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CAGLIARI - Arriva l´acqua a valanghe, e la Sardegna sembra recuperare, anche se un po´ a fatica, la sua memoria contadina. Il fango travolge le case e le strade, le frane isolano ovili e porcili, si piangono i morti e si dice: «Mai tanta acqua, qua non eravamo abituati». E´ questa la frase che ricorre, tra i soccorritori e gli alluvionati, ma è un alibi. In realtà i fiumi perenni dell´isola sono solo due. E i fiumiciattoli, i torrenti, i rii sono centinaia.

Stanno in secca durante l´estate, o per anni interi, all´improvviso assecondano le leggi della natura e tornano a pulsare acqua e fango, ad incanalare tutto quello che il terreno della montagna - dove spesso si sono costruite le case e non si sono creati argini e muretti - non riesce più ad ingoiare.

«Su questi fiumi hanno costruito di tutto - dice Antonio Dessì, ds, assessore all´Ambiente della nuova giunta regionale di centrosinistra - ed è stato un grave errore. Se si costruisce su un fiume è imprevedibile solo il "quando" ci sarà il disastro, ma il disastro ci sarà. Un mese fa ero a Bonorva, nella zona di Sassari, e tre isolati sono franati. Sembra un´altra storia, rispetto al dramma di questi giorni, ma è la stessa storia, anche lì c´era un fiume, e ci hanno costruito sopra, e poi...».

Là eravamo a ovest, oggi siamo a est, nell´Ogliastra, nella Baronia, nella martoriata Galtellì, e siamo a Villagrande Strisaili, tra persone incrollabili che, con impermeabili di buste di plastica e a mani nude, spalano, sgomberano, si aiutano.

Il paese è ancora commosso per l´omelia di monsignor Antioco Piseddu, il vescovo di Lanusei. Ha preso la parola al funerale della nonna e della nipotina uccise dalle frane di Villagrande: «Mi piace immaginare che la nonna consegna la nipotina a Maria dicendole: "Tienila sempre con te, è così piccola, ha tanto bisogno di carezze"». Ma il paese è anche furibondo contro sé stesso, contro la politica che questa terra ha prodotto: «C´erano tre fiumi, il Mesu Idda, Bau Argili e Figu Niedda, passavano in mezzo alle case, ma li hanno intubati, ci hanno messo il cemento intorno e poi sopra l´asfalto. E adesso - spiegano - sono esplosi». Sono immagini difficili da credere, quelle che si vedono e che le tv locali continuano a trasmettere: una moderna litania dei ricordi perduti, delle occasioni sbagliate. I pezzi di quel cemento sono stati sparati dovunque, sembrano macerie di un attentato come quelli di Baghdad. Sono i fiumi che hanno mostrato i muscoli, distrutto appartamenti, allagato palazzine, rubato le automobili.

La furia degli elementi non la può negare nessuno, la notte di lunedì è stata una notte di Valpurga. Ancora adesso riemergono chicchi di grandine tra i detriti che, come un nuovo manto stradale, hanno sfigurato il paese. Ma se i danni materiali sono ingenti, qui è stata davvero la tragedia di Francesca, che aveva tre anni, e di nonna Assunta, a spezzare i discorsi e trasformare il dolore in polemica. E la morte delle due compaesane a rammentare che sono sempre le persone comuni a pagare il prezzo più alto, e c´è la cugina di Francesca che ancora va in giro con la bambolina che la bimba portava con sé, e piange. «Siete i nostri angeli, vegliate su di noi», si pregava in chiesa.

Ma, insieme alle lacrime, sembra tornare la saggezza perduta dei nonni.

Bruno Alfonsi, il procuratore di Lanusei, non ci sta, nemmeno lui: «Non è giusto addebitare ogni cosa alla forza distruttrice del caso».

Indaga per duplice omicidio e disastro colposo, e sostiene che è «un dovere morale, prima ancora che giuridico».

Costruire case per abitare, costruire case da affittare, costruire case per investire capitali. Costruire su ogni metro quadrato disponibile, costruire il più possibile, anche questo è all´origine delle tragedie in Sardegna. Come mai, se no, l´altro disastro è a Siliqua, nel cagliaritano? E dove, a Siliqua? Semplice: dove hanno costruito a ridosso del Rio Forrus, che s´è gonfiato e ha occupato campi, capannoni, aziende. Qui ognuno racconta le scelte di paesi vicini, che hanno lasciato i fiumi all´aperto, hanno costruito argini antichi, e non hanno deviato gli alvei.

Dall´alto gli elicotteri controllano le dighe, che sinora reggono. I forestali portano foraggio ad armenti isolati, piccoli furgoni trasportano cadaveri di mucche e pecore, i volontari dell´organizzazione Masesu danno pasti caldi a chi lavora, ai 29 sfollati. Qui chiamano «montagna» le grandi colline, ma molte di queste gobbe verdi sono rovinate da frane grigie e marroni. E non è ancora finita, quest´emergenza-Sardegna: si teme per oggi, soprattutto nella parte meridionale, il ritorno degli acquazzoni. «Mai tanta acqua», ripetono in tanti, è forse un indizio del clima che sta cambiando dovunque nel mondo. Ma non è solo questo, se l´assessore all´Ambiente aggiunge: «Nel cassetto c´era il Pai, piano di assetto idrogeologico, che non è stato mai reso operativo. Noi lo faremo al più presto - assicura Dessì - non si possono ripetere gli errori del passato».

Una città lineare, stesa lungo tutto il perimetro delle coste sarde, una colata di cemento di proporzioni impressionanti. Tutto andato in malora quando, lo scorso 10 agosto, la giunta regionale di centrosinistra (un centrosinistra allargato a Rifondazione comunista) ha approvato un decreto che vieta qualsiasi attività edilizia all'interno di una fascia di due chilometri dal mare. I piani di cementificazione erano già tutti approvati, capitali ingenti erano impegnati in un'impresa che avrebbe fruttato profitti straordinari. Ora gli interessi colpiti dalla decisione dell'esecutivo guidato da Renato Soru reagiscono. E duramente. Il consiglio regionale è di fatto bloccato dall'ostruzionismo di Forza Italia e dei suoi alleati, che hanno presentato 1824 emendamenti al decreto, nel frattempo diventato progetto di legge. Hanno provato a far decadere il provvedimento, che ha il 10 novembre come data di scadenza, ma la maggioranza ha votato una proroga di altri tre mesi. Non è bastato. Il centrodestra non ha mollato, ha deciso di portare alla paralisi il consiglio, con il rischio di aprire una crisi istituzionale senza precedenti. Cinque anni di governo di centrodestra alla Regione e la vittoria della Casa delle libertà in molti comuni nelle elezioni amministrative avevano creato la situazione più propizia a un saccheggio sistematico delle coste. Poi la vittoria di Soru. Nel programma elettorale della coalizione di centrosinistra la difesa dell'ambiente era uno dei punti qualificanti. Non a caso il sostegno dei gruppi ambientalisti è stato, per tutta la campagna elettorale, particolarmente convinto; un recupero dell'area dei movimenti che si è rivelato uno degli elementi determinanti della vittoria dell'alleanza guidata dall'ex presidente di Tiscali. E la nuova giunta non ha perso tempo. Trascorsi nemmeno due mesi dalla chiusura delle urne, l'esecutivo regionale ha approvato il decreto dei due chilometri. Gli interessi toccati sono molto forti.

Tra i colpiti c'è anche la «Edilizia Alta Italia», proprietaria di 467 ettari di terra a sud di Olbia, e controllata dalla holding Finedim, a sua volta controllata dalla Fininvest di Marina Berlusconi, figlia del presidente del consiglio. La «Edilizia Alta Italia» vorrebbe costruire un villaggio turistico dalla cubatura di oltre 500 mila metri quadri. Sindaco di Olbia è Settimio Nizzi, di Forza Italia. Berlusconi in persona è venuto in Sardegna a fargli la campagna elettorale. Nizzi a «Edilizia Alta Italia» avrebbe spalancato tutte le porte, ma ha dovuto fare i conti con l'opposizione degli ambientalisti. Alla fine, il consiglio comunale, con il voto di maggioranza e minoranza unite, ha dato il via libera a un progetto dimagrito: solo, si fa per dire, 250 mila metri cubi. Ma con il decreto approvato dalla giunta Soru saltano anche quelli. Così come sfuma il piano di ampliamento della Costa Smeralda messo a punto da John Barrack. Il miliardario texano, uno dei leader mondiali dell'industria delle vacanze, ha acquistato Porto Cervo e dintorni dal principe Karim Agha Khan. Ora vorrebbe allargarsi, costruendo soprattutto nuovi alberghi di lusso.

Ma non sono solo Marina Berlusconi e John Barrack a fare il tifo per l'ostruzionismo del centrodestra in consiglio regionale. Ci sono anche imprenditori sardi e non sardi che hanno investito in mega-progetti su tutta la costa, da Alghero a Bosa, dalla penisola del Sinis a Is Arenas, da Arbus alle spiagge ancora incontaminate dell'Ogliastra. Imprese i cui capitali spesso hanno provenienze non chiare e che ora agitano lo spauracchio della chiusura e dei licenziamenti. Iniziative che, come ricordava già trent'anni fa Antonio Cederna in una delle sue inchieste sul sacco delle coste sarde appena cominciato, «alimentano un'economia drogata, nella quale non c'è prospettiva. E' il mattone per il mattone. Quando non ci sarà più nulla da costruire, perché tutto è stato costruito, chi potrà più pensare che una natura che non esiste più possa essere una risorsa?» Il decreto Soru prefigura, per la prima volta, quel mutamento di paradigma che Cederna, inascoltato, invocava.

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