L’applicazione della legge 5/1995 alla pianificazione comunale (ci riferiamo in particolare a esperienze maturate a Lastra a Signa, Sesto Fiorentino, Pontassieve, Calenzano) conferma il giudizio che si era dato inizialmente sulla legge: una buona legge, con alcuni difetti.
Questo giudizio merita di essere articolato. L’impianto della legge è soddisfacente. Le novità introdotte vanno tutte in una direzione positiva. Tuttavia esistono alcune lacune che è opportuno riempire.
Più un generale, la fase di sperimentazione sollecita a risolvere alcune ambiguità della legge, su punti per i quali si sono date nell’applicazione risposte diverse in relazione non solo a situazioni oggettivamente diverse, ma anche a interpretazioni diverse (ma ugualmente legittime) della legge.
Tra le diverse interpretazioni è oggi è necessario scegliere. Non tanto per tentar d’imprimere omogeneità a impostazioni culturali e situazioni locali che possono legittimamente essere diverse, quanto per rendere confrontabili i risultati e le scelte, e possibile una politica unitaria del territorio ai livelli regionale e provinciale.
Le esperienze compiute riguardano soprattutto il Piano strutturale (PS). Nel lavoro concreto (con gli amministratori e gli altri attori) è stato in primo luogo necessario un forte e constante impegno per chiarire che il PS non è un PRG. Se la logica della nuova pianificazione è la distinzione tra i diversi strumenti della pianificazione comunale, e un’attenta calibratura di ciascuno di essi, è necessario insistere su questa linea sia nella diffusione della conoscenza sia nell’apportare alcune piccole modifiche legislative che rendano più chiara la diversità tra i differenti strumenti.
La redazione del PS ha consentito di individuare alcuni problemi che hanno una portata più generale. Essi riguardano soprattutto due rapporti:
- quello del PS con la pianificazione sovraordinata,
- e quello del PS con il Regolamento urbanistico (RU) e, più in generale, con gli altri strumenti della pianificazione comunale.
Appartengono al modo in cui si chiarisce il primo rapporto le risposte possibili a una domanda che emerge dal confronto tra le esperienze in corso. Il PS deve essere uno strumento “leggero”, che si limiti a fornire analisi e descrizioni, e su questa base a definire indirizzi e direttive e a delineare strategia (come fa un buon “documento preliminare”, oppure deve essere un atto “robusto” come parrebbe richiedere l’impegno a definire “invarianti strutturali”?
Il dilemma va risolto a partire dal risultato che si vuole raggiungere, e la sua soluzione non mette in gioco solo il PS. Se il risultato che si vuole è quello di definire una ragionevole sicurezza per quanto riguarda le localizzazioni d’interesse sovracomunale e le tutele dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio, allora la risposta può essere duplice:
- si può raggiungere questo risultato con un PS “robusto”, in cui lo statuto dei luoghi si traduca in una vera e propria normativa, resa immediatamente efficace dovunque ciò è necessario, che riguardi non solo la grandi localizzazioni, ma l’essenza delle regole del territorio;
- oppure si può raggiungere il medesimo risultato facendo discendere le scelte da una pianificazione sovraordinata ben più “robusta” di quella prevista dalla legge 5/1995.
Hanno una certa analogia i problemi che nascono dal dettato della legge circa il dimensionamento delle Unità territoriali organiche elementari (UTOE).
Da un punto di vista logico, il dimensionamento non è materia di scelta coerente con la natura del PS. Quest’ultimo dovrebbe definire soprattutto le “invarianti” ed essere rivolto al lungo periodo (sia pure con la possibilità di aggiornamenti). Il dimensionamento invece ha senso se è riferito al breve-medio periodo (l’arco di tempo ragionevole sarebbe il decennio, o meglio ancora il quinquennio se si tiene conto dell’influenza delle congiunture).
Sarebbe perciò ragionevole riferirsi, per le richieste dimensionali della legge, più al concetto di carico urbanistico che a quello di fabbisogno. In determinate situazioni ciò è ragionevole e sufficiente: dove ad esempio, come a Sesto Fiorentino, la forma compatta dell’abitato delimitata dalla collina e dalla piana delle quali si è confermata la tutela, e la definizione di precise condizioni per l’attivazione delle trasformazioni più pesanti, garantiscono da una rapida estensione delle urbanizzazioni ed edificazioni. In situazioni diversamente connotate la definizione, in sede di PS, di tutte le aree teoricamente urbanizzabili come riferimento al richiesto dimensionamento, senza introdurre altre limitazioni, potrebbe avere invece effetti devastanti.
Una soluzione possibile sarebbe quella si far discendere le soglie dimensionali dalla pianificazione sovraordinata. Ma ci si domanda se una simile soluzione ha senso un una realtà (come quella Toscana) dove tra la Regione e i Comuni non sembrano esserci autorità territoriali di riconosciuta autorevolezza, tale non sembrando oggi (piaccia o non piaccia) la Provincia.
Nel ragionare su questi argomenti, e tenendo conto della particolare realtà culturale, storica e istituzionale della Regione Toscana, è sembrato possibile configurare un’ipotesi basata più sul criterio della “copianificazione” che su quello della gerarchia delle competenze. L’ipotesi che si avanza è che il dimensionamento, come le altre scelte di carattere sovracomunale, venga definito in intese sovracomunali promosse e “governate” dalla Regione e dalla Provincia (o dalle province, dove gli ambiti interessino comuni di più province limitrofe), con il concorso delle autorità statali competenti (come ad esempio le Soprintendenze dell’amministrazione dei beni culturali).
Nell’ambito di tali intese, si dovrebbe partire da precise proposte provenienti dal livello sovraordinato, formulate in connessione con le linee di programmazione socio-economica (dalle politiche per la casa a quelle per il commercio, e così via) e riguardanti l’analisi del settore, o dei settori, coinvolti, le ipotesi di dimensionamento per ambiti intercomunali, le politiche attivabili e le risorse disponibili. Su questa base si potrebbero definire i dimensionamenti per ciascuno dei comuni coinvolti, tenendo conto delle specifiche strategie e delle possibili offerte di aree dei diversi comuni.
In generale la distinzione tra argomenti attribuibili alla competenza esclusiva dei comuni e argomenti la cui competenza appartiene a un livello diverso è abbastanza chiara nel testo della legge, e le attribuzioni di competenze e responsabilità ai diversi atti di pianificazione è condivisibile. Con una unica eccezione. Sembra infatti un evidente errore, o comunque una illogicità, aver attribuito alla competenza esclusiva del Regolamento urbanistico l’individuazione e la disciplina dei centri storici.
Si ritiene infatti che “la disciplina per il recupero del patrimonio urbanistico ed edilizio esistente” debba essere definita – nei suoi criteri di fondo, nei metodi di lettura da adottare, nella definizione delle invarianti – nelle medesime sedi e con gli stessi strumenti previsti dalla legge per l’individuazione e la tutela delle altre risorse territoriali, e in particolare quelle paesaggistiche e ambientali. E’ quindi alla pianificazione strutturale (e alle sovraordinati determinazioni della pianificazione regionale e provinciale) che dovranno far capo le regole relative alla tutela del patrimonio storico, per la quale non va del resto trascurato il ruolo degli interessi statali (Soprintendenze).
Le questioni sopra indicate appaiono quelle più rilevanti. Altre questioni sono peraltro emerse, che richiedono anch’esse chiarimenti e scelte conseguenti
1. Il quadro conoscitivo è esplicitamente previsto, a livello comunale, tra i contenuti del solo piano strutturale. Viceversa, è opportuno che ogni piano sia dotato di un solido apparato conoscitivo. In particolare, è opportuno che il regolamento urbanistico, dei programmi integrati d’intervento e dei piani attuativi contribuiscano all’aggiornamento del quadro conoscitivo inizialmente formato per il piano strutturale.
2. La valutazione degli effetti ambientali corre il rischio di essere un poco utile documento integrativo. Occorre che essa diventi una fase del procedimento. Per essere realmente efficace la valutazione dovrebbe essere affidata ad un soggetto diverso dal proponente.
3. Che cosa devono essere le UTOE? Occorre precisare se esse siano semplici ambiti di calcolo, oppure (come sembra più opportuno) elementi dell’organizzazione del territorio (qualcosa di apparentabile ai quartieri o alle unità di vicinato).
4. Sarebbe opportuno garantire il raccordo con la pianificazione di settore. Se si sceglie l’ipotesi del PS “robusto”, appare possibile che il recepimento delle disposizioni che discendono dalla pianificazione di settore sovraordinata avvenga nel piano strutturale (soggetto al controllo provinciale e regionale).
5.È opportuno dare efficacia immediata alle scelte di lungo periodo. Alcuni dei contenuti del piano strutturale, quali il confine tra urbano ed extraurbano oppure la determinazione dei grandi ambiti di trasformazione, dovrebbero essere rese immediatamente cogenti, anche nei confronti dei terzi.
6. L’articolazione di un unico piano in più strumenti può provocare problemi pratici. In fase di gestione, è lecito prevedere possibili contraddizioni fra i diversi tipi di piano. Occorrerebbe pensare alla formalizzazione di una sorta di “piano unico”, o di “carta del territorio”, che riassuma tutte le indicazioni e prescrizioni derivanti dall’insieme dei documenti.
7. Si suggerisce la possibilità di mantenere la procedura dell’attuale articolo 25 (sostanzialmente coincidente con una decisione di consiglio sottoposta a osservazioni) per le sole decisioni di mero dettaglio.
8. È necessario elaborare un glossario, nella forma di “istruzioni tecniche” definendo il significato dei termini nuovi o nodali: definizioni dalle quali i comuni si possano scostare solamente attraverso specifiche motivazioni. Ciò contribuirebbe non poco a fare chiarezza, senza comprimere la facoltà di introdurre innovazioni sperimentali.
9. Infine, si ritiene che debba a questo punto essere introdotto qualche stimolo alla partecipazione. Si tratta certamente di un tema complesso, in cui l’individuazione ope legis di istituti, soggetti e risorse non è di per sé sufficiente, ma può essere comunque un utile incoraggiamento allo sviluppo di tensioni positive.
Edoardo Salzano, sulla base di materiali di M. Baioni e di ragionamenti svolti con M. Baioni, V. De Lucia, G. Frisch, C. Mele e L. Scano
Venezia, 18 ottobre 2002
Letto il testo "Governo del Territorio" all'esame del Consiglio Regionale, inviamo alcune osservazioni parziali che ci auguriamo siano condivise e speriamo ancora utilizzabili.
Un punto rilevante riguarda la possibilità prevista all'art. 32 di monetizzare aree per servizi. Se non si vuole peggiorare le condizioni di vita nelle città, va assicurata in tutte le operazioni di trasformazione urbana la necessaria dotazione di servizi. Nei PUA vanno cedute gratuitamente le aree attreazzate. Le dimensioni minime obbligatorie devono essere stabilite per legge e va precisato cio che è monetizzabile (percentuale per scuole e opere di culto). Oltre i 18mq/ab previsti dal decreto ministeriale è la Regione che stabilisce gli standard aggiuntivi, quindi nei PUA i servizi civici possono essere ceduti gratuitamente non solo in metri quadri di superfici scoperte ma anche in metri cubi edificati o edificabili. La legge regionale dovrebbe anche sollecitare l'inserimento nei programmi e nelle convenzioni delle previsioni di gestione delle aree e dei servizi pubblici. Secondo comma art 32- la fantomatica impossibilità di reperire le aree per servizi nei piani attuattivi indica un "intasamento edificatorio" che con il nuovo costruito o ristrutturato aggiunge criticità ad una zona evidentemente già congestionata. Sono i luoghi urbani in cui devono essere recuperate le aree per servizi che all'intorno mancano e non sono reperibili. Terzo comma art 34 nei nuovi insediamentie e ristrutturazioni urbanistiche il mancato reperimento di aree e la monetizzazione persino dell'urbanizzazione primaria è più che mai ingiustificato. E' un grave arretramento rispetto alla situazione vigente e persino rispetto ai vecchi piani di lotizzazione.
Per quanto riguarda gli articoli 35, 36,37 si trattadi una grande pasticcio. Non si può usare il mercato" per raggiungere fini di equità, il mercato può raggiungere l’efficienza (forse) ma mai l'equità. La perequazione nella formanondescritta può costituire un vero pasticcio. i criteri e le modalità sono rinviati ai Pat, quindi criteri e modalità che possono essere del tutto differenti tra i diversi Pat con buona pace per l'equità. I crediti edilizi sono un altro pasticcio e mettono in discuissione la possibilità di painificare, infatti per le aree di trasformazione, o almeno per alcune, non possono essere definite le volumetrie perchè non si sa qunati e quali crediti edilizi si spendereanno. Inoltre si tratta di una mezza truffa vereso i privati che non si indennizzazo ma si tacitano con dei crediti edilizi, ma allora se non si vogliono truffare bisogn che ci pia piena libhertà per spenderli e allora ... morte della pianificazione ma soprattutto della regolare crescita della città. I servizi, gli spazi pubblici, ecc. non sono altro che un modo di valorizzazione del territorio chi trasforma deve cedere le aree e basta perchè da queste cessioni deriva la stessa valorizzazione delle aree.
Qui sotto il testo della legge in formato .pdf:
L’iniziativa del Parlamento per definire una legge quadro nazionale in sostituzione della Legge Urbanistica del 1942 coincide con Il nostro lavoro per rafforzare la riforma del governo del territorio
Nel dibattito politico italiano il territorio, inteso come luogo dove si esplicano e prendono forma le ragioni dell’ecologia e quelle del vivere, le forme del paesaggio e le molteplici espressioni delle strutture urbane, dove trovano posto e consistenza beni culturali e ambientali e la rete delle infrastrutture, quel territorio è assente.
Non c’è mai stato e, probabilmente, non ci sarà se non cominciamo a porci il problema politico di cos’è il territorio oggi e come dobbiamo attrezzarci per governarlo, cioè per fare, per l’appunto, governo del territorio. Come ci chiede la nuova formulazione dell’art. 117 della Carta Costituzionale.
Problema politico reso ancora più evidente dai circa 8.000 assessori comunali con delega sul territorio, dai 123 assessori provinciali e regionali attualmente in carica, e da qualche centinaia di posizioni politiche di rilievo negli enti territoriali sovracomunali di secondo livello.
oblema politico reso ancora evidente dalle migliaia di persone che, quotidianamente, hanno a che fare con gli uffici tecnici comunali per problemi di natura territoriale.
Cos’è il governo del territorio
In Toscana, fin dal 1995, con legge regionale e a Costituzione non modificata, lo abbiamo inteso come l’azione dei pubblici poteri che indirizza le attività pubbliche e private a favore dello sviluppo sostenibile, e che al contempo garantisce la trasparenza dei processi decisionali e la partecipazione dei cittadini alle scelte; considerando il territorio come risorsa e la collaborazione interistituzionale un obbligo per assicurare coerenza a tutti gli atti di governo del territorio.
Nella rivisitazione della legge regionale oggi cerchiamo di rafforzare il concetto affermando che il governo del territorio è inteso come l’insieme delle attività relative all’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti la tutela, la valorizzazione e le trasformazioni delle risorse che lo costituiscono. L’azione del governo del territorio assicura, inoltre, il coordinamento delle politiche e la sinergia delle azioni di tutti i settori capaci di incidere sulle risorse stesse al duplice fine dello sviluppo sostenibile e della massima efficacia delle azioni dei settori. [1]
Ragionare sul territorio, senza ridurlo alla sola componente ambientale, oppure ai soli temi dei beni culturali, del paesaggio, o peggio ancora identificarlo solo con l’urbanistica intesa come disciplina dell’edificare, cioè con i soli regolamenti di uso del suolo, contribuirà a migliorare notevolmente il significato del termine e soprattutto a posizionare possibili politiche di governo a tutti i livelli istituzionali.
Una delle cause non secondarie della dissipazione del patrimonio culturale e della devastazione dell’ambiente e dell’alterazione del paesaggio sta proprio nella cattiva gestione del territorio, della frammentazione del suo governo, cioè della separatezza nella quale è ridotto il suo controllo.
Il territorio è oggi l’elemento chiave per governare i tempi contraddittori dell’economia contemporanea, ma anche quello più sensibile, perché le istituzioni e le amministrazioni del territorio sono oggi, rispetto al passato, più sole in confronto alla forza del capitale finanziario.
Le nuove dimensioni globali del mercato innescano competizioni sempre più estese e sganciate da regolazioni nazionali o regionali forti, per forza di cosa fanno emergere i territori locali e le forme locali di sviluppo e di organizzazione che, per funzionare o meglio per competere nella grigia omologazione del mercato globale, hanno bisogno di valorizzare le proprie specificità socio-economiche, ma soprattutto territoriali.
Qui entra in gioco prepotentemente il governo del territorio e le strategie politiche che su di esso e con esso è possibile attivare. È chiaro che non si può affidare il governo di questa strategia alla sola strumentazione urbanistica, ma appunto al governo del territorio.
Governare non per dirigere quanto per rendere coesa e coerente l’intenzionalità dei programmi politici con le politiche del territorio e con quelle della programmazione e questa con i programmi di sviluppo e i soggetti locali. Un’azione collaborativa e interistituzionale che coinvolge, stabilmente, le Regioni, le Province e i Comuni e che si apra alla democrazia partecipativa e sostantiva dal basso dei cittadini, rimettendo al centro del governo ordinario delle città e dei territori il metodo della pianificazione e della programmazione, come attività connotanti il ruolo stesso delle pubbliche amministrazioni.
Con una sottolineatura, che forse a molti non è ancora del tutto nitida: da un lato non possiamo più confondere il ruolo della programmazione e quello della pianificazione (intesa come strumento del governo del territorio oltre la dimensione dell’urbanistica), dall’altro non possiamo più considerarela pianificazione come il braccio esecutivo della programmazione come purtroppo è accaduto nell’esperienza italiana di questo secondo dopoguerra né viceversa, come avrebbe voluto qualche teorico di un’urbanistica onnipotente.
L’idea politica, in breve, è quella di mantenere vivo un legame fecondo tra politiche del territorio e politiche di sviluppo, in un tessuto che è tradizionalmente alla base del riformismo e di molta parte del regionalismo italiano più recente.
Pensiamo ad un modello di governo del territorio che coniughi sostenibilità ed efficienza, nel quale al piano è affidata la prospettiva temporale lunga, sia verso il passato che verso il futuro, con la quale definire le certezze, gli elementi saldi e le connessioni profonde che condizionano inevitabilmente qualsiasi comportamento umano sul territorio, ed al programma il compiti di sviluppare in una prospettiva temporale breve e flessibile le potenzialità che il territorio stesso esprime.
In questo senso intendiamo accentuare la distinzione che la legge regionale n. 5 ha fatto tra i contenuti strutturali e gli aspetti gestionali ed operativi degli strumenti per il governo del territorio.
Riteniamo che la legislazione nazionale debba solo affermare il principio sostantivo della materia governo del territorio e nulla più:
1) ricostruire il quadro completo dei principi del governo del territorio in raccordo esplicito con le altre materie trasversali che in base al dettato costituzionale attengono alla competenza statale esclusiva, quali l’ordinamento civile e penale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, o concorrente, quali la tutela della salute, i porti e aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, la finanza pubblica ed il sistema tributario, la valorizzazione dei beni culturali.
Occorre tuttavia tener presente che il concetto di competenza esclusiva dovrebbe avere un confine dinamico: una cosa è la competenza legislativa, che la costituzione affida inequivocabilmente allo Stato , una cosa è la competenza amministrativa che la legge ordinaria affida secondo il principio vincolante della sussidiarietà, dell’adeguatezza e della differenziazione [2].
La contrapposizione tra territorio e ambiente dovrebbe, quindi, essere stemperata, anche se attualmente, nella legislazione, esistono diverse contrapposizioni duali. Il termine Territorio, normalmente, ha un significato prevalentemente spaziale e come tale è il punto di riferimento delle logiche e delle pratiche della pianificazione fisica.
Il termine “ambiente” nei due significati: biologico (che fa riferimento alle condizioni di vita fisiche) e storico-culturale (che si riferisce alle attività umane) è il punto di riferimento dell’ecologia . Va abbandonato il sistema della pluralità di discipline, regole e piani che caratterizza l’attuale sistema normativo. Il territorio con le sue funzioni e potenzialità è infatti un valore unitario e come tale va pensato, disciplinato e gestito.
2) stabilire i riferimenti etici del governo del territorio, in rapporto con gli orientamenti europei e con l’evoluzione delle consapevolezze culturali che dal concetto di urbanistica affermato dalla legge 1150 attraverso il DPR 616, fino alle leggi regionali non solo recenti hanno portato a quello di governo del territorio nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.
Tra i vari temi degni di interesse sul piano normativo, ma anche culturale e amministrativo, vanno indicati alla riflessione del legislatore nazionale:
a) il processo di riforma relativo alla strumentazione urbanistica e territoriale che è andato di pari passo con l’attenzione per i temi ambientali all’interno della pianificazione degli usi del suolo
b) il progressivo spostamento di interesse dall’espansione edilizia ai temi del recupero e della riqualificazione urbana;
c) il territorio: da riferimento fisico indipendente a luogo di autopromozione
d) La partecipazione dal basso come elemento portante dell’aiuto alle decisioni pubbliche.
3) In conseguenza, stabilire in modo chiaro il ruolo ordinatore della pubblica amministrazione a tutela degli interessi della collettività ed a promozione e sostegno dello sviluppo, appunto, durevole, chiarendo quindi le ambiguità del rapporto pubblico–privato. Il che significa estendere la pianificazione e della programmazione a metodo ordinario nella gestione della pubblica amministrazione e nell’organizzazione dell’iniziativa privata.
Le modalità di funzionamento della pubblica amministrazione e il suo intervento e le forme organizzative e l’iniziativa privata non sono due fini in sé contrapposti; ma due modi a disposizione della società di conseguire, caso per caso, circostanza per circostanza, gli obiettivi e i risultati che si sono espressi e programmati.
Questo significa lavorare in cooperazione, ma con distinzione di ruoli racchiudibili nello slogan “ piani pubblici, progetti pubblico-privati o privati”, ma significa anche reinventare totalmente il governo e le sue modalità introducendo nei comportamenti, nella organizzazione e nelle scelte tecniche la pianificazione e la valutazione strategica, dando attuazione innovativa alla Direttiva 2001/42/CEE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.
Il principio nodale che deve essere esplicitamente richiamato è che la pianificazione e la programmazione costituiscono il metodo ordinario per l’organizzazione della pubblica e per le modalità del governo del territorio.
Si deve richiamare a questo proposito l’esperienza Toscana, dove, sin dagli anni ’70, lo strumento principale del governo del territorio, il Piano, da strumento regolatore, di vincolo passivo – che talora era considerato ostacolo alle esigenze dell’economia – ha sempre teso a diventare progetto, rappresentazione di un possibile sviluppo sostenibile, capace di sollecitare in modo ordinato le azioni dei soggetti pubblici e privati, capace di proporre.
Prendendo atto della necessità di superare la inaccettabile rigidezza che caratterizza la precedente generazione dei Piani regolatori, tanto da renderli estranei alle dinamiche economiche e incapaci di concorrere alla definizione ed all’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile, si è scelta la via di recuperare il metodo della programmazione – pianificazione territoriale come attività permanente della pubblica amministrazione, con decisi correttivi per riallineare i tempi ed i contenuti della pianificazione alle reali esigenza delle politiche di sviluppo.
La conclusione logica è evidente: l’affermazione di principi fondamentali verso la collettività quali il diritto di tutti a partecipare alle scelte ed il non delegabile dovere della pubblica amministrazione di governare le trasformazioni territoriali nel rispetto delle risorse territoriali.
A questo riformismo si contrappone un liberismo anarcoide che sostanzia purtroppo alcune convergenze a livello parlamentare che tendono a sostituire i piani con labili documenti, che mostrano di ignorare il principio della sostenibilità e che tendono invece a tutelare la posizione dei poteri forti privati in una contrattazione in assenza di qualsiasi regola salda e condivisa a tutela dei diritti collettivi e del patrimonio comune.
Siamo consapevoli che la riforma che si sta realizzando in base alla legge regionale n. 5 del 1995 ha sortito esiti positivi:
- tempi procedurali enormemente ridotti rispetto al vecchi regime [3];
- c’è stata un’adesione massiccia dei Comuni e delle Province al processo di rinnovamento del sistema della pianificazione [4];
- si è accresciuta la consapevolezza dei valori del territorio e si sta acquisendo il senso della necessità del principio della sostenibilità;
- si è avviato un dialogo tra i settori e tra le istituzioni;
- nonostante l’affermazione del principio della sussidiarietà (in anticipo rispetto alla riforma del titolo V della Costituzione) i conflitti tra livelli istituzionali sono stati quasi sempre risolti senza ricorsi in sede giurisdizionale, assumendo dimensioni patologiche in pochissimi casi che hanno richiesto tale rimedio.
Siamo anche consapevoli dei limiti dell’esperienza di questi anni:
- sono ancora scarse le sinergie nell’attività di definizione delle scelte di governo del territorio, dato il permanere di molti procedimenti paralleli (le pianificazioni separate) i cui tempi ed effetti non risultano coordinati;
- I costi della pianificazione per il governo del territorio sono gravosi per i soggetti più deboli;
- non è ancora soddisfacente il controllo che la legge opera sulle scelte di singoli soggetti pianificatori che producono effetti su altri soggetti istituzionali;
- spesso è risultato incompleto il controllo sugli strumenti della gestione da parte degli strumenti strategici e tendenza a riproporre i vecchi modelli della pianificazione urbanistica rendendo incoerente il rapporto tra quadri conoscitivi di buon valore e scelte pianificatorie talvolta non giustificate.
La nuova legge, come già anticipato dal PRS 2003-2005, intende riaffermare ed evolvere i principi affermati dalla 5/95 ed in particolare:
1. renderli del tutto coerenti con i nuovi principi costituzionali, comunque già in buona misura presenti nella legge attuale;
2. rafforzare le sinergie tra i soggetti e tra i settori, attraverso un procedimento unificato [5] che aumenti l’efficienza dei percorsi decisionali ed il riallineamento delle norme di riferimento in un Codice regionale per il governo del territorio;
3. di conseguenza, assumere i contenuti delle nuove disposizioni comunitarie [6] in ordine alla valutazione integrata degli atti strategici [7].
4. migliorare l’efficacia nel perseguimento degli obiettivi della riforma.
Quali in questa prospettiva gli obiettivi fondamentali del lavoro sulla nuova legge:
1. Pensare e realizzare gli strumenti per attuare davvero la sussidiarietà.
2. Disciplinare un procedimento unificato per la formazione degli atti di pianificazione.
3. Costruire riferimenti unificati per coniugare sviluppo e tutela, per garantire lo " sviluppo sostenibile"
4. Apportare i correttivi - chiarimenti che risultano opportuni in base all’esperienza di questi anni di gestione della 5/95
5. Fornire stabilità al quadro normativo nel lungo periodo.
Uno dei motivi principali che spingono a rivedere le norme per il governo del territori è rappresentato dalla riforma del titolo V della Costituzione.
I punti consolidati, alcuni già presenti nella legge attuale e gli altri costruiti assieme al sistema delle autonomie, sono di grande rilievo politico istituzionale: andiamo verso un’attuazione piena della riforma costituzionale
Si afferma la pari dignità dei soggetti istituzionali all'interno del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Principio di pari dignità
· Nella proposta ogni soggetto assume le sue decisioni senza sottostare ai condizionamenti di altri soggetti
· Ogni soggetto ha a disposizione gli strumenti per tutelare le proprie competenze dalle ingerenze altrui
Principio di sussidiarietà
· Il cittadino ha rapporti con l’ente che assicura l’adeguatezza e che gli è più vicino: per la gran parte della disciplina delle trasformazioni del territorio questo ente è il Comune, storicamente titolare della competenza in urbanistica.
L’attribuzione delle funzioni amministrative è riservata alla fonte legislativa competente ai sensi dell'articolo 117 (stato, per le sole funzioni di esclusiva competenza statale, o regione), secondo i criteri:
· di adeguatezza
· di differenziazione
Criterio di adeguatezza:
· Solo la legge può definire qual è il livello adeguato per svolgere una determinata funzione: l’articolato propone i ruoli di Regione (strategie territoriali e regolamentazione generale), Provincia (definizione dei limiti di utilizzabilità delle risorse) e Comune (disciplina dell’uso del territorio, urbanistica)
Criterio di differenziazione
·Nessun soggetto fa le stesse cose degli altri per consentire la non sovrapposizione e, dunque, la non gerarchia
PENSARE E REALIZZARE GLI STRUMENTI PER ATTUARE DAVVERO LA SUSSIDIARIETÀ E LA DIFFERENZIAZIONE
Cosa serve dunque ai Comuni in questa prospettiva che impone di partire dal soggetto più vicino al cittadino? Servono riferimenti certi entro cui gestire una completa autonomia. Gli stessi Comuni chiedono un controllo degli effetti sovracomunali delle scelte (C’è una grande domanda di AREA VASTA).
Questi riferimenti sono:
· gli indirizzi di programmazione del territorio.
· condizioni di ammissibilità certe ed esplicite per sviluppare ognuno il proprio autonomo potere di governo del territorio.
Ciò deve corrispondere alle competenze che si vanno a proporre per ogni livello di pianificazione:
La Regione
La Regione deve essere il soggetto che definisce le strategie generali: il Piano di indirizzo territoriale in raccordo con il piano regionale di sviluppo (sono quindi da precisare le relazioni tra i due strumenti secondo la logica affermata con l’ultimo PRS)
Si stabilisce comunque un forte rapporto fra programmazione generale dello sviluppo e pianificazione territoriale. Il Piano regionale di sviluppo ed il Piano di indirizzo territoriale operano in forte sinergia.
Il PIT è nello stesso tempo lo strumento territoriale del PRS e momento di proposta per le politiche di sviluppo.
La Regione deve definire le regole invarianti in riferimento ai livelli prestazionali irrinunciabili (la Regione esercita il potere regolamentare generale)
La Provincia
Alla Provincia è affidato il compito di definire le condizioni di sostenibilità ("tutti livelli di piano inquadrano prioritariamente invarianti strutturali da sottoporre a tutela, al fine di garantire lo sviluppo sostenibile". Articolo 5 della legge vigente – dove per invarianti s’intende i livelli prestazionali non negoziabili delle risorse del territorio per garantirne la riproducibilità nella qualità)
Al livello intermedio si definiscono i contenuti programmatici dello sviluppo sostenibile (obiettivi, azioni, progetti di sviluppo locale come cerniera tra top - down e bottom - up): al PTC è affidato il compito di raccordare con propri indirizzi le strategie regionali al governo del territorio comunale.
- Secondo il criterio della differenziazione il piano territoriale di coordinamento della Provincia (come afferma già la legge 5) deve differenziarsi dal piano strutturale comunale.
- Secondo il principio della sussidiarietà il piano territoriale di coordinamento della Provincia deve dire quelle cose che sono necessarie alla pianificazione comunale e che il comune non può governare in modo adeguato in quanto eccedono i suoi confini.
Il Comune
Al Comune è attribuita la competenza in ordine alla disciplina dell’utilizzazione e della trasformazione delle risorse del territorio nell’ambito comunale
in tal senso il Comune:
- riconosce le identità dei luoghi e tutela le risorse essenziali del territorio;
- definisce gli indirizzi per il governo del territorio comunale espressi dalla comunità locale, nel rispetto di quelli espressi dalla Regione e dalla Provincia, dei quali promuove ove occorra i necessari adeguamenti;
- stabilisce gli obiettivi delle proprie politiche di settore e ne definisce l’attuazione programmata.
I RAPPORTI TRA LE COMPETENZE DELLE ISTITUZIONI ED I RIMEDI PER LE EVENTUALI PATOLOGIE IN ORDINE ALLA LORO TUTELA
C’è chi ritiene che anche nell’attuale disciplina contenuta nella legge n. 5 l’autonomia comunale si eserciti in modo eccessivo e dunque vorrebbe tornare indietro e trasformare il processo di consolidamento della riforma in controriforma, chi ha nostalgia dell’autorità della Regione che approva e stralcia gli atti di pianificazione altrui, magari attraverso la CRTA
La legittimità costituzionale, la storia e la realtà presente dei rapporti tra le istituzioni toscane, l’affermazione stessa del ruolo del governo regionale vietano questo ritorno al passato: la logica delle gerarchie comprenderebbe anche una supremazia statale nei confronti di tutti gli altri soggetti.
Questa proposta si colloca invece sulla linea delle intese e della leale collaborazione definita dalla sentenza 303 del 2003 della Corte costituzionale.
Per evitare le patologie nei rapporti interistituzionali si propone un sistema di warning precoce (durante il procedimento unificato chi intende tutelare le proprie competenze viene interessato ordinariamente all’avvio del procedimento e prima dell’adozione dell’atto, e comunque ha facoltà di presentare osservazioni).
Se infine con ciò non si perviene ad una composizione delle divergenze, non essendo data ad alcun soggetto la potestà di intervenire autoritativamente, si deve ricorrere ad un soggetto terzo (che oggi è rappresentato dal giudice amministrativo) che sia rappresentativo di tutti i livelli istituzionali.
Nella proposta di legge si è prevista una commissione paritetica Regione, ANCI, URPT, alla quale, nel caso che lo warning preventivo non abbia funzionato, si potrà rivolgere il soggetto che riterrà violate dall’amministrazione procedente le proprie competenze, le prescrizioni del proprio strumento di pianificazione o la stessa legge.
Il ricorso produrrà l’automatica sospensione dell’atto fino alle determinazioni del comitato. Sono peraltro previste misure di salvaguardia e poteri sostitutivi a tutela delle competenze di ciascun soggetto istituzionale e infine si potrà comunque ipotizzare un eventuale ricorso al giudice amministrativo.
UN MODELLO EFFICIENTE E SOSTENIBILE: DISCIPLINARE UN PROCEDIMENTO UNIFICATO PER LA FORMAZIONE DEGLI ATTI DI PIANIFICAZIONE.
I principi del governo del territorio sono affermati anche per le azioni di settore attraverso la definizione di obiettivi valutati in relazione ad ambiti di sviluppo e ricercando sinergie intersettoriali. Punto fondamentale è la definizione di un procedimento unificato e di valutazioni integrate.
Spariscono dalla legge i procedimenti ora previsti per la formazione e l’approvazione dei diversi strumenti, sostituiti dalla definizione di uno schema di procedimento unificato a valere verso tutti gli atti incidenti sul territorio
Si prevede di ricondurre ai principi propri del “governo del territorio” una serie di procedimenti di settore, di origine regionale o statale, il cui esito operativo induce effetti e trasformazioni significativi sul territorio e sulle sue risorse e che, ad oggi, rispondono a criteri in varia misura separati, estranei, e talvolta conflittuali, rispetto ai procedimenti ed agli obiettivi della sostenibilità affermati dalla L.R.5/95.
Fra questi assumono evidente importanza i temi dei programmi complessi, degli sportelli unici, le tante procedure messe in campo dal settore ambientale, nazionale ed europeo, che generano ulteriori complessità e separatezze, rendendo sempre più complessi i rapporti fra le norme generali di governo del territorio e quelle di settore.
La nuova legge prevede un unico schema di procedimento per la formazione e l'approvazione di tutti gli atti aventi effetto sul territorio.
Si definiscono i capisaldi del procedimento (avvio, progressiva definizione del progetto, verifiche, formalizzazione, evidenza pubblica ecc.) definendo per ciascun caposaldo le funzioni da svolgere e le prestazioni qualitative da garantire . Il titolare del procedimento è l’unico responsabile della perfetta legittimità di esso, non essendoci alcun soggetto sovraordinato che approva. Tale assunto, già presente nella legge vigente, viene rafforzato eliminando tutte le residue ambiguità.
Particolare rilievo è dato all'avvio del procedimento che è il momento in cui il titolare del procedimento provoca l’incontro e la sinergia di tutti i soggetti dai quali si attende un sostanziale apporto in termini di qualità, di definizione del quadro delle conoscenze, delle regole e degli obiettivi, e di quelli che per competenza espressa sono tenuti ad esprimersi sul prodotto finale. Lo scopo evidente è quello di trasferire il massimo di conoscenze alla successiva fase di progettazione, dotandola così di quanto necessario per conseguire i dovuti livelli di qualità e rendendola consapevole da subito delle regole secondo le quali sarà valutata.
I soggetti interessati all'avvio non saranno, quindi, solo i livelli istituzionali, ma tutti quei soggetti, pubblici e privati che, per loro funzione e ruolo specifico, il titolare del procedimento ritenga essere effettivi portatori di conoscenza, ovvero gestori di regole formalmente espresse ed incidenti sul procedimento, oppure titolari di un potere decisionale concorrente loro assegnato dalla legge.
Nel corso dell'iter progettuale il titolare del procedimento può porre in essere momenti formali di verifica, da stabilire all'atto di avvio, per garantire progressivamente la correttezza dello sviluppo progettuale e per portare tempestivamente gli eventuali correttivi, evitando al massimo che essi intervengano nella fase terminale del procedimento.
Elaborato il progetto, la legittimità di questo e la compatibilità e coerenza con gli strumenti di riferimento viene certificata formalmente dalle strutture tecniche responsabili del procedimento (autocertificazione).
Tutto avviene prima che l’organo politico istituzionale del titolare del procedimento assuma le proprie determinazioni in modo autonomo e consapevole
Sono esclusi dall’obbligo di seguire tutti i passaggi del procedimento unificato (salvo che per l’autocertificazione) gli atti meramente gestionali che sviluppino i propri effetti nell’ambito esclusivo delle competenze di un unico soggetto (ad es. il Regolamento Urbanistico ed i piani attuativi del Comune per i quali sussiste solo l’obbligo della trasmissione alla Regione – per il R.U. - e alla Provincia)
Alla luce della riforma del titolo V della Costituzione e dei recenti orientamenti della relativa giurisprudenza, non sembra da escludere che la norma regionale possa incidere sui comportamenti degli organi statali nell’esercizio delle loro competenze amministrative in materia di governo del territorio. Sembra possibile che la legge individui nei suoi procedimenti forme e momenti di concertazione operativa per attivare processi di collaborazione secondo il principio della leale collaborazione.
La legge afferma inoltre la necessità di procedere a valutazioni integrate degli effetti ambientali/territoriali, economici, sanitari e sociali indotti dalle trasformazioni del territorio risorsa. La nuova legge prevede che tali valutazioni siano effettuate nella fase di predisposizione dei piani o programmi, comunque prima della loro adozione, così da permettere alle amministrazioni competenti di operare scelte coerenti (valutate) con i principi dello sviluppo sostenibile
La nuova legge stabilisce infatti che “ogni soggetto che intende adottare uno strumento della pianificazione territoriale o un atto del governo del territorio effettua la valutazione integrata degli effetti territoriali, ambientali, sociali, economici e sulla salute umana, anche in più momenti , a partire dalla prima fase utile delle elaborazioni, prima che vengano assunte determinazioni impegnative, anche per consentire la scelta motivata tra possibili alternative e per individuare aspetti che richiedano ulteriori integrazioni o approfondimenti.” Le valutazioni compiute in una fase di elaborazione non sono ripetute con lo stesso livello di approfondimento e con le stesse modalità nelle fasi successive.
La nuova legge conferma che le disposizioni di carattere territoriale degli atti delle politiche di settore sono preventivamente sottoposte ad una verifica tecnica di compatibilità relativamente all’uso delle risorse essenziali del territorio. Dell’esito delle verifiche è dato espressamente atto nel provvedimento di approvazione dell’atto di programmazione settoriale. Gli strumenti della pianificazione territoriale determinano quali atti del governo del territorio debbano essere sottoposti alle valutazioni
COSTRUIRE RIFERIMENTI UNIFICATI PER CONIUGARE SVILUPPO E TUTELA, PER GARANTIRE LO " SVILUPPO SOSTENIBILE": UN TESTO UNICO DELLE NORME PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO
L’ obiettivo è stato in primo luogo quello di sincronizzare e portare a coerenza le diverse norme, in primo luogo quelle regionali, in tutte quelle materie che direttamente e tradizionalmente attengono all'urbanistica ed al territorio e che, ancora oggi, risultano "esterne" alla 5/95, anche se in parte ne hanno assunto i principi.
L'elenco è consistente e riguarda aspetti che vanno dal recupero del patrimonio edilizio esistente agli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia nelle zone a prevalente funzione agricola, dalla normativa edilizia alla disciplina paesaggistica, dall'edilizia residenziale o produttiva di iniziativa pubblica al commercio, dalla mobilità alla gestione dei tempi, ai porti e approdi turistici.
Si tratta di argomenti di rilievo che, si ricorda, attengono, fra l’altro, ad alcune Leggi Regionali importanti quali:
· LR 59/80 "Norme per gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente";
· LR 21/84 "Norme per la formazione e l'adeguamento degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del rischio sismico";
· LR 39/94 "Norme in materia di variazioni essenziali e di destinazione d'uso degli immobili"
· LR 64/95 e successive modificazioni "Disciplina degli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia nelle zone a prevalente funzione agricola";
· LR 68/97 "Norme sui porti e gli approdi turistici della Toscana";
· LR 52/99 “Norme sulle concessioni e le denunzie di attività edilizie”;
· LR 38/98 Governo del tempo e dello spazio urbano e pianificazione degli orari della città
· L.R. 78/98 Testo Unico in materia di cave, torbiere, miniere, recupero di aree escavate e riutilizzo di residui recuperabili.
· la normativa urbanistica relativa alle aree per l'edilizia residenziale o produttiva di iniziativa pubblica e privata (lottizzazioni, piani particolareggiati, aree "167", aree P.I.P. ecc.);
· la normativa urbanistica relativa ai parchi regionali.
· la normativa urbanistica relativa al commercio
In questa operazione si è affrontato il tema importante della disciplina paesaggistica. Per quanto ci riguarda intendiamo riaffermare la convinzione che da sempre ci ha caratterizzato, secondo la quale la presenza di un piano dotato di specifiche norme sulla qualità paesaggistica e architettonica degli interventi da trasporre nella disciplina urbanistica locale, possa e debba costituire condizione per una modalità di gestione della tutela del paesaggio diversa da quella attuale. Il riconoscimento della sussistenza nel piano di tali norme si porrebbe infatti come condizione di garanzia della correttezza e della qualità degli interventi più efficace ed efficiente dell’attuale procedimento autorizzativo. La compatibilità di questi ultimi con il piano, quindi, potrebbe essere adeguatamente verificata in ambito comunale, risultando non più necessario il puro vincolo passivo e la modalità autorizzativa della tutela.
APPORTARE I CORRETTIVI CHE RISULTANO OPPORTUNI IN BASE ALL’ESPERIENZA DI QUESTI ANNI DI GESTIONE DELLA 5/95
Occorre precisare la definizione dei contenuti degli strumenti del governo del territorio (PIT regionale, PTC provinciali, PS comunali) secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, prevedendo per ognuno una parte “statutaria” strutturale ed una parte strategica più direttamente operativa;
E’ necessario rafforzare il controllo del Piano strutturale sulla gestione delle trasformazioni (regolamento urbanistico e piano complesso)
La nuova legge dovrà infine garantire la continuità, e la permanente adeguatezza e la certificabilità dei dati conoscitivi su cui si fonda e si valuta l’azione di governo del territorio, evitando vuoti di conoscenza, ridondanze, duplicazioni e costi economici fortemente crescenti a carico delle istituzioni e dei privati.
[1]Come emerge chiaramente, in Toscana, ci siamo orientati nel considerare la nozione “governo del territorio”, seguendo l’evoluzione delle elaborazioni disciplinari, amministrative e politiche di cinquant’anni intorno alla materia “urbanistica”,, dal concetto ridotto della legge del 1942, alla pan-urbanistica degli anni settanta, così estesa con il DPR 616 del 1977 da diventare un’altra cosa, così come, fin dalla nascita delle Regioni ordinarie, il regionalismo riformista auspicava e indicava.
In Toscana abbiamo dunque applicato il principio della continuità e al contempo il principio della continenza (nel più sta il meno), per cui nella nozione “governo del territorio” da una parte la consideriamo come la sintesi politica ed amministrativa più alta sul territorio, cioè quel complesso di istituti ed azioni che presiedono alla definizione, regolamentazione, controllo e gestione della principale risorsa in mano pubblica: il territorio, le sue regole, i suoi principi; dall’altra come inclusiva di tutti quegli aspetti tecnico-organizzativi che permettono di trasferire la sintesi nell’agire: l’urbanistica e l’edilizia in primis. Cioè il cuore normativo del governo del territorio è rappresentato anche dalla regolamentazione urbanistica e da quella edilizia, ma anche dalle regolamentazioni del paesaggio, dell’ambiente, ecc.
[2] Ad esempio, l’art. 9 della costituzione recita infatti che “la Repubblica…. tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico”; sottolineo la Repubblica, che come recita il successivo art. 114 “è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo stato”. E questo, operativamente, vuole pur dire qualcosa).
[3] Alla data del maggio 2003, dei 79 Piani strutturali giunti all’approvazione il più rapido è stato il caso di Bientina (PI) con soli 352 giorni effettivi; il più lento è stato quello di Terricciola (PI) con 2.419 giorni. La media tra tutti i piani strutturali approvati è di 1.245 giorni.
Alla stessa data, dei 39 Piani regolatori completi (Ps + Ru) il più veloce è stato quello di Bagno a Ripoli (FI), che ha chiuso l’intera procedura in 688 giorni effettivi; il più lungo quello di Scarlino (GR), che ha impiegato 2.450 giorni. La media è risultata pari a 1.506 giorni.
I dati si riferiscono al periodo che va dall’avvio delle elaborazioni all’entrata in vigore delle disposizioni. Entro cinque anni, l’arco del mandato amministrativo, nel 77% dei casi il piano giunge alla sua completa formalizzazione.
Prima della riforma i tempi di ratifica istituzionale non considera il periodo di elaborazione del progetto che nella maggior parte dei casi va attorno ai due anni: il 93% degli strumenti urbanistici necessita di altri tre anni per la sola fase di ratifica istituzionale, dall’adozione del piano all’esame regionale alla definitiva approvazione; addirittura il 37% supera la soglia dei cinque anni. Ciò significa che, sovente, una diversa Giunta comunale si trova a dover sostenere davanti agli organi tecnici regionali uno strumento urbanistico generale che non ha contribuito a definire.Infinitamente più breve è oggi il periodo di formazione delle varianti, che nei casi più semplici non supera i sei mesi dall’inizio delle elaborazioni all’efficacia.
[5] Vedi scheda n. 1 allegata
[6] Vedi scheda n. 2 allegata
[7] Vedi scheda n. 3 allegata
Il testo è scaricabile qui:
NORME DELLA LR 12/2005 IN MATERIA DI SOTTOTETTI, A SEGUITO DELLE MODIFICHE E INTEGRAZIONI APPORTATE DALLA LR 20/2005
(Le modifiche sono indicate in corsivo)
TITOLO IV - ATTIVITA’ EDILIZIE SPECIFICHE
CAPO I - RECUPERO AI FINI ABITATIVI DEI SOTTOTETTI ESISTENTI
Art. 63 - Finalità e presupposti
1. La Regione promuove il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti con l'obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici.
1 bis. Si definiscono sottotetti i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
2. Negli edifici, destinati a residenza per almeno il venticinque per cento della superficie lorda di pavimento (S.l.p.) complessiva, esistenti alla data del 31 dicembre 2005, o assentiti sulla base di permessi di costruire rilasciati entro il 31 dicembre 2005, ovvero di denunce di inizio attività presentate entro il 1° dicembre 2005, è consentito il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto.
3. Ai sensi di quanto disposto dagli articoli 36, comma 2 e 44, comma 2, il recupero volumetrico di cui al comma 2 può essere consentito solo nel caso in cui gli edifici interessati siano serviti da tutte le urbanizzazioni primarie, ovvero in presenza di impegno, da parte dei soggetti interessati, alla realizzazione delle suddette urbanizzazioni, contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento ed entro la fine dei relativi lavori.
4. Il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto è consentito anche negli edifici, destinati a residenza per almeno il venticinque per cento della S.l.p. complessiva, realizzati sulla base di permessi di costruire rilasciati successivamente al 31 dicembre 2005, ovvero di denunce di inizio attività presentate successivamente al 1° dicembre 2005, decorsi cinque anni dalla data di conseguimento dell’agibilità, anche per silenzio-assenso.
5. Il recupero abitativo dei sottotetti è consentito, previo titolo abilitativo, attraverso interventi edilizi, purché siano rispettate tutte le prescrizioni igienico-sanitarie riguardanti le condizioni di abitabilità previste dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6.
6. Il recupero abitativo dei sottotetti è consentito purchè sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di metri 2,40, ulteriormente ridotta a metri 2,10 per i comuni posti a quote superiori a seicento metri di altitudine sul livello del mare, calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa.
Art. 64 - Disciplina degli interventi
1. Gli interventi edilizi finalizzati al recupero volumetrico dei sottotetti possono comportare l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l’osservanza dei requisiti di aeroilluminazione e per garantire il benessere degli abitanti, nonché, ove lo strumento urbanistico generale comunale vigente risulti approvato dopo l'entrata in vigore della l.r. 51/1975, modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed unicamente al fine di assicurare i parametri di cui all'articolo 63, comma 6.
2. Il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti è classificato come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 27, comma 1, lettera d). Esso non richiede preliminare adozione ed approvazione di piano attuativo ed è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati, ad eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali secondo quanto disposto dal comma 3.
3. Gli interventi di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, se volti alla realizzazione di nuove unità immobiliari, sono subordinati all’obbligo di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali nella misura prevista dagli strumenti dipianificazione comunale e con un minimo di un metro quadrato ogni dieci metri cubi della volumetria resa abitativa ed un massimo di venticinque metri quadrati per ciascuna nuova unità immobiliare. Il rapporto di pertinenza, garantito da un atto da trascriversi nei registri immobiliari, è impegnativo per sé per i propri successori o aventi causa a qualsiasi titolo. Qualora sia dimostrata l’impossibilità, per mancata disponibilità di spazi idonei, ad assolvere tale obbligo, gli interventi sono consentiti previo versamento al comune di una somma pari al costo base di costruzione per metro quadrato di spazio per parcheggi da reperire. Tale somma deve essere destinata alla realizzazione di parcheggi da parte del comune.
4. Non sono assoggettati al versamento di cui al precedente comma 3 gli interventi realizzati in immobili destinati all’edilizia residenziale pubblica di proprietà comunale, di consorzi di comuni o di enti pubblici preposti alla realizzazione di tale tipologia di alloggi.
5. Le norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche, di cui all'articolo 14 della l.r. 6/1989, si applicano limitatamente ai requisiti di visitabilità ed adattabilità dell'alloggio.
6. Il progetto di recupero ai fini abitativi dei sottotetti deve prevedere idonee opere di isolamento termico anche ai fini del contenimento dei consumi energetici dell'intero fabbricato. Le opere devono essere conformi alle prescrizioni tecniche in materia contenute nei regolamenti vigenti nonché alle norme nazionali e regionali in materia di impianti tecnologici e di contenimento dei consumi energetici.
7. La realizzazione degli interventi di recupero di cui al presente capo comporta la corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria nonché del contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun comune per le opere di nuova costruzione. I comuni possono deliberare l’applicazione di una maggiorazione, nella misura massima del venti per cento del contributo di costruzione dovuto, da destinare obbligatoriamente alla realizzazione di interventi di riqualificazione urbana, di arredo urbano e di valorizzazione del patrimonio comunale di edilizia residenziale.
8. I progetti di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, che incidono sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici e da realizzarsi in ambiti non sottoposti a vincolo paesaggistico, sono soggetti all’esame dell’impatto paesistico previsto dal Piano Territoriale Paesistico Regionale. Il giudizio di impatto paesistico è reso dalla commissione per il paesaggio di cui all’articolo 81, anche con applicazione del comma 5 del medesimo articolo, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla richiesta formulata dal responsabile del procedimento urbanistico, decorso il quale il giudizio si intende reso in senso favorevole.
9. La denuncia di inizio attività deve contenere l’esame dell’impatto paesistico e la determinazione della classe di sensibilità del sito, nonché il grado di incidenza paesistica del progetto, ovvero la relazione paesistica o il giudizio di impatto paesistico di cui al precedente comma 8.
10. I volumi di sottotetto già recuperati ai fini abitativi in applicazione della legge regionale 15 luglio 1996, n. 15 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti), ovvero della disciplina di cui al presente capo, non possono essere oggetto di mutamento di destinazione d’uso nei dieci anni successivi al conseguimento dell’agibilità, anche per silenzio-assenso.
Art. 65 - Ambiti di esclusione
1. Le disposizioni del presente capo non si applicano negli ambiti territoriali per i quali i comuni, con motivata deliberazione del consiglio comunale, ne abbiano disposta l’esclusione, in applicazione dell’articolo 1, comma 7, della legge regionale 15 luglio 1996, n. 15 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti).
1 bis. Fermo restando quanto disposto dal comma 1, i comuni, con motivata deliberazione, possono ulteriormente disporre l’esclusione di parti del territorio comunale, nonché di determinate tipologie di edifici o di intervento, dall’applicazione delle disposizioni del presente capo.
1 ter. Con il medesimo provvedimento di cui al comma 1bis, i comuni possono, altresì, individuare ambiti territoriali nei quali gli interventi di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, se volti alla realizzazione di nuove unità immobiliari, sono, in ogni caso, subordinati all’obbligo di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali nella misura prevista dall’articolo 64, comma 3.
1 quater. Le determinazioni assunte nelle deliberazioni comunali di cui ai commi 1, 1bis e 1ter hanno efficacia non inferiore a cinque anni e comunque fino all’approvazione dei PGT ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3. Il piano delle regole individua le parti del territorio comunale nonché le tipologie di edifici o di intervento escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo.
1 quinquies. In sede di redazione del PGT, i volumi di sottotetto recuperati ai fini abitativi in applicazione della l.r. n. 15/1996, ovvero delle disposizioni del presente capo, sono computati ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera b).
È stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione la legge n. 30 sul “Piano Territoriale Regionale”, approvata alla fine di novembre dopo non pochi contrasti.
WWF e Italia Nostra ribadiscono il giudizio critico già espresso sul disegno di legge originario.
Si tratta infatti di una normativa priva di contenuti reali nella parte iniziale, laddove si prefigura un Piano Territoriale Regionale (PTR) che dovrebbe avere anche la valenza di piano paesaggistico. Aspetti fondamentali del PTR vengono però rinviati ad una futura legge di riforma urbanistica.
Di una legge-manifesto, che rinvia a future leggi le norme operative per la salvaguardia dell’ambiente e del territorio, non si sentiva proprio il bisogno. Occorreva piuttosto accelerare le procedure per dotare il Friuli Venezia Giulia di strumenti di pianificazione d’area vasta (stesi almeno alle aree più sensibili del territorio regionale), per evitare la totale arbitrarietà – dovuta all’assenza di un quadro di coordinamento – con cui i Comuni oggi operano le loro scelte di sviluppo territoriale.
L’ultimo strumento di pianificazione d’area vasta è il infatti il Piano Urbanistico Regionale che risale agli anni ’70 e da allora la Regione ha di fatto rinunciato alla pianificazione territoriale e paesaggistica, lasciando la gestione del territorio in mano ai Comuni. Inoltre, la Regione ha impedito alle Province di svolgere le funzioni di coordinamento in campo pianificatorio che la legislazione statale assegna loro.
Tra le varie dichiarazioni di principio - continuano WWF e Italia Nostra - che costellano questa legge-manifesto, spicca la “equiordinazione” tra il valore dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali (che è un valore di rilievo costituzionale) e le finalità di crescita economica : il che equivale a dire che l’ambiente si tutela fino a quando ciò non ostacola la crescita economica, invertendo quindi quell’ordine di priorità che, con saggezza e lungimiranza (era il 1947), l’Assemblea Costituente volle scolpire nell’art. 9 della Costituzione.
L’unica parte “operativa” della legge 30/2005 è quella che attribuisce alla Regione il potere di sospendere il rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie, allo scopo dichiarato di favorire la realizzazione di progetti “di interesse regionale”. L’individuazione di questi non viene però affidata al PTR o ad altri strumenti di pianificazione ed è rimessa soltanto alla discrezionalità di organi politici (Giunta regionale, d’intesa con i sindaci).
Viene così stravolto uno dei principi base di una corretta gestione del territorio, che lega l’adozione di misure di “salvaguardia” alle previsioni di un piano.
I progetti di interesse regionale non vengono identificati, ma nel disegno di legge originario era citata espressamente la ferrovia ad alta velocità compresa nel “Corridoio 5”.
Non basta: la legge 30 prevede che la Regione possa istituire STUR (Società di Trasformazione Urbana), d’intesa con i Comuni, per svolgere tutte le operazioni (compresi l’acquisto e l’esproprio dei terreni ed edifici), necessarie per la realizzazione delle opere “di interesse regionale” e finora riservate agli enti pubblici, con tutte le garanzie di trasparenza previste dalla legislazione vigente.
Garanzie che verrebbero meno in una spa.
Alle STUR, previste nella forma delle società per azioni, potranno partecipare anche i privati e non è quindi impossibile che questi possano finire per controllarne la maggioranza delle azioni.
Nessuna garanzia vi è quindi – concludono WWF e Italia Nostra – che il piano paesaggistico (rispetto al quale il Friuli Venezia Giulia è in ritardo di oltre 20 anni) veda finalmente la luce, sia pure sotto le spoglie del PTR. È assai più verosimile, invece, che trovino una “corsia preferenziale” (in assenza di pianificazione) progetti di infrastrutture di ogni genere, dall’alta velocità ferroviaria, alla nuova autostrada tra Carnia e Cadore, ai nuovi elettrodotti, ecc.
Link al testo normativo della LR 30/2005 (DDL n. 154)
Il testo votato dal Consiglio regionale contiene alcune modifiche, rispetto al disegno di legge iniziale, che però non ne mutano la sostanza. Si veda, in proposito, il giudizio formulato dal WWF sul disegno di legge (v. allegato – Memoria sul ddlr 154 per la IV Commissione del Consiglio regionale, dd. 22 settembre 2005).
L’indeterminatezza.
Permane, infatti, l’indeterminatezza di una normativa che in realtà si limita per lo più ad alcune enunciazioni di principio, rinviando le scelte di fondo ad una futura legge per il ”riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica” (art. 1, c. 2).
Sarà questa futura (futuribile ?) legge, infatti, a dover “stabilire i criteri per individuare le soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni“ (art. 3, c. 2) in materia di pianificazione della tutela e dell’impiego delle risorse essenziali di interesse regionale.
Sarà ancora la futura legge a dover stabilire “le procedure attraverso le quali la Regione assicura che la tutela e l’impiego delle risorse essenziali siano garantiti dagli strumenti urbanistici di livello subordinato” (art. 3, c. 3).
Sarà sempre la futura legge a stabilire “i casi nei quali il Comune svolge la funzione della pianificazione territoriale al livello sovraccomunale e le forme di cooperazione istituzionale con cui la esercita, quali le associazioni intercomunali previste dall’ordinamento in materia di autonomie locali”(art. 4, c. 3).
Il tutto comunque nell’ambito di un’impostazione secondo cui “la funzione di pianificazione territoriale è del Comune” (art. 4, c. 1), laddove - come già accennato sopra - “la funzione della pianificazione della tutela e dell’impiego delle risorse essenziali di interesse regionale è della Regione” (art. 3, c. 1).
Il che d’altronde corrisponde perfettamente a quanto l’assessore regionale alla pianificazione territoriale (nonché “energia, mobilità e infrastrutture di trasporto”…) 1, Sonego (DS), ha detto e scritto ripetutamente, vale a dire che “il territorio è dei Comuni” (anche quella sovraccomunale !) e che la Regione avrebbe rinunciato a mettere il naso nelle scelte urbanistiche locali.
Resta da vedere, naturalmente, come questo indirizzo politico sarà contemperato (e se sia contemperabile) con quanto stabilito dal già citato art. 3, c. 3, laddove si menzionano“le procedure attraverso le quali la Regione assicura che la tutela e l’impiego delle risorse essenziali siano garantiti dagli strumenti urbanistici di livello subordinato”.
L’economicismo.
Rispetto al testo originario del disegno di legge, il testo votato dal Consiglio attenua apparentemente l’economicismo esplicito specialmente nell’elencazione delle “finalità” del PTR.Nella nuova stesura (art. 5) finalità “ambientali” ed economico-sociali sono apparentemente più equilibrate, almeno a livello verbale. Rimangono tuttavia notevoli dubbi circa la lucidità di chi ha voluto inserire tra le finalità strategiche del PTR “le migliori condizioni per la crescita economica e lo sviluppo sostenibile della competitività del sistema regionale” (art. 5, c. 1, lett. b). Pare si tratti della prima volta in assoluto in cui viene menzionato (in un testo di legge !) “lo sviluppo sostenibile della competitività di un sistema (economico, evidentemente) regionale”.
Più in generale, comunque, la commistione – senza la benché minima gerarchia di valori - di obiettivi e finalità del PTR così diversi e contraddittori tra loro, lascia aperta la strada a innumerevoli fraintendimenti e contraddizioni.
Ciò soprattutto perché si è voluto attribuire al PTR “anche la valenza paesaggistica”(art. 1, c. 1 ed anche art. 6, c. 2), senza tener conto del fatto che – com’è stato ripetutamente ribadito dalla dottrina costituzionale – la materia “tutela del paesaggio” è gerarchicamente sovraordinata rispetto alla materia urbanistica ed agli interessi (prevalentemente economici) da questa disciplinati.
Non sorprende, in simile contesto, che nessuna menzione faccia la legge dei contenuti del piano paesaggistico, così come definiti nell’art. 143 del D. Lgs. 42/2001.
Non sorprende neppure il fatto che la legge non preveda alcuna salvaguardia reale per i valori paesaggistici che il PTR dovrebbe tutelare. L’art. 12 prevede infatti (cfr. c. 2) che “nelle more dell’entrata in vigore del PTR e comunque non oltre 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale definisce indirizzi per la salvaguardia delle aree assoggettate a vincolo paesaggistico…previa acquisizione del parere della competente Commissione consiliare… ”.
Ogni commento pare superfluo.
I processi decisionali (apparentemente) partecipati.
Una novità rispetto al testo originario è rappresentata dall’insistente richiamo alle procedure e metodologie di Agenda 21, previste sia a livello di PRGC (art. 4, c. 5), sia a livello di PTR (art. 7, c. 1), sia ancora per quanto concerne l’individuazione dei “progetti di interesse regionale” (art. 10, c. 2). Nulla peraltro è dato sapere sul come queste procedure saranno applicate e con quali garanzie di effettiva incidenza sulle decisioni e le scelte.
Un problema di non facile risoluzione è però rappresentato dalla palese contraddittorietà tra l’art. 7 e l’art. 8 della legge, relativi rispettivamente alla “Formazione del PTR” ed all’ ”Adozione e approvazione del PTR”.
Il primo dichiara infatti (art. 7, c. 1) che “La formazione del PTR avviene in conformità alla direttiva n. 2001/42/CE e alle successive norme di recepimento, nonché con le metodologie di Agenda 21”.
Il secondo prevede invece un percorso del tutto tradizionale : la Giunta regionale predispone il progetto e lo sottopone al parere del Consiglio delle Autonomie locali (art. 8, c. 1), dopo di che elabora il progetto definitivo di PTR (art. 8, c. 2), indi il progetto definitivo è sottoposto al parere della competente commissione del Consiglio regionale che deve esprimersi entro 30 giorni (art. 8, c. 3) ed è quindi adottato con decreto del presidente della Regione.
Il PTR adottato è pubblicato sul BUR e “depositato per la libera consultazione presso la Direzione centrale pianificazione territoriale, energia, mobilità e infrastrutture di trasporto”. Seguono i canonici 60 giorni per la presentazione di osservazioni, che possono essere presentate da “a) gli enti ed organismi pubblici ; b) le associazioni di categoria ed i soggetti portatori di interessi diffusi e collettivi riconosciuti in ambito regionale ; c) i soggetti nei confronti dei quali le previsioni del PTR adottato sono destinate a produrre effetti diretti” (art. 8, c. 4).
Infine, esperite le procedure previste e “tenuto conto delle osservazioni”, il PTR è approvato dal Presidente e pubblicato sul BUR (art. 8, c. 5). E’ arduo immaginare come possa conciliarsi una procedura de genere con quanto stabilito dalla Direttiva 2001/42/CE, che prevede l’obbligo di valutazione “ex ante”, “in itinere” ed “ex post” degli strumenti di pianificazione, mediante procedure che garantiscano la partecipazione a tutti i cittadini interessati (e non soltanto a quelli elencati dall’art. 8, c. 4 della legge in questione).
Lo scopo vero della legge : le infrastrutture.
Il Capo II “Norme in materia di localizzazione di infrastrutture strategiche” è quanto mai esplicito nelle finalità, dichiarate all’art. 9, c. 1 : “Le norme del presente capo hanno lo scopo di preservare la possibilità di realizzare infrastrutture strategiche ovvero di dotare la Regione di strumenti che ne facilitino la realizzazione”.
Il primo strumento è la “sospensione temporanea dell’edificabilità” che la Giunta regionale è autorizzata a deliberare “per un periodo massimo di tre anni” (art. 10, c. 1) “sulle domande di concessione o di autorizzazione edilizia in contrasto con progetti che siano stati dichiarati di interesse regionale”.Nel testo originario del disegno di legge, venivano esplicitamente menzionate due infrastrutture “strategiche”, vale a dire le “opere ferroviarie di attuazione del Corridoio V e quelle ad esso complementari” “opere ferroviarie di attuazione del Corridoio V e quelle ad esso complementari”, nonché le “opere del nuovo collegamento stradale Cervignano-Manzano e quelle ad esso complementari”.La menzione è stata soppressa dal testo della legge, ma è del tutto chiaro che il “Corridoio 5”, insieme a molto altro, rimane l’obiettivo che si vuol raggiungere con la legge in questione.Lo comprovano, se mai ce ne fosse bisogno, da un lato l’insistenza con cui la Giunta regionale ha cercato in ogni modo di accelerare i tempi del voto sul disegno di legge n. 154 (giungendo al punto di “richiamare all’ordine” il presidente della IV Commissione consiliare, “reo” di aver indetto delle audizioni sul testo prima del voto in Commissione), dall’altro il continuo succedersi di iniziative ed esternazioni da parte del Presidente Illy e dell’assessore Sonego, volte a “promuovere” il progetto, occultarne i contenuti reali, forzarne comunque l’approvazione contro ogni equanime valutazione tecnica che ne metta in luce i limiti ed i rischi.Basti dire che nel settembre 2004 la Giunta regionale esprimeva uno scandaloso 2 parere favorevole sull’impatto ambientale del progetto, salvo poi scoprire l’anno dopo (ma soltanto grazie al WWF che aveva scovato i documenti) che sia il Ministro dei beni e attività culturali, sia la Commissione speciale VIA del ministero dell’ambiente avevano espresso pareri negativi sul progetto 3. Pareri che, sia detto per inciso, coincidono pressoché interamente con le obiezioni avanzate dal WWF, da altre associazioni ambientaliste e dai Comuni, relativamente all’impatto verosimilmente devastante dello era sul sottosuolo carsico e sulle enormi incertezze circa la stessa effettiva realizzabilità di un’opera simile in un contesto ambientale in gran parte sconosciuto. Il che tuttavia non ha impedito alla Giunta regionale di attivarsi invocando la Coordinatrice europea Loyola de Palacio, affinché intercedesse con il Governo sloveno, la cui impostazione strategica in materia di infrastrutture e ferrovie è molto lontana dalla frenesia italiana per l’alta velocità (come gli sloveni hanno ribadito anche alla de Palacio).
Si aggiunga la recentissima iniziativa congiunta Illy-Bresso, per la richiesta al Governo di nominare un Commissario governativo per l’intero tracciato del “Corridoio” (dalla Val di Susa a Trieste), incaricato di sbloccare la situazione di fronte alle resistenze dei cittadini, degli enti locali, ecc. Un Commissario governativo per le opere della “Legge Obiettivo” nel nord est esiste, invero, già da tempo – si tratta dell’arch. Bortolo Mainardi, molto apprezzato e incensato dalla Giunta del Friuli Venezia Giulia – ma evidentemente si ritiene che non basti.
Va da sé che, “Corridoio 5” a parte, nella dizione di “progetti dichiarati di interesse regionale” può rientrare di tutto e di più, così come possono rientrare tanto i progetti di opere pubbliche, quanto progetti privati (strade di ogni genere, elettrodotti, impianti produttivi, ecc.). Se è vero, d’altra parte, che la dichiarazione di interesse regionale dei progetti dev’essere assunta “d’intesa con i Comuni interessati”(art. 10, c. 2), è anche vero che nulla si dice in merito a come l’intesa potrà essere esplicitata a livello comunale (delibera del Consiglio comunale, della Giunta, lettera del sindaco ?). Il disegno di legge originario prevedeva a tale proposito una “conferenza dei soggetti interessati” non meglio identificata, ma la menzione è stata soppressa nella legge.
Un precedente allarmante, sempre riferito al “Corridoio 5” giustifica i timori sui questo punto : due giorni prima di esprimere parere favorevole sull’impatto ambientale del progetto della Ronchi sud-Trieste, l’assessore Sonego stipulava un “accordo” – mai formalizzato in alcun modo - con i sindaci dei Comuni dell’area monfalconese (all’insaputa dei Consigli comunali che avevano ripetutamente votato delibere contrarie al progetto), nel quale si “concordava” l’assenso su un’alternativa di tracciato (tutta da studiare peraltro, si trattava soltanto di un tracciolino su una carta topografica…) teoricamente – ma solo teoricamente ! - meno impattante. Sconcerta il fatto che, di fronte a tale evidente forzatura, nessun Consiglio comunale si sia attivato ed abbia protestato in difesa delle proprie prerogative. Sconcerta ancor di più, comunque, che norme di “salvaguardia” rispetto alla realizzazione di infrastrutture e opere “di interesse regionale” non meglio precisate, vengano previste in assenza di un piano e senza alcun legame esplicito neppure con il PTR che la legge teoricamente dovrebbe avviare !
La privatizzazione dell’urbanistica.
Quanto al secondo strumento finalizzato alla realizzazione di “progetti di particolare rilievo”, cioè la STUR – Società di Trasformazione Urbana Regionale (art. 11), non vi sono modifiche di rilievo rispetto al testo del disegno di legge originario. Si aggiunge soltanto che la costituzione della STUR dev’essere preceduta (art. 11, c. 1) da un’intesa con i Comuni (vedasi a tale proposito quanto detto sopra in merito alla dichiarazione di interesse regionale dei progetti). Si aggiunge poi che “ulteriori nuovi soci diversi da Regione e enti locali territoriali possono essere individuati fra società controllate da Regione e enti locali” (art. 11, c. 3). Infine si stabilisce che “la Regione e gli enti locali territoriali indicano la maggioranza dei consiglieri di amministrazione della STUR” (art. 11, c. 5). Resta da vedere come possa essere compatibile una norma come quella sul CdA con la natura privatistica della STUR (una spa). Quel che è certo è che la STUR consentirà, tra l’altro, di operare bypassando “lacci e lacciuoli” come quelli rappresentati ad esempio dalle leggi sulla trasparenza (L. 241/1990, ecc.), che si applicano soltanto agli enti pubblici. Rimane invariata l’anomalia di una STUR che potrà procedere anche ad espropri (art. 11, c. 2).
Conclusione.
E’ difficile comprendere come un simile pasticcio abbia potuto essere approvato da un Consiglio regionale a maggioranza di centro-sinistra (voto negativo da un solo consigliere – indipendente - di centro-sinistra, più due astensioni dei consiglieri di Verdi e PDCI, tutti gli altri – Margherita, DC, PRC, “Cittadini per il presidente”, pensionati - favorevoli). Al di là del giudizio sui contenuti della legge, hanno verosimilmente pesato considerazioni di opportunità politica (opportunismo ?), trattandosi si un atto fortemente voluto dal Presidente della Regione, ancorchè non previsto nel programma della Giunta. Nel frattempo risulta sia già all’opera un gruppo di lavoro (coordinato da un’ex assessore all’urbanistica di quando Illy era sindaco di Trieste 4), che sta predisponendo gli indirizzi del PTR : ne vedremo delle belle.
Si vedano: Un commento di Paola Barban,
Il precedente commento al disegno di legge, di Dario Predonzan
Un romanzo noir uscito recentemente - “Nord Est” di Massimo Carlotto e Marco Videtta - nell’introduzione ben descrive il nostro paesaggio:
Era stato un mercoledì come tanti. Un mercoledì d'inverno del Nordest. Nel corso della giornata le strade si erano riempite di pendolari e Tir. Lunghe file avevano intasato autostrade, statali e provinciali.
A Padova e Vicenza, per l'ennesima volta, l'inquinamento aveva superato i limiti di legge. Il cavalcavia di Mestre, in piena notte, era ancora un serpentone di mezzi pesanti che avanzavano lentamente nei due sensi di marcia. Merci legali e illegali che andavano e venivano dai paesi dell' Est.
Quel giorno avevano chiuso i battenti altre quattro aziende, la più grossa aveva cinquantuno dipendenti. Altri quattro capannoni vuoti con la scritta affittasi, tradotta anche in cinese. Di capannoni aveva parlato nella mattina un docente di urbanistica della Facoltà di architettura di Venezia.
Ai suoi studenti aveva spiegato che, a forza di costruire 2.500 capannoni l'anno, erano stati sottratti al paesaggio agrario ben 3.500 chilometri quadrati e che nella sola provincia di Treviso c'erano 279 aree industriali, una media di quattro per comune. Il docente era preoccupato, aveva affermato che la devastazione del territorio era ampia e profonda. Forse irreparabile.
Ormai nel Nordest i capannoni avevano cancellato: memoria alla terra e identità agli abitanti.
Questo breve testo traccia un’efficace foto istantanea dei nostri territori, con capannoni, centri commerciali, uno sviluppo che in pianura assume il carattere della città e della fabbrica diffusa. Si parla della Regione Veneto ma il Friuli Venezia Giulia, almeno per quanto riguarda la pianura e le cinture delle grandi città, sembra seguire lo stesso modello. Moltiplicazione di centri commerciali, che nascono già senza mercato, a fronte di una società caratterizzata dall’invecchiamento della popolazione, da un trend demografico negativo e da una contrazione dei consumi e che comportano un’incentivazione del traffico privato, il depauperamento delle attività commerciali in centro e dei negozi di vicinato nelle periferie.
Lo stesso impoverimento della città è riscontrabile nel settore culturale: nel centro di Udine sopravvive una sola sala cinematografica (un cineclub), nel centro di Monfalcone una sola sala part-time, che ospita anche teatro e concerti, mentre i Cinema multisala sono ospitati nei centri commerciali, posti ai margini delle città, lungo i grandi assi di ingresso urbano, dove si concentrano le grandi polarità commerciali, produttive e terziarie della periferia.
Il sistema insediativo segue le stesse regole: le rendite eccessive e la scarsa qualità della vita spingono a preferire le abitazioni fuori città, le villette a schiera con posto macchina, spesso carenti nelle urbanizzazioni secondarie, ovvero farmacie, giornalai, scuole, strutture sportive.
Il risultato di questo modello edilizio è un notevole consumo del suolo ed ancora un incremento del traffico privato. Il pendolarismo con la città di Trieste, riguarda tutto il Monfalconese ed arriva fino a Fiumicello, mentre recentemente la fuga dalla città si sta trasferendo anche oltre confine: sono diversi i casi di cittadini di Trieste che acquistano case sul Carso sloveno, nella zona di Sesana. Nel contempo i centri storici cadono a pezzi, come ad esempio Borgo Teresiano a Trieste.
Gli interessi legati alla rendita immobiliare sono ancora quelli che Rosi aveva descritto nel suo film “Le mani sulla città” del 1962, in cui aree agricole o di pregio paesaggistico, come quelle costiere, grazie a piani regolatori compiacenti vengono rese edificabili, con un conseguente aumento spropositato del valore delle aree stesse.
Si amplia così il conflitto tra la proprietà immobiliare, che spinge per ottenere edificabilità e quantità edilizie più elevate per incrementare la reddittività dei propri immobili, e le categorie di soggetti - le famiglie ma anche le aziende - interessate ad ottenere alloggi e altri edifici a prezzi moderati.
La politica del "lasciar fare" adottata dalla Regione Friuli Venezia Giulia nei confronti dei Comuni è all’origine del disordine urbanistico che interessa i settori insediativo, commerciale ma anche industriale-artigianale. Alla base di queste carenze forse c’è un malinteso concetto di sussidiarietà. La sussidiarietà richiede che le competenze, in relazione alla loro natura, siano collocate al livello territoriale dove possano essere esercitate nel modo migliore, cioè più efficace ed adeguato alle finalità perseguite. Quindi non necessariamente al livello territoriale di governo più basso, ma al livello che garantisce la migliore efficienza.
L’asse Regione-Comuni - che di fatto ha governato fino ad oggi il territorio del Friuli Venezia Giulia e viene confermato appieno dalla leggina urbanistica appena approvata - trae origine dall’incompleta applicazione del Piano Urbanistico Regionale Generale del 1978. Nel PURG la redazione dei piani era concepita su tre livelli amministrativi, costituiti dalla Regione (a cui spettava la redazione del Piano Urbanistico Regionale Generale e dei Piani Urbanistici Regionali Zonali), dai Comprensori e dai Comuni, con il Piano Regolatore Generale Comprensoriale inteso come soglia minima della pianificazione urbanistica regionale.
Ma i Piani Zonali e Comprensoriali - rispetto ai quali la pianificazione comunale avrebbe dovuto assumere un carattere solo attuativo - erano stati di fatto abbandonati già nel 1975, prima ancora dell’approvazione del PURG, lasciando un vuoto che è stato di fatto colmato dai Comuni stessi.
La struttura gerarchica proposta dal PURG del ’78 è stata superata dalla legge nazionale di “Orientamento delle Autonome locali” del 1990 (ma anche dal successivo Decreto Legislativo n. 267/2000) che attribuisce alla Provincia il compito di redigere il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, per perseguire i fini della programmazione economica territoriale ed ambientale della Regione, oltre a compiti di coordinamento dei Comuni. La legge nazionale è stata recepita nella Regione FVG nel 1991 (con la legge 52), con cui viene conferito alle Province il ruolo di coordinamento territoriale sovra-comunale, subordinato però ad un Piano Territoriale Regionale Generale.
Alcune Province del Friuli Venezia Giulia - Gorizia e Pordenone - pur in assenza di un PTRG hanno sentito l’esigenza di confrontarsi con dei veri strumenti di pianificazione d’area vasta ed hanno quindi avviato la formazione delle Linee Guida per dei Piani Territoriali Provinciali di Coordinamento.
Questa fase di pianificazione di livello provinciale risultava prima bloccata dall’assenza di un Piano Territoriale Regionale ed oggi stralciata dalla nuova legge di riforma urbanistica.
Uno dei problemi centrali che oggi si trova ad affrontare la pianificazione territoriale riguarda il consumo del suolo e altre Regioni, quali ad esempio la Toscana ed il Veneto, ma anche la Sardegna e la Sicilia, hanno inserito precisi indirizzi e obiettivi nei loro strumenti normativi.
La Regione Friuli Venezia Giulia – con la legge di riforma urbanistica approvata il 23 novembre scorso - ripropone l’asse Regione-Comuni, mantenendo in capo alla prima gli interventi coinvolgenti le risorse essenziali del territorio (rete ambientale, sistema idrico, rete energetica, rete delle telecomunicazioni, rete infrastrutturale dei trasporti) e rafforzando il ruolo dei Comuni, ai quali viene lasciato - di fatto - il governo del territorio.
Molti dubbi solleva la previsione di una Società di Trasformazione Urbana Regionale (STUR), istituita con la forma giuridica della società per azioni, alla quale viene assegnato il compito di “ attuare progetti di particolare rilievo”, come l’acquisizione, trasformazione e commercializzazione degli immobili interessati dagli interventi. Se la finalità è di ideare una via breve per garantirsi una sorta di libertà di agire come una qualsiasi azienda privata, bisogna considerare che il territorio - che è un bene fondamentale, primario e non riproducibile - non può essere trattato al pari di una qualsiasi merce.
Nonostante un emendamento dell’ultimo minuto abbia cancellato i riferimenti al Corridoio Cinque ed al collegamento stradale Cervignano-Manzano, salvando almeno formalmente il carattere di generalità della norma, queste forme di gestione del territorio lasciano avanzare il sospetto che - a questo punto - il Piano Territoriale Regionale e la sua formazione diventino residuali rispetto alla volontà di realizzare - con una conduzione privatistica - alcune specifiche opere di particolare interesse per alcuni settori regionali, quali l’Alta velocità ferroviaria, vari collegamenti stradali, nuovi elettrodotti proposti da alcuni soggetti economici regionali per importare energia dall’estero e commercializzarla in Italia attraversando le aree alpine e prealpine, le Casse di espansione del Tagliamento e quant’altro.
I problemi legati alla rendita fondiaria, ed in generale alle rendite conseguenti alle dinamiche territoriali, non hanno mai trovato una soluzione efficace nella legislazione nazionale, provocando una serie di effetti perversi su tutto il territorio italiano, mentre nelle aree dove è più presente e pervasiva la criminalità organizzata i danni sono stati e continuano ad essere devastanti.
Basti pensare che la criminalità organizzata riesce a beneficiare della rendita fondiaria anche nelle zone che non ne dovrebbero sviluppare, come quelle “agricole” o quelle a “destinazione pubblica”, e ciò avviene attraverso l’abusivismo edilizio, infatti si lottizza in modo abusivo, aree acquistate al valore di agricole, per poi rivenderle a prezzi molto vicini a quelle edificabili, per la realizzazione di edifici abusivi.
Molti comuni dell’area metropolitana di Napoli, hanno ormai raggiunto le dimensioni di “città medie”, senza averne però i servizi e le funzioni, ma riassumendo in sè tutti i danni dovuti ad una crescita incontrollata, sia della popolazione che delle aree edificate. Solo a titolo esemplificativo si segnala che questi centri urbani hanno le aree a destinazione agricola o pubblica piene di edifici abusivi, sanati e non. Le problematiche territoriali di queste aree, che in pratica rappresentano la testa della mostruosa conurbazione Napoli-Caserta, sono controverse, difficili e complesse, anche perché i danni arrecati sono, per alcuni versi, drammaticamente irreversibili.
Negli ultimi anni si è potuto verificare che non meno grave e quello che può realizzarsi in conformità alle leggi vigenti, infatti sarebbe interessante analizzare cosa ha provocato l’urbanistica contrattata negli ultimi 15 anni nell’area metropolitana di Napoli, i cui comuni sono dotati di Piani “antichi” mediamente dai 25 ai 35 anni; anche perché alle procedure semplificate di variante ai Piani, accedono solo operatori con capacità di affermare i propri obiettivi, (come la Grande Distribuzione di Vendita), mentre in Campania è quasi impossibile approvare un Programma di Riqualificazione Urbana per un quartiere di residenze pubbliche in variante al Piano vigente, anche se lo stesso quartiere molto spesso è stato realizzato in variante a strumenti urbanistici vigenti.
Le norme emanate dalla Regione Campania, seguono, assecondano e favoriscono la costante “demolizione” delle poche forme di garanzia nella gestione pubblica del territorio.
La L.R. n. 16/2004 (Norme sul Governo del Territorio) modifica profondamente quanto previsto dalla Legge n. 1150/1942 e della Legge n. 1902/1952 ed anche dalla L.R.C. n. 14/1982, abrogata dalla citata L.R. n. 16/2004, in materia di applicazione delle misure di salvaguardia. Infatti le norme richiamate, hanno sempre previsto che le misure di salvaguardia avessero efficacia dal momento in cui si approvava l’atto deliberativo che prevedeva la fase di pubblicazione di un nuovo strumento urbanistico e conservavano efficacia per tre o cinque anni. La ratio della norma era di evitare che, dal momento in cui si verificava la pubblicizzazione delle previsioni di un nuovo strumento urbanistico, non fossero rilasciati titoli abilitativi per la realizzazione di interventi edilizi in contrasto con le previsioni urbanistiche non ancora vigenti, in modo da non rendere vano o più oneroso l’attuazione di nuovi programmi territoriali.
Invece la L.R. n. 16/2004 prevede che la Giunta Comunale con atto deliberativo “predispone” la “proposta” di Piano, quindi inizia la fase di divulgazione, con pubblicazione sul Bollettino Regionale e su due quotidiani a diffusione provinciale, dell’avviso di deposito presso la segreteria comunale della “proposta” di Piano.
Successivamente il Consiglio Comunale esamina le osservazioni ed “adotta” il Piano e finalmente hanno efficacia le misure di salvaguardia. Quindi nella fase di pubblicazione a chiunque avanza una istanza per Permesso di Costruire conforme allo Strumento vigente, ma in contrasto con il Piano in corso di pubblicazione, deve essere rilasciato il titolo abilitativo. Per esperienza diretta, posso affermare, che ovviamente ciò accade, e cioè non appena si ha conoscenza che con l’approvazione di un nuovo strumento non sarà più possibile edificare, con gli stessi indici o non sarà affatto possibile realizzare nuovi edifici, si assiste alla corsa ad ottenere il rilascio di Permessi di Costruire ancora conformi al PRG vigente, ma in contrasto con il Piano, in corso di approvazione.
In aree dove è forte la presenza di criminalità organizzata e di un ceto politico (di entrambi gli schieramenti) supino alle tendenze fameliche di chi vuole spolpare l’esangue osso del territorio, una norma come quella illustrata provoca il dilatarsi del tempo tra “predisposizione” della “proposta” di Piano e la sua “adozione”, in modo che si potranno sfruttare tutte le residue possibilità di un PRG, che con un nuovo Piano, forse, si cerca di correggere.
Il risultato sarà che si approveranno Piani, che regolano un territorio già modificato rispetto a quanto è stato programmato, quindi strumenti inutili al momento dell’approvazione. A fare il resto ci penseranno i vari “accordi di programma”, Programmi Integrati di Intervento, e tutti i figli dell’urbanistica contrattata
23 novembre 2005
L’impugnativa che il Governo di destra ha deliberato contro la Legge 1.2005 della Regione Toscana, intitolata alle «Norme per il governo del territorio», si presta ad una serie di doverose considerazioni. La prima delle quali - e mi scuseranno gli amici toscani se non comincio da loro - non riguarda la Regione sconfessata, ma il Governo nazionale: il quale ha la sfrontatezza di bacchettare una Regione accusata di violare le norme sui beni culturali e sul paesaggio, dopo essersi reso protagonista, per quattro anni, di clamorose violazioni legislative e operative dei beni culturali e del paesaggio e in generale di un sistematico malgoverno del territorio. Un Governo nazionale che avesse svolto una politica ambientale e urbanistica seria e rigorosa, avrebbe forse avuto il diritto di intervenire sulla questione, anche a prescindere dal merito delle osservazioni.
Questo governo, invece, non ha certamente le carte in regola per affrontare un argomento sul quale si presenta, senza dubbio, come il meno qualificato nella storia della Repubblica.
Una seconda riflessione, sempre di carattere generale, mi preme di fare, proprio nel momento in cui una delle componenti politiche di questo governo nazionale, si pronuncia minacciosamente sul tema del federalismo. Perché, anche in questo caso, il governo che a parole sventola la bandiera del federalismo e dell’autonomia regionale, non perde occasione per mostrare con i fatti, il proprio autoritarismo centralistico; dimostrando la propria sistematica ostilità alle istituzioni che traggono la propria ragion d’essere dal desiderio e dalla capacità di autogoverno delle popolazioni locali. Un governo nazionale che ha ridotto al lumicino i trasferimenti alle istituzioni di base, della quota di entrate fiscali indispensabili per amministrare le loro sempre più onerose competenze. Un governo che - per restare al rapporto tra fiscalità e urbanistica - sta lasciando ai comuni soltanto il gettito dell’Ici e degli Oneri di urbanizzazione; stimolando così, indirettamente, ma perentoriamente, una politica di espansione edilizia sbagliata e dannosa, quale unica fonte autonoma di entrate.
Una terza riflessione riguarda il tema contestato alla regione Toscana dalla impugnativa del governo: cioè il fatto di aver approvato norme «invasive della competenza esclusiva statale, in materia di tutela dei beni culturali». Il che, come ha scritto qualcuno dotato di mentalità confessionale, ha spinto il governo «a punire giustamente lo scatto di superbia della Toscana». Certo, mi pare di sentirli, quei funzionari felici di fare un piacere al governo di destra, bacchettando una regione rossa: «Ma come si permettono, questi toscani». Al contrario, mi sembra assai chiaro che l’unica maniera civile di interpretare il processo di valorizzazione delle autonomie locali, senza svendere l’idea stessa di stato nazionale, è quello della collaborazione, dell’intesa, della concertazione delle rispettive competenze, fra centro e periferia.
Processo che sul tema doveva partire da un’ampia discussione fra il governo, il parlamento e le regioni, sulle possibilità di conservare una concezione unitaria per il governo del paesaggio - ma anche del territorio in genere, perché io non ho mai capito come anche il centro-sinistra abbia potuto separare il territorio, dal paesaggio e dall’ambiente - , concezione unitaria che doveva articolarsi in una necessaria applicazione decentrata. Questo processo politico e culturale è mancato; ed è stato sostituito da un diktat di maggioranza, che siamo in molti a considerare culturalmente e politicamente disastroso. E dopo il diktat centralistico - alla faccia di tutti gli strombazzati federalismi - , sono inevitabilmente arrivate alla regione Toscana le centralistiche bacchettate sui tre articoli «sbagliati per uno scatto di superbia».
A questo punto, il dettaglio della discussione sul contenuto dei tre articoli incriminati, interessa poco. Il problema riguarda piuttosto la questione in generale e la necessità che, in un domani speriamo vicino, l’intera vicenda si riapra nel modo giusto; e ci porti a soluzioni che - prima di essere giuridicamente corrette - siano il frutto di una collaborazione a tutti i livelli e che, per questo, saranno indubbiamente migliori.
Al di là di come la regione Toscana vorrà gestire la vicenda, è questo che io mi auguro per il bene della stessa regione e di tutto il paese.
Postilla
Parole interamente condivisibili. In particolare l’affermazione “che l’unica maniera civile di interpretare il processo di valorizzazione delle autonomie locali, senza svendere l’idea stessa di stato nazionale, è quello della collaborazione, dell’intesa, della concertazione delle rispettive competenze, fra centro e periferia”.
Solo che la legge toscana si è dimenticata di inserire nei suoi meccanismi appunto “l’intesa” con gli organi della Repubblica preposti, dalla legge nazionale, a tutelare l’interesse anche nazionale alla tutela dei beni culturali e del paesaggio (si veda l'articolo di G. De Luca e il documento ivi allegato).
A nascondere gli errori degli amici si arreca loro danno, non vantaggio.
Il 4 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale tre (marginali) disposizioni contenute nella recente legge regionale n. 1 del 2005 sul governo del territorio. Non è stata impugnata la legge che è pienamente valida ed attiva, nonostante i suoi numerosi contenuti innovativi e nonostante l’assenza di una legge nazionale cornice in linea con i cambiamenti introdotti nel 2001 al Titolo V della Costituzione italiana. Forse non tutti sanno che la legge cornice è ancora la gloriosa legge nazionale 1150 del 1942.
I punti impugnati sono tre: due legati alle norme sul paesaggio e uno legato all’inizio dei lavori edilizi in zone classificate come sismiche. Riassumiamoli brevemente. I punti del paesaggio si riferiscono alle norme che regolano la modifica del regime degli immobili e delle aree di notevole interesse paesaggistico, che nella legge regionale toscana, vengono affidate alle procedure di approvazione degli strumenti della pianificazione territoriale, senza il preventivo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali, come indicato nel cosiddetto “Codice Urbani” entrato in vigore nel 2004. Il secondo punto impugnato è legato alle aree dove non richiedere l’autorizzazione paesaggistica, che nella versione della legge regionale è affidata ai Comuni che la esercitano attraverso il Piano strutturale comunale, mentre il “Codice Urbani” prevede che sia il Piano paesaggistico – di cui deve dotarsi la Regione – ad avere questa funzione. Il terzo punto impugnato, infine, si riferisce alla possibilità prevista dalla legge regionale di consentire l’inizio dei lavori in zone classificate sismiche, anche in mancanza di preventiva autorizzazione da parte della struttura regionale competente, contrastando in tal modo il Testo unico sull’edilizia del 2001, le cui norme sono considerate dal Governo materia di esclusiva competenza nazionale.
In fin dei conti, nei tre rilievi fatti dal Governo, sono stati violati: il principio di intesa tra Regione e Stato, per il primo punto; il principio gerarchico tra i livelli di piani, per quanto riguarda il secondo; ed infine il principio della competenza esclusiva della legislazione statale per il terzo.
Sarà la Corte Costituzionale ormai a dirimere questi nodi in nome di quella leale collaborazione oramai necessaria. Tuttavia non si può non richiamare il senso di una politica regionale che tradizionalmente ha fatto della tutela del paesaggio, della sua attiva conservazione e integrazione nelle scelte territoriali e urbanistiche e dei presidi regolativi comunali sugli usi dei suoli, la bandiera di una buona e sana amministrazione della cosa pubblica. Sì perché non bisogna dimenticare che i paesaggi della Toscana, la qualità media del vivere nei suoi territorio territori, le politiche di recupero dei centri antichi e il controllo delle espansioni edilizie, hanno fatto della regione un punto di riferimento mondiale.
Questo è stato possibile per una scelta della Regione, ormai trentennale: il rifiuto di predisporre un piano paesaggistico separato dai piani urbanistici e territoriali, proprio per non considerare il paesaggio (che è un prodotto della storia e delle relazioni che gli uomini hanno con il territorio) come qualcosa di separato e settoriale rispetto all’urbanistica. Non consideralo tale, ha significato affidarlo all’autonoma responsabilità degli enti preposti al governo pubblico del territorio, ma soprattutto ha fatto in modo che l’urbanistica avesse come fine anche quello della tutela e valorizzazione del paesaggio. Se i paesaggi della Toscana sono riconoscibili, e conservano ancora le identità delle comunità locali insediate, lo si deve proprio a questo. Se il territorio in Toscana produce valore aggiunto è proprio per questa decennale attenzione delle popolazione locali e dei loro governi. Non a caso la Convenzione Europea sul Paesaggio è stata firmata proprio a Firenze nel 2000. Nella Convenzione, infatti, si sostiene che il paesaggio è una risorsa, che si estende a tutto il territorio, dagli spazi naturali a quelli rurali fino a giungere a quelli semi-urbani e urbani, in uno spirito di integrazione con tutte le politiche e i piani territoriali e urbanistici.
Meraviglia che il Governo non abbia colto questa caratterizzazione regionale, sottolineando la necessità che solo una intesa Stato-Regione, che metta sotto tutela le autonomie locali, sia garanzia di tutela e conservazione; o abbia fuorviato che le competenze affidate agli enti locali nell’indicare le aree paesaggistiche soggette ad autorizzazione non siano di natura autoritativa, eppure la legge regionale parla di parere regionale vincolante; ed infine che l’impugnatura determini un ritorno indietro di 23 anni nel riproporre una autorizzazione di inizio attività edilizia nelle zone classificate sismiche, che in Toscana – con la legge regionale 88/82 – sono affidate alla certificazione di un professionista, salvo il controllo regionale a valle.
E meraviglia che il Governo si sia soffermato su questi marginali punti della legge, dopo aver perdonato, con il semplice pagamento di qualche centinaia di euro, tutti quelli che il paesaggio e il territorio lo hanno bistrattato e offeso.
Postilla
Un governo serio doveva invitare a correggere un errore, sebbene compiuto per l’orgogliosa autosufficienza di una regione in cui la tutela del paesaggio è sempre stata impegno prioritario (ricordo i primi “gloriosi” assessori Silvano Filippelli, Renato Filippini e Anselmo Pucci degli anni Settanta) e che pensava (secondo me sbagliando) di poter fare a meno della “intesa” con lo Stato, anch’esso depositario della responsabilità della tutela. Ma non è un governo serio quello che censura per “eccesso di tutela” e lascia passare leggi regionali che la tutela aboliscono, con smaccata illegittimità sostanziale e formale, ordinaria e costituzionale: come la Regione Lazio, comandata dal gauleiter Storace. Ma sul fatto che lo Stato italiano è costituito da Repubblica, Regioni, Province e Città metropolitane, Comuni (e non solo da uno o due di questi istituti) occorrerà tornare, perchè gli equivoci sono molti.
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Lupi: Una legge moribonda
Raccogliendo l’invito di Salzano alla discussione propongo le mie riflessioni sul ddl siciliano “Norme per il governo del territorio” approvato dalla Giunta di Governo nei primi di agosto, tenendo conto del dibattito fin qui svoltosi.
Desidero però prima condividere le mie impressioni sul ddl Lupi e dintorni, avendo partecipato ai lavori del Seminario INU del 15 settembre u. s. “Un nuovo passo per la riforma urbanistica”. L’occasione mi ha consentito di fare mente locale sul testo Lupi approvato dalla Camera, di ascoltare alcuni politici presenti coinvolti nella vicenda del ddl (Mantini, Specchia, Giovannelli), la dirigenza nazionale dell’INU, rappresentanti delle Sezioni regionali ed esperti di diritto urbanistico
Francamente aspetto ancora che qualcuno mi spieghi l’utilità dell’entrata in vigore del ddl Lupi, perché dall’andamento del dibattito non è mai emerso con chiarezza; anzi alcuni commentatori hanno sottolineato il contrario.
Mi ha colpito il fatto che, trattandosi di una legge di “principi” non ci sia traccia di principi, degni di questo nome, chiaramente elencati, come ha sottolineato Paolo Urbani e altri che sono intervenuti. Né mi convince che la “perequazione” debba essere considerata un principio fondamentale, come suggeriva Barbieri.
Sono inoltre sbalordita dalla polarizzazione dell’interesse sui diritti edificatori della proprietà immobiliare e sulla loro commerciabilità, come se questo fosse l’aspetto più importante del governo del territorio e della gestione delle trasformazioni urbane.
Mi è stato di conforto verificare che all’interno di molte sezioni dell’INU ci sono forti perplessità sulla qualità e sull’utilità del ddl Lupi e sarà il caso di approfondire le ragioni delle divergenze, anche in relazione alle molte leggi approvate dalle regioni dopo la modifica del titolo V della Costituzione.
Poiché da parte di tutti, anche dai politici presenti è emersa la convinzione che sarebbe necessario comunque introdurre ulteriori emendamenti, dopo i quali il testo dovrebbe ritornare alla Camera, è plausibile che il ddl non venga approvato prima della fine della legislatura.
Il che potrebbe costituire l’occasione per ricominciare daccapo in maniera più convincente.
Sicilia: Una legge velleitaria
Passo ora a trattare del ddl siciliano. Una buona legge (ammesso che il ddl siciliano lo sia) non garantisce di raggiungere automaticamente gli obiettivi che la stessa legge si propone.
A riprova di ciò cito una nota legge speciale siciliana: la n. 70 del 1976 finalizzata al recupero dei centri storici di Siracusa e Agrigento che, a parità di norme, di procedure e di contributi finanziari, ha prodotto a Siracusa, anche se con molta fatica, un buon piano particolareggiato e ha contribuito ad avviare il recupero dell’isola di Ortigia, mentre ad Agrigento non ha prodotto alcun risultato.
Evidentemente la differenza di risultato dipende dal contesto e da una serie di concause che hanno condizionato l’applicazione della legge.
Il problema posto da De Lucia e ripreso da Salzano sul rapporto tra proposta di legge e contesto mi sembra quindi centrale e utile per esaminare correttamente la questione della qualità e dell’efficacia del ddl siciliano.
Salzano si domanda se, per analogia, si può definire buono un progetto di architettura a prescindere dal contesto. Io ritengo di no, pensando proprio ad alcuni progetti “firmati”, calati come meteoriti in realtà precarie e degradate, con le quali non sono riusciti a intessere alcun rapporto positivo in grado di aumentare la qualità urbana e ambientale. Per colpa di chi? Del progetto? Delle amministrazioni? Delle modalità di attuazione? Ho in mente i progetti di Gregotti per Palermo: lo ZEN e i Dipartimenti Universitari a Parco d’Orléans. Nel migliore dei casi si tratta di esperienze a dir poco deludenti.
Uscendo dalla metafora e tornando nello specifico, anche se la proposta di legge come dice Salzano è “migliore di tante altre che sono state approvate di recente dalle regioni o che stanno per esserlo”, purtroppo risulta velleitaria e poco credibile per alcune semplici ragioni che cercherò di riassumere.
Il Governo e il Parlamento regionale, dal dopoguerra a oggi non hanno preso mai alcun minimo provvedimento tendente ad agevolare concretamente la pianificazione urbanistica; anzi, con l’accordo di tutte le forze politiche, sono state approvate norme che consentono tuttora di realizzare edilizia convenzionata e agevolata nel verde agricolo, in deroga alla previsioni dei PRG, tramite commissari che l’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente invia presso i Comuni che volessero ostacolare tali richieste.
Ancora: quando si mette mano a fare un piano regolatore, si scatena nei Comuni una frenetica attività edilizia: vengono richieste valanghe di concessioni e autorizzazioni per lottizzazioni (queste ultime, approvate sollecitamente dall’Assessorato Regionale) che trasformano radicalmente il territorio mentre si disegna il piano; quest’ultimo può al massimo limitarsi a inseguire la realtà, venendone fortemente condizionato (in peggio). Né il Governo, né il Parlamento, né qualche forza politica hanno mai pensato di contrastare efficacemente questo andazzo.
Né le numerose leggi di sanatoria approvate dalla Regione hanno mai risolto il problema dell’abusivismo edilizio dilagante.
Invece, l’unica preoccupazione del governo Cuffaro, esplicitata nel suo programma elettorale, è stata quella di tentare di trovare una soluzione ai problemi dell’abusivismo costiero che ha prodotto insediamenti mostruosi lungo tutte le coste siciliane. Questo obbiettivo ha dato luogo alla formulazione di alcuni disegni di legge, abortiti per strada, che comunque cozzavano sempre con l’esistenza di una norma contenuta nella l. r. 76 del 78: l’inedificabilità assoluta della fascia costiera. entro i 150 metri dalla battigia. Norma che il ddl presentato propone di abrogare.
Vorrei aggiungere qualche altra considerazione che contribuisce a minare la credibilità dell’iniziativa. L’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente non dialoga con l’assessorato Regionale ai BB.CC.AA.AA. che ha competenza sulla pianificazione paesaggistica (la quale per altro è molto indietro). All’interno dell’Assessorato al Territorio e Ambiente vi sono due Direzioni Regionali (Urbanistica e Ambiente) che non dialogano fra loro, considerando (incredibilmente) l’urbanistica e l’ambiente materie rigidamente separate.
L’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente risulta sempre più sguarnito di funzionari competenti: i pochi che sono rimasti si occupano quasi esclusivamente di esaminare e approvare “programmi complessi” e iniziative di programmazione negoziata in deroga agli strumenti urbanistici e non esaminano i piani regolatori inviati in Assessorato, che a un certo punto entrano in vigore attraverso una forma di silienzio-assenso. Questo è accaduto di recente anche per il prg di un capoluogo di provincia come Caltanissetta.
L’Ufficio che dovrebbe fare il Piano Territoriale Regionale non esiste e il SITR di cui si parla nel ddl è solo in fase di impianto. Così come non esistono tutte la “Strutture tecniche per il governo del territorio” elencate nel Titolo III del ddl e chissà quando mai potranno esistere.
Inoltre nel ddl si rinvia all’emanazione di una serie di importanti regolamenti attuativi, in assenza dei quali, il ddl risulta inapplicabile: sono circa una decina e si va da quello relativo all’applicazione della VAS, a quello relativo alle “dotazioni territoriali e standard di qualità urbana e ambientale”. Non risulta per altro che siano in corso da qualche parte studi e ricerche per elaborare tali regolamenti.
L’unica iniziativa di pianificazione che si può avviare in assenza di ulteriori adempimenti riguarda i PTRA (piani territoriali regionali d’area, Art. 26 e Art. 27), (che avevo segnalato a Salzano e a De Lucia) e che sembrano proprio finalizzati ad affrontare i problemi degli insediamenti abusivi costieri.
Infine pare che la Regione non abbia inviato il testo né alle Province né ai Comuni; né che abbia intenzione di farlo; dimostrandosi quindi poco interessata alla consultazione e ai pareri dei soggetti istituzionali destinatari e protagonisti dell’attuazione del ddl.
Entrando ulteriormente nel merito, non è chiaro come si perviene alla redazione Piano Territoriale Regionale che si prevede debba essere approvato solo dalla Giunta di Governo e non dall’Assemblea Regionale.
Ricordiamo inoltre che la legislatura è in scadenza perché in Sicilia si andrà a votare prima delle elezioni nazionali e manca il tempo sia per un serio confronto politico, sia per i necessari approfondimenti tecnici e culturali. Evidentemente un Governo e un Parlamento in scadenza non possono prendere nessun impegno sulle misure necessarie da attivare successivamente per rendere applicabile la legge: costituzione di uffici, coordinamento interassesoriale, regolamenti attuativi, etc…
Che fare dunque? Ipotizzando che il ddl possa compiere il percorso parlamentare entro la fine della legislatura, per dare maggiore credibilità alla proposta, bisognerebbe modificare sostanziosamente le norme di salvaguardia (Art. 60), dicendo, per esempio, che la legge entra in vigore solo quando saranno emanati tutti i regolamenti di attuazione.
Per quanto riguarda le abrogazioni, su cui ci sarebbe ancora da discutere, per dare un segnale di serietà dovrebbero essere abrogate subito le norme che consentono di realizzare programmi costruttivi e quant’altro nel verde agricolo. Pur accettando la logica del testo proposto, non mancano varie formulazioni che sarebbe necessario emendare e precisare a partire, per esempio, dal tema dei centri storici, che vengono evocati solo come “zone A degli strumenti urbanistici”. Come se non sapessimo che la perimetrazione della zona A non coincide quasi mai con il vero centro storico.
La materia meriterebbe comunque un dibattito politico molto ampio e approfondito e l’apporto del maggior numero dei soggetti coinvolti; circostanza che non può essere assicurata nello scorcio di legislatura disponibile.
Sarebbe quindi più saggio che la riforma urbanistica facesse parte del programma elettorale delle forze politiche che andranno a breve a confrontarsi e che ci si potesse lavorare con maggiore serenità e con minore improvvisazione.
Roma 18 settembre 2005
La riforma urbanistica arriverà in commissione la prossima settimana, preceduta da un coro di critiche e di riserve che si preparano a entrare nel dibattito parlamentare. Per gli autori della riforma, Bruno Gabrielli, Giuseppe Trombino e Giuseppe Gangemi gli urbanisti ritrovatisi a lavorare nell´assessorato guidato da Francesco Cascio, si tratta soprattutto di semplificare le procedure di pianificazione per renderle effettive e ancorarle alle risorse disponibili. Per gli ambientalisti e per il cartello di urbanisti ritrovatisi nei Laboratori siciliani di ricerca territoriale l´impianto della legge, piega il territorio a logiche squisitamente economiche e scardina il sistema dei vincoli di salvaguardia dell´ambiente.
Dei tre saggi Bruno Gabrielli, urbanista di fama internazionale e assessore nella giunta di centrosinistra di Genova, ride di gusto e parla di equivoci.
Perché equivoci, professore?
«Noi non ci sogniamo affatto di fare a pezzi il territorio, né tantomeno di favorire nuovi scempi. È una cosa talmente lontana dal vero che non è neppure oggetto di discussione»
Insomma non si aspettava questa levata di scudi?
«Mi aspettavo critiche e riserve ma non con le motivazioni che sono circolate, la lettura della legge non le autorizza, sono prive di fondamento. Sono solo frutto di equivoci nati sulla base di una bozza incompleta poi corretta per evitare proprio dubbi di interpretazione».
Vi accusano di abrogare i vincoli esistenti e la legge ha un articolo apposito, non è così?
«È così, ma ce ne è un altro, quello sulle norme di salvaguardia. Recita espressamente che i vincoli che tutelano coste e boschi restano fino a che non sarà adottata la pianificazione provinciale».
E se la pianificazione non avviene?
«I vincoli sono raddoppiati. Il limite che impedisce qualsiasi cosa entro i 150 metri dalla costa raddoppia».
Con la pianificazione però i vincoli vengono meno. Si obietta che abolite delle certezze per sostituirle con una indicazione che forse tradisce un eccesso di fiducia nella capacità di pianificazione. Trova anche questo inaccettabile?
«È possibile che le critiche vengano da lì, ma è esattamente questo il punto: l´apposizione di vincoli che non tengono conto della realtà territoriale, che corrispondono a una dichiarazione indiscriminata, sono tecnicamente definiti stupidi, cioè ciechi. In altre parole prescindono dalla effettiva rispondenza a principi di pianificazione».
Crede che non ci siano spazi per nuovi abusi?
«La legge in sé non offre margini, né tantomeno crea aspettative di sanatoria, dunque tecnicamente la risposta è no. Poi vi è anche un problema di prospettiva. Se il sistema della pianificazione funziona meglio e più celermente ottiene l´effetto di una maggiore salvaguardia dell´ambiente».
E l´obiettivo della celerità credete di averlo raggiunto?
«La legge fa compiere un balzo in avanti in questa direzione, tuttavia è ancora troppo complicata, si possono sveltire ancora di più le pratiche. È l´assenza di piani a generare i vuoti che producono i guasti, ed è fondamentale avere piani che una volta pronti non siano già vecchi».
Qual è secondo lei il merito maggiore della norma?
«Quello di far chiarezza: una legge contro 29 abrogate, quello di avere una visione unitaria della pianificazione distribuita su più livelli, di garantire l´autonomia delle realtà comunali all´interno di una pianificazione provinciale e di una strategia regionale. Il nostro intento dichiarato è quello di un piano veramente unico. È ovvio che questo incontri resistenze, talvolta anche legate a gelosie sulle competenze dei vari assessorati e rendite di posizione».
Lei è assessore di una giunta di centrosinistra, che effetto le fa essere attaccato soprattutto da quel versante politico?
«Io non solo non ho alcuna simpatia politica per l´assessore Cascio e il governo Cuffaro, ma sono esponente di una giunta di segno contrario, tuttavia in questa vicenda ho messo la mia storia e la mia dignità su una riforma che ovviamente condivido e per la quale non ho subìto pressioni di sorta, né dall´assessore, né dal suo staff».
Le critiche degli ambientalisti
L’opinione di E. Salzano
L’opinione di V. De Lucia
Il testo della legge
Il testo del ddlr, approvato dalla Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia nella seduta del 29 agosto 2005, ricalca in sostanza la bozza già divulgata informalmente da alcuni mesi e disponibile nel sito della Regione (sezione “Trasparente”).
Gli aspetti di maggior problematicità, dovuti anche ad una stesura assai carente sotto il profilo della tecnica legislativa, paiono essere i seguenti.
L’indeterminatezza
Il Titolo I (artt. da 1 a 8), secondo quanto dichiarato al c. 2 dell’art. 1, “esercita la sua efficacia nelle more del riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica”, ma non è chiaro in cosa consista tale “efficacia”, poiché gli artt. da 1 a 8 consistono sostanzialmente in una serie di dichiarazioni di principio o di intenti, da riempire di contenuti mediante successivo provvedimento normativo “di riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica”. Per quest’ultimo non vengono neppure indicate scadenze temporali di sorta.
L’art. 2 elenca ad esempio le “risorse essenziali di interesse regionale”, che appaiono tali (aria, acqua ed ecosistemi ; paesaggio e documenti della cultura ; sistemi infrastrutturali e tecnologici ; sistemi degli insediamenti) da esaurire di fatto l’intero ambito della pianificazione territoriale e che vengono attribuite (art. 3, c. 1), alla competenza della Regione, salvo poi aggiungere che la successiva legge regionale stabilirà “i criteri per individuare le soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni di cui al comma 1 per mezzo del Piano Territoriale Regionale”. Anche il PTR, quindi, in funzione del quale apparentemente il ddlr è stato redatto, viene così rinviato ad un imprecisato domani, come del resto conferma anche l’art. 8, c. 1.
Assolutamente incomprensibile appare tuttavia il c. 2 dell’art. 8, che sembrerebbe sancire l’abrogazione delle procedure di formazione del PTRG previste dalla L.R. 52/1991 (artt. 5 e 6), senza però che tale abrogazione sia esplicita. Né d’altronde è pensabile si possano abrogare norme vigenti, mediante il semplice rinvio alle “disposizioni della presente legge” che, come detto, nulla dicono in merito alle procedure relative al PTR, in quanto si limitano a rinviarle ad una successiva futuribile legge regionale.
Per quanto concerne i livelli di pianificazione, si dichiara d’altronde (art. 1, c. 1) che “la funzione della pianificazione intermedia è svolta dai Comuni”. Concetto ribadito dal successivo art. 4, cc. 2 e 3, che tuttavia non aggiungono nulla in merito alle modalità attraverso le quali il Comune (singolo ? associato ?) potrà esercitare la funzione della pianificazione sovraccomunale, salvo aggiungere l’indicazione circa la possibilità che ciò avvenga “anche con enti pubblici diversi dal Comune”. Enti (anche economici ?) che peraltro non vengono individuati, essendo la materia rinviata alla successiva legge regionale.
Sia la definizione dei confini delle competenze pianificatorie tra Regione e Comuni, sia la strutturazione del ruolo comunale nella pianificazione sovraccomunale, vengono perciò rinviate al successivo atto normativo.
L’economicismo “sviluppista”
L’art. 5, elencando le “finalità strategiche del PTR”, delinea un’impostazione della politica territoriale in Friuli Venezia Giulia completamente sbilanciata sul versante – alquanto obsoleto –dello sviluppo economico inteso in senso tradizionale, cioè come crescita (del PIL).
Vengono infatti citate, nell’ordine, le seguenti finalità :
“le migliori condizioni per la crescita economica del FVG e lo sviluppo della competitività del sistema regionale ;
le pari opportunità di sviluppo economico per tutti i territori della Regione ;
la coesione sociale della comunità nonché l’integrazione territoriale, economica e sociale del FVG con i territori contermini ;
il miglioramento della condizione di vita degli individui, della comunità, della fauna, della flora e in generale l’innalzamento della qualità ambientale;
la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale, storico e paesaggistico”.
Balza altresì agli occhi l’assenza di qualsiasi riferimento a :
- criteri di sostenibilità ambientale dello “sviluppo” (che comporterebbero l’adozione di opportuni indicatori nell’attività di pianificazione e soprattutto nella valutazione degli esiti della pianificazione stessa) ;
- l’individuazione e la tutela delle “reti ecologiche” e del patrimonio naturalistico in genere (che non coincide con il patrimonio “culturale, storico e paesaggistico”) ;
- la necessità di arrestare il consumo di suolo non urbanizzato, agricolo e naturale o semi-naturale, privilegiando per converso il riuso di aree già urbanizzate e degradate o sottoutilizzate.
L’equivocità
Il PTR avrebbe altresì (art. 6, c. 2) valenza di piano paesaggistico, ai sensi del D. Lgs. 42/2004, ma è evidente che l’indeterminatezza su tempi e modalità di redazione (v. sopra) è tale da vanificare alla radice questa indicazione. Nulla si dice, invece, rispetto al destino degli strumenti con valenza di piano paesaggistico già predisposti ai sensi della L.R. 52/1991, come in particolare il PTRP per la costiera triestina. Nulla si dice neppure rispetto alla valenza del PTR, in quanto piano paesaggistico, rispetto agli strumenti di pianificazione di livello locale, laddove il rapporto tra (mancata) pianificazione sovraordinata – in particolare quella con contenuti paesaggistici – e PRGC rappresenta nei fatti uno degli elementi più critici della concreta pratica urbanistica in FVG (come gli esempi della baia di Sistiana e dell’intera costa triestina dimostrano ad abundantiam).
Del tutto privo di effetti concreti appare altresì il richiamo (una sorta di “pro memoria”) alla Direttiva 2001/42/CE sulla V.A.S. ed alle “metodologie di Agenda 21”, che dovrebbero presiedere (art. 7) alla formazione del PTR. Non si comprende, d’altro canto, perché tale richiamo non venga esteso – come la logica e lo stesso contenuto della Direttiva citata vorrebbero – a tutti gli strumenti di pianificazione territoriale.
Balza ancora agli occhi l’assenza di qualsiasi riferimento a norme di salvaguardia, assolutamente indispensabili nel contesto dell’annunciata redazione di uno strumento con valenza di piano paesaggistico, per evitare che lo stesso intervenga “dopo che i buoi sono già scappati dalla stalla”.
Tale assenza è tanto più vistosa ed inspiegabile, alla luce di quanto previsto al Titolo II (“Norme in materia di localizzazione di infrastrutture strategiche”), laddove la salvaguardia – sotto forma di “sospensione temporanea dell’edificabilità” – è prevista (art. 10, c. 1) per tre anni, al fine di salvaguardare da edificazioni incompatibili i progetti dichiarati “di interesse regionale”.
Norme cogenti sono cioè previste nel ddlr, soltanto allo scopo di favorire la realizzazione di opere infrastrutturali (prescindendo, a quanto sembra, dalla compatibilità ambientale delle stesse e dall’esito delle relative procedure di VIA e/o valutazione di incidenza), mentre invece non sono previste per il PTR, nella parte diretta a tutelare valori ambientali e paesaggistici.
Le infrastrutture (di ogni tipo e natura)
Il vero contenuto normativo del ddlr in questione è infatti quello rappresentato dal Titolo II, il cui scopo è chiaramente dichiarato all’art. 9 (“preservare la possibilità di realizzare infrastrutture strategiche ovvero dotare la Regione di strumenti che ne facilitino la realizzazione”).
L’individuazione dei progetti “strategici” (non meglio identificati e non necessariamente soltanto relativi ad infrastrutture) di interesse regionale, viene rinviata a successive delibere della Giunta regionale, previa intesa con i Comuni interessati (art. 10, c. 2). Intesa che dev’essere raggiunta mediante una “conferenza con i soggetti interessati” (art. 10, c. 3). Non viene precisato in alcun modo chi siano tali soggetti, potendosi quindi ipotizzare trattarsi sia – ipotesi “di minima” - dei proponenti (anche privati) dei progetti stessi, sia – ipotesi “di massima” – di tutti i portatori di interessi (compresi quindi gli interessi diffusi), in qualche modo coinvolti dai progetti stessi.
Non viene neppure precisato se la “conferenza” di cui sopra sia da intendersi strutturata e con i poteri di una conferenza dei servizi, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, ovvero rivesta altra natura.
Né viene in alcun modo contemplata l’ipotesi che l’intesa di cui al citato art,. 10, c. 2 non venga raggiunta. Parrebbe quindi di poter dedurre che il mancato raggiungimento dell’intesa comporti l’archiviazione del progetto. Si stabilisce invece (art. 10, c. 4) che l’individuazione dell’”interesse regionale” relativamente ad un progetto, costituisca variante rispetto alle destinazioni d’uso del PRGC (nulla si dice invece rispetto a quelle del PTR).
A sua volta, l’approvazione del progetto (non è chiaro in base a quali procedure) costituisce accertamento di conformità urbanistica e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori (art. 10, c. 5).
Appare evidente che scopo principale del ddlr è quello di costruire una “corsia preferenziale” per qualsivoglia progetto (anche privato) si decida, in sede prettamente politica, di qualificare come “di interesse regionale”, consentendone una sollecita realizzazione anche – ove necessario – in difformità dai PRGC. Sia pure, a quanto sembra, soltanto previa intesa “obbligatoria” (come detto sopra) con i Comuni. Sicuramente la norma è stata pensata anche in funzione dei progetti di nuovi elettrodotti (oltre 20 in FVG), proposti da vari soggetti per lo più privati, per l’importazione di elettricità da Austria e Slovenia. Progetti che, nei casi in cui è già iniziato l’iter di valutazione, stanno incontrando forti resistenze soprattutto da parte delle comunità locali principalmente per ragioni di impatto ambientale e paesaggistico.
Del tutto anomala, ed in alcun modo motivata, appare invece la previsione esplicita (art. 10, c. 1) di norme di “salvaguardia” – sospensione per un massimo di tre anni di ogni determinazione su concessioni o autorizzazioni edilizie in contrasto con i progetti - relativamente ai progetti “di interesse regionale” che si riferiscano alle “opere ferroviarie di attuazione del Corridoio V e quelle ad esso complementari” ed alle “opere del nuovo collegamento stradale Cervignano-Manzano e quelle ad esso complementari”.
Sfugge il motivo per cui un collegamento stradale di caratteristiche abbastanza modeste venga posto sullo stesso piano dell’imponente infrastruttura ferroviaria AV/AC compresa nel Corridoio 5, salvo l’ipotesi maliziosa che si tratti una sorta di “merce di scambio” in vista dell’acquisizione del consenso da parte di alcuni Comuni interessati dal tracciato dalla nuova linea ferroviaria. Attualmente è infatti ancora aperta la procedura di VIA (ex D.Lgs. 190/2002) sul progetto preliminare della linea AV/AC, tratta Ronchi Sud – Trieste (opera di circa 35 km., prevalentemente in galleria, con un costo complessivo di almeno 1.930 milioni di €), mentre si sta lavorando al progetto preliminare della tratta Venezia – Ronchi-Sud (circa 120 km., per un costo approssimativo di almeno 4.200 milioni di €), tratta che attraverserebbe l’intera pianura friulana interessando sia il Comune di Cervignano, sia altri Comuni della “Bassa”.
Va però detto che sul progetto della Ronchi Sud – Trieste è stato espresso, nell’ambito della citata procedura di VIA, parere nettamente contrario da parte del ministro dei beni culturali e ambientali, mentre risulta che anche la Commissione speciale VIA presso il ministero dell’ambiente abbia predisposto un parere decisamente negativo. Da ciò, tra l’altro, la diffida inviata lo scorso luglio dal WWF Italia al presidente del Consiglio dei ministri, al ministro dell’ambiente ed a quello delle infrastrutture, affinché la procedura di VIA tuttora aperta (ben la di là dei limiti temporali previsti dal D.Lgs. 190/2002) venga conclusa con esito – necessariamente - negativo.
La previsione della “salvaguardia” per tre anni, in funzione di un progetto il cui iter appare quanto mai lungo e incerto, potrebbe perciò interpretarsi come un mezzo per guadagnare tempo, in vista della futura approvazione del PTR, che dovrà vincolare definitivamente – sottraendole alla competenza comunale - le aree interessate dal progetto della linea ferroviaria in questione (così come altre aree interessate da “sistemi infrastrutturali e tecnologici”, secondo quanto previsto all’art. 2, c. 1, lett. a), n. 3).
Le STUR
Dulcis in fundo, il ddlr prevede (art. 11) la possibilità che la Regione costituisca Società di Trasformazione Urbana Regionale (STUR), nella forma giuridica della spa (art. 11, c. 3), con il compito di “conseguire gli obiettivi di cui all’art. 3, c. 2” (si tratta probabilmente – almeno si spera ! - di un refuso, trattandosi della norma che rinvia alla futura legge regionale i criteri per l’individuazione delle soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni di pianificazione territoriale con il PTR sulle “risorse essenziali di interesse regionale”), nonchè di “attuare i progetti di interesse regionale di cui all’art. 10”. Vale a dire quelli dichiarati di interesse regionale.
La STUR (art. 11, c. 2) acquisisce gli immobili interessati dall’intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi. L’acquisizione può avvenire consensualmente o tramite esproprio. Alle STUR possono partecipare anche azionisti privati (non viene precisato se i privati possano eventualmente acquisire la maggioranza delle azioni…).
Dario Predonzan, Responsabile settore territorio WWF Friuli Venezia Giulia
31 agosto 2005
Postilla
Ho partecipato ad alcune riunioni di un gruppo di lavoro che ha "affiancato" l'assessore Sonego. Inserisco in allegato una nota che avevo redatto quando ho visto la prima stesura della legge. Alcune parti del primiitivo disegno sono state soppresse, ma mi sembra che rimangano immutate nel didegno di legge quattro elementi gravissimi: la subordinazione d'ogni valore, qualità, risorsa all'idolo dello sviluppo quantitativo delle infrastrutture; l'abolizione delle province come ente cui è attribuita la responsabilità di pianificazione territoriale; l'asservimento del comune alla Regione; la riduzione della pianficazione regionale a mera copertura delle decisioni, prese volta per olta, dalla Regione.
Legambiente Sicilia, con l’adesione del coordinamento dei Laboratori Territoriali aderenti alla Rete Nazionale del Nuovo Municipio, denuncia i gravi pericoli contenuti nel disegno di legge di riforma dell’ordinamento urbanistico regionale promosso dall’assessore Francesco Cascio ed in discussione presso il comitato delle professioni tecniche.
Il provvedimento, formalmente motivato dalla volontà di snellire le procedure (Legge Obiettivo, indebolimento della VIA, ecc.), cela in realtà lo smantellamento della logica e degli impianti normativi di gestione, governo e regolazione della attività urbanistica sul territorio siciliano.
Questo presunto riordino si configura come il portato della peggiore deregulation ed è tale da cancellare qualsiasi razionalità normativa per intere aree tematiche di grande rilevanza per lo spazio ambientale regionale.
“Nella gran parte delle altre regioni italiane - afferma Mimmo Fontana, presidente di Legambiente Sicilia - si tenta con la dovuta serietà di riformare il concetto di Piano Regolatore onnicomprensivo andando nella direzione di una pianificazione strutturale che ridisegni il modello di assetto locale in funzione della domanda di riqualificazione del territorio e di sostenibilità ambientale facendo poi seguire l’indispensabile pianificazione operativa. In Sicilia, invece, si pretende di cancellare tout court il concetto di Piano regolatore quale elemento di razionalizzazione e di gestione del territorio per sostituirlo con un elenco di attività dipendenti dalla maggiore o minore disponibilità economica e finanziaria degli enti e, in ogni caso, legato non alle esigenze del territorio, dell’ambiente e del paesaggio, ma alle intenzioni ed agli interessi trasformativi presenti”.
A dimostrazione di ciò, nella proposta di Legge balza agli occhi l’assoluta mancanza di una strumentazione principale di governo qual è il Piano regolatore il quale, al livello comunale, viene sostituito dal regolamento urbanistico - concepito unicamente come conseguenza operativa e normativa di scelte di natura economica, quando non speculativa - mentre, ai livelli più alti, la pianificazione è ridotta sostanzialmente a quadri di riferimento regionale e provinciale senza alcuna forza né competenza di gestione e regolazione sostanziale.
"Altrettanto grave è, inoltre - come sottolinea Salvatore Granata, componente della segreteria di Legambiente Sicilia - la cancellazione di fondamentali organi di controllo regionale, quale il C.R.U., cancellazione emblematica della volontà di smantellamento degli organigrammi che garantivano un minimo di verifica sul piano tecnico scientifica, ma soprattutto un livello di controllo non direttamente condizionato dagli interessi particolaristici locali". La proposta di Legge, peraltro, non è solo il portato della volontà deregolatrice ma contiene anche gravi errori di natura giuridico-programmatica che, ove ribaditi, troverebbero sicuramente le doverose bocciature di legittimità da parte degli organi di controllo esistenti (a meno che con provvedimenti analoghi non si pretenda di cancellarli).
Per i motivi sovresposti, Legambiente Sicilia richiederà di incontrarsi con urgenza con l’assessore regionale al Territorio e Ambiente, Francesco Cascio, ed invita tutti gli organismi, le associazioni culturali e tecnico professionali a mobilitarsi contro i pericoli contenuti in tale provvedimento. Dal canto suo, Legambiente preannuncia una campagna su tutto il territorio siciliano per l’allargamento della denuncia e della mobilitazione.
Sull'argomento si registra un prezioso intervento dell'urbanista Alberto Ziparo, docente dell'Università di Firenze ed animatore dei Laboratori di Ricerche Territoriali avviati in Sicilia in collaborazione con Legambiente.
Allegato in formato pdf: Intervento di Alberto Ziparo
Link a DDL Sicilia Norme per il governo del territorio, contenente la relazione e il testo dell'articolato in formato .doc, nella versione del 12 giugno 2005
Progetto di legge
Norme per il governo del territorio
RELAZIONE
1. Considerazioni generali
Il progetto di una nuova legge urbanistica, descritto nelle pagine che seguono, offre una risposta alle diverse istanze che, ormai da anni, amministrazioni ed amministrati rivolgono al governo del territorio e che riguardano la necessità che i piani urbanistici, anziché costituire ostacoli per gli uni e per gli altri, giungano a perseguire i loro obiettivi di fondo, che riguardano la bellezza delle città e dei territori, l’efficienza dei sistemi insediativi e delle reti che li servono, l’equità o la giustizia distributiva di beni e servizi di cui i cittadini hanno diritto.
La semplicità di questi concetti deve trovare riscontro nella semplicità di una legislazione che sappia cogliere i predetti obiettivi senza sofisticate, inutili o complesse formulazioni. Questo è il compito che il governo regionale si è dato nel momento in cui ha avviato lo studio di una nuova legge sul governo del territorio e che ha portato a compimento con atteggiamento pragmatico di corretta applicazione alla realtà storico - morfologica, culturale, economica e sociale della Sicilia. Una legge che deve assumere, contemporaneamente, due diverse e – apparentemente – opposte metodologie:
- la prima è conseguente alla legge-quadro che si sta portando avanti, pur con notevole lentezza, a livello nazionale. La nuova legge-quadro abrogherà l’insieme delle leggi urbanistiche nazionali, i cui contenuti “ necessari” dovranno essere recuperati dalle leggi regionali. Sotto questo profilo, pertanto, la legge regionale assume connotato
complesso.
- la seconda riguarda invece la necessità di eliminare, nella legislazione regionale, una serie di norme che inutilmente appesantiscono il quadro normativo, facendolo diventare un insieme di costrizioni ed obblighi che sottendono una concezione della pianificazione di tipo aprioristico, che lascia poco spazio al progetto del piano, alla sua ideazione e immaginazione. In sostanza, da questo secondo punto emerge la opportunità di una legge con connotato semplice.
Semplice e complesso possono tuttavia essere assunti in un unico testo, se per il primo si tratta soprattutto di ridurre all’essenziale e per il secondo di non trascurare tutti i contenuti necessari del sistema della pianificazione. Senza dimenticare il tema del linguaggio, per il quale è essenziale massima chiarezza e semplicità.
Gli obiettivi ed i principi che la nuova legge regionale deve perseguire, nell’attuale situazione, sono:
- coprire il vuoto legislativo che potrà nascere dalla abrogazione delle leggi urbanistiche nazionali (standard, tipologie di piani, salvaguardie, ecc.), conseguente all’approvazione della legge quadro;
- riconsiderare il rapporto fra la Regione e l’ente locale. La Regione ha fino ad ora costituito per l’ente locale un “revisore” degli strumenti pianificatori in termini di giudice severo ed intransigente, soffermandosi spesso su questioni di dettaglio che, occorre riconoscere, riguardano scelte proprie dell’ente locale. Così facendo, peraltro, non si sono conseguiti risultati apprezzabili. Forse si è ottenuta una maggior salvaguardia territoriale, ma tempo è venuto che tale salvaguardia possa considerarsi garantita da “altri” strumenti di livello superiore di competenza, ma pur essi concertati con l’ente locale, per ottenere maggiore efficacia di risultati. Occorre dunque delegare all’Ente Locale, come già avviene in alcune legislazioni regionali, il potere di approvazione degli strumenti urbanistici.
- evitare lo spreco edilizio ed ambientale. La situazione urbanistica regionale pone in campo un grave problema di spreco di risorse, sia ambientali, sia edilizie. Non vi può essere dubbio sul fatto che obiettivo di una nuova legge urbanistica sia evitare tale spreco, nella consapevolezza tuttavia che la legge ha poteri limitati in proposito, mentre sono le scelte politiche, che riguardano i diversi campi culturali, sociali ed economici, che possono limitarlo. Si tratta dunque di un tema la cui soluzione riguarda innanzi tutto una scelta di politica urbanistica che sia condivisa, ma anche un metodo di costruzione del piano che renda prioritario il recupero edilizio.
Il progetto di legge predisposto stabilisce i principi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell’ordinamento comunitario e nazionale e della potestà legislativa della Regione Siciliana. La legge si prefigge obiettivi di governo, gestione, tutela, disciplina dell’uso e delle trasformazioni del territorio, anche nelle sue implicazioni di natura paesistica, si ispira ai principi di sussidiarietà (orizzontale e verticale), sostenibilità ambientale, sociale ed economica, partecipazione alle scelte, flessibilità del piano, semplificazione normativa e procedurale, copianificazione fra piani di settore, concertazione fra attori ed enti territoriali e perequazione.
La proposta tiene conto di alcuni mutamenti intervenuti nel quadro sociale e politico nell’ultimo decennio, considerando in particolare:
a. la necessità di una evoluzione dei processi decisionali verso contenuti flessibili, operativi e di sviluppo sostenibile in un quadro di certezze temporali;
b. il modificarsi del ruolo dei soggetti coinvolti nei processi di trasformazione, soprattutto in relazione ai temi della gestione urbanistica;
c. un mutato ruolo degli attori sociali e delle rappresentanze (imprenditori, sindacati) che sempre più spesso assumono un ruolo propositivo nelle politiche territoriali;
d. una sempre più generalizzata domanda di qualità ambientale e sviluppo sostenibile, anche nella accezione di sostenibilità sociale e politica (partecipazione e condivisione delle scelte).
La “copianificazione” costituisce il presupposto fondamentale per il raccordo con le pianificazioni “separate” (Enti parco, Autorità di bacino, Consorzi ASI, Sovrintendenze e altri soggetti oggi titolari di poteri di pianificazione) che confluiscono in un unico processo di pianificazione, con l’obiettivo di coordinare, attraverso sedi di codecisione e di intese, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione.
Il principio di integrazione dà valenza innovativa al progetto di nuova legge regionale: non si intende in alcun modo affermare che ogni pianificazione di settore debba essere abolita, al contrario gli studi settoriali dovrebbero essere sempre più approfonditi ed articolati: tuttavia essi, nell’assumere la configurazione di piano, debbono convergere (e quindi trovare la loro compatibilità) in un unico piano; quale sia il piano: regionale, provinciale, comunale.
Con ciò, si assicurerà quel livello di coerenza e, alla lunga, di semplificazione amministrativa da tutti auspicato.
Vi è, inoltre, una condizione essenziale che occorre rispettare, e che, a sua volta, ha la capacità di conferire una carica estremamente innovativa alla pianificazione urbanistica: la condizione è che il piano, anziché essere, come è oggi, un documento “chiuso” con il procedimento approvativo, sia una sorta di “ scatola aperta” da cui “togliere” o “immettere” contenuti (come i piani di settore, ad esempio) con procedure semplici anche se controllate.
Il principio del piano “scorrevole” riguarda i tempi del piano, che è uno dei temi più critici dell’attuale sistema di pianificazione. Il piano deve contenere programmi, tempi e fasi di attuazione e va aggiornato periodicamente. La successione delle fasi del piano è inflessibile: non si può procedere ad attuare la fase “due” se la fase precedente non è esaurita. La previsione di opere pubbliche nello strumento urbanistico costituisce criterio obbligatorio per la formazione del programma triennale delle Opere Pubbliche e criterio prioritario prescrittivo nel caso di piano attuativo. Questo legame fra le fonti di finanziamento certe e la fase certa di implementazione del piano è da considerarsi essenziale.
Dal principio della sussidiarietà scaturiscono le maggiori innovazioni apportate al quadro legislativo vigente e, per certi versi, attribuiscono al progetto di legge un profilo di originalità anche rispetto alle più innovative leggi regionali; queste riguardano la possibilità di sostituirsi al soggetto titolare di una funzione di pianificazione da parte del soggetto che opera al livello inferiore, nel caso in cui il primo non eserciti le proprie funzioni nei tempi previsti; l’altra riguarda la possibilità offerta ai Comuni di dotarsi di uno strumento di pianificazione molto semplificato nel caso in cui, attraverso il Piano provinciale, si possano considerare già risolte le questioni relativa alla tutela paesaggistica ed ambientale ed alla strutturazione funzionale complessiva del territorio.
2. Il progetto di riforma urbanistica
Il progetto di legge è articolato in 64 articoli, organizzati in dodici Titoli, che identificano i diversi argomenti trattati. In una prima parte (Titoli I e II) vengono enunciati gli obiettivi, le finalità ed i principi della legge; vengono quindi definite (Titolo III) le strutture tecniche, la cui corretta organizzazione, in un rapporto sinergico ai diversi livelli regionale, provinciale e comunale, costituisce condizione essenziale per il raggiungimento delle finalità della legge e per garantire una piena efficacia della azione amministrativa di governo del territorio.
Il corpo centrale del provvedimento ( Titoli IV, V, VI; VII ed VIII) è dedicato alla definizione dei contenuti tecnici e normativi dei diversi strumenti di pianificazione dei quali dovranno avvalersi la Regione, le Provincie ed i Comuni ed alla precisazione dei relativi procedimenti formativi.
Nei Titoli IX e X, con specifico riferimento agli strumenti urbanistici comunali, è affrontata la problematica delle dotazioni territoriali (standard urbanistici) e sono descritte le modalità di gestione del piano; infine gli ultimi due titoli contengono norme atte a regolare la fase di transizione dalla attuale sistema normativo a quello progettato e norme abrogative e finali.
Il progetto di legge è aperto da una chiara definizione degli obiettivi che la nuova legge deve porsi (articoli 1 e 2), riferibili alla promozione di uno sviluppo del territorio ordinato e sostenibile, in una ottica di valorizzazione e miglioramento delle qualità ambientali, architettoniche, culturali e sociali della città e del territorio e della qualità della vita dei cittadini.
Nel Titolo II sono dapprima (articoli da 3 a 10) enunciati i principi generali sui quali deve fondarsi la attività di gestione urbanistica del territorio e successivamente (articoli da 11 a 13) sono definiti i fondamentali strumenti procedurali per attuarli.
Secondo tali disposizioni, il governo del territorio è attività amministrativa che deve assumere i seguenti principi guida:
1) sussidiarietà: principio che regge il rapporto fra gli enti di governo del territorio; è di tipo verticale per quanto concerne la delega delle competenze delle attività amministrative agli Enti locali più vicini ai cittadini, e di tipo orizzontale per quanto riguarda la valorizzazione ed ampliamento degli spazi di libertà e di responsabilità dei cittadini rispetto al ruolo delle istituzioni.
In sostanza si vuole affermare che il sistema piramidale regione/provincia/comune deve essere sostituito interamente dal criterio di sussidiarietà e che, allo stesso modo, è rapporto fra gli enti decentrati dello Stato e della Regione, e gli altri enti (Provincia, Comune) devono essere improntati dallo stesso criterio.
2) sostenibilità: di natura ambientale, sociale ed economica; ciò significa che il principio di sostenibilità in ogni atto pianificatorio deve essere riconosciuto nei contenuti. In particolare deve essere assicurato il recupero del patrimonio edilizio esistente e dimostrata la minimizzazione del consumo di suolo, oltre che la piena salvaguardia paesistico/ambientale. La sostenibilità economica del piano deve essere assicurata attraverso un preciso raccordo del piano con il programma triennale delle opere
pubbliche.
3) partecipazione: per ogni livello di pianificazione si deve garantire una procedura che consenta a tutti i cittadini, singoli o facenti parte di associazioni di interesse collettivo di partecipare al processo decisionale di piano con propri contributi. La procedura partecipativa deve essere un preciso contenuto dello strumento stesso.
4) concertazione: regola i rapporti fra gli enti territoriali e l’ente di pianificazione e i rapporti fra i diversi soggetti portatori di interessi propri e l’ente di pianificazione, dando priorità all’interesse collettivo.
5) semplificazione: riguarda sia la necessità di contenere i tempi del piano, sia la necessità di uno snellimento della procedura, nonché la semplificazione del linguaggio normativo.
6) flessibilità del piano: riguarda metodo e contenuto degli strumenti di pianificazione. Un piano è flessibile quando non si rende necessaria la procedura di variante in numerosi casi di adattamento, nel tempo e nello spazio, delle previsioni di piano. In particolare, se il piano, nella distribuzione delle destinazioni d’uso sul territorio, stabilisce un’ampia gamma di compatibilità di destinazioni d’uso, si ottiene esattamente un livello adeguato di flessibilità; compatibilità significa indifferenza di scelta all’interno di una gamma prefissata, che può essere anche regolata da percentuali di presenza di una specifica destinazione massima e minima.
7) perequazione: principio in ordine al quale gli interessi dei diversi soggetti coinvolti nel governo del territorio sono posti in condizione di equità. Uno dei modi per ottenere tale risultato è certamente quello del comparto edificatorio in cui i soggetti proprietari risultano indifferenti alle destinazioni pubbliche e/o private del suolo, godendo degli stessi diritti e doveri. Perequazione è anche equidistribuzione delle possibilità di trasformazione urbanistica nel territorio secondo “pesi” e densità equitative.
Per attuare tali principi gli strumenti procedurali fondamentali sono le conferenze e gli accordi di pianificazione e gli accordi di programma. La conferenza di pianificazione in particolare (articolo 11) diventa la procedura ordinaria per la approvazione di tutti gli strumenti urbanistici, nel caso in cui occorra acquisire il consenso di diverse amministrazioni pubbliche.
Soggetti fondamentali per la corretta attuazione dei principi enunciati sono le strutture tecniche per il governo del territorio di cui dovranno avvalersi Regione, Provincie e Comuni. La loro costituzione ed il loro funzionamento sono dettagliatamente normati nel Titolo III (articoli da 3 a 10).
Per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione la proposta di legge prevede tre distinti livelli:
Nel Titolo IV (articoli da 22 a 27) è trattato il tema della Pianificazione Regionale, che si avvale dello strumento del Piano Territoriale Regionale (PTR).
Il Piano Territoriale Regionale (articoli 22-25) si configura essenzialmente come strumento di carattere strategico che definisce le finalità generali, gli indirizzi e le scelte in materia di governo del territorio a scala regionale; attraverso tale strumento la Regione si lascia alle spalle il ruolo di mero controllore delle scelte di pianificazione dei comuni, per divenire soggetto attivo della pianificazione. Coerentemente con quanto previsto dal Documento di Programmazione Economica e Finanziaria Regionale, il P.T.R. indica gli elementi essenziali del proprio assetto territoriale e definisce altresì, in coerenza con quest’ultimo, i criteri e gli indirizzi per la redazione degli atti di programmazione territoriale di Province e Comuni.
Il PTR è redatto dall’Ufficio della pianificazione territoriale regionale, istituito presso il Dipartimento regionale dell’urbanistica dell’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente (ARTA), che ha il compito di formare, gestire e aggiornare il piano, operando in connessione con il SITR, nonché con gli altri rami dell’amministrazione regionale interessati. Il Piano è formato attraverso un confronto continuo con gli enti locali, con gli altri rami della Amministrazione regionale, con gli altri Enti regionali, con le associazioni sociali, culturali, ambientaliste, professionali e sindacali e con i soggetti istituzionali responsabili/rappresentanti di iniziative di programmazione negoziata e di programmi complessi operanti nel territorio regionale. Il Piano definitivo è adottato dalla Giunta regionale e approvato dalla stessa Giunta previo parere delle competenti commissioni legislative dell’ARS.
Nel contesto della disciplina del Piano Territoriale Regionale, va sottolineata l’introduzione di un nuovo strumento: il Piano Territoriale Regionale d’Area (articoli 26-27)pensato in riferimento ad aree vaste che siano complessivamente interessate da opere, interventi o utilizzazioni aventi rilevanza regionale. Attraverso i PTRA possono approfondirsi, a scala di dettaglio adeguata, gli obiettivi socio-economici, le opere infrastrutturali e gli interventi di ripristino ambientale, già delineati a livello strategico nel PTR, e possono dettarsi prescrizioni puntuali e coordinate riguardanti l’assetto del territorio interessato, anche con riferimento alle previsioni insediative, al regime vincolistico e alla disciplina attuativa degli interventi sul territorio stesso.
Per la risoluzione di particolari problematiche territoriali emergenti e per finalità di riqualificazione urbanistico-ambientale i PTRA possono essere redatti anche in assenza del PTR, specificando linee guida che potranno successivamente essere sviluppate attraverso la redazione di piani urbanistici attuativi riguardanti ambiti individuati, anche intercomunali.
L’introduzione di tale strumento consentirà, ad esempio, di affrontare in termini radicalmente nuovi i gravi problemi posti dalla diffusione di pratiche di edilizia abusiva in ambiti di particolare interesse paesaggistico, ambientale ed economico (aree costiere, aree naturali protette, centri storici), ovvero in ambiti con particolari connotazioni funzionali e sociali (aree periurbane), avviando processi di riqualificazione condivisi e sostenibili sotto il profilo ambientale ed economico.
Il Titolo V (articoli da 28 a 31) definisce lo strumento del Piano Territoriale Provinciale (PTP), attraverso il quale la Provincia regionale assume un ruolo, sin qui inedito, di protagonista della pianificazione territoriale ed urbanistica.
Il Piano Territoriale Provinciale (PTP) è strumento di carattere essenzialmente strutturale e di coordinamento della pianificazione comunale, che definisce - anche in termini di regolamentazione degli usi del suolo – gli indirizzi e gli orientamenti strategici del Piano Territoriale Regionale (PTR), nonché le scelte e le indicazioni funzionali alle azioni concrete di trasformazione e di governo del territorio a scala provinciale. In quanto strumento di carattere strutturale, il PTP persegue l’obiettivo della costruzione di un quadro conoscitivo completo delle risorse, dei vincoli e del patrimonio pubblico e demaniale, che costituisce un riferimento vincolante per la pianificazione comunale. Il PTP costituisce il sistema di verifica delle coerenze e di riferimento strategico tra gli altri strumenti di pianificazione territoriale, generale o di settore, e urbanistica, generale operativa o attuativa, e quelli di programmazione dello sviluppo economico e sociale provinciale.
Il PTP - in quanto strumento di coordinamento attuativo delle iniziative di tutela attiva del sistema delle risorse culturali e naturalistiche - assume efficacia di piano paesistico-ambientale ai sensi della D.Lgs. 22.01.2004 n. 41.
Per la localizzazione delle infrastrutture per la mobilità e di altre attrezzature di interesse sovracomunale il PTP ha efficacia prescrittiva e prevalente sugli strumenti urbanistici comunali.
Il PTP è redatto dall’Amministrazione della Provincia regionale competente, tramite l’Ufficio della pianificazione territoriale provinciale; il Piano, redatto sulla base di specifiche Direttive predisposte dalla Giunta provinciale, è adottato dalla stessa Giunta previo parere favorevole di una conferenza di pianificazione convocata dal Presidente della Provincia con la partecipazione dell’ARTA, la Soprintendenza BB.CC.AA. competente, l’Ufficio del Genio Civile, i Comuni e gli eventuali Enti di gestione di parchi, riserve e/o aree protette interessati, eventuali consorzi e unioni di Comuni o Provincie, nonché i soggetti portatori di interessi costituiti in materia ambientale.
Il Piano, dopo la pubblicazione, è approvato dal Consiglio provinciale con le eventuali proposte di modifica richieste dalle osservazioni/opposizioni e ritenute accoglibili.
Il PTP va aggiornato per le parti di vincolo sul regime proprietario dei suoli ogni cinque anni.
Nei Titoli VI – VII ed VIII (articoli da 32 a 41) è trattato il tema della Pianificazione comunale, che si avvale di un insieme diversificato di strumenti urbanistici.
Strumento principale della attività di pianificazione comunale è il Piano Urbanistico Comunale (PUC) (articoli da 32 a 35), strumento di carattere operativo che specifica, in termini di regolamentazione degli usi del suolo, le scelte e le indicazioni del Piano Territoriale Provinciale (PTP) e ne assicura l’attuazione.
I contenuti del Piano Urbanistico Comunale hanno carattere vincolante e producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli. Il Piano ha una validità di dieci anni, ed è sottoposto obbligatoriamente a revisioni ogni cinque anni in relazione alla decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione, e comunque quando se ne ravvisi la necessità.
Per la redazione del PUC l’Amministrazione comunale si avvale di un Ufficio del piano appositamente costituito, ma può consorziarsi con altri comuni al fine di procedere alle attività di pianificazione in forma coordinata.
Al fine di assicurare il rispetto dei tempi di formazione ed approvazione tutto il procedimento è guidato e monitorato da un Responsabile che ha il compito di assicurare al pubblico adeguata conoscenza delle varie fasi del procedimento e delle scelte adottate dall’Amministrazione, nonché di segnalare all’Amministrazione eventuali disfunzioni, impedimenti o ritardi nel processo di formazione del piano, di fornire i dati e le informazioni relativi alle fasi di svolgimento del procedimento stesso e di convocare la Conferenza di pianificazione. Il parere espresso dalla Conferenza di pianificazione, ratificato in uno specifico Accordo di programma, sostituisce ogni altro parere previsto da leggi statali e regionali.
Il Piano è adottato dal Consiglio comunale ed approvato dallo stesso Consiglio; con la delibera di approvazione il Consiglio decide sulle osservazioni presentate dai cittadini durante la fase di pubblicazione.
Una disposizione di notevole rilievo, e che potrà dare un contributo risolutivo ad una problematica che ha sinora ostacolato il processo di formazione dei piani urbanistici, è quella che consente ai consiglieri di partecipare alle sedute consiliari nelle quali si delibera l’adozione del piano, prescindendo dalla verifica di compatibilità di cui al vigente ordinamento amministrativo, nel caso in cui con la delibera di adozione non venga modificato in maniera sostanziale l’Accordo di pianificazione sottoscritto dalla Amministrazione.
Nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale il Comune può procedere alla formazione ed approvazione del PUC anche quando il PTP non sia ancora approvato; in questo caso però deve allegare al proprio strumento urbanistico un documento di piano strutturale (DPS) (articolo 35) che assume i contenuti del PTP riferiti all’ambito del territorio comunale interessato.
Le previsioni del documento di piano strutturale hanno validità a tempo indeterminato e devono essere recepite dalla Provincia in sede di formazione del piano territoriale provinciale.
Una tra le innovazioni più significative del progetto di riforma riguarda la possibilità offerta ai comuni di fare a meno del PUC e di dotarsi in alternativa di un semplice regolamento urbanistico ed edilizio (articolo 40). Tale possibilità, che comunque riguarda esclusivamente i comuni che dovranno essere specificatamente individuati nel PTR, scaturisce dal ruolo strutturante assegnato dalla stessa legge al PTP, che consente di considerare già risolte a livello provinciale le questioni relativa alla tutela paesaggistica ed ambientale ed alla strutturazione funzionale complessiva del territorio.
Per disciplinare, a livello di dettaglio, parti del territorio comunale nelle quali si debba procedere alla realizzazione di interventi disposti dal PUC e/o dal PTP e per le quali il PUC non assuma contenuti attuativi, i Comuni o i privati possono avvalersi dei Piani Urbanistici attuativi (PUA) (articoli 36 – 38).
I PUA, sia d'iniziativa pubblica che d’iniziativa privata, devono essere sempre economicamente fattibili ed avere attuazione certa. I PUA impegnano il soggetto promotore e decadono dopo un termine, non superiore a cinque anni dalla data di approvazione, prorogabile di altri cinque anni, stabilito nello stesso piano in relazione alla complessità degli interventi da realizzare ed alle risorse economiche da attivare
I contenuti dei PUA variano in relazione alle diverse caratteristiche del territorio interessato ed ai diversi obiettivi che si prefiggono di raggiungere. Devono comunque sempre contenere un piano finanziario nel quale siano precisati i costi dell’intervento e indicate le risorse economiche.
I PUA sono adottati e approvati dal Consiglio comunale con le procedure previste per l’approvazione del PUC.
Il Titolo IX affronta il tema degli standard urbanistici, in termini aggiornati rispetto al quadro normativo vigente (articoli da 42 a 46).
Lo standard è definito infatti, oltre che attraverso la tipologia e la quantità delle aree per le infrastrutture e i servizi pubblici e/o di interesse pubblico e/o di uso pubblico, anche attraverso le loro caratteristiche prestazionali, in termini di accessibilità, di piena fruibilità e sicurezza per tutti i cittadini di ogni età e condizione.
Al tradizionale standard, riferito ai servizi ed alle attrezzature, che viene definito di qualità urbana, si aggiunge poi lo standard di qualità ambientale, che attiene alla limitazione del consumo delle risorse non rinnovabili e alla prevenzione dagli inquinamenti; alla realizzazione di interventi di riequilibrio e di mitigazione degli impatti negativi determinati dall'attività umana; al potenziamento delle dotazioni ecologiche e ambientali.
Al fine di garantire tali standard gli strumenti urbanistici devono prevedere un sistema di dotazioni territoriali costituito da infrastrutture per l'urbanizzazione degli insediamenti; attrezzature, servizi e spazi collettivi, dotazioni ecologiche e ambientali.
Particolare rilievo ha la innovazione riguardante le dotazioni ecologiche e ambientali del territorio (articolo 46), che sono costituite dall'insieme degli spazi, delle opere e degli interventi che concorrono a migliorare la qualità dell'ambiente urbano, mitigandone gli impatti negativi. Le dotazioni sono finalizzate in particolare:
a) alla tutela e al risanamento dell'aria e dell'acqua e alla prevenzione dall’ inquinamento;
b) alla riduzione dell'inquinamento acustico ed elettromagnetico;
c) al mantenimento della permeabilità dei suoli, al riequilibrio ecologico dell'ambiente urbano e alla costituzione di reti ecologiche di connessione;
d) alla raccolta differenziata dei rifiuti.
Gli strumenti urbanistici comunali dovranno stabilire, per ciascun ambito del territorio comunale, il fabbisogno di dotazioni territoriali, tenendo conto delle eventuali carenze pregresse, presenti nel medesimo ambito o nelle parti del territorio comunale ad esso adiacenti, nel rispetto dei parametri quantitativi e prestazionali che saranno definiti in specifici atti di indirizzo e coordinamento regionali e sulla base delle indicazioni contenute nel PTP.
Il Titolo X (articoli da 47 a 53) è interamente dedicato alla attuazione del piano urbanistico comunale.
L’articolato recepisce sostanzialmente le disposizioni contenute nel progetto di legge quadro nazionale, che a sua volta raccoglie, coordinandoli in un unico quadro normativo, vari istituti per la attuazione dei piani urbanistici, alcuni dei quali di antica origine, come i comparti edificatori, altri di recente introduzione, quali le Società di Trasformazione Urbana, riconducendo la loro utilizzazione al comune obiettivo di assicurare il rispetto di esigenze unitarie nella realizzazione degli interventi, nonché un’equa ripartizione degli oneri e dei benefici tra i proprietari interessati.
Innovativa, anche rispetto al testo di legge nazionale, è la possibilità, offerta dall’articolo 49, di utilizzare la applicazione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) come strumento utile al fine di una corretta applicazione degli strumenti perequativi e compensativi e in generale per creare le condizioni ottimali per un’efficace gestione del piano.
Di particolare rilievo va considerata la disposizione, anch’essa innovativa, che consente di attuare un comparto edificatorio tramite un Progetto Norma, con la finalità di garantire un miglior risultato qualitativo del progetto architettonico complessivo (articolo 48). Il Progetto Norma disegna in scala di dettaglio l’intero comparto e contiene norme di natura indicativa e prescrittiva che riguardano gli elementi inflessibili del progetto del comparto, con riferimento alla ripartizione fra le aree ove si concentra l'edificazione e quelle da cedere al Comune per la realizzazione di pubblici servizi. All'intero comparto regolamentato con progetto norma (PN) è attribuito un indice di edificabilità riferito alla superficie lorda utile (SLU) che deriva dalle scelte perequative adottate nel piano. Altre norme di progetto potranno essere introdotte, purché finalizzate al miglioramento della qualità architettonica.
Per quanto concerne la regolamentazione della attività edilizia, l’articolo 53 impegna l’Amministrazione regionale ad emanare, entro centoventi giorni dell’entrata in vigore della legge urbanistica, norme di recepimento del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, raccordandole con quelle contenute nella proposta di legge.
Nel titolo XI (articoli da 54 a 56) sono elencate le Norme legislative da abrogare in quanto contrastanti o, comunque, incompatibili con la nuova legge. Tra le leggi abrogate, oltre quelle fondamentali regolanti la materia urbanistica, anche tutte quelle che determinano vincoli di varia natura nel territorio regionale, fatto salvo il regime transitorio più avanti definito.
Una particolare esplicitazione è dedicata alle Commissioni edilizie comunali, che vengono abolite, così come il Consiglio regionale dell’Urbanistica.
Infine l’ultimo Titolo detta le norme transitorie e finali (articoli da 57 a 64), alle quali è affidato il compito di regolamentare la delicata fase di passaggio dal vecchio al nuovo regime legislativo. In particolare i primi articoli definiscono le procedure da seguire per la conclusione dei procedimenti approvativi in corso alla data di approvazione della legge. Vengono poi definite (articolo 60) particolari misure di salvaguardia atte a regolamentare la fase di avvio dei procedimenti di formazione dei nuovi strumenti urbanistici, disponendo che, nelle more della approvazione dei Piani aventi valenza strutturale quali i PTP, i Documenti di piano strutturale allegati ai PUC, ovvero i PTRA nei casi previsti, rimangano in vigore i vincoli di inedificabilità e i limiti stabiliti ai sensi delle leggi in atto vigenti. Al fine di sollecitare la formazione dei nuovi piani strutturali è poi previsto un regime di inasprimento di alcuni vincoli e sono posti nuovi limiti alla attività edilizia nel caso in cui tali piani non vengano approvati entro due anni dall’entrata in vigore della legge. Tali vincoli decadranno con la approvazione del relativo piano strutturale.
Concludono il progetto di legge alcune disposizioni finali, tra le quali particolare significato assume quella (articolo 59) che assegna all’ARTA il compito di predisporre, di concerto con gli Assessorati ai BB.CC.AA. e P.I., all’Agricoltura e Foreste, al Turismo e Trasporti, al Commercio, Pesca e Cooperazione, all’Industria e ai Lavori Pubblici, un regolamento per la attuazione del coordinamento territoriale al fine di avviare, in maniera coordinata e condivisa, le procedure di formazione del Piano Territoriale regionale, nonché quella (articolo 62) che assegna allo stesso Assessorato al Territorio ed Ambiente il compito di emanare, entro un anno dalla entrata in vigore della legge, i relativi Regolamenti attuativi della nuova legge.
La patata bollente del riordino delle coste passerà in mano ai Comuni, che con propri piani particolareggiati decideranno autonomamente cosa fare delle costruzioni realizzate entro i 150 metri dalla battigia. Le coop edilizie in graduatoria non dovranno più aspettare decenni per costruire dopo il finanziamento da parte della Regione: se nel Comune oggetto della richiesta ci sarà una comprovata necessità di costruire nuovi alloggi, la concessione edilizia arriverà in tempo record. E anche l´interminabile balletto di competenze e approvazioni incrociate tra Comuni e Regione per l´approvazione dei piani regolatori sarà un ricordo: il Comitato regionale per l´Urbanistica andrà in pensione, e al suo posto Comuni, Province e Regione approveranno le norme urbanistiche con semplici conferenze di servizi. Sono le novità sostanziali della nuova legge urbanistica che ha predisposto Francesco Cascio, assessore regionale al Territorio, e che si trova ai primi posti dell´agenda legislativa dell´Ars, che dovrebbe vararla entro l´estate. Il comitato unitario delle professioni tecniche esaminerà la norma la prossima settimana, e avrà 15 giorni di tempo per esprimere le proprie controdeduzioni. Dopo di che, la legge andrà all´approvazione della giunta.
«È la prima legge urbanistica che si scrive in Sicilia dal 1978 - spiega l´assessore Cascio - e il primo obiettivo che intende raggiungere è quello di snellire le procedure, accelerando i tempi burocratici oggi giganteschi, garantendo l´uniformità dell´espansione urbanistica e assicurando un maggiore controllo del territorio. La competenza urbanistica è suddivisa in tre grandi livelli, regionale, provinciale e comunale. I sindaci neo eletti avranno sei mesi di tempo per decidere se adottare un nuovo piano regolatore o accettare le norme urbanistiche vigenti. Ma soprattutto ci sarà una pianificazione locale decisamente più fluida e più aderente ai fabbisogni del territorio, che eliminerà il rischio di duplicare opere impegnative in Comuni confinanti. Alla Regione resterà il compito di delineare i grandi scenari, mentre gli enti locali avranno competenza operativa nella pianificazione, che avverrà in sede di conferenza di servizi, e sarà dunque infinitamente più agile».
I Comuni potranno così pianificare in base alle proprie esigenze commerciali, abitative, di mobilità e di servizi. Ma nel caso in cui - per esempio - due Comuni confinanti prevedessero la realizzazione di un´opera impegnativa come un palasport, l´anomalia sarebbe corretta nel piano provinciale. «Questo avverrà anche con l´edilizia scolastica - spiega Cascio - e con quella destinata ai servizi pubblici in genere. In Sicilia ci sono situazioni complesse, come per esempio nei Comuni della fascia pedemontana etnea, dove i confini tra i Comuni non hanno soluzione di continuità. In situazioni come quelle, o nelle aree metropolitane, la pianificazione è molto complessa. Così diventerà invece molto più semplice». Infine la questione del riordino delle coste, che doveva essere oggetto di specifica legge ma che la norma invece contempla in un articolo: a determinare la sorte delle costruzioni realizzate entro i 150 metri dalla costa saranno i Comuni, con propri piani particolareggiati, nei quali potrà anche essere prescritta l´eventuale demolizione. A non rimanere del tutto convinti sono gli urbanisti. «Per velocizzare realmente l´iter dei piani regolatori - dice Teresa Cannarozzo, docente universitaria e presidente della sezione siciliana dell´Associazione nazionale centri storici artistici - basterebbe che l´Ars approvasse due articoli di legge. Uno che proibisce ai Comuni di rilasciare concessioni edilizie durante la redazione di piani regolatori, un altro che vieti l´approvazione delle lottizzazioni. Basterebbe questo a evitare che i piani siano trascinati per decenni e che, una volta adottati, trovino il territorio completamente stravolto. In ogni caso, al di là delle considerazioni, la Sicilia sta cercando di mettersi al passo con le altre regioni, che si stanno dotando tutte di proprie leggi urbanistiche. L´importante sarà poi applicarle fino in fondo».