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Il 23 marzo1944 ero a pochi passi da via Rasella, a Roma, quando un gruppo di partigiani assalì un plotone di soldati tedeschi. Due giorni dopo si seppe che i nazisti, con l'assistenza dei fascisti italiani, avevano trucidato, per rappresaglia, alle Fosse ardeatine, 335 detenuti frettolosamente prelevati nel carcere di Regina coeli . Ricordo quegli episodi con due stralci del mio libro

Memorie di un urbanista, Corte del fòntego editore, Venezia2010

Prologo, p. XXXV-XXXVI

Nonna Carmela e zia Giannina, con i miei cugini Carignani, soggiornavano in quel periodo all’Hotel Imperiale, nell’ultimo tratto di Via Veneto verso piazza Barberini. Spesso andavo lì per giocare con Luigi. L’albergo era molto frequentato da ufficiali tedeschi. Un giorno sentimmo un gran botto. Ci affacciammo alla finestra. I tedeschi andavano di corsa verso piazza Barberini, alcuni seguiti da cani lupi; motociclette con sidecar arrivavano e ripartivano. Tutto quel chiasso ci stupì. Più tardi sapemmo che a via Rasella, una traversa di piazza Barberini, i partigiani avevano fatto esplodere una bomba al passaggio d’un plotone di soldati nazisti.

Dopo uno o due giorni la tragedia esplose in molte famiglie: si sparse subito la voce della rappresaglia. Per ogni tedesco ucciso i nazisti avevano ammazzato dieci prigionieri prelevati in fretta e furia, più qualcuno per aggiungere peso alla minaccia. Anche i miei genitori avevano amici a Regina Coeli o nella tremenda prigione di Via Tasso. Mia mamma era andata qualche volta in quest’ultima prigione, camera di tortura delle SS (come si seppe dopo), a cercare notizie di Filippo di Montezemolo, suo amico, ufficiale monarchico antifascista, arrestato e torturato. E’ uno di quelli che furono trucidati, all’indomani dell’attentato.

San Pietro in vincoli, p. 5-8

[...]

I valori che per noi erano divenuti centrali erano quelli della Resistenza. Ne leggevamo nei libri che ne raccontavano la storia come quello di Roberto Battaglia[1] e le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana[2]. In quelle lettere, scritte pochi minuti prima della fucilazione o dell’impiccagione, scoprivamo la realtà di un’Italia nella quale l’antifascismo, oltre a essere un sentimento, era anche un’azione nella quale si rischiava la vita per raggiungere una vittoria che significasse anche l’avvio alla costruzione di una società più giusta. Ci rivelavano un versante dell’eroismo molto diverso da quello cui ci aveva abituato il patriottismo savoiardo e fascista, di cui la nostra infanzia era stata nutrita: un eroismo votato all’affermazione concreta di valori quali l’uguaglianza, la libertà del corpo e della mente.

Le mie letture mi fecero comprendere la portata di un episodio cui avevo assistito da vicino, a Roma, con mio cugino Luigi, all’hotel Imperiale a Via Veneto. Un piccolo commando di partigiani aveva organizzato un attentato colpendo, con una bomba nascosta in un carretto della spazzatura e con un successivo attacco con pistole e bombe a mano, un reparti di soldati tedeschi che percorrevano la centrale via Rasella. 32 soldati erano stati uccisi. Immediatamente il comandante nazista diede ordine di raccogliere un gruppo formato da 10 persone per ogni tedesco ucciso e di liquidarli per rappresaglia. In realtà ne furono presi 335: militari e partigiani, ebrei, antifascisti, ma anche persone che con la resistenza non c’entravano. Tradotti in una cava di pozzolana sulla via Ardeatina furono trucidati con le mitragliatrici, finiti con un diligente colpo di revolver, seppelliti con l’esplosione di mine.

Né quel giorno né il giorno dopo se ne seppe nulla: i giornali pubblicavano solo le notizie permesse dai fascisti, tacquero. Due giorni dopo un crudele comunicato, pubblicato sul “Messaggero”, diede la loro versione:

“Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca di polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata 32 uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti badogliani saranno fucilati. Quell’ordine è già stato eseguito”[3].

Dopo la Liberazione il Comune bandì un concorso nazionale che condusse alla costruzione del più bell’episodio di architettura civile dell’Italia del secolo scorso, e forse uno dei più belli in assoluto. Lo disegnò un gruppo di giovani architetti e scultori[4]. Accanto alla roccia tufacea della cava un grande parallelepipedo si calcestruzzo, come una gigantesca lastra, copre le 365 tombe, staccato da terra da una feritoia continua; accanto, un gigantesco gruppo scultoreo rappresenta tre uomini legati; un cancello molto tormentato segna l’ingresso al complesso, nel quale sono state ripristinate le cave nelle quali gli ostaggi furono raccolti e trucidati.

Molti anni dopo, quando si cominciarono a mettere in dubbio gli ideali della Resistenza e, con essi, i metodi della lotta partigiana si tentò di gettare fango su quell’episodio, definendolo un atto criminale dei comunisti (quasi riecheggiando le parole dell’ukase nazista). Ma la giustizia riabilitò l’operato del gruppo di patrioti riconoscendone la natura di legittimo atto di guerra[5].

[1] R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1953.

[2] Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 - 25 aprile 1945), a cura di P. Malvezzi e G. Pirelli, Torino, Einaudi Editore, 1961.

[3] “Il Messaggero”, 25 settembre 1944

[4] Gli architetti erano Nello Aprile, Aldo Cardelli, Cino Calcaprina, Mario Fiorentino, Giuseppe Perugini; gli scultori Francesco Coccia, Mirko Basaldella

[5] Corte di cassazione, Sezione III civile, Sentenza 6 agosto 2007, n. 17172

Liberate finalmente le pagine dei giornali dai resti di Priebke pubblichiamo un testo che forse molti giovani non conoscono, e molti anziani hanno dimenticato. Non ci sembra che in questi giorni sia stato ripreso, ma forse si. Comunque, è anche un bel testo: ed era uno dei tanti buchi negli archivi di

eddyburg

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.

Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

Nota informativa
Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue "gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che - anzi - gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli... un monumento.

A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952, ottavo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti), dettata per una lapide "ad ignominia", collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l'avvenuta scarcerazione del criminale nazista.

Intervista di Carlo Lania alla presidente di Giustizia e Libertà: « E' difficile festeggiare oggi dopo il teatrino osceno di questi giorni e con la consapevolezza che si prepara un governo con chi è avvezzo a irridere la Resistenza.

il manifesto, 25 aprile 2013

Va giù duro: «Hanno tradito il 25 aprile. Il teatrino osceno a cui abbiamo assistito in questi giorni è il risultato di una serie di sconfitte di cui tutti siamo responsabili, e più di tutti il Pd». Giornalista, scrittrice, ex parlamentare e oggi presidente di Libertà e Giustizia, Sandra Bonsanti si dice «sopraffatta» dall'amarezza per come è avvenuta l'elezione del presidente della Repubblica e per come si sta arrivando alla formazione del nuovo governo.

Perché parla di tradimento?
Perché il 25 aprile ha sempre rappresentato per tutti un momento di grande speranza perché uscire da una dittatura, riavere la libertà è stato un momento grandioso della nostra storia. Oggi però ci sentiamo oppressi da questa situazione ed è molto difficile festeggiare.
Vede messi in pericolo i valori della Resistenza?
Fare un governo, prendere decisioni insieme a persone che hanno a dir poco irriso la Liberazione significa legittimare anche loro.
Quindi un eventuale governo di larghe intese sarebbe un'espressione del tradimento? Messa così... Capisco che non è un discorso politico e non mi sento di fare un ragionamento freddo, ma nemmeno di pensare che l'emergenza è alta per cui dobbiamo ingoiare qualunque cosa. All'emergenza si fa fronte con la determinazione e soprattutto con dei principi. Perché se all'emergenza sociale si vuole porre rimedio senza garantire il diritto di uguaglianza di ogni cittadino, allora non si risolve nessuna emergenza. E questo cos'è se non un altro tradimento? Si ha la sensazione che questo paese, ormai senza futuro, stia perdendo anche la sua anima, la sua storia.
Il discorso diventa politico però se la sua è un'accusa alla sinistra di non fare il proprio mestiere.
Io accuso la sinistra ma accuso tutti noi. Non voglio salvare nessuno. Accuso la sinistra, il Pd, la società civile di non aver fatto abbastanza, perché se abbiamo perso qualche motivo ci sarà. Sicuramente il Pd ha fatto la sua parte, venendo meno nel momento più importante. Ha scoperchiato la pentola e dentro c'erano tutti i problemi irrisolti da anni e anni, di casta e di anche di indifferenza verso la voce di quelle persone, dei giornali, dell'opposizione, verso tutto ciò che era alla sua sinistra e ciò che si muoveva nel paese. Non ci hanno dato ascolto.
Il risultato è che l'antipolitica ha portato in parlamento persone che dicono che il fascismo non è stato tutto male e che invocano la marcia su Roma.
Condivido le cose dette da Barbara Spinelli: non cerchiamo di essere più severi del dovuto con il M5S. Accusarli oggi è facilissimo, perché effettivamente non sono all'altezza della situazione. Dopo di che: abbiamo mai chiesto ai parlamentari del Pdl o anche a quelli del Pd di essere preparati? No, quindi forse c'è un errore anche da parte nostra. I grillini sono una novità, ma c'è tanta roba lì dentro. Se pensa che il 38% dei loro elettori a Torino proviene dal Pd....
Anche perché poi sono le stesse persone che hanno proposto Stefano Rodotà al Quirinale.
Tanto di cappello per tutti i nomi che hanno proposto, magari li avessero fatti gli altri. E come si è visto è stata una grande sconfitta non avere insistito su Rodotà.
Lei dice: c'è stata troppa fretta nel rieleggere Napolitano.
Sì c'è stata molta fretta. Anche se è vero che siamo in una situazione particolare, con la paura dello spread, dei mercati. Siamo un popolo bloccato da queste paure che non si sa quanto siano giustificate.
Napolitano ha fatto male ad accettare?
Non mi permetto di criticare. Sono abbastanza vecchia da rispettare le istituzioni, dopo di che avrei preferito Rodotà. Così si è stabilito un precedente pericoloso in un momento in cui tutti si affrettano, a colpi di banalità e luoghi comuni, a dare addosso alla Costituzione.
A proposito di Costituzione: quanto accaduto non è un anticipo di presidenzialismo? Stiamo andando in quella direzione?
Penso che ci stiamo andando e anche in maniera sciocca. Siccome il teatrino che abbiamo visto è veramente osceno, qualcuno avrà pensato: perché il capo dello Stato non possono eleggerlo direttamente i cittadini. È vero che magari avrebbero eletto Grillo al Quirinale. Penso che dobbiamo ancora ragionare molto prima di mettere in discussione e dare colpi irreversibili all'assetto della Costituzione, che è stata studiata articolo per articolo e mattone per mattone. Adesso invece rischiamo che chiunque vada lì, magari Quagliarello e Violante, ci rifà tutta la Costituzione. E noi stiamo tranquilli? Spero che qualcuno si fermi a ragionare e spero che se ci sarà necessità di opporsi si troverà ancora una parte d'Italia disposta a farlo.
Che farà domani (oggi, ndr), parteciperà a qualche manifestazione?
Non lo so, ci sono tante possibilità. Uno può anche andare a rileggersi una lapide. La più bella a cui penso in questo momento è all'angolo di una bella strada che finisce sul Lungarno a Firenze, una lapide messa dai partigiani per ricordare un capitano inglese morto in un'azione di sfondamento verso la città ancora occupata dai tedeschi. Ecco, c'è un tragitto di lapidi che ogni tanto vado a rivedere. È una cosa bella non è triste. È un omaggio che mi sento di fare.
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