd, chiuso da due anni, ricostruirà a Caprera, si vuole allargare l'Hotel Cala Lunga comprato dall'imprenditore del packaging Davide Cincotti, e anche Salvatore Ligresti, che ha acquistato le 134 ville prima affittate alle famiglie degli americani in una delle più belle zone dell'isola, Trinita, vorrebbe allargarsi. Insomma dai 1.100 posti letto attuali, l'arcipelago arriverà a 2.200. Qualcuno stima un impatto di 200 mila metri cubi di cemento, ma il governatore Renato Soru su questo punto è tranchant: "È un dato inesatto: quei metri cubi sono per il 95 per cento volumetrie già esistenti che possono essere recuperate. In linea con il Piano paesaggistico regionale, che non è vero che ha bloccato l'edilizia in Sardegna, e che consente la riqualificazione dell'esistente, il recupero, e una premio per chi trasforma seconde case in alberghi". E a chi critica il nuovo modello di sviluppo maddalenino il sindaco risponde ricordando i 1.800 disoccupati dell'isola (su 12 mila abitanti), e l'esiguità del suo budget da 27 milioni, che ora potrebbe prendere il volo, tra Ici e introiti delle nuove concessioni portuali. Modello che ha un solo ostacolo da abbattere: l'Ente parco dell'arcipelago, contro il quale l'intero consiglio comunale ha votato un referendum consultivo tra la popolazione per il suo scioglimento. O di cui, in alternativa, il Comune vorrebbe la presidenza.
La grande prova sarà comunque il G8. Reggere all'arrivo delle 20 mila persone che l'evento di luglio 2009 porterà sull'isola non sarà facile. Alla Protezione civile sono ottimisti e anche un po' eccitati. Dopo aver organizzato congressi eucaristici, firme della Costituzione europea e intronizzazione del papa, questo è il loro primo intervento 'da prato verde', in cui si parte da zero e tutto va inventato e realizzato. Affrontando temi quali: quanto devono essere grandi le suite di Sarkozy e della Merkel, di Putin e di Obama (dato lui per vincente), insomma degli otto big più il presidente della Ue e quello di turno del Consiglio europeo con relativi capi delegazione? Come si sposteranno i suddetti grandi? E dove far dormire i 3 mila giornalisti attesi e le 10 mila forze dell'ordine? Come sfamare tutti in un'isola che importa qualsiasi cosa da fuori? Come garantirsi da cadute di tensione elettrica o che dal rubinetto della Jacuzzi di Putin non esca più l'acqua? E, soprattutto, come fare tutto in 12 mesi?
"Teak? Meglio il granito: neanche il teak è più quello di una volta...". Con qualche ritocco firmato da Berlusconi in persona, i progetti, tutti vincolati dal segreto militare, sono stati varati. Gli appalti verranno conclusi entro il mese, e le maestranze lavoreranno 24 ore su tre turni. Lo studio di Stefano Boeri firma la zona conferenze nell'Arsenale, che le indiscrezioni raccontano come un grande parallelepipedo aggettante sull'acqua. Dopo, diventerà uno yacht club attraverso una gara internazionale bandita dalla Regione. Perché tutta l'area del vecchio Arsenale militare, dal molo dove nell'Ottocento si scaricava il carbone alla darsena per le riparazioni, sarà il volano del futuro maddalenino. Sarà lì che nascerà il Polo nautico dell'arcipelago, con una zona per l'attività fieristico-commerciale e una di rimessaggio per la cantieristica leggera, cioè non i super-yacht, ma le barche a vela. Più albergo per gli equipaggi. Ma chi sogna l'America's cup dovrà rassegnarsi: a Valencia è stata necessaria una superficie che è cinque volte quella maddalenina.
Allo studio Facchini, che per il Vaticano ha firmato la Domus Santa Marta, il 5 stelle che ha ospitato i cardinali del conclave, è andato invece il progetto dell'albergo per i Big. Fronte mare, il vecchio palazzotto dell'ospedale militare, debitamente integrato con due ali ad esedra, ospiterà 115 stanze, di cui dieci suite da 70 metri quadrati (la metà del G8 in Giappone) più altrettante da 45 metri quadrati per i capi delegazione. Invece della palestra in camera, ce ne sarà una comune, più piscina, più spa. Decisioni difficili, si sa, ma prese dopo attenta disamina di metri cubi e distanze dei G8 precedenti e di quello appena concluso. Con un risultato che non si sa se verrà apprezzato dai Grandi: a 150 metri dalla sala del congresso, i giornalisti non sono mai stati così vicini. n
Manifesto Soru
"Il G8 è un'occasione per bonificare siti militari dismessi, sperimentare forme di sostenibilità ambientale per esempio nell'approvvigionamento energetico, nella mobilità nell'isola, nel consumare i prodotti agro-alimentari sardi. Sarà completato il ciclo della depurazione delle acque, nemmeno un litro d'acqua sarà sprecato. E questo accade dove sino a un anno fa era presente una nave appoggio per sommergibili a propulsione nucleare". Renato Soru è orgoglioso dell'operazione che ha avviato con il governo Prodi e ora condotto in porto con quello Berlusconi. Ma era proprio necessario infilare nel pacchetto anche le strade, governatore? "Sono strade necessarie e di cui si parla da decenni. Le procedure del G8 rendono tutto più veloce, senza saltare nessun passaggio: la Olbia-Sassari è una delle strade più pericolose e trafficate d'Italia, rifarla è una richiesta di tutto il sistema economico sardo".
La Maddalena reggerà l'impatto della crescita turistica che si prepara?
"Sì, l'isola d'estate è soffocata da auto e villeggianti, che però la sera se ne vanno perché non sanno dove dormire. Si deve riconvertire un'economia basata sulle attività militari in economia civile, turistica, attorno al meraviglioso ambiente del Parco nazionale".
Il Parco: anche lei è per cancellarlo?
"L'Ente parco nazionale crea problemi e conflitti, è un potere che si sovrappone a quello comunale, mentre lo Stato mette risorse ridicole per un bene di immenso valore che costa invece alle casse della Regione. È ora che torni alla disponibilità dei sardi".
BRACCIO DI FERRO A CAPRERA
"Ricorrerò al Tar sulla questione referendum". Giuseppe Bonanno, 32 anni, presidente dell'Ente parco dell'arcipelago maddalenino ha l'aria di uno che mette il dito nella diga per fermare l'acqua. Gli enti locali, dalla Regione al Comune alla Provincia, non hanno nominato i propri rappresentanti negli organismi decisionali per azzopparlo, e vedono il parco come un ostacolo per i mille progetti di valorizzazione delle isole. Innanzitutto Caprera, dove nella zona militare di Punta Rossa la Regione ha deciso di far nascere un Centro di osservazione per gli ecosistemi costieri (ma si è rischiato l'albergo), e dove l'altro oggetto del desiderio è il forte militare che domina l'isola. L'Ente parco, viceversa, progetta per l'isola un blocco delle auto, con un parcheggio di scambio e lo smistamento dei visitatori con minibus elettrici. Quanto a Santo Stefano, è ancora in discussione cosa fare della ex base americana, passata alla Regione. L'architetto Stefano Boeri sta lavorando a un'idea: farne un centro turistico a basso costo per i giovani, e porterà in ottobre i suoi studenti di Harvard a studiarne il progetto. Che potrebbe combinarsi con quello di un attracco dei traghetti su Santo Stefano, collegandola poi a La Maddalena con un ponte.
Sull'argomento si vedano gli articoli La Maddalena Blindata, Nuvole sulla Sardegna, e l'Opinione di Vezio De Lucia
Filtrata senza ulteriori conferme, in attesa di maggiori e ufficiali informazioni – e soprattutto delle motivazioni – la notizia è importante: il Consiglio di Stato avrebbe respinto il ricorso della Regione Autonoma della Sardegna avverso alla sentenza del TAR Sardegna ( vedi gli articoli precedenti), che annullava l’estensione del vincolo apposto su Tuvixeddu da Renato Soru mediante una commissione nominata a norma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, e velocemente formalizzata. Proprio la mancanza di sufficienti passaggi formali (a quanto pare, soprattutto di un congruo provvedimento di legge) sarebbe stata la motivazione che – assieme ad una non piena consultazione di Cagliari nell’ambito del precedente Accordo di programma – ha portato il Consiglio di Stato a respingere il ricorso di Renato Soru.
Riservandoci di intervenire anche in maniera straordinaria fra questo ed il prossimo numero laddove arrivassero notizie ufficiali, appare evidente come si producano diverse indicazioni di rilievo. Vediamone alcune.
Innanzitutto la salvaguardia, Partendo dal presupposto che la tutela dell’area di Tuvixeddu - eccezionale la necropoli punica, quella romana, e l’insieme dei valori storici, artistici e di paesaggio urbano sino alla modernità - sia una priorità assoluta, e che le motivazioni per il vincolo allargato proposto dalla Regione Autonoma siano assai solide (persino contenute rispetto all’importanza dell’area), l’opportuna notizia anticipata deve far porre immediatamente in essere provvedimenti che sanino i difetti censurati dal Consiglio di Stato. In tempi assai rapidi, perché ruspe e abusi sono tradizionalmente molto veloci ed efficaci.
La battaglia per la difesa del Colle – sostenuta da un fronte assai ampio di studiosi e appassionati guidati da Giovanni Lilliu – deve ricevere dalla Regione Autonoma un trattamento adeguato, e con esso le persone che l’hanno istruita e sostenuta. Archeologi, cittadini, uomini di cultura che hanno a cuore il nostro patrimonio dovranno essere disposti a scendere in campo, se è necessario proteggere con una catena non solo di pensiero ma fisica, umana, le aree in pericolo. A guardare tutto con mille occhi, potenziando quelli già efficaci che hanno disvelato danni e abusi.
La seconda riguarda gli strumenti da mettere in atto: va detto con chiarezza che non sono più ammissibili errori (su Tuvixeddu la Regione ne ha fatti qualcuno di troppo) che mettano a rischio l’area e vanifichino impegno e dignità professionale delle persone.
La terza, ad essa collegata, è politica: il decisionismo soriano, che pure ha prodotto importanti e apprezzabili risultati, talora tratta passaggi democratici e giuridici importanti come impedimenti noiosi o subordinate. Non si tratta di una modalità solitaria di Renato Soru, perchè essa gode di un supporto ideologico e gruppi di riferimento, in alcuni casi persino più responsabili o, se preferite, più irresponsabili. Si impone una revisione critica di tali errori e una maggiore cautela negli stessi pareri tecnici, ai quali non giova fretta, fastidio delle regole, obiettivi ristretti ed accelerazioni autonomistiche che poi si trasformano in rallentamenti reali per la stessa autonomia. Smettiamola di perseguire radicali passaggi di competenze per migliorare la pur grave carenza di fondi e strutture, e magari sognare un dorato futuro regionale. La tutela non deve per questo porsi al di fuori dello Stato, né al di sopra di esso. Il nostro patrimonio cultruale e paesaggistico, anche perchè immenso, ha bisogno di azioni comuni.
La quarta è istituzionale, pubblica: la crisi nelle regole e nella realizzazione della stessa tutela, che avviene anche per cause oggettive, non tutte negative, come quella del ruolo accresciuto degli Enti Locali e delle Associazioni, è acutissima: abbiamo Soprintendenti che esprimono pareri diversi e contrastanti senza comporli ma accentuando la conflittualità; tendenze a sovrapporre le norme urbanistiche a quelle proprie dell’ordinamento dei beni cultuali e del paesaggio, indebolimento mediante accorpamenti delle Soprintendenze in Sardegna, nomine e trasferimenti rutelliani che Bondi ha poi cancellato. Quali sono, e con che mandato, oggi i Soprintendenti in Sardegna? Cosa tutelano? La classe dirigente e professionale esistente deve declinare con forza quel senso dello Stato che ha costituito la parte migliore della storia della tutela nel nostro Paese, farsi sentire.
Infine, nuovamente un aspetto politico: la battaglia per difendere Tuvixeddu non sarà semplice, ora che la speculazione ha una rappresentanza politica forte sia localmente che a livello nazionale. Ma sappiamo che esse non sono assenti dalla stessa maggioranza di centro sinistra. La difesa di Tuvixeddu rappresenta perciò una prova importante di unità democratica, meglio delle tristi pseudo-primarie in atto: sarà anche la voglia di battersi per la difesa piena e ampia di un’area di eccezionale importanza a farci capire se la sinistra, e in modo più ampio il centro-sinistra, avrà la capacità di scegliere da che parte stare.
Costruttori che minacciano licenziamenti se non si superano le rigidità dei vincoli imposti dal Piano paesaggistico. E pratiche per il rilascio di concessioni comunali praticamente bloccate «causa Ppr». Ad un mese dallo stop degli incontri di “copianificazione” tra Regione e Comune, il caos edilizia rischia di deflagrare. Il Comune ormai riduce all'osso le autorizzazioni per non incorrere in violazioni di legge. Nell'incertezza applicativa - e in attesa dell'adeguamento del Piano urbanistico comunale - uno dei costruttori più “colpiti” dalla nuova disciplina paesaggistica, Antonio Puddu, compra una pagina del quotidiano locale L'Unione Sarda per avvertire: «Siamo costretti a licenziare 60 lavoratori su 130». Il suo progetto di realizzare due palazzi di sei piani via Caboni è fermo dal 2 gennaio per un sequestro penale: il comune aveva concesso la licenza entro la fascia vincolata dei cento metri da un bene paesaggistico, il fortino militare tra via Caboni e via Ravenna, tutelato dal Ppr. Da lì i sigilli, confermati anche da un collegio di giudici in sede di Riesame. Ma senza palazzi, niente occupazione. Da quando il tavolo tecnico Regione-Comune-Soprintendenza è fallito, il 12 maggio scorso, con la richiesta di un parere da parte della soprintendenza all'Avvocatura, nulla si è mosso. I grandi cantieri privati autorizzati in zone indicate come di pregio paesaggistico o “identitario” dallo strumento urbanistico regionale, sono sospesi, su decisione della magistratura o dello stesso comune. Oltre a via Caboni e via Ravenna, è ferma anche la ristrutturazione dell'ex Biochimico di via Dante, mentre indagini sono in corso sui lavori in via dei Falconi. Perché la magistratura ha dato un'interpretazione letterale del Piano: le opere autorizzate in zone vietate dal Ppr sono abusive, salvo modifiche al Ppr. Secondo il comune le licenze rilasciate e poi sospese dall'amministrazione sarebbero, invece, almeno sessanta. Se il dirigente del servizio Edilizia privata, Mario Mossa, interpellato sullo stop nel rilascio delle concessioni preferisce il silenzio, è l'assessore all'Urbanistica, l'architetto Gianni Campus, ad ammettere con candore: «Sapevamo che sarebbe successo: l'attività degli uffici è rallentata per forza di cose a causa della maggiore complessità della procedura scaturita dal Piano. Siamo immersi in un bagno di dubbi. Ma tra diventare responsabili di una mancanza amministrativa (non rilasciare autorizzazioni, ndr), e rilasciare concessioni che poi potrebbero costituire un illecito penale, va da sé che si sceglie la prima». Secondo i dati che il servizio Edilizia privata avrebbe fornito al costruttore Puddu (si legge sulla pagina a pagamento), nei primi cinque mesi del 2008 «il comune ha rilasciato 44 concessioni edilizie contro le 77 dello stesso periodo del 2007, e 87 in quello del 2008». Puddu cita i sigilli chiesti e ottenuti dal pm Andrea Massidda: «Il nostro cantiere di via Caboni è stato posto sotto sequestro proprio a causa di una presunta violazione delle norme del piano che ancora oggi stentiamo a capire. Quanto accaduto ha portato al fermo di quasi tutti i lavori edili ed alla sospensione di ogni decisione sul rilascio delle concessioni edilizie, tra cui alcune nostre».
Avete un’idea di che cosa sono diventate le più belle coste della Sardegna per effetto di quelli che Antonio Cederna chiamava “gli energumeni del cemento”? Hanno svillettato i più bei paesaggi del mondo. Hanno costruito mostri più brutti del Fuenti e di Punta Perrotti (conoscete il lussuoso Cala di Volpe? andateci per inorridire). Se sapete che cosa hanno fatto e come hanno distrutto un bene prezioso dell'umanità, considererete anche voi il lamento del costruttore Puddu una buona notizia.
Qualcuno dice che viale Sant’Avendrace, nel centro di Cagliari, poteva essere una miniatura di via Appia Antica. Chi lo dice forse esagera, forse era vero fino a qualche decennio fa. Ora fra chi vi passeggia e la necropoli che si distende lungo le pendici del colle di Tuvixeddu, una delle più antiche e pregiate del Mediterraneo, oltre duemila tombe realizzate dall’età punica a quella della Roma imperiale, corre una cortina di palazzi alti sei piani, edilizia multicolore che occulta ogni vista, un paravento di appartamenti costruiti fino a un paio d’anni fa che le tombe sono servite a far crescere di valore: vendesi trivani, doppi servizi, termoascensore, posto auto sulla necropoli.
Tante tribolazioni ha sopportato la necropoli. E tante ne patisce ancora questo sito archeologico tra i più preziosi in Italia, ma invisibile, trattato come una discarica e forse ignoto persino a molti cagliaritani, poco studiato e pochissimo tutelato. Il 30 maggio il Consiglio di Stato si pronuncerà sulla fondatezza di un vincolo che la Regione Sardegna ha imposto su una vastissima area, allargando le prescrizioni già esistenti dal 1997, ma evidentemente ritenute inefficaci. Il nuovo vincolo è stato bocciato dal Tar dell’isola, sollecitato dal Comune e da un gruppo di costruttori. Se il Consiglio di Stato dovesse confermare l’annullamento, a Tuvixeddu e Tuvumannu, un colle a poche decine di metri, verranno inflitti altri 260 mila metri cubi di case, edificate su un’area a ridosso della necropoli, grosso modo una cinquantina di palazzi a sei piani, i cui cantieri sono fermi e frementi in attesa della sentenza. Nell’accordo che consente la lottizzazione è previsto che il Comune possa realizzare un parco urbano e un parco archeologico grandi poco più di venti ettari insieme a un museo da sistemare nel vecchio capannone di un cementificio. Ma oltre alle case, che rischiano di alterare la percezione di un contesto paesaggistico già vilipeso, eppure ancora splendido, sono previsti 80 mila metri cubi di altro cemento, più una strada a due corsie che dopo aver sfilato al fondo di un terribile e struggente canyon - prodotto dalla vorace attività di scavo per estrarre la pietra servita alla ricostruzione di Cagliari nel dopoguerra - si imbuca in un tunnel che sfocia in un’arteria stradale. È l’accesso al nuovo insediamento, dicono al Comune. Ma, se il progetto andasse in porto, Tuvixeddu e le sue tombe sarebbero ridotte a fluidificare il traffico cagliaritano.
La partita è delicatissima. La città è spaccata. A favore di una maggiore tutela di Tuvixeddu è schierato il governatore di centrosinistra Renato Soru, appoggiato da Italia Nostra, Legambiente e altre associazioni. Molti intellettuali si sono mobilitati. In prima fila uno dei maestri dell’archeologia, l’accademico dei Lincei Giovanni Lilliu, e poi i professori Simonetta Angiolillo, Roberto Coroneo, Bruno Anatra, Piero Bartoloni, lo scrittore Giorgio Todde. Dall’altra parte c’è il Comune, retto dal centrodestra, che difende l’accordo con i costruttori e sostiene che solo dando concessioni edilizie si possono incassare i soldi necessari a fare parchi e museo.
Lo scontro si gioca fra cavilli giuridici e questioni di ben altra portata che rivelano quanto su Tuvixeddu sia stato inadempiente il controllo dello Stato e in particolare della Soprintendenza archeologica. Uno dei punti più contestati riguarda l’efficacia dei vincoli imposti nel 1997. Sufficienti, secondo il Comune. Del tutto inefficaci, invece, secondo la Regione e secondo la Direzione regionale dei beni culturali, da poco affidata all’architetto Elio Garzillo. Il Tar ha dato ragione al Comune: dal ’97 a oggi, si legge nella sentenza, non vi sarebbero stati significativi ritrovamenti e la prova l’ha fornita il soprintendente archeologico Vincenzo Santoni, in carica fino al 2007, secondo il quale in dieci anni sono state rinvenute solo decine di altre tombe e tutte nell’area già vincolata. Dunque è inutile allargare le prescrizioni (Santoni è stato anche l’unico dei nove componenti della Commissione istituita dalla Regione che ha votato contro i nuovi vincoli).
Ma le smentite fioccano dagli stessi uffici della Soprintendenza. Sollecitati da ripetute richieste della Direzione regionale, sono emersi tutt’altri dati, che hanno i colori truci della disfatta. Dal 1997 al 2007 sono state ritrovate millecentosessantasei nuove tombe, solo metà delle quali nell’area del parco archeologico. Più di quattrocento, infatti, quattrocentotrentuno per la precisione, sono i sepolcri emersi in zone prive di efficace tutela. Si tratta, purtroppo, di tombe che resteranno invisibili per sempre: sono state trovate non dagli archeologi in una campagna di scavo scientificamente accreditata, ma dagli operai durante i lavori per le fondazioni di una mezza dozzina di palazzi che si affacciano su viale Sant’Avendrace. Sono state segnalate, catalogate e poi ricoperte da migliaia di metri cubi di cemento, infossate per l’eternità sotto cantine e garage.
Chi doveva esercitare i controlli su Tuvixeddu ha lasciato fare. E il massacro è stato sistematico. Tuvixeddu è archeologia e paesaggio. Fu scelto come luogo di sepoltura di fronte allo stagno di Santa Gilla e al mare negli ultimi anni del VI secolo a.C. all’inizio della conquista cartaginese della Sardegna. Ed è parte di un sistema ambientale in cui pulsa il cuore antico della città. Nessuna altra località che conservi vestigia del mondo punico, scrive l’archeologo Piero Bartoloni, può vantare la presenza di tali testimonianze. In Libano, terra d’origine dei conquistatori, le necropoli sono scomparse da secoli e a Cartagine la maggior parte delle tombe non è più visibile. Eppure l’area cagliaritana non è mai stata studiata nella sua interezza, non si conosce la reale entità della necropoli, comunque molto più vasta dell’area prevista dal parco archeologico, nel quale sono stati compiuti scavi sistematici fra il 2004 e il 2006. Sulla realizzazione del parco, inoltre, indaga la Procura cagliaritana che ha bloccato il cantiere perché invece di piccole fioriere sono stati installati pesantissimi gabbioni di pietra.
Le tombe si possono vedere infilandosi fra un palazzo e l’altro e inerpicandosi carponi lungo un costone sul quale spunta ciò che resta del Villino Serra, una gentilissima costruzione ottocentesca, nel cui giardino sorge uno dei palazzoni che sovrasta le tombe. Molte sepolture sono dentro i ruderi del villino, camere mortuarie incassate nella grotta accanto a colombari. Le pareti sono tagliate in orizzontale e sul fondo è scavato l’alloggio per i corpi. Per terra una carcassa di motorino, una batteria di auto, i resti di un pasto. Fino a pochi anni fa dalle finestre del villino si vedeva lo stagno di Santa Gilla e poi il mare. Ora c’è una muraglia di case.
Le tombe più antiche sono cavità a forma di rettangolo nella roccia. Bisogna camminare con attenzione fra orchidee selvatiche, piante di cappero e fichi d’india. Le sepolture scendono in verticale e poi in basso, orizzontalmente, si apre la camera mortuaria. Salendo lungo il dirupo se ne incontrano continuamente. Da qui sono stati recuperati - o rubati - monili preziosi e corredi funerari. Molte sono diventate bidoni di immondizia. Su viale Sant’Avendrace alcune tombe sono a un paio di metri da un cantiere. Qui dovrebbe sorgere il solito palazzo di sei piani che per sempre le nasconderà (ma i lavori sono bloccati) e che ha ricevuto tutte le autorizzazioni, sia dal Comune che dalla Soprintendenza, addirittura prima che il costruttore acquistasse l’area. Un’area originariamente di proprietà del Comune.
Su Tuvixeddu si affollano più progetti di architettura che di tutela. Il Comune ha il suo piano per il parco urbano e per quello archeologico. Ma anche la Regione ha tirato dal cilindro il suo disegno, firmato dal francese Gilles Clement, il teorico del “terzo paesaggio”, del paesaggio occasionale, che, secondo molti a Cagliari, sarebbe in contrasto vistoso con i rigorosissimi vincoli che la stessa Regione ha previsto.
Chi vincerà la partita sarà il Consiglio di Stato a stabilirlo. Soru si gioca molta della credibilità acquisita proprio sui temi della salvaguardia - gli stessi principi che hanno ispirato il piano paesistico regionale. Si racconta che a un convegno di Italia Nostra del 2006 il governatore abbia sconcertato il pubblico sostenendo che strade e palazzi, se di buona architettura, erano compatibili con la necropoli. Preso da parte da Maria Paola Morittu, battagliera esponente di Italia Nostra, ha voluto capire meglio come stavano le cose. La mattina dopo – era appena spuntata l’alba – si è fatto accompagnare a Tuvixeddu. Ci è rimasto qualche ora. Si è arrampicato fra sepolcri e piante di cappero. Ha raccolto cocci di anfore abbandonate fra i detriti. La mattina dopo, alla stessa ora, ci è tornato. E due giorni dopo ha dato il via ai vincoli.
"Sfoderiamo il nostro orgoglio per difendere quel tesoro"
di Marcello Fois
La constatazione più grave e triste per qualunque sardo di buona volontà è che, dietro la questione Tuvixeddu, c´è il peccato capitale isolano: quello di non rendersi conto del patrimonio che si ha sotto gli occhi. Le comunità colonizzate da un capitalismo malinteso e da un malinteso affarismo, che ha radici nella bassissima considerazione di se stessi, spesso preferiscono il guadagno a breve termine al patrimonio a lungo termine. La necropoli punica di Tuvixeddu non è un patrimonio di Cagliari, è un patrimonio dell´umanità che la Storia ha affidato a Cagliari.
Certo i padri punici hanno avuto il cattivo gusto di occupare aree appetitosamente edificabili, e questo secondo alcuni grossolani palati rende quel patrimonio di tutti poco più di una discarica. La corrente degli interessi può cercare di ridurre la bellezza e la ricchezza in bruttezza e povertà, ma non può certo negare quanto è assolutamente evidente: per molto tempo si è detto di tutelare un´area che non era affatto tutelata. Che ciò sia accaduto per malafede o, peggio, per incompetenza, poco importa al momento. Quel che conta è non arrendersi. Quel che conta è mettere in campo quell´orgoglio positivo che, troppo spesso folkloricamente, diciamo di voler affermare come sardi, come cittadini del mondo.
È una storia di ordinaria superficialità, ma anche la metafora di un deficit di interesse che dipende da un deficit di autocoscienza, esattamente come capita per i discorsi sull´identità e sulla lingua. Tutti sono virtualmente orgogliosi, ma praticamente servi di logiche sostanzialmente economiche. Il paesaggio, il patrimonio archeologico, la natura, sono il nostro codice genetico, ma anche, paradossalmente, la più importante fonte di ricchezza che abbiamo a disposizione, quello che può apparire conveniente oggi diventerà la nostra rovina domani. In un mio romanzo questa sarebbe una storia di affarismo in cui pochi loschi individui tramano nell´ombra perché non venga alla luce un tesoro di tutti, facendo così in modo da preservare un tesoro per pochi. Ci sarebbero amministratori corrotti e avidi, accondiscendenti, sovrintendenti. Ci sarebbe un ambiente distratto e poco sensibile, ma, per quanto sia uno scrittore di gialli e gli scrittori di gialli, si sa, fanno galoppare la fantasia, non so se, nel mio ipotetico romanzo, ci sarebbe un eroe senza macchia e senza paura pronto a rischiare tutto per tutto perché trionfi la bellezza.
Postilletta
"Eroi senza macchia e senza paura" magari no, ma se non ci fosse stato qualche personaggio positivo di Tuvixeddu rimarrebbe ben poco...
CAGLIARI. Sul cemento di Tuvixeddu si decide il 30 maggio, ma prima che il Consiglio di Stato depositi la sentenza d’appello, che sarà anche definitiva, nessuna delle tre imprese impegnate nei lavori sui colli punici della città accenderà i motori delle betoniere. Tutto fermo, in base a un accordo proposto dai legali di Coimpresa, accolto dal presidente della sesta sezione Giuseppe Barbagallo e avallato dai difensori delle parti pubbliche e private in causa. La Regione ha insistito perchè si andasse alla sospensiva, il giudice ha preferito la linea del rinvio.
Non c’è spazio per i trionfalismi e neppure per la delusione: i giudici amministrativi romani hanno scelto di non esprimersi sulla richiesta avanzata dalla Regione, dal ministero dei Beni culturali, da Italia Nostra e da Legambiente di sospendere l’efficacia della sentenza con la quale il Tar Sardegna ha bocciato i vincoli imposti dalla giunta Soru, accogliendo integralmente i ricorsi di Coimpresa, Comune e Raimondo Cocco costruzioni. La scelta di non decidere è legata a due necessità: quella di affrontare con calma la montagna di faldoni che raccontano la complessa vicenda politico-amministrativa di Tuvixeddu e l’altra, non meno importante, di ridurre a una sola udienza il prevedibilissimo scontro fra i due schieramenti di avvocati, pronti a darsi battaglia in vista di un obbiettivo diventato centrale al di là del valore storico dei colli cagliaritani. Scelta logica, perchè una decisione sulle istanze di sospensiva sarebbe stata certamente letta, in un clima così teso, come un’anticipazione di giudizio. I giudici hanno preferito evitare il rischio, richiamando le parti al buon senso: due mesi di tempo a disposizione di tutti ma a bocce ferme, perchè i beni in discussione non vengano pregiudicati con nuovi colpi di bulldozer e i legali possano affilare le armi per una contesa che sarà finale. Al patto hanno aderito formalmente anche i difensori dell’impresa Cocco - gli avvocati Benedetto e Antonello Ballero - malgrado il decreto cautelare di stop ai lavori, firmato il 14 marzo dal presidente del Consiglio di Stato su richiesta della Regione, sia ormai scaduto.
La posta in gioco è altissima. Coimpresa si gioca la possibilità di realizzare un progetto che sulla carta si presenta ad alta redditività, coi lavori già avviati. La Regione e il comune di Cagliari - stranamente antagonisti, nonostante si tratti di difendere un bene collettivo - un pezzo della loro credibilità istituzionale.
Con un grande punto interrogativo sugli esiti del confronto una cosa è apparsa chiara nell’austera aula del Consiglio di Stato: il ministero dei Beni culturali è al fianco della Regione. Basta leggere il ricorso firmato dall’Avvocatura dello Stato per trovare la conferma: in tre pagine scarne ma analitiche i legali pubblici attaccano alle fondamenta la sentenza del Tar sardo, entrando con forza nel merito delle valutazioni tecniche e lanciando un giudizio di parte, ma comunque significativo, su alcune scelte del collegio cagliaritano. Su tutte quella di aver manifestato pareri extragiuridici su aspetti di taglio culturale, come la mappatura delle aree da sottoporre ai vincoli in base al Codice Urbani. E come il sospetto, manifestato esplicitamente dal Tar, che l’iniziativa del governo Soru di bloccare i lavori a Tuvixeddu nascondesse l’intenzione di aprire la strada a un piano alternativo, quello firmato dal celebre architetto francese Gilles Clement. Su quest’aspetto però la partita è aperta: c’è un’inchiesta giudiziaria condotta dal sostituto procuratore Daniele Caria dopo l’esposto depositato dal legale di Coimpresa, Agostinangelo Marras. Improbabile, sul piano strettamente tecnico, che le valutazioni del magistrato penale coincidano con quelle del giudice amministrativo: sono problemi diversi.
Partita tutta da giocare, dunque. Ma le note di commento nel corso della giornata sono fioccate lo stesso. La Regione - patrocinata dagli avvocati Paolo Carrozza, Vincenzo Cerulli Irelli e Giampiero Contu - ha espresso «grande soddisfazione per la posizione decisa e coraggiosa assunta nella vicenda a sostegno della legittimità del vincolo dal Ministero per i beni culturali, attraverso l’Avvocatura generale dello Stato e dalle principali associazioni ambientaliste, Italia Nostra e Legambiente. In questa buona compagnia - è scritto in una nota - la Regione andrà avanti nella tutela dell’ambiente e del paesaggio contro ogni tentativo di appropriazione speculativa del patrimonio naturale e storico dell’isola».
Legambiente - tutelata dall’avvocato Giuseppe Andreozzi - definisce «salomonica anche se non risolutiva» la decisione dei giudici romani e conferma come «il blocco delle attività di cantiere fosse una necessità imprescindibile». Soddisfatto anche l’avvocato Carlo Dore, legale di Italia Nostra. Mentre Coimpresa - i difensori sono Pietro Corda, Antonello Rossi e Duccio Maria Traina - sottolinea di aver deciso «volontariamente di non iniziare i lavori prima della data dell’udienza» e smentisce una nota diffusa nel sito della Regione in cui si parlava impropriamente di provvedimenti inibitori: «Restano interamente valide ed efficaci - scrive l’amministratore Giuseppe Cualbu, figlio di Gualtiero Cualbu - le sentenze del Tar di annullamento dei vincoli». Coimpresa respinge le accuse di «appropriazione speculativa» perchè sono riferite «a un progetto che prevede la cessione al pubblico di 38 ettari su 48 e la realizzazione di servizi necessari alla riqualificazione dei quartieri popolari circostanti. Ancora una volta - si chiude la nota - vengono usate argomentazioni e toni poco consoni a un’istituzione pubblica quale è la Regione, che intende colpire ingiustamente una parte dell’imprenditoria sarda».
Silenzio dal Comune, difeso in giudizio dagli avvocati Ovidio Marras, Massimo Massa, Federico Melis e Marcello Vignolo.
Mi sembra davvero un errore puntare in maniera così netta, e con quelle modalità straordinarie che rimproveravamo alla destra, sul turismo d’élite a La Maddalena. Che sia criticabile questo sviluppo sbilanciato sul lusso lo scrisse qualche mese fa, in un brillante pezzo per il Manifesto Sardo proprio Ignazio Camarda; ed è spiacevole ricordare che normative e procedure derivate dalle leggi di tutela del paesaggio con un’emergenza direttamente governata dalla Presidenza dell’Esecutivo sono una cosa che fu vista per la prima volta con Berlusconi, guarda caso mediante, se non ricordo male, la Protezione Civile. Potenza dei modelli!
Preoccupano le modalità di emergenza, perché i grandi eventi speciali, memoriali, straordinari (dall’omaggio ai potenti del pianeta alle Olimpiadi) portano sempre, tributo all’efficienza, qualche messa in mora della democrazia, e maggiori probabilità, indebolendosi i controlli, di abusi. Speriamo bene, perciò.
Ma il dissenso profondo è proprio sul modello: capisco la ragione e la convinzione, anche se non mi appartengono, di mettere in moto il bello sconvolgente dell’Arcipelago, emancipato dagli orribili navigli nucleari (e dall’inquinamento? d’altronde Quirra è già sull’altro piatto della bilancia) per produrre immagini attrattive di ricchezza, benessere, capitale; e anche la preoccupazione che una comunità in qualche modo abituata ai dollari non possa rivoltarsi a qualsiasi pratica, poco veloce ma più affidabile, di sviluppo sostenibile, come le attese (pur criticandone se necessario aspramente i contenuti ) di una popolazione che ha visto a lungo il suo straordinario ambiente espropriato da qualcosa, ed è arrivata – anche per la mancanza di culture alternative consolidate e vincenti – a mettere sullo stesso piano di espropriatori basi militari e il modello del Parco nazionale. Processo conosciuto anche all’Asinara e nel Gennargentu, che induce a forte preoccupazione. Che evidenzia la questione irrisolta del Parco, la necessità di una modifica alla stessa legge-quadro sulle aree protette che sia più inclusiva delle popolazioni dei territori interessati, mantenendo però con fermezza l’irrinunciabilità alla tutela pubblica e nazionale, quindi statale, di un arcipelago già inserito nel dossier UNESCO. Aspetto concettualmente rinforzato dalla nota sentenza della Corte Costituzionale e delle recenti modifiche al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
Potrei inoltre dire che mi sarebbe piaciuto capire meglio e cogliere, in questo sforzo politico e finanziario della Regione Autonoma di autoreferenziarsi nello scenario mondiale, quali siano le somme destinate per il Compendio Garibaldino di Caprera, o per il Museo del relitto romano di Spargi. O ancora per la tutela dei siti archeologici ed architettonici che caratterizzano in primaria importanza tutto l’arcipelago (dal tafone neolitico di Cala Corsara al riparo sotto roccia preistorico di Cala di Villamarina). Sul fatto che caratterizzare con ‘antropologie di élite’ un luogo così delicato significhi affidarlo a classi e ceti non certo vocati al rispetto del paesaggio e sempre infastiditi dalle regole pubbliche.
Da queste pagine immaginavamo la necessità, tra le altre cose, di allocare alla Maddalena, come all’Asinara, un centro di studi sulle energie pulite e rinnovabili. Renato Soru ha pensato di aprire in occasione del G8 un dibattito mondiale sull’ambiente e le energie rinnovabili: senza naturalmente rinunciare al modello del turismo di élite così vicino ai ceti che sostengono i ‘Cavalieri dell’Apocalisse’ del G8, titolari di quei modelli che stanno distruggendo il nostro pianeta, incardinandolo ai destini del petrolio e dell’industria militare ad esso intimamente connesso. La contraddizione, pesante, mostra la scarsa credibilità di un’alternativa ambientale di Soru (che ha avuto il premio Kyoto 2021!) anfitrione a La Maddalena di George Bush, primo responsabile dell’affossamento del protocollo di Kyoto, dal quale pare logico aspettarsi, nel senso letterale del termine, orecchie da mercante.
Se trovo poco edificante ospitare il G8 e tutte le sovrapposizioni alle norme ordinarie inferte dalla ‘eccezionalità’, trovo imbarazzante il ritardo della sinistra su questi temi. Non è alla fine strano che Renato Soru persegua un modello di sviluppo borghese evoluto, organico a una concezione del territorio non esattamente incardinata a sinistra e sui beni comuni, ma l’opposizione ideale sconfina in modo preoccupante con un’assenza di proposte. Non ci va bene uno sviluppo puntato sugli alberghi a cinque stelle? Abbiamo a sinistra elaborato un modello di vita quotidiana assistito da scelte amministrative politiche correnti che sia in grado di essere convincente per le popolazioni e non solo per noi? Renato Soru ha una sua idea per sviluppare turismo di ‘alto livello’ (di reddito) e qualità dei luoghi della quale non condividiamo coordinate teoriche, modelli antropologici, risultanze pratiche. Ma rischiamo di essere in forte ritardo sulla proposta di idee alternative, perché non si riesce ad andare oltre a parole d’ordine esclusivamente resistenziali, ostacolati dall’incapacità di uscire dalle zone rosse di Genova, di capire che lo scenario è cambiato.
I riflettori che si accenderanno sul G8 saranno utili solo se sapremo organizzare, sfuggendo al rischio-trappola del potere, un contro vertice pacifico e globale delle competenze e dello sviluppo sostenibile, diffuso in tutta l’isola. e proporre idee, soprattutto convincenti. Non dovremo permetterci il lusso di non essere propositivi.
Il manifesto sardo è un giornale online
17 marzo 2008
La Maddalena, l'arsenale diventa un hotel
di Guido Piga
Rinasce, La Maddalena, come una stella luminosa al centro del Mediterraneo. Le sue "magnifiche sorti e progressive" passano dall'arsenale, da quello che sarà tirato su al suo posto, 113 anni anni dopo essere stato aperto dalla marina militare: un hotel lussuosissimo a 5 stelle. Eccolo, allora, quello che sarà il cuore del G8 del 2009 e che poi farà pulsare il turismo nell'arcipelago. "La Nuova" pubblica le foto del progetto redatto dagli architetti Stefano Boeri e Mario Cucinella. E' un intervento di riconversione economica senza precedenti in Sardegna.
La più grande operazione di ristrutturazione urbanistica dell'Isola è maestosa, ma non cancellerà il passato. Non del tutto, almeno. L'arsenale non ci sarà più, non ci saranno operai impegnati a riparare e rifare le navi della marina militare italiana. Ci sarà un albergo a 5 stelle, con 110 camere vista mare, alimentato da energia solare ed eolica, costruito con materiali naturali. Sarà una svolta architettonica radicale nel paesaggio della Sardegna, dopo quella impressa dal modello Costa Smeralda negli anni Sessanta (e poi sempre scimmiottata malamente).
L'hotel avrà dei grandi padiglioni. Uno è sospeso sopra il mare, con ampie vetrate. E' il punto in cui si riuniranno gli 8 presidenti dei paesi più industrializzati del mondo. La loro vista godrà del mare dell'arcipelago, dell'isola di Santo Stefano libera dalla servitù militare americana. Il vetro è dominante, nella riconversione dell'arsenale. E' un po' una metafora, economica e politica. Il vetro è un materiale ecosostenibile. Il filo rosso del G8 sarà proprio questo, la salvezza dell'ambiente. «Sarà un G8 in cui dovranno essere prese importanti decisioni per l'ambiente, noi dobbiamo dare l'esempio» è la linea del commissario Guido Bertolaso e del governatore Renato Soru. L'albergo sarà energeticamente autosufficiente. All'ingresso, in un grande piazzale bianco, ci saranno delle mini pale eoliche, sul tetto dei pannelli solari. L'acqua per il riscaldamento verrà pompata dal mare, una soluzione innovativa che è stata già sperimentata all'hotel Cervo.
Ma il massiccio ricorso al vetro ha una valenza politica. Il vetro è luce, rappresenta plasticamemente la rinascita della Maddalena che passa da un'economia di stellette (militari) a una di stelle (alberghiere). Il vetro è anche trasparenza, quella che dovrà essere (quanto più possibile) adottata dagli 8 grandi della terra nelle loro decisioni.
Sorgerà una torre, molto alta, quasi un faro. E' questo il punto di contatto con le funzioni dell'arsenale che non verranno dimenticate. Davanti e dietro, ecco i pontili. Nell'idea di Boeri e Cucinella una nave, anche da crociera, potrà attraccare proprio davanti all'hotel; tutte le altre potranno ormeggiare a Cala Camicia, dentro l'arsenale, lasciando libero solo il molo orientale che servirà ancora per un po' alla marina militare. La nautica vivrà e prospererà, nell'area da 16 mila metri quadrati completamente rivoluzionata. Ci sarà spazio anche per un cantiere da destinare ai maxi-yacht. Ma questa è una scelta che dovrà prendere la Regione, finito il vertice. Soru vuole un bando internazionale per la gestione dell'hotel e del porto, ci sono in pole position due candidati d'eccellenza: l'Aga Khan ed Ernesto Bertarelli. Il primo potrebbe mettere in campo lo Yacht Club Costa Smeralda per la nautica e le società turistiche del suo gruppo (dirette da una sarda, Francesca Cossu) per l'albergo. Il secondo potrebbe calare la carta della Maddalena come sede della Coppa America, qualora Alinghi dovesse vincerla ancora.
Solo ipotesi. La certezza è che l'arcipelago avrà una struttura di altissimo valore, unica nel Mediterraneo così come unica è la bellezza delle isole maddalenine. Una rinascita che avverrà in un anno. Lo stesso periodo di tempo che in Cina, nel campus dell'università di Pechino, hanno impiegato per costruire un albergo ecosostenibile da 20mila metricubi progettato da Mario Cucinella. Quel successo è stato raccontato, con molti particolari sull'impiego di materiali della bioedilizia targata Made in Italy, da "Abitare", la rivista di architettura diretta da Boeri. E allora avanti: come dicono Obama e Veltroni, "si può fare".
17 marzo 2008
La Maddalena: pomodori contro Legambiente
di Serena Lullia
La festa di Legambiente per lo smantellamento della base americana affonda davanti al porto. Le barche con le bandiere simbolo delle battaglie ecologiste galleggiano per alcune ore davanti all'isola parco. L'attracco nell'arcipelago non ci sarà. Un centinaio di maddalenini presidia il molo. Barriera umana di rabbia e frustrazione. Commercianti, ex dipendenti Usa ed ex lavoratori dell'arsenale bloccano l'ormeggio. Uova, pomodori e insulti diventano le armi per tenere lontano i soldati delle guerre verdi.
La visita sulle onde di Legambiente fa detonare il malessere di un'isola che in attesa del G8 si spegne lentamente. La goletta verde doveva fare rotta sulla Maddalena per festeggiare la liberazione dalle catene a stelle e strisce. Provincia, Comune e Parco erano stati annunciati come ospiti speciali del party sull'acqua. Ma quando il presidente regionale di Legambiente, Vincenzo Tiana, è sbarcato non ha trovato un comitato di accoglienza in doppio petto. Ad aspettarlo un centinaio di cittadini infuriati, uomini e donne rimaste incastrate negli ingranaggi della riconversione militare. L'annuncio della festa di primavera è stato interpretato come un insulto, un'offesa alla comunità maddalenina che da anni aspetta un'alternativa all'economia delle stellette. «Siamo venuti per fare proposte di sviluppo - spiega Tiana -. Ribadiamo la soddisfazione per lo smantellamento della base Usa ma condividiamo il malumore degli ex dipendenti.
Ci impegniamo a incontrare il commissario per il G8 Bertolaso e il presidente Soru perché diano risposte certe ai lavoratori isolani». Dichiarazioni che non spengono la rabbia dei maddalenini. I cittadini accerchiano il presidente Tiana, lo invitano ad andarsene, qualcuno gli regala il biglietto per il traghetto e glielo infila in tasca. Nel frattempo le barche di Legambiente provano ad avvicinarsi alla banchina. Parte il lancio di uova e sacchetti di sugo. Le imbarcazioni giallo-verdi sono costrette alla ritirata. Davanti al presidente verde sfila il malumore di un'isola intera. Il numero uno di Legambiente protetto dai carabinieri ascolta lo sfogo rabbioso della gente. «I maddalenini sono i primi ambientalisti - dice Nuccio Maddaluno, commerciante -. Legambiente vorrebbe frenare il cemento. Oggi abbiamo bisogno di costruire infrastrutture per rimettere in moto un'economia ferma. Non si tratta solo dell'arsenale o della base Usa. È mancato un indotto che ha bloccato tutto. Anche gli affari dei commercianti sono in caduta libera».
Il coordinatore di Forza Italia, Roberto Ugazzi, parla di paese al capolinea. «Quest' isola è stata svenduta - dice -. Non è stata mai creata un' alternativa all'economia militare. Ora siamo al collasso». I contestatori cercano tra la folla i politici annunciati come special guest. Il sindaco Comiti e l'assessore Zanchetta non si vedono. Il presidente Bonanno convoca una conferenza lampo per prendere le distanze da Legambiente. «I politici annunciati non ci sono - dice Pietro Cuneo, ex dipendente Usa -. Se non erano d'accordo con Legambiente dovevano impedire la visita di oggi. L' associazione ambientalista è stata poco sensibile. Il futuro della Maddalena non può essere basato solo sul G8. Gli ex dipendenti Usa sono senza certezze. Fra qualche mese saremo in mobilità. Ma i fatti dimostrano che non solo noi lavoratori ma tutta l'isola non ha nulla da festeggiare».
22 marzo 2008
I lavori del G8 coperti dal segreto di Stato
di Guido Piga
LA MADDALENA. Sulle opere per il G8 arriva il segreto di Stato. Ieri Romano Prodi ha firmato un’altra ordinanza, sarà pubblicata oggi sulla Gazzetta ufficiale. Guido Bertolaso, commissario straordinario dell’evento, avrà maggiori poteri. Soprattutto sugli appalti per l’arsenale e l’ospedale militare, su come verranno fatti i lavori, su chi li farà e come, su chi fornirà materiali e servizi. Molte le deroghe alle leggi statali e regionali.
Quello di apporre il segreto è un atto necessario e motivato. Il presidente del consiglio Prodi ha esteso a tutti i lavori del G8, comprese le forniture e i servizi, la «qualificazione di riservatezza e segretezza». E lo ha fatto spiegando che tutto deve essere fatto con la «massima sicurezza», soprattutto per la presenza dei più importanti leader politici del mondo. E, altro particolare fondamentale, con la «somma urgenza».
Il G8 alla Maddalena è tra poco più di un anno, non è più possibile perdere tempo. In ballo c’è l’immagine dell’Italia, chiamata a dare prova di grandi capacità organizzative e, anche, a riscattare la pessima prova dell’ultimo vertice organizzato a casa propria: quello tragico del luglio 2001 a Genova.
Dunque pieni poteri a Bertolaso ma, passaggio politicamente rilevante, sempre usati d’intesa con il presidente della Regione. Su questo non ci sono incertezze: anche nell’ordinanza pubblicata oggi sulla Gazzetta ufficiale, è riconosciuto il ruolo di primo piano affidato a Soru per l’imponente riconversione economica e sociale che cambierà la faccia della Maddalena. «Ma, attenzione - fanno sapere da palazzo Chigi e dallo staff di Bertolaso - la segretezza non vorrà dire assenza di informazione. Anzi, Bertolaso vuole dare la massima pubblicità a tutti gli atti che prenderà». Dopo ogni decisione, ci sarà la comunicazione ufficiale. Un segnale di trasparenza che vuole essere, insieme all’ecosostenibilità, la cifra caratterizzante del G8.
La segretezza con cui Bertolaso potrà operare è prevista dal codice sui contratti pubblici. Quando di mezzo c’è la sicurezza dello Stato, opere, servizi e forniture possono essere eseguiti in deroga. Non ci sarà pubblicità sugli appalti per la riconversione dell’arsenale, dell’ospedale militare, della caserma Faravelli e delle officine Sauro. Bertolaso potrà fare una «gara informale», invitando a presentare le loro proposte almeno cinque importanti imprese. Una di queste, o un consorzio di queste, avrà il ruolo di general contractor: in Italia è una qualifica che hanno solo 23 aziende, tra queste Impregilo e Astaldi, le prime due nel settore delle costruzioni. Il general contractor avrà la responsabilità di realizzare le opere nei tempi previsti (anticipando i soldi), facendo ricorso ai subappalti. Una possibilità che apre le porte alla partecipazione delle imprese maddalenine e sarde in generale.
Bertolaso, però, non farà le cose da solo. Sarà affiancato da una “struttura di missione” che lavora sotto la direzione della presidenza del consiglio e, per i casi specifici, sotto la guida della protezione civile. Ma la nuova ordinanza, che amplia quella firmata da Prodi nel novembre del 2007, prevede anche un’altra figura cui il commissario straordinario potrà fare ricorso: quella del soggetto attuatore. E’ un ruolo-chiave: dovrà seguire le procedure per l’affidamento dei lavori, dei servizi e delle forniture, la stipula dei contratti, la direzione dei lavori e il controllo della spesa pubblica. Avrà a sua volta il potere di derogare alle leggi statati (in primis quella sui contratti pubblici) e regionali. Alcuni esempi. Non dovrà seguire le norme che disciplinano la posa di cavi e la realizzazione di condotte, il trasporto dei rifiuti, la realizzazione di impianti di smaltimento. E così avverrà anche per la valutazione d’impatto ambientale. Si farà su tutte le opere, è bene rimarcarlo. Verranno accorciati solo i tempi della procedura, che saranno ridotti della metà. Ma, vista la «somma urgenza», Bertolaso (o il soggetto attuatore) potrà comunque affidare i lavori senza la valutazione, imponendo poi al general contractor le «prescrizioni che dovessero essere impartite a seguito della compiuta valutazione d’impatto ambientale». Questo permetterà al commissario di mantenere gli impegni presi: i cantieri per il G8 apriranno il 1° aprile.
A essere derogato sarà anche il piano paesaggistico regionale. Bertolaso potrà non tenere conto di una serie di articoli, dall’attuazione del piano alla disciplina transitoria, per finire con le prescrizioni sui “manufatti storico culturali”. Ma, l’ordinanza è chiara, lo dovrà fare in «raccordo con il presidente della Regione autonoma della Sardegna». Il G8 non violerà lo statuto speciale, semmai - è il caso del trasferimento dei beni dallo Stato - ha contribuito enormente a farlo applicare. E infatti, a parte tutte le altre opere pubbliche che saranno inserite nelle ordinanze di Bertolaso, come l’allungamento della pista dell’aeroporto di Olbia dopo il 2009, Soru ha ottenuto ciò che voleva per un bene strategico: il comprensorio di Punta Rossa, a Caprera, diventerà un centro di ricerca e sviluppo sulle specialità ambientali e artistiche della Sardegna.
Ma il G8 sarà una grande opportunità pure per ingegneri e architetti: una decina, sotto i 35 anni, potranno partecipare a un concorso per l’assunzione nella pubblica amministrazione, per un anno. Staranno a contatto con Boeri e Cucinella. Una bella scuola.
23 marzo 2008
G8, ricorso all’Unione europea
Paura di speculazioni immobiliari
LA MADDALENA. Il G8 non può diventare il grimaldello per aprire la porta a speculazioni immobiliari nell’arcipelago maddalenino. E’ la posizione degli ambientalisti del Gruppo d’Intervento giuridico e Amici della Terra, i quali temono che le deroghe concesse per garantire la riuscita di un evento straordinario come il vertice dei potenti della terra, possano alla fine rivelarsi devastanti sul piano dell’impatto ambientale.
«L’ordinanza del presidente del consiglio dei ministri - dice il portavoce dei movimenti ecologisti, Stefano Deliperi - disegna un G8 in “salsa cinese” con aperture potenziali spaventose per la speculazione edilizia. All’articolo 5 sono previste disposizioni in deroga per la segretazione degli interventi. All’articolo 8 sono previste ulteriori disposizioni in deroga alla disciplina dei termini e dei medesimi effetti della normativa sulla valutazione di impatto ambientale, della valutazione di incidenza ambientale e del piano paesaggistico regionale».
Come se non bastasse, poi, per gli ambientalisti diventa rischiosissimo il disposto secondo il quale «nelle more del procedimento di valutazione di impatto ambientale il soggetto attuatore è autorizzato a procedere agli affidamenti dei lavori, espressamente riservandosi il potere di imporre al soggetto affidatario le eventuali prescrizioni che dovessero essere impartite successivamente all’esito della valutazione di impatto ambientale, consentendo altresì l’apertura dei cantieri e l’inizio delle opere compatibilmente con le esigenze ambientali».
«Qui - dice Deliperi -, a nostro parere, vengono meno anche i principi fondamentali delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia che vincolano la realizzazione degli interventi assoggettati a Via alla positiva conclusione del relativo procedimento». Per questo motivo, gli ambientalisti hanno inoltrato un ricorso alla Commissione Europea «per verificare se sia rispondente al diritto comunitario una deroga di così eccessive proporzioni».
Per Deliperi nel primo decreto del governo, quello cioé che nominava Guido Bertolaso commissario straordinario, le disposizioni del piano paesaggistico regionale non potevano essere derogate. Quindi, è il passo successivo, il secondo decreto, che apre alcune porte pericolose per la salvaguardia ambientale alla Maddalena.
Altra circostanza che ha messo in allarme gli ecologisti è che le intese raggiunte tra la Regione, la Provincia Gallura e il Comune della Maddalena non contegono questa volta le schede istruttorie allegate. «Per questo - dice Deliperi - abbiamo già provveduto a richiederle per poter verificare ubicazioni e volumetrie per valutare quali iniziative ulteriori intraprendere per la salvaguardia dei valori ambientali e naturalistici dell’arcipelago della Maddalena».
La filosofia degli ambientalisti è molto chiara: «Così come abbiamo avversato il raddoppio della base militare in uso alla Us Navy dice infatti Stefano Deliperi -, ci opponiamo alla speculazione immobiliare. Faremo tutto il possibile per tenere fermi i principi cardine di salvaguardia di un ambiente unico e irripetibile». (p.m.)
Stop al cantiere sulle tombe di Sant’Avendrace
di Mauro Lissia
CAGLIARI. E’ arrivato l’ordine di stop immediato per i lavori in corso nel viale Sant’Avendrace, dove l’impresa ‘Cocco Raimondo costruzioni srl’ è impegnata a costruire un palazzo di cinque piani a ridosso delle tombe puniche. Dopo la sentenza del Tar Sardegna, che ha bocciato i vincoli paesaggistici imposti dalla Regione, le betoniere avevano ripreso immediatamente a girare nell’area interna di fronte al costone cimiteriale. Fino a ieri pomeriggio, quando gli uomini del Corpo Forestale al comando di Giuseppe Delogu hanno notificato a tempo di record il decreto cautelare firmato alle 15.10 dal presidente della sesta sezione del Consiglio di Stato, che ha accolto l’istanza urgente proposta mercoledì per la Regione dagli avvocati Giampiero Contu, Paolo Carrozza e Vincenzo Cerulli Irelli e ha trasmesso il provvedimento via fax alla presidenza della giunta. Tutto di nuovo fermo, dunque. In attesa della decisione sui ricorsi per sospensiva, che dovrebbe essere assunta dai giudici in composizione collegiale nell’udienza di trattazione fissata per il primo aprile.
Almeno fino a quel momento in viale Sant’Avendrace non potrà muoversi una foglia, la Forestale vigilerà per conto della Regione e considerata dalla straordinaria rapidità d’azione mostrata in queste ore i controlli si annunciano rigorosi. Il provvedimento del Consiglio di Stato - simile all’ex articolo 700 dei procedimenti civili - non riguarda l’area del parco archeologico in cui lavorava l’impresa incaricata dal Comune e neppure il cantiere di Nuove Iniziative Coimpresa: qui, più opportunamente, prima di riaccendere i bulldozer i responsabili hanno deciso di attendere il pronunciamento dei giudici amministrativi di secondo grado. Atteggiamento di prudenza colto dai legali della Regione, che infatti hanno chiesto il decreto cautelare soltanto per l’impresa Cocco. Per le ragioni esposte nell’istanza: «Si segnala - scrivono i legali - che in queste ore, come dimostrano le fotografie allegate, l’impresa Cocco Raimondo srl sta realizzando proprio davanti alle grotte derivanti da antichi insediamenti rupestri (assimilabili ai Sassi di Matera) opere in cemento armato che coprono gli inestimabili reperti archeologici e che renderanno pressochè impossibile, tra pochi giorni, un accettabile ripristino dello stato dei luoghi, necessario per la tutela della zona sottoposta a vincolo paesaggistico sulla cui legittimità la sezione è chiamata a decidere. A fronte di un comportamento così aggressivo - scrivono ancora i legali - che non intende neppure aspettare i pochi giorni necessari per giungere alla camera di consiglio di trattazione dell’istanza di sospensione, si rende necessaria l’adozione di un decreto presidenziale che eviti ulteriori gravi compromissioni fino alla data della camera di consiglio».
Sulle istanze di questo tipo, che seguono una procedura privilegiata e molto celere, il Consiglio di Stato decide in composizione monocratica senza sentire le ragioni dell’altra parte, in questo caso i legali dell’impresa Cocco. E di norma il decreto, se i motivi sono validi, viene emesso in automatico quando - come in questo caso - i giudici non sono in condizione di rispondere all’istanza urgente di sospensiva nei dieci giorni successivi alla notifica del ricorso. Con le feste pasquali di mezzo la prima data utile era quella del primo aprile. Così nel frattempo, rispettando a puntino le prescrizioni della legge, il magistrato ha ‘congelato’ la situazione per due settimane.
Nel decreto non c’è dunque alcuna indicazione sul merito della causa ma solo riferimenti al ricorso da trattare, anche perchè l’ordinanza che uscirà dalla camera di consiglio di aprile dovrà riguardare tutti e tre i ricorsi depositati dagli avvocati della Regione contro le tre sentenze - di fatto una, riferita a tre situazioni quasi speculari - emesse dal Tar l’8 febbraio scorso.
La giunta Soru, impegnata in una battaglia senza esclusione di colpi contro la distruzione dei colli punici, spera naturalmente che l’efficacia della sentenza del Tar venga sospesa. Sarebbe già una parziale vittoria, perchè i lavori attorno all’area archeologica verrebbero fermati almeno sino alla sentenza di merito. Ci sarebbe un anno, forse un anno e mezzo di tempo per studiare nuove strategie di difesa del sito punico.
Italia Nostra ricorre in appello contro la sentenza del Tar che ha bocciato i vincoli per interesse pubblico sui colli
CAGLIARI. E dopo la Regione anche l’associazione Italia Nostra-Onlus, che lavora da decenni alla tutela del patrimonio storico-culturale e del paesaggio, ha ricorso contro la sentenza con la quale il Tar ha cancellato i vincoli sui colli punici. In venti pagine fitte di riferimenti legislativi l’avvocato Carlo Dore attacca punto per punto le motivazioni espresse dalla seconda sezione del tribunale amministrativo, puntando l’indice soprattutto sull’aspetto centrale: la legittimità della commissione paesaggistica nominata dalla Regione per decidere sul ‘notevole interesse pubblico’ dell’area di Tuvixeddu-Tuvumannu. Per il Tar doveva essere nominata dopo l’approvazione di una legge regionale, mentre la giunta Soru l’ha fatto - così hanno sostenuto i giudici amministrativi - senza neppure indicare i criteri per la selezione dei quattro membri esterni. L’avvocato Dore ribatte sostenendo che «deve ritenersi che l’articolo 137 del Codice Urbani (quello che prevede l’istituzione delle nuove commissioni paesaggistiche, in sostituzione di quelle provinciali, ndr) abbia abrogato la norma regionale in precedenza vigente che attribuiva relativa funzione alle commissioni provinciali per le bellezze naturali». Dore, con un’argomentazione in nove punti, cerca di dimostrare che la scelta della Regione sui commissari è stata in realtà corretta proprio sulla base del Codice Urbani: «La scelta dei componenti esterni - scrive il legale - aveva ed ha carattere discrezionale e doveva ritenersi sufficiente il riferimento, contenuto nella delibera della giunta che li aveva nominati, ai relativi curricula, da cui risultava in modo inequivocabile come gli stessi possedessero i requisiti di professionalità e di competenza richiesti dalle norme». Secondo Dore «basterebbe consultare internet per avere conferma dei titoli e delle esperienze vantate dai professori Camarda, Mongiu e Zucca e dall’architetto Roggio per avere conferma della correttezza della scelta operata dalla Regione».
Sul problema della validità dell’accordo di programma del 2000 l’avvocato Dore sostiene che «poteva essere risolto per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità sopravvenuta, circostanze sicuramente verificatesi in questo caso vista l’approvazione del Codice Urbani». Mentre lo sviamento di potere contestato dal Tar - per il progetto Clement, alternativo a Coimpresa - Dore liquida drasticamente il problema: «Pettegolezzi e insinuazioni che il Tar non ha verificato ma al contrario a preso per oro colato». Con il ricorso si chiede al Consiglio di Stato che la sentenza del Tar Sardegna venga sospesa perchè «l’esecuzione dei lavori determinerebbe un’irreversibile modifica dello stato dei luoghi, con la devastazione della zona di massima tutela». (m.l)
Non si possono scegliere, si sa, i tempi nei quali si nasce e, di conseguenza, non si possono scegliere neppure i propri contemporanei. Avremmo voluto evitare questa Cagliari dei costruttori e del “fare”, concentrata a distruggere quello che di bello possiede.
Come è noto il Tar della nostra Isola ha bocciato - meglio dire bastonato - il provvedimento della Regione che poneva nuovi vincoli sulla necropoli di Tuvixeddu perché, dice il Tar, pare che il sito sia già ben tutelato con i vincoli decisi dalla Sovrintendenza nel ‘96.
Beh, entrare nei cunicoli delle sentenze e discuterle è un esercizio improduttivo e dannoso. Però si può ragionare sulle cose che accadono intorno a noi.
La necropoli di Tuvixeddu subisce una distruzione sistematica che continua anche dopo il ’96 e sepolture puniche e romane hanno continuato ad essere barbaramente ricoperte da mattoni e cemento. Un’impresa edile è sospettata, oggi, di avere violato alcune tombe con le ruspe. Un’altra impresa ha costruito a pochi metri da un complesso di sepolture che in una città più civile sarebbero state protette gelosamente. Decine e decine di tombe sono state sbancate per le nuove fondamenta in prossimità del sepolcro del romano Caio Rubellio il quale ora vede il retro di uno squallido palazzo e medita un ricorso al Tar.
Infastidite dalla presenza della necropoli che avrebbe inorgoglito qualunque altra città le nostre imprese hanno pensato di costruire sul colle sacro palazzine e perfino una strada nel canyon. Eppure archeologi titolati hanno dichiarato che là, a Tuvixeddu, ci sono tombe dappertutto e se ne trovano sempre di nuove. Niente da fare, se ne impipano e non c’è tempo per queste bambinate. C’è da costruire, e nella nostra città, di questi tempi, costruire è un verbo che annulla tutti gli altri. Un imprenditore ha dichiarato che “gli ambientalisti sono il cancro della città” dimenticando che nella storia del nostro Paese il “cancro” delle città è rappresentato - non solo a nostro avviso - proprio dalle imprese prive di una filosofia del costruire. Antonio Cederna le chiamava “i nuovi Vandali”. E ogni angolo libero è inesorabilmente riempito di palazzi con licenze, timbri e bolli in regola. La faccia è salva, la città si educa alla bruttezza e Caio Rubellio perderà il ricorso.
I verdetti utilizzati come randelli dai litiganti e i ragionamenti a trotto di cane sulle sentenze hanno deformato la discussione su Tuvixeddu. Non sono i giudici del Tar a decidere del nostro Paesaggio. Essi giudicano fatti e procedimenti, indicano e censurano errori. Sul Paesaggio, invece, abbiamo tutti competenze, il dovere di esercitare la critica e di guardare ai fatti come sono davanti agli occhi.
La necropoli, che non è di destra o di sinistra, non è ancora del tutto perduta. L’offensivo giardinetto da “Caro estinto” accanto alle tombe non è un male irreversibile e si smantella da sé, ricoperto da erba giuridica e da malva, asparagi, borragine, agavi, iris e perfino orchidee. Ma l’ottusa confusione tra la crescita della città e l’edificare ha diffuso l’idea che costruire sia un’azione proseguibile in eterno. Dicono che costruire distribuisce ricchezza ma si arricchiscono in pochi, come sempre, e la città diventa sempre più brutta. In appena sessant’anni Cagliari e il suo contorno di allegri borghi agricoli, vigne e orti è diventata un'irriconoscibile poltiglia urbana. La bellezza non esiste più e mai arriveranno turisti in visita al paesaggio della statale 554, agli abusi edilizi di Quartu, alle case squallide degli altri paesoni senza costrutto, ai canneti incendiati degli stagni, alla spiaggia nera del Poetto.
Verrà ricordata la storia affaristica di Cagliari di questi anni e lo spregio del bello culminato con l’annichilimento del Poetto o il finto decoro di Castello dove la Porta dei Leoni è trasformata in un muretto dozzinale o l’anfiteatro soffocato da tavolacci. Per questa volgarità non avremmo scelto di vivere in questi anni e avremmo evitato molti nostri contemporanei, compresi i politici piccoli, gli affaristi e i domatori di pulci.
Pubblicato anche su La nuova Sardegna, 15 febbraio 2008
ORISTANO. Strana storia davvero, questa dell’investimento immobiliare sulle dune boscate di Is Arenas. Storia infinita che riserva sempre nuove sorprese e che cammina da sempre sui binari di due realtà intimamente inconciliabili. Da una parte, la Commissione Europea che sta per far cadere la sua mannaia sullo Stato italiano e la Regione Sardegna perché non hanno saputo conservare integro un Sito di interesse comunitario; dall’altra, un Comune, quello di Narbolia, che invece due anni fa ha concesso una licenza edilizia che autorizza la costruzione di un albergo cinque stelle-lusso e quasi cento villette in un’area ambientalmente sensibile e che dovrebbe essere tutelata e difesa come un parco.
Ma come spiegare questa incongruenza, questo paradosso che ha portato a una situazione surreale? E’ come se, in questa bizzarra commedia degli errori, convivessero due mondi giuridici e culturali diversissimi, ognuno con le proprie regole, le proprie logiche e le proprie convinzioni: un’Europa che rivendica il suo diritto-dovere di vedere applicata una sua direttiva (la 92/43 CEE) e un gruppo imprenditoriale che riafferma il devastante paradigma che coniuga ambiente e metro cubo.
In questa storia non poteva dunque mancare l’imbarazzante coincidenza che ha messo a nudo la profonda incongruenza del «caso Is Arenas». Proprio in questi giorni, infatti, la Travel Charme Hotels & Resorts ha diffuso gli inviti per l’inaugurazione del suo nuovo albergo superlusso nella pineta di Is Arenas. Con una promozione che ha tutto il sapore di un ossimoro, la cortese addetta stampa Annalisa Costantino dice: «Is Arenas si propone quale luogo ideale per vacanze all’insegna del relax e dell’ecoturismo».
E per capire appunto quanto sia ecoturistica l’iniziativa, ecco che proprio in quegli stessi giorni la Commissione Europea ha annunciato che il contenzioso con lo Stato italiano è arrivato al punto di rottura e che il nostro Paese dovrà essere processato dalla Corte Europea di Giustizia proprio per l’intervento «ecoturistico» sulle dune boscate di Narbolia.
Come se non bastasse, ecco comparire sul mercato immobiliare le prime proposte di vendita di ville nella pineta-parco che era stata inserita nella rete europea dei Sic su proposta della Regione Sardegna. Il primo dubbio deriva dalla proposta della Travel Charme Hotels & Resorts che annuncia la disponibilità di oltre 90 residence individuali intorno al campo da golf da 18 buche. Dunque, come gli ambientalisti avevano denunciato in passato, l’albergo sarebbe stato una sorta di cavallo di Troia per far “passare” poi le ville.
Sarà infatti un caso, una semplice coincidenza, ma è un fatto che l’agenzia immobiliare milanese Moscova Stabili Real Estate srl proprio nei giorni scorsi abbia proposto la vendita di sei ville a Is Arenas. Si legge infatti: «La nostra società vende sei unità proprio sulla buca 5 (del campo da golf ndr) in una posizione veramente bellissima. Tali villette sono pronte per essere consegnate. Il loro prezzo è di 330 mila euro per la villa 7, che è una singola; 320 mila euro per le tre ville 27-28-29) e 310 mila euro per le ville 34 e 35». La consegna è prevista per l’estate di quest’anno. E infine, un annuncio: «Sono previsti ulteriori interventi residenziali all’interno del comprensorio nei prossimi anni». Una conferma che arriva dal sito internet Sognandolasadegna.it dove si parla addirittura di 103 villette. E di 103 unità abitative parla anche il sito di offerte immobiliari Paradisola.it.
A questo punto, è evidente che si è messo in moto proprio quel meccanismo che gli ambientalisti avevano tenuto e denunciato.
Ma si pongono anche nuovi interrogativi. Prima di tutto l’albergo «cinque stelle-lusso» che dovrebbe essere inaugurato a giugno, viene presentato come una proprietà della Travel Charme Hotels & Resorts e non della Is Arenas srl. E’ probabile che quindi la struttura sia stata acquistata dalla società tedesca, che dice di possedere undici alberghi (nove in Germania, uno in Austria e uno in Italia). La realtà labirintica della Is Arenas srl, che come si ricorderà è controllata al 50% dalla misteriosa società anonima Antil BV, induce a fare una piccola ricerca sulla Travel Charme Hotels & Resorts, che dice di far parte del gruppo Schmidt di Berlino.
Sarà una coincidenza, ma come per la Is Arenas srl, ecco anche qui un sentiero che porta in Svizzera. Più precisamente a Zurigo. Consultando il registro di commercio cantonale, si scopre infatti che il 17 gennaio scorso è stata iscritta la Travel Charme Hotels & Resorts Holding AG. Tanto per cambiare, una società anonima. Il presidente del consiglio d’amministrazione risulta essere un tal Peter Kupfer, mentre gli amministratori sono un italiano, Giuliano Guerra, e un tedesco, Jochen Traut.
In questo scenario, nel quale si promuove un’offerta turistico-immobiliare superlusso, ecco un inatteso scivolone che riporta questo “mondo dorato” a una drammatica quotidianeità. E cioé la scoperta, da parte dell’Ufficio del lavoro di Oristano, che in quei cantieri molte cose non funzionavano. In un blitz effettuato nei giorni scorsi, è venuta infatti a galla una realtà di lavoro sommerso: molti dei 94 muratori trovati a lavorare al “paradiso Is Arenas” sono risultati in nero. Un’impresa del Cagliaritano è stata addirittura chiusa perché aveva alle proprie dipendenze solo lavoratori non in regola. La vera sorpresa è stata però quella di trovare anche piccole imprese estere (siriane, egiziane e senegalesi) sulle quali si stanno facendo accertamenti. Certo, tutto questo non può essere considerato un buon biglietto da visita per la promozione del “paradiso di Is Arenas”.
E infine si arriva al nodo dei problemi. O meglio, al problema dei problemi nella contradditoria, e a tratti confusa, storia del progetto immobiliare sulle dune di Narbolia, originariamente di 224 mila metri cubi di cemento. Su quei terreni che l’Europa, su segnalazione della Regione, vuole difendere, non sarebbe stata effettuata alcuna procedura di incidenza o impatto ambientale. Sarebbe stata quindi elusa una norma comunitaria. E proprio da qui nasce il procedimento di infrazione contro l’Italia, la messa in mora complementare nel gennaio del 2005 e ora, infine, l’ultimatum che porterà molto probabilmente a un processo per il nostro Paese. Con una sentenza che appare scontata. Bruxelles contesta all’Italia di essersi astenuta dall’adottare misure per evitare la compromissione dell’integrità del Sic e di non aver effettuato la valutazione di incidenza ambientale, prevista dall’articolo 6, comma 3, della direttiva 92/43CEE.
E fortemente critico era stato il Consiglio di Stato quattro anni fa, valutando insufficiente la procedura di verifica preventiva, come aveva invece sostenuto l’ufficio Sivea della Regione. La magistratura amministrativa, accogliendo il ricorso presentato dagli “Amici della Terra” che contestavano la procedura adottata dall’ufficio Sivea, non aveva risparmiato anche qualche bacchettata all’allora ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli “colpevole” di avere presentato una relazione incompleta sul caso. Nel dicembre del 2004, quindi, il Consiglio di Stato aveva deliberato una sospensiva cautelare, anticipando comunque alcuni dei punti della trattazione di merito.
Agli ecologisti del Gruppo di Intervento Giuridico e agli Amici della Terra non è però finora arrivata alcuna comunicazione sulla decisione del Consiglio di Stato sul loro ricorso straordinario al capo dello Stato. Dopo la sospensiva, insomma, tutto sarebbe rimasto fermo. E allora l’interrogativo è questo: cosa è accaduto per mettere in moto le betoniere a Is Arenas?
Cinque anni fa, quando il ministro dell’Ambiente Matteoli cercò maldestramente di aiutare la Is Arenas srl chiedendo a Bruxelles la cancellazione del Sic, il consigliere regionale diessino Cicito Morittu era stato durissimo: «Ci troviamo davanti a un imprenditore che ha cercato in tutti i modi di sfuggire alla Valutazione di impatto ambientale. E questo è nei fatti. Come è nei fatti che Mauro Pili, in una legge di assestamento di bilancio dell’agosto del Duemila, ha inserito un emendamento che svuotava il senso della Valutazione di impatto ambientale, la quale diventava applicabile solo nelle aree protette previste dalla legge 394. Nella Finanziaria di questa’anno, con un colpo di mano, siamo riusciti a ripristinare l’obbligo della Via sui siti previsti nella “rete” Natura 2000. Conclusione: è evidente che alcuni imprenditori, e primo fra tutti quello che vuole costruire a Is Arenas, hanno avuto un appoggio politico dal presidente Pili».
Oggi Cicito Morittu è assessore regionale all’Ambiente e a Is Arenas le ruspe si sono messe in moto. E, come dimostra la linea adottata dalla Commissione Europea, senza alcun procedimento di incidenza o di impatto ambientale...