Prima o poi si arriva sempre a una resa dei conti nella quale i fatti, le scelte e i comportamenti superano il fragile alibi delle parole e disvelano la vera natura delle cose. È così è stato anche per la giunta guidata da Ugo Cappellacci che, pur poggiando su piedi d’argilla, non ha mai saputo nascondere un cuore duro di cemento. In un singolare contrappasso, è così accaduto che, proprio in questi giorni, si sono concentrati eventi che hanno fatto affiorare crudamente la reale sostanza politica di questo esecutivo: l’offensiva (fallita) guidata dall’assessore Asunis su un “piano-casa 2” che creava percorsi agevolati per robusti investimenti immobiliari e la sforbiciata per “tagliare” ciò che viene ritenuto superfluo e far così quadrare i conti della Regione. Ebbene, in questo dimagrimento reso necessario per recuperare 380 milioni di euro, è stata cancellata anche la Conservatoria delle coste. Cioé quell’agenzia, nata dopo una lunga gestazione, che è stata considerata a livello internazionale come un gioiello, come l’espressione istituzionale di una filosofia politica che pone l’ambiente tra i valori primari di una cultura comunitaria.
E così, in una riunione di giunta, sono stati azzerati anni di lavoro, di riflessione e di progresso civile. È vero che la Conservatoria ha sempre avuto una vita difficile: è nata in un clima di diffidenza, se non proprio di ostilità, e fortissime sono state le resistenze che le hanno impedito di diventare adulta. Lo stesso ex governatore Renato Soru, che pure l’aveva pensata imitando l’esperienza inglese del National Trust e soprattutto quella francese del Conservatoire du littoral, si era dovuto muovere in un clima vischioso di tensioni nascoste.
Impossibile ora, in questi primi giorni d’estate, non declinare l’offensiva del “piano casa 2” con la cancellazione della Conservatoria delle coste. È il vero volto di una politica che ha selezionato molto chiaramente le sue priorità, ma ha soprattutto mostrato il suo vero Dna politico. E nella reazione inattesa del Consiglio regionale non è forse stato secondario il sospetto denunciato l’altro ieri dall’ex assessore Gian Valerio Sanna: il “piano casa 2” avrebbe aperto un’autostrada a operazioni come quella di Costa Turchese (targata Berlusconi) o di Teulada (Benetton e altri). Il sisma all’interno della stessa maggioranza è quindi intimamente politico. La cancellazione della Conservatoria delle coste è esattamente il rovescio del problema del “piano casa 2”. Proprio perché la Conservatoria è esattamente la negazione del dilagare del cemento sui litorali sardi. Ne consegue una valutazione forse un po’ velenosa, ma sicuramente fondata. E cioé che l’agenzia regionale, che doveva progressivamente creare lungo le coste una sorta di parco naturale asimmetrico e fruibile in un intelligente equilibrio tra tutela e sfruttamento dolce dell’ambiente, avrebbe potuto rappresentare un ostacolo, una fastidiosa complicazione per lo sviluppo di strategie edificatorie. Per questo era meglio liquidarla alla prima occasione. Tutto questo mentre nella vicina Corsica la tendenza è diametralmente contraria: il centrodestra, da decenni al potere, è stato clamorosamente spazzato via nei mesi scorsi dopo aver cercato di imporre il Padduc, una legislazione derogatoria che, in nome dello sviluppo economico, avrebbe consentito la cementificazione di tratti di costa. E dire che l’operazione era sponsorizzata dal presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy in prima persona. Non basta, i tribunali amministrativi francesi stanno bocciando tutti i piani urbanistici che cercavano di “bucare” la severa Loi littoral. È accaduto nei giorni scorsi a Pianottoli-Caldarello e a Bonifacio.
Ora, dunque, la Conservatoria delle coste viene cancellata. Senza uno straccio di dibattito, senza un minimo di confronto. Un atto politico molto eloquente.
E intanto fanno sentire la loro voce i collaboratori della Conservatoria. «Noi - scrivono in una lettera aperta - non abbiamo alcuna intenzione di rinunciare a quest’opportunità lavorativa e vogliamo realizzare, con i fatti, un’idea concreta di sviluppo nella ferma convinzione che rappresenti l’unica strategia possibile per la Sardegna». «Conservare il patrimonio costiero della Sardegna - dicono ancora - vuol dire seguire una scelta strategica capace di riattivare realtà fortemente compromesse dalla crisi che stiamo vivendo, attraverso un investimento a lungo termine che mantenga e valorizzi beni ambientali, storico-culturali e umani».
LETTERA APERTA PER LE COSTE DELLA SARDEGNA
Siamo i collaboratori dell’Agenzia Conservatoria delle Coste della Regione Sardegna. Siamo ingegneri, architetti, geologi, progettisti europei, biologi marini, naturalisti, esperti in turismo e comunicazione.
Solo due anni fa frequentavamo master e dottorati in tutta Europa, facevamo le nostre esperienze internazionali con un’idea in testa: quella di poter tornare in Sardegna per mettere a disposizione le nostre competenze e applicarle nella nostra terra.
Ci è stata data la possibilità di farlo attraverso il programma Master and Back, uno strumento messo a disposizione dalla Regione Sardegna a favore dei giovani sardi altamente specializzati, per evitare la dispersione di risorse umane e contenere la disgregazione sociale in atto sulla nostra Isola.
Abbiamo scelto di mettere la nostra professionalità a disposizione della Conservatoria delle Coste, accettando un contratto da precari, rinunciando a lavori da professionisti meglio retribuiti. Lo abbiamo fatto perché crediamo profondamente nell’idea di sviluppo che la Conservatoria oggi rappresenta, basato sulla gestione integrata delle aree costiere, sul riuso dei beni in stato di abbandono, sulla valorizzazione delle risorse locali, sul coordinamento con le principali iniziative in campo mediterraneo ed internazionale. In una parola: su un’idea di sviluppo sostenibile. Lo stesso sviluppo sostenibile di cui il più delle volte non si comprende il reale significato.
Oggi apprendiamo dalla stampa che l’Agenzia con la quale collaboriamo, per decisione della Giunta, verrà “cancellata”. La Conservatoria viene quindi considerata un ente superfluo da “tagliare” per favorire “scelte strategiche poste alla base dell’azione di governo per lo sviluppo, le infrastrutture, il contrasto alla povertà, le politiche per il lavoro”. La realtà è esattamente opposta.
Conservare il patrimonio costiero della Sardegna vuol dire seguire una scelta strategica capace di riattivare realtà fortemente compromesse dalla profonda crisi che stiamo vivendo, attraverso un investimento a lungo termine che mantenga e valorizzi i beni ambientali, storico-culturali, e umani che rappresentano i fattori produttivi primari della nostra economia.
Per questo è importante la creazione di posti di lavoro nel Sulcis legati alla realizzazione del primo ostello ecosostenibile della Sardegna, la cui riqualificazione è affidata ad imprese sarde e per la cui gestione si stanno tenendo i corsi per formare i giovani del territorio attraverso tirocini di alta formazione all’estero e renderli competitivi con il mercato europeo.
Non è di secondaria importanza il programma di sviluppo per l’Isola dell’Asinara, nella quale l’Agenzia sta realizzando un polo sperimentale sul turismo ad “impatto zero”, attraverso il recupero dei beni dismessi e la creazione di centri di turismo alternativo. Nel borgo di Cala d’Oliva, entro quest’autunno partiranno i bandi pubblici per la realizzazione di un ittiturismo, di un albergo diffuso e di un ristorante a filiera corta basato sull’offerta e sulla promozione di prodotti locali.
Portiamo avanti diverse azioni di educazione e di sensibilizzazione ambientale con scuole e comuni per la fruizione responsabile delle nostre spiagge affinché i sardi conoscano, apprezzino e si riapproprino del loro territorio.La manovra proposta dalla Giunta, finalizzata ad una “maggiore razionalizzazione della spesa” limiterà in realtà l’accesso diretto a fondi nazionali ed europei che hanno permesso di attivare il recupero delle torri costiere del patrimonio regionale, il progetto FOR ACCESS per la fruibilità delle fortificazioni costiere, il progetto PERLA per la sicurezza della balneazione e l’accessibilità alle spiagge, e il progetto GIRA per rilanciare l’economia dell’astice a Castelsardo, del polpo a San Vero Milis, e del riccio di mare a Buggerru ed Arbus rivolto a tutti gli operatori della pesca di questi territori costieri.
Le funzioni dell’Agenzia “saranno assegnate a servizi della presidenza o di alcuni assessorati”. Questa scelta è, a nostro avviso, un mezzo attraverso il quale si interromperebbero inevitabilmente le dinamiche che hanno permesso alla Conservatoria di diventare un esempio di efficienza e produttività, una fucina di idee che coniugano la tutela ambientale e lo sviluppo economico riconosciuta ed apprezzata a livello nazionale ed internazionale.
Noi, collaboratori dell’Agenzia Conservatoria delle Coste, non abbiamo nessuna intenzione di rinunciare a questa opportunità lavorativa, e vogliamo realizzare, con i fatti, un’idea concreta di sviluppo nella ferma convinzione che rappresenti l’unica strategia possibile per la Sardegna.
Claudia Dessy (geologo), Nicola Lecca (architetto), Matteo Lecis Cocco-Ortu (ingegnere), Elisa Mura (pianificatore), Noemi Murgia (turismo sostenibile), Antonello Naseddu (architetto paesaggista), Barbara Pintus (progettista europeo), Manuela Puddu (ricercatore), Tiziana Saba (biologo marino), Gabriele Sanna (naturalista), Maria Pina Usai (architetto).
Soru: «Doveva essere un regalo a qualche amico» Sanna: «Davano il via alla cementificazione»
CAGLIARI. Il dibattito di ieri in consiglio regionale ha riacceso l’attenzione sulle coste e sul tipo di lottizzazioni possibili, con forti divisioni all’interno della maggioranza, come annunciato anche nel sito di Paolo Maninchedda (Psd’az, presidente della commissione Bilancio). Alla fine ieri sera l’assemblea, a voto segreto, ha bocciato l’intero provvedimento. Uno schiaffo potente per un piano che Renato Soru aveva detto essere un «regalo» a qualche amico. «Se non fosse stato respinto - spiega Gian Valerio Sanna (Pd), già assessore regionale all’Urbanistica e agli enti locali - questo piano avrebbe resuscitato tutta una serie di interventi edilizi sulle coste. E mi riferisco a Costa Turchese per il nord Sardegna e a Cala Giunco (la lottizzazione che fa capo a Sergio Zuncheddu, editore de L’Unione Sarda e di Videolina - ndr): le modifiche inserite in queste nuove norme avrebbero rimosso il vincolo paesaggistico legato alle opere di urbanizzazione. Sarebbero potute rientrare in gioco anche vecchie ipotesi come quella dei Benetton su Teulada e di Ligresti presso Villasimius». Il provvedimento, sottolinea Mario Bruno, capo gruppo del Pd, «non rappresentava gli interessi dei sardi ma andava incontro solo a esigenze speculative di pochi».
L’attenzione era rivolta in particolare verso il comma 18 dell’articolo 1 delle proposte, che avrebbe eliminato il limite posto dalla norma precedente alle lottizzazioni sulle coste. Questa infatti permette di realizzare gli interventi edilizi nei Comuni ancora privi di Puc solo nel caso di lottizzazioni approvate e convenzionate prima dell’approvazione del piano paesaggistico regionale (Ppr), ma a patto che avessero avviato le relative opere di urbanizzazione. Il comma «incriminato», se fosse passato, avrebbe cassato il vincolo cronologico legato all’approvazione del Ppr. In questo quadro anche Cala Giunco, ottantunomila metri cubi da realizzare nella zona tra lo stagno di Notteri e Porto Giunco, sarebbe tornata d’attualità dopo il «no» ricevuto recentemente dal Consiglio di Stato. «Uno dei motivi di questa sentenza - sottolinea Stefano Deliperi, responsabile del Gruppo di intervento giuridico - è proprio la mancanza di urbanizzazione. Mentre il comma 18 avrebbe riaperto il discorso. Anche se, a mio parere, sarebbe stata una norma impugnabile in quanto in contrasto col Codice Urbani in rapporto ai vincoli paesaggistici. E l’avremmo subito impugnato».
Secondo il presidente regionale di Legambiente Vincenzo Tiana, «il paradosso di queste modifiche al cossidetto "piano casa" è che sono state presentate perchè in campo nazionale si è fatto osservare che vi erano aspetti in contrasto con le norme paesaggistiche. Invece proprio queste sarebbero state peggiorate». Claudia Zuncheddu (La Sinistra, Rossomori) sottolinea il pericolo scampato e parla di «grosse lobby che altrimenti sarebbero riandate alla carica delle coste con vecchi e nuovi progetti turistici». Lo stesso timore anche da parte di Massimo Zedda (La Sinistra) che giudica «questo provvedimento un tentativo di appoggio ai grossi gruppi edilizi che hanno interessi aperti sulla costa».
Un albergo a 5 stelle, un residence di lusso, un green per il golf e un altro hotel in costruzione in un sito di interesse comunitario. Accade a Is Arenas, nell’Oristanese, un gioiello tra dune e fondali protetti.
La Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia per la colata di cemento piovuta su Is Arenas. Un paradiso ambientale unico nel suo genere, racchiuso tra dune incontaminate e mare cristallino della zona di Oristano, inserito già nel 2006 tra i SIC, i siti d’importanza comunitaria. Una braccio di terra dove non si poteva realizzare una speculazione immobiliare. Invece i signori del mattone, avevano pensato di incastonare, lì tra le dune altissime, un complesso turistico di 222.900 metri cubi. La Corte di Giustizia Europea non ci sta, e così condanna la comunità intera a pagare una sanzione che sarà altissima.
«Quello di Is Arenas- spiega l’architetto Sandro Roggio – è un caso emblematico di aggressione al paesaggio e ci toccherà pagare pure i danni. Fa specie poi, che sia stata la Corte Europea a sottolineare in maniera così netta l’inammissibilità di un intervento di quel tipo in una zona da salvaguardare. È una figuraccia con il resto del mondo perché ci dice, tra l’altro, che non siamo in grado di tutelare le nostre bellezze naturali». In realtà, l’Europa aveva già avvisato che lì, in quel paradiso naturale, non si poteva mettere su un villaggio turistico con tanto di campo di golf. L’aveva fatto nel ’98, aprendo la prima procedura d’infrazione di fronte alla Commissione Europea per “cattiva applicazione della direttiva relativa alla conservazione degli habitat naturali”».
UNA STORIA INIZIATA NEL 1997
Nessuno però ha voluto ascoltare. Perché il 9 giugno del ’97 era stato firmato un accordo di programma tra Regione,Comune di Narbolia e i vari rami della società Is Arenas srl. Al posto delle dune metri di cubi di cemento per aprire la strada al turismo con le betoniere, e pazienza se il bene comune andava a farsi benedire.
Nonostante tutto si va avanti con l’operazione immobiliare. Fino a che nel 2000 arriva la prima messa in mora e nel febbraio del 2001 il parere motivato. Così, accogliendo le rumorose proteste dell’Europa, si pensa di sottoporre tutto il progetto alla procedura di verifica di impatto ambientale. Ma il direttore del Servizio di conservazione della Natura e degli Habitat dichiara che basta soltanto la valutazione d’incidenza ambientale. Dice ancora Sandro Roggio che qui «inizia il trucco più grande. Perché se la valutazione di impatto ambientale è prevista per tot metri cubi, l’ostacolo si può aggirare con la frammentazione in vari lotti. Nel frattempo si attacca una zona protetta». L’Europa però continua ad essere lontana da Is Arenas, anche il Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra cercano con esposti e denunce riempire il silenzio. Si va avanti lo stesso con il progetto. Si cercano le pezze, come “La determinazione del Servizio Conservazione della Natura e degli Habitat” che conclude la VIA (valutazione d’incidenza ambientale). Prevede misure ritenute inadeguate dall’Unione che per questo avvia una nuova procedura d’infrazione con due lettere di messa in mora del 22 dicembre 2004 e del 13 dicembre 2005. La potente società Is Arenas srl, però, non si arrende, e scomoda il ministro all’Ambiente Altero Matteoli del governo Berlusconi. Che propone, caso unico in Europa, la cancellazione di Is Arenas dall’elenco dei Sic. Sconcertante la motivazione adottata: il direttore generale del ministero Aldo Cosentino presenta una relazione dove diceva, in pratica, che visto che l’ambiente era ormai compromesso a causa dei lavori, tanto valeva cancellarla dai siti di interesse comunitario.
Nel 2006, finalmente qualcosa si muove. L’Assessore all’Ambiente della giunta Soru Cicitto Morittu cerca di arrivare ad un accordo e presenta un Percorso Concordato da sottoscrivere insieme alla Is Arenas srl e ai comuni della zona protetta. Punti salienti sono il dieci per cento in meno delle volumetrie e ampliamento del perimetro del Sic, la zona tutelata. L’accordo viene approvato con una delibera il 28 aprile del 2009. Troppo tardi per l’Unione Europea, i termini erano già scaduti. Scrivono infatti i giudici Ue nella sentenza che: «anche il piano di gestione provvisorio elaborato dalle autorità italiane nel 2006 è stato approvato dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato complementare». Secondo i magistrati europei «la Repubblica italiana non ha quindi adottato misure di conservazione idonee». E risulta che i lavori «sono proseguiti oltre il termine di due mesi fissato nel parere motivato complementare del 29 febbraio 2008 e sono stati condotti sulla base del progetto originario». Insomma, si è fatto finta di non vedere e non sentire mentre pezzi di territorio venivano devastati dal cemento. E Adesso è troppo tardi: il danno fatto da altri sarà pagato dalla comunità, tanto per cambiare.
Sull'eolico in Sardegna si discute molto in questi giorni. Ma non si spiega che il danno non è quello di acchiappare il vento (il maestrale soffierà sempre forte) ma prendersi l'orizzonte, occupare il paesaggio bene comune e limitato, e quando lo deturpi è per sempre. Le mosse, sotto osservazione degli inquirenti, pare servissero per addomesticare le regole utili a frenare la diffusione delle torri eoliche nel mare e nelle campagne.
Nessuna novità. Le politiche della destra non hanno a cuore il bene comune. Il programma è prendere da ogni territorio senza restituire nulla. Dalla Sardegna per lungo tempo si è portato via gratis. Non servivano grandi investimenti per trasferire legname o corallo o selvaggina. Qualche attrezzo indispensabile - per la pesca del tonno o per l'estrazione di minerali- non ha impoverito le imprese che poi hanno abbandonato tutto lì (sembra di vederle le torri eoliche arrugginite ai piedi di qualche altura).
Da mezzo secolo in Sardegna restano i segni di cangianti scorrerie che si adeguano ai tempi. Si sono fatti buoni affari nell'isola. Basta guardare la distruzione delle coste - per compiacere speculatori più che turisti-, le dune e le scogliere diventate piedistalli di brutte case. E se non bastano le proprietà private, terre e immobili pubblici saranno a disposizione nel girone del federalismo demaniale.
Il programma era/è chiarissimo e i sardi hanno deciso di favorirlo, così dopo la parentesi del governo Soru, nuova corsa.
Piano-casa: i primi effetti. Tutto ampiamente previsto in quell'idea bizzarra di piano-casa: evidente che avrebbe premiato le case grandi come villa Certosa. Chi più ha più gli tocca. Altro che un posto letto per il figlio che cresce. Poteva ritrarsi Berlusconi, esibire il bel gesto di rinunciare all'incremento? “La legge è uguale per tutti” - pronta risposta del portavoce di turno.
La legge appunto. La decisione di impugnare di fronte alla Consulta qualunque provvedimento autorizzativo del piano-casa - assicurano gli esponenti dell'opposizione- è una bella notizia. Sarà divertente: in giudizio l'ampliamento del villone dell'ispiratore del piano-casa sardo (ricordate Cappellacci convocato a Roma per questo?). L'ennesima prova del tentacolare conflitto di interessi del premier nel surreale dibattimento sulla deroga regionale ai vincoli prevalenti (quelli del Piano Paesaggistico secondo una legge dello Stato). Lo spettacolo servirà ai cittadini di destra per rendersi conto ? Solo se si evidenzieranno bene le notevoli contraddizioni nelle politiche di annunci reiterati e noiosi. O meglio delle politiche dei gusci vuoti che restano vuoti, pure perché c'è chi è sempre pronto a prendersi il contenuto.
Per l’amministrazione regionale è la terza batosta nel giro di un anno e segue di pochi mesi la sentenza definitiva con cui il Consiglio di Stato ha bocciato i vincoli disposti per notevole interesse pubblico sull’area circostante al sito archeologico. La legge 45 stabilisce che il provvedimento cautelare trimestrale ora cassato dai giudici di piazza del Carmine non è ripetibile, quindi l’ordinanza firmata ieri mattina dalla seconda sezione presieduta da Rosa Panunzio - consigliere Tito Aru, relatore Antonio Plaisant - dovrebbe chiudere la contesa almeno sul fronte amministrativo. I legali della Regione - Roberto Murroni, Giampiero Contu, Paolo Carrozza e Vincenzo Cerulli Irelli - hanno prodotto in aula il decreto del 12 settembre col quale il sovrintendente ai beni architettonici e paesaggistici Fausto Martino ha annullato due nullaosta concessi dal comune di Cagliari al gruppo Cualbu per l’edificazione di parte delle aree. I giudici l’hanno però ritenuto irrilevante ai fini del giudizio, trattandosi di un’iniziativa esterna alla Regione assunta in autonomia dal ministero dei Beni Culturali e comunque del tutto slegata dal provvedimento di inibizione. Fra l’altro si trattava di copie dei documenti originali, prive delle firme del responsabile del procedimento e del sovrintendente. E’ passata al contrario la linea dei difensori del gruppo Cualbu - Antonello Rossi e Pietro Corda - e di quelli del comune di Cagliari (Ovidio Marras, Marcello Vignolo, Massimo Massa e Carla Curreli) per i quali l’iniziativa cautelare non si reggeva su alcun presupposto: «Il provvedimento cautelare impugnato - hanno scritto i giudici nell’ordinanza - non è assistito da elementi idonei sul piano motivazionale e istruttorio a comprovare la sussistenza di concrete ragioni di urgenza correlate alla protezione degli interessi paesaggistici affidati alle cure della Regione».
La Regione quindi non avrebbe più alcuno strumento per intervenire con provvedimenti di chiusura dei cantieri, che a questo punto restano di competenza del ministero dei Beni Culturali. E’ stato infatti il Consiglio di Stato, nella sentenza di fine luglio, a confermare la possibilità che le sovrintendenze decidano di imporre un nuovo vincolo sull’area oggi edificabile. Un’ipotesi sollecitata nei giorni scorsi anche da Italia Nostra, che ha inserito Tuvixeddu fra i dieci siti italiani di assoluta importanza culturale minacciati dall’aggressione del cemento. E’ poi del 12 settembre scorso il decreto firmato firmato dal sovrintendente ai beni architettonici e paesaggistici Martino, che rilevate una serie di vizi procedurali nei nullaosta paesaggistici concessi dal comune a Coimpresa li ha ritenuti illegittimi. Se le valutazioni di Martino dovessero essere estese all’insieme del quadro autorizzativo in possesso del gruppo Cualbu per Tuvixeddu i cantieri potrebbero essere nuovamente chiusi. Ma a questo punto, con la Regione ormai inerme dopo la sequenza di sconfitte davanti ai giudici amministrativi, tutto dipende dalle decisioni dello Stato.
Ma lo Stato prepara nuovi vincoli
C’è però un’altra speranza all’orizzonte della Regione e delle associazioni ambientaliste che vorrebbero proteggere la necropoli punica di Tuvixeddu dal cemento: il sovrintendente regionale ai beni architettonici e paesaggistici Fausto Martino ha avviato il procedimento per la dichiarazione di interesse culturale di una parte dell’area interessata agli interventi di Coimpresa.
Si tratta del giardino e delle pertinenze di villa Muscas, dove il piano del gruppo Cualbu sostenuto dal comune di Cagliari prevede la realizzazione di un ristorante e di uno spazio ricreativo. Il sito era già protetto dal vincolo indiretto ed è piuttosto lontano dalla zona dei ritrovamenti archeologici. Se però il Ministero deciderà, come l’iniziativa di Martino fa prevedere, di imporre un vincolo diretto per notevole interesse culturale per Coimpresa sarebbe una complicazione in più. In un raggio di cento metri dal villino sarebbe vietata qualsiasi trasformazione, di conseguenza il progetto dovrebbe essere in parte rivisto. Per Martino «la villa e il parco sono tra gli ultimi esempi che segnano il prestigio di una classe dirigente ottocentesca cui vanno ascritte le trasformazioni che faranno di Cagliari una città europea».
Intanto nell’accesissimo dibattito che circonda le vicende politico-giudiziarie legate a Tuvixeddu interviene anche l’assessore regionale ai lavori pubblici Carlo Mannoni, che parla del decreto di annullamento dei nullaosta comunali firmato da Martino: «Mi permetto di invitare addetti e non addetti ai lavori a leggere e rileggere quel decreto - scrive Mannoni - vi troveranno un pezzo della storia di Cagliari, anche recente, dove qualche "cattivo" è ora meno cattivo e dove qualche "buono" è ora forse molto, molto meno buono di prima. Ritengo, però, che siano importanti, in questo decreto, non tanto l’annullamento dell’atto autorizzativo comunale le cui gravi patologie sono ben evidenziate, quanto le motivazioni che lo Stato, quello con la esse maiuscola nella veste del suo Soprintendente regionale, ha posto a base dello stesso provvedimento. Motivazioni che coincidono con quelle contenute nell’atto di indirizzo su Tuvixeddu da me indirizzato l’11 gennaio 2007 come assessore regionale ad interim dei beni culturali, ai dirigenti responsabili in materia paesaggistica. Con tale atto mettevo in evidenza come il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu venisse definito dal Ppr area di notevole interesse pubblico e perciò "funzionale alla predisposizione di programmi di conservazione e valorizzazione paesaggistica" ed invitavo gli stessi dirigenti, ai sensi del Codice Urbani, a ordinare la sospensione dei lavori "in quanto capaci di pregiudicare il bene paesaggistico per il quale il Ppr della Regione prevede il recupero o la riqualificazione".
Tuvixeddu bene pubblico, un grande entusiasmo civico si fa strada finalmente per un’idea di spazio condiviso. Ma chissà.
Lo ha spiegato Salvatore Settis il significato attualissimo di “pubblica utilità” del paesaggio, valore di lunghissimo corso: già negli statuti comunali, sancito da editti di camerlenghi e dalle leggi (delle destre) nella storia d'Italia. E' dalla parte delle comunità questo orientamento: sarebbe logico che prevalesse sempre, ma ci sono eccezioni, non ci vuole molto a scoprirlo. E a volte le eccezioni sembrano particolarmente estranee al buon senso.
Per questo appaiono sempre più strampalate, distanti da qualsiasi idea di città civile – come è Cagliari – le tesi alla base di quell' “accordo di programma” che subordinava la sorte di Tuvixeddu a interessi imprenditoriali. Nei più la convinzione di agire nell'interesse della comunità, qualcuno convinto di essere ascritto tra i benefattori, prima o poi.
Un malinteso di proporzioni inaudite, lo ha notato Settis. Una dannazione quel titolo, “accordo di programma”, riferito a quel luogo incorrotto per secoli. Ci voleva l'ostinazione degli uomini del nostro tempo, senza memoria: che si accordano per rimediare a quello stato di mesto isolamento. La città-merce si impossessi di ogni spazio libero! Si contengano le distanze di rispetto. Ma guarda un po': “fascia di rispetto” è espressione dell'urbanistica e richiama un sentimento alla base della convivenza. Rispetto appunto, come quello che si ha dei propri cari, dei maestri di vita, di principi e diritti, e pure di luoghi e monumenti.
Questa separatezza di Tuvixeddu confermata nei secoli è un valore. Ma del compassionevole reiterato ossequio verso un antichissimo cimitero certa caricaturale modernità se ne infischia. Tuvixeddu, d'altra parte, non è più un cimitero. Il lutto è stato abbondantemente elaborato avrà pensato il fautore dell' “accordo di programma”. Il paesaggio, che quell' altro accordo tra vivi e morti ha sancito per secoli, può essere stupidamente triturato in qualche anno. Non dice nulla che quell'area sia stata lasciata in pace fino a ieri?
I tempi nuovi, ci ha spiegato una sentenza, reclamano che ogni parte della città si conformi al ritmo prevalente, da ingranaggio macinatore alla Chaplin. Si consegni Tuvixeddu ai nuovi riti. Omogenizzare tutto nel frullatore delle urbanizzazioni, antiche tombe e palazzine e strade e canalizzazioni. Tutta mia la città. Eppure le pause nelle città non sono mai state inutili, avulse disarmonie. Sono nella sintassi urbana in quanto valori radicati, spesso intangibili (come gli 80 ettari del parco romano di Villa Borghese, i 40 del Valentino a Torino, i 110 delle Cascine di Firenze e così via). Come sarebbero quelle città senza i loro vuoti? Meglio così o abolire le pause, accerchiare i monumenti per metabolizzarli, tutto nel vortice del nuovo già vecchio che avanza?
Una maledizione che si riassume in quel curioso slogan negli ambienti dell'avanpoltica: “rivitalizzare la necropoli” (lo racconta Giorgio Todde). E' passata l'idea che una antica necropoli debba stare nella cerchia degli esseri viventi (!) adeguandosi alle regole del mercato, anzi conformandosi (ricordate l' avviso: il morto non afferri il vivo?) Passa facilmente, perché è nel cortocircuito di questa temperie. Tanta gente trascorre negli ipermercati le sue serate libere per combattere la noia delle vecchie strade. “Andiamo all'ipershop perché in centro è un mortorio”.
“Accordo di programma”: la sponda è nell' urbanistica contrattata per cui ti do una volumetria x e tu mi dai un'area y che in realtà si poteva/doveva acquisire, con un atto trasparente, al patrimonio pubblico moltissimo tempo fa. Pagando il dovuto, beninteso.
Così oltre la linea dell'ultima tomba accertata ( accertata?) si può fare. Si faccia, come dice pure l'organo di tutela. Una nuova fascia di rispetto mortificante, no grazie. E via libera alla serie edilizia vista sulla necropoli, anzi a contatto con la necropoli. L'interesse pubblico? Lo spiega l'agente immobiliare all'acquirente indeciso, “guardi che il fascino delle tombe sottocasa è qualcosa di unico”. Emozionante. Ed esclusivo, molto esclusivo secondo come organizzi gli accessi.
L'idea di parco archeologico rimpicciolisce di senso, assume le sembianze di giardinetto pubblico e insieme di pertinenza condominiale. “Jogging nel parco” – dice la réclame (sarà sembrato eccessivo dire “jogging tra le tombe”). Dalle terrazze ai piani alti si continua a vedere l'orizzonte splendido che sollevava gli addolorati parenti di Tizio e di Caio, quella vista che a terra troverà oggi impedimenti impietosi. A terra, dove la signora del terzo piano ha già immaginato di portare le bambine (Gavina di quattro anni, Katiuscia di sei) a giocare a nascondino perché quelle curiose cavità nella roccia sembrano fatte apposta. O saranno trincee per giochi militareschi di ragazzi. E' la poetica del riuso.
Gavina e Katiuscia adolescenti potranno esercitarsi sotto le guide amorevoli degli esperti a coltivare l'hobby dell'archeologia sottocasa, passione che certamente svilupperanno stando in cotanto posto. Un posto po' troppo arcigno però, e piatto. Brullo, disse il Tar. Una sensazione da alleviare specie nell'epicentro della necropoli.
Per questo hanno ben pensato di contraddire la monotonia di quelle fredde tombe, accomodare il loro misterioso disordine, rivitalizzare, sì rivitalizzare. Ed ecco le imponenti fioriere (non guasta un po' d'ombra per il visitatore che faticosamente arriva dal basso). Antidoti futuristi alla overdose di antico fenicio-punico e a quella malinconia che non se può più. Le fioriere circoscrivono non si capisce bene cosa (ma non importa) e si sovrappongono e si impongono ( questo si capisce) su quei tristi buchi nel calcare privi di vera forza scenica. Aiuterà, se sarà scelto con cura, il colore delle cascate di gerani.
CAGLIARI. Su Tuvixeddu le aspettative sono tante: sia alla Regione che al Comune, che a livello imprenditoriale. A questo punto tutti hanno interesse a chiudere la partita: gli ambientalisti per la realizzazione di un grande parco, la Regione e il Comune per evitare di venire dissanguati da un contenzioso tanto incerto, quanto aspro. E l’imprenditore perchè, probabilmente, stanco da una vicenda che lo ha certamente spossato, e di cui non vede ancora la fine.
Quindi che cosa capiterà, adesso, su (e per) Tuvixeddu? Dopo l’ordine del giorno unitario del consiglio regionale, che stimola «all’acquisizione al patrimonio pubblico» gran parte del colle, ieri mattina il primo passo del consiglio comunale con il soprallugo della commissione alla Cultura a Tuvixeddu. I consiglieri hanno visitato sia la parte di Sant’Avendrace, che i lavori della lottizzazione, che la necropli. «Abbiamo cercato di capire - sottolinea Maurizio Porcelli, Forza Italia, presidente dell’organismo consiliare - sin dove si estende l’area della zona archeologica, soprattutto in rapporto ai ritrovamenti delle nuove sepolture, fatti in questi ultimi dieci anni». Il Comune, assieme alla Regione e alla Coimpresa ha firmato nel 2000 l’accordo di programma per la lottizzazione integrata: un parco di ventuno ettari per la necropoli e quattrocento appartamenti da realizzare in via Is Maglia, a lato di Tuvixeddu (circa duecentosessanta) e di Tuvumannu.
Ma ora dopo anni di contenzioso, di carte bollate e di battaglie ambientaliste per la valorizzazione del colle anche come patrimonio paesaggistico, si è arrivati alla recente decisione della Regione: per la realizzazione di un parco archeologico e ambientale. «Ora dobbiamo assumerci la responsabilità di presentare una legge istitutiva per stabilire i confini del parco», spiega Chicco Porcu, consigliere regionale del Pd, relatore della mozione del centrosinistra che ha dato poi luogo all’ordine del giorno unitario. «Solo in questo modo, con una legge specifica - continua Porcu - potremo, tra le altre cose, mettere in bilancio la cifra necessaria».
Ieri, inoltre, il senatore Roberto Della Seta (Pd) e il deputato Fabio Granata (Pdl, vice presidente della commissione Cultura della Camera) hanno accolto con «grande soddisfazione» il «sì» del consiglio regionale all’ordine del giorno «che impegna la Regione a lavorare per la creazione sul colle di Tuvixeddu di un parco archeologico che metta la parola fine a ogni ipotesi di nuova cementificazione». Secondo i parlamentari «è un’ottima notizia per la città di Cagliari e per tutti coloro che hanno a cuore la salvezza di questo patrimonio culturale prezioso per la Sardegna e per il Paese». In pratica «la sentenza del Consiglio di Stato dei giorni scorsi ( che impone una motivazione più dettagliata prima dell’autorizzazione paesaggistica, indispensabile per ogni concessione edilizia - ndr) segna una nuova vittoria contro i propositi di cementificazione di Tuvixeddu. Ora è importante che tutti i soggetti coinvolti in questa vicenda, dalla Regione allo stesso ministero dei Beni Culturali, facciano la loro parte per concretizzare quanto prima il sogno di vedere tutelato una volta per tutte il colle di Tuvixeddu. Per Cagliari, per la sua identità e anche per il suo futuro, il parco archeologico è molto meglio di qualche colata di cemento».
Da parte sua la commissione comunale, spiega Porcelli, «ha chiesto al soprintendenza ai beni archeologici un incontro per verificare meglio quale è la situazione dei ritrovamenti archeologici legati alla necropoli». Va anche detto che «il sopralluogo a Tuvixeddu era stato fissato da prima della decisione della Regione - prosegue Porcelli - ed era stata chiesta dal collega Salvatore Mereu. Poi il quadro è cambiato. Ora si tratta di capire come dovrà muoversi il Comune». A questo punto, sottolinea Gian Mario Selis (consigliere comunale del Pd e componente della commissione Cultura), «bisognerà istituire un tavolo con tutti gli interessati: Regione, Comune e Coimpresa. Altrimenti si potrebbe rischiare di inoltrarci in una strada con altri mille ritardi».
Cerchiamo di capire che il parco archeologico serve innanzitutto per conservare e - con garbo – per consentire a chi vuole di visitare, imparare e ammirare. Non è una Villa Comunale né un Parco Robinson né una Disneyland. Se abbiamo compreso che la storia è utile alla civiltà dobbiamo imparare a rispettarla nei suoi elementi, a cominciare dal suolo in cui ha impresso la sua orma.
Dopo la Corte Costituzionale e il TAR Sardegna anche il Consiglio di Stato con la recente sentenza su Cala Giunco, mette la sua parola ed emette il suo giudizio sulla Pianificazione Paesaggistica della Sardegna.
Oltre 100 ricorsi in questi due anni dall’approvazione del PPR, con impegnati i migliori avvocati sulla piazza non sono bastati per demolire e neppure scalfire uno dei più rilevanti lavori di pianificazione territoriale della Regione Sarda. Lo stuolo di detrattori e politici che si sono cimentati in questo tempo, compreso l’ormai patetico Presidente del Consiglio dei Ministri, nel ricercare una sola prova dell’illegittimità e della inadeguatezza del Piano sono rimasti “in braghe di tela” anche se la protervia di una politica arrogante e populista non consentirà loro di far propria una buona ragione per stare definitivamente zitti.
Il Consiglio di Stato dunque conferma le conclusioni del Tar Sardegna, afferma sostanzialmente che il PPR è un atto costruito correttamente, è assolutamente in linea con le norme statali di “riforma economico sociale” e trova una sua concreta legittimazione nelle riconosciute competenze della Regione Sardegna in materia di paesaggio.
Dunque potremo dire serenamente: avanti il prossimo (ricorso!).
Nonostante questa sequenza di legittimazioni e conferme, l’attuale Giunta regionale persevera nell’accanirsi contro, seguendo il suo unico filo conduttore populistico e demagogico, giustificando persino con il cosiddetto Piano Casa la necessità di smantellare l’ingombrante Piano Paesaggistico. Ma qui viene il bello. La recente sentenza del Consiglio di Stato infatti, senza volerlo ed indirettamente, anticipa il giudizio di illegittimità costituzionale del Piano casa presentato da Cappellacci affermando in maniera chiara ed incontrovertibile che la deroga a norme di salvaguardia derivanti dall’applicazione del Codice dei beni Culturali non è ammessa e dunque questo prodotto di “pubblicità istituzionale” della Giunta è illegittimo.
Lo aveva anticipato il Prof. Settis in un chiaro intervento che commentava le diverse norme che le regioni stavano preparando ed approvando in materia, ma nel caso Sardegna le cose sono diverse e per certi versi assai più originali. Infatti essendo la Sardegna l’unica regione dotata di un Piano approvato ai sensi del decreto legislativo 42/2004, sul suo territorio si applicano le norme di salvaguardia contenute negli articoli 146 e 156 del decreto stesso, con la conseguenza che una legge regionale, di rango inferiore a quella statale, non può derogare ai limiti ed alle previsioni contenute nel Piano Paesaggistico nel senso che il “legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della regione speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come riforme economico-sociali”.
Ecco perché il Partito democratico ha voluto contrapporre una sua proposta di Piano Casa, esclusivamente per dimostrare: 1) che quello della Giunta regionale non parla di case ma di tutt’altro; 2) che qualunque provvedimento riguardi il governo del territorio in Sardegna deve fare i conti con la coerenza alle norme sovra ordinate; 3) che per fare politiche di rilancio della casa bisogna parlare di residenza, di prima casa e di risorse pubbliche vere e mirate ad assicurare un accesso più consistente al bene primario dell’abitazione.
Sappiamo che i figli politici “dell’utilizzatore finale nazionale” andranno avanti a testa bassa e per la loro strada, tuttavia ci incontreranno in Consiglio regionale e faremo fino in fondo la nostra parte per far vincere le ragioni del diritto e del buon senso e poi, se questo non sarà sufficiente, avvertiamo fin d’ora, siamo pronti a cimentarci, per un ennesimo scontro, nei tribunali della Repubblica ovviamente per vincere ancora una volta. Sarà l’ulteriore prova che una politica che non ascolta “inciampa”.
Chiunque può pubblicare questo articolo alla condizione di citare l’autore e la fonte come segue: tratto dal sito web http://eddyburg.it
A Santa Gilla ormai volano solo gli avvoltoi». Lo slogan corre dai bar fino alla Rete. A Cagliari ne parlano tutti. Tace solo la Regione Sardegna. Un tempo Santa Gilla al tramonto si colorava di rosa tra le ali dei fenicotteri e il sole a scivolare nello stagno, area umida tra le più importanti dell'Isola. Tuvixeddu, la necropoli fenicio-punica fiore all'occhiello dell'intero Mediterraneo, non è distante. E anche lì ci sono le gru. Se fosse un film si intitolerebbe «Le mani sulla città». Al posto dei fenicotteri, a Santa Gilla, c'è una gigantesca colata di cemento. Oltre 113mila metri cubi. Il proprietario si chiama Sergio Zuncheddu, costruttore col pallino dei media. Quote nel Foglio di Ferrara insieme a Denis Verdini. Ma soprattutto editore di Unione Sarda, Videolina, Radiolina. Praticamente il trittico di destra che gestisce l'informazione nell'Isola. Santa Gilla è roba di Zuncheddu. Ma anche dell'esecutivo di Ugo Cappellacci, il governatore che è corso al capezzale di Bertolaso per dirimere l'affaire G8 alla Maddalena, rimediando perfino i dubbi del commissario.
A scoprire lo strano intreccio cagliaritano – mattone, accordi nel Pdl e benedizione della massoneria - è stato il quotidiano Il Sardegna che, carte alla mano, ha dimostrato che quei palazzoni sono stati realizzati con l'obiettivo precipuo di ospitare anche la sede della Regione. Tutto previsto molti anni addietro. Siamo nel 2004, delibera 27/11 dell'8 giugno. Il timone della giunta è nella mani di Italo Masala (An), Cappellacci è assessore al bilancio. Sono loro ad accogliere la proposta di Ienove, azienda che opera nel nascente complesso immobiliare di Zuncheddu per l'acquisto dei nuovi uffici. Costo: 82milioni di euro, più altri 33 milioni per un altro edificio “direzionale” in via Posada, ma di proprietà della Tepor, slegata dal gruppo dell'editore.
A Santa Gilla volano ancora fenicotteri, l'operazione è in essere. Ma meglio portarsi avanti con il lavoro. Quattro giorni dopo Renato Soru vince le elezioni. Un colpo forse non previsto. La galassia di società legate a Zuncheddu, con interessi in Lombardia, Campania e Sicilia, cambia nome più volte, ma nel frattempo l'UnioneSarda spara ad alzo zero contro il nuovo Governatore.
Soru si insedia e visti i costi revoca l'operazione. Stop all'offerta di acquisto dei˘90mila metri cubi per gli uffici regionali a Santa Gilla (in totale 32 metri quadri per ogni dipendente, quasi un mini appartamento), blocco dello stupro di Tuvixeddu e in più una legge salva-coste. Troppo per il partito del mattone. Che affila pesantemente le armi. E infatti nel 2009 la Sardegna passa nelle mani del figlio del commercialista di Berlusconi. Guarda caso, il 29 dicembre scorso – delibera 59/63 – Cappellacci cancella l'ordinanza di Soru e «con massima urgenza dà mandato all'assessore agli Enti locali di riprendere le proposte di Ienove», che nel frattempo, ha mutato pelle come le lucertole e si mescola nelle scatole cinesi delle imprese˘(Tepor, invece appartiene al geometra Giuseppe Sedda). Però i fenicotteri Hanno smesso di volare e le gru alzano palazzi. Curioso che in sei anni nessuno si sia fatto avanti, spiega l’inviato del Sardegna Marco Mostallino. Oltre 113mila cubi a disposizione del miglior offerente in quel paradiso rosa e un silenzio di tomba. Ma la realtà è che le offerte, forse, non interessano. Il piatto pare predisposto. Lo spiegano gli architetti francesi coinvolti nell'operazione addirittura nel 2000 nel sito www. valode-et pistre. com. Basta leggere. L'idea è di un “Centre de Médias et annexe Hotel de Region”. Un retroscena pubblico, basta cercare sul Web. «Quell'area sarà la sede del governo sardo», spiegano senza fronzoli. E c'è di più: la redazione dell'UnioneSarda sorgerebbe nello stesso complesso. Non c'è neppure da scoperchiare tombe puniche. L'attuale assessore regionale al personale è Ketty Corona, amica di Cappellacci e socia in affari di Zuncheddu nell'iperfetazione della costa di Olbia. Figlia di Armandino – scomparso di recente – ex gran maestro della Loggia d'Oriente. Ora Zuncheddu, mattonaro mediatico, s'arrabbia, smentisce. Minaccia querele. Carta canta, però. Il Pd e tutta l'opposizione in Regione hanno chiesto conto della montagna di milioni per il Monopoli di Zuncheddu.
Una tombola per la Sardegna costretta a buttare in mare le fabbriche del Sulcis-Iglesiente. Solo con l'Alcoa fanno duemila a casa. A sera i fenicotteri ancora puntano l'ex cementificio di Santa Gilla. Sorvolavano la terra leggeri. Rosa e bellissimi. Come un racconto di Sergio Atzeni. Poi, la notte cala sulla Sardegna senza più colori.
In “ Paesaggi Perduti Sardegna. La bellezza violata”Sandro Roggio dice d’essere nato in Sardegna e di viverci “non solo d’estate ”. Una condizione con cui ha selezionato diversi autori chiedendo loro di descriversi. A partire dai luoghi con cui si sono imbattuti e da cui non intendono andar via. Nel dare immediata voce ai suoi, per determinazione geografica residenziale, “simili” Sandro innesca un processo di lettura fatto di continui rimandi tra le diverse narrazioni. I contributi, veri e propri autoritratti a volte di parole, altre di pietra; prendono la forma di altrettante “ figure urbane”. In un periodo di Piani casa, [ quello sardo è incentrato nel dare il colpo di grazia ai milleottocento chilometri della costa isolana], raccontarci di paesaggi perduti vuol dire parlare di, altrettanti, territori resistenti. Perché nel testo, anche se numerosi sono i riferimenti al passato, non c’è alcuno spazio per la nostalgia, per lo scontato “come eravamo”. Al contrario, in tutti i contributi, appare una doppia considerazione: risalire a quando è avvenuto il disastro che attanaglia l’isola e a come costruire i primi elementi per condividere un nuovo paesaggio di riferimento. Un nuovo luogo. Costruito dai tanti paesaggi; non utopico. Questa la scommessa di Sandro Roggio: fare i conti con l’esistente. Partiamo, dice, con elencare, le cose da usare in modo diverso. Per poter “agguantare” [resistere in sassarese] almeno ciò che abbiamo in consegna. Che, leggendo anche solo questo libro, non è poco. Sempre se si riuscirà a combattere una doppia partita: invertire lo svuotamento dei paesi al centro dell’isola e farla finita sulla costa con “trasformazioni sconsiderate e penalizzanti”.“Anche se è il mare a identificare, nell’immaginario collettivo di tutti, la Sardegna, i sardi non amerebbero il mare” scrive Ignazio Camarda. Sanno bene che i peggiori attentati alle spiagge sono avvenuti quando queste sono diventate indicatori di valore per il mercato immobiliare. Oggi pulire le spiagge significa la distruzione del paesaggio delle dune e il conseguente vuoto biologico. Bisogna vigilare con la consapevolezza, sostiene invece Marcello Madau, che la “tutela non basta”; dovrà essere accompagnata “dalla tensione di tutte le comunità di accogliere i luoghi entro se stesse”. A saperli riconoscere e guardarli con quello che Antonietta Mazzette chiama lo “sguardo lungo”; vale a dire il solo punto di vista capace di cogliere il paesaggio urbano come “assemblaggio di percezioni e segni”. A riscoprire la prospettiva come elemento di misura. Come nelle tavole di Alberto Ferrero della Marmore che nell’ottocento seppe cogliere i caratteri individuali dell’isola. A volte, anche i sardi, hanno tenacemente voluto cancellarli. E’ il caso dei “demolitori sacrileghi” descritti da Giacomo Mameli nel loro accanimento per abbattere la chiesa del Cinquecento di Perdasdefogu e realizzare un campetto, chiuso, per altro, all’uso dei bambini perché, dice il parroco:”ogni tanto dicono parolacce”. Verrebbe voglia di gridarle di peggiori, e ancora più forte, andando a vedere le immagini del libro. Dal disastro di Capoterra, al villaggio della Marmorata [ ma è vero? ], al bucare le piazze sassaresi, alle spettrali geometrie dei fossili edilizi riprese da Alessandra Chemollo. Che fare? Forse, ridefinire l’identità dell’isola, di cui la rete dei ventimila monumenti e dei centomila racconti, costituisce l’ossatura materiale e immateriale, come reinvenzione di quella vita che si vuole cancellata.
Sandro Roggio, Paesaggi perduti. Sardegna, la bellezza violata, Cagliari, CUEC, 2009. euro 13,00
Negli uffici delle sovrintendenze sono certi: è in arrivo da Roma la norma salva-Cualbu, che potrebbe garantire le ultime due autorizzazioni paesaggistiche indispensabili per completare l’intervento edilizio su Tuvixeddu. Bocciati dal Consiglio di Stato, i nullosta - quando saranno chiesti per la seconda volta - dovrebbero passare ora all’esame di merito da parte della sovrintendenza come previsto dalla riformulazione del Codice Urbani. Ma è in arrivo un salvagente: il ministro ha proposto il ritorno provvisorio alla normativa che delegava l’esame alle regioni e ai comuni.
CAGLIARI. Negli uffici delle sovrintendenze sono certi: è in arrivo da Roma la norma salva-Cualbu, un provvedimento clamoroso che potrebbe garantire le ultime due autorizzazioni paesaggistiche indispensabili per completare il controverso intervento edilizio su Tuvixeddu.
Bocciati dal Consiglio di Stato per carenza di motivazione, in base alla nuova formulazione dell’articolo 146 del Codice Urbani i nullaosta - quando verranno chiesti per la seconda volta - dovrebbero passare all’esame di merito da parte della sovrintendenza architettonica e paesaggistica, che fino al 31 dicembre 2009 poteva esprimere soltanto un parere di legittimità. Messe una dietro l’altra le iniziative di contrasto legale del piano Coimpresa avviate dagli uffici ministeriali negli ultimi anni - ultima quella dell’ex sovrintendente Fausto Martino che ha annullato con decreto le autorizzazioni, il Consiglio di Stato gli ha dato ragione in via definitiva - è difficile credere che la società del costruttore fonnese avrebbe vita facile a ottenere un nuovo via libera. Ma ecco che arriva il salvagente da Roma: tra oggi e domani il consiglio dei ministri dovrebbe esaminare la proposta del ministro dei beni culturali Sandro Bondi, che chiede il ritorno provvisorio alla normativa precedente. Quella che delegava all’esame delle richieste di autorizzazione e al loro rilascio le regioni e in sub-delega i comuni.
Il motivo di questo incredibile dietrofront, destinato con ogni probabilità a gettare nel caos le sovrintendenze di tutta Italia, sarebbe la mancanza di mezzi e i problemi organizzativi manifestati dagli uffici regionali del ministero. Alcuni - secondo le informazioni raccolte a Roma - non sarebbero in grado di far fronte alle richieste di nullaosta. Pertanto, anzichè migliorare mezzi e dotazioni di personale, il ministro chiederebbe una sorta di sospensiva alla formulazione definitiva del Codice Urbani per prorogare la versione precedente. Un caso probabilmente unico e straordinario persino in un paese come l’Italia, dove le norme cambiano di giorno in giorno a seconda delle convenienze private. Ma una cosa è modificare una legge, un’altra sospendere l’efficacia di una norma entrata in vigore un mese e mezzo fa per ridare forza a quella precedente. Una norma modificata proprio per assicurare un controllo maggiore, più specialistico alle pratiche autorizzatorie che riguardano siti sensibilissimi e di enorme valore culturale.
Stando alle indiscrezioni alcune sovrintendenze avrebbero protestato per questa decisione, ancora da ratificare: molte istanze di concessione dei nullaosta sono state infatti già esaminate, altre sono in lista d’attesa. Se il provvedimento, che dovrebbe assumere la forma del decreto, sarà approvato dal consiglio dei ministri si assisterà a un precipitoso giro di pratiche, con termini e scadenze da rivedere, pareri da ritirare e un contenzioso che si annuncia intricatissimo. Nel caso della Sardegna la competenza verrà riassunta dalla Regione, che potrà delegare i comuni compresi nell’elenco pubblicato nel Buras. In quell’elenco Cagliari non c’è perchè non ha uffici e organizzazione sufficiente. Quindi le nuove richieste di nullaosta che il gruppo Cualbu presenterà con ogni probabilità nel giro di qualche settimana passeranno all’esame degli uffici regionali. Dove la tendenza nei confronti del piano Tuvixeddu è variabile insieme al colore politico della giunta: se quella guidata da Renato Soru ha lottato sino in fondo per fermarne la realizzazione, l’esecutivo Cappellacci ha annunciato con enfasi storica che l’accordo di programma del 2000 sarà rispettato. Non solo: dall’inizio della legislatura in poi l’ufficio legale della Regione ha stranamente omesso di costituirsi in giudizio quando la parte avversa è Nuova Iniziative Coimpresa, affiancandosi idealmente al comune di Cagliari nella difesa a oltranza dell’edificazione. E’ cambiato l’orientamento e presto si riparlerà dell’arbitrato che dovrà risolvere lo spinoso tema del risarcimento al costruttore per i ritardi accumulati nella realizzazione del progetto a causa degli intoppi legali provocati da Soru: malgrado la recente pronuncia del Consiglio di Stato e il clamoroso contenuto del provvedimento di archiviazione dell’inchiesta penale su Tuvixeddu firmato dal pubblico ministero Daniele Caria sembra che per la giunta Cappellacci la ragione stia tutta da una parte: quella di chi vuole portare palazzi e ville attorno alla necropoli punica più importante del mondo.
La necropoli Tuvixeddu è salva
di Francesca Ortalli
uvixeddu è salva. Sulla necropoli punico-fenicia più grande del Mediterraneo, incastonata nei colli di Cagliari il cemento non arriverà. Lo dice la sentenza del Consiglio di Stato n° 00538 del 24 novembre 2009 e pubblicata il 5 febbraio scorso. Senza troppi giri di parole si annulla l’autorizzazione paesaggistica del 25 agosto del 2008 concessa dal Comune di Cagliari alla Nuova Iniziativa Coimpresa di Gualtiero Cualbu. Era questa l’impresa che, facendosi forte di un accordo di programma sottoscritto nel duemila insieme alla la Regione guidata allora da Mario Floris, e al Comune di Cagliari (sindaco Mariano Delogu oggi senatore Pdl) voleva costruire tra le tombe antichissime: 150 mila metri cubi di palazzine spalmate tra viali alberati e fioriere traboccanti di verde al posto di pezzi di storia perché rende più il mattone della cultura.
I giudici di palazzo Spada hanno detto che quell’autorizzazione non poteva essere concessa. E che bene aveva fatto il soprintendente di allora, l’architetto Fausto Martino ad annullarla. Si legge infatti nel documento che, «volendo sinteticamente riassumere, le ragioni poste dalla Soprintendenza a fondamento del disposto e contestato annullamento possono essere illustrate nei termini di seguito indicati: carenza di motivazione del parere espresso, a fini paesaggistici, dalla Commissione edilizia; carenza della relazione paesaggistica, destinata a costituire parte integrante del progetto approvato, adozione dell’autorizzazione paesaggistica sulla base di documentazione diversa da quella presa in esame dalla Commissione edilizia».
L’autorizzazione concessa dal Comune a Cagliari si basa, continua, «su un apparato motivazionale davvero stringato» così come «la compatibilità dell’intervento con il contesto urbano sulla base di argomentazioni superficiali». Ma c’è di più. I giudici di Palazzo Spada sottolineano che a causa della modifica del Codice Urbani del 31 dicembre 2009, il parere della Soprintendenza è vincolante entro 45 giorni dalla richiesta. Questo significa che l’impresa di Cualbu se vorrà costruire sopra la necropoli dovrà iniziare tutto da capo tenendo conto questa volta di un parere vincolante della Soprintendenza. La stessa, per capirci, che si è rivolta al Consiglio di Stato per tutelare il colle.
Un duro colpo per l’imprenditore che aveva festeggiato con una bottiglia di champagne stappata in pompa magna l’arrivo alla guida della Regione di Ugo Cappellacci nel febbraio dello scorso anno. Durissima infatti era stata la battaglia contro il governatore Renato Soru, che aveva stoppato nel 2006 le sue betoniere con una delibera regionale. Ora sul colle di Tuvixeddu, per legge, i palazzi non si possono più costruire.
Che riposino in pace
di Giorgio Todde
Lord Carnarvon morì un anno dopo l’apertura della sepoltura del più celebrato dei faraoni. Il faraone, dice la leggenda, si offese per la violazione della sua pace.
A Tuvixeddu, la necropoli che si è miracolosamente conservata anche se asfissiata da una pappa urbana che l’assedia, era il cimitero della Cagliari fenicio punica e poi romana. Nei millenni si adattò alla storia. Divenne perfino insediamento rupestre e le tombe furono abitate sino a qualche decennio fa. Ha sofferto perché per più di mezzo secolo fu una cava e i lavori la alterarono anche se hanno prodotto un paesaggio di grande fascino.
Ha resistito ad ogni offesa ma stava per cedere, sfinita, ad un’impresa che vorrebbe edificare sul colle e all’amministrazione comunale che l’avrebbe dovuta difendere perché quel sito è irripetibile, ci rappresenta ed è di tutti. Ma dai primi anni novanta il progetto ha oppositori. L’archeologo Lilliu, accademico dei Lincei, lo boccia come “crimine contro l’umanità”.
E’ lievitato un intrico giuridico, nel quale, per la prima volta nella storia sonnolenta della città, il cui ago magnetico è rivolto al mattone, nasce uno spirito critico, dopo anni e anni di intelletti un po’ bambini, autorizzati a sognare e ricordare, sì, ma a lasciar stare il presente perché quello è riservato ai grandi. L’intrico, impossibile da raccontare in poche righe, vede l’Amministrazione regionale e la Sovrintendenza schierate in giudizio contro il Comune e l’Impresa. Un gruppo di intellettuali cittadini parla di “incestuose collusioni” tra chi imprende e chi governa la città. E viene inquisito. Giornali, tribunali, lettere aperte, televisioni. Perfino il Times, la Suddeutsche Zeitung, la Conferenza Europea delle Regioni. Ma tribunali amministrativi e le loro carte danno ragione all’impresa.
Per di più, si sa, cambia il clima politico in Regione. Tuvixeddu è agli sgoccioli e sta per cedere.
Ma accade che la procura si occupi delle vicende e che dalle indagini nasca un atto complesso, preciso, basato su una lucida analisi dei fatti.
L’ex Sovrintendente, quello che aveva negato l’esistenza di nuovi ritrovamenti e votato contro l’ampliamento dei vincoli, ha omesso, in commissione, le mille e passa sepolture, una parte delle quali nel frattempo erano finite sotto il garage di un palazzo. Se avesse detto la verità la storia di Tuvixeddu sarebbe stata un’altra.
Insomma, l’idea di un complotto anti-impresa, ipotizzato dai giudici del tribunale amministrativo, si sfalda e l’ipotesi si ribalta.
Emerge dall’atto del Piemme il quadro di una città nella quale non si distingue più chi amministra da chi imprende, la condizione che più di ogni altra ostacola il perseguimento del cosiddetto, invisibile a Tuvixeddu, Pubblico Interesse. Nelle pagine della Procura la documentata descrizione di un clima che conferma lo scenario di una comunità che si regge su rapporti nebulosi e confusi, le parti non chiare. Uno scenario che inquieta. Ogni cosa regolata da pochi, consolidati interessi, concentrati nella consunzione del paesaggio considerato come spazio da costruire. Tuvixeddu, le rive degli stagni immensi, luoghi che erano là da secoli ma concupiti e, in qualche modo, sottomessi all’interesse di pochi.
Poi il Consiglio di Stato, finalmente, emette una sentenza a favore del colle e l’autorizzazione a costruire un lotto sul colle è annullata.
Chissà che i defunti punici e romani, i quali non possono ricorrere al Tar, non abbiano trovato finalmente un modo per difendere la propria quiete.
Spiagge d'un bianco accecante, mare di cristallo, campi e colline non violati dal cemento, montagne dove l'unica presenza che s'avverte per decine di chilometri è quella del vento che soffia tra le querce, i resti unici lasciati in ogni angolo dal popolo dei nuraghi passato sulla terra leggero. E' la Sardegna bella, quella che ancora c'è, ma sempre più stretta dal proliferare di un suo doppio deforme, mostruoso, la Sardegna brutta raccontata in Paesaggi perduti, il libro curato da Sandro Roggio appena pubblicato dall'editore cagliaritano Cuec (140 pagine 13 euro).
Il volume è un campionario degli scempi compiuti negli ultimi decenni e, insieme, un allarme lanciato perché si eviti il peggio che potrebbe arrivare con il cosiddetto «piano casa» approvato dalla giunta regionale di centro destra presieduta da Ugo Cappellacci, il governatore succeduto a Renato Soru dopo le elezioni del febbraio dello scorso anno.
Sono tredici i contributi raccolti nel libro e non è possibile qui citarli tutti. Si va dalla dissennata gestione del patrimonio archeologico descritta dall'archeologo Marcello Madau, all'ironico dialogo tra il regista Antonello Grimaldi e l'attore Sante Maurizi sulla «filosofia del villaggio turistico» che, a partire dagli anni Settanta, ha fondato un modello di sviluppo turistico devastante per coste e paesaggio. Oppure, dalla sconsolata constatazione del degrado del tessuto urbanistico e di quello sociale di Sassari nelle pagine dello scrittore Salvatore Mannuzzu, al racconto che lo storico Luciano Marrocu fa dello scempio delle tracce del passato cui è stato sottoposto il centro storico di Cagliari. Il giornalista Giancarlo Ghirra spiega come nell'alluvione che ha devastato Capoterra, presentata come una catastrofe naturale, di naturale non ci sia stato proprio un accidente, perché le cause del disastro stanno tutte nel modo criminale in cui per decenni lì il territorio è stato violentato nel nome dell'espansione edilizia. Un altro cronista, Giacomo Mameli, racconta come a Perdasdefogu, il paese al centro del poligono di Quirra dove vengono testati i droni che l'aviazione americana usa in Afghanistan e in Pakistan, una basilica del Cinquecento sia stata rasa al suolo per farci sopra un campo di calcio.
Uno scrittore, Marcello Fois, avverte che le devastazioni non sono solo materiali: «Non è sempre necessario demolire per cancellare la propria storia urbana, qualche volta si distrugge anche costruendo una parastoria», ovvero una falsa identità in cui il peggio del vecchio (i codici della tradizione della Barbagia) si fondono in un ibrido orrendo con il peggio del nuovo (i codici del consumo come unica fonte di strutturazione del sé, individuale e collettivo). E siccome Cappellacci la sua campagna elettorale l'ha vinta anche promettendo che avrebbe smantellato il Piano paesaggistico voluto da Soru (come infatti puntualmente sta avvenendo), l'analisi di Marcello Fois dovrebbe far riflettere su quanto il sopravanzare della Sardegna brutta sulla Sardegna bella sia il frutto di processi profondi, in cui modelli di sviluppo economico e sistemi di relazioni sociali si sono modificati di pari passo con un progressivo slittamento di senso dei valori della tradizione verso un individualismo proprietario non dissimile da quello che si afferma a Bergamo o a Treviso. Un campo di contraddizioni aperto, però, dove le possibilità di giocare una partita diversa non sono ancora tutte chiuse. Un orizzonte di conflitto in cui il libro curato da Sandro Roggio s'inserisce come un prezioso contributo di conoscenza.
La Procura rivaluta le iniziative della Regione nella battaglia in difesa del colle punico di Tuvixeddu - Vincoli giustificati dai ritrovamenti di nuove tombe e dal Codice Urbani
CAGLIARI. Forse è una vittoria di Pirro, ma il contenuto della richiesta di archiviazione per l’inchiesta penale su Tuvixeddu firmata dal pm Daniele Caria riabilita l’azione della giunta Soru in difesa del colle punico e getta un’ombra sulle decisioni dei giudici amministrativi.
Caria ricostruisce attraverso atti, testimonianze e intercettazioni telefoniche le fasi infuocate del conflitto tra Nuova Iniziative Coimpresa del gruppo Cualbu e la Regione. Per arrivare a conclusioni che fanno riflettere: il Tar e il Consiglio di Stato hanno sbagliato le valutazioni sulla legittimità della commissione regionale per il paesaggio che aveva imposto nuovi vincoli sull’area privata del colle. Quella commissione poteva operare ed era composta da persone qualificatissime, reclutate regolarmente. Non solo: i giudici non hanno potuto tener conto di quanto ha deciso la Corte Costituzionale il 27 giugno 2008 e hanno sostanzialmente ignorato il contenuto della Convenzione europea del paesaggio e del Codice Urbani: la tutela del paesaggio è competenza esclusiva dello Stato e in presenza di situazioni nuove l’accordo di programma per Tuvixeddu, con le autorizzazioni concesse al gruppo Cualbu, poteva essere cancellato. Il Tar però, bocciato il ricorso della Regione per la questione formale legata alla legittimità della commissione, ha deciso solo in base alle dichiarazioni dell’ex sovrintendente archeologico Vincenzo Santoni: nessun ritrovamento significativo dopo il vincolo del 1997. Per il pm Caria sono false, come risulta dalle note della funzionaria Donatella Salvi: oltre mille tombe ritrovate negli anni successivi, alcune sotto vincolo diretto, altre indiretto, altre ancora fuori dall’area vincolata. Santoni - così sostiene il magistrato penale - ha mentito («ha maliziosamente taciuto» sulla nuova realtà del sito archeologico) per favorire la figlia Valeria, ingegnere, che lavorava per Cualbu dal 1995 e operava proprio sui lavori del colle punico. L’imprenditore l’aveva assunta malgrado non avesse alcuna esperienza - sostiene il pm e risulta dalle testimonianze - ma il fatto che lavorasse a Coimpresa prima ancora che partisse il piano Tuvixeddu ha salvato Gualtiero e Vincenzo Santoni dall’accusa ipotizzata all’avvio dell’inchiesta: corruzione. D’altronde quella di assumere figli qualificati sembrerebbe un’abitudine consolidata di Cualbu: il Corriere del Mezzogiorno di Napoli scrive - la data è 19 febbraio 2009 - che la Mediacom, altra società del gruppo sardo, ha assunto la figlia del vicesindaco di Napoli Marella Santangelo appena prima di aggiudicarsi il piano di recupero dell’area ex birreria Peroni di Miano. Dodici mesi fa l’opposizione ha chiesto le dimissioni dell’amministratore ma nessuno si è rivolto alla Procura. Mentre nel caso cagliaritano è stato il pm Caria a ricostruire i rapporti e le vicende della guerra su Tuvixeddu - che definisce «opache» - partendo dall’esposto presentato dallo stesso Cualbu: l’imprenditore sospettava che Soru agisse contro di lui, lo stesso Tar attribuisce in sentenza all’ex governatore un presunto «sviamento di potere». Ma per Caria non c’è nulla di fondato: Soru si muoveva solo per interesse pubblico. Così come si è mosso, insieme all’assessore ai lavori pubblico Carlo Mannoni, quando ha affidato all’architetto francese Gilles Clement un progetto alternativo per Tuvixeddu. A spese pubbliche e senza gara, accusavano gli oppositori. Falso anche questo: i soldi erano privati, i 50 mila euro dello sponsor Banco di Sardegna. E il rapporto è naufragato proprio perchè il dirigente Franco Sardi - l’ha riferito lui stesso al pm - ha messo il veto sull’affidamento diretto. Peraltro risulta agli atti - e il pm Caria lo scrive - che il progetto attuale del parco archeologico urbano, quello bloccato per gli abusi rilevati dalla Procura (quattro indagati, presto probabilmente cinque o sei) era stato affidato dal Comune allo studio Masoero-De Carlo senza selezione pubblica.
Ma per Caria il punto centrale della vicenda è un altro: «La Regione - scrive nell’atto notificato ai legali degli indagati Soru, Mannoni, Salvi e Cualbu, tutti prosciolti ma non Santoni - aveva il potere sia di disporre la sospensione cautelare dei lavori pur legittimamente autorizzati, sia di rideterminare il contenuto e l’estensione dei vincoli sul territorio attraverso una nuova valutazione paesaggistico-ambientale, anche se ciò avrebbe reso inattuabili in quanto incompatibili gli interventi autorizzati in precedenza». Insomma: la Regione poteva fermare il piano Coimpresa.
Un attacco frontale, senza precedenti: Procura della Repubblica contro Tar. Sullo sfondo «un insieme di relazioni tra i vari attori privati e istituzionali che getta una luce opaca sull'intera vicenda Tuvixeddu». Il sostituto Daniele Carìa in 24 fittissime pagine scrive perché l'ex Governatore Renato Soru e l'ex assessore alla Pubblica istruzione Carlo Mannoni non hanno abusato del loro ufficio nel voler estendere il vincolo paesistico e perché l'imprenditore Gualtiero Cualbu, il braccio destro dell'ex Soprintendente ai beni archeologici Donatella Salvi e l'ingegnere Valeria Santoni non hanno corrotto nessuno per indirizzare il voto della commissione regionale.
Si limita a citare i fatti il pm, e parte da Cualbu che, un mese prima del deposito, conosceva l'esito del processo davanti al Tar. Lo conosceva in anticipo anche l'avvocato dello Stato Giulio Steri, consigliere regionale e in quel momento difensore della parte avversaria a Cualbu, la Soprintendenza. Del resto, sottolinea il magistrato, Steri ha stretti rapporti anche con l'ex Soprintendente Vincenzo Santoni, l'unico ancora sotto inchiesta per tentato abuso d'ufficio e falso ideologico. I telefoni degli indagati erano sotto controllo, così si è saputo pure che tre giorni prima dell'udienza fissata dal Tar per la discussione sul caso Tuvixeddu Steri aveva chiamato Cualbu per presentargli un magistrato del Tar.
Insomma lo scenario non sembra limpido, anche se non ci sono reati, eccezion fatta per Santoni. L'ex Soprintendente «si era distinto all'interno della Commissione regionale sul paesaggio per una condotta contraria a qualunque forma di rivalutazione del vincolo preesistente arrivando al punto di negare falsamente la sussistenza di numerosi ritrovamenti archeologici, in realtà sottoposti solo a vincolo indiretto o addirittura privi di vincolo dopo il 1997». La figlia di Santoni, Valeria, lavorava per Cualbu ma non c'è la prova di una corruzione, nonostante prima dell'assunzione lo stesso Santoni (difeso da Pierluigi Concas) avesse manifestato rigore nel richiedere che il progetto nel suo complesso fosse supportato da uno studio di impatto ambientale.
L'inchiesta, avviata dopo le denunce di Cualbu (assistito da Agostinangelo Marras) contro Soru (avvocati Giuseppe Macciotta e Carlo Pilia) e Mannoni (difeso da Michele Schirò), ha ripercorso tutte le tappe della vicenda: quella politica con l'imposizione dei nuovi vincoli sul colle dopo il ritrovamento di nuovi importantissimi reperti archeologici, e quella amministrativa con i ricorsi, e le vittorie, di Cualbu al Tar.
E subito il pm esterna «perplessità» circa i rilievi che supportano le decisioni del Tar Sardegna e del Consiglio di Stato, prima di elencare norme, leggi e sentenze ma anche episodi, alcuni dei quali inediti. Come il sopralluogo a Tuvixeddu effettuato dai giudici del Tar: dopo, a proposito dell'esistenza del Colle della Pace, hanno scritto: non si riesce a intravedere nessun panorama né alcuno spettacolo di particolare bellezza. Sul colle di Tuvumannu il bis: la zona si presenta brulla e ha l'aspetto di una cava abbandonata circondata da alti edifici residenziali sorti in oggettivo disordine che ostacolano la visuale verso il colle di San Michele e Monte Claro e che appare priva di qualunque pregio paesistico visivamente apprezzabile. Valutazioni che «attengono palesemente al merito», secondo Caria. Come dire, non sono questioni di cui si debba occupare il Tar.
Quando sento i discorsi dei tifosi delle privatizzazioni penso ai versi di Melchiorre Murenu, e alla insofferenza descritta in quella strofa contro le “chiudende”. La chiusura delle terre - 1820 - era stata disposta nel nome della modernizzazione auspicata. Si metteva cinicamente a repentaglio la sopravvivenza dei più.
Ma la proprietà “perfetta” era il bene supremo, presupposto della crescita economica. Senza riserve. Era rimasto colpito il poeta dagli effetti del provvedimento. Un flagello quell’ “afferra afferra” che toglieva alle comunità le terre comuni senza restituire nulla. Le chiusure premiavano solo alcuni - come era stato previsto. E come riconobbe un ex viceré descrivendo le prevaricazioni (l’editto “giovò nella sua esecuzione soltanto ai ricchi e potenti”). Agli altri si negava l’accesso ai boschi ghiandiferi, ai pascoli migliori, alle fontane e agli abbeveratoi. La strofa si conclude con la nota iperbole “si su chelu fit in terra l’haiant serradu puru”. Avrebbero recintato pure il cielo casomai fosse in terra. Ma le caricature - ne sa qualcosa la satira - con il passare del tempo possono diventare inopinatamente reali, come i versi di Murenu appunto, rinfrescati dalle cronache di questi tempi. I sardi di prevaricazioni ne sanno qualcosa, tanto da immaginare che qualche anticorpo lo abbiano realizzato. Invece la storia si ripete.
I soprusi, raccontati come necessità, sono una costante. La terra sarda è stata da tempo consegnata - nelle sue parti più belle - all’uso di pochi che hanno usato dune e scogliere come piedistalli di brutte case, la vista e l’uso delle spiagge in grandi tratti sono impediti, molte proprietà demaniali sono recintate.
Ma ecco, subito dopo la decisione che privatizza l’acqua, il governo vara a Natale un decreto per la svendita di beni pubblici di pregio (tra gli altri il poligono di Capo Teulada, 70 kmq di splendidi paesaggi).
Si annunciano brutti tempi. Il 2009 si è chiuso in Sardegna con una brutta “autonoma” legge sul governo del territorio e chissà cosa ci aspetta. Nello sfondo quel verso del poeta - “se il cielo fosse in terra” - acquista una nuova luce.
Quel paradosso prende corpo. Le torri eoliche, sul mare o sui crinali, non si pigliano pezzi di cielo? Messe dove occorre per catturare il vento non alterano la vista dell’orizzonte? E a chi convengono queste moderne svendite?
Lo avevamo lungamente anticipato e la prima censura del Piano casa della Giunta Cappellacci È arrivata puntuale a meno di un mese e mezzo dall’approvazione della legge regionale n. 4 che, a detta del centro destra avrebbe fatto respirare e rilanciare l’economia isolana. Come avviene di norma il Ministero dei Beni Culturali ha notificato alla Giunta regionale che la legge così come non può trovare legittimità costituzionale e dunque o la Regione la modifica o il Governo sarà costretto ad impugnarla. Ecco allora puntuale la delibera della Giunta regionale n.54/25 del 10 dicembre scorso che interviene ad approvare un disegno di legge recante modifiche ed integrazioni al cosiddetto Piano Casa. Di solito quando si fanno le leggi seriamente le “modifiche e le integrazioni” si introducono dopo alcuni anni di applicazione al fine di adeguare alle mutate esigenze le norme in questione. Poichè questo Governo regionale e la sua maggioranza rappresentano la sintesi dell’arroganza e dell’incompetenza ecco che neppure entrata in vigore si è costretti a correre ai ripari e a correggere gli errori che avevamo lungamente denunciato.
Tuttavia Cappellacci ed Asunis continuano con la loro consueta supponenza e il testo del nuovo disegno di legge correttivo “addolcisce” i rilievi del Ministero quasi nella spasmodica ricerca di dimostrare che si tratti solo di aspetti marginali. Così non è e ve lo dimostriamo subito.
Il testo approvato dalla Giunta nel suo primo articolo introduce un nuovo comma all’articolo 11 della l.r. 4/2009 che in sostanza dice che le revisioni e gli aggiornamenti ai piani paesaggistici avvengono in applicazione delle disposizioni del Codice Urbani sul Paesaggio. Dire questo significa ammettere che senza la preventiva intesa con il Ministero non può essere modificato il PPR. Ne consegue che gli articoli 13 e 14 nonchè ogni altra disposizione che modifica il Piano Paesaggistico e le sue norme di salvaguardia non possono essere considerati applicabili prima di una revisione legittima del PPR. Perciò niente via libera a nuove lottizzazioni, modifiche dei Piani particolareggiati dei centri storici, superamento dei vincoli di inedificabilità totale nei 300 metri, modifica delle norme di salvaguardia nell’agro e cosìvia. In poche parole la “bomba” mediatica preparata dal centrodestra non era che un innocuo petardo.
Altro punto del Disegno di legge è quello che riguarda l’integrazione dell’articolo 8 dove si inserisce un comma a dir poco “bizzarro” che da un lato ammette l’inderogabilità degli standard di parcheggi corrispondenti agli incrementi volumetrici e subito dopo autorizza, qualora gli stessi non siano reperibili di fatto, la monetizzazione degli spazi destinati a parcheggi con la quale i Comuni dovrebbero così poterli realizzare in altre aree. Della serie: costruisco nel centro storico, non posso disporre di parcheggi adeguati ai volumi introdotti, li monetizzo e te li costruisco magari nella zona industriale, magari a qualche kilometro. Ne più e ne meno un’aberrazione del concetto stesso di standard urbanistico.
Il Disegno di legge correttivo per altro non dimentica le uniche cose “serie” di cui si occupa alacremente il centro destra e cioè gli incarichi e le poltrone e perciò all’articolo 2 viene definito lo stipendio degli esperti della non meglio identificata Commissione per il paesaggio. Tali esperti saranno pagati il 30 per cento di quello che percepiscono i presidenti degli enti regionali di primo livello ( Sfirs, Arst etc.) ed inoltre, senza assumersi minimamente nessuna responsabilità , avranno diritto dalla data del loro insediamento anche del trattamento di missione e rimborso spese viaggio. Mi pare una decisione semplicemente infame di fronte alla sofferenza di migliaia di famiglie che non hanno più di che vivere, non hanno più lavoro o devono perfino ricorrere alle mense della carità per vivere. Tornando al nostro argomento principale dunque, il Piano casa di Cappellacci ed Asunis per ora è come non esistesse e rimangono impregiudicati tutti i restanti aspetti di legittimità giuridica e costituzionale sollevati con competenza e responsabilità dal Procuratore della repubblica di Oristano e dal centro sinistra in Consiglio regionale. Anche su questi aspetti attenderemo con serena pazienza che si apra il nuovo confronto in Aula sul nuovo testo approvato dalla giunta regionale e in quell’occasione ci spenderemo ancora con passione ed intransigenza per far emergere la verità dei fatti, gli inganni di questa maggioranza e la necessità di rispettare sempre e comunque le regole e le competenze legislative degli altri organi dello Stato.
Alle già numerose figuracce di questo Governo regionale, dal G8 scippato, dai fondi FAS spariti, dalle crisi industriali che ci travolgono senza che si batta un colpo, dalla strada Sassari-Olbia che vedremo chissà fra quanti anni, ora si aggiunge il fallimento di un Piano casa che per fortuna non era per i cittadini sardi ma solo per qualche privilegiato che doveva essere ricompensato per i benefici elargiti in campagna elettorale. Un Governo regionale del genere forse non si era ancora visto, un decadimento della moralità pubblica così acuto neppure, tuttavia il nostro compito di opposizione deve continuare per informare e denunciare l’uso irresponsabile delle istituzioni autonomistiche di fronte alle sofferenze dei sardi e perché si ricostruisca rapidamente in Sardegna una forte coscienza civile in grado di giudicare, quando arriverà il momento del giudizio popolare, la fedeltà di chi ci governa agli impegni assunti.
Di fronte a tutto questo sinceramente non riesco a capire cosa si aspetti chi, dalle file del PD, annuncia di voler “collaborare” con questo centro destra!
Alghero. E’ nato ieri mattina in una sala affollatissima del chiostro di San Francesco il Comitato regionale per impedire lo stravolgimento del piano paesaggistico ed evitare ulteriori aggressioni speculative al territorio della Sardegna. Con questo obiettivo si è svolto il convegno che aveva per titolo “Non lasciamoli giocare con le costruzioni”, l’iniziativa promossa da Sinistra Ecologia e Libertà contro il piano di edilizia approvato dalla maggioranza di centrodestra in Consiglio regionale. Era presente anche l’ex governatore Renato Soru.
«Da una parte - spiega Carlo Sechi uno dei promotori - il comitato dovrà attivare tutte le iniziative per impugnare la legge di fronte agli organi giurisdizionali, alla Corte Costituzionale e alla Commissione Europea, perché in palese contrasto con norme di tutela sovraordinate rispetto alla potestà legislativa della Regione Sardegna. Dall’altra, è necessario informare correttamente i cittadini sulla portata delle legge, sugli effetti disastrosi nella fascia costiera, nei centri storici, nei quartieri delle grandi città e nei piccoli paesi, nell’agro e nelle borgate rurali. Spiegando perché questa legge renderà la Sardegna più brutta e più povera. Spiegando che la sua applicazione comporterà inevitabilmente una diffusa conflittualità tra cittadini in quanto, per ottenere gli aumenti volumetrici, sarà sufficiente presentare agli uffici tecnici comunali una semplice dichiarazione d’inizio attività, in deroga ai regolamenti e ai piani urbanistici comunali: comunque al di fuori delle più elementari regole di pianificazione e di rispetto degli standard urbanistici».
La manifestazione è stata aperta dai contributi della sociologa Antonietta Mazzette, da Stefano Deliperi per il Gruppo di intervento Giuridico e dall’urbanista Sandro Roggio. Alla tavola rotonda, coordinata dal consigliere regionale Carlo Sechi, hanno partecipato l’urbanista Arnaldo Bibo Cecchini, Luigi Cogodi, già assessore regionale all’Urbanistica, Renato Soru, il costituzionalista Piero Pinna e l’avvocato Giulio Spanu. «Il Comitato per la Difesa della pianificazione paesaggistica in Sardegna, appena costituito, dovrà essere aperto alla partecipazione e al contributo di quanti sentono di amare e intendono tutelare il paesaggio sardo, la più grande risorsa patrimoniale della comunità isolana». L’impegno operativo emerso dal convegno: «L’impegno di tutti, associazioni, partiti, movimenti, sarà determinante per sconfiggere un modello di sviluppo egoista e arretrato che ci pone fuori dal contesto dei paesi europei».
Al Presidente del Parlamento Europeo - “Petizione contro la legge della Regione Sardegna denominata”: Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo”.
Premesso che con la legge 9 gennaio 2006, n. 14 avente per oggetto: “ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000” l’Italia ha assunto precisi impegni internazionali per l’attuazione di politiche di tutela dei beni paesaggistici insistenti sul proprio territorio e che con decreto legislativo 22 gennaio n. 42 e successive modifiche ed integrazioni denominato “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, si è inteso applicare su tutto il territorio nazionale una disciplina uniforme ed innovativa in materia di tutela del paesaggio in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione.
La Regione Sardegna in attuazione delle disposizioni contenute nella norma in premessa ha approvato in data 7 settembre 2006 (DPGR n.82), il Piano Paesaggistico Regionale attraverso le procedure previste dalla L.R. 25 novembre 2004 n.8 e così come espressamente previsto cal Codice Urbani ha sottoscritto specifica intesa con il Ministero del Beni Culturali attestante la piena conformità con la disciplina di cui all’articolo 143 del citato Codice dei beni culturali e paesaggistici.
A seguito dell’accordo Stato-Regioni del 1 aprile 2009 in materia di Piano Casa, la Regione Sardegna ha approvato in data 16 ottobre 2009 un provvedimento denominato: “disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo” nel quale si dispone in maniera del tutto arbitraria la soppressione delle norme di salvaguardia del Piano Paesaggistico in vigore con un processo e “de-pianificazione” in deroga che prevede aumenti volumetrici generalizzati dal 20 fino al 40 per cento dei volumi esistenti anche in aree sottoposte a regime di tutela integrale o differenziata in base all’articolo 142 del Codice (aree tutelate per legge), nonché in aree sottoposte a vincolo idrogeologico.
Poiché come affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 51 del 2006 è “ il legislatore statale a conservare il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come riforme economico-sociali” e che a fronte della vigenza del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio che informa le norme della disciplina paesaggistica della Sardegna, non risultano operanti altri indirizzi del legislatore statale che autorizzino disposizioni in deroga a quelle espressamente in vigore.
Evidenziato che per specifica disposizione del Codice e per le finalità in esso contenute “ le previsioni dei piani paesaggistici non sono derogabili da parte di piano, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico” (comma 3 articolo 145 Decreto legislativo 26 marzo 2008 n. 63), e che per svariati ulteriori motivi la legge della Regione Sardegna appare in contrasto con le disposizioni del legislatore che attua un principio costituzionale di tutela del paesaggio in armonia con la Convenzione europea.
Considerato che l’eventuale applicazione sul territorio della Sardegna di dette norme regionali comporterebbe una grave ed irreversibile attività di depauperamento e devastazione del patrimonio paesaggistico tutelato dal Piano attraverso la liberalizzazione di svariate lottizzazioni in fascia costiera per volumi valutabili in circa 6 milioni di metri cubi e che le stesse norme regionali appaiono del tutto in contrasto sia con le norme statali che con quelle regionali di attuazione del Codice del Beni culturali e del Paesaggio.
Considerato che il Piano Paesaggistico adottata dalla Regione Sardegna ha avuto il pregio, riconosciuto da importanti organismi competenti, di arrestare la cementificazione delle coste e del paesaggio costiero della nostra regione e di promuovere, attraverso la costituzione di tutti i centri storici delle quali beni paesaggistici, una concreta politica di valorizzazione del patrimonio identitario, culturale ed architettonico dei nostri centri urbani.
Si chiede un pronunciamento del Parlamento europeo in ordine alle alle evidenti violazioni delle norme comunitarie e agli impegni assunti dall’Italia rispetto alla Comunità Europea in tema di tutela dell’ambiente e del paesaggio, contenute nella legge della Regione Sardegna denominata: ”:Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo”,anche per la mancata individuazione, con legge dello Stato, di principi fondamentali in questo ambito.
Si chiede, altresì, l’intervento dei competenti Comitati di esperti già costituiti ai sensi dell’articolo 17 dello Statuto del Consiglio d’Europa incaricati dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del controllo dell’applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio.
L’articolo 5 della stessa Convenzione Europea impegna gli Stati membri a riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione delle diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità; poiché la Convenzione chiede agli Stati aderenti di stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi tramite l’adozione delle misure specifiche di cui all’articolo 6 e dunque di integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio la presente petizione sottoscritta anche a nome e per conto di innumerevoli cittadini della Sardegna chiede una espressione degli organi del Parlamento Europeo sulle politiche del territorio che si avviano in Sardegna a causa di tali norme.
f.to: Gianvalerio Sanna – Renato Soru
Nell'estate del 2004 fu uno dei primi atti della giunta regionale appena eletta: divieto di costruzione entro i due chilometri dalla linea della costa. Un decreto firmato da Renato Soru, che della tutela del paesaggio aveva fatto uno dei temi forti della campagna elettorale che s'era chiusa, nel giugno di quell'anno, con la vittoria della coalizione di centrosinistra. Al primo alt agli appetiti dei cementificatori (industria edile, albergatori, immobiliaristi) Soru fece seguire il "Piano paesaggistico regionale", uno strumento di tutela senza eguali in Italia e tra i più avanzati in Europa. Tutela non solo delle zone più vicine al mare, ma anche di quelle interne, comprese le aree agricole intorno ai centri urbani e le zone collinari e montuose. Tutto il territorio regionale veniva coperto, per la prima volta, da un sistema di regole che dettavano i criteri d'interesse generale in base ai quali l'attività edilizia doveva essere svolta. Per una regione come la Sardegna, e per un paese come l'Italia, una novità epocale: il paesaggio riconosciuto come bene comune rispetto al quale l'ordine di priorità che guida le logiche degli imprenditori del mattone e degli speculatori veniva disinnescato, destituito della legittimità e della priorità che le amministrazioni pubbliche, non solo in Sardegna, le avevano sempre riconosciuto.
A caldo il commento di Soru, capo dell'opposizione in consiglio, alla decisione dell'assemblea regionale di ridare disco verde a chi all'ambiente preferisce l'edilizia di rapina è durissimo: «Noi faremo di tutto perché la legge che è stata approvata venerdì sia cancellata. Se passasse, per la Sardegna sarebbe un disastro di dimensioni storiche».
Il presidente della giunta di centrodestra, Ugo Cappellacci, dice che lei e tutto il centrosinistra fate un allarmismo ingiustificato...
Cappellacci mente in maniera spudorata. La prima bugia che dice è che la legge approvata dal consiglio regionale non è altro che l'attuazione del Piano casa nazionale. La seconda bugia è che in fondo ciò che è stato deciso è solo un aumento delle cubature finalizzato alla riqualificazione delle strutture turistiche e al risparmio energetico.
Queste cose non ci sono nelle legge regionale?
Non è questo il punto. Il punto è che la legge di fatto reintroduce nella normativa urbanistica le vecchie zone F, le famigerate zone di sviluppo turistico. In tutte le aeree costiere della Sardegna di qualche pregio ambientale, ma proprio in tutte, sono pronti progetti di lottizzazione che, con la legge della giunta Cappellacci, ripartiranno alla grande. Cappellacci e i suoi assessori cercano di far credere che il loro progetto sia solo chiudere terrazzini e scantinati e concedere agli alberghi un po' di volumetrie in più se ristrutturano in funzione del risparmio energetico. E questo purtroppo è anche il messaggio che passa nei media. Invece il vero obiettivo è un altro. E' quello di ritornare al sacco indiscriminato delle coste. E sarà una colata di cemento mostruosa, da nord a sud, dall'Argentiera ad Alghero, da Bosa a Chia, da Pula a Capo Malfatano, da Nora a Capo Spartivento, da Teulada a Olbia. Uno scempio a confronto del quale il più grande disastro ambientale subito dalla Sardegna, la deforestazione compiuta dai piemontesi nella seconda metà dell'Ottocento, che non è stata poi neanche così grande com'è stata dipinta, è una cosa da niente. Se la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra sarà attuata, la nostra generazione sarà ricordata per sempre come quella che ha irreparabilmente devastato un patrimonio ambientale e paesaggistico straordinario.
Come intendete opporvi?
Faremo tutto ciò che è possibile fare per fermare lo scempio che il centrodestra sta preparando. Ricorreremo alla Corte Costituzionale, che su queste materie si è già pronunciata a nostro favore contro il tentativo di cancellare il Piano paesaggistico. Promuoveremo un referendum regionale che dia la parola a tutte i sardi e spiegheremo che in gioco non ci sono solo aumenti di volumetria, ma la sopravvivenza di quel bene prezioso e unico che è il nostro ambiente e il nostro paesaggio, contro il quale si sta tentando di sferrare un colpo mortale.
Più cubature, anche in riva al mare Via la salva coste
«Piano casa» secondo il centrodestra, «piano cemento» secondo l'opposizione di centrosinistra. Venerdì il consiglio regionale sardo ha approvato un disegno di legge che il presidente della giunta, Ugo Cappellacci, aveva messo al centro della sua campagna elettorale, quella che nel febbraio di quest'anno lo vide correre, e vincere, contro il governatore uscente, Renato Soru.
Cappellacci promise agli elettori che una delle prime cose che avrebbe fatto sarebbe stata la modifica radicale delle norme urbanistiche approvate da Soru, quel "Piano paesaggistico" che il centrodestra indicò, durante lo scontro elettorale, come una delle cause principali, se non la principale, delle difficoltà dell'economia sarda. In una regione dove l'industria è al collasso e gli agricoltori sono strangolati dai debiti contratti con le banche, era gioco facile, per Cappellacci e soci, presentare turismo e sviluppo dell'edilizia come i toccasana per curare il crollo del pil regionale e l'impennata del tasso di disoccupazione.
Ora la promessa viene puntualmente mantenuta. C'è voluto un mese e mezzo dalla presentazione del testo della giunta e due settimane di scontri molto aspri in consiglio regionale, ma alla fine, venerdì scorso a tarda sera, l'aula ha approvato il progetto con il voto compatto di tutta la maggioranza.
Inutili i tentativi dell'opposizione di introdurre parziali modifiche. Inutile il tentativo-provocazione dell'ex assessore Gian Valerio Sanna, principale collaboratore di Renato Soru nell'elaborazione e nella gestione del Piano paesaggistico, che ha presentato un documento per chiedere ai consiglieri regionali di impegnarsi a non usufruire personalmente dei benefici della legge. Né sono serviti a molto gli interventi dei capigruppo del Pd, Mario Bruno, della Sinistra, Luciano Uras, dell'Idv, Adriano Salis. Al vice presidente del consiglio, Giuseppe Cucca, che chiedeva di mettere da parte le contrapposizioni della passata legislatura e di aprire un confronto nel merito della legge, Chicco Porcu, uno dei consiglieri più vicini a Soru, ha replicato: «Se confronto deve essere sia sulle riforme vere, a iniziare dai conflitti di interessi».
La battaglia più aspra è stata quella sull'articolo 13 della legge, che consente aumenti di cubature sino al 10 per cento dei volumi già esistenti "in strutture a finalità turistico-ricettiva" anche entro la fascia sinora protetta dei trecento metri dalla linea del mare. E questo senza la verifica prevista dal "Piano paesaggistico" attraverso il meccanismo dell'intesa preventiva tra enti locali, costruttori e assessorati all'ambiente e all'urbanistica. Un meccanismo che garantiva il controllo regionale sulla base delle norme generali dettate dal Piano paesaggistico. La cancellazione della procedura dell'intesa è uno stravolgimento palese del sistema di tutela voluto dalla giunta Soru, ma anche delle norme del Codice Urbani. Lo ha ricordato Gian Valerio Sanna. «Non si possono usare norme urbanistiche, come quelle approvate dal consiglio, per intervenire sulla tutela paesaggistica, garantita sia dal piano regionale sia dal Codice Urbani. La legge ora prevede che si potrà costruire entro i trecento metri dalla costa a condizione che venga concessa un'autorizzazione paesaggistica da parte di una commissione nominata, in pratica, dalla maggioranza. Ma non può essere concessa alcuna autorizzazione paesaggistica entro zone che sono, sia secondo la normativa regionale sia secondo quella nazionale, zone a vincolo integrale». Secondo il piano casa di Cappellacci, nelle aree non costiere gli attuali indici di edificabilità potranno essere superati del 20%, ma solamente per fabbricati ad uso residenziale uni-bifamiliare (escluse le villette a schiera), con una premialità sino al trenta per cento di volumetria in più se si ristruttura casa con tecnologie che garantiscano un risparmio energetico. Sottotetti e seminterrati potranno ottenere l'abitabilità. I cosiddetti "vuoti tecnici" all'interno della facciate, in pratica verande e terrazzi, potranno essere chiusi se non danno in facciata.
Netta l'opposizione del fronte ambientalista. Per Vincenzo Tiana (Legambiente), Fanny Cao (Italia Nostra) e Luca Pinna (Wwf) il consiglio regionale ha approvato una legge peggiorativa delle norme di salvaguardia paesaggistica: «I sardi devono essere informati che attraverso un dispositivo di legge in teoria volto a rendere possibili e più semplici piccoli ampliamenti edilizi, si vuole far passare una modifica di fatto delle norme di tutela del paesaggio».
CAGLIARI - Via libera a nuove colate di cemento sui litorali sardi. Sotto attacco la fascia di 300 metri dal mare. Almeno per possibili ampliamenti di alberghi, residence e strutture turistiche (sino al 25% delle volumetrie esistenti). Secondo il centrosinistra e gli ambientalisti, l’inversione di tendenza rappresenta un primo, durissimo colpo alla legge salvacoste varata nel 2004 dall’ex governatore Renato Soru. A dare il disco verde è stato il consiglio regionale. Il testo sull’edilizia, che in qualche misura comincia ad attuare il piano casa nazionale su scala isolana, è stato approvato ieri mattina: 39 i favorevoli, 20 i contrari, 1 astenuto. Ha votato sì l’intero schieramento di centrodestra che sostiene il presidente, Ugo Cappellacci, a suo tempo fortemente voluto da Silvio Berlusconi come candidato alla guida della giunta sarda.
L’iter del provvedimento è stato contrassegnato da un forte scontro in aula tra maggioranza e opposizione. La minoranza ha presentato oltre 400 emendamenti contro quello che ha più volte chiamato «Progetto cemento». Il centrosinistra, che nella scorsa legislatura approvò il Piano paesaggistico sardo e confermò il vincolo dell’inedificabilità nei 300 metri dal mare, ha criticato pesantemente le deroghe. Gli aumenti di cubatura potranno riguardare solo fabbricati a uso residenziale. Ma senza sopraelevazioni. E a condizione che gli ampliamenti migliorino la qualità architettonica dell’immobile, secondo quanto vagliato da una Commissione regionale ad hoc istituita con l’articolo 7 del provvedimento.
Sul patrimonio delle costruzioni in aree urbane gli indici massimi di edificabilità potranno essere superati fino al 20%. Ma solamente nel caso di fabbricati per uso residenziale uni-bifamiliare. Con una premialità fino al 30% di fronte a miglioramenti per il risparmio energetico. Gli incrementi potranno interessare anche le zone agricole. Per i centri storici dell’isola saranno invece subordinati a delibera da parte dei consigli comunali. Previsto infine il recupero a fini abitativi di sottotetti e seminterrati, tranne in aree a rischio idrogeologico.
«Profonda soddisfazione» viene espressa dal capogruppo del Pdl, Mario Diana. Mentre secondo Ance e Confindustria sarde è «un’opportunità per la ripresa dell’economia dell’isola». «È iniziata l’operazione verità: che la nostra legge sia un Piano cemento è una menzogna, semmai i cementificatori erano gli esponenti della precedente giunta»: così Ugo Cappellacci, che ieri sera ha rimandato al mittente le accuse di «deregulation selvaggia». «È una legge semplicemente vergognosa - ha invece commentato senza mezzi termini l’ecologista Stefano Deliperi, presidente sardo del Gruppo d’intervento giuridico - Riapre le coste al cemento selvaggio. Minaccia l’ambiente. Crea pericoli in zone dove già si sono verificate calamità "innaturali". Come a Capoterra, vicino a Cagliari, quando sono morte sei persone e ci sono stati danni per decine di milioni. Presenteremo perciò ricorso: le nuove disposizioni hanno profili d’incostituzionalità perché violano il codice del paesaggio».
"Si vanifica la risorsa più grande: il turismo"
(intervista a Massimo Carlotto)
CAGLIARI - «È una follia: e lo è da ogni punto di vista». Lo scrittore padovano Massimo Carlotto, che in Sardegna ha da tempo trovato nuove radici, condanna senza esitazioni la nuova legge. L’autore ha affrontato di frequente temi eco-sociali nei suoi romanzi, spesso ambientati nell’isola, come "Perdasdefogu", uno degli ultimi. Ed è quindi rimasto particolarmente colpito dalle possibilità aperte dal provvedimento varato ieri in consiglio regionale.
Perché parla di follia, Carlotto?
«Interventi del genere rischiano di compromettere seriamente le coste della Sardegna».
Con quali conseguenze?
«Prima di tutto di compromettere la risorsa che si vorrebbe tutelare: il turismo. Di fronte alle devastazioni selvagge dei litorali naturalmente i clienti dell’industria delle vacanze non potranno che andare da un’altra parte».
Come mai, secondo lei, si è arrivati a questa decisione?
«È semplice: Ugo Cappellacci l’aveva promesso in campagna elettorale al partito dei costruttori, nell’isola da sempre fortissimo. Oggi, da governatore, non ha fatto che mantenere i suoi impegni».
Pensa che la legge farà mutare connotati al turismo sardo?
«Non credo si arriverà mai a una riminizzazione dell’isola. Tuttavia il pericolo di cementificazione dei litorali è molto concreto».
Lo avevano promesso in campagna elettorale. Lo aveva detto Berlusconi che bisognava interrompere la carestia edilizia degli anni di Soru; e sembra di vederlo il suo sorriso alla notizia di un’altra Regione che ha seguito alla lettera il suo consiglio. E viene pure il sospetto che il piano casa (?) sia stato pensato con un’occhiata alle coste sarde. D’altra parte il provvedimento sardo raccoglie il massimalismo della prima proposta del premier, prendendo al volo l’occasione per dare un colpo al Piano paesaggistico.
Ogni volume edilizio nelle parti più sensibili dei litorali potrà essere incrementato senza tante storie (addirittura nella fascia dei 300metri dal mare tutelata già negli anni ‘80). Una botta da milioni di metri cubi. La casa necessità non c’entra nulla, perché questa è un’altra storia - direbbe Lucarelli. Un’altra storia del programma demagogico, sapientemente pop.
Prima si attizza l’insofferenza verso ogni forma di tutela, poi si dà il via all’azzoppamento delle regole, cambiando il Piano senza prendersi neppure la briga di fare una vera variante.
In modo improprio - dicono i giuristi. Senza remore e non stupisce. Figuriamoci se chi ha creduto di modificare la Costituzione con il lodo Alfano può esitare di fronte al rischio per la bellezza e la sicurezza del territorio. E i modi spicci piacciono. Se si potrà fare o ci saranno impedimenti si vedrà, intanto ecco la legge: la risposta in blocco alle attese di proprietari di pochi mq di terra e di altri più cospicui patrimoni.
Se poi l’interesse per il bene comune scivola all’ultimo posto nella gerarchia dei valori poco importa. Perché il danno è oltre gli effetti che si vedranno in Sardegna. La cosa peggiore è il messaggio: la tutela del bene comune è una fissazione dei soliti pessimisti che vaneggiano sul paesaggio invece di calcolare con ottimismo quanti bilocali starebbero su quel versante così tenero che si taglia con un grissino.
Disposizioni inopportune e, queste sì, antitaliane. Giungono proprio ora che si scopre il territorio malandato e vulnerabile. Le disgrazie recenti, nel Paese e anche in Sardegna, sono indizi di uno stato patologico che consiglia prudenza e il fai-da-te assecondato e blandito non promette nulla di buono. Questa indifferenza al principio di precauzione colpisce, tanto più se si leggono le dichiarazioni del presidente della Regione Sicilia che dubita sulla approvazione di una legge su questa linea in quella Regione. Chi pensa alla Sardegna come immune da rischi si sbaglia. Anche qui e dopo questa scelta avremo molti scempi sulla coscienza. Il rimorso che veniva dopo ora ci precede, notava Flaiano.
Con la presentazione da parte della giunta Regionale del Piano casa, o meglio il Piano per il rilancio dell'edilizia è ormai definitivamente chiaro, per diretta ammissione della Giunta Cappellacci, che di case, intese come abitazioni da destinare a chi non ne dispone per viverci, se ne parla molto piano, anzi per adesso non se ne parla proprio. Se ne parlerà, semmai, più in là
"Non vogliamo scaricare cemento sulle coste, in Sardegna il territorio è una risorsa straordinaria, non vogliamo disperderla né dissiparla. Non c'è nessun atteggiamento filo-cementificatore da parte nostra ma siamo convinti che l'ambiente possa essere rispettato con l'intervento dell'uomo e con uno sviluppo sostenibile. La miglior tutela dell'ambiente si ottiene proprio con l'intervento dell'uomo". Parole rassicuranti queste del Governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, pronunciate solo qualche mese fa. Note di violino per le orecchie di chi paventava terrificanti colate di cemento lungo le coste della Sardegna dopo le promesse di anti-carestia edilizia fatte da Berlusconi in campagna elettorale (d'altronde i muratori devono pur lavorare e anche.... i "liberi muratori"!).
Peccato che a distanza di così poco tempo la musica sia cambiata, con la presentazione da parte della giunta Regionale del Piano casa, o meglio il Piano per il rilancio dell'edilizia. Lo strumento più idoneo ad eseguire la nuova melodia e ad estrarne la musicalità più profonda ora appare il pianoforte (Piano Casa - Forte Village) essendo ormai definitivamente chiaro, per diretta ammissione della Giunta Cappellacci che di case, intese come abitazioni da destinare a chi non ne dispone per viverci, se ne parla molto piano, anzi per adesso non se ne parla proprio. Se ne parlerà, semmai, più in là. La priorità ora è data dall'esigenza di assegnare i premi di cubatura aggiuntiva, fino al 40%, per costruzioni e ricostruzioni, ai resort e agli alberghi che insistono sulla costa anche, e forse soprattutto, entro la fascia di 300 metri. D'altronde i muratori (soprattutto quelli "liberi") devono pur lavorare.
Così pure deve lavorare il gruppo che fa capo al presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, la stessa che ha avuto in gestione per dieci euro a metro quadro l'ex Arsenale Militare della Maddalena per trent'anni, poi diventati quaranta per ripagarla del danno subito dalla Mita Resort, per l'appunto azienda del gruppo Marcegaglia, a causa del trasferimento del G8 all'Aquila (vedi l'articolo " G8 affare privato" nel settimanale L'Espresso del 30 giugno 2009). Alla Sardegna e ai sardi quale risarcimento è stato invece riconosciuto per lo scippo del G8? Lo scippo dei fondi FAS! Quei fondi che, per dirla come il segretario del PD Franceschini, il ministro Tremonti utilizza come un suo personalissimo bancomat.
La Mita Resort gestisce a Santa Margherita di Pula il Forte Village, uno dei principali resort europei, un complesso composto da 7 alberghi, 21 ristoranti, spazi e servizi ricettivi di grande prestigio. Si potrebbe mai negare al Forte Village, la cui gestione fa capo al presidente della Confindustria, una bella premialita' in termini di consistenti volumetrie aggiuntive?
Si potrebbe mai negare questo al presidente della Confindustria, invitata dal premier Berlusconi a diventare il vice presidente del Consiglio? "E' il ministro honoris causa all'attuazione del programma. Dato che non ho un vicepresidente del Consiglio mi piacerebbe che Emma potesse venire a farlo. Siamo sempre andati d'accordo", ha detto Berlusconi parlando di Emma Marcegaglia all'assemblea degli industriali di Monza, grato dell'invito rivoltogli dalla presidente nazionale degli industriali italiani ad "andare avanti" e a "fare le grandi riforme di cui ha bisogno questo Paese, evitando le polemiche".
No, non è neppure pensabile di poter negare ad un supporter così autorevole del Governo, come pure agli altri imprenditori sostenitori del "Governo del fare" e della Sardegna da edificare, qualche premialità volumetrica nelle attività immobiliari di suo interesse. Basterà approvare una legge regionale che, come ha commentato Renato Soru, "favorirà pochi, darà un contentino a tanti, ma in futuro ci impoverirà tutti".
La Sardegna ha potuto andare fiera del proprio il Piano paesaggistico varato dalla giunta Soru, considerato una delle esperienze di pianificazione più interessanti in Italia e in Europa, sia per il carattere pionieristico, essendo il primo piano paesaggistico approvato secondo le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia per essere stato concepito e costruito in maniera coerente ad un più generale modello di sviluppo e di crescita economica. Ha goduto della considerazione nazionale e internazionale avendo il Piano paesaggistico acquisito, a livello europeo, una valenza di "best practice" da prendere ad esempio, a cui guardare con interesse. Se il piano casa/piano per l'edilizia dovesse passare così come l'infeudata Giunta di centrodestra propone, la Sardegna potrebbe retrocedere al livello di "bad practice" se non, addiritura, di "worse practice".
Con le coste sature di costruzioni la sopravvivenza economica del modello di sviluppo esistente in molte zone costiere, lungi dall'essere valorizzata, sarebbe certamente compromessa e progressivamente impoverita.
Le ultime notizie giungono dalla Sardegna. L´assalto alle sue coste, fra le più belle del Mediterraneo, non arriva più soltanto dai costruttori di complessi edilizi, finti villaggi, seconde e terze ville, ma direttamente dal mare. Sulla costa del Sinis, nella provincia di Oristano, precisamente davanti al litorale di Is Arenas, Su Pallosu e S´Archittu dovrebbe, infatti, sorgere una centrale eolica composta da 80 torri off shore, alte 130 metri (100 sopra il pelo dell´acqua), in uno spazio marittimo di circa 22 milioni di mq, a una distanza fra 2 e 8 chilometri dalla costa. Ne sarebbe devastato il paesaggio, il turismo, la pesca, tre fra le maggiori fonti di ricchezza dell´Isola.
Sarebbe questa la seconda centrale eolica off shore installata in Italia, dopo quella nel mare di Termoli, al confine tra la Puglia e il Molise, che suscitò non poche proteste. Ora, sulla spiaggia sarda qualche migliaio di persone hanno dato vita nei giorni scorsi a una manifestazione per chiedere che il Demanio marittimo neghi l´autorizzazione ma i precedenti lasciano poco spazio all´ottimismo. Nelle delibere dei consigli comunali e nelle convenzioni regionali fa testo, infatti, una assurda sentenza del Tar della Puglia che ha dichiarato «irricevibile» un ricorso contro un impianto eolico, in quanto impianto, opere connesse e infrastrutture sarebbero realizzazioni di «pubblica utilità, indifferibili ed urgenti». Abbiamo chiesto agli organizzatori della protesta sarda (Amici della Terra e Gruppo d´intervento giuridico) quale sia l´impresa interessata alla costruzione ma l´unica sigla che hanno reperito corrisponde ad una non meglio precisata Arenas Renewables Energies, controllata da un´altra ignota società, residente nel Liechtenstein.
Probabilmente, dunque, una delle solite scatole vuote, domiciliate in un paradiso fiscale, da dove possono operare nella più tranquilla opacità. In questo caso, come è già avvenuto, potrebbe anche darsi che, una volta ottenuta la concessione, la società del Principato la rivenda al migliore offerente, realizzando sicuramente un buon guadagno. In Italia l´autorizzazione a costruire e a gestire un parco eolico rappresenta, infatti, uno degli affari più lucrosi e privi di rischi offerti dal mercato drogato di questa specifica voce dell´energia pulita. Il livello di rendita, procurato dagli incentivi in Italia (pagati dagli utenti nella bolletta) è di gran lunga il più alto fra tutti i Paesi dell´Unione europea, circa 100 euro per MWh (megawatt ore) per sito eolico medio, mentre in Germania è inferiore ai 10 euro e in Spagna non arriva a 20 euro. L´onere fra dieci anni graverà sulle bollette delle nostre famiglie e imprese per 7 miliardi di euro. Questo spiega la corsa che sta spingendo non solo regolari imprenditori italiani e stranieri ma anche speculatori di ogni risma compresa - come provano inchieste della magistratura in Sicilia e Calabria - la criminalità organizzata, alla costruzione di migliaia di torri eoliche dal Sud al Nord, anche laddove il vento non soffia regolarmente e forte, come occorre per raggiungere un livello minimo di efficienza.
Alla fine del 2008 risultavano già in esercizio 3.640 torri eoliche. Se si considerano quelle in costruzione, quelle già autorizzate e quelle in istruttoria si arriverebbe nei prossimi anni ad una selva di 50.560 dalle Prealpi alla Sicilia, dai colli della Toscana alle coste dell´Adriatico e del Tirreno. Dovunque ci sia ancora un po´ di spazio. Il profilo dell´ineguagliabile paesaggio italiano ne uscirebbe deturpato. E tutto questo non certo per darci almeno una quantità consistente di energia pulita, visto che tutti i dati, sia presentati dal governo che dagli «imprenditori del vento», affermano che se oggi l´energia eolica rappresenta solo lo 0,25% dei consumi energetici, nel 2020, pur triplicata, arriverà al massimo a coprire l´1,3% dei consumi elettrici complessivi. E per una simile inezia il volto dell´Italia dovrebbe essere sconciato?