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I beni minerari vicini al mare non saranno posti in vendita ma - come già altre volte è stato detto e come è stato ribadito dal Presidente della Regione, Renato Soru - saranno trasferiti alla Conservatoria delle coste.

CAGLIARI, 29 FEBBRAIO 2008 - La notizia pubblicata oggi sulla prima pagina di un quotidiano regionale secondo la quale “le ex miniere tornano in vendita” non solo non “è stata anticipata ieri mattina dal Governatore Soru nel corso dell’incontro per l’Intesa istituzionale con la provincia di Carbonia-Iglesias” come scrive il giornale, ma è totalmente priva di fondamento.

I beni minerari vicini al mare non saranno posti in vendita ma - come già altre volte è stato detto e come è stato ribadito ieri dal Presidente Soru - saranno trasferiti alla Conservatoria delle coste. L’ipotesi della vendita riguarda esclusivamente alcuni beni di minor pregio lontani dal mare, nelle aree interne.

E’ vero che la concessione è uno strumento che si è rivelato scarsamente appetibile, e che le imprese preferiscono l’acquisto, ma la Regione continuerà a farvi ricorso anche dove sono andati deserti i bandi (come a Sant’Antioco).

La riunione di ieri tra il Presidente della Regione e gli amministratori del Sulcis-Iglesiente aveva lo scopo di accelerare i lavori di bonifica delle aree ex minerarie e di fare il punto sui progetti di riutilizzo di Monteponi, Campo Pisano e San Giovanni.

E’ stato confermato che a Masua non si costruirà più, il sito sarà bonificato e trasformato in parco naturale mentre gli alberghi potranno essere costruiti nel centro abitato di Nebida.

Le ex miniere tornano in vendita

di Giuseppe Centore

IGLESIAS. Riemerge l’ipotesi della vendita per gli immobili dei siti minerari dismessi del Sulcis. Nei bandi internazionali per la riqualificazione delle aree minerarie non si parlerà più di affitto ma di cessione. La notizia è stata anticipata ieri mattina dal governatore Soru nel corso dell’incontro per l’intesa istituzionale con la Provincia di Carbonia-Iglesias. La Regione inoltre metterà sul piatto anche la bonifica delle aree: il costo totale sarebbe di 800 milioni di euro. Di fatto la Regione rilancia la vecchia strategia visto che si è resa conto della scarsa appetibilità della concessione. All’acquisto erano interessati imprenditori del calibro di Barrack, Ligresti e Tronchetti Provera. Cauto il commento del sindaco di Iglesias Carta: voglio capire meglio i contenuti.

Siti minerari, niente più affitto: si torna ai bandi

Il «commissario» Soru ribadisce la vecchia strategia: la locazione è poco appetibile

IGLESIAS. Non c’è ancora la delibera, ma la decisione della giunta è chiara, e soprattutto è stata resa esplicita nel corso dell’incontro per l’intesa istituzionale con la Provincia di Carbonia-Iglesias. I bandi internazionali per la riqualificazione delle aree minerarie dismesse conterranno nuovamente l’ipotesi della vendita degli immobili e non più del loro affitto. La Regione metterà sul piatto anche la bonifica delle aree direttamente interessate ai siti minerari.

Il ragionamento del presidente si è sviluppato su due direttrici: la prima riguarda la poca appetibilità di qualsiasi gara sia pure internazionale con la concessione dei beni minerari: prolungare da 50 a 75 anni l’uso dei beni non avrebbe cambiato molto gli scenari. La seconda riguarda la necessità di offrire quegli immobili e quei volumi in condizioni ambientali neutre, cioè non inquinate. Ma un inquinamento globale di tutti i siti minerari, hanno fatto notare dalla presidenza della giunta, comporterebbe un impegno finanziario superiore qualsiasi disponibilità regionale, nazionale o comunitaria che fosse. Calcoli non precisi ipotizzano, per la bonifica di tutte le aree minerarie del Sulcis-iglesiente, un impegno di spesa vicino agli ottocento milioni di euro. L’impossibilità di procedere alla concessione delle aree per lungo periodo e di realizzare una bonifica completa dei siti spingono così la Regione a una nuova strategia: cessione dei beni, e bonifica minimale dei perimetri degli stessi.

In quest’ottica si spiega una decisione assunta mercoledì. I vuoti di miniera dell’area di Acquaresi, vicino Nebida, saranno riempiti con i residui delle lavorazioni che adesso sono all’aperto. Allo stesso modo si spiega la decisione di coprire con un film plastico e poi con essenze vegetali autoctone i tradizionali fanghi rossi di Monteponi. Nell’area alle porte di Iglesias, oltre all’Università andranno allocati alberghi, abitazioni e attività imprenditoriali a basso impatto ambientale. L’impossibilità di rimuovere quelle montagne di scorie inquinanti ha fatto optare Soru, nella veste di commissario di governo alle bonifiche, per una soluzione radicale, sicuramente concordata con lo studio svizzero Herzog&De Meuron (lo stesso studio autore dello progetto per lo stadio Olimpico di Pechino) che tra un mese presenterà il progetto esecutivo dell’area di Monteponi. Resta da vedere se la Soprintendenza ai beni ambientali che nel passato aveva tutelato quelle montagne di rifiuti industriali ritenendole patrimonio storico-ambientale dell’isola, avrà qualcosa da ridire, ma probabilmente proprio l’incarico di commissario di governo consentirà a Soru di by-passare il probabile parere contrario del ministero dei beni ambientali.

La strategia della Regione non si è ancora appalesata in un bando internazionale, ma le singole azioni intraprese in queste settimane, e annunciate da Soru agli enti locali, vanno tutte nella stessa direzione: riqualificazione delle antiche aree minerarie di pregio, attraverso una bonifica specifica, e poi vendita. Accade a Nebida, a Masua, a Normann, piccolo gioiello storico-urbanistico lungo la strada che da Iglesias arriva a Gonnesa, ma anche a Buggerru, e a Ingurtosu. Prima bonificare quanto basta e poi vendere. Certo privarsi dei gioielli di famiglia, come Soru definisce questi immobili non è una scelta che il presidetne vuol far a cuor leggero, ma i contatti informali di questi mesi hanno fatto ritenere al capo dell’esecutivo che adesso questa strada, a differenza delle altre, sia la più praticabile. La vendita dei siti più che a fare cassa di per sé servirà ad attivare quel volano produttivo che dovrebbe nel giro di pochi anni produre effetti benefici, a cascata su tutto il territorio. La strada per arrivare alla vendita però è ancora lunga, se non altro perché non si conoscono le intenzioni dei possibili, eventuali acquirenti. «La cultura della concessione dei beni immobili, anche per lungo periodo non fa ancora parte del patrimonio dei nostri imprenditori - è il senso del ragionamento di Soru - ecco perché la vendita è l’unica strada». Una frase sibillina. Sarà un “italiano” ad aggiudicarsi i gioielli architettonici del sudovest dell’isola?

Altra corsa all’acquisto?

L’interesse di Ligresti, Barrack e Tronchetti

IGLESIAS.Ligresti, Barrack, Tronchetti Provera. L’elenco dei possibili candidati all’acquisto si compone di nomi che già in passato hanno visitato di persona i siti minerari, suscitando le ire dell’opposizione in consiglio regionale e le perplessità del sindacato.

Lo spirito del nuovo bando internazionale prevede comunque la riqualificazione urbanistica ed edilizia a fini ricettivi di alcuni compendi per destinarli a strutture alberghiere, con centri di benessere, strutture sportive e per il golf, miglioramenti ambientali, naturalistico e di forestazione.

La Regione continuerà a chiedere progetti rispettosi delle condizioni del bando e in grado di intervenire non solo sul versante della costa, ma anche nelle vicine aree interne, nel caso del compendio di Masua, si tratta di prevedere interventi nell’area di monte Agruxau.

Masua e Nebida dovrebbero diventare le punte di diamante per riconvertire un’economia estrattiva e passare a un turismo culturale basato sulla valorizzazione delle vecchie miniere, con i gioielli della storia industriale dell’800 come la galleria Henry, Porta Flavia, la spiaggia di Masua, Portu Banda, Pan di Zucchero, Grotta Santa Barbara e le spiagge di Fontamanare e Fluminimaggiore-Buggerru.

Dopo lo “schiaffo” di un anno fa, quando la gara internazionale andò deserta, il bando venne riformulato, senza Masua, ma anche in quel caso pretendenti credibili non ce ne furono. L’ipotesi della concessione, avanzata successivamente al fallimento della strategia della vendita, non fece cambiare parere agli imprenditori. E così si è fatto un passo indietro, tornando all’antico, alla vendita dei beni, con un pacchetto di infrastrutture funzionali al sistema turistico.

Gli ambiti territoriali dovrebbero rimanere identici, nei due compendi. Il primo è quello di Masua e Monte Agruxau, su una superficie di circa 318 ettari, dove sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 120mila metri cubi per Masua e 40mila per Monte Agruxau, per un totale massimo di 160mila metri cubi. Il secondo riguardava Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli, per una superficie di circa 329 ettari. In questo sito sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 30mila metri cubi per Ingurtosu e 70mila per Pitzinurri e Naracauli, per un totale di 100mila metri cubi. Nella predednete gara l’importo a base d’asta era di 32 milioni e 520mila euro per Masua e Monte Agruxau e di 11 milioni di euro per Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli.

L’incertezza allora riguardava anche le bonifiche, su cui la Regione avrebbe dovuto aver comunque voce in capitolo attraverso Igea. Nel nuovo possibile bando le bonifiche, in chiave minale e dedicata al recupero turistico, saranno invece a carico della Regione, che rimane intenzionata ad aprire un contenzioso con Eni, responsabile delle attività minerarie sino all’addio del 1993. Per legge era Eni a dover effettuare le bonifiche.

Non lo fece allora, con la complicità silente di buona parte della classe politica sarda, e non sarà certo intenzionata a farlo adesso. La recente vicenda delle bonifiche dell’area ex-Alumix di Portoscuso, con i commissari liquidatori obbligati dopo quindici anni a eseguire gli interventi di ripristino pur in presenza di un socio subentrante gli impianti (in questo caso Alcoa) potrebbe costituire un interessante precedente. (g.cen)

La Maddalena

«Manovre immobiliari»

LA MADDALENA. «Mattoni, cemento e grandi firme - protestano gli ambientalisti - dopo che l’Us Navy ha ammainato la bandiera sono iniziate le grandi manovre immobiliari sull’arcipelago della Maddalena».

Gli scenari che si prospettano in vista del G8 preoccupano le associazioni Amici della terra e Gruppo d’intervento giuridico che adombrano il pericolo che il summit sia solo un alibi immobiliare.

«Parco nazionale, tutela paesaggistica, sito di importanza comunitaria - dice Stefano Deliperi - ma sembra proprio che le normative di salvaguardia ambientale di un arcipelago unico al mondo possano essere interpretate un disinvoltamente in nome del G8». «Così come abbiamo avversato il raddoppio della base militare - aggiunge il portavoce delle associazioni ambientaliste - ci opponiamo alla speculazione immobiliare. Ribadiamo ancora che vi sono numerose strutture che possono essere ristrutturate senza riversare su ambienti delicatissimi nemmeno un metro cubo di cemento in più. Basta volerlo. Né i grandi nomi dell’architettura né il ricorso alla bioedilizia possono far dimenticare che cemento e mattoni sono tutti uguali. E le disposizioni del Ppr non possono esser derogate».

Il riferimento è tutto per l’ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri che ha nominato quale commissario Guido Bertolaso e ha dettato disposizioni straordinarie per lo svolgimento del vertice internazionale. Carta bianca, cioè, per derogare nel nome dell’emergenza, agli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti, a cominciare proprio dal piano paesaggistico regionale.

Continua la campagna per la difesa della necropoli di Tuvixeddu

La singolare sentenza del TAR che boccia la tutela di un bene impareggiabile criticata duramente, mentre Renato Soru resiste e affila le armi. La Nuova Sardegna, 24 febbraio 2008

Soru non cede: «Tuvixeddu alla Regione»

Il Governatore annuncia che sarà acquisito come bene di utilità pubblica

Su Tuvixeddu il presidente Renato Soru non si arrende e rilancia: «La Regione acquisirà l’area dopo averla dichiarata di pubblica utilità». Il governatore della Sardegna lo ha affermato ieri mattina durante l’incontro promosso da Legambiente in difesa dell’allargamento del vincolo a tutto il colle. Il presidente ha ribadito che si opporrà alla sentenza del Tar chiedendo al Consiglio di stato la sospensiva dei lavori. Durante il simposio è stato precisato che il paesaggio di Tuvixeddu non è un valore economico ma un bene di tutti, «non commercializzabile». Intanto il mondo universitario di Cagliarai e di Sassari si è mobilitato in favore della Regione e del vincolo su tutto il colle.

La Regione acquisirà l’area di Tuvixeddu dopo averla dichiarata di «pubblica utilità». Lo ha affermato ieri mattina Renato Soru, presidente della Regione, chiudendo l’incontro promosso da Legambiente in difesa dell’allargamento del vincolo a tutto il colle. Dopo che il tribunale amministrativo regionale (Tar) ha accolto i ricorsi presentati dagli imprenditori (Coimpresa e società Cocco) e dal Comune, a giorni il governo dell’isola presenterà l’opposizione al Consiglio di Stato. «Chiederemo la tutela dell’area in attesa del giudizio di merito», ovvero la domanda di sospensiva dei lavori.

Il governatore è stato ottimista: «Più di una volta è capitato, anche su cose importanti, che una sentenza del Tar sia stata ribaltata da parte del Consiglio di Stato». La Regione, insomma, va avanti e «il privato sarà risarcito per i suoi diritti». Nel passato La Marmora bloccò la distruzione della Grotta della Vipera. «Oggi - ha precisato Soru - non c’è più un vicerè che interviene, ma la pubblica amministrazione può dire ancora che cosa ritiene importante dal punto di vista del paesaggio, della cultura e dell’interesse pubblico? Io penso di sì».

Ora il prossimo passaggio è il Consiglio di Stato, ma il governo dell’isola andrà avanti in ogni caso. E il motivo, ha affermato, si chiama Piano paesaggistico regionale (Ppr). Il Tar ha annullato il nuovo vincolo (allargato a tutto il colle) e ripristinato la vecchia situazione. Nelle sentenza il tribunale amministrativo fa riferimento in particolare all’accordo di programma, per la lottizzazione integrata su Tuvixeddu-Tuvumannu, firmato nel 2000 da Regione, Comune e Coimpresa. Quel documento sanciva sia la realizzazione di un parco archeologico di venti ettari (per la necropoli punico-romana), sia la possibilità di una edificazione, presso via Is Maglias (in un’altra parte del colle) di un complesso di circa quattrocento abitazioni e costruzioni per l’Università ai lati del colle di Tuvumannu.

Ma noi, ha spiegato il presidente Soru, «sulla base della convenzione internazionale sul paesaggio e del Codice Urbani siamo intervenuti con il Ppr. Subito dopo le elezioni abbiamo bloccato per tre mesi l’edificazione nelle coste che avrebbe creato la città lineare - ha precisato - e poi ridato una norma di tutela. In sintesi il Ppr dice che non tutto può essere mercificato e/o venduto. E così abbiamo cancellato milioni di metri cubi di edificazioni che erano già diritti acquisiti». Ma nella fascia costiera c’è anche Cagliari, «così abbiamo messo un vincolo anche su Tuvixeddu. Allora non c’era ancora la concessione edilizia, quindi noi pensavamo che, visto il vincolo, non si sarebbe costruito». Ma poco dopo, «in tempi rapidissimi sono state date una serie di concessioni edilizie. Allora quando mi sono accorto che si iniziava a costruire a Sant’Avendrace, a ridosso di alcune tombe romane, sono intervenuto». Inizialmente «sì, abbiamo fatto degli errori, poi ci siamo corretti con la commissione. Ma se si fosse rispettato il Ppr, non avremmo avuto la necessità di intervenire in fretta». Primo blocco l’11 gennaio del 2007, poi l’istituzione della commissione al Paesaggio e il vincolo allargato in agosto.

Infine una stoccata all’accordo di programma del 2000: «In Giunta, allora, passarono due fogli in cui si parlava - ha continuato Soru, mostrando il documento - di un finanziamento di sei miloni e di un terreno sul colle che la Regione avrebbe dovuto cedere per il parco. Niente allegati. Dopo un funzionario delegato andò in Comune a firmare l’accordo di programma. Un documento sulla cui correttezza si dovrebbe indagare». In ultimo, dopo aver ribadito che la Regione acquisirà l’area, una citazione ispirata da Giovanni Maria Angioni: «La percezione del senso di patria è la difesa del bene comune».

Legambiente: «Intervenga il ministro»

Enrico Corti: «Il Codice Urbani giustifica l’allargamento del vincolo»

CAGLIARI. Dopo la sentenza del tribunale amministrativo che ha stracciato le procedure che hanno portato all’allargamento del vincolo su Tuvixeddu, ieri è stata la giornata della riscossa. Legambiente ha mobilitato, nella sala del palazzo Viceregio, i maggiori studiosi del settore: archeologi e storici (da Giovanni Lilliu a Enrico Atzeni, da Marcello Madau ad Attilio Mastino, da Simonetta Angiolillo ad Alberto Coroneo, sino a Paolo Scarpellini), geologi (Felice Di Gregorio) e urbanisti (Enrico Corti). Tutti uniti nel difendere l’operato della Regione e l’allargamento del vincolo a tutto il colle (deliberato nell’agosto del 2007).

Vincenzo Tiana, responsabile regionale dell’associazione ambientalista ha precisato, in apertura, che la sentenza del Tar è stata un arretramento «dal punto di vista culturale» e informato di aver chiesto «un incontro col ministero per fare presente la situazione». E informato che su Sant’Avendrace «l’impresa Cocco ha già ripreso i lavori. Noi non entriamo nel merito tecnico della sentenza, ma di quello che significa in termini di ritorno indietro in rapporto all’importanza del paesaggio, come stabilito dal Codice Urbani». Aspetto, questo, spiegato anche da Corti (che, tra l’altro, ha firmato il nuovo piano regolatore del comune di Cagliari). L’urbanista, pur senza entrare nel merito tecnico, ha contestato alcune considerazioni contenute nel pronunciamento del tribunale amministrativo. In particolare quella in cui si afferma che non sarebbe intervenuto niente di nuovo, in termini di ritrovamento archeologico, da giustificare l’allargamento del vincolo. Ma il problema, ha sottolineato Corti, è che «dal 2000, anno della firma dell’accordo di programma, a oggi sono sopravvenuti alcuni fatti molto importanti: il consiglio d’Europa ha portato all’attenzione degli Stati membri l’importanza del paesaggio (come valore politico e culturale per le identità dei popoli); indicazione poi tradotte nel codice Urbani». Impostazione che nega «il principio della produttività del bene paesaggistico, che non deve entrare nel meccanismo economico in quanto viene prima: è un bene culturale che non si possiede in quanto appartiene a tutti».

Discorso analogo è stato fatto dall’archeologo Alfonzo Stigliz che ha ricordato la battaglia di Antonio Cederna per la difesa dell’Appia antica, a Roma, poi sancita con un atto d’imperio dell’allora ministro Mancini, che cambiò il piano regolatore di Roma. Paolo Scarpellini, già direttore (all’epoca delle decisioni su Tuvixeddu) delle sovrintendenze regionali e oggi responsabile in Calabria, ha ricordato l’assenso dato dal ministero all’intervento su Tuvixeddu. E pricisato che «l’accordo di programma è comunque subordinato al vincolo paesaggistico». Aspetto, questo, sottolineato anche da Carlo Dore, avvocato civilista, che ha fatto riferimento a una sentenza della Corte costituzionale di fine 2007 in cui si afferma che il bene paesaggistico è «un valore primario e assoluto».

Giovanni Lilliu, decano degli archeologi sardi, impossibilitato a muoversi per l’età, ha fatto pervenire il suo appoggio al convegno tramite un video in cui ha ribadito «il grosso ingombro» che costituirebbe la lotizzazione prevista dall’accordo di programma. E rammentato quando, sin dagli anni Ottanta, chiedeva un grande parco per Tuvixeddu.

Ma che strada seguire per salvare il colle? «Occorre puntare alle acquisizioni delle lottizzazioni previste - ha affermato Graziano Milia, presidente della Provincia - a suo tempo mi diedero del provocatore. Ma se lo avessimo fatto avremmo risparmiato molti soldi. Ora costruiamo un percorso concreto e possibile, che permetta di salvare il colle». Ipotesi, l’acquisizione (con relativo rimborso del privato), che ora propone (vedasi articolo di apertura) anche il presidente Renato Soru. (r.p.)

CAGLIARI. C’è il via libera della Regione alla costruzione delle ville principesche disegnate dalla matita di Massimiliano Fuksas e ai due lussuosi hotel della ‘Is Molas spa’, controllata dalla ‘Immsi’ di Roberto Colaninno. Mentre resta un piccolo punto interrogativo sul nuovo campo da golf ‘Gary Player’ e sui lavori idraulici che riguardano il Rio Tintoni, il corso d’acqua naturale destinato ad essere modificato per dare acqua al green e agli spazi verdi del resort da 130 milioni di euro ha già scatenato la reazione del Gruppo di Intervento giuridico e degli Amici della Terra che annunciano nuovi ricorsi: per questi interventi la Regione ha imposto la valutazione di impatto ambientale.

Tecnicamente la delibera segna la conclusione della procedura di verifica sul ‘completamento della lottizzazione convenzionata Is Molas’. Di fatto stabilisce che le ville e gli hotel possono essere costruiti senza valutazione di impatto ambientale perchè «il complesso costituisce una rivisitazione con standard di qualità dal punto di vista architettonico e dell’inserimento paesaggistico-territoriale di livello superiore rispetto a precedenti iniziative già assentite e non portate a compimento». Mentre, indicate una serie di prescrizioni da rispettare rigorosamente nella fase di realizzazione delle opere, la Regione esprime qualche preoccupazione sul nuovo green che la società di Colaninno vuole mettere a disposizione dei suoi prossimi ospiti. Secondo il servizio Savi - l’ufficio che verifica le ricadute ambientali degli interventi - esistono «potenziali impatti significativi negativi, non mitigabili in sede di screening». Per questo «è necessario sottoporre gli stessi interventi a valutazione d’impatto». Il riferimento della delibera è soprattutto per il sistema idraulico del campo di golf, che prevede modifiche al Rio Tintoni e lo sfruttamento intensivo del suo apporto idrico. La Regione chiede di accertare fino a che punto sarà utilizzato il torrente e se esistano fonti di approvvigionamento alternative.

Sul caso del progetto ‘Is Molas’ indaga anche la Procura della Repubblica dopo un esposto degli ecologisti e un rapporto della Guardia Forestale: il pm Andrea Massidda non ha ravvisato alcun abuso, anche perchè nulla finora è stato costruito. L’inchiesta, oggi congelata, potrebbe riaprirsi solo se la società immobiliare non dovesse rispettare a puntino le prescrizioni regionali e se - come sostiene la Forestale - il cemento interessasse anche le aree colpite in passato da alcuni incendi. Il difensore della ‘Is Molas spa’ Luigi Concas ha precisato che «le indagini sul problema degli incendi riguarderebbero in ogni caso la precedente proprietà, perchè l’acquisto della società da parte della Immsi è successivo agli eventi denunciati dagli ecologisti».

Per Massimiliano Levi, dell’ufficio stampa di Immsi «il progetto ideato dall’architetto Massimiliano Fuksas caratterizzerà Is Molas come uno dei resort turistico-residenziali di più alto livello in Europa, grazie alle ricercate qualità architettoniche e paesaggistiche». Per Levi «il nuovo campo da golf richiamerà i più grandi giocatori del mondo e porterà Pula nel ristretto novero dei green di interesse internazionale». Is Molas spa - secondo l’ufficio stampa - è «orgogliosa di aver superato i controlli puntigliosi della Regione, che ha riconosciuto la qualità del progetto» e garantirà «lavoro alle imprese sarde».

L' università si schiera con la Commissione per i fatti di Tuvixeddu. Avevano temporeggiato un pò. Volevano valutare, documenti alla mano, il contenuto della sentenza del Tar. Ora da Cagliari prendono posizione, allineandosi a quanto espresso qualche giorno fa dai colleghi sassaresi. Una quarantina di professori hanno sottoscritto il documento col quale si esprime totale sostegno alla decisione della Commissione regionale del paesaggio. Lo ntani dall 'esprimere un giudizio tecnico sull'operato del Tribunale, nell'atto, evidenziano alcune valutazioni sul concetto di “bene ambientale e culturale”. La sentenza del Ta r che annulla il provvedimento con cui la Regione aveva esteso il vincolo paesaggistico all'area di Tuvixeddu, non tiene conto di «un fatto realmente nuovo che imponeva e impone una revisione della situazione precedente». La novità è intervenuta nel 2004 quando, col cosiddettoCodice Ur bani (codice dei beni culturali e del paesaggio) è stato introdotto «il concetto radicalmente innovativo del bene paesaggistico come“ unità ambientale” all'interno della quale si trovano diverse categorie di beni culturali: naturalistici, storici, archeologici....». Fatta questa premessa la posizione dei giudici che si basa sulla «mancanza di nuovi ritrovamenti archeologici che giustif ichino il vincolo, privilegia la vecchia idea del bene cultur ale così come prevista prima della Urbani». In base alla nuova legge, proseguono: «deriv a la possibilità di restaur are il paesaggio con il ripris tino della sua unità ambientale». Questo significa non un ritorno alle origini, che sarebbe impossibile. Piut tosto una restituzione alla condizione precedente «a una serie di interventi più o meno recenti che l' hanno compromessa pur non cancellandone la memoria». Se quegli inter venti danneggiano l'unità ambientale, così come definita dal codice Urbani, è illogico pensare che la situazione sia irre versibile. Soprattutto se - proseguono i professori - quell'area destina ta al pubblico viene consegnata ad un uso totalmente privato. «Questo va contro l'obiettivo fondamentale: l'unità ambientale Tuvixeddu - Tuvumannu - Is Mirrionis rimanga oritorni a essere patrimonio della collettività». La Commissione nell'aver riconosciuto l'unità di notevole interesse pubblico, ha bene interpretato il senso del codice Urbani. Su questa base sostengono che da una parte l' imposizione di quel vincolo fosse legittima econtemporaneamente che i privati che su quell'area hanno avviato legittimamente dei lavori possano aver diritto ad un risarcim ento. «La sentenza pecca di lungimiranza, perchè si limita a ribadire la legittimità di quanto programmato e intrapreso prima della modifi ca, viceversa recepita e fatta propria dalla Commissione».

Lavori realizzati al 50%. «Ma prima di riprendere le opere dovremo coordinarci con i tecnici di Nuova Iniziative Coimpresa». Dopo Tuvixeddu, riapre anche il cantiere del tunnel di Tuvumannu: un altro progetto bloccato, dopo i vincoli archeologici sul colle voluti dalla Regione, e riabilitato dalla sentenza del Tar dello scorso 8 febbraio. Gli uomini della Gecopre, la società che sta realizzando la galleria, si sono limitati negli ultimi giorni ad una messa a norma del cantiere: un anno di stop si è fatto sentire anche qui, come per Nuova iniziative Coimpresa. Gli operai hanno recintato gli scavi e verificato le condizioni di sicurezza. Prima di una ripresa vera e propria bisognerà attendere ancora un paio di settimane: «Dobbiamo ancora coordinare i lavori con Coimpresa», spiega Paolo Zoccheddu, dirigente comunale dell'area gestione del territorio. «È un passo obbligato, perché devono intervenire anche a Tuvumannu, con delle opere strettamente collegate alle nostre. Quindi prima di riprendere gli scavi dovremo concordare alcuni aspetti e preparare un piano dei lavori attendibile. Dopo un anno di blocco sono cambiate alcune cose e il tempo ha avuto il suo effetto sul cantiere». Prima di tornare al lavoro bisognerà riportare l'area nelle condizioni di gennaio 2007. Una cosa è certa: «Non aspetteremo l'esito del ricorso al Consiglio di Stato». Sulla galleria si è registrato - era lo scorso aprile - l'ennesimo scontro tra Comune e Regione. «Ci hanno bloccato, segnaleremo il caso alla Corte dei Conti», accusavano i primi. «Non abbiamo disposto nessuno stop», precisavano i secondi. In mezzo, una richiesta milionaria (1 milione e 200 mila euro solo per i primi due mesi di stop) da parte della Gecopre. Ora invece c'è il via libera: il tunnel è stato realizzato al 50 per cento: 700 metri previsti, 350 già completati. Un lungo serpente sotterraneo che partirà da via Cadello, sfiorerà il rione di via Castelli e spunterà in superficie nel canyon di Tuvixeddu, dopo aver superato - ma sempre sotto terra - l'incrocio con via is Maglias. Due corsie per due sensi di marcia, ad una profondità che varierà dai 7 ai 15 metri. Servirà per alleggerire il traffico di tutta la zona via Cadello - Is Mirrionis. L'appalto di questo primo lotto è costato 7 milioni e 600 mila euro. Con la seconda e terza tranche, la strada passerà nel cuore del colle, per sbucare poi in viale Trento. Al momento è stata realizzata solo la parte centrale del tunnel. Mancano ancora la testa e la coda, cioè i pezzi più impegnativi, anche perché gli scavi andranno a incrociare i tubi dei sottoservizi di via Castelli. Ecco perché sono previsti ancora due anni di lavoro prima dell'inaugurazione della galleria. Nel frattempo, l'associazione Amici di Sardegna e il comitato Tuvixeddu Wive chiedono un referendum popolare, per decidere il futuro del colle.

Lo sgretolamento delle nostre polverizzate realtà locali ha concorso a diffondere l’idea che le norme, le regole e perfino le sentenze possano essere modificate – come durante una rivoluzione - dalla cosiddetta “volontà popolare” aizzata e infiammata da un Masaniello che guida la “rivolta”.

Ora, avviene ad Orosei – un territorio bellissimo e ambìto dagli speculatori – che il tribunale abbia emesso un’ordinanza di demolizione. Insomma alcune costruzioni e parti di costruzioni abusive, devono essere abbattute dalle ruspe. Così, contro il sindaco di quel paese è stata esplosa una bomba. Una specie di ordalia nostrana per il sindaco che supera la prova.

Un ex sindaco (sindaco del paese per dieci anni e vicesindaco per altri cinque) ha acrobaticamente proclamato che il legittimo abbattimento di costruzioni illegittime, provocherà conseguenze nefaste. Ci ha perfino spiegato, l’ex sindaco, che la faccenda delle demolizioni “ non è affrontabile con il solo metro giuridico” e che la questione rappresenta “un problema politico di giustizia sostanziale”. Come se quella dei giudici del tribunale di Nuoro non fosse una giustizia sostanziale. Come dire che la Giustizia si deve adeguare all’idea di “giusto sostanziale” dell’ex sindaco. L’ex primo cittadino, conscio o no della gravità del proclama, ingrossa il corteo di chi istiga contro la sentenza di un tribunale cavalcando senza sella il “giudizio popolare”. Infine minaccia un atto estremo: le dimissioni da consigliere se le demolizioni andranno avanti e se il suo distinguo tra giustizia formale e giustizia sostanziale non verrà recepito. Noi ci auguriamo che la legge faccia il suo corso e che il consigliere mantenga la promessa.

Ma la questione dell’abbattimento di poche case, poggioli e balconcini ne nasconde un’altra più sostanziosa e complessa.

Il territorio di Orosei ha trovato, in questa amministrazione, chi ha compreso l’elementare verità che un territorio è una ricchezza soltanto se lo si conserva integro, se si evitano orrori ( e a Orosei ne sono avvenuti ) e che l’urlo di guerra di tanti sindaci vista mare, “valorizziamo, valorizziamo”, ha un effetto distruttivo perché la cosiddetta “valorizzazione” è consistita nel togliere il sangue al territorio sino a renderlo esausto e privo di ogni valore. Orosei ha ancora molte meraviglie da salvare e può diventare un esempio di diffusione della ricchezza ( per tutti e non per affaristi e loro servitori ) proprio attraverso la conservazione del bello naturale. Sostenere la linea della legalità, del rispetto delle norme che regolano l’uso dei suoli significa battere l’unica via possibile perché Orosei si conservi. Le novecento irregolarità rilevate nel suo territorio sono un segno di cattiva gestione nei quindici anni durante i quali anche l’ex sindaco amministrava e lottava contro l’abusivismo. Cosa è successo al tesoro di famiglia di Orosei negli anni novanta, sino a qualche anno fa, è sotto gli occhi di tutti. E non ha scusanti.

Il paese della Baronia è oggi una metafora dell’intera Isola assediata da speculatori che raccontano la balla luccicante di come ci arricchiremmo moltiplicando metri cubi, attracchi, porti, aeroporti e strade sino alla scomparsa del nostro paesaggio, spremuto, frantumato e violentato da un’impossibile idea di sviluppo infinito e progressivo.

Schierarsi, come ha fatto l’ex sindaco di Orosei, contro la sentenza di un tribunale è legittimo anche se inopportuno. Ma dichiarare che esiste un’altra giustizia, parallela e “sostanziale”, beh, significa spararla grossa, significa propagandare l’idea avvelenata che di giustizie ne esistano tante.

Renato Soru è nella bufera, ma non si dà per vinto. Al fuoco incrociato del centrodestra («giustizia è fatta: che se ne vada, ora») che dopo lo schiaffo della Consulta alle tasse sul lusso gli chiede di dimettersi, il governatore risponde subito con una battuta: «Mi sembra una richiesta un po’ esagerata». Poi, alla luce delle tante domande di risarcimento che stanno arrivando alla Regione da parte di chi ha già pagato l’imposta e dell’invito di Egidio Pedrini (Idv), segretario della Commissione Trasporti della Camera, che gli intima di «restituire i soldi ai cittadini», il governatore prende di petto l’argomento e ribadisce la validità del concetto di autonomia impositiva della Regione Sardegna, secondo quanto prevede il suo Statuto speciale. «Attendo le motivazioni della sentenza - commenta - e in ogni caso dovremo fare qualcosa perché non ci sia un reddito prodotto in Sardegna che sfugga alla compartecipazione regionale». Per ora, Renato Soru non rivela quale tipo di tributo intenda applicare in futuro, dopo la bocciatura della Corte Costituzionale alle parti fondamentali della legge varata nel maggio 2006. «Dovremo verificare - aggiunge il presidente della Regione - se sulle seconde case e sulle plusvalenze derivanti dalla compravendita di immobili l’illegittimità sia stata decisa per il mancato riconoscimento del nostro diritto a imporre tributi oppure solo perché esiste una discriminazione tra residenti e non residenti in Sardegna». Citando l’esempio di Milano, che fa pagare un ticket per le auto che attraversano il centro della città, Soru ha anche ricordato che l’istituzione della tassa sul lusso era stata decisa per risanare il bilancio regionale. «Ora - conclude il governatore - bisognerà modificare subito la Finanziaria per sopperire alle minori entrate causate dalla sentenza: ridurremo le spese nel campo degli investimenti sulla sanità».

A proposito di conti, ieri l’assessore regionale al Bilancio, Eliseo Secci, ha rivelato che la perdita causata dalla sentenza «per i comuni dell’isola dovrebbe essere di cento milioni di euro». La cifra era stata inserita nella finanziaria 2007 e nella manovra 2008 in discussione in questi giorni in consiglio regionale.

Sempre ieri l’ex presidente della Regione, e attuale deputato di Forza Italia, Mauro Pili, ha dato il via alla «class action». Il centrodestra promuoverà un’azione risarcitoria nei confronti della Regione «per i danni causati dalle tasse sul turismo e sull’arrivo dei rifiuti in Sardegna. Soru - argomenta Pili - ha messo in ginocchio la Sardegna e ora bisogna che qualcuno paghi per questo gravissimo danno d’immagine».

Il braccio di ferro su Tuvixeddu non è finito: la Regione ha deciso di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar che ha bocciato i vincoli imposti per notevole interesse pubblico sui colli cagliaritani. Dopo le dichiarazioni a caldo di Renato Soru ieri la giunta ha deliberato di affidare agli stessi legali che hanno patrocinato l’amministrazione in primo grado - Paolo Carrozza e Vincenzo Cerulli Irelli - il ricorso ai massimi giudici amministrativi: chiederanno la sospensiva degli effetti della sentenza e una nuova decisione sul merito per ottenerne l’annullamento. E’ un compito difficile quello che attende i due legali. Perchè l’illegittimità della nomina dei quattro membri esterni della commissione per il paesaggio, quella chiamata a proporre i vincoli in base al Codice Urbani, è un problema che appare insuperabile: per il Tar serviva una legge regionale, ai membri di diritto sono stati invece affiancati tecnici scelti dalla giunta fra i consulenti già impegnati in altre attività di studio per l’amministrazione. Il ricorso (per Giorgio La Spisa si tratta di «ottusa ostinazione») comunque partirà. Nel frattempo - con la Corte dei Conti che ha chiesto informazioni - l’Iniziative Coimpresa potrà riaprire il cantiere e riprendere i lavori, mentre il comune di Cagliari avrà via libera per completare i lavori di realizzazione del parco pubblico. Soru, che aveva già annunciato la decisione di proseguire il confronto legale con il comune di Cagliari e con i costruttori, ieri è stato invitato dal consigliere regionale Pietro Pittalis (Udeur) a «riferire urgentemente in aula sulla sentenza Tar per Tuvixeddu, della quale alcuni passaggi sono gravissimi». Alla richiesta si è associato Roberto Capelli (Udc). Il riferimento è per i sospetti espressi dai giudici del Tar sulla reale volontà dell’amministrazione Soru di tutelare l’area storica dei colli: secondo i magistrati amministrativi la Regione avrebbe cercato semplicemente di aprire la strada a un progetto alternativo, quello del paesaggista francese Gilles Clément, presentato il 29 giugno scorso alla Manifattura Tabacchi all’interno del Festarch. Seguendo una procedura che in uno dei due esposti presentati alla Procura da Iniziative Coimpresa viene definita «misteriosa»: il progetto sarebbe stato affidato senza alcuna selezione pubblica e mentre era in pieno corso la controversia legale su Tuvixeddu. E’ stato lo stesso Soru a comunicarlo al pubblico, subito dopo la presentazione del progetto: «Sulla destinazione dell’area - aveva detto il governatore - esiste ancora una discussione e un contenzioso aperto». Per poi auspicare che «i privati possano facilitare la realizzazione dell’opera facendo un regalo a tutta la Sardegna». In quell’occasione l’assessore comunale all’urbanistica Gianni Campus rispose che il Comune avrebbe «parlato nelle sedi istituzionali» e che il progetto «non era stato presentato ufficialmente all’amministrazione». Infatti nessuno sapeva nulla di quel lavoro già abbastanza definito, così come nessuno sapeva che Clement fosse impegnato da tempo in uno studio su Tuvixeddu finanziato con 150 mila euro dalla Regione e dal Banco di Sardegna. Clement - ingegnere agronomo, botanico ed entomologo - viene definito «creatore dell’improgettabile» mentre lui preferisce qualificarsi come «un semplice giardiniere». Per l’area sulla quale Coimpresa intende costruire un quartiere residenziale il tecnico francese prevedeva tre ampi teatri all’aperto destinati ai grandi eventi con capienza tra i 2000 e i 5000 posti, un teatro sospeso, un cinema sotterraneo, un centro culturale, un museo della Cagliari sotterranea e un intervento sul canyon, da trasformare in un «fiume di papaveri». La gestione del ‘Parco Karalis’ sarebbe stata autosufficiente «grazie a una pergola solare e al riutilizzo dell’acqua piovana e delle acque grigie delle zone residenziali vicine». Molti interventi quindi, ma non le ville e le palazzine residenziali progettate dagli architetti di Iniziative Coimpresa, che dovrebbero portare attorno al parco archeologico punico-romano di Tuvixeddu migliaia di abitanti.

Niente vincoli sul colle di Tuvixeddu e Tuvumannu: il Tar della Sardegna ha bocciato la delibera che un anno fa ha imposto l’alt ai lavori per il nuovo parco e il quartiere residenziale di via Is Maglias. I giudici del tribunale amministrativo hanno dato ragione al Comune e ai costruttori, che avevano promosso un ricorso all’indomani del provvedimento varato dalla giunta con il quale venivano imposti i nuovi divieti intorno all’area della necropoli punico-romana di rilevantissimo interesse archeologico. Il governatore Soru ha già annunciato un ricorso al Consiglio di Stato. Gli imprenditori, invece, sostengono che finalmente sono stati riconosciuti i loro diritti e affermano che ora solleciteranno un sostanzioso risarcimento danni che però non è stato ancora quantificato.

Cadono i vincoli

su Tuvixeddu e Tuvumannu

di Mauro Lissia

CAGLIARI. Più che una sentenza è un uppercut, che manda l’amministrazione Soru al tappeto con scarse possibilità di rialzarsi. I vincoli su Tuvixeddu-Tuvumannu cadono tutti, il comune di Cagliari ha ragione su tutta la linea. Con un dato giuridico che prevale su qualsiasi altro aspetto di questa decisione-macigno: dagli accordi di programma come quello del 15 settembre 2000, che aveva dato il via libera a Immobiliare Coimpresa, non si può uscire «con recesso unilaterale, a meno che non sia espressamente previsto». Il che mette una pietra tombale sull’intera vicenda.

Basterebbe questo: se l’accordo, per il quale «deve applicarsi la normativa civilistica in materia di obbligazioni e contratti» non può essere sciolto resta in piedi anche di fronte a un sistema di norme di emanazione statale come il Codice Urbani, cui la Regione ha fatto riferimento per fermare il progetto dei colli cagliaritani. Ma il collegio del Tar - presidente Lucia Tosti, consiglieri Rosa Panunzio e Francesco Scano - non si è limitato a piantare un paletto giuridico sul cammino dell’architetto Gilles Clement, che su incarico della giunta Soru («incarico affidato in modo occulto» scrivono i giudici) lavora da tempo al parco Karalis, un nuovo progetto per l’area archeologico-naturalistica. Nelle ottanta pagine che compongono la sentenza i giudici documentano una sequela di errori e di «trattamento maldestro» della vicenda che sarebbero comici se a commetterli non fosse stato l’apparato burocratico-legale dell’amministrazione regionale, che da questa vicenda esce con le ossa rotte. A cominciare dalla commissione chiamata a deliberare sull’applicazione dei vincoli sul notevole interesse pubblico dell’area: costituita d’urgenza con esperti di cui non si conoscono i titoli («non sono stati allegati i curricula»), in realtà - certificano i giudici - doveva essere nominata in base a una legge, come lo stesso Codice Urbani stabilisce chiaramente. Qui invece è stata la giunta a nominare i componenti e il Tar osserva come a farne parte viene chiamata Maria Antonietta Mongiu che poi andrà a ratificarne le scelte in esecutivo, nel ruolo di assessore alla Cultura.

Difficile capire come un’amministrazione dotata di consulenti legali autorevoli sia incorsa in un errore così grossolano. Nella sentenza, i giudici lo spiegano con una tesi inquietante: «Già l’esistenza - sostengono - di un altro progetto sostitutivo del precedente fa sorgere il legittimo sospetto che l’idea originaria fosse quella di rendere impossibile il completamento delle opere avviate. Il fine perseguito quindi - insistono i giudici amministrativi - non sembra essere stato tanto quello di tutelare e di salvaguardare un’area pregevole, quanto di mutare la tipologia di intervento essendo cambiata nel frattempo più che la sensibilità verso il paesaggio l’orientamento della giunta regionale e del suo presidente nei confronti di tale area cittadina».

A conferma di questo sospetto i giudici elencano dettagliatamente la sequenza ininterrotta di provvedimenti per sospendere i lavori in corso a Tuvixeddu «emanati dalla Regione prima che la commissione venisse costituita e comunque prima che la stessa formulasse la proposta di vincolo, che dimostrano l’uso strumentale di provvedimenti amministrativi palesemente illegittimi destinati a perseguire finalità dagli stessi non consentite». Definita «fulminea» la costituzione della commissione regionale destinata a proporre i vincoli, il Tar sostiene che costituirla non era neppure necessario: il Codice Urbani stabilisce infatti che in attesa delle nomine - basate su criteri precisi che la Regione neanche indica - poteva operare benissimo quella provinciale. Che forse avrebbe evitato alla giunta Soru almeno la figuraccia di indicare, dopo un sopralluogo sui colli, vincoli riferiti a siti naturali e storici delicati che non esistono da un secolo, come il Monte della Pace: oggi è un quartiere popolare che coincide con parte di Is Mirrionis.

Inutile spiegare che l’amministrazione comunale di Emilio Floris - patrocinata dagli avvocati Marcello Vignolo, Massimo Massa, Ovidio Marras e Federico Melis - esce trionfante da una controversia legale in cui la Regione - gli avvocati sono Paolo Carrozza, Gian Piero Contu e Vincenzo Cerulli Irelli - aveva poche carte valide da giocare. L’irruenza dell’esecutivo politico, cui i giudici del Tar fanno riferimento in più passaggi della decisione, ha travolto qualsiasi riparo giuridico lasciando agli avversari, compreso il costruttore Gualtiero Cualbu, campo aperto per un ricorso articolatissimo risultato - per i giudici - fondatissimo in ogni punto. Partendo da un dato che finisce per prevalere su qualsiasi altro e che dovrebbe disssuadere l’amministrazione regionale da un ricorso al secondo grado di giudizio: l’accordo di programma è insuperabile, perché alla decisione e alle scelte tecniche sul progetto Coimpresa - così spiegano i giudici - partecipano anche i privati cui «in sede di contrattazione è riconosciuto un ruolo tendenzialmente paritario, che non si esaurisce nella semplice partecipazione al procedimento». Ecco perché «tali accordi - è scritto - sono ben diversi dagli accordi di natura pubblicistica dai quali l’amministrazione può sempre recedere per sopravvenuti motivi di interesse pubblico». Peraltro il Tar ha sottolineato come sulla destinazione del colle di Tuvixeddu non esistesse solo un accordo di programma quadro per la realizzazione di un museo e di un parco archeologico, con la strada di collegamento tra via Cadello e via San Paolo, ma che a quest’intesa era stata già data attuazione «ed erano in corso lavori imponenti». Eppure bloccando i cantieri «la Regione ha agito - scrivono i giudici amministrativi - come se l’area non fosse stata affatto coinvolta dai lavori previsti nell’accordo, pertanto come se tale strumento non esistesse e non avesse avuto alcuna concreta attuazione». Infine, nel carteggio che ha preceduto e seguito l’imposizione dei vincoli a Tuvixeddu e Tuvumannu, non c’è traccia documentale dei nuovi ritrovamenti cui la Regione fa riferimento per motivare il blocco ai lavori. Ed è lo stesso Vincenzo Santoni, sovrintendente ai beni archeologici, che si oppone strenuamente all’allargamento dell’area vincolata proprio perché dai vecchi sopralluoghi compiuti dalla commissione provinciale ad oggi non è cambiato nulla. La conferma è nel sopralluogo compiuto dai giudici del Tar: la descrizione dei luoghi proposta dalla commissione non corrisponde alla realtà.

Infine il Comune, che nel ricorso lamenta di essere stato escluso da qualsiasi decisione: il Tar gli dà ragione, in base al principio di ‘leale collaborazione’ stabilito dal Codice Urbani avrebbe dovuto partecipare ad ogni scelta. Invece la Regione l’ha ignorato, sino al punto da indurre il sindaco a ricorrere al Tar e quindi perdere fragorosamente la partita sul fronte della giustizia amministrativa.

Soru: ricorso al Consiglio di Stato

«La giunta ha ancora il dovere di difendere il colle dal cemento»

di Roberto Paracchini

CAGLIARI. Prudente è il presidente della Regione Renato Soru: «Intanto approfondiremo questa sentenza - afferma - poi ricorreremo al Consiglio di Stato, perché penso che lo Stato, quello centrale, e la Regione hanno il dovere e il diritto di difendere il colle di Tuvixeddu da una colata di cemento».

Anche il presidente Soru ammette che «c’è stata una sentenza importante del Tar: io rispetto i tribunali». Tuttavia, «come sappiamo ci sono due gradi di giudizio e, come sempre accade, ci si rivolge poi al secondo». Inoltre, ricorda in una nota il governatore dell’isola, «la settimana scorsa il Consiglio di Stato ha dato ragione alla Sardegna su un altro tema importante, sul quale invece avevamo perso nel primo giudizio».

La sentenza, precisa il responsabile dell’esecutivo, «dice due cose importanti: una è che la commissione regionale per il Paesaggio e i beni culturali non è stata istituita in maniera formalmente corretta: non doveva essere decisa con una delibera della Giunta ma con un atto legislativo. Forse sì, forse no: noi l’abbiamo fatto con la delibera della Giunta, comportandoci nello stesso modo in cui hanno agito altre Regioni italiane che hanno istituito queste commissioni. Se per caso abbiamo sbagliato il procedimento costitutivo, vorrà dire che lo faremo meglio. E lo stesso atto verrà riproposto». Non solo: «Quando è stato posto questo vincolo (l’allargamento a tutto il colle di Tuvixeddu, ora bocciato dal Tar - ndr) su istanza della giunta regionale, negli stessi giorno lo stava proponendo anche il ministero dell’Ambiente. Quindi abbiamo fatto una cosa che stava per attivare, direttamente, anche lo Stato centrale».

L’estensione del vincolo è stato deliberato sulla base della relazione della commissione al Paesaggio. «Quindi crediamo che la commissione - continua - sia ben costituita e la difenderemo, se per caso non lo fosse sarà realizzata meglio e il vincolo verrà riproposto: magari con un’iniziativa anche diversa che potrà essere dello Stato».

Il presidente Soru, quindi, è deciso a continuare sulla sua strada: «Quello che è certo è che lo Stato ha il diritto, e non solo il dovere, di difendere Tuvixeddu, che è la testimonianza più importante della storia di Cagliari, ancora viva, ancora presente, ed è un’area attorno alla quale costruire il futuro di Cagliari».

L’assessore regionale Carlo Mannoni (Lavori pubblici e, a suo tempo, reggente della Cultura dopo le dimissioni di Elisabetta Pilia e prima della nomina di Maria Antonietta Mongiu) alle contestazioni del Tar sulla nomina della commissione al Paesaggio, risponde che «anche in Puglia e in Campania queste sono state costituite con una delibera di Giunta». E l’assessore Mongiu ribadisce che «noi ci siamo fondati sul Codice Urbani, che dal punto di vista delle considerazioni paesaggistiche e paesistiche, è molto avanzato».

La storia della vicenda

Necropoli di rilievo mondiale

CAGLIARI. Sulla base di un accordo di programma firmato da enti pubblici e Iniziative Coimpresa il 15 settembre 2000 sui colli di Tuvixeddu e Tuvumannu, dove si trova una necropoli punica di interesse mondiale, si dovrebbe realizzare un grande quartiere residenziale attorno all’area archeologica da trasformare in parco pubblico. L’amministrazione Soru, affidato lo studio di un nuovo progetto (il parco Karalis) al celebre architetto francese Gilles Clement, ha bloccato i lavori in corso con un primo decreto assessoriale datato 9 agosto 2006 e poi con una serie ininterrotta di provvedimenti di sospensione culminata con la dichiarazione di interesse pubblico dell’area, allargata ad altri siti e vincolata in linea con il Codice Urbani. Contro i provvedimenti della Regione si è opposto con ricorsi al Tar il comune di Cagliari, che dopo una prima pronuncia interlocutoria ha ottenuto una vittoria su tutta la linea. I giudici hanno stabilito che l’accordo di programma deve essere rispettato. Non solo: la commissione che ha imposto i vincoli non è stata nominata legittimamente e pertanto le sue decisioni non sono valide.

L’imprenditore Gualtiero Cualbu: ora chiederemo un risarcimento

CAGLIARI. L’allargamento del vincolo aveva bloccato la lottizzazione integrata della Coimpresa (parco da un lato, edificazioni dall’altro) sul colle di Tuvixeddu. Il Tar ora ripristina la situazione precedente. «La sentenza - precisa Gualtiero Cualbu, a cui fa capo la Coimpresa - non fa che confermare tutti gli atti compiuti a suo tempo dalla stessa Regione (con l’accordo di programma firmato nel 2000 - ndr): erano tutti legittimi. Inoltre accoglie integralmente le nostre tesi».

Adesso la Coimpresa, spiega Giuseppe Cualbu, amministratore della società, «dovrà riprendere i lavori. Prima di arrivare a regime, però, dovrà passare del tempo, ma saranno attivate subito le necessarie attività di supporto». In precedenza la società aveva annunciato atti per «il risarcimento dei danni». «Sì e lo faremo - continua - direi che siamo obbligati a farlo: siamo stati costretti a far ricorso alle banche». Quale sarà la richiesta? «Andrà quantificata con precisione: certamente diversi milioni di euro. Per il momento posso dire che la sentenza del Tar ha mostrato l’irregolarità recente della Regione in tutti i singoli provvedimenti». (r.p.)

Postilla

Un primo commento a caldo. Un patrimonio culturale di eccezionale importanza può essere distrutto da una lottizzazione e privatizzato, nonostante il codice del paesaggio, il piano paesaggistico, l’evidenza della qualità incomparabile del luogo.Un “accordo di programma” ha il potere di fare tutto ciò: va rispattato usque ad mortem .

La gigantesca necropoli punico-fenicia avrà la stessa sorte che avrebbe avuto un sito di analogo valore, l’Appia Antica, se un ministro coraggioso, Giacomo Mancini, non avesse d’autorità modificato il PRG di Roma del 1962? Ci auguriamo che chiunque abbia il potere istituzionale per intervenire lo faccia tempestivamente: in Italia, la tutela del patrimonio storico è indubbiamente un impegno straordinariamente rilevante di ordinaria amministrazione.

OLBIA. Soldi delle armi e della droga della ‘ndrangheta ripuliti in Svizzera e poi indirizzati verso investimenti immobiliari in Gallura dove buona parte degli indagati era di casa. C’è uno spaccato dell’appetito delle cosche mafiose per l’isola nell’ordinanza di custodia cautelare del giudice delle indagini preliminari di Milano Guido Salvini che ha raggiunto, su richiesta del pm Mario Venditti, nove persone accusate di riciclaggio aggravato dal favoreggiamento mafioso e dal reimpiego in attività economiche di somme provenienti da reati. Tra loro nomi di spicco del mondo affaristico che nasconde i suoi segreti in cassette di sicurezza e in conti riservati delle banche elvetiche e

dei paradisi fiscali, ma anche personaggi sardi o comunque di origine isolana. Come Sergio Contu, 42 anni, lo skipper olbiese finito in manette per un episodio legato alla vendita per 330mila euro di un motoscafo Riva, (dietro la quale si nasconderebbe l’occultamento di fondi illeciti), a Salvatore Paulangelo, 44 anni. Paulangelo è un altro arrestato dell’inchiesta milanese, amministratore finanziario con villa a Pittulongu che viene considerato uno dei nomi di spicco dell’inchiesta. E ancora Paolo Desole, figlio di Gavino, anche lui quarantatreenne, cittadino svizzero con alle spalle numerosi guai con la giustizia per traffico di cocaina, e su un conto del quale sarebbero transitati 47 milioni di dollari. E poi tutta una serie di nomi di persone molto note a Olbia per essere imprenditori, proprietari di terreni e hotel, alcuni di loro legati al mondo del calcio, che popolano le 269 pagine del provvedimento di arresto.

Uomo chiave e deus ex machina dei traffici l’avvocato milanese Giuseppe Melzi, 66 anni, ex paladino dei piccoli risparmiatori dopo il crac del Banco Ambrosiano e, a leggere le recenti accuse, spregiudicato manovratore di soldi che hanno portato altri piccoli investitori di società andate in bancarotta a perdere tutti i loro risparmi. Sullo sfondo il panorama dei terreni olbiesi, tra cui 500 ettari di pregio, in cui si muove il nutrito gruppo di procacciatori, imprenditori «indigeni» (parola del gip Salvini) che aspirano a fare l’affare del secolo. In un tourbillon di incontri e telefonate prontamente spiati e intercettati dagli investigatori, nell’arco di un’indagine che si è snodata dal 2000 al 2004.

L’inchiesta

«Il presente procedimento è stato reso possibile ed è giunto ad esiti significativi grazie all’osmosi investigativa tra diverse indagini condotte a partire dal 2003 in Svizzera e in Italia che hanno affrontato reati sicuramente definibili come “transnazionali” essendo l’espressione di un gruppo organizzato di stampo ‘ndranghetistico nato e sviluppatosi originariamente in Italia, ed in particolare nella zona di Mesoraca, in provincia di Crotone, (dove è attiva la cosca Ferrazzo n.d.r) ma che si è ramificato in territorio elvetico non solo per commettere reati in materia di stupefacenti e di armi, spostate tra i due Paesi, ma soprattutto per realizzare un’imponente attività di riciclaggio». Cos scrive il magistrato Salvini secondo il quale «a tale fine è stata allestita in Svizzera, quantomeno dalla fine degli anni ‘90, tramite società finanziarie costituite ad hoc, una sofisticata macchina di ripulitura di somme di denaro provenienti dalle attività criminali “ragione sociale” dell’organizzazione».

Semplice il meccanismo di lavaggio dei soldi: le «lavatrici» allestite dagli indagati sarebbero due società finanziarie la World Financial Services AG (WFS) e la PP Finanz Service GmbH di Zurigo, tra loro collegate, i cui patrimoni erano «caratterizzati da un’assoluta confusione contabile» e dalle quali alcuni degli arrestati avrebbero attinto per arricchirsi personalmente. Infatti, quelle societè che ufficialmente si occupavano di raccogliere capitali, direttamente o attraverso intermediari, da una clientela di investitori svizzeri e internazionali per operare sul mercato Forex, raccoglievano anche «masse di contanti di origine a dir poco incerta». Basti pensare che un’impiegata della WFS ha testimoniato che Paulangelo e altri uomini della stessa società andavano in aereo in Calabria e rientravano con valige di soldi in contanti che venivano messi nella cassaforte e non venivano contabilizzati nel sistema informativo e che alcuni “clienti”, a tarda ora, si presentavano in ufficio con pistole sotto la giacca. La cosca Ferrazzo secondo quanto hanno appurato gli inquirenti, praticamente si serviva delle due società WFS e PP Finanz come contenitore di soldi raggranellati grazie al crimine. Nel 2002 il crac, ma il gruppo di affari ha messo al sicuro il denaro in altre società o negli investimenti immobiliari privati in Sardegna.

Gli investimenti in Sardegna.

Un ruolo fondamentale sul fronte sardo ha svolto Alfonso Zoccola, svizzero trentanovenne. Un «esperto in truffe finanziarie» è definito dal giudice Salvini, consumate proprio

in Svizzera ed entrato nella WFS nel 2001 come socio occulto. Di fatto padrone della societè , Â«è¨ stato il principale elemento di collegamento con i calabresi». È proprio Alfonso Zoccola a tenere rapporti con l’avvocato milanese Melzi, tutelato in Sardegna da un avvocato che ha avuto come cliente Paulangelo. C’è da dire che l’organizzazione diretta a Zurigo da Desole, Zoccola e Paulangelo riciclava circa 1,2 milioni di dollari alla settimana provenienti dal traffico di stupefacenti; soldi che gli investimenti immobiliari potevano far ben fruttare. Zoccola si

recava spesso a Olbia dove con Melzi, secondo quanto emerge dalla documentazione acquisita nel corso di perquisizione alla WFS, era interessato ad un progetto concernente l’intera periferia di Olbia.

Negli uffici della WFS, infatti, sono state ritrovate planimetrie di terreni a Pittulongu e i documenti relativi a un progettato acquisto, sempre a Pittulongu, dell’hotel a quattro stelle «Stefania». In particolare nel faldone dei magistrati sono finite due proposte di vendita e un progetto architettonico per l’ampliamento dell’albergo.

Per i progetti immobiliari il clan avrebbe contattato, in qualità di esperto, un ingegnere olbiese.

Per poter dar corso alle operazioni immobiliari il gruppo di cui era a capo il legale milanese Melzi aveva creato una serie di società: «Dagli accertamenti svolti presso la Camera di commercio - scrive il giudice Salvini -, sono state individuate le società coinvolte nelle operazioni immobiliari in Sardegna, nella zona di Olbia: Agrenas srl, Finmed srl, Gmp srl, Montebello srl, Papo srl, Pasim srl, Sasi srl, Repi srl (giè Tre Sb srl)». Nelle societè , in un intricato giro di partecipazioni, compare più volte il nome di Giovanni Battista Pitta, noto imprenditore olbiese fino a poco tempo fa presidente del Tavolara Calcio quale detentore di quote. Secondo i magistrati di Milano, Pitta da trent’anni è in rapporti con Melzi, che è stato anche suo difensore nel corso di un procedimento penale che si è risolto positivamente. Di Pitta sarebbero state sfruttate capacità e conoscenze per l’acquisto di lotti di terreni, in parte già edificabili e in parte no.

Il gruppo si incontrava spesso ad Olbia, dove Melzi prediligeva pernottare all’Hotel Gallura e da dove sono partite molte delle sue telefonate intercettate dagli inquirenti.

L’indagine ha lambito anche un altro imprenditore di Olbia molto conosciuto che viene citato nell’ordinanza di custodia cautelare in riferimento a Zoccola: Mauro Putzu, ex presidente dell’Olbia calcio.

Un intreccio, quello scoperto dal gip milanese, che dovrà passare sotto ulteriori vagli ma che intanto ha aperto uno squarcio sul sottobosco che si muove intorno alle coste sarde con la criminalità organizzata pronta a reinvestire i propri capitali costruiti sulle attività illecite in progetti turistici di largo respiro.

Postilla

Investimenti della malavita organizzata nelle coste sarde, specialmente in Gallura. Non è una novità. Una circostanza che torna ciclicamente, e anche casualmente, esito di inchieste che seguono altre piste. La compravendita di aree fabbricabili o complessi realizzati spesso per via di piani molto compiacenti agevola in molto casi il riciclaggio di denaro sporco. Da almeno una trentina di anni, come hanno riferito i magistrati in varie occasioni, somme considerevoli transitano da queste parti per diventare pulite case a schiera. È facile immaginare che tanto denaro abbia inciso in modo rilevante nei processi decisionali. Un'altra ragione per sostenere fermamente le ragioni del Piano paesaggistico: lo spreco di luoghi bellissimi è a vantaggio di pochi e succede che che tra questi ci siano mafiosi e camorristi (s.r.)

È oramai accantonata definitivamente la possibilità di indire il referendum sul Piano paesaggistico regionale almeno fino al 2010. Anche l'ultimo ostacolo del tribunale è stato superato dalla Regione. Alla domanda di un giornalista che chiedeva ulteriori alternative l'assessore dell'Urbanistica Sanna ha risposto ironicamente sotendendo che al deputato Pili e ai suoi compagni referendari, non resta altra strada se non quella del tribunale internazionale per i diritti dell'uomo.

Il tribunale civile di Cagliari ha quindi rigettato il reclamo contro la decisione del giudice che aveva negato la possibilita' di fissare in via urgente il referendum abrogativo del Piano paesaggistico regionale, come chiesto la scorsa settimana dal comitato dei referendari.

L'istanza del Comitato referendario era finalizzato ad imporre all'Ufficio regionale del referendum di contare le firme raccolte dal deputato di Forza Italia Mauro Pili, per poi trasmettere gli atti al presidente della Regione in modo che potesse indire la consultazione entro il 30 gennaio.

Secondo il Collegio, presidente Giangiacomo Pisotti, il Ppr è materia non omogenea, e di conseguenza non si può sottoporre ad un unico quesito referendario. Il Tar Sardegna invece aveva accolto il ricorso del Comitato guidato da Pili presentato contro l'ufficio regionale per il referendum, che il 15 marzo 2007, aveva dichiarato illegittima la consultazione. Successivamente, su ricorso della Regione, il Consiglio di Stato aveva sospeso la sentenza del TAR. I referendari si erano appellati al giudice ordinario contro le decisioni della giustizia amministrativa.

Polemiche, come sempre, sono state le dichiarazioni espresse dal deputato Pili che ha sottolineato come la sentenza sia di fatto l'esatto contrario di quanto deciso dal Tar Sardegna. Per Pili questa giustizia lascia davvero perplessi.

L'assessore regionale dell'urbanistica Gian Valerio Sanna nel corso di una conferenza stampa ha commentato la sentenza del tribunale: "le valutazioni del Tribunale civile di Cagliari sono andate decisamente al di là delle nostre aspettative" - ha spiegato Gian Valerio Sanna - si è conclusa una parte del lungo iter relativo al contenzioso sul referendum. Leggendo l'ordinanza, ci sono alcune cose da dire. Innanzi tutto, è stato precisato che l'Ufficio del referendum è da considerarsi in parità nei confronti dei promotori. Il Tribunale ha detto che dobbiamo consentire all'elettore di esprimersi su un argomento che riguarda l'interesse pubblico, e non l'interesse per fini politici e di parte. Per ottenere questo, il referendum deve avere il suo oggetto specifico. A detta dei magistrati, il referendum così definito toglieva la libertà di scelta agli elettori. Dunque, è stata impedita la volontà di condizionare gli elettori. Altro che imbavagliarli - come viene sostenuto dai promotori del referendum. L'argomento - ha aggiunto l'assessore Sanna - è talmente eterogeneo e complesso che si sviluppa in 114 articoli suddivisi in tre sezioni. Perciò sarebbe difficile pronunciarsi in merito. L'ordinanza dice testualmente che ‘il quesito proposto dai referendari non è chiaro' e che le varie disposizioni del Piano paesaggistico non sono sostanzialmente omogenee. D'altronde, la cancellazione totale di questo provvedimento metterebbe la Regione in condizione di vaghezza".

Ora il Consiglio di Stato dovrà pronunciarsi in merito al ricorso della Regione sulla sospensiva del Piano.

All’alba, quando si contano i feriti (quattordici) e si dà un volto e un nome agli arrestati (sei, due i minorenni), la notte da cani di Cagliari mostra la velenosa miscela che l’ha incendiata

Per cinque ore, nella piazza su cui affaccia la basilica di Nostra Signora di Bonaria, lo squadrismo ultras ha cavalcato a colpi di spranga, sassi, bottiglie, l’odio politico predicato, nella notte tra giovedì e venerdì, sulla banchina del porto, dalla delegazione di parlamentari del centro-destra che aveva accolto la prima nave carica della "munnezza" napoletana. Chi era al porto giovedì – i deputati di Forza Italia Piergiorgio Massidda, Mauro Pili, ex presidente della giunta regionale Sardegna, e Salvatore Cicu, ex sottosegretario alla Difesa; il senatore dell’Udc Massimo Fantola; il senatore di An ed ex sindaco di Cagliari Mariano Delogu (come hanno riferito le informate cronache del giornale on-line "L’Altra Voce") – sabato non era sotto le finestre di casa Soru. Ma la miccia, assai corta, era stata accesa. Bisognava soltanto aspettare.

Ci hanno pensato in due-trecento degli "Sconvolts" (tanti ne hanno contati le riprese degli operatori di polizia e carabinieri). Tipi che di maccheronico hanno solo il nome, a quanto pare. I padroni della curva nord dello stadio Sant’Elia. Gente che, nel tempo, ha meritato le "5 stelle" Youtube per la violenza documentata dai video on-line dei loro scontri (da ieri, per altro, ricchi di una nuova saga). Degni – nei forum del tifo organizzato – di ricevere la genuflessa ammirazione di chi le ha prese in tutta Italia. Con post di questo tipo: «"Sconvolts" Cagliari… Quadrati, compatti, mani nude. Gente tosta. Duri. Più li colpisci e più ritornano. Vederli davanti in 37 al bar Bentegodi (lo stadio di Verona ndr.), dove non credo nessuno sia mai arrivato, è stata una cosa impressionante. Tecnica spaventosa. Prima linea, davanti, di dieci unità. A caricare. Venticinque dietro in supporto quando si apriva la prima linea. Potrei menzionare centinaia di casi. Senso di appartenenza spaventoso. Camminano in mezzo alla strada senza scorta. Un gruppo di fratelli». Odiano i napoletani. Dicono dal 1997, quando a Napoli si consumò la retrocessione del Cagliari in serie B dopo uno spareggio con il Piacenza e la città si trasformò per loro in una tonnara. Ma il calcio e il campanile, in questa storia, sembrano solo un’ipocrita foglia di fico. Osserva un alto funzionario della polizia di Prevenzione: «Vorrà pur dire qualcosa se in questa storia dei rifiuti, a Napoli, a incendiare Pianura, trovi i "Nis" (Niente incontri solo scontri), i "Mastiff", le "Teste matte", vale a dire le peggiori sigle della curva napoletana e a Cagliari ti ritrovi di fronte gente come gli "Sconvolts"». Già, vorrà dire qualcosa. Cosa? «Che come ripetiamo da tempo, come fu chiaro a tutti domenica 11 novembre a Roma, giorno in cui fu ucciso il tifoso laziale Gabriele Sandri e venne dato l’assalto alle caserme, siamo di fronte a una nuova forma di violenza. Liquida. Imprevedibile e disomogenea nella progettazione. Costantemente eversiva negli obiettivi: gli sbirri, i simboli del potere costituito. Ieri, appunto, le caserme. Oggi l’abitazione del presidente di una giunta regionale. Il calcio non c’entra più nulla. Non c’entra più da tempo».

Dice il questore di Cagliari Giacomo Deiana: «E’ gente che non ha niente a che fare con la protesta per i rifiuti. Ed è logico che qualcuno li abbia pagati. Fino ad una certa ora tutto si era svolto in modo tranquillo. Poi, da un gruppo ben individuato, sono partite pietre e bottiglie contro polizia e carabinieri e sono iniziati gli incidenti. E’ chiaro che qualcuno li ha mandati. Si è trattato di un’azione ben organizzata di cui queste persone si sono fatte strumento». "Manovali prezzolati", dunque. Ma da chi?

Fin dove la violenza di sabato notte sia "autoconvocata" – come sembrano inclini a credere a Roma gli analisti della Prevenzione – in ragione di un mutato dna del cosiddetto ultrà, in cerca di nuovi spazi che non siano solo gli stadi, e dove addirittura "comprata", come sostiene il questore di Cagliari, lo potranno chiarire, forse, le indagini avviate in queste ore. Resta un fatto, che tutti mette d’accordo, la circostanza che gli "Sconvolts" non solo hanno cercato lo scontro, ma lo hanno pianificato sin dalle prime ore del pomeriggio. La catena di sms che dava appuntamento per la sera di fronte alla casa del presidente della giunta regionale ha raggiunto centinaia tra le più disparate utenze cellulari di Cagliari. Un invio multiplo che evidentemente ha utilizzato "mailing list" normalmente nella disponibilità di chi lavora con la politica, non certo con le curve. Non solo. La falange squadrista che si è aperta la strada tra le bandiere di Alleanza nazionale, e Azione giovani, si era data tempo e modo di armarsi. Del sagrato della basilica di Nostra Signora di Bonaria non è rimasto nulla. Gli "Sconvolts" hanno metodicamente divelto con le loro spranghe prima la gradinata della Basilica, quindi i dissuasori di parcheggio, per poi dedicarsi all’antico acciottolato che, fino a ieri notte, riproduceva lo stemma dei Padri Mercedari. Napoli. Cagliari. Finisce qui il "lavoro" ultras? La risposta di un investigatore della polizia che da anni lavora sul tifo organizzato non annuncia nulla di buono. «Spero davvero di sbagliarmi, ma credo che siamo solo all’inizio. Per quello che siamo riusciti a capire in queste settimane, la partita dei rifiuti, per la sua dimensione nazionale, è un’opportunità estremamente ghiotta. Per la visibilità che offre ai ghetti delle curve. Per la dimensione sociale, che consente di dare un segno alla violenza. Immaginatevela un po’ questa gente. Se accoltella uno sbirro sul piazzale di uno stadio, gli argomenti sono pochi. Se lo sbirro se lo va a cercare in mezzo a una montagna di rifiuti, potrà sempre dire che lo ha fatto non più per difendere la sua curva. Ma il suo quartiere, la sua città, dai "veleni del potere". No, purtroppo Cagliari porta pessime notizie. Non è stato e non è un affare tra napoletani e sardi».

Domani i giornali informeranno che il Consiglio di stato ha dato sostanzialmente ragione alla decisione dell’apposita commissione regionale, che aveva dichiarato inammissibile il referendum abrogativo del Piano paesaggistico regionale. Il TAR di Cagliari aveva accolto un ricorso dei promotori del referendum abrogativo e aveva ordinato alla Regione di bandirlo. Ora l’ordinanza del Consiglio di stato, in attesa della sentenza di merito, ha sospeso gli effetti della decisione del TAR. Ecco il dispositivo dell'ordinanza del Consiglio:

“ritenendo la sussistenza dei presupposti di cui all'art.33 (danno grave e irreparabile),avuto anche riguardo al costante indirizzo giurisprudenziale che qualifica in termini di diritto soggettivo politico inaffievolibile la posizione che si appunta in capo ai promotori dell'iniziativa referendaria, con conseguente radicamento della giurisdizione ordinaria, per questi motivi accoglie l'appello e sospende la sentenza”.

In sostanza, secondo il Consiglio di stato la competenza a stabilire l’obbligo della Regione a bandire il referendum abrogativo non era del TAR ma del giudice ordinario. Ora è possibile che i promotori del referendum adiscano al giudice ordinario per chiedere una sentenza che obblighi la Regione a bandire i referendum. Sembra però improbabile che il giudice ordinario compia questo passo, nelle more della discussione – da parte del Consiglio di stato - del merito della questione, e della relativa sentenza. Il termine per bandire il referendum è il 30 gennaio.

Permane il referendum abrogativo della legge (n. 8 del 2004) che stabilisce le procedure di approvazione del PPR, fissato per il 29 giugno 2008. Se questo avesse esito positivo la Giunta regionale sarebbe costretta a ripercorrere l'iter di approvazione secondo la precedente legge regionale, che prevede l'approvazione del PPR da parte del Consiglio.

Si andrà a referendum, forse con due quesiti, sulle norme regionali di tutela del paesaggio. Chi, come me, aveva pensato che i promotori avrebbero rinunciato dopo il primo insuccesso ha dovuto ricredersi. La posta è di quelle in grado di mobilitare energie e il lavoro svolto nelle aree calde dell’intrapresa immobiliare ha fatto il risultato.

Gli avversari del Ppr sono agguerriti: le norme hanno impedito, importanti trasformazioni di luoghi preziosi (dove investe gente come Ricucci, Fiorani, ecc.) ed è facile immaginare l’impegno che sarà messo per aprire nuove brecce nel sistema di tutela.

Una casa di medio rango può valere nelle zone costiere di pregio molti milioni di euro. Un migliaio di case in un breve tratto litoraneo (una cifra tonda, del tutto sottostimata, per dare un’idea) valgono molti miliardi di euro. Spesso si tratta di case opzionate attraverso broker insieme ad azioni e obbligazioni: spesso non sono abitate neppure un giorno. Saranno rivendute quando il mercato, generoso in questi casi, lo renderà conveniente.

Ci saranno cittadini in grado di mobilitarsi, con altrettante motivazioni, per sostenere la linea della tutela? Non mancano gli argomenti (coscienza di luogo, solidarietà tra generazioni, sviluppo durevole) che potrebbero servire a dispiegare energie. Ma non ci sono segnali incoraggianti. Da una parte gli slogan dei detrattori contro il «Ppr blocca-sviluppo». Dall’altra troppo poche le iniziative di chi dovrebbe spiegare le scelte del Ppr per evitare alleanze improprie. Operatori turistici che vivono della qualità del paesaggio e palazzinari - un pizzaiolo e un immobiliarista - non possono essere in sintonia, uniti nella «lotta dura per altra cubatura». Questa è una storia che va avanti da tempo e peserà non poco nell’esito.

Il referendum abrogativo della legge «salvacoste», si svolgerà a giugno. Un altro referendum è stato dichiarato ammissibile dal Tar sul Ppr. Non ha retto, com’è noto, l’argomentazione secondo il quale è tante cose disomogenee (e quindi improponibile un solo quesito avverso). Il Tar ha ritenuto che si tratti di un complesso di norme «ispirate alla medesima ratio o comunque strettamente collegate». La sentenza - improvvidamente definita «politica» da qualcuno - aiuta piuttosto a fare chiarezza. Le scelte politiche della Regione indicano, secondo il Tar, «una netta inversione di tendenza, diretta a privilegiare una protezione forte del paesaggio e dell’identità sarda, con sacrificio delle potenzialità edificatorie soprattutto nella fascia costiera (...) in forza dei nuovi poteri conferiti alla Regione dal Codice Urbani, come bene paesaggistico e riconosciuta come area di particolare ed unico pregio, soggetta tuttavia da decenni ad aggressioni ormai giunte al limite della tollerabilità (...)».

E’ una constatazione importante: sarebbe utile se divenisse patrimonio di molti. Insieme agli apprezzamenti, ampiamente motivati, per i risultati delle politiche per il paesaggio e per lo strumento di pianificazione, che giungono da organismi internazionali e da altre Regioni che si cimentano nell’applicazione del Codice. Dall’esito del referendum forse non dipenderà la sopravvivenza o la cancellazione delle regole. C’è comunque da augurarsi che, oltre la reclame, sia un’occasione per un dibattito approfondito e civile su una questione sostanziale per il futuro della Sardegna.

AGLIENTU. Non solo Rcs o Antonveneta. Gnutti-Ricucci-Fiorani, i “furbetti del quartierino”, hanno tentato l’assalto anche alle coste galluresi. Una immobiliare voleva costruire 95mila metri cubi a Monti Russu. Soru l’ha fermata e ora Bipielle RE, che ha preso il posto della società di Fiorani, chiede i danni.

Sulla vicenda si sono accesi molti fari. Della stampa: Beppe Severgnini, sul Corriere della sera, si oppose all’investimento nel luglio del 2002. «Sardegna, cambia pure ma non diventare Ibiza» scrisse. Dell’Unione europea: l’eurodeputata verde Monica Frassoni presentò una interrogazione alla commissione. «L’area in cui sui vuole costruire è tutelata da vincolo paesaggistico» segnalò. Infine della Regione: la giunta di Soru, nella fase di redazione del piano paesaggistico, bloccò tutto nel 2006. Ciò che non era emerso, almeno pubblicamente, è l’assetto proprietario della società proponente dell’investimento immobiliare, la “Lido dei Coralli srl”, sede a Santa Teresa. Le quote sono state detenute - in “concerto” tra di loro - dai tre “furbetti del quartierino”: il finanziere bresciano Emilio Chicco Gnutti, l’immobiliarista romano Stefano Ricucci, il banchiere lodigiano Gianpiero Fiorani.

La storia della “Lido dei coralli” comincia nel 1988, l’anno di costituzione. La proprietà è di un imprenditore di Bologna, Franco Fabbroni, che qualche anno dopo finisce nella galassia di Gnutti. Nel 2000, infatti, Fabbroni viene assorbito nella “Investimenti immobiliari lombardi”, una holding del mattone con dentro molti imprenditori bresciani e controllata da Hopa, la cassaforte con cui Gnutti scalò Telecom Italia nel 2001. Ma Fabbroni e Gnutti trovano subito un altro socio: Stefano Ricucci. Dopo aver venduto una serie di immobili, per un valore di 100 milioni di euro, nel 2001 l’immobiliarista romano fa una serie di operazioni finanziarie: tra queste compra il 5% di “Investimenti immobiliari lombardi” e ne diventa consigliere d’amministrazione.

A quel punto, Gnutti e Ricucci si trovano un buon affare tra le mani in Gallura: la costruzione di 95 mila metri cubi, un po’ residenziali e molto alberghieri, a Stazzareddu, nell’area di Monti Russu, in comune di Aglientu. Tutto sembra procedere per il verso giusto: il consiglio comunale, nel luglio del 2002, dà il via libera definitivo al piano di lottizzazione. Tanto che i soci, nella relazione semestrale, possono usare toni trionfali: «Segnaliamo - è scritto - l’approvazione della variante al piano di lottizzazione, passaggio che ci permette di meglio programmare l’apertura del cantiere». Tanto sicuri, i soci bresciani e romani, che scrivono di aver già un «impegno di vendita del complesso alberghiero». Valore dell’affare: 38 milioni di euro. Non si sono preoccupati, non molto almeno, dell’«interesse naturalistico di questo tratto di costa», come del resto scrivono proprio loro.

Le associazioni ambientaliste, sì. Legambiente presenta un ricorso al Tar e, successivamente, al consiglio di stato. I giudici non impongono lo stop. Anche perché, come si legge nella sentenza del Tar, viene meno uno dei motivi di oppposizione, che è la mancanza della valutazione di impatto ambientale. La Regione, con parere dell’ufficio del sistema informativo, non l’ha ritenuta necessaria (la decisione è del 1º agosto del 2001).

In mezzo alla battaglia legale, ne va in scena una societaria (si fa per dire). Nel settembre del 2002, Gnutti e Ricucci incontrano il loro socio più amato: Fiorani. In quel mese “Investimenti immobiliari lombardi” lascia la Borsa, si scioglie e confluisce in Bipielle Investimenti, una delle società controllate dal numero 1 assoluto di Lodi. E così passa di mano anche la proprietà di “Lido dei Coralli”. In realtà, nel complesso schema di partecipazioni della banca, c’è un incrocio con il vecchio socio Fabbroni (presente con la Basileus spa). Tanto che le quote delle società vengono scambiate più volte. Fino all’ultimo atto, compiuto quando ormai Fiorani non ha più un ruolo nella banca, cacciato dalle inchieste giudiarie e dal carcere (è stato arrestato nel dicembre del 2005). E’ il marzo del 2006: la proprietà (ri)passa a Bipielle Real Estate, controllata sempre dalla banca di Lodi, ora Banco Popolare, e dal suo nuovo presidente Divo Gronchi. Qualche mese prima, a gennaio, la Regione di Soru, nella fase di copianificazione del piano paesaggistico, ha impedito l’edificazione di un solo metro cubo a Monti Russu. A Lodi l’atto non deve essere piaciuto: forti della lottizzazione approvata nel 2002, i lodigiani ora chiedono i danni. Un ricorso, con istanza risarcitoria, è stato presentato al Tar: la prima udienza è fissata per il 12 dicembre.

CAGLIARI. Ieri è arrivato il «raddoppio» dei referendum sulle questioni urbanistiche: il Tar della Sardegna, infatti, ha accolto il ricorso contro la decisione dell’Ufficio regionale del referendum che non aveva ammesso nel marzo scorso la consultazione popolare sul Ppr. In pratica i sardi saranno chiamati ad esprimersi su tutto il piano paesaggistico quando è già stato fissato per il 29 giugno il referendum «solo» sulla cosiddetta legge salvacoste che stabilisce i vincoli sulle zone costiere. Per l’abrogazione dell’intero piano paesaggistico regionale erano state raccolte 24 mila firme.

A questo punto non c’è ancora una decisione ufficiale, ma i sardi dovrebbero essere chiamati a esprimersi il 29 giugno; in sostanza i due referendum dovrebbero essere accorpati sempre che la decisione del Tar venga confermata, perché ora sarà la la Regione a ricorrere al Consiglio di Stato.

Il ricorso della giunta Soru è stato preannunciato ieri sera dall’assessore dell’Urbanistica, Gian Valerio Sanna, che non ha voluto commentare e si è limitato ad osservare che non cambia niente: «C’è già un referendum fissato per il 29 giugno», ha affermato l’assessore Sanna.

Il promotore della raccolta di firme era stato Mauro Pili che ieri era raggiante per la decisione del Tar: «È una vittoria della democrazia, i sardi potranno decidere il proprio futuro e diventare protagonisti del proprio ambiente».

Sulla bocciatura del referendum da parte dell’Ufficio regionale c’erano state forti polemiche e lo stesso Pili, nel marzo di quest’anno, come massima forma di protesta, s’era autorecluso nel carcere di Buoncammino per tre giorni: «Era stata una decisione di stampo golpista», ricorda, «il Piano paesaggistico regionale ha messo in ginocchio la Sardegna, ha causato ventimila disoccupati, favorisce gli speculatori immobiliari, gli stessi che sul famoso volo in elicottero hanno sorvelato le coste della Sardegna in compagnia del presidente della giunta e dell’assessore all’Urbanistica».

Il nuovo referendum si aggiunge a quello sulla legge 8: «Blocca sviluppo», al deginisce Pili, «ma con i referendum la parola ritorna ai cittadini». Il programma è ambizioso: «Costituiremo un comitato in ogni comune, in ogni angolo della Sardegna, per restituire dignità e orgoglio a un popolo che si vede tagliato fuori dalle scelte del proprio ambiente».

La decisione di dichiarare inammissibile la richiesta di consultazione popolare per abrogare il Piano Paesaggistico della Sardegna era stata resa nota dall’Ufficio regionale del Referendum il 15 marzo scorso perché - a giudizio della Regione - «i quesiti proposti sono eterogenei, un aspetto che la Corte Costituzionale aveva già contestato in passato richiamando la «lesione della libertà di determinazione del cittadino» chiamato ad esprimersi su «molteplici complessi di questioni, insuscettibili di essere ridotte ad unità». A rafforzare, si spiegava nel rigetto della proposta di consultazione popolare, l’aspetto dell’inammissibilità del referendum era anche la richiesta di abrogazione della deliberazione sul Ppr nella sua totalità «fatta attraverso un quesito unitario nonostante la pluralità e la non omogeneità della materia in discussione». «Tale quesito» - aveva argomentato l’Ufficio del Referendum - comporta l’impossibilità per il cittadino di esprimere liberamente la sua determinazione del voto su argomenti e disposizioni del tutto diversi».

Il Centrodestra non ha mai condiviso quella motivazione, «ora che volessero tutelare i sardi impedendogli di votare»... dice Pili che ricorda l’impegno dei sindaci nella raccolta delle firme. Il centro destra, con il capogruppo di Forza Italia Giorgio La Spisa, ha precisato da subito che non vuole «l’anarchia legislativa», ma intende «cancellare il Piano» per ritornare al Codice Urbani, «che sancisce regole e codici che valgono in tutta Italia, senza atteggiamenti vessatori».

Trattandosi di un referendum abrogativo, perché la consultazione sia valida, occorre un quorum del 33% che, a giudizio del centrodestra si potrà raggiungere facilmente se si considera che su una legge davvero ostica, come la Statutaria, s’è recato alle urne il 16%.

Il referendum si terrà nel giugno del 2008. Esso riguarda l’abrogazione della cosiddetta “legge salvacoste”. La legge (n. 8 del 25.11.2004) vincolava all’inedificabilità una fascia di 2 km di costa fino all’approvazione di un piano paesaggistico che confermasse e articolasse la tutela del paesaggio. In attuazione alla legge la Regione ha approvato un primo stralcio del Piano paesaggistico regionale esteso a una corposa fascia costiera, ed ha in corso la sua estensione all’intero territorio sardo.

È dubbia l’efficacia giuridica sulla tutela che avrebbe una vittoria del referendum: il piano ha ormai pienamente sostituito il contenuto della legge. Certo che avrebbe una notevole portata politica, poiché sarebbe considerata uno smacco per il presidente Renato Soru e la sua giunta, e soprattutto per l’azione di energica e lungimirante tutela del paesaggio e dell’ambiente che essi hanno condotto. Chi apprezza quell’azione è sollecitato fin d’ora a scendere in campo per difenderla.

Perché in Sardegna, ai piani alti del potere, il clima non è bello. È stata recentemente emessa una sentenza del Tar sul piano paesaggistico. Essa è stata presentata dalla stampa locale come un “affossamento del piano” e, nel più dolce dei titoli, come un “siluro contro di esso”. Nessuno ha informato che la sentenza respinge 20 motivi di ricorso contro il piano, limitandosi a dar ragione al ricorrente su un aspetto del tutto marginale. Nessuno ha informato che la massima parte della sentenza è dedicata a confermare in pieno le scelte compiute dal piano e a rafforzarne la legittimità con argomenti di diritto e di merito.

Distruggere la difesa del paesaggio sembra essere divenuto l’obiettivo di poteri che, se nascono dagli interessi immobiliari, vanno ben al di là al di là di essi. La falsificazione dei dati oggettivi è uno delle armi più insidiose adoperate per difendere i propri interessi.

CAGLIARI, 22 NOVEMBRE 2007 - Dopo Legambiente, che ha lanciato tra i propri soci un coordinamento per la difesa della legge Salvacoste, ora anche il Wwf Sardegna si mobilita e chiede una campagna d'informazione sui contenuti del piano paesaggistico.

I Sardi, secondo l'associazione, devono comprendere il senso e l'importanza del Piano e delle normative di tutela e conservazione dell'ambiente, del paesaggio e della biodiversità della Sardegna.

"La comunità sarda sarà chiamata ad esprimersi su una materia importante - ha dichiarato il Presidente regionale del Wwf Sardegna, Luca Pinna - ma al tempo stesso estremamente complessa e articolata. Ciò rende indispensabile un'adeguata campagna di informazione e sensibilizzazione con interventi capillari sul territorio e rivolti a tutte le categorie sociali.

Negli ultimi tempi, infatti, il senso ed i contenuti del Ppr, come quelli di altri provvedimenti finalizzati al buon governo del territorio - ha aggiunto il presidente del WWF - sono stati comunicati all'opinione pubblica in maniera parziale e distorta, soprattutto da parte di chi, difendendo interessi di varia natura, ritiene che si possa creare sviluppo in Sardegna svendendo le coste, il paesaggio ed i valori della biodiversità. I sardi devono invece comprendere che oggi è importante preservare, tutelare e valorizzare l'identità ambientale, storica, culturale ed insediativa del territorio dell'isola a vantaggio di uno sviluppo più sostenibile e duraturo".

Il Wwf, che sin dall'inizio ha sostenuto con forza il Piano Paesaggistico e la sua applicazione, nel ribadire il proprio supporto in difesa dell'importante strumento legislativo, chiede che sia proprio la Regione Sardegna a farsi carico dell'avvio della campagna informativa, mettendo in campo risorse umane e finanziarie sufficienti a garantire la massima efficacia degli interventi di comunicazione

Era già successo sabato, in diretta su Raitre per uno speciale di “Ambiente Italia” dedicato alla giornata del Coast Day in Sardegna. Impossibile, in quella occasione, non discutere del Piano paesaggistico regionale: e l'assessore aall'Urbanistica Gianvalerio Sanna aveva denunciato la malainformazione sulla norma salva-coste varata dalla Giunta nel 2004. Difficile pensare a una premonizione: anche perché probabilmente in viale Trento non si aspettavano le quattro sentenze-fotocopia con cui il Tar ha annullato il quarto comma dell'articolo 15 delle Norme tecniche di attuazione, sbloccando di fatto le concessioni edilizie nei comuni in regola con il Puc al momento dell'approvazione del Piano.

Ma anche all'indomani del pronunciamento del Tribunale amministrativo, l'idea dell'assessore non cambia. Supportata, in questa occasione, anche dal presidente Renato Soru. Il concetto è affidato a una nota che precede una conferenza stampa in programma per la mattinata di oggi: «La ricerca di sensazionalismo ha fatto fare oggi (ieri, ndr) qualche titolo che contiene un macroscopico errore di valutazione della sentenza del Tar e delle sue conseguenze sulla validità del Piano paesaggistico regionale». In pratica è un altolà per chi grida al “colpo mortale” inferto a una delle norme principe della legislatura. Tutto il contrario, secondo Soru e Sanna: «Il Piano paesaggistico», sottolineano, «esce da questa prima fase di contestazioni e ricorsi - fra cui quello della Confindustria e di alcuni Comuni - con un riconoscimento di piena legittimità del suo impianto, della sua struttura, della coerenza con la disciplina nazionale e quindi con il riconoscimento della sua piena validità».

Nessuna falla nell'impianto della legge, quindi. Una piccola breccia, al massimo, che la sentenza dei giudici amministrativi contribuirà a riparare: «Potranno esserci singoli aspetti marginali che possono essere meglio precisati, cosa che potrà essere fatta in sede di discussione del Piano paesaggistico regionale per la parte che riguarda gli ambiti interni, e l'attività dei giudici ci è utile anche per giungere a questo ulteriore livello di definizione».

Nel caso specifico, anzi, «la sentenza del TAR non solo non apre varchi, ma ribadisce maggiori vincoli e maggiore severità. L'istituto dell'intesa - che è un istituto transitorio che regola l'attività edilizia e la permette a certe condizioni sino all'approvazione del Puc - è pienamente valido in gran parte delle circostanze previste dalle norme tecniche». In buona sostanza non si aprirebbe la voragine pronosticata a una prima lettura della sentenza, anche se buona parte dei ricorsi depositati - qualche decina, pare di capire - farebbero riferimento proprio all'istituto dell'intesa.

Golfo Aranci e Santa Teresa di Gallura, i due comuni interessati alle ultime sentenze del Tar, avevano già approvato nel 2004 il proprio Puc. È il motivo per cui l'istituto dell'intesa «viene considerato illegittimo perché inutile, per verificare le lottizzazioni che sono fatte salve nella fascia costiera per i Comuni che avevano il PUC approvato e per i Comuni senza Puc fuori dalla fascia costiera. Questa illegittimità ha come conseguenza non che possano essere fatte salve delle lottizzazioni che non hanno i requisiti fissati dal Piano paesaggistico, ma che è sufficiente che sia il Comune a verificare autonomamente la sussistenza di questi requisiti».

Non cambia il risultato, sostiene la Giunta, perché «è comunque la Regione che deve dare il nulla osta paesaggistico, anche quando quelle lottizzazioni fatte salve sono certificate dai Comuni e non attraverso l'intesa». Dalla decisione del Tar, insomma, il Piano paesaggistico regionale uscirebbe addirittura rafforzato. Di sicuro, secondo Soru e Sanna, improntato a «una maggiore severità, perché viene eliminata anche solo l'ipotesi che attraverso l'intesa si potessero approvare lottizzazioni prive dei requisiti richiesti. Comune e Regione verificano separatamente queste lottizzazioni: il Comune valutandone la rispondenza ai requisiti, la Regione successivamente, verificando la possibilità di concedere o no il nulla osta». Con buona pace per chi gridava al crollo totale della norma salva-coste.

CAGLIARI. Il presidente getta acqua sul fuoco: «Non cambia niente». L’oppositore rilancia la sfida: «E’ l’ennesimo fallimento». Il tecnico avverte: «A rischio altre norme di salvaguardia». Dopo la sentenza del Tar che ha annullato un comma delle norme tecniche è ripresa la guerra sul Piano paesaggistico. Sul quale pende ora anche il referendum abrogativo regionale: lunedì la decisione finale.

Quella di ieri, nonostante la festività, è stata un’intensa giornata di lavoro per il presidente della giunta regionale, Renato Soru, e l’assessore all’Urbanistica, Gian Valerio Sanna. I quali, in un lungo vertice assieme a diversi collaboratori hanno studiato la sentenza con cui il Tar, mercoledì, ha annullato il quarto comma dell’articolo 15 delle norme tecniche del Ppr, il comma che prevedeva, per i Comuni con il Piano urbanistico già approvato, la procedura dell’Intesa con la Regione per l’approvazione finale delle lottizzazioni e dei piani attuativi già varati. Nel vertice è stato verificato che si tratta solo delle «lottizzazioni già fatte salve» per le quali resta comunque «l’obbligo del nullaosta paesaggistico se non ottenuto dopo il dicembre 2005». Nel vertice è stato inoltre verificato che l’istituto dell’Intesa è stato salvato per tutti gli altri casi (ampliamenti, costruzioni nell’agro, eccetera) e che l’ultima parola resta comunque alla Regione attraverso gli uffici del Paesaggio, che sono in grado di bloccare qualsiasi pratica giudicata non in linea con il Ppr. Secondo i partecipanti al vertice (Gian Valerio Sanna parlerà solo oggi in una conferenza stampa per chiarire il punto di vista della Regione) i progetti interessati dalla sentenza del Tar «sono una decina». Ma si dovrà poi verificare (e lo faranno i giudici del Tar in prossime udienze) se i rilievi si allargheranno ad altri articoli di legge: lo si capirà quando arriveranno i ricorsi sull’Intesa presentati per progetti nei Comuni che non hanno il Puc approvato. Renato Soru, comunque, non sembra preoccupato. Dopo il vertice con Sanna ha diffuso una lunga dichiarazione proprio per dire che «non cambia niente» e che, anzi, «ora i vincoli sono più forti».

Il presidente ha voluto subito precisare che la sentenza del Tar che ha accolto i ricorsi di alcune società immobiliari del nord Sardegna, «non apre alcun varco»: la procedura dell’Intesa è stata «considerata illegittima semplicemente perché inutile e solo nei casi specifici delle lottizzazioni fatte salve nella fascia costiera per i Comuni che hanno il Puc approvato e per i Comuni senza il Puc fuori dalla fascia costiera». Mentre per il resto («la gran parte delle circostanze previste dalle norme tecniche di attuazione del Ppr») è stata, ha detto, «confermata la sua validità».

Secondo Soru il Ppr «esce da questa prima fase di contestazioni e ricorsi, fra cui quello della Confindustria e di alcuni Comuni, con un riconoscimento di piena legittimità del suo impianto, della sua struttura, della coerenza con la disciplina nazionale e quindi con il riconoscimento della sua piena validità». E ha aggiunto: «Potranno esserci singoli aspetti anche marginali che possono essere meglio precisati, cosa che potrà essere fatta in sede di discussione del Piano per la parte che riguarda gli ambiti interni, e l’attività dei giudici ci è utile anche per giungere a questo ulteriore livello di definizione».

La illegittimità rilevata dal Tar, ha dichiarato Soru, «ha come conseguenza non che possano essere fatte salve delle lottizzazioni che non hanno i requisiti fissati dal Piano paesaggistico, ma che è sufficiente che sia il Comune a verificare autonomamente la sussistenza di questi requisiti. E’ comunque la Regione, anche in questi casi, che deve dare il nullaosta paesaggistico». Quindi «è eliminata anche solo l’ipotesi che attraverso l’Intesa si potessero approvare lottizzazioni prive dei requisiti richiesti per essere fatte salve».

La lettura data da Soru non è stata certo condivisa da Mauro Pili che ha invece parlato di «un fallimento dietro l’altro». La bocciatura di quella «norma discrezionale» è «sacrosanta», ma «restano restano in piedi in tutta la loro gravità» altre norme che «cancellano i Comuni, mettono a rischio l’ambiente e in ginocchio la Sardegna». Per questo motivo «è importante che siano i sardi a decidere se approvare o bocciare il Ppr con il referendum». Lunedì si saprà se quello abrogativo del Ppr sarà ammesso o no.

Durissimo anche il giudice del senatore olbiese Fedele Sanciu (Forza Italia: «Non sono bastate le molteplici voci di disapprovazione, le sentenze della Corte dei Conti, il pronunciamento della Corte d’Appello sulla Statutaria e la recente decisione del Tar a frenare l’inarrestabile smania del presidente Soru di voler controllare tutto e tutti». Quelli del Tar sono «sonori schiaffoni».

Secondo Silvestro Ladu, capogruppo di Fortza Paris in consiglio regionale, la sentenza del Tar «elimina un vero e proprio obbrobrio legislativo che dava alla giunta un potere discrezionale di stampo feudale: con le stesse regole tutto poteva essere permesso o vietato».

Il tecnico Alberto Boi, responsabile del Centro servizi urbanistici e consulente di diverse Procure, ha spiegato che «gli effetti della sentenza sono immediati, per cui i Comuni devono rilasciare le concessioni edilizie». Inoltre, a suo avviso «le motivazioni della sentenza non sono solo procedurali ma sostanziale, per cui a essere messo in discussione è l’intero istituto dell’Intesa perché toglie la competenza esclusiva al Comune in materia urbanistica». Pertanto, ha concluso Boi, «la Regione farebbe bene a non impugnare la sentenza del Tar, né a chiedere la sospensiva». Perché se la sospensiva non venisse accolta si creerebbe una paralisi di almeno due-tre anni in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato. E allora? «La Regione - ha concluso - deve dotarsi subito di una norma che abbia i requisiti di legge, in caso contrario si entrerebbe in una fase di caos e tutto il Ppr, con i successivi ricorsi in punti decisivi, potrebbe essere fatto decadere dai giudici». A quel punto «i danni sarebbero irrimediabili.

OLBIA. Intesa lontana, intese a rischio. Comune e Regione proprio non si trovano, quando di mezzo c’è l’urbanistica. Venerdì scorso a Cagliari c’è stato l’ennesimo muro contro muro (a parole) che per molti imprenditori (nei fatti) rallenta, se non blocca, la possibilità di realizzare quelli veri, di muri, siano per hotel o per capannoni. Ultimo motivo di scontro, le “intese”. Quei progetti che, in questa fase di applicazione del piano paesaggistico, potrebbero avere il via libera in deroga. Olbia ne ha presentato centocinque, un record. Ma l’intesa (politica e tecnica) non è stata trovata e i tempi si fanno strettissimi.

Venerdì c’è stato il primo incontro. Da una parte il Comune, rappresentato da Settimo Nizzi e dall’assessore all’Urbanistica Marzio Altana. Dall’altra la Regione, con il direttore generale dell’Urbanistica Paola Cannas. Oggetto: valutazione sulle “intese”. Il Comune - così impone il piano paesaggistico - ha presentato a Cagliari tutti quei progetti che, per la loro tipologia, devono essere vagliati dalla Regione.

Sono interventi che ricadono nelle zone di espansione (zone C), in quelle produttive (zone D), in quelle ex turistiche (zone F). C’è di tutto: riqualificazione di interi quartieri (stazione ferroviaria, ex Cerasarda) e di interi borghi (Portisco e una parte di Porto Rotondo), edificazione di alberghi (in città e sul mare) e di capannoni indudtriali, demolizione e rifacimento di ville.

Sono tutte pratiche che potrebbero partire in questa fase, in deroga ai vincoli del piano paesaggistico. La Regione li ha messi uno dietro l’altro prima di dare la risposta definitiva, che deve arrivare entro il 7 settembre. «Noi abbiamo rispettato le indicazioni del piano - si limita a dire Nizzi -: tutti quei progetti che rientravano nella procedura per l’intesa, li abbiamo mandati in Regione». Diversa la valutazione di Cagliari: «Il Comune di Olbia ha presentato progetti che non era necessario inviare da noi, costringendoci a un lavoro molto difficile» spiegano dagli uffici urbanistica, che ne ha già bocciato alcuni.

La questione è delicata. Secondo il Comune, la Regione ha reso impossibile ogni tipo di costruzione. Seconda la Regione, il Comune ha applicato un po’ troppo alla lettera le indicazioni del piano paesaggistico, “dimenticandosi” di sbloccare quei progetti che potevano ottenere le concessioni.

Opposti estremismi? Scontro più politico che tecnico? Diverse interpretazioni giuridiche?

Venerdì, questo è sicuro, c’è stata battaglia. La Regione ha spiegato che le intese prevedevano una volumetria eccessiva. «Olbia potrebbe costruire 150 mila metri cubi nelle ex zone turistiche - hanno chiarito ieri da Cagliari - invece la volumetria ipotizzata nelle intese ammonta, complessivamente, a 600 mila metri cubi. Impossibile realizzarla per una serie di ragioni».

La prima è questa: «C’è un 25 per cento di case sfitte, in centro, una delle percentuali più alte in Italia - hanno informato i tecnici regionali -: prima di pensare a nuove costruzioni, bisogna sfruttare quelle esistenti». E poi: «La volumetria richiesta corrisponde a una crescita demografica che non è possibile». E infine: «Se il Comune vuole tutte quelle volumetrie, deve prima adeguare il suo piano urbanistico a quello paesaggistico». Nizzi ha replicato, nell’ordine, che «non possiamo obbligare nessuno ad affittare le proprie case». Che la «crescita di Olbia, negli ultimi cinque anni, è stata di mille abitanti all’anno e che quindi quelle volumetrie sono necessarie». Che «le intese devono essere approvate tutte e subito, senza aspettare l’adeguamento del Puc».

Nessuna intesa e imprenditori che cominciano a essere molto preoccupati per la sorte dei loro investimenti. Domani un altro decisivo round: a Cagliari il sindaco Gianni Giovannelli e con lui Nizzi e Altana incontreranno l’assessore regionale all’Urbanistica Gianvalerio Sanna.

Una scommessa da 5 milioni puntati sulla cittadella del lusso, là dove c'era la collina dei lentischi, alle spalle dei primi insediamenti cementizi di Porto Cervo. Una scommessa ancorata su note e costose firme della moda tutte pronte ad accaparrarsi qualche metro quadro sotto i portici di quel complesso edile nato da un lustro e ben prima della legge salvacoste, tra sbancamenti di rocce, terra e verde e completato in questi giorni con gli ultimi spagnoleggianti ritocchi estetici a questa fortezza di svariati milioni di metri cubi e aperta sulla via. Dietro la scommessa il business che vien dal Continente, una manager ben determinata e ben addentro alle cose della Costa, Daniela Fargion, che vede lontano - 13 anni per far quadrare i conti di tutti - che sogna un ponte aereo tra Isola e Penisola, una navetta vips per futuri scambi tra i due porti più esclusivi della Gallura, Rotondo-Cervo e viceversa, che crede allo sviluppo molto d'��lite di questa piazzetta dedicata ad un non esplicitato principe e prevede arrivi a frotte di famosi e facoltosi di ogni età, passato e passaporto.

L’idea è insomma, e sinché su questa vocazione allo sfarzo non si abbatterà qualche stangata in stile Soru, di un polo della ricchezza e del capriccio per i molli trastulli estivi di chi ha da scialare e ostentare e che nel disegno dei finanziatori si tradurrà in incasso spendendosi come richiamo il via vai dei bei nomi abitudinari frequentatori della Costa e dei suoi approdi. Con in più l'ottimistica ambizione di allungare tra feste, firme e sfilate la stagione del turismo in gran pompa ma sin qui limitata a un mesetto o poco più. E con tanti saluti a chi rimpiange la collinetta di pietre e ginepri scomparsa sotto il maglio di un palazzinaro dell'Alto Adige che ha fermato a 33 le abitazioni a vendere (quei 33 trentini che trotterellavano...) e affidato a Jean Claude Le Suisse, architetto, la confezione “naturalistico- commerciale” del nuovo borgo. Per chi ci investe e lavora, ovviamente, il complesso fortilizio con botteghe e parcheggi è il segno della vitalità e delle occasioni offerte dalle meraviglie della riviera gallurese.

Posti per i sardi, al negozio o al banco bar, gente fashion e passaggi di denari, incremento a cascata su tutto il residuo vacanziero e sino al piccolo cabotaggio anche se qui, al Principe fondatore portuale, si terrà alto, altissimo il livello, cioè il prezzo, dell'accesso a piazzetta e mercatino.

Il paragone e l’esempio sono Portofino, Saint Tropez, Sant Thomas forse, isole Vergini, tutti paradisi del superfluo e qualche volta anche del fisco. Cui Porto Cervo nulla ha da invidiare, evidentemente. Mancavano le firme dell'alta moda, un posto che le avesse tutte lì col loro meglio anche della prossima stagione, e ora vi si è posto rimedio. Il resto, infrastrutture e trasporti che non dipendono dal privato, seguirà: ne sono convinti gli scommettitori di quei milioni di euro e l'imprenditore immobiliare trentino perché là dove c'è il business la politica segue a ruota. Stasera si inaugura il tutto con musica e luci e personaggi, i soliti. E subito dopo si apre bottega.

Può darsi che il Sindaco di Olbia, allorquando ha ipotizzato (o auspicato? o invocato?) “un colpo di pistola o di fucile alla testa” del Presidente della giunta regionale della Sardegna, Renato Soru (mai nessuno mi costringerà a chiamarlo “governatore”), fosse stato fatto uscire di senno da un qualche dio, come suppone chi ne ha postillato la notizia in eddyburg.it (“Ppr, Nizzi passa alle minacce: un colpo di pistola contro Soru” – Società e politica – Dai giornali del giorno).

Forse qualche dio (magari il medesimo) aveva obnubilato gli intelletti (già però sovraccarichi di istigazioni all’odio, e all’azione omicida) di quegli squadristi che, quasi giusto ottant’anni or sono, assalirono la casa cagliaritana di un altro eminente uomo politico sardo, del quale porto il nome (anche se d’abitudine ometto di riportarlo nel firmarmi: ma mi propongo di rimediare). Mi riferisco, ovviamente, a Emilio Lussu: che, impugnata la sua pistola, respinse l’attacco dopo avere ucciso il primo squadrista affacciatosi in casa sua. Per la qual cosa fu assolto in istruttoria, per legittima difesa, da giudici non ancora asserviti al regime fascista, ma condannato in via amministrativa a cinque anni di confino a Lipari. Mio padre, allora poco più che ventenne, che negli anni precedenti aveva percorso in lungo e in largo la Sardegna partecipando alla scorta (armata) di Lussu, si rammaricò per tutto il resto della sua vita per non essere stato, il giorno dell’assalto, accanto al suo “padre spirituale” (così lo chiamava: d’accordo, era un sentimentale un po’ retorico). E a nulla valeva segnalargli che l’irruento ufficiale della Brigata Sassari era (e aveva dimostrato di essere) capace di cavarsela anche senza l’ausilio di un giovane studente in medicina, che amava allora, e avrebbe poi sempre amato, le partite di caccia, ma inanellando “padelle”, salvo mangiare di gusto pernici, cinghiali e altra selvaggina ammazzata dai compagni di battuta.

Ad ogni buon conto, Emilio Lussu ha legato in modo imperituro il suo nome (tra l’altro) alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Si deve a lui, infatti, se la Costituente sancì che il perseguimento di tale finalità compete alla Repubblica, cioè a tutte le sue articolazioni: Stato, regioni, province (o, oggi, città metropolitane), comuni. Con ciò ponendo le premesse acché il “giudice delle leggi”, vale a dire la Corte costituzionale, bocciasse impietosamente i tentativi, operati a seconda del “clima” prevalente, e talvolta, negli ultimi anni, imperando la babele dei linguaggi, degli intendimenti, degli interessi in conflitto, dei tatticismi autoreferenziali, anche quasi simultaneamente, ora nella legislazione statale, ora in quella regionale, di escludere talvolta lo Stato, talaltra il sistema regionale-locale, talaltra ancora soltanto le regioni, ovvero soltanto gli enti locali subregionali, dal diritto/dovere di concorrere alla predetta finalità, costituzionalmente posta (la qual cosa non implica affatto distribuzione delle medesime competenze a tutti i soggetti istituzionali anzidetti, né equiordinazione dei poteri).

Probabilmente si deve (anche) alla lezione di Emilio Lussu, tanto appassionato difensore dell’”identità culturale” della sua isola quanto “internazionalista” e curioso delle più diverse “culture” del mondo (assieme alla sua compagna Joyce, traduttrice di poeti albanesi, curdi, vietnamiti, angolani, mozambicani, afroamericani, eschimesi, aborigeni australiani), se fin dall’infanzia mi fu proposta la lettura, o almeno la consultazione, dei libri del prozio Dionigi Scano (ingegnere, ma soprattutto Vice-presidente della Società storica sarda): “Storia dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo”, Chiese medioevali di Sardegna”, “Forma Kalaris”. Sulle caratteristiche del paesaggio sardo, all’inizio degli anni ’50, non c’era, in letteratura, molto, o, almeno, mio padre aveva maggiori difficoltà a trovarlo. Provava a supplire portandomi al mare, da Cagliari (dove lui lavorava, e tutti abitavamo), a Cala Mosca (di allora) più che al Poetto, e da Oristano alle paludi di Cabras e alla penisola del Sinis, e da Morgongiori (suo paese natale del quale per brevissimo tempo fu sindaco) su e giù, a cavallo, per le pendici del Monte Arci, e anche (bagassa! che fatica micidiale) per la Giara di Gésturi.

Per il mio diciannovesimo compleanno (eravamo da un sacco di tempo tornati “in continente”, e da qualche anno a Venezia, dove mio padre si era sposato, e io ero nato) mi regalò un libro, di Nicola Valle, intitolato “Scompare un’isola”. Credo soprattutto per potere scrivere, nella dedica, “anche tu, Luisicu, sarai tra quelli che non permetteranno che quest’isola scompaia”.

Si illudeva. Non ho fatto niente, specificamente, per la sua isola. Forse (mi illudo? voglio illudermi?) ho concorso a fare qualcosa per tutelare l’”identità culturale” (e l’”integrità fisica”) del territorio di qualche altro pezzo d’Italia, qua e là, e ho fornito qualche strumento (di dottrina giuridica, di ermeneutica giurisprudenziale) a quanti altri altrettanto volessero fare, in qualche altro posto d’Italia, qua e là.

Ma altri hanno fatto, egregiamente, negli ultimi tempi. Altri hanno redatto un piano paesaggistico regionale che pone le premesse (certo: nulla più che questo) affinché la Sardegna non “scompaia” (nelle sue caratteristiche costitutive e salienti, ovviamente, cioè non divenga la squallida, degradata, volgare, tragica maschera imbellettata di sé stessa: come, a esempio non casuale, sta diventando, o forse è già irreversibilmente avviata a diventare, la città delle mie radici materne, Venezia). Altri hanno voluto quel piano, e ne hanno deciso l’entrata in vigore. Una grandiosa operazione collettiva, sorretta e spronata e pretesa (a quel che ne so) dal Presidente della giunta regionale della Sardegna, Renato Soru.

Al quale, oggi, qualcuno (in consapevole o inconsapevole continuità con un passato che forse non passa proprio) promette che “avrà del piombo”.

Ebbene: così come, un po’ meno di quarant’anni or sono, a seguito di un’infelicissima battuta di un uomo politico francese di tutt’altra statura (non voglio fare dello spirito), più di metà della Francia proclamò “siamo tutti ebrei tedeschi!”, oggi chiunque sia interessato alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, e anzi chiunque sia interessato alla preservazione, nel nostro Paese, della dialettica politica liberal-democratica, è chiamato a proclamarsi partecipe “di quella gabbia di matti che sta amministrando la Sardegna”, e solidale con il suo “temibile tiranno”, il Presidente della giunta Renato Soru. E ad affermare, come l’anno scorso i ragazzi di Locri, “e adesso ammazzateci tutti”.

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