É tutto un po' più chiaro dopo lo spot del pubblicitario ingaggiato da Cappellacci. Il percorso avviato con il titolo “Sardegna nuove idee” arriva all'atto ultimo o penultimo della commedia del berlusconismo esportato in periferia. La stessa mistificazione: atti di governo giusti e buoni per tutti e invece convenienti per pochi o per uno solo. Così le “nuove idee” per il governo del territorio, indicate come la panacea dei nostri mali, servono in realtà a rendere più agevole la manomissione dei nostri paesaggi.
Si veda nel sito della Regione il polverone di pagine, con spezzoni di concetti condivisibili, richiami alle pratiche di governance, prove di partecipazioni guidate, eccetera. Ma con quel rimando forte e chiaro alle vecchie idee per cui si annullano le premesse: il piano-casa1 (artt. 12 e 13 legge 4/09), rilanciato con il temerario piano-casa2 (e infatti bocciato dai franchi tiratori nel 2010), e ora il piano-casa3, e immaginiamo una quarta versione.
Aspettavamo che parlasse uno studioso più o meno autorevole, per spiegare la necessità delle manovre attorno al Ppr. Ma di conclusioni scientifiche di consulenti-esperti neppure l'ombra, meglio la pubblicità gratuita (nel senso che la paghiamo noi: comunque la pensiamo).
Neppure un accenno al contenuto delle regole in costruzione. Solo il lirismo appiccicoso pensato per consumatori sprovveduti: occorre persuadere che il governo regionale lavora per liberare tutti i sardi dal maleficio del Ppr, dai vincoli che hanno reso la loro vita un inferno, e dove la prosa prende il posto della poesia la Sardegna sembra la Striscia di Gaza (“oltre un milione e trecentomila sardi vive sotto un vincolo paesaggistico !”). Ecco il dramma del popolo sardo. Non sono le facce stanche e tristi dei cassintegrati e dei pastori in lotta a turbare il sonno di Cappellacci, ma le limitazioni subite dai palazzinari ai quali soprattutto si rivolge il sedicente messaggio istituzionale. Per conquistare il consenso, anzi l'applauso per "il gusto pieno della vita” che ci verrà restituito, basta la promessa: un pezzo di terra/una casa (per evitare che i divieti si traducano in giustificati abusi edilizi).
Ti faccio immaginare che farai come ti pare sapendo che non sarà possibile accontentare tutti, pure quelli che – visto che ci siamo – vorrebbero farsi la casa in 500 mq nella campagnetta frazionata di nonno. Così la civile ma impopolare previsione del Ppr si trasforma in temporaneo consenso.
Lo stesso messaggio che da Palazzo Chigi si manda agli insofferenti verso ogni regola. Il trionfo di un' idea regressiva della democrazia che applicata al governo del territorio lascia segni per sempre: e nella scia delle casette le grandi speculazioni in attesa.
Capiremo presto il senso di questa improvvisa accelerazione. Vedremo la deregolazione urbanistica in tre mosse, forse quattro. Nuovo piano-casa, legge sul golf, e un colpo al Ppr: basta depotenziarlo in tre o quattro punti, per non contraddire i nuovi provvedimenti. Non è difficile capire che una legge ordinaria non può modificare le disposizioni di uno strumento convalidato dallo Stato per via del Codice dei beni culturali. E quindi avanti alla rinfusa, temo: approderanno a qualcosa che creerà scompiglio e contenzioso, un cortocircuito di cui qualcuno saprà approfittare. C'è solo da sperare che si facciano sentire gli elettori della destra: molti di loro sanno che la tutela della bellezza del Paese non è una ideologia di parte ma un punto fermo in Europa. Un impegno che viene da lontano, troppo disatteso in Italia, ma che comincia, appunto, con Croce e Bottai.
Nota: sul medesimo argmento si veda qui anche l'articolo di Antonietta Mazzette
Di seguito, riproponiamo l’inserzione a pagamento pubblicata a cura della Regione Autonoma Sardegna su due pagine, nei quotidiani L' Unione Sarda e La Nuova Sardegna di domenica 11 settembre 2011
Domande e risposte
Domanda: ma è vero che vogliono cancellare il PPR per fare in modo che si torni all'assalto delle coste e alla distruzione del nostro patrimonio paesaggistico? Risposta: qualche volta le domande più semplici nascondono le paure più grandi. Queste paure sono alimentate da notizie imprecisi, da pregiudizi o da poca informazione. Ma non c'è niente di più semplice che raccontare le cose come stanno. Per poterle verificare e capire che chi vive di paure non è libero. Il paesaggio è di tutti noi, ancora di più è in tutti noi. E' nel nostro cuore, nel nostro modo di essere. Nelle vacanze al mare da bambini, nel bosco delle nostre gite, nella vigna di nonno all'imbrunire, nei campi gialli dell'afa estiva, nelle chiese della domenica mattina vestite di nebbia, nei vicoli stretti dietro casa di paese, nella vista che ti sembra di essere in una cartolina se non fosse per il maestrale che ti lascia senza fiato.
La Sardegna è il suo paesaggio, come ciascuno di noi è il suo volto, con gli occhi grandi e il naso storto, i capelli scuri e la pelle olivastra. Il paesaggio è identità. In questi anni si è fatto molto perché ce ne rendessimo conto. Indietro non si torna. Ma si deve andare avanti. Oggi le regole fatte per il paesaggio lo hanno intrappolato in una fotografia destinata a sbiadire. Perché non possiamo bloccare l'evoluzione della vita, e con essa l'evoluzione del paesaggio. Ma vivere, ed evolvere, con le regole attuali non è possibile. Oggi oltre un milione e trecentomila sardi vive sotto un vincolo paesaggistico.
La stragrande maggioranza di questi (e siamo noi) neanche lo sa. Ce ne accorgiamo quando magari dobbiamo cambiare gli infissi della nostra casa, o rifare il tetto con tegole fotovoltaiche per risparmiare qualche euro salvaguardando l'ambiente, o quando pensiamo di chiudere una veranda perché in cameretta i ragazzi non ci stanno più. Ce ne accorgiamo quando per trovare una bottiglia di acqua fresca sotto l'ombrellone dobbiamo tornare a prendere la macchina e cercare un bar da qualche parte, ma non so dove. Ce ne accorgiamo quando leggiamo che i turisti non vengono più in Sardegna perché preferiscono gli alberghi con i servizi adeguati in Croazia piuttosto che in Marocco. Ce ne accorgiamo quando i nostri figli stanno ancora a casa perché non ne possono avere una per loro, perché un bivano costa trent'anni di un lavoro che non c'è e il valore di una nuova casa sale anche se nessuno la compra, perché tanto sarà sempre più difficile costruirne altre.
Ce ne accorgiamo quando vediamo in tv le immagini delle villette sequestrate perché totalmente abusive, perché quando tutto è vietato e non c'è nessuna direzione verso cui andare, prima o poi qualcuno sfonda il recinto. Le regole di oggi vietano e bloccano. Ma allora non sono regole: sono divieti e blocchi. Vogliamo avere invece un insieme di regole efficaci e chiare, conosciute e condivise, che siamo una via per lo sviluppo e una speranza per il futuro. Ciò che vogliamo tutelare è il paesaggio, non le leggi sul paesaggio. Tutelare non è vincolare, come educare non è inibire. Vogliamo che i nostri figli e i loro figli e ancora dopo i figli dei loro figli nascano, crescano, conoscano e portino dentro di sé quella Sardegna che noi abbiamo conosciuto, libera e forte nel suo aspetto come nel suo cuore, che sa difendere la sua bellezza ma che rimane vitale e capace di aprirsi al mondo senza perdere la sua identità e la sua storia. Vogliamo essere al passo con il nostro tempo, ma proiettati nel futuro, non girati a rimpiangere il passato mentre cerchiamo di fermare il tempo.
Vogliamo sapere prima di fare le nostre scelte quali sono i modi e i tempi per realizzarle, senza dover sottostare all'incertezza di una burocrazia fatta di sabbie mobili e della politica delle intese fatte per simpatia o tornaconto. Per qusto abbiamo riscritto alcune regole, più semplici da leggere e da applicare, per questo abbiamo messo a disposizione strumenti moderni per far conoscere a tutti cosa sia da tutelare e cosa da vincolare, cosa da salvaguardare e cosa da trasformare. Il PPR è nato pensando che la Sardegna fosse una terra che doveva essere difesa dal popolo che la abita; lo abbiamo voluto riscrivere perché invece crediamo che sia quel popolo, tutto il popolo sardo, di qualunque colore sociale e politico, che voglia difendere la terra in cui vive per affidarla ai figli più bella e più forte.
Le insuperabili epistole di Totò alla malafemmina (“Siamo noi con questa mia a dirvi”, “chiudi la parente”) e di Benigni e Troisi a Savonarola? Superate. Perché nella lettera che il governatore della Sardegna Ugo Cappellacci sta pubblicando un giorno sì e l’altro pure sul quotidiano l’Unione Sarda, la realtà vince su qualsiasi ispirazione cinematografica. Due pagine piene pagate con i soldi pubblici per spiegare ai cittadini che il piano paesaggistico regionale va cambiato e che è già pronto il nuovo. È un suo vecchio cruccio fin dai tempi della campagna elettorale: in Sardegna divieti di qua, divieti di là, non si vive, e soprattutto, non si costruisce più. E allora eccola, la sua disamina. Cappellacci inizia bucolico: “Il paesaggio è di tutti noi, ancora di più è in tutti noi”, come dimenticare “la vigna di nonno all’imbrunire”, che “lascia senza fiato”, in un nostalgico tensivo. Però. C’è il però.
“Non possiamo bloccare l’evoluzione della vita. E con essa l’evoluzione del paesaggio”, scrive il Cappellacci darwiniano. “Ma vivere, ed evolvere, con le regole attuali non è possibile”. La maggior parte di queste regole, puntualizza, i sardi neanche le conoscono. “Ce ne accorgiamo – scrive accorato – quando pensiamo di chiudere una veranda perché in cameretta i ragazzi non ci stanno più”. E che nessuno insinui che il governatore vuole fare solo gli affari degli immobiliaristi che premono sulla costa, che vuole svendere ai privati uno dei pochi patrimoni naturali che sono rimasti. Che Cappellacci ambientalista è: “Ce ne accorgiamo quando dobbiamo rifare il tetto con tegole fotovoltaiche per risparmiare qualche euro salvaguardando l’ambiente”. Sembra di vederlo, Cappellacci, seduto alla scrivania, penna in mano, mentre pensa: “Che faccio, ce la metto la storia della bottiglietta d’acqua? Secondo me funziona”. E via: “Ce ne accorgiamo quando per trovare una bottiglia di acqua fresca sotto l’ombrellone dobbiamo tornare a prendere la macchina e cercare un bar da qualche parte ma non so dove”.
Non si capacita proprio come sia possibile non avere uno stabilimento ogni metro di costa, che la spiaggia incontaminata sarà pure bella, però vuoi mettere Rimini. “Ce ne accorgiamo – prosegue – quando leggiamo che i turisti non vengono più in Sardegna perché preferiscono gli alberghi con i servizi adeguati in Croazia piuttosto che in Marocco”. E poi, senza dimenticare ovviamente le case sarde che costano trent’anni di lavoro perché non se ne possono costruire di nuove, il climax: “Ce ne accorgiamo quando vediamo in tivù le immagini delle villette sequestrate perché totalmente abusive, perché quando tutto è vietato e non c’è nessuna direzione verso cui andare, prima o poi qualcuno sfonda il recinto”. Ha scritto proprio così: “Totalmente abusive”, e “uno prima o poi sfonda il recinto”. Come a dire: con queste leggi è normale che uno sia portato a delinquere, perché “le regole di oggi vietano e bloccano. Ma allora non sono regole: sono divieti e blocchi”.
Ora mezza Sardegna si sta chiedendo chi abbia scritto la lettera, se sia totalmente farina del suo sacco o se abbia assoldato un consulente, e quale delle due sia l’ipotesi peggiore, e questo è il lato comico. Se non fosse che la storia è serissima: “Dietro ci sono affari miliardari, interessi di immobiliaristi che hanno già l’ombra delle mani sulla costa e sul paesaggio e che non aspettano altro che il pronti via”, tuona Maria Paola Morittu di Italia Nostra. “Quanto è costata la lettera?”, si agitano le opposizioni, come se il problema fosse solo questo. Più lucido Gian Valerio Sanna, del Pd: “La lettera contiene un’apologia di reato. Ma la modifica del PPR era una promessa che lui deve ai suoi grandi elettori immobiliaristi e che in un anno e mezzo non era riuscito a fare”. Le due pagine portano in basso un inquietante “numero 1”. Per la serie: to be continued.
Nota: il testo integrale dello spot a carico del contribuente l'abbiamo allegato al commento di Sandro Roggio (f.b.)
Domanda. Perché la Giunta regionale ha pagato, con i nostri soldi (del popolo sardo tanto richiamato), ben due pagine dei maggiori quotidiani sardi?
Risposta. Non per fare una comunicazione istituzionale, bensì per esprimere la sua opinione su che cosa essa intenda per regole e per paesaggio. In soldoni vuol dire, ahimè, che le regole sono un abuso e un attentato alla nostra libertà, e che il paesaggio è un bene privato di cui ognuno può fare quel che più gli aggrada.
Non mi soffermo sulle definizioni di “paesaggio”apparentemente ingenue, quali, “il paesaggio è di tutti noi, ancora di più è in tutti noi … nel nostro cuore”, e altre amenità simili. Neppure lo studente più sprovveduto potrebbe dare del paesaggio queste definizioni perché sarebbero la dimostrazione di non conoscere neppure gli elementi rudimentali della materia “Paesaggio” e che in Italia ha avuto una lunga maturazione culturale e un altrettanto lungo iter normativo: dalla legge “Rosadi-Croce” del 1922 alla Legge Galasso del 1985; dalla Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 al Codice dei Beni culturali e del paesaggio, noto come Codice Urbani, del 2004. Il PPR approvato durante il governo Soru non è stato altro che la conclusione logica di questo lungo processo, in linea peraltro con le esigenze di tutela del paesaggio, in quanto oggetto urbanistico, più volte richiamate dall’Unione europea.
Ma non facciamoci ingannare, queste semplificazioni e apparenti ingenuità sono finalizzate ad alimentare in ognuno di noi la convinzione che chi interviene a favore della tutela rigorosa e non derogabile del territorio, è il vero nemico dello sviluppo, dell’occupazione, del turismo e quant’altro. Da quando Cappellacci presiede questa giunta, questo fine è stato perseguito con costanza e ostinazione, si potrebbe persino dire che questa sia stata la vera mission (speriamo impossibile) di detto governo regionale. Fine ripetuto in più occasioni: dai permessi di costruire nelle aree più pregiate dell’Isola – da Capo Malfatano a Badesi -, alla benevolenza con cui si è guardato all’abusivismo in diverse parti della Sardegna, mi riferisco a quello più recente e che continua imperterrito a riprodursi, nonostante sia in vigore il Piano Paesaggistico Regionale. D’altro canto, l’infausto Piano casa – qualunque sia l’edizione, proroga compresa -, non è stato forse il manifesto ideologico principale utilizzato a questo fine, insieme alla cosiddetta revisione del PPR?
Se la Giunta Cappellacci avesse voluto fare per davvero Pubblicità Istituzionale, e non bassa propaganda di parte, avrebbe dovuto utilizzare queste pagine per dire con chiarezza quali sono queste “regole, più semplici da leggere e da applicare” e, magari, sulla base di questa informativa, aprire un serio dibattito con noi, “Popolo sardo”, sul paesaggio e che cosa si debba intendere con questo termine, e perché no, sullo sviluppo possibile e durevole di questa nostra disgraziata terra (disgraziata, beninteso, non per cause naturali).
postilla
Torna il linguaggio furbesco degli sponsor di quei distruttori delle coste della Sardegna che si sperava fosse scomparso, dopo le denunce di Antonio Cederna e delle persone di buon senso di tutto il mondo e, soprattutto, dopo la gloriosa stagione di Renato Soru. Ma anche in Sardegna i saccheggiatori del bene comune sono tornati trionfalmente alla ribalta. Adesso hanno conquistato le istituzioni, e il "pubblico" è diventato lo strumento del peggiore e più losco "privato": quello dei distruttori della bellezza, del futuro, e perfino della decenza.
La crisi del turismo e la condanna a morte del sistema insediativo minore – dallo spopolamento più che dalla manovra del governo – sono questioni che stanno insieme. E andrebbero trattate insieme, con decisione: il momento non consente il punto interrogativo nel titolo – quale futuro? – dello stesso dibattito da quarant'anni. Non mancano le visioni coraggiose sul turismo, ma in genere l'approccio è titubante e rituale. Nessuno sa più di tanto sul fenomeno – molto aleatorio – e d'altra parte la confusione rende più facile il grande o piccolo affare mentre il frullatore omogeneizza tutto nel mercato delle vacanze: gelatai e palazzinari, albergatori e faccendieri.
Dovremmo ammettere che non ce l'hanno detta giusta. Perché c'è qualcosa che va oltre le difficoltà globali. Il turismo avrebbe segnato la svolta, e invece eccoci qua. Ci hanno detto che avrebbe prodotto benessere e bellezza e invece solo qualcuno si è arricchito e la bruttezza è diffusa e socializzata; che ci avrebbe collegati facilmente con il mondo e invece abbiamo meno navi; che le filiere si sarebbero evolute e invece è il tripudio di congelato dell'Atlantico in ogni mensa. Abbiamo immaginato la stagione lunga e invece si sono allargate le schiere di case vuote a prezzi inarrivabili per le giovani coppie.
L'occupazione nel turismo è di 40/50 giorni: per fare un anno di lavoro ci vogliono dieci estati. Meglio di nulla, dicono nei centri delle ferie dorate, dove la Caritas è più attiva che altrove. Il Pil relativo al turismo è poca roba e dovremmo leggerlo in confronto ai costi elevati della metropoli turistica sparpagliata, energivora e dissipatrice, a regime per un un mese e mezzo. Poi c'è il capitolo del quanto sfugge al fisco.
Meno arrivi, meno presenze, meno tutto, e i dati peggiori sono ovviamente nei luoghi più marginali e inaccessibili senza mezzi propri. Le ragioni della crisi sono confuse, ma qualcosa si capisce nell' incerto complesso di cose, come nella canzone di Paolo Conte. La Sardegna ha prezzi inammissibili, come se la rendita del metroquadro costituisse ormai il modello: come spiegare altrimenti un chilo di ravioli a 28 euro? E se fosse che l'isola ha perso fascino perché la “troppa Sardegna” – secondo Giuliano Amato – è una sceneggiata mediocre, invadente, debordata oltre le marine dei vip? E se fosse che le risposte deprimono i mercati – come si dice oggi ? (se le istituzioni locali chiamano Briatore a consulto vuol dire che siamo molto vicini ai riti propiziatori per l'estate che verrà).
Racconti ingannevoli da decenni. Come se avessero messo in giro bond-spazzatura, appendendo il futuro di più generazioni a una fiction fondata sul consumo dei paesaggi. E' vero: ci sono eccellenti operatori turistici, ma sono pochi e ai bordi del ciclo edilizio.
Le comunità piccole sono il pesante lato b. L'altra Sardegna: quei comuni passati per numerose avversità e sfide epocali (la formula “vidazzone/paberile” per l'uso della terra ha tenuto uniti pastori e contadini). La proposta di privarli di assemblee civiche è insensata – e infatti accantonata – , ma è servita a evidenziare il deserto che avanza oltre la scorza costiera. Ci riguarda tutti e dovunque stiamo dovremmo preoccuparci di territori senza presìdi. Di paesi privati del futuro solo perché la bassa densità abitativa non merita riguardi e servizi. Lo spopolamento, si sa, procura disservizi. Se non ci sono i numeri non vale metterci un bancomat ad Abinei, il paese-metafora di Giorgio Todde, fermo a 808 abitanti; figurarsi un maestro, un medico, un carabiniere. E più si toglie e più si fiacca l'orgoglio di stare lì, la voglia di provare a resistere senza la prospettiva di un lavoro, difficile da realizzare senza sostegno. L' umiliazione inflitta ai pastori è inaccettabile ed è un grave errore che non si vada in soccorso di quel disagio, anche con generose rinunce. E qualcuno prima o poi chiederà conto dei fondi europei pensati per aiutare le comunità più deboli e spesi per opere inutili in aree più fortunate. O la Sardegna si farà carico con ogni mezzo di salvare ogni parte dell'isola – dove sia bello vivere – o non c'è futuro. E i turisti, appunto, preferiscono i luoghi autentici e abitati con piacere.
Il vecchio Ovidio Marras guarda il grande resort della Sitas, sferzato dal vento di mare che solleva la polvere dei cantieri. Si trova proprio là, pochi metri dal suo antico furriadroxiu dove vive da una vita. I lavori di costruzione sono quasi finiti, c'è uno sfregio profondo nella natura magica di Tuerredda. Ma forse non per sempre, forse non è ancora finita.
Perchè Ovidio sorride, i suoi occhi brillano e lo sguardo si apre alimentato da un orgoglio che non si perde in facili trionfi: «Sì ho vinto io, me l'hanno detto. Adesso i padovani devono demolire...». Gliel'hanno detto ma non sa ancora tutto. Non sa che sulle pagine di Facebook è una specie di eroe dell'indipendenza sarda: quasi cinquemila link conducono alla notizia del pastore Davide che ha sconfitto in tribunale l'impresa Golia, l'alleanza fra costruttori, banchieri e finanzieri che vuole trasformare l'incanto naturale di Malfatano, sulla costa teuladina, in un paradiso per miliardari. Sul social network e sul sito della Nuova Sardegna i commenti sono segnati da grandi esclamativi di gioia: «Ovidio, sei un mito». Poi «Ovidio sei tutti noi» e «grazie Ovidio, la Sardegna è con te».
Fra opinioni in lotta e voci sparse che difendono comunque «i posti di lavoro» offerti dall'ultima grande speculazione turistico-edilizia della costa sarda, c'è chi ha postato l'immagine del pastore, quel corpo ossuto, la pelle bruciata dal tempo e dal sole, come fosse il simbolo vivente di un riscatto storico. Batman avrebbe un costume metallico e l'icona di un pipistrello sul torace, Che Guevara scruterebbe l'orizzonte dell'Avana con gli occhi tenebrosi del rivoluzionario. Ma lui è solo Ovidio di Malfatano, ha il nome di un poeta ma è nato e cresciuto a trecento metri dalle onde di Tuerredda. Un uomo di campagna che vorrebbe vivere quanto gli resta nel silenzio e tra i profumi del solo luogo compatibile con se stesso. Così l'estate la passa a torso nudo, i pantaloni appesi ai resti d'un cinto che sembra tenersi insieme grazie a un'ignota perizia artigiana: «Feis... feis.. itta esti...? No no lassaus perdiri». Allora lasciamo perdere Facebook e parliamo dell'ordinanza firmata dal tribunale di Cagliari, quella che ha disposto la demolizione dell'hotel messo in piedi dai costruttori nordisti, i nemici storici di Ovidio.
Mentre dal cantiere arrivano gli echi degli operai che mangiano e festeggiano chissà che cosa: «Quella è la strada mia - indica, in un dialetto stretto, accovacciato comodamente su una delle seggiole lillipuziane della sua dimora antica - gliel'avevo detto a novembre del 2009 che non dovevano toccarla. Il terreno è dei padovani, ma la strada è anche la mia. Allora? Ragione ho avuto?». Per i giudici sì, ha avuto ragione. Ed ora l'esecuzione dell'ordine dipende soltanto da Ovidio. E' lui che deve accendere il motore del bulldozer con una telefonata all'avvocato Andrea Pogliani, chiamato a mettere in esecuzione un provvedimento inappellabile: «Per me si demolisce - taglia corto e fa un gesto secco - solo che andava fatto prima, a novembre... E' allora che bisognava fermarli». Ed è qui, su questo ritardo sospetto e anomalo, che affiora dai ricordi dell'anziano pastore una vicenda da approfondire: quando la squadra di operai della Sitas ha piazzato il cancello sulla stradina, quella di cui Marras detiene il compossesso, la cosa non è passata liscia. Consulto familiare e subito una visita alla caserma dei carabinieri: «Abbiamo fatto la denuncia, la denuncia scritta...» ricorda Ovidio facendosi serissimo.
Poi però la denuncia è stata ritirata e in caserma è rimasta solo una fotocopia. Il perchè è confuso tra i tanti piccoli misteri che circondano questa vicenda di ordinaria speculazione, dove protagonisti e comprimari sembrano confondere i propri ruoli in base a interessi da verificare: «S'abogau - scuote la testa il vecchio pastore di Malfatano - è stato l'avvocato Paolo Francesco Calmetta di Milano a dirci che la denuncia andava ritirata». Ovidio scandisce i nomi e il cognome del legale lombardo, quasi volesse scolpirne i caratteri nella mente di chi l'ascolta: «Ce l'aveva consigliato un amico tedesco, quell'avvocato... bravo, diceva... s'è visto. Ci ha detto che non conveniva denunciare, che bisognava aspettare. Ecco qua, hanno costruito tutto e adesso va a buttare giù...».
Domanda inevitabile: perchè quell'attesa? Un ricorso d'urgenza al tribunale civile, com'è avvenuto solo un anno più tardi attraverso lo studio dell'avvocato Alberto Luminoso, avrebbe bloccato i lavori sul nascere. Poi, senza un'assenso scritto della famiglia Marras, la Sitas sarebbe stata costretta a rivoluzionare il progetto: spostare l'hotel e di conseguenza gli edifici di servizio che s'irradiano dal corpo centrale del resort. Varianti, nuove autorizzazioni, ricorsi e controricorsi: «Mai più avrebbero costruito» scuote la testa Ovidio, stringendo un po' di più la cinta sui pantaloni, più grandi di due taglie. C'è del vero nella sua riflessione semplice, che rispecchia una volontà espressa ossessivamente: «Vendere? No, io non vendo. Non vendo e basta... demoliscano, non demoliscano, io comunque resto qui». Con le sue poche pecore, un cagnetto («attenti, mussiara») nascosto sotto un vecchio attrezzo di legno e quattro gattini che volano agilissimi da un muretto all'altro alle spalle del furriadroxiu, dove c'è solo vegetazione intatta e il resort dei padovani non si vede. Da qui, da dietro la piccola casa arredata con le cose utili al lavoro, s'innalza una piccola collina da cui è possibile ammirare un panorama strabiliante: da Tuerredda fino a Malfatano dove attraccavano millenni fa le navi dei Fenici e dei Romani. Il porto della speranza che nel 2011 è minacciato da progetti di urbanizzazione, ville di lusso, edifici da offrire ai russi per fare cassa sull'ambiente.
I mattoni e il cemento, investimenti sulla morte dei luoghi e del paesaggio, pochi ricchi impegnati a cacciare dalle proprie terre chi le abita da secoli. E' contro questa minaccia, ormai realtà visibile, che il popolo di Facebook si è mobilitato e ha fatto del pastore di Malfatano il proprio eroe inconsapevole ma fiero. Il sole di mezzogiorno picchia duro su Tuerredda, dal piccolo orto del furriadroxiu si distinguono le voci dei bambini che giocano sulla spiaggia. Ovidio attraversa la porta e guarda da quella parte, dalla parte del mare. Poi va incontro agli operai del cantiere Sitas, al servizio dei padovani. Li saluta e sorride: gente che lavora, non è con loro che ce l'ha.
Su eddyburg vedi anche la denuncia di Maria Paola Morittu (Italia Nostra) che ha aperto la vertenza Malfatano, i pomodori di Ovidio e i mattoni dei padovani, e gli articoli Malfatano resort, 5 stelle di cemento e Malfatano, ultimo scempio
La Sardegna e quinta nella classifica di Legambiente sull' abusivismo edilizio. Vuol dire che se non è al primo posto poco ci manca. Il conto è presto fatto, dato che Campania e Sicilia hanno tre quattro volte tanto gli abitanti di Sardegna e pure il flusso turistico e più intenso in quelle Regioni.
Non siamo messi bene ed è meglio non minimizzare. La Sardegna brutta c'è, e tra insediamenti illegali e legittimi è proprio una bella gara. E ferma restando la condanna degli abusi, è bene dire che troppo spesso leggi e regole urbanistiche servono per convalidare scelte inammissibili.
Si legge spesso di interventi della Magistratura contro un'ondata di aggressioni al territorio, favorita dal clima che da anni mette il bene comune al margine. Gli espedienti per eludere vincoli e scansare autorizzazioni non si contano, la posta in gioco è rilevante e, come vediamo dalle cronache recenti, ci sono spesso complicità autorevoli. Colpiscono i casi di Arzachena e Olbia, ma non sorprendono. Spiegano il clima afferra-afferra. Il piatto è ricco. Con i paesaggi che ci ritroviamo si va sicuri, metti uno e prendi sei, se va male, ma molto di più se ci sai fare. A basso investimento (il costo di costruzione più di tanto non cresce anche con l'impiego di pregiati materiali) corrisponde un utile inimmaginabile con altre imprese.
Il valore – è bene ricordarlo – è dato da quel quid che mettiamo noi, il paesaggio non de-localizzabile. Eppure verso la manomissione dei luoghi – del paesaggio di tutti – c'è tolleranza da parte dell'opinione pubblica, come verso gli evasori fiscali.
Preoccupa oggi la forma assunta dall'abusivismo, il numero di “lottizzazioni scoperte per caso” nelle coste. Case che passano per attrezzature agricole ma con vistamare, piscina e prato verde, denominatore comune di casi in costa ogliastrina, in quella gallurese, in quella algherese, in quella di Quartu. Nei baluardi del turismo ti aspetteresti un'alta vigilanza a presidio della risorsa su cui si fonda il futuro. D'altra parte il trucco è lo stesso, come nel gioco delle tre carte nella rambla di Barcellona o nei vicoli di Napoli. Numerose sentenze spiegano il reato, evidente prima di materializzarsi già nella fase del frazionamento del suolo (la lottizzazione “cartolare”).
Ecco, se gli azzardi sono tanti e così scoperti vuol dire che l'idea di farla franca si è diffusa.
Per questo è urgente dare segnali di grande fermezza nelle amministrazioni locali, per mettere fine a questi intrecci di disorganizzazione, indifferenza, connivenza (a proposito del responsabile dell'edilizia privata di Arzachena che concorre a un abuso). E' un compito della politica che spesso è stata in grado di reagire. Inammissibile, ad esempio, che le città ad alta tensione edilizia, come Olbia e Alghero, abbiano vecchissimi piani urbanistici aggiustati nel tempo, mai adeguati alle disposizioni degli ultimi decenni. Su questo prima di tutto e la sfida: lasciare l'idea che il territorio sia privo di un governo e di un progetto è un danno per tutta la comunità sarda.
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La Destra italiana è così. Mentre l'Italia è divorata da una crisi dura e incalzante su questioni drammatiche, il Parlamento si occupa delle leggi per B. In Sardegna il sistema produttivo è alla deriva e la miseria si vede dappertutto, ma molte energie sono spese per smantellare il Piano paesaggistico, una conquista per cui va alla Regione un plauso di organismi internazionali.
Lo schieramento di Berlusconi in Sardegna (non di Cappellacci: di Berlusconi) aveva annunciato in campagna elettorale, con toni estremisti e qualunquisti, l'intendimento di cancellare le principali disposizioni di tutela del PPR, e nella foga anche i più moderati (come l'ex ministro Beppe Pisanu) avevano usato parole forti contro le scelte del governo di Renato Soru. Nel proseguo, annunciata dalle dichiarazioni programmatiche del nuovo presidente, la demolizione del sistema di salvaguardia del PPR è stata descritta con cenni confusi, stile Cetto Laqualunque. Il Piano casa ha poi posto le premesse per dare un primo colpo, in un paio di articoli appositamente dedicati alla revisione dello strumento (norme davvero intruse, come si dice). Un disegno di legge correttivo del Piano casa (fortunatamente bocciato) conteneva la prova di un sospetto fondato: per modificare il PPR si immaginano scorciatoie e espedienti per dare risposte rapide e con azzardi come quello di resuscitare lottizzazioni abrogate dal PPR, con effetti terribili nelle aree di maggiore pregio.
Poi, secondo il copione, è iniziata la commedia, la solita: nello sfondo parole che fanno immaginare un esito nell'interesse di tutti avendo in mente l'obiettivo di produrre vantaggi per una parte. Così è stato dato il titolo ammiccante “Sardegna nuove idee” a una serie di iniziative propagandistiche con l' immancabile slogan “partecipazione e condivisione”. Facilitatori di parte all'opera e il bisogno di dare coperture all'azione (si è pure detto della partecipazione delle università sarde, mai confermata ma neppure smentita). “Diteci – sindaci dei comuni costieri – cosa volete cambiare nel punitivo PPR di Soru”. Ecco il metodo liquido, il governo regionale attende la lista delle richieste dalla base per fare risultare una massa di dissenso su cui fare leva. Un modo rozzo e demagogico: il governo non dice la sua idea di riforma in modo articolato e lascia ampi margini di ambiguità a partire dal solito concetto della Regione di Soru prevaricatrice di interessi locali.
Da una parte si pensa di mettere in moto il Piano casa – per le urgenze – e si capisce che la strada è in salita (1). Dall'altra si pensa di fare la variante, ma anche questa strada è in salita (2).
La salita 1 incontra ostacoli come la sentenza del CdS (Tuvixeddu) e una recente ordinanza dei giudici amministrativi (sulla applicazione del Piano casa in fascia costiera di Costa Smeralda) che spiegano che il PPR è solido tanto più a fronte di disposizioni regionali inammissibili (e forse incostituzionali) verso uno strumento che deriva da una legge statale e copianificato con il Ministero dei BBCC.
La salita 2 prevede il procedimento ordinario di variante al PPR che appunto si vorrebbe sgravato dalle faticose incombenze, come la ineliminabile azione di copianificazione con gli organi del Ministero BBCC, e della partecipazione delle associazioni ambientaliste, tutto previsto dal Codice Urbani. Un percorso obbligatorio nel quale si dovrebbe spiegare con argomenti scientifici la ambita cancellazione di vincoli a tutela di beni paesaggistici come la fascia costiera accuratamente definita/motivata nei documenti del PPR. Le aree più vicine al mare sono il luogo della contesa di sempre, specie l'ambito dei 300 metri, vera ossessione dei palazzinari che fanno i conti sugli investimenti in questa straordinaria ubicazione.
Ci proveranno con ogni mezzo e con chissà quante sbandate e al di là del buon senso. Il risultato, temo, non proverrà dal dibattito politico, dal confronto pure aspro su differenti idee di governo del territorio. Sarà una contesa tutta nel versante giuridico per via di forzature alle leggi, di disinvolte procedure piegate alle necessità di pochi. E' evidente che sempre più spesso gli scontri sui temi delicati arrivano nelle aule dei tribunali. La linea del governo regionale sardo potrebbe essere – in accordo con la linea romana – quella di andare allo scontro oltre le leggi. Il progetto berlusconiano che fa strame della legalità è ormai un dato acquisito.
È di strategica importanza la sentenza con la quale la VI sezione del Consiglio di Stato, presidente Giuseppe Severino ha bloccato (per sempre, si spera) i 260 mila metri cubi di cemento nel cuore di Tuvixeddu (Cagliari). Così ne parla il Gruppo di Intervento Giuridico, uno dei ricorrenti al Consiglio di Stato: “il Colle di Tuvixeddu, dentro la città di Cagliari (quartiere di Sant’Avendrace) è la più importante area archeologica sepolcrale punico-romana del Mediterraneo, con utilizzo fino all’epoca alto-medievale. Oltre 1.100 sepolture, alcune con pareti dipinte, scavate nel calcare in un’area collinare digradante verso le sponde dello Stagno di Santa Gilla. Residuano alcune testimonianze di “vie sepolcrali”, quali la Grotta della Vipera ed il sepolcro di Rubellio”. Di fronte a questa descrizione, in un Paese civile, cosa t’aspetti che succeda? Che si istituisca un Parco archeologico con quanto serve per la migliore tutela e fruizione. Invece no: “In buona parte l’area sepolcrale è stata aggredita pesantemente dall’espansione edilizia di Cagliari e dall’attività di cava, proseguita fino alla metà degli anni ‘70. Numerosi reperti rinvenuti sul Colle di Tuvixeddu impreziosiscono il Museo Archeologico di Cagliari.” Negli ultimi anni i saggi di scavo e le stesse attività edilizie hanno portato alla luce nuovi reperti di rilevante interesse archeologico. Ma non ci si è fermati. “Vuoi una casa nel parco?”, chiedeva lo spot della potente impresa del costruttore Gualtiero Cualbu. E intanto progettava dei molto comuni condominii da ficcare fra le tombe di guerrieri punici e poi romani.
La storia è breve. Dopo la cava dell’Italcementi, arriva l’immondizia. Che indigna pure la stampa estera. Nel 1997 la commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali chiede, in modo argomentato, l’imposizione di un vincolo paesaggistico su Tuvixeddu. Nemmeno per sogno. Nel 2000 viene firmato l’accordo di programma fra la Regione, il Comune di Cagliari (centrodestra) e il costruttore Cualbu con interessi in tutta Italia e in Brasile. Insorgono Italia Nostra, Sardegna Democratica, Gruppo di Intervento Giuridico, Amici della Terra e altre sigle. Soltanto nel 2006, con la Giunta regionale presieduta da Renato Soru, si blocca questo “nuovo modo di abitare, pensare e vivere Cagliari” a spese del paesaggio e dell’archeologia. “Vincoli assurdi che danneggiano l’economia”, tuonano costruttori e centrodestra contro il vincolo apposto dal centrosinistra a difesa di quel patrimonio di tutti. Purtroppo il Tar annulla quella saggia decisione dando ragione a imprese e Comune. Soru e le associazioni sopra nominate ricorrono però al Consiglio di Stato vincendo ora la causa a Palazzo Spada.
Ma v’è di più. La sentenza emessa dalla VI sezione del massimo organismo di giustizia amministrativa contiene motivazioni di valore generale di alto interesse. Per prima cosa, “all’interno dell’area individuata, è prevista una zona di tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello stato dei luoghi e una fascia di tutela condizionata”. Nessuna ambiguità, quindi. Poi, un chiarissimo principio che vale per tutta Italia: “La cura dell’interesse pubblico paesaggistico, diversamente da quello culturale-archeologico, concerne la forma del paese circostante, non le strette cose infisse o rinvenibili nel terreno con futuri scavi”. Bene ha fatto quindi la Giunta Soru ad imporre col Piano Paesaggistico Regionale (redatto in base al Codice Urbani, poi Rutelli, sul Paesaggio) il “vincolo ricognitivo”, molto più vasto di quello archeologico essendo fondamentale la tutela del bene pubblico nella sua interezza. Ma l’area è stata già aggredita e in parte manomessa da alcuni palazzoni che la nascondono. Proprio per questo, sentenzia il Consiglio di Stato, “la situazione materiale di compromissione della bellezza naturale che sia intervenuta ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino ulteriormente l’ambito protetto”. Principio essenziale in un Paese che tante bellezze paesaggistiche ha compromesso e imbruttito e che altre – grazie alla deregulation voluta da Berlusconi e al blocco della co-pianificazione Ministero-Regioni concesso da Bondi – ci si appresta a sfigurare per sempre fra cemento, cave e asfalto. Princìpi-cardine, con altri della sentenza, a cui si potranno ancorare quanti hanno a cuore la tutela del Belpaese che ci resta. Si capisce bene il fastidio del premier per gli organi costituzionali di controllo, che non si lasciano intimidire.
CAGLIARI. Hanno vinto Renato Soru e il suo governo regionale: il vincolo da 50 ettari su Tuvixeddu e Tuvumannu è pienamente giustificato dall’obbiettivo di tutelare non solo un bene culturale come la necropoli punico-romana ma un paesaggio storico arricchito dalla presenza di un’area archeologica.
L’ha stabilito con la sentenza depositata ieri il Consiglio di Stato. I giudici della sesta sezione - presidente Giuseppe Severino - hanno accolto integralmente il ricorso presentato dalla Regione, da Italia Nostra e da Sardegna Democratica contro la decisione del Tar Sardegna, che tre anni fa aveva dato ragione alla Nuova Iniziative Coimpresa del gruppo Cualbu e al Comune di Cagliari, annullando il divieto di costruire imposto dalla Regione con l’applicazione del piano paesaggistico. Allo stato delle cose, all’interno dell’area circoscitta a suo tempo dall’amministrazione Soru non potrà essere messo in piedi un solo mattone. Sarà un’intesa tra Comune e Regione - scrivono i giudici - a concordare una nuova disciplina di salvaguardia. Ma il Consiglio di Stato ricorda come «all’interno dell’area individuata è prevista una zona di tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello stato dei luoghi e una fascia di tutela condizionata».
Per la seconda volta dopo il caso Cala Giunco i giudici amministrativi supremi affermano che il Codice Urbani, interamente recepito dal Ppr, prevale su qualsiasi altro strumento di pianificazione locale e per la prima volta stabiliscono che la tutela del paesaggio inteso come un insieme storico-ambientale - prevista dalla Costituzione - deve venire prima di ogni altro interesse per quanto legittimo. Le trentadue pagine della sentenza confermano riga per riga, concetto per concetto, quanto la direzione regionale dei beni culturali retta da Elio Garzillo e le associazioni culturali ed ecologiste come Italia Nostra e Gruppo di Intervento Giuridico hanno sostenuto in ogni sede: il vincolo imposto su Tuvixeddu col Ppr, in linea con il Codice Urbani, è giustificato dalle emergenze archeologiche e dal contesto. La presenza di «opere preesistenti - scrivono i giudici - anziche impedire, maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino ulteriormente l’ambito protetto».
Ma al di là del linguaggio proprio del diritto amministrativo, i dati centrali che emergono dalla sentenza sono due: il primo è che dal 2000, quando venne firmato l’accordo di programma tra Regione, Comune di Cagliari e Coimpresa, si sono verificati nuovi ritrovamenti archeologici. Un elemento sempre negato dai legali del gruppo Cualbu ma accertato dalle indagini del nucleo investigativo della Guardia Forestale e confermato dalla Procura della Repubblica. L’altro è che da allora ad oggi è cambiato il quadro legislativo, perchè il Codice Urbani - come i giudici confermano con grande chiarezza - è uno strumento di tutela del paesaggio come contesto storico-ambientale. Quindi non ha alcuna rilevanza che tra un quartiere da costruire - come nel caso di Tuvixeddu - e l’area archeologica scavata esista una qualche distanza: è l’insieme che dev’essere difeso, al di là di ciò che sta dentro il compendio e persino di quanto vi è stato costruito attorno in passato.
Scrivono i giudici: «La cura dell’interesse pubbico paesaggistico, diversamente da quello culturale-archeologico, concerne la forma del paese circostante non le strette cose infisse o rinvenibili nel terreno con futuri scavi». Di conseguenza ha fatto benissimo la Regione a imporre col Ppr un «vincolo ricognitivo» molto più ampio dell’area storica («un vincolo di pertinenza psichiatrica» l’avevano definito nella memoria depositata in giudizio i legali di Coimpresa) perchè quello che conta, al di là degli interessi privati, è la tutela del bene pubblico nel suo complesso.
Ma c’è dell’altro. Coimpresa ha contestato alla Regione la carenza di istruttoria, vale a dire il fatto di aver imposto i vincoli senza motivarli e senza dimostrarne a sufficienza la necessità. I giudici di palazzo Spada smentiscono Coimpresa e il Comune di Cagliari anche su questo: fin dal 16 ottobre 1997 la commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari aveva chiesto l’imposizione sull’area di Tuvixeddu di un vincolo paesaggistico. Ed è su quell’istanza che l’amministrazione Soru nel 2006 cercò di imporre il vincolo per notevole interesse pubblico, poi bocciato dai giudici amministrativi per l’illegittimità della commissione. Comunque qualcuno s’era mosso fin dal 1997, tre anni prima che venisse firmato l’accordo di programma ora travolto dalla sentenza del Consiglio di Stato.
Qui potete raggiungere la sentenza del Consiglio di Stato, di grande rilievo non solo per Tuvixeddu.
Notizie sinistre dalla Sardegna, La giunta Cappellacci ha deciso di costituire un tavolo coordinamento tecnico-scientifico il quale (riprendiamo una nota dal sito della Regione) “affiancando le strutture regionali, ha lo scopo di agevolare il raccordo con i territori per la programmazione di azioni di valorizzazione del paesaggio e parteciperà alla definizione di obiettivi e azioni strategiche in tema di riconoscimento e valorizzazione del paesaggio sardo”.
Due volte la parola “valorizzazione” in una breve sintesi. E sappiamo che cosa significa “valorizzazione” per il pensiero corrente della destra (e ahimè non solo della destra) oggi in Italia. Significa accrescere il valore venale di qualcosa, preferibilmente un bene comune. Quindi, se si parla di territorio e di paesaggio, significa trasformarlo da terreno naturale in lottizzazioni, ville e villette, cemento e asfalto. Significa distruggere natura e paesaggio, bellezza. Significa trasformare beni, patrimoni collettivi costruiti in millenni di collaborazione tra uomo e natura in pezzi ulteriori di quella “repellente crosta di cemento e asfalto” il cui estendersi, come diceva Antonio Cederna, distrugge giorno per giorno il Belpaese.
Il tavolo di coordinamento tecnico-scientifico, precisa la nota della Giunta, “ha lo scopo di agevolare il raccordo con i territori”. Sappiamo bene anche che cosa significa questo termine, “territori”, nel glossario di Cappellacci e dei suoi collaboratori. Significa raccordarsi (e soprattutto accordarsi) con quei sindaci che sono stati per decenni gli agenti dello sfruttamento immobiliare delle coste dell’isola. Quei sindaci che hanno visto come fumo negli occhi gli atti significativi che la Giunta Soru ha elaborato per proteggere (finalmente!) quel che resta della bellezza della costa della Sardegna. Quei sindaci che sono stati gli agenti di collegamento tra gli immobiliaristi del Continente, sbarcati per colonizzare le coste sarde, e i “territori” che erano stati loro affidati.
Leggendo il comunicato della Giunta appare chiaramente che il compito assegnato al Tavolo di coordinamento tecnico-scientifico è quello di dare una copertura culturale allo smantellamento del piano paesaggistico regionale elaborato, sotto la guida di Renato Soru, dalla Regione e del Ministero dei beni culturali: uno degli esempi migliori (per vastissimo riconoscimento internazionale) di pianificazione attenta del paesaggio e di messa in valore (non di “valorizzazione”) delle sue qualità naturali e storiche. Quelle qualità – giova ricordarlo con allarme – che sono oggi minacciate a Capo Malfatano e a Tuvixeddu, per l’azione di quelle stesse forze che aspettano con ansia la sostituzione del PPR con un piano finalmente “sviluppista”.
Trasformare i beni comuni in merci, distruggere i patrimoni di tutti – risorse per oggi e per domani – per l’arricchimento di pochi sono gli obiettivi dei “poteri forti” che sembrano oggi vincenti. Leggo nel comunicato della Giunta che al Tavolo, evocato per aiutare a raggiungere questi obiettivi, parteciperebbero anche le Università di Cagliari e Sassari. La cosa mi sembra difficilmente attendibile, ed è probabilmente frutto di un equivoco; le procedure attraverso le quali passa la collaborazione delle università con istituti ad esse esterni sono trasparenti, e avrebbero certamente provocato nelle università un dibattito del quale l’opinione pubblica sarebbe venuta a conoscenza.
E’ assai opportuno che il Convegno internazionale di antichistica Africa Romana da poco conclusosi a Sassari abbia promosso un ulteriore appello per Tuvixeddu, compendio ambientale ed archeologico fondamentale per la città di Cagliari con il suo sistema dei colli, con i segni della preistoria, una delle più importanti necropoli puniche del mondo, le testimonianze romane e quelle della modernità. Hanno protestato a centinaia storici, archeologi ed epigrafisti di tutto il mondo di fronte ad una vergogna tutta sarda e tutta nazionale, su animazione e spinta del Magnifico Rettore dell'Università di Sassari Attilio Mastino.
Con motivazioni attente. Contro l'ennesimo misfatto sul quale non ha vigilato un ministro dei Beni e delle attività culturali che dicono, e ci auguriamo, dimissionario o sfiduciato. Tuvixeddu è un bene paesaggistico che si fonda su una risorsa archeologica di incredibile rilevanza: per dimensione, storia, architetture. Aspetti pittorici, corredi tombali con materiali punici e greci di fabbrica ateniese. Nonostante le battaglie decennali, l'area è oggetto di una speculazione immobiliare che prosegue con modifiche gravi e irreversibili. Accanto alla passione ed agli appelli di intellettuali e cittadini, iniziando da Giovanni Lilliu sino a quello promosso prima dal Cagliari Social Forum e infine dal Manifesto Sardo ed eddyburg, con migliaia di firme pesanti in tutta Italia (il voluminoso dossier del 2007-2008, con i saggi degli studiosi, l'acceso dibattito e le adesioni, è in rete all'indirizzo: http://www.manifesto-sardo.org/wp-content/uploa-ds/2007/b9/Dossier-3—Tuvixeddu.pdf), vi è una classe politica che ha dato su Tuvixeddu principalmente il peggio di sé.
L'esperienza regionale di Renato Soru ha avuto il grande merito di mettere al centro il problema, con un'azione purtroppo attraversata da errori sia procedurali sia politici, come il tentativo di imporre un certo tipo di progetto al meritorio lavoro della Commissione Regionale per il Paesaggio. La classe politica al governo capeggiata da Cappellacci ha dato seguito alla tradizione cementificatrice dei ceti dei quali è espressione, talora con promesse di soluzione, soprattutto da parte sardista, alla quale in maniera 'bipartisan' si è creduto, o fatto finta di credere, per ingenuità e soprattutto per non agire. Si sono persino sentite prese di distanza: in fin dei conti, secondo alcune correnti rozzamente nazionaliste, Tuvixeddu è l'espressione di antichi colonizzatori, essendo necropoli di fase cartaginese. Un'ottica davvero preoccupante. Cosa salveremo della tutela dei monumenti ragionando così? Se il concetto di identità ha una sua validità, ecco chi lo tradisce e snatura davvero.
Discorsi probabilmente astratti perché intanto la necropoli, circondata dalle orribili fioriere di cemento autorizzate a suo tempo dalla Soprintendenza Archeologica, è sotto sequestro da parte della speculazione edilizia. Non sappiamo se la speranza sia possibile, di fronte alla sostanziale assenza della classe politica e in ogni caso alla scarsa efficacia della sua azione. La battaglia del mondo scientifico la farà riemergere? E chissà se Tuvixeddu entrerà nel dibattito che si prepara per le elezioni a sindaco di Cagliari. Ne dubitiamo. Se così non fosse, non dovrà essere in ogni caso un argomento bandiera, perché è in gioco un discorso più ampio e difficile, che ci auguriamo venga sollevato all'attenzione generale dei cittadini: il modello di città da scegliere, per capire se paesaggi e monumenti saranno centrali oppure ospiti indesiderati, al massimo monumenti danneggiati per i concerti della contemporaneità.
Presidente Marcegaglia, le scrivo a proposito dell' impresa a Malfatano in Sardegna, nella quale è coinvolta; perché quell'intervento sta producendo lacerazioni dolorose in un paesaggio fantastico. Scrivo a lei, immaginandola sensibile al tema della tutela dei luoghi, sul piano etico e ed estetico, e non ai suoi partners, Benetton, Sansedoni-Monte dei Paschi, Caltagirone. Magari è un pregiudizio sbagliato: ma ho idea che siano poco attenti al corpo fragile e all'anima di Malfatano. La sua intraprendenza mi sembra invece conciliante, mi auguro non indifferente ai costi sociali degli investimenti, e refrattaria all'idea che luoghi e persone diventino scene e comparse, mascherate mortificanti (penso all' umiliazione/'omologazione del corpo della donna, nel racconto di Lorella Zanardo).
E' inusuale fare appello a un'impresa perché trascuri i suoi interessi. Ma ci sono in questa speculazione premoderna aspetti che lei potrebbe non conoscere (non sempre gli investitori sanno dei loro investimenti). Non si può controllare tutto: la sua ditta produce tubi e lamiere, condensatori, scope e spazzole e si occupa anche di turismo nella versione duplice di gestione e realizzazione di attrezzature per la vacanza. Per Malfatano il programma è un mix: un po' di alberghi e molte case da vendere. Una formula che abolisce il rischio: nel ramo palazzinaro, con l'assistenza diretta di una banca, sono bravi tutti.
Se l'iniziativa si svolge nei litorali della Sardegna è una meraviglia: a scapito di paesaggi come questi si va sicuri, metti 1 e prendi 10, se va male. A basso investimento (il costo di costruzione più di tanto non cresce) corrisponde un utile inimmaginabile con la siderurgia. Il valore è dato da quel quid che mettiamo noi, il paesaggio bene comune. E siamo noi a perdere da questa impresa, che non sarebbe oggi consentita con le disposizioni vigenti in Sardegna. Il progetto è di un'altra epoca, quando la disciplina urbanistica del Comune di Teulada era conforme a sconvenienti piani per il paesaggio, poi cassati perché troppo compiacenti verso gli interessi immobiliari. Un procedimento che sta in una fase incerta su cui la Magistratura sta indagando per sapere di alcuni passaggi poco chiari.
Nel frattempo i lavori proseguono, e ogni gesto è un pezzo di Malfatano che perdiamo per sempre.
Penso che basterebbe un'occhiata: sentirebbe il rimorso, presidente, per una violenza anacronistica, che si vedrà meglio tra qualche anno. A bellezza violata e a futuro negato corrispondono promesse di lavoro precario, una trentina di camerieri e sguatteri e per due mesi all'anno, forse. I muratori che manifestano a sostegno di questa impresa – per perpetuare il ciclo edilizio – fanno tristezza, ricordano i tagliaboschi di boschi nell'Ottocento.
Sempre più spesso si legge che la Magistratura indaga su lavori nelle coste sarde. Come se vi fosse una ondata di aggressioni al territorio che i comuni non fronteggiano. Non sorprende che i cantieri al mare siano guardati con sospetto (gli espedienti per eludere norme e scansare autorizzazioni non si contano, la posta è rilevante).
Il caso più recente è quello di Malfatano - Tuerredda, uno dei luoghi che rischiamo di perdere. Diffidenza opportuna per un progetto che appartiene a quella 'fase grigia' che precede la legge salvacoste. Quei 140mila mc in un posto fantastico, con vincoli archeologici e paesaggistici, sono stati proposti in più comparti per ovviare alla valutazione d'impatto. Come non andare a vedere con cura contenuti e tempi delle autorizzazioni? O le varianti al piano originario ? Colpisce quella spostamento di quote con destinazione alberghiera a vantaggio delle case da vendere: una scelta (d'interesse pubblico?) che il comune di Teulada annuncia con giubilo. Mille grazie dagli investitori Marcegaglia, Benetton, Monte dei Paschi, Caltagirone, ecc., per i benefici prodotti all' impresa immobiliare.
Brutte notizie sul fronte dell'abusivismo edilizio. Crescono nelle aree urbane gli abusi vari. E si moltiplicano gli abusi ricchi: isolati e/o associati in forma di 'lottizzazioni'. Case da adibire alla villeggiatura che passano per attrezzature agricole ma con vistamare, piscina e prato verde.
L'ultimo caso, notevole, è segnalato a Olbia (la notizia di indagini su “La Nuova Sardegna”). Olbia è in un contesto di rara bellezza, continuamente erosa: può soccombere per sottovalutazione dei rischi, e anche per una insufficiente dotazione di uomini e mezzi – come si dice per le emergenze. Nella capitale del turismo ti aspetteresti grande sollecitudine data quella crescita clamorosa. Gli abusivi in questione – secondo le cronache – sono forestieri che hanno comprato da sardi una sessantina di ettari (l'estensione di un paese, come non mi era mai capitato di leggere) frazionati in tanti pezzi in barba alle leggi. Nessuno si è accorto che lì, a due passi dalla città, stava sorgendo una curiosa comunità di contadini residenti tra Bergamo e Berlino.
Eppure questo modo di fare è ormai tra le truffe note dappertutto e solo qualche sprovveduto non vede che il trucco è sempre lo stesso, come nel gioco delle tre carte nella rambla di Barcellona o nei vicoli di Napoli.
La letteratura è piena di sentenze che spiegano il reato e i suoi modi tentacolari, evidente prima di materializzarsi nelle case già nella fase del frazionamento ( la lottizzazione “cartolare”) quando si capisce che sta sorgendo un quartiere. Vorrei vederla la faccia di un sindaco che legge sul giornale il titolo “scoperta una lottizzazione abusiva” e si accorge che riguarda la sua città. Quella faccia stupita incentiva i contravventori.
E' comprensibile che il Comune di Olbia non si sia reso conto dell'abuso, per mancanza di uomini e mezzi – appunto. Però è bene notare che qualcosa non va, e riguarda la debolezza del messaggio. E' risaputo che la strumentazione di cui il Comune dispone è molto ma molto arretrata. E di recente, dal municipio, l'avviso della ennesima variante al PdiF (sta per piano di fabbricazione). La più vecchia tra le tipologie di piani urbanistici che viene da una legge dello stato ancora fascista. Ecco: la città sarda con la maggiore crescita di case ha un piano aggiustato strada facendo e mai adeguato alla evoluzione delle leggi degli ultimi decenni. Per questo quell'avviso di variante al PdiF suona strano, sa di antico, di colpevolmente inadeguato. Come leggere che un ufficio pubblico, nell'epoca della informatizzazione, aggiusta le vecchie macchine da scrivere e compra pacchi di carta carbone. Non siamo messi bene, i due esempi non sono soli (c'è roba per tutti i gusti) in in intreccio di disorganizzazione, connivenze, indifferenza. E' troppo sperare in un treno dei desideri... che all'incontrario va ?
Al Forte Village di Santa Margherita di Pula e fino al 13 novembre la Wolkswagen ha organizzato un evento al fine di presentare il suo ultimo modello a operatori e possibili compratori provenienti da 150 Paesi, tra cui ci sono i concessionari del Canada, dell’America del Nord, del Giappone, dei Paesi dell’Est Europeo. Si tratta di uno dei più importanti meeting internazionali organizzati avendo come scenario la Sardegna, o meglio una porzione della costa del sud, e si tratta anche di un caso di successo di turismo congressuale, così come più volte auspicato in diversi sedi, istituzionali ed economiche. In ragione di ciò, certamente saranno numerosi coloro che enfatizzeranno le ricadute economiche e simboliche di questo evento sulla nostra isola.
Considero il turismo strategico per la Sardegna e sono una sostenitrice del turismo congressuale, non ultimo perché l’università dà il suo piccolo contributo a questo settore, ma avverto il bisogno di avanzare due semplicissime domande: “quanta ricchezza prodotta da questo meeting rimarrà in Sardegna” e “quale immagine dell’Isola rimarrà impressa nei protagonisti di questo incontro”. Ho paura che sia facile rispondere alla prima domanda, anche perché l’intera organizzazione dell’incontro così come la struttura di accoglienza sono del tutto estranee alla Sardegna. Sulla seconda domanda, dalle cronache si evince che in questi giorni non si faranno solo affari automobilistici ma ci sarà oltre lo spazio internazionale che risponderà alle esigenze dei numerosi ospiti, uno spazio “mediterraneo”. Presumo che ci si riferisca soprattutto a cibi dell’economia locale, ma collocare la cultura della Sardegna in un apposito “spazio” appare di per sé significativo.
In realtà, il rischio che questo evento alimenti facili illusioni appare molto alto.
La prima illusione è che si debba rafforzare la monocultura del turismo, purtroppo radicata nei nostri territori, tanto che anche il più piccolo comune da alcuni anni finalizza parte delle sue scarse risorse finanziarie per organizzare occasioni di attrazione turistica (per lo più sagre). Senza peraltro fare mai un bilancio dei costi e dei benefici di questi investimenti. Ma non ogni territorio possiede una vocazione turistica e, soprattutto, quasi nessuno possiede le professionalità adeguate per entrare in un sistema complesso qual è il turismo. L’idea che tutto possa tradursi in turismo ha avuto un impatto devastante sulle città e sulle campagne, e ciò non riguarda solo la Sardegna ma è problema comune a tutti i Paesi a sviluppo avanzato, come ha messo in risalto la European Environment Agency nel 2006, sia perché si è tradotto prevalentemente in consumo del suolo sia perché un certo tipo di turismo – compreso quello di Santa Margherita di Pula – in realtà costituisce una minaccia per la stessa cultura europea, e sarda per ciò che ci riguarda.
La seconda illusione è che si rafforzi l’idea che in Sardegna sia necessario costruire alberghi di lusso un po’ ovunque, proprio per diffondere questo tipo di turismo di elite. Ciò significherebbe mettere in secondo piano ancora una volta le unicità paesaggistiche tuttora presenti nella nostra Isola. Ad esempio, mi aspetto che il caso del meeting della Wolkswagen venga utilizzato dai sostenitori del progetto di Capo Malfatano di Teulada come un buon esempio da diffondere e come argomento per dire, a chi si oppone, che costruire strutture ricettive per ricchi valga il sacrificio di luoghi tra i più incontaminati del Mediterraneo.
La terza illusione è che sia sufficiente avere alberghi a 5 stelle per organizzare grandi eventi, magari coinvolgendo archistar. Penso per ultimo alla recente polemica sul mancato Betile e al flusso di visitatori che, secondo alcuni, avrebbe potuto innescare questa costruzione griffata, prendendo ad esempio il successo del Maxxi a Roma. Ma soprattutto penso a Mita Resort di La Maddalena. Tutti esempi che ci portano, guarda caso, agli stessi proprietari.
In conclusione, le sirene del turismo sono sempre in agguato e finora sono servite ad allontanare il nostro sguardo dalle potenzialità reali della Sardegna, meno male che i movimenti degli operai e dei pastori fanno di tutto perché non dimentichiamo troppo.
Postilla
Più che “illusioni” le chiamerei gli “obiettivi” che la maggior parte dei promotori del turismo come salvezza della Sardegna si pone. Quale che sia l’occasione che spinge il viandante a muoversi, l’obiettivo reale, utile, fecondo per l’ospitante e per l’ospitato è la conoscenza. Se vado in un altro paese ciò che devo ottenere (e, magari, ciò che mi spinge ad andare qui invece che là) e allargare la mia conoscenza del mondo: dei suoi luoghi, le sue culture, il suo popolo, le sue abitudini, storie, cibi, odori, luci. Il turismo può diventare lo strumento che aiuta l’ospitante a non vivere l’identità della sua comunità come qualcosa che esclude chi non le appartiene, ma come qualcosa che si arricchisce comunicandosi; e che aiuta l’ospitato a comprendere come la diversità – dei luoghi e dei popoli – è un ricchezza per tutti, e la conoscenza degli altri un modo per conoscere meglio se stesso.
Sono rimasto molto colpi di sentire, con le mie orecchie, un autorevole esponente dalla politica sarda, il consigliere regionale Cuccureddu, già sindaco di Castelsardo e accanito oppositore di Renato Soru, esternate il pensiero esattamente opposto a quello che ho ora esposto. Raccontava degli incontri che aveva avuto con i cinesi, e della proposte che stava elaborando per accogliere molti cinesi in Sardegna, e diceva: «Se dalla Cina mi chiedono: “quali sono le 10 cose che possiamo indicare ai nostri cittadini come cose da vedere in Sardegna”, io non posso rispondere, che so, i nuraghi, perché per loro sono solo degli ammassi di pietre; ma posso dir loro – proseguì con orgoglio – da qui, prendendo un aereo, possono essere in un’ora o poco più a Parigi e vedere la Tour Eiffel, o a Roma e vedere San Pietro e il Colosseo, o a Pisa la sua torre, o a Barcellona ecc. ecc.».
Chi ha seguito la puntata di Report di domenica scorsa ha potuto vedere di che cosa sono capaci “gli energumeni del cemento”. Paolo Mondani ha infatti illustrato la distruzione delle coste dei Caraibi ad opera della speculazione edilizia: spiagge che scompaiono per far posto a moli di cemento, la natura violata nella sua integrità: 180 ettari di paradiso sottratti per sempre alla naturalità.
Quello che sta accadendo in questi giorni in uno dei pochi lembi di costa della Sardegna scampato alla cementificazione selvaggia dei decenni passati è molto più grave: si tratta di 700 ettari (un campo di calcio ha dimensione di un ettaro) di territorio incontaminato su cui si vogliono a tutti i costi costruire 150 mila metri cubi: ville esclusive e un resort a cinque stelle. Si tratta della splendida costa di Malfatano, che significa il luogo della speranza. I protagonisti dell’ennesimo scandalo urbanistico italiano vorrebbero invece riempirla di cemento e asfalto, altro che speranza.
Perché parliamo di scandalo? Perché i proprietari dell’area hanno ottenuto i permessi per costruire gli edifici attraverso la collaudata tecnica dello “spezzatino”. In sintesi, pur in presenza di un disegno unico, vengono presentati al comune di Teulada cinque stralci progettuali. In questo modo gli edifici appaiono con un impatto ben più modesto: un conto è vedere disegnati 150 mila metri cubi di cemento, strade, parcheggi e quant’altro, altro conto è vederne cinque molto più piccoli.
E’ lo stesso caso sollevato appena un anno fa sempre da Report. A Roma un potentissimo costruttore (Domenico Bonifaci, proprietario del quotidiano Il Tempo) ha ottenuto i condoni per un immensa costruzione di 200 mila metri cubi chiedendo la sanatoria per ogni alloggio. La legge del condono edilizio vietava infatti la sanatoria per immobili più grandi di 750 metri quadrati e sarebbe stato impossibile ottenere i condoni. Così viene presentato lo “spezzatino” e il comune non si accorge che le 700 domande di condono fanno parte di un unico complesso edilizio!
Anche nel caso di Malfatano nessuna delle amministrazioni coinvolte –comune, regione Sardegna e Soprintendenza di Stato- si è accorto del trucco e rispedito al mittente i cinque progetti richiedendone uno globale. In questa povera Italia le amministrazioni pubbliche sono preda dell’economia di rapina e fingono di credere che dietro questa nuova Colata, per citare il bel libro edito da Chiarelettere, ci sia un futuro di lavoro per la popolazione sarda. E’ questa la giustificazione di tutti gli amministratori –rigorosamente bipartisan- coinvolti: affermano infatti che di fronte alla grave crisi economica non si può chiudere la porta a generosi investitori.
E’ questo un tema non banale e conviene dunque discuterne perché la gigantesca crisi economica e finanziaria mondiale in cui tutti i paesi ricchi si dibattono non sembra trovare vie di uscita solide. Ma intanto onestà intellettuale vorrebbe che si facesse un bilancio dei quarant’anni che hanno cambiato il volto delle coste sarde riempiendole di cemento. Ogni volta che venivano concessi i permessi per costruire di devastanti progetti si cantava il solito mantra: non si può rinunciare allo sviluppo. La Sardegna è nel pieno di una crisi economica e sociale devastante proprio perché ha creduto a questa falsa promessa. Le case di vacanza si riempiono solo per due mesi e gli alberghi chiudono almeno per nove mesi all’anno. Invece di investire nella produzione si è preferito aprire autostrade alla speculazione edilizia. Perpetuando il meccanismo di distruzione delle bellezze della Sardegna si otterrà oggi il progresso che non è avvenuto in quarant’anni di laissez faire?
Non c’è persona in buona fede che possa sostenere questa tesi. Eppure gli amministratori pubblici continuano a propagandare questa favola. La prova di una vergognosa mala fede la troviamo anche in una clausola contrattuale stipulata tra il comune di Teulada e i proprietari. Vi si afferma che “nel caso venissero costruite case al posto di alberghi, i promotori dovranno pagare al comune un maggior onere di 200 euro al metro cubo”. Il sindaco di Teulada, Gianni Albai è entusiasta di questa norma e la pubblicizza a dimostrazione del rigore pubblico. Vediamo di fare due conti. Una villa è grande circa 200 metri quadrati, 600 metri cubi. Così quando gli speculatori edilizi chiederanno di trasformare gli alberghi in case dovranno pagare al comune poco più di 100 mila euro. Sembra tanto, ma una villa in quel paradiso si vende ad almeno 3 milioni di euro: seconde case regalate alla speculazione da amministrazioni compiacenti. Altro che sviluppo.
Tutte queste irregolarità sono state denunciate con forza da Italia Nostra con l’azione instancabile di Maria Paola Morittu e dal Gruppo di intervento giuridico, ma finora le amministrazioni pubbliche non danno segni di vita. Del resto, Renato Soru è stato sconfitto anche con l’aiuto di pezzi del centro sinistra proprio perché il suo rigoroso piano paesistico impediva simili speculazioni.
E come questa classe politica governa i beni comuni è dimostrato dell’albergo dell’isola della Maddalena, la scandalosa vicenda dello svolgimento del G8. Lo Stato ha speso 120 milioni di euro per realizzare l’albergo e ora lo ha dato in gestione alla Mita resort della famiglia Marcegaglia per un canone di 60 mila euro all’anno. Vuol dire che riprenderà le spese in 1500 anni! Un altro straordinario esempio di rigoroso uso dei soldi pubblici.
Che c’entra la Marcegaglia, si chiederà qualcuno. C’entra perché il nuovo resort di Malfatano sarà gestito dalla Mita. Dietro la grande speculazione sarda si scorgono ancora una volta le radici della crisi italiana. Tra i promotori dell’operazione speculativa condotta dalla società Sitas c’è infatti la classe dirigente italiana: la Sansedoni spa controllata dal Monte dei Paschi di Siena, la Benetton, il gruppo Toffano, il gruppo Toti (che sul suo sito già illustra il plastico dell’albergo). Un paese dedito esclusivamente alla speculazione immobiliare ha davvero poche speranze di futuro.
(ps. chi volesse rendersi conto della natura dello scempio, può vedere in rete il commovente documentario Furriadroxus di Michele Mossa e Michele Trentini)
Chiusi al confronto col mondo globale proprio quando questo sarebbe disposto a guardare con interesse alle nostre storie vere
La fitta sequenza di brutte case - dappertutto in Sardegna - ci faranno riflettere quando ci riguarderemo e ci riguarderanno. Sarebbe bene se nelle pause del dibattito sull’autonomia - e sull’identità - si desse un’occhiata a come ci siamo conciati. Si scoprirebbe che il limite della decenza è ampiamente superato per travestimenti assurdi (come non è accaduto in altre regioni).
Qualche tempo fa ha scandalizzato il film televisivo di Franco Bernini che parlava dell’isola con deficit di accortezze storico-antropologiche, del sardo con i panni che ci vorrebbero vedere addosso. Un film, in fondo. Ma qui si tratta di vestiti indossati volentieri e difficili da togliersi. E’ il paradosso della rinuncia all’identità evocato dalle maschere delle Demoiselles di Picasso. Tanto più temibile se la finzione è compiacente (in Sardegna la maschera è una cosa seria, dice di riti preistorici, di paure primordiali da alleviare, di morte e rinascita).
Fra trent’anni l’isola perderà quasi un terzo dei suoi abitanti e le case vuote, non solo nei villaggi dei balocchi, saranno più di quelle odierne, già oltre un quarto del totale.
Lasciamole nello sfondo - per una volta - le quantità delle trasformazioni che hanno travolto i paesaggi naturali più preziosi. Per soffermarci sulle forme adottate dalla cangiante città diffusa. Grande parte del paesaggio costruito in Sardegna è rivelatore di una propensione ininterrotta ad assumere il carattere deformante e uniformante della villeggiatura, per piacere ai turisti e assecondare il turista che è in noi (il consumatore al posto dell’abitante, la messinscena al posto delle consuetudini).
E’ il trionfo dell’equivoco vecchio mezzo secolo: i travestimenti della Sardegna costiera (e non solo) sono ormai percepiti come autentici, appartenenti alla sua storia.
Invece è un abbaglio collettivo. Un repertorio che si diffonde da decenni, frutto di tentativi che si cumulano casualmente: un mix che rimanda ai primi villaggi di Costa Smeralda, che a loro volta richiamano scorci di Capri o Ischia, a prospettive veneziane, cartoline dalla California, scenografie fiabesche, scriteriati revivals stilistici, il tutto reso in modo iperbolico, fumettistico, caricaturale non si sa bene di cosa. Un grammelot, se fosse una lingua.
E’ un florilegio di successo, un’epidemia tentacolare: quelle figure esondano dalle riviere alle campagne, alle nuove espansioni, penetrano nelle parti antiche degli abitati. Una passione compulsiva per la sceneggiata, una disneyzzazione subita e alimentata, che distrae, dà speranze, illude di stare al passo di favolosi redditi.
Sovrapponendo vero e falso si realizzano nei vecchi centri alterazioni di tipologie originarie delle quali restano dignitosi esempi: superstiti palazzetti di fine Ottocento e primo Novecento, austeri per la ritrosia - pensate un po’ - ad accogliere i decori eclettici del Modernismo. Come i severi edifici descritti da Salvatore Satta che nel «Giorno del giudizio» immaginava in qualche modo l’epilogo («Le zitelle erano ben felici di lasciare nei lugubri palazzi il loro titolo di “donna” per abitare le case linde e di cattivo gusto [...] che già cominciavano a sorgere nella periferia»).
Agli interventi più sguaiati, blocchetti in cls e alluminio anodizzato a go go, si sta così sovrapponendo la tendenza - apparentemente innocua e a fin di bene - di camuffare interi brani di paesi, con abbellimenti che fingono il restauro eccitato dai repertori dei villaggi costieri. E pure le vecchie strade si rinnovano invecchiandosi, con altane, balconi e portali che non c’erano, cantonali e cornici distribuiti in modo approssimativo, e intonaci che mimano le malte d’epoca lasciando parti scrostate.
Dovunque l’obiettivo è l’effetto rustico che simula gli acciacchi del tempo, con malformazioni che consentono l’impiego di manodopera mediocre. Il vecchio muro finto e sbilenco dilaga anche negli interni, effetto baraccone assicurato (il meglio nei bar: la sublimazione della pietra incollata e la pittura a spugna).
Nelle marine più sfigate, in assenza di manutenzione, il tono è quello decadente di scolorite scenografie in disuso, l’atmosfera malinconica di cose che non sono mai state nuove e non potranno invecchiare con dignità. Tutto è dentro questo processo, pure Cala di Volpe (tra le icone più note all’origine di questa commedia) minacciata di finire nel gorgo di un incremento, tra le sdegnate proteste del figlio del suo autore (per realizzare l’ampliamento è stato chiamato - nientemeno - lo stesso progettista di Disney Wordl).
Una produzione intemperante e disarmante (un consulto di etnologi, semiologi, analisti della moda ecc. ci spiegherebbe, forse). D’altra parte, nel tempo dell’individualismo estremo, la libertà dell’immaginazione non ammette richiami alla coerenza, men che meno all’eleganza. Ogni appello alla buona educazione estetica, alla sobrietà dei comportamenti, rischia di apparire autoritario oltre che snob. Sarà però il caso di rifletterci su questa capitolazione di massa ai modi espressivi della vacanza, che ognuno con il suo giocattolo rimpingua, invadendo il paesaggio di tutti. Nel frattempo rimane ai margini l’architettura che, pure nell’isola, vorrebbe stare al passo con i tempi (gli stili che a suo tempo abbiamo accolto - dobbiamo ammetterlo - erano quelli all’avanguardia in Europa). Oggi la Sardegna sembra rinunciare al confronto con il mondo globale - scivolando dal pop al trash - proprio quando il mondo sarebbe disposto a guardare con interesse alle sue storie vere.
L’idea (già in atto) è quella di costruire nella collinetta che sovrasta la spiaggia di Tuerredda, a due passi da Teulada e Capo Malfatano, un complesso turistico a cinque stelle ed ecocompatibile. Un lavoro, nelle intenzioni dei costruttori, da terminare entro il 2012.
Di questo progetto fanno parte un albergo articolato su più edifici, con terme, ristoranti, centro sportivo e piscine. Poi tante villette al massimo su due livelli, con grandi giardini che «si adegueranno al paesaggio con colta semplicità». In totale 150mila metri cubi di cemento che pian piano stanno già colando su una delle più belle e incontaminate zone della Sardegna sud-occidentale. Tutto con il beneplacito dell’amministrazione comunale di Teulada e persino della giuria del «Real Estate Awards», che ha recentemente premiato l’iniziativa immobiliare con il «Mattone d’oro».
A costruire su 700 ettari il «Capo Malfatano Resort» sarà la società Sitas, una cordata di imprese di cui fa parte la Sansedoni spa (40 per cento, controllata dal Monte dei paschi di Siena), la Benetton (25 per cento, attraverso la Ricerca finanziaria spa), il gruppo Toffano (24 per cento) e il gruppo Toti (11 per cento). La gestione dell’albergo sarà invece affidata alla Mita spa, la società dal gruppo Marcegaglia, che in Sardegna già amministra il Forte Village, a Santa Margherita di Pula, e l’ex arsenale della Maddalena.
Gianni Albai, sindaco di Teulada, non nasconde l’ entusiasmo per il progetto, che a suo parere mostra evidenti vantaggi per la collettività. L’ accordo integrativo di procedimento tra il Comune di Teulada e la Sitas, risalente al marzo scorso, prevede che i costruttori rinuncino a parte di metri cubi che inizialmente avevano proposto di edificare. «Nel dettaglio - spiega il primo cittadino di Teulada - la Sitas ci cederà 180 ettari nelle aree di Sa Calarza e di Antonareddu, dove nascerà presto un parco ambientale. Ma cederà anche - continua il sindaco Albai - le aree adiacenti alla peschiera e alla laguna di Malfatano, dove abbiamo intenzione di far sorgere un parco archeologico avente come perno fondamentale i reperti fenicio-punici di Porto Herculis».
In realtà, l’accordo mette in risalto anche i vantaggi che dal progetto potrebbero derivare alla collettività in termini occupazionali ed economici, ma riconosce pure uno speciale contributo di 200 euro a metro cubo a favore del Comune in caso di modifica delle destinazioni d’uso «da alberghiero in residenziale», riservando alla società la «possibilità di variare l’impianto planivolumetrico complessivo e il mix destinazione d’uso per le adeguarli alle attuali esigenze e aspettative del mercato turistico». In altre parole - e la cosa non è sfuggita agli ambientalisti - secondo l’accordo la società si riserverebbe di stabilire che cosa edificare e in quale quantità con criterio di un’imprecisata razionalità di progetto e di un altrettanto imprecisata esigenza del mercato turistico.
«È da tempo - spiega Stefano Deliperi, rappresentante del Gruppo d’intervento giuridico e Amici della Terra - che su questo autentico paradiso costiero incombe il tentativo speculativo. Negli anni Settanta del secolo scorso furono i lombardi Monzino a progettare su quasi 900 ettari di litorale la nuova Costa Smeralda nel sud Sardegna. Si doveva chiamare Costa Dorada: alberghi, ville, campi da golf con centinaia di migliaia di metri cubi di volumetrie. Non se ne fece quasi nulla». Soltanto la durissima opposizione legale delle associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra condusse alle condanne in sede penale e alla successiva demolizione delle opere abusive del tentativo speculativo nella splendida baia di Piscinnì, enclave amministrativa di Domus de Maria, portata avanti in un primo momento dal gruppo Monzino e successivamente da una società aderente alla Lega delle Cooperative.
«Ci sono parecchie ragioni - continua Deliperi - per le quali ci opponiamo alla costruzione di questo resort. Tanto per incominciare quello di Teulada è uno dei pochi tratti di costa così estesi in tutto il Mediterraneo dove nessuno ha mai costruito. In secondo luogo, le tanto sbandierate concessioni fatte dalla Sitas al Comune sono in parte obbligatorie per legge e comunque le aree cedute sono inedificabili o perché a meno di 300 metri dal mare o perché in zona archeologica». Per gli Amici della terra, poi, si poteva puntare sul turismo in altri termini. «Ad esempio - spiega ancora Deliperi - recuperando i tanti furriadroxiu della zona sino a farne una rete di tanti piccoli resort. Un’idea che avrebbe davvero attirato molti villeggianti d’élite con ricadute economiche nel paese. Mentre un resort autosufficiente alla gente di Teulada può dare soltanto posti da giardiniere e da cameriere».
Deliperi, parla anche del problema delle spiagge. «Quelle della zona sono già sovraffolate - conclude - e adesso che gli alberghi avranno le spiagge private, i cittadini normali dove andranno?»
IL SINDACO
Sarà un’occasione di sviluppo per il nostro paese
«Il resort a cinque stelle che la Sitas sta costruendo davanti a Tuerredda è una grande opportunità per la nostra zona». Giovanni Albai, 57 anni, impresario edile, dal 2005 sindaco di Teulada, ha le idee chiare sul progetto «Malfatano resort». E non teme neanche che per via del suo mestiere qualcuno lo accusi di tirare il carro dalla parte del mattone. «Impossibile - dice - la mia impresa edile è ferma da anni».
Ma perché crede tanto in questo progetto? «In primis perché è da anni che a livello comunale programmiamo un intervento ricettivo. Poi perché basta fare un giro a Teulada per capire che questo resort lo vogliono tutti. E non solo perché ci sarà una ricaduta in termini occupazionali, ma soprattutto perché ci consentirà finalmente di fare una promozione turistica adeguata alla bellezza del territorio. E sia chiaro, io non sogno la Costa Dorada che deve fare concorrenza alla Costa Smeralda, vorrei soltanto condizioni economiche migliori per la popolazione che rappresento».
Tra i vantaggi che dovrebbero ricadere sugli abitanti della zona, Albai ricorda quelli compresi nell’ accordo integrativo di procedimento tra il Comune di Teulada e la Sitas. «La società ci cederà 180 ettari nelle aree di Sa Calarza e di Antonareddu - spiega il sindaco - dove nascerà presto un parco ambientale e così metteremo la prola fine a ogni aspettativa su una zona che va assolutamente tutelata. Ma la Sitas cederà anche le aree adiacenti alla peschiera e alla laguna di Malfatano, dove abbiamo intenzione, con la collaborazione della Sovrintendenza ai beni culturali e l’Università di Cagliari, di far nascere un parco archeologico avente come perno fondamentale i reperti fenicio-punici di Porto Herculis. Inoltre, sempre con la collaborazione della Sovrintendenza e dell’Università, si potrebbero fare degli scavi archeologici che possono riservare grandi sorprese».
Ovidio Marras, pastore resistente a Tuerredda
Ottantuno anni, ha detto no alle offerte degli imprenditori che vogliono comprare la sua terra
Ha detto «no» a una cordata di facoltosi imprenditori che volevano compragli casa e terreno a qualche centinaio di metri dalla spiaggia di Tuerredda. Ed è anche per questo motivo che gli ambientalisti lo hanno eletto a simbolo della resistenza contro i «signori del mattone». Lui, Ovidio Marras, ottantun anni portanti con il fisico secco e nervoso di chi ancora si china sui campi per lavorare dall’alba al tramonto, dal suo furriadroxiu non se ne vorrebbe andare mai. Ci arrivi lasciando alle spalle migliaia di metri cubi in costruzione, infestanti, ben visibili anche dalla statale. Poi ti fermi sull’aia luminosa e nella testa ti frullano le parole promozionali della Mita resort, che parla di «colta semplicità».
Ovidio Marras, il pastore contadino accerchiato dalle imprese, alleva pecore e vacche, coltiva un orto e vive in una condizione di libertà che nessun gruppo economico, neppure il più verde, può dargli. E le parole della Mita appaiono poco verosimili, visto che gli unici elementi che con vera «colta semplicità assecondano i movimenti dolci del terreno» sono la casa di Ovidio, i suoi muretti a secco, le sue pecore polverose e i suoi pomodori rosso fiamma. Ma soprattutto lui, Ovidio, asseconda le linee della sua terra e la rappresenta alla perfezione, in armonia. È fatto in economia, Ovidio, asciutto come la terra sulla quale cammina, cotto dal sole, una faccia salmastra, è un’allegoria perfetta dei luoghi. Abita i luoghi e li rappresenta, spiega con il suo passo, i gesti secchi al limite del brusco e lunghi silenzi come quei luoghi devono essere utilizzati e rispettati. Lui, è il padrone dei luoghi. I «padovani», come li chiama lui, non lo saranno mai, anche se quei luoghi li hanno in par
Di questo progetto fanno parte un albergo articolato su più edifici, con terme, ristoranti, centro sportivo e piscine. Poi tante villette al massimo su due livelli, con grandi giardini che «si adegueranno al paesaggio con colta semplicità». In totale 150mila metri cubi di cemento che pian piano stanno già colando su una delle più belle e incontaminate zone della Sardegna sud-occidentale. Tutto con il beneplacito dell’amministrazione comunale di Teulada e persino della giuria del «Real Estate Awards», che ha recentemente premiato l’iniziativa immobiliare con il «Mattone d’oro».
A costruire su 700 ettari il «Capo Malfatano Resort» sarà la società Sitas, una cordata di imprese di cui fa parte la Sansedoni spa (40 per cento, controllata dal Monte dei paschi di Siena), la Benetton (25 per cento, attraverso la Ricerca finanziaria spa), il gruppo Toffano (24 per cento) e il gruppo Toti (11 per cento). La gestione dell’albergo sarà invece affidata alla Mita spa, la società dal gruppo Marcegaglia, che in Sardegna già amministra il Forte Village, a Santa Margherita di Pula, e l’ex arsenale della Maddalena.
Gianni Albai, sindaco di Teulada, non nasconde l’ entusiasmo per il progetto, che a suo parere mostra evidenti vantaggi per la collettività. L’ accordo integrativo di procedimento tra il Comune di Teulada e la Sitas, risalente al marzo scorso, prevede che i costruttori rinuncino a parte di metri cubi che inizialmente avevano proposto di edificare. «Nel dettaglio - spiega il primo cittadino di Teulada - la Sitas ci cederà 180 ettari nelle aree di Sa Calarza e di Antonareddu, dove nascerà presto un parco ambientale. Ma cederà anche - continua il sindaco Albai - le aree adiacenti alla peschiera e alla laguna di Malfatano, dove abbiamo intenzione di far sorgere un parco archeologico avente come perno fondamentale i reperti fenicio-punici di Porto Herculis».
In realtà, l’accordo mette in risalto anche i vantaggi che dal progetto potrebbero derivare alla collettività in termini occupazionali ed economici, ma riconosce pure uno speciale contributo di 200 euro a metro cubo a favore del Comune in caso di modifica delle destinazioni d’uso «da alberghiero in residenziale», riservando alla società la «possibilità di variare l’impianto planivolumetrico complessivo e il mix destinazione d’uso per le adeguarli alle attuali esigenze e aspettative del mercato turistico». In altre parole - e la cosa non è sfuggita agli ambientalisti - secondo l’accordo la società si riserverebbe di stabilire che cosa edificare e in quale quantità con criterio di un’imprecisata razionalità di progetto e di un altrettanto imprecisata esigenza del mercato turistico.
«È da tempo - spiega Stefano Deliperi, rappresentante del Gruppo d’intervento giuridico e Amici della Terra - che su questo autentico paradiso costiero incombe il tentativo speculativo. Negli anni Settanta del secolo scorso furono i lombardi Monzino a progettare su quasi 900 ettari di litorale la nuova Costa Smeralda nel sud Sardegna. Si doveva chiamare Costa Dorada: alberghi, ville, campi da golf con centinaia di migliaia di metri cubi di volumetrie. Non se ne fece quasi nulla». Soltanto la durissima opposizione legale delle associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra condusse alle condanne in sede penale e alla successiva demolizione delle opere abusive del tentativo speculativo nella splendida baia di Piscinnì, enclave amministrativa di Domus de Maria, portata avanti in un primo momento dal gruppo Monzino e successivamente da una società aderente alla Lega delle Cooperative.
«Ci sono parecchie ragioni - continua Deliperi - per le quali ci opponiamo alla costruzione di questo resort. Tanto per incominciare quello di Teulada è uno dei pochi tratti di costa così estesi in tutto il Mediterraneo dove nessuno ha mai costruito. In secondo luogo, le tanto sbandierate concessioni fatte dalla Sitas al Comune sono in parte obbligatorie per legge e comunque le aree cedute sono inedificabili o perché a meno di 300 metri dal mare o perché in zona archeologica». Per gli Amici della terra, poi, si poteva puntare sul turismo in altri termini. «Ad esempio - spiega ancora Deliperi - recuperando i tanti furriadroxiu della zona sino a farne una rete di tanti piccoli resort. Un’idea che avrebbe davvero attirato molti villeggianti d’élite con ricadute economiche nel paese. Mentre un resort autosufficiente alla gente di Teulada può dare soltanto posti da giardiniere e da cameriere».
Deliperi, parla anche del problema delle spiagge. «Quelle della zona sono già sovraffolate - conclude - e adesso che gli alberghi avranno le spiagge private, i cittadini normali dove andranno?»
IL SINDACO
Sarà un’occasione di sviluppo per il nostro paese
«Il resort a cinque stelle che la Sitas sta costruendo davanti a Tuerredda è una grande opportunità per la nostra zona». Giovanni Albai, 57 anni, impresario edile, dal 2005 sindaco di Teulada, ha le idee chiare sul progetto «Malfatano resort». E non teme neanche che per via del suo mestiere qualcuno lo accusi di tirare il carro dalla parte del mattone. «Impossibile - dice - la mia impresa edile è ferma da anni».
Ma perché crede tanto in questo progetto? «In primis perché è da anni che a livello comunale programmiamo un intervento ricettivo. Poi perché basta fare un giro a Teulada per capire che questo resort lo vogliono tutti. E non solo perché ci sarà una ricaduta in termini occupazionali, ma soprattutto perché ci consentirà finalmente di fare una promozione turistica adeguata alla bellezza del territorio. E sia chiaro, io non sogno la Costa Dorada che deve fare concorrenza alla Costa Smeralda, vorrei soltanto condizioni economiche migliori per la popolazione che rappresento».
Tra i vantaggi che dovrebbero ricadere sugli abitanti della zona, Albai ricorda quelli compresi nell’ accordo integrativo di procedimento tra il Comune di Teulada e la Sitas. «La società ci cederà 180 ettari nelle aree di Sa Calarza e di Antonareddu - spiega il sindaco - dove nascerà presto un parco ambientale e così metteremo la prola fine a ogni aspettativa su una zona che va assolutamente tutelata. Ma la Sitas cederà anche le aree adiacenti alla peschiera e alla laguna di Malfatano, dove abbiamo intenzione, con la collaborazione della Sovrintendenza ai beni culturali e l’Università di Cagliari, di far nascere un parco archeologico avente come perno fondamentale i reperti fenicio-punici di Porto Herculis. Inoltre, sempre con la collaborazione della Sovrintendenza e dell’Università, si potrebbero fare degli scavi archeologici che possono riservare grandi sorprese».
Ovidio Marras, pastore resistente a Tuerredda
Ottantuno anni, ha detto no alle offerte degli imprenditori che vogliono comprare la sua terra
Ha detto «no» a una cordata di facoltosi imprenditori che volevano compragli casa e terreno a qualche centinaio di metri dalla spiaggia di Tuerredda. Ed è anche per questo motivo che gli ambientalisti lo hanno eletto a simbolo della resistenza contro i «signori del mattone». Lui, Ovidio Marras, ottantun anni portanti con il fisico secco e nervoso di chi ancora si china sui campi per lavorare dall’alba al tramonto, dal suo furriadroxiu non se ne vorrebbe andare mai. Ci arrivi lasciando alle spalle migliaia di metri cubi in costruzione, infestanti, ben visibili anche dalla statale. Poi ti fermi sull’aia luminosa e nella testa ti frullano le parole promozionali della Mita resort, che parla di «colta semplicità».
Ovidio Marras, il pastore contadino accerchiato dalle imprese, alleva pecore e vacche, coltiva un orto e vive in una condizione di libertà che nessun gruppo economico, neppure il più verde, può dargli. E le parole della Mita appaiono poco verosimili, visto che gli unici elementi che con vera «colta semplicità assecondano i movimenti dolci del terreno» sono la casa di Ovidio, i suoi muretti a secco, le sue pecore polverose e i suoi pomodori rosso fiamma. Ma soprattutto lui, Ovidio, asseconda le linee della sua terra e la rappresenta alla perfezione, in armonia. È fatto in economia, Ovidio, asciutto come la terra sulla quale cammina, cotto dal sole, una faccia salmastra, è un’allegoria perfetta dei luoghi. Abita i luoghi e li rappresenta, spiega con il suo passo, i gesti secchi al limite del brusco e lunghi silenzi come quei luoghi devono essere utilizzati e rispettati. Lui, è il padrone dei luoghi. I «padovani», come li chiama lui, non lo saranno mai, anche se quei luoghi li hanno in parte comprati.
“E certo, adesso dobbiamo andare via noi per infilarci qui i padovani!”, dice Ovidio, uno dei protagonisti del bellissimofilm documentario di Mossa e Trentin, Furriadroxus, mentre prepara i pomodori seccati da un sole che i padovani, mischineddus, non vedono mai. Non ci credeva, Ovidio, che i padovani sarebbero arrivati, sembrava impossibile a lui che non sapeva neanche “dove fosse la costa smeralda”. Invece i padovani, aiutati dai sardi, sono riusciti a portare la costa smeralda in casa sua. Continua la vita di sempre, Ovidio, coltiva pomodori con sapore di pomodoro, si occupa delle vacche e delle pecore. Ma gli si legge in faccia che è ancora vivo solo perchè è testardo. E troppo arrabbiato. E’ anche diffidente e se la prende troppo, Ovidio.
Eppure il “Resort di Capo Malfatano si inserisce con un progetto di raffinata sensibilità in un ambiente di selvaggia bellezza”, con “l’hotel a 5 stelle articolato su più edifici, la SPA, i ristoranti, il centro sportivo, le piscine, le ville con grandi giardini si adeguano al paesaggio naturale con colta semplicità, sviluppandosi al massimo su due livelli e assecondando i movimenti dolci del terreno”. Lui non ha venduto, non è voluto andare via, ma ora vede il suo orto concluso circondato da un cantiere che ha sconquassato la sua terra e devastato la “selvaggia bellezza” costruendo le prime tredici ville. E non lo consola neanche un poco pensare che “forme e materiali sono ripresi dalla tradizione e rimodellati in una modernità fondata nel tempo con eleganza e linearità minimale”. E’ ingrato, Ovidio e non ha un moto di orgoglio neanche quando gli dicono che “dal punto di vista architettonico il riferimento preminente è il furriadroxiu e comunque gli esempi degli edifici colonici del paesaggio agrario”. Sarà perchè non è mai stato in costa smeralda e non conosce il mondo, ma lui proprio non riesce a vedere nessuna affinità tra le ville con “zone living” che “si protendono verso la natura godendo di ampie vedute” e il suo furriadroxu, fatto con la terra dove è nato e che non ha alcun bisogno di “protendersi” perchè è parte della natura. E gli sfugge persino la somiglianza tra la sua vasca in pietra per abbeverare le bestie e la piscina - di cui, ovviamente, è dotata ogni villa - che “si misura con l’essenzialità del paesaggio Malfatano”.
Ma Ovidio non è solo. Anche noi abbiamo imparato ad essere diffidenti, soprattutto quando sentiamo che “la scelta dei materiali ed il progetto del verde confermano una rilettura attenta del territorio, accompagnata dalla grande attenzione al rispetto ambientale”. E allora vediamolo nel dettaglio questo vero progetto di sviluppo sostenibile, raro esempio di “complesso eco-compatibile”. Non è complicato. Prevede di riversare 150.000 metri cubi di cemento su 700 ettari di territorio assolutamente intatto, uno dei più tutelati dal Piano Paesaggistico Regionale. Il progetto è andato avanti solo perchè l’art. 15 delle norme di attuazione, purtroppo, per i comuni dotati di piano urbanistico, fa salvi gli interventi approvati e con convenzione efficace alla data di adozione dello stesso Piano Paesaggistico. Lo “spezzettamento” degli interventi - tecnica consolidata in Italia ma in contrasto con la normativa europea - ha evitato la procedura di valutazione d’impatto ambientale. Il Comune di Teulada ha fatto il resto, rilasciando i nulla osta per i singoli comparti edilizi, perchè i progetti presentati sono compatibili con i valori tutelati. Alberghi, ristoranti, piscine, ville e centro sportivo non contrastano con la “presenza di risorse e caratteristiche ambientali che includono paesaggi agropastorali e naturali ed una eredità culturale ad essi legata e rappresentata dal furriadroxius”. E si integrano perfettamente con la “permanenza del sistema insediativo rurale diffuso dei Medaus e Furriadroxius come testimonianza di un modello storico-consolidato dell’abitare”. Eppure il Piano Paesaggistico Regionale individua il più grande fattore di rischio proprio nella “vulnerabilità del patrimonio insediativo rurale dei Medaus e dei Furriadroxius, dovuto a fenomeni di abbandono o riconversione a fini turistico ricettivi incoerenti con i caratteri insediativi e paesaggistici tradizionali”. Ma questo progetto piace tanto al Consiglio comunale che ha anche approvato alcune modifiche di destinazione d’uso, autorizzando l’incremento della funzione residenziale fino al 25 per cento, nonostante Teulada abbia quasi la metà delle abitazioni - circa duemila - vuote.
Pazienza per il Sindaco che mira ad avere un paese fantasma e una popolazione formata da soli camerieri e giardinieri, ma la Soprintendenza? Come sempre, inspiegabilmente, anche per l’organo di tutela nulla osta alla costruzione: gli interessi economici, ancora una volta, possono devastare il nostro paesaggio e distruggere il patrimonio culturale in barba all’articolo 9 della Costituzione.
Si deve riconoscere che non è facile resistere ai “padovani” e ad un intervento tanto eco-compatibile da vincere addirittura il “Mattone d’Oro”. Orgogliosa promotrice del progetto è la società S.I.T.A.S. S.r.l., insieme alla Sansedoni S.p.A., ai Benetton - i grandi ambientalisti - con la società Ricerca Finanziaria, al Gruppo Toti e infine, al Gruppo Toffano di Padova. L’immancabile Mita Resort s.r.l. dei Marcegaglia gestirà i due alberghi a cinque stelle composti da 300 stanze.
Intanto, la campagna pubblicitaria è già iniziata. E i premiati distruttori, con involontaria ironia, ci comunicano che “la grande comodità che offre Capo Malfatano è di essere fuori dal mondo, in un habitat dominato dal sentore mielato delle essenze mediterranee, dal sole e dal grande orizzonte libero del mare nel magico distacco dal quotidiano occidentale più frastornante”.
Chissà se Ovidio se n’è accorto.
Maria Paola Morittu è Referente Regionale per la pianificazione territoriale di Italia Nostra, e ha frequentato tutte le sessioni della Scuola di eddyburg. Le descrizioni del progetto e degli interventi edilizi sono riprese dal sito del Gruppo Toti e da quello della Sansedoni S.p.A. dove sono visibili anche le orrende simulazioni
Per Tuvixeddu si ricomincia daccapo: il Consiglio di Stato ha bocciato in serie tutte le argomentazioni del comune di Cagliari e della Nuova Iniziative Coimpresa e accogliendo per la prima volta la tesi dell’Avvocatura dello Stato, della Regione e di Italia Nostra ha disposto che l’amministrazione regionale e la Sovrintendenza ai beni archeologici di Cagliari e Oristano elaborino una «documentata relazione accompagnata da apposita cartografia ed eventuale corredo fotografico» che serva a spiegare in base a quali «presupposti o sopravvenienze» la giunta regionale abbia indicato l’area del colle punico come «caratterizzata da preesistenze con valenza storico-culturale». I giudici di palazzo Spada, rompendo una sequenza di decisioni negative per chi ha a cuore le sorti dell’area sepolcrale punico-romana minacciata dal cemento, vogliono sapere nei dettagli su quali basi il piano paesaggistico regionale varato dalla giunta Soru abbia inserito Tuvixeddu fra le aree di pregio culturale e dove si trovino i nuovi ritrovamenti di tombe che l’avvocatura dello stato e la Regione, nel ricorso firmato dagli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli e Giampiero Contu, giustificherebbero la revisione dell’accordo di programma del 2000, quello che ha dato il via libera all’edificazione del colle. La Regione e la Sovrintendenza - è stabilito nella decisione della sesta sezione del Consiglio di Stato - hanno sessanta giorni di tempo per depositare nella segreteria di palazzo Spada le relazioni richieste. Il contenuto dei documenti sarà poi trattato in udienza pubblica il 26 gennaio 2011. A quel punto i giudici - presidente Severino, consiglieri Paolo Buonvino (relatore), Rosanna De Nictolis, Maurizio Meschino e Carlo Polito - avranno in mano quanto serve a decidere se aveva ragione l’amministrazione Soru oppure la strana coppia comune di Cagliari-Nuova Iniziative Coimpresa.
Il centro della controversia è nella stretta sostanza questo: dal 1997, la data in cui venne imposto il primo vincolo diretto sull’area sepolcrtale, al 2006 quando Soru cercò di bloccare il progetto Coimpresa, sono intervenute nel sito storico modificazioni tali da giustificare nuovi vincoli oppure aveva ragione l’ex sovrintendente archeologico Vincenzo Santoni - poi finito a giudizio per tentato abuso d’ufficio - per il quale nulla è cambiato? Con l’ordine di esaminare scientificamente lo stato dei luoghi a Tuvixeddu il Consiglio di Stato sembra voler mettere finalmente un punto fermo sulla questione, andare a fondo e vederci chiaro. Una scelta annunciata all’indomani dell’udienza romana del 16 giugno scorso, quando secondo indiscrezioni l’orientamento dei giudici sembrava essere quello di compiere un sopralluogo a Cagliari. Di certo questo nuovo clamoroso pronunciamento, per quanto ancora interlocutorio, apre scenari inediti sull’annosa questione di Tuvixeddu: per la prima volta viene messo un autorevole punto interrogativo sul contenuto - finora considerato sacro - dell’accordo di programma del 2000, per la prima volta superano il diaframma del formalismo giudiziario amministrativo le ragioni degli ecologisti, delle associazioni culturali, degli intellettuali che da anni denunciano come il progetto Coimpresa rappresenti una seria minaccia per l’integrità del paesaggio storico e ambientale di Tuvixeddu. Un’integrità difesa dal Ppr e dal Codice Urbani, arrivati dopo l’accordo di programma ma finora ignorati nella sequenza di giudizi.
Comunque sia il Consiglio di Stato non si accontenta del faldone di documenti prodotti dalle parti in causa e vuole andare a fondo. Partendo certamente anche dalla clamorosa richiesta di archiviazione firmata dal pubblico ministero Daniele Caria, che nel valutare l’insussistenza dei principali aspetti penali della vicenda ha confermato con indagini approfondite quanto l’amministrazione Soru con l’avvocato Vincenzo Cerulli Irelli ha sostenuto nelle fasi del giudizio. Ma soprattutto quanto Sardegna Democratica attraverso l’avvocato Giampiero Contu ha proposto ai giudici di Roma con un intervento ad adiuvandum che contiene ampi stralci del provvedimento della Procura: dal 2000 ad oggi sono cambiate le norme che tutelano il paesaggio, è il Codice Urbani a stabilire esigenze di difesa molto pi rigorose. A Tuvixeddu poi sono state scoperte 1166 sepolture antiche che non erano note dieci anni fa, quando venne firmato l’accordo di programma sul piano di Nuova Iniziative Coimpresa. Se il ricorso della Regione - cui si sono affiancati Italia Nostra con l’avvocato Carlo Dore e Sardegna Democratica - venisse accolto il piano paesaggistico regionale imporrebbe la propria prevalenza sul futuro del colle cagliaritano: al di là dei prossimi giudizi sulla validità delle autorizzazioni, attorno alla necropoli non si potrebbe più mettere in piedi un solo mattone.
l’Unità
Sì ai bungalow del premier
«Ughetto» amplia villa Certosa
di Giacomo Mameli
Si poteva dire di no all'ampliamento di una megavilla nota in tutto il mondo per molte e squallide cronache piccanti e per modeste vicende politiche? Si poteva dire di no a una reggia costruita nella baia di Porto Rotondo tra il 1984 e il 1985 dal più inquisito faccendiere d'Italia e da lui, dal “recidivo Flavio Carboni, nato a Sassari il 14 gennaio 1932, nullatenente” venduta “in contanti” al presidente del Consiglio in carica, al padrone di tv e giornali, di squadre di calcio e assicurazioni, di panfili e colossi immobiliari? Gli si poteva dire di no negli stessi giorni in cui il premier, in insolita veste paterna, gongolava per una figlia neolaureata in una università privata magna cum laude? Certo che non gli si poteva rovinare la festa. Timbri apposti con la velocità delle fibre ottiche da funzionari non fannulloni. E “nel pieno rispetto delle leggi vigenti”. Anche perché la giunta regionale sarda del sempre meno sorridente Ugo Cappellacci aveva predisposto le scappatoie giuste per i potenti. Ed ecco il via alla costruzione di “due corpi di fabbrica per complessivi 800 metri cubi” pari a cinque bungalow superaccessoriati, fra i 32 e i 45 metri quadrati ciascuno, rifiniti di tutto punto. Così si conviene a chi primeggia in galanterie ospitando il premier russo Putin e consorte, il presidente Medvedev e signora, qualche parvenu dell'Europa dell'Est patito di nudismo, o il colonnello Gheddafi che abbandona il solleone del deserto libico per oziare davanti al blu smeraldo del mare e ai graniti di Punta Lada.
Silvio Berlusconi, a tempo di record, ha avuto dalla Regione Sardegna l'okay per l'ampliamento di una villa di 2.800 metri quadrati inserita in un parco sconfinato oggi di 50 ettari. Un ok siglato dalla commissione paesaggistica nominata dal governo di centrodestra a guida Cappellacci e dal suo assessore all'Urbanistica, Gabriele Asunis, uno dei personaggi finiti nell'inchiesta sull'eolico in Sardegna. Quell'Asunis che al telefono, parla amorevolmente col Flavio Carboni assolto per i suoi presunti rapporti con la banda della Magliana, ora in carcere per i traffici e lo “squallore” della P3. E non gli lesina l'uso di aggettivi del cuore, quelli che si usano per figli e mogli, nonni e zii, “caro e carissimo”, e al quale si manda ripetutamente via cavo “un forte abbraccio”. Il ligio assessore all'Urbanistica nominato per cancellare le regole varate dal centrosinistra guidato da Renato Soru poteva far dire di no a chi aveva acquistato Villa Certosa da Carboni, il “caro” signore che ostenta amicizie tanto potenti da poter far incontrare Cappellacci perfino “con i vertici dell'amministrazione americana”? Non è stato Carboni – riverito nei palazzi della Regione sdraiata a destra a organizzare il convegno (18-19 settembre 2009) al Forte Village di Pula per parlare ufficialmente di federalismo fiscale ma sospettano i giudici romani – per siglare il lerciume sull'eolico in Sardegna? E Cappellacci (anche lui – prima della scottatura e del pentimento dà sempre del “caro” e “carissimo” a Carboni) poteva negare la compartecipazione della Regione? Spicciolo più, spicciolo meno, è stata di 134 mila e 372 euro la somma che Pasquale Lombardi, il geometra accreditato come giudice tributario, oggi in carcere con Carboni e soci, ha dichiarato di aver impiegato per il summit delle tresche. Chi ha pagato? 50mila euro li ha certamente messi Cappellacci, pardon, la Regione che snobba i disoccupati della Vinyls e dell'Eurallumina. Gli altri 75mila l’instancabile «Flavio», tessitore di affari col coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini. Così tutto torna. Fra amici ci si intende. E poiché gli amici crescono è bene ampliare Villa Certosa. Acquistata 25 anni fa (da Carboni) per un miliardo e mezzo di lire con 28 stanze e 12 bagni. Oggi il prezzo è schizzato a 35 milioni di euro. E poi dicono che chi ci governa non sa fare i conti. Quelli propri.
la Nuova Sardegna
I bungalow a Villa Certosa saranno cinque,
coro di critiche al premier
di Mauro Lissia
«Questo episodio, l’uomo più ricco d’Italia e capo del governo italiano che chiede e ottiene di allargare la propria villa in Sardegna, è una nuova conferma del livello barbarico in cui è precipitata l’Italia»: parole di Edoardo Salzano, urbanista pianificatore di fama internazionale, padre indiscusso del piano paesaggistico regionale. Salzano è sconcertato: «La norma sul piano-casa è stato un fallimento a livello nazionale, è incredibile poi che alcune regioni l’abbiano applicata ancora prima che diventasse legge. Purtroppo la prima è stata la Toscana, amministrata dal centrosinistra. Ed è stata una decisione difficile da comprendere». Salzano però insiste sul caso sardo: «Questo fatto dimostra quanto Berlusconi tenga alla sua villa e spiega perchè il presidente del consiglio si sia impegnato così a fondo per sostenere la candidatura dell’amico Ugo Cappellacci».
L’ex assessore regionale all’urbanistica Gianvalerio Sanna ha la carta bollata sulla scrivania: «Sull’ampliamento di villa Certosa il parere della commissione al paesaggio conta soltanto come un parere, ma se l’ufficio regionale per la tutela del paesaggio darà il nullaosta all’intervento, che è l’atto rilevante, ricorreremo al Tar perchè si verificherà una chiarissima violazione del piano paesaggistico regionale». Sanna si era già fatto sentire nell’aula del consiglio quando, a maggio scorso, sono uscite sulla Nuova Sardegna le prime indiscrezioni sull’istanza di accesso al piano-casa presentata dall’Idra Immobiliare di Silvio Berlusconi: «Ho chiesto che gli atti mi venissero trasmessi immediatamente, perchè mi pare evidente che se l’amministrazione Cappellacci ha elaborato un secondo piano casa l’ha fatto perchè il primo era illegittimo. Poi si è rivelato illegittimo anche il secondo...». Sugli aspetti politici il giudizio è scontato: «Manca persino il pudore - taglia corto Sanna - ma ormai non c’è più da stupirsi di nulla, basta guardarsi intorno e vedere a quale punto è il nostro paese grazie a questi governanti».
Sulla stessa linea l’ex presidente della Regione Renato Soru: «Non ho commenti su questa vicenda, posso solo dire che difenderemo il piano paesaggistico in ogni sede, come abbiamo fatto finora». Anche Francesco Pigliaru, ex assessore regionale alle finanze e docente di economia, fa fatica a trovare le parole giuste per una valutazione dei fatti: «Il piano casa va nella direzione esattamente opposta a quella giusta, fa costruire di più anzichè di meno. Il fatto che ad avvantaggiarsene per primo sia Berlusconi è la conferma di quanto quella norma sia sbagliata». Indignazione anche a Italia Nostra, dove la responsabile giuridica Maria Paola Morittu appoggia pienamente l’idea di un ricorso ai giudici amministrativi: «Se riscontreremo profili di illegittimità lo presenteremo subito, questo è certo. Perchè abbiamo di fronte l’ennesima dimostrazione di come chi governa badi ai propri interessi piuttosto che al bene comune». La dirigente dell’associazione culturale contesta anche l’opportunità del piano-casa: «Le domande all’esame della commissione sono state soltanto trentacinque, il che la dice lunga sulla necessità di questa norma regionale, costata lunghissime discussioni e sedute del consiglio regionale a discapito di problemi reali della Sardegna. Non so, è una cosa talmente vergognosa che non si trovano parole sufficienti a esprimere il disappunto».
Caustico il commento di Stefano Deliperi, responsabile del Gruppo di intervento giuridico: «Nessuna sorpresa, ormai in questo paese quando si fa una legge si sa già in partenza chi sarà l’utilizzatore finale. In questo caso poi si tratta di una vera legge-porcata, destinata ad alimentare gli interessi di pochi e ben identificati speculatori. Ma come tutte le cose elaborate in fretta si è rivelata un fallimento totale. Doveva servire a chi ha già volumetrie e cantieri pronti, alla fine è servita soltanto a Berlusconi». Parla di fallimento anche Vincenzo Tiana, presidente regionale di Legambiente: «Ci siamo battuti contro il piano-casa e i fatti dimostrano che eravamo sulla strada giusta, quella legge è un disastro ed è stata pensata soltanto per alcune persone. Che altro potrei aggiungere? E’ una cosa deprimente, se ci saranno gli estremi ricorreremo al Tar».
Intanto si apprende che i bungalow progettati dalla società Idra Immobiliare per Villa Certosa sarebbero cinque, tra i 32 e i 45 metri cubi, per un totale di 800 metri cubi. Il piano-casa prevede la possibilità di aumentare la volumetria concessa del dieci per cento.
L’Italia dei valori: legge ad personam,
non c’è limite alla vergogna
I Verdi preparano il ricorso al Tar
«Presenteremo un ricorso al Tar Sardegna per chiedere che venga annullata l’autorizzazione paesaggistica rilasciata al presidente del Consiglio per l’ampliamento di Villa Certosa e la costruzione di numerosi bungalow»: lo dichiara il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli.
È una delle reazioni politiche a livello nazionale alla notizia, riportata ieri dalla Nuova, che Berlusconi potrà realizzare nuove costruzioni nella sua residenza Porto Rotondo. «A quanto ne sappiamo - aggiunge il leader dei Verdi - il progetto presentato per Villa Certosa è assolutamente insufficiente e per niente dettagliato. Inoltre, la normativa sul paesaggio in Sardegna vieterebbe anche solo la costruzione di un metro cubo sulle coste».
«In questo caso - prosegue Bonelli - è evidente il conflitto d’interessi di Berlusconi che avrà un vantaggio diretto ed economico da una norma da lui fortemente voluta e approvata: il piano casa, a cui ci siamo sempre opposti. Il valore di Villa Certosa aumenterà di diversi milioni di euro in barba a tutte le normative a tutela del paesaggio e dell’ambiente: l’assalto del cemento e della speculazione alle coste sarde è iniziato». «Berlusconi avrebbe dovuto astenersi dal chiedere l’autorizzazione per questo ampliamento - conclude il presidente nazionale dei Verdi -. In questo modo, ancora una volta, dimostra di preoccuparsi più dei suoi interessi che di quelli del Paese».
Indignata anche la reazione dell’Italia dei valori, affidata al capogruppo alla Camera del partito di Di Pietro, Massimo Donadi: «Alla vergogna non c’è mai limite. Berlusconi ha ottenuto il via libera per la costruzione di alcuni bungalow a Villa Certosa grazie a un piano casa regionale del suo fidato governatore Cappellacci. A quanto pare le richieste sono state poco più di venti, e tutte da hotel, villaggi turistici o ville private. A cosa serve la costruzione di bungalow in una villa già enorme e che ha già usufruito in passato di costruzioni abusive coperte poi dal segreto di Stato? E, soprattutto, il piano casa non era stato progettato per avere una stanza in più per i figli? Ancora una volta demagogia e propaganda nascondevano un’altra verità. Berlusconi aveva bisogno di una nuova legge ad personam, e questa volta se l’è fatta fare dalla Regione Sardegna».
Grazie al piano-edilizia della Regione, ispirato al piano-casa lanciato dal governo nazionale, Silvio Berlusconi potrà realizzare una serie di bungalows immersi nel verde dello sterminato parco di Villa Certosa.
La commissione paesaggistica regionale ha esaminato l’istanza di ampliamento della volumetria presentata a maggio scorso dalla Idra Immobiliare, la società del premier proprietaria della residenza principesca di Porto Rotondo, e ha concesso il nullaosta all’intervento. L’organo di controllo presieduto dall’artista Pinuccio Sciola non ha rilevato elementi di incompatibilità dal punto di vista paesaggistico, quindi se i nuovi metri cubi proposti saranno in linea con le norme regionali i lavori di costruzione potranno partire.
Scarne le indicazioni sulla qualità del progetto: «Si tratta di alcune strutture staccate dal corpo centrale della residenza - spiega Sciola - inserite in uno spazio immenso, non c’era alcun motivo per negare il parere positivo». Le norme del piano paesaggistico regionale vieterebbero anche la posa di un solo mattone nell’area privata di Berlusconi così come in qualsiasi altro tratto di costa, ma le deroghe contenute nella prima formulazione del piano-casa o piano-edilizia - come preferisce chiamarlo l’assessore regionale all’urbanistica Gabriele Asunis - hanno spianato la strada alle nuove esigenze di ospitalità manifestate dal presidente del consiglio, mentre una ventina fra i trentacinque progetti presentati all’esame della commissione sono stati bloccati: «In prevalenza sono progetti illeggibili - avverte lo scultore di San Sperate - dai quali non si capisce che cosa i proprietari vogliano fare nel proprio immobile. Ho visto fotografie e disegni di case costruite negli anni Sessanta e Settanta praticamente in riva al mare, che ora si vorrebbe allargare o modificare. Molti di questi progetti siamo stati costretti a rispedirli al mittente, per altri abbiamo richiesto approfondimenti». Finora solo una decina di istanze ancorate al piano-edilizia hanno superato il vaglio della commissione, fra queste il progetto della Idra Immobiliare di Silvio Berlusconi. Che ora avrà a disposizione nuovi spazi da offrire ai suoi ospiti, sempre numerosi d’estate e anche nei mesi meno caldi. Spazi da costruire legalmente, dopo la fase degli abusi sfociati in un processo penale finito con il proscioglimento dell’amministratore della società del premier: le opere risultavano ormai condonate.
«L’esame di questi progetti di ampliamento - osserva Sciola - è solo una delle competenze della commissione per il paesaggio. E’ normale che si parli delle cose che riguardano Berlusconi in Sardegna, ma vorrei che si aprisse un confronto tra i comuni e la Regione per affrontare una volta per tutte il problema dei rifiuti di cui è disseminata la Carlo Felice, così come altre strade dell’isola. E’ una situazione assurda che si potrebbe risolvere in una settimana se esistesse la volontà di discuterne seriamente per trovare una soluzione concreta». Situazione che La Nuova Sardegna ha denunciato di recente con un ampio servizio-inchiesta e sulla quale non si registrano passi avanti: «La Sardegna resta un’isola bellissima - insiste Sciola - ma proprio per questo è urgente che il suo paesaggio venga difeso dal degrado».
Sull’argomento vedi su eddyburg, tra l’altro, gli articoli di Sandro Roggio , Costantino Cossu e Mauro Lissia
Le cose si complicano per il governo regionale. Al tempo della Prima Repubblica la crisi sarebbe esplosa. Improbabile la minimizzazione del clamoroso voto in consiglio contro il «Piano casa». Al centro di quel voto un tema, quello «edilizio», centrale nel programma elettorale di Ugo Cappellacci. In quell’altra epoca le questioni connesse al governo del territorio sono state spesso causa di dimissioni, e quegli argomenti, mai così decisivi nel confronto elettorale, emergevano con forza. Un rimpasto dovrebbe aggiustare tutto, si dice. Silenzio sulla principale materia del contendere.
Molti osservatori di questa recente fase avevano escluso un disaccordo oltre i piccoli fisiologici dissapori. Tutto liscio, con un presidente eletto direttamente dai sardi e così tanto sostenuto da Berlusconi che sul tema si è esposto molto e volentieri. Sua l’indicazione riassunta nello slogan «la libertà in Sardegna dopo le angherie di Soru». Il patto sembrava insomma cementato (il termine è appropriato) da una visione che la destra italiana - con rare eccezioni - dichiara attraverso il suo massimo esponente: il territorio luogo dei diritti a edificare, i vincoli esagerazioni di certa sinistra.
Grandi e piccole attese soddisfatte da questa facile visione: un pezzo di terra-una casa. Tutto sembrava andare nel verso giusto (l’assessore all’ urbanistica prescelto il più preparato per svolgere il difficile compito); grande compiacimento, come se la politica neoliberista avesse trovato un suo laboratorio ideale in questo piccolo pezzo di mondo. Invece le cose si sono complicate, e non poco negli ultimi mesi. Il percorso è diventato accidentato. Molti i fatti attorno alla stessa matrice, in una sequenza che ci vorrebbero quelli di blob per rendere evidenti con la dovuta efficacia le connessioni. Primo spazzare via il piano paesaggistico di Soru (con prudenza secondo alcuni, avanti senza esitazioni secondo i falchi). Quindi il piano-casa. Pensato a Roma sembrava fatto apposta per aprire varchi nelle regole urbanistiche in Sardegna, presentato in una versione e ripresentato. Troppo evanescente per dare risposte al bisogno inevaso di case, molto azzardato nel secondo capitolo, laddove tra l’altro è offerta surrettiziamente la soluzione a casi altolocati rimasti impigliati nelle norme del Ppr. Così a una parte degli alleati la linea svincolante è apparsa troppo sbilanciata, a favore di un’altra parte. Un doppio binario inaccettabile, perché un piano non si smonta con un articolo di legge, men che meno per rispondere a qualche pretesa, se per gli altri vale il lungo percorso verso un nuovo piano paesaggistico.
Nel blob c’è altro. Ci sono le sentenze su Cala Giunco - caso illuminante - che riaffermano la solidità del piano paesaggistico proprio in relazione ai vincoli che si vorrebbero sopprimere. Ci sono le ombre lunghe sul caso Tuvixeddu (le intercettazioni che spiegano alcuni retroscena, le richieste di rinvio a giudizio di cui si sa troppo poco). C’è il caso Is Arenas, doppia beffa per i sardi. E poi i gravi sospetti per gli affari legati all’eolico, Flavio Carboni suggeritore di quella linea spericolata è oggi in carcere con tutto ciò che sottintende.
Sembra la versione al mirto di ciò che accade a Roma, il paesaggio - fonte di grandi rendite - è il tratto dominante della politica dalle nostre parti. Le reazioni di un pezzo della maggioranza sono un segnale da non trascurare. Qualche dubbio sul rovesciamento di una linea giusta? Forse influisce lo smarrimento di chi ci guarda da fuori. Prima l’apprezzamento per la tutela orgogliosa del territorio. Ora il disorientamento per ragioni opposte; per gli eccessi, come ad esempio il furore contro la Conservatoria delle coste cancellata inopinatamente. Soru ha perso nella sua maggioranza, si è detto sinteticamente, perché concedeva troppo poco ai cacciatori di diritti a prendere dal paesaggio sardo; per il suo successore Cappellacci si vedrà.
Cappellacci sulla graticola
Manovra, cancellata la Conservatoria delle coste
Dopo la batosta elettorale, i franchi tiratori. La giunta Cappellacci e il centrodestra sono sull’orlo di una crisi, almeno di nervi. Il terremoto della bocciatura del Piano casa-bis anticiperà la verifica politica e forse il rimpasto. Nuove tensioni Cappellacci-Asunis. L’opposizione tuona: «Se non siete in grado di governare è meglio che andiate a casa». La giunta reagisce varando la manovra correttiva e tagliando quattro Agenzie, tra cui la Conservatoria delle coste.
Senza cemento la giunta è a rischio
Dopo la batosta elettorale, i franchi tiratori. La giunta Cappellacci e il centrodestra sono sull’orlo di una crisi, almeno di nervi. Il terremoto provocato mercoledì dalla bocciatura del Piano casa-bis in Consiglio regionale ha fatto salire ulteriormente la tensione politica: per ironia della sorte il cemento della maggioranza ha ceduto proprio sulla cementificazione. Il caso ha provocato anche un nuovo scontro a distanza tra il presidente e l’assessore Gabriele Asunis, tanto che l’opposizione di centrosinistra, con il capogruppo del Pd Mario Bruno in prima fila, ha tuonato: «Se non siete in grado di governare è meglio trarne subito le conseguenze e andare a casa».
La maggioranza caduta su un provvedimento considerato strategico è ormai a un bivio: rilancio o crisi politica vera e irreversibile ad appena un anno e mezzo dalle elezioni regionali. Il pericolo lo ha avvertito con lucidità il decano dei consiglieri, Mario Floris, leader dell’Uds: «Sento che qualcuno pensa di risolvere tutto con un rimpasto di giunta, io dico che è l’ultima cosa a cui pensare: prima vanno affrontati i problemi politici e vanno aggiornati il programma e le priorità. Non bisogna fare finta di niente, occorre forse rivedere anche gli assetti e va costruito un rapporto con la minoranza sulla crisi economica e sulle riforme». Già martedì nel vertice di maggioranza, Floris aveva posto l’esigenza il tema di una «verifica vera e profonda».
Ugo Cappellacci, che sta cercando di non finire sulla graticola, è apparso in sintonia con la linea di Floris. Senza citare l’incidente in Consiglio, il presidente, nell’annunciare la manovra correttiva varata ieri sera dalla giunta, ha dichiarato che si «apre una stagione di grande responsabilità per l’intera classe dirigente sarda per affrontare questa stagione difficile con comportamenti coerenti e il massimo di condivisione generale». Il governatore sembra annunciare una svolta e ha così segnalato nuovamente una presa di distanze dall’assessore all’Urbanistica, Gabriele Asunis, il presentatore del testo bocciato dal Consiglio. Ieri mattina Asunis ha cercato di minimizzare l’accaduto: la comparsa dei franchi tiratori non è contro la giunta, ha dichiarato, ma «fa emergere i malumori della coalizione» perché «siamo in un momento politico di grande fibrillazione» con «lo stato di malessere che coinvolge alcune forze politiche».
Il coordinatore e il capogruppo del Pdl, Mariano Delogu e Mario Diana, hanno detto che una riunione della maggioranza «è indispensabile» per «avviare un confronto che valga ad evitare il ripetersi di situazioni analoghe che potrebbero condizionare in maniera del tutto negativa l’azione della giunta e del Consiglio». E hanno detto stop a «sgradevoli diatribe», occorre «un rilancio dell’azione politica dell’esecutivo e della maggioranza, con iun’univoca assunzione di responsabilità da parte di tutti».
D’accordo i sardisti, che con il capogruppo Giacomo Sanna hanno respinto il sospetto di aver votato contro la giunta: «I numeri sono ben altri». Quanto al chiarimento: «Poteva già partire martedì e in ogni caso si deve concludere entro luglio, anche con la verifica di giunta. Nessuno pensi alle vacanze».
Si è detto preoccupato anche uno dei leader dei dissidenti del Pdl, il finiano Ignazio Artizzu: «Il Pdl ha tenuto, è stato un episodio grave, il Piano casa andava completato, era un impegno con gli elettori, sono messaggi politici che fanno male alla coalizione».
In mattinata i leader consiliari del centrosinistra hanno tenuto una conferenza stampa per denunciare «il fallimento della giunta e della maggioranza di centrodestra». Secondo Mario Bruno (Pd), Carlo Sechi (Sel), Adriano Salis (Idv) e Chicco Porcu (Pd) l’opposizione è disponibile a confronti serrati sui temi vitali dell’isola, ma il centrodestra «ossessionato dal cemento, è assolutamente inadeguato».
Si voleva recuperare Costa Turchese. E non solo
Il provvedimento poteva salvare tra i tanti altri i progetti in posti di costa pregiata a Teulada, Villasimius e S.Caterina di Pittinurri
Il progetto berlusconiano di Costa Turchese, vietato dal Ppr della gestione di Renato Soru, sarebbe diventato realtà se la legge-bis del Piano casa sardo fosse stata approvata. Ma non era certo l’unica lottizzazione che la giunta, non trovando però il pieno consenso della maggioranza, voleva recuperare. Le nuove norme, eliminando alcuni vincoli, avrebbero consentito di sbloccare, ad esempio, il villaggio dei Benettom sulla Costa di Teulada, le “micro” lottizzazioni a Santa Caterina di Pittinurri e il villaggio di Cala Giungo, a Villasimius, dell’editore-costruttore Sergio Zuncheddu. Il quale, secondo quanto dichiarato dagli esponenti dell’opposizione, sperava anche in una modifica delle procedure del Piano casa per gli ampliamenti: nuove procedure di cui avrebbe avuto bisogno un suo mega-progetto cagliaritano a Santa Gilla.
Il piatto grosso delle lottizzazioni da sbloccare era servito da uno dei numerosi commi del disegno di legge dell’assessore Gabriele Asunis, stoppato mercoledì dal Consiglio regionale con una quindicina di franchi tiratori. Il Ppr aveva previsto che non potessero essere realizzate le lottizzazioni convenzionate ma senza l’avvio delle opere di urbanizzazione. Il ddl del Piano casa-bis faceva cadere, tra gli altri, questo vincolo. L’ex assessore Gian Valerio Sanna (Pd) ha detto che «è stata bocciata una politica arrogante e clientelare che ha evitato il confronto con l’opposizione e di prendere in giro settori della maggioranza, mentre per uscire dalla crisi servono franchezza e dialogo».
Manovra, tagliata la Conservatoria delle coste
Cancellate altre 3 Agenzie, l’esecutivo vara le correzioni al bilancio
Taglio della spesa regionale per 380 milioni, eliminazione di una parte dei residui passivi, cancellazione della Conservatoria delle coste e di altre 3 Agenzie (Entrate, Sardegna Promozione e Osservatorio Economico). Sono i principali contenuti della manovra correttiva approvata ieri sera dalla giunta Cappellacci. Che ha tenuto a sottolineare: «Abbiamo confermato le scelte strategiche poste alla base dell’azione di governo per lo sviluppo, le infrastruttrure, il contrasto alla povertà, le politiche per il lavoro».
Rispetto alle anticipazioni dei giorni scorsi la sorpresa è stata la cancellazione delle quattro agenzie, tre delle quali (Conservatoria, Sardegna Promozione e Agenzia delle Entrate) erano state introdotte dalla giunta di Renato Soru. Secondo quanto è stato chiarito ieri sera dalla stessa giunta, loe funzioni delle quattro agenzie saranno assegnati a servizi della presidenza o di alcuni assessorati.
Come sarà accolta la manovra? lo si vedrà in Consiglio regionale non appena l’assessore Giorgio La Spisa presenterà gli emendamenti al collegato alla Finanziaria. «La manovra - ha spiegato Cappellacci lanciando un chiaro messaggio politico dopo la comparsa dei franchi tiratori in Consiglio - introduce azioni strutturali finalizzate a una maggiore razionalizzazione della spesa, privilegiando lo sviluppo e il mantenimento delle azioni di governo volte a contrastare l’emergenza economico-sociale. Quella che si apre è una stagione di grande responsabilità: con la proposta che presentiamo al Consiglio vogliamo testimoniare dell’attenzione non solo per le fasce più deboli ma anche per tutte le azioni richieste da una visione strategica dello sviluppo; la responsabilità è quella che deve assumere l’intera classe dirigente sarda per affrontare questa stagione difficile con comportamenti coerenti e il massimo di condivisione generale».
«Il bilancio di previsione per il 2010 - ha detto La Spisa - è stato elaborato nel 2009 sulla base di previsioni di entrate derivanti dalle quote di compartecipazione al gettito fiscale che oggi devono tener conto della crisi economica: il calo del Pil produce la diminuzione delle riscossioni di imposte e conseguentemente delle spettanze della Regione. La manovra approvata dalla giunta si rende necessaria nel 2010 proprio perché la nostra è una Regione a statuto speciale che ha entrate originarie e non derivate, come le altre Regioni. A fronte delle riduzioni di entrate occorre puntare al contenimento della spesa dell’anno in corso e quella per il 2011 verrà raggiunta attraverso cancellazioni di alcune spese di minore importanza o col differimento delle stesse a esercizi successivi».
Postilla
La Conservatoria delle coste, insieme al Piano paesaggistico regionale, ha costituito il più prezioso contributo della giunta di Renato Soru alla difesa e alla messa in valore (il termine “valorizzazione” non piace né a eddyburg né a Soru) dei residui paesaggi della costa della Sardegna. Essa è stata costituita sul modello inglese del National Trust e quello francese del Conservatoire du littoral ; acquisisce beni immobili mediante trasferimento dalle proprietà pubbliche, donazioni da privati e – dove ve n’è l’opportunità e le risorse – acquisizione diretta. Si occupa poi della gestione sociale dei beni acquisiti, per garantirne, insieme alla più rigorosa tutela, anche la fruizione culturale.
Decidere la chiusura della Conservatoria delle coste rivela la meschinità politica e culturale dell’attuale giunta sarda, mossa da due obiettivi concorrenti: fare un dispetto a chi ha promosso la bocciatura il loro “piano casa” e ha difesso il piano paesaggistico, e contemporaneamente cancellare una istituzione che, attuando modo intelligente e moderno la protezione del bene comune costituito dal paesaggio, ostacola il suo saccheggio da parte dei soliti padroni. Nel caso specifico, questi ultimi sono ben rappresentati dai titolari delle lottizzazioni interrotte dal piano paesaggistico (che il “Piano casa” avrebbe voluto ripristinare), di cui parlano le cronache qui sopra.
A questa vicenda bisogna che la Sardegna, l’Italia, l’Europa e tutto il mondo civile reagiscano esprimendo la più radicale critica allo spegnimento della Conservatoria delle coste.