«Nuova finanza pubblica . Si utilizza lo shock del debito per scaricarne i costi sugli enti locali e sulle comunità territoriali allo scopo di costringerle alla privatizzazione dei beni comuni». il manifesto 29 aprile 2017 (c.m.c.)
L’attacco alla funzione pubblica e sociale degli enti locali prosegue senza soluzione di continuità. D’altronde, è nella disponibilità dei Comuni la ricchezza sociale cui da tempo mirano i grandi interessi finanziari e immobiliari: territorio, patrimonio pubblico, beni comuni e servizi.
Una ricchezza, quantificata a suo tempo dalla Detsche Bank in 571 miliardi di euro, da mettere sul mercato attraverso la trappola del debito e la gabbia del patto di stabilità e del pareggio di bilancio.
Che il debito per i Comuni sia una trappola risulta evidente da un dato: nonostante l’apporto degli stessi al debito complessivo del paese non superi il 2% (dati Anci 2017), il contributo richiesto ai Comuni – tra tagli ai trasferimenti e patto di stabilità – è passato dai 1.650 miliardi del 2009 ai 16.655 miliardi del 2015 (dati Ifel 2016). Ovvero, si utilizza lo shock del debito per scaricarne i costi sugli enti locali e sulle comunità territoriali allo scopo di costringerle alla privatizzazione dei beni comuni.
Un dato è ulteriormente significativo: la spesa per il servizio al debito – gli interessi – copre in media il 12% della spesa corrente dei Comuni, con punte del 25% negli enti locali medio-piccoli. Si riducono drasticamente i servizi, in particolare alle fasce deboli della popolazione, per onorare con inusitata efficienza le date di scadenza degli interessi sul debito.
Senza porsi almeno due domande fondamentali. La prima: perché gli interessi sul debito continuano a essere così alti quando il costo del denaro per il sistema bancario è a tasso quasi negativo? Si dirà: sono mutui contratti molto indietro nel tempo e dunque con tassi di interesse non attuali. Logica dunque vorrebbe che gli enti locali, invece di pagare interessi da usura sottraendo risorse agli abitanti delle comunità, si ribellassero collettivamente e chiedessero una drastica ristrutturazione dei mutui contratti.
La seconda: perché se la grandissima parte dei mutui è stata contratta con Cassa Depositi e Prestiti, non si richiede con forza un intervento del governo che riporti Cdp alla sua vecchia funzione, ovvero quella di utilizzare il risparmio postale per finanziare gli investimenti degli enti locali a tassi agevolati? Si dirà: perché Cdp nel frattempo è diventata una società mista pubblico-privata (con all’interno le fondazioni bancarie) ed opera come un soggetto di mercato. Logica dunque vorrebbe che si rivedesse radicalmente quella scelta nefasta.
Niente di tutto questo sta avvenendo. Al contrario, ecco la grande novità contenuta nella «manovrina» in discussione in Parlamento: arrivano gli sponsor.
I Comuni non possono assumere personale? Bene, se trovano uno sponsor privato che ne paga lo stipendio potranno farlo. Naturalmente, «senza pregiudicare le funzioni primarie degli enti locali, ma solo per prestazioni aggiuntive» si precisa. Ora, a parte l’utilizzo della funzione lavorativa pubblica come operazione di marketing commerciale, sappiamo bene come, abbassata anche questa asticella della soglia d’ingresso ai privati, sarà un attimo saltarla e privatizzare la gran parte delle prestazioni lavorative comunali.
Viene spontanea una domanda finale: se tutti i servizi pubblici sono stati privatizzati attraverso le Spa e se si iniziano a privatizzare persino le prestazioni lavorative comunali, a che serviranno i sindaci? Niente paura, a loro hanno già pensato Minniti e Orlando: una stella sul petto, un vigile urbano con pistola nella fondina al fianco, e via per la città alla ricerca di mendicanti, marginali, profughi o semplicemente poveri. D’altronde, è il «decoro» la vera funzione pubblica e sociale dei Comuni.
Finché non tornerà soffiare, territorio per territorio, la ribellione.
Continua a trasformarsi in Italia il sistema dei poteri: è la volta dell'unificazione di due monopoli privati, le ferrovie e le strade. Un pezzo alla volta si costruisce un nuovo Leviatano: la differenza è che è privato, non pubblico. la Repubblica online, 13 aprile 2017, con postilla
Un altro snodo fondamentale per il buon esito del matrimonio è che la norma permetta alla nuova entità di rimanere al di fuori del perimetro della Pubblica amministrazione, in modo da non sovraccaricare il debito che verrà contratto per gli investimenti sul bilancio dello Stato. Perché ciò sia assicurato, serve il placet di Eurostat (che “bollina” i grandi numeri del bilancio pubblico) ma sembra che su questo fronte siano arrivate le sufficienti rassicurazioni.
Con l'operazione, il nuovo soggetto avrebbe un fatturato di 10 miliardi di euro, una capacità di investimenti di 7 miliardi di euro e immobilizzazioni per circa 60 miliardi di euro Il nuovo soggetto avrebbe inoltre 75 mila dipendenti e 41 mila chilometri di reti gestite.
postilla
I liberali veri (alla Luigi Einaudi, se questo nome dice qualcosa agli abitanti di questo secolo) avevano idee molto chiare sulla concorrenza, sui servizi pubblici e sul monopolio. In sintesi, se c’era un bene o un servizio che non poteva non essere gestito in regime di monopolio (come una risorsa naturale scarsa e rara, o un servizio pubblico essenziale) il monopolio non doveva essere lasciato in mano a privati, ma doveva essere della nazione (dello Stato). Non sostenevano questo per ragioni ideologiche nè ideali, né parchè fossero “di sinistra”, ma per ragioni strettamente economiche: se un monopolio è in mano a privati la loro posizione li indurrà fatalmente a estorcere ai consumatori una “rendita”, cioè un sovrapprezzo, possibile grazie non a un’attività imprenditiva, ma solo alla loro posizione dominante. I liberali alla Einaudi si riferivano a singoli settori dell’attività di produzione o di servizio: per esempio, le ferrovie, o le comunicazioni telegrafiche ma oggi si parla d’altro: dell’unificazione di due grandi monopoli già privati: le ferrovie e le strade.
La decisione del governo Gentiloni è efficacemente sintetizzata dai due giornalisti quando affermano candidamente che «lo snodo fondamentale per il buon esito del matrimonio è che la norma permetta alla nuova entità di rimanere al di fuori del perimetro della Pubblica amministrazione». Ora la “nuova entità" è l’unificazione d due settori portanti delle comunicazioni terrestri, già debitamente privatizzati. Non è necessario galoppare con la fantasia per comprendere quali legami si costituiranno con il trasporto aereo e marino, con le telecomunicazioni via etere, le radioteletrasmissioni, gli altri rami della formazione e informazione, e poi giù giù fino alla salute e all’assistenza
L’immagine hobbesiana del Leviatano si affaccia prepotente, ma senza la correzione della democrazia rappresentativa. Il “sovrano” che dominerà ogni cosa non sarà il risultato di un pur insufficiente sistema istituzionale basato sul voto degli elettori, ma un gruppo di una ventina di persone sconosciute che da un un nuovo Olimpo collocato nella “infrastruttura globale” decidono giorno per giorno come deve svolgersi la vita quotidiana della moltitudine di cui facciamo parte.
«L’affermarsi di concetti quali “pianificar facendo” delegittimava fino al sospetto di ideologismo il tecnico legato ai valori del territorio. Oggi le evidenti difficoltà del campo richiedono un “passaggio di fase”». La città invisibile, 25 gennaio 2017 (c.m.c.)
1.1 La recente ripresa di interesse sul campo elaborativo “particolare” costituito dalla penetrazione e dai condizionamenti della criminalità organizzata su politiche e pratiche urbanistiche e territoriali si può collegare certo agli studi diversificati che stanno osservando le crescenti distorsioni dei processi di governance della cosa pubblica (Gallino, 2012; Bevilacqua, Agostini, 2016; Barbieri, Giavazzi, 2014).
Tra gli effetti spaziali, possono annoverarsi i frequenti episodi di corruzione che stanno caratterizzando la gestione di progetti e programmi territoriali, specie nel nostro paese. Non solo per quanto riguarda i continui scandali che investono e stravolgono il comparto delle grandi opere, ma più in generale per le contraddittorie problematicità che segnano molte attività di trasformazione dell’uso dello spazio.
Tutto ciò può significare un sostanziale fallimento di azioni e strategie tipiche della fase precedente di “urbanistica concertata”, contrassegnata spesso dalla presenza di piani tanto “straordinari e complessi” quanto sovente “singolari ed anomali”. Ciò che può evidenziarsi non solo dagli effetti ambientali, in termini di consumo di suolo, distruzione di paesaggio, inquinamenti crescenti, perdita di funzioni territoriali essenziali, e da quelli economico-finanziari, per spreco di risorse e indebitamenti fino al default dei soggetti gestori; ma anche dalla presenza pressoché costante, di fenomeni di corruttela.
Altre discipline, dalla sociologia agli studi giuridici e politici, hanno evidenziato come elemento distintivo (Barbieri, Giavazzi, cit.; Sciarrone, 2009; Mattei, 2013) assai frequente nella distorsione della governance la presenza di criminalità organizzata, mafia ‘ndrangheta o camorra a seconda delle diverse realtà regionali italiane. Si tende sovente a “esasperare le semplificazioni” delle procedure di gestione, fino all’illegittimità e appunto all’illegalità, segnate da rilevanti processi di corruzione, ma spesso concertati con quegli interessi “speculativi speciali” rappresentati dalle soggettività citate.
1.2 La problematicità delle vicende urbanistiche della fase ha contribuito a rilanciare oggi le concezioni più legate alle dimensioni “etiche e valoriali” dell’urbanistica (Magnaghi, 2010; Berdini, 2011; Salzano, 2003), che sembravano di recente riposte sullo sfondo dalle capacità pragmatiche della governance. L’affermarsi di concetti quali “pianificar facendo” o “piano come trading zone” delegittimava fino al sospetto di ideologismo il tecnico legato ai valori del territorio. Oggi le evidenti difficoltà del campo richiedono un “passaggio di fase” o come si diceva un tempo un “cambio di paradigma”: nuovi approcci, contenuti, linguaggi. Con la difficoltà ulteriore dell’accentuarsi di un certo ritardo istituzionale, che ne esaspera gli aspetti critici; specie nel cogliere limiti e contraddizioni di approcci e prospezioni affermatesi nel passato recente, e quindi nella capacità di individuare i momenti per una svolta (Magnaghi, cit.; Bevilacqua, 2011).
Peraltro non sono solo l’analisi di campo e le dialettiche disciplinari a favorire l’elaborazione sulla “deterritorializzazione di stampo mafioso”; anche vicende che hanno contrassegnato le pratiche professionali dell’urbanistica spingono in tale direzione. I problemi di tecnici operanti nelle zone storicamente “ad alta densità criminale”, come quelli di coloro che esercitano nelle aree – anche settentrionali – di penetrazione più recente, sono passati dalla cronaca giudiziaria alla pubblicistica specifica (De Leo, 2015). Qualche tempo fa il caso di Marina Marino, professionista di consolidata expertise nella “bonifica” e nell’amministrazione di enti territoriali a forte rischio di presenza criminale – o addirittura di comuni sciolti per mafia –, ha scosso tra gli altri, una parte della comunità disciplinare (Cornago, 2014) e favorito ulteriore allargamento ed approfondimento del lavoro su tale terreno.
1.3 Oggi questo filone elaborativo presenta intenso fermento: ricerche tipiche di sede si coordinano fino a formare Osservatori di livello nazionale. La pubblicistica disciplinare dedica crescente spazio al tema. I dottorati – oltre che le tesi di laurea – che continuano ad essere sensori delle traiettorie innovative della ricerca, dedicano attenzione ad esso. Peraltro, seppure con molta discontinuità e spesso senza la necessaria tensione, la questione dei condizionamenti della criminalità organizzata rispetto alle pratiche è presente nell’elaborazione urbanistica da più di una trentina d’anni.
Certo, fino al recente passato, essa non ha rappresentato un tema “individuato e dichiarato”, quanto piuttosto la ricaduta, pure rilevante, di istanze analitico-programmatiche tese alla lettura ed all’azione su problematiche specifiche; che caratterizzavano nelle diverse fasi parti del territorio nazionale: abusivismo, consumo di suolo, infrastrutture, gestione dei rifiuti; o percorsi di indagine su comparti e categorie sostantivi per l’assetto, come le grandi opere, le ricostruzioni post disastri sismici o idrogeologici, i grandi progetti turistici, i centri commerciali, le attrezzature speciali (Sberna, Vannucci, 2014).
1.4 Nell’articolo si tenta un prospetto di geografia della “deterritorializzazione di stampo mafioso”, incrociando tre traiettorie evolutive, cronologica, spaziale e tematica. La storicizzazione di quest’ultima permette forse di rischiarare anche le altre.
Le prime tracce di presenza criminale si registrano oltre trent’anni fa nell’ambito di ricerche che osservano “l’edilizia spontanea” che degenera in abusivismo, un fenomeno dapprima tipicamente meridionale, ma presto colto come rilevante, oltre che nelle tre regioni ad alta densità criminale, in altre parti del paese, per esempio Roma (Fera, Ginatempo, 1985; Costantino, 2001).
Nel corso degli anni ottanta, il crescente interesse per l’impatto ambientale di grandi attrezzature ed infrastrutture, di trasporto, energetiche, di gestione dei rifiuti, permette di scoprire il ruolo costante e crescente fino alla dominanza, della criminalità organizzata (Arlacchi, 1983; Piselli, Arrighi, 1985; Sciarrone, 2009), che si era già vista all’opera nella costruzione post-sismica del Belice, ed emerge, più nettamente nel caso dell’Irpinia. Le Colombiadi, i Mondiali del ’90, le grandi opere di fine Prima Repubblica, favoriscono gli incroci tra “Tangentopoli e Mafiopoli” (Arlacchi, cit.; Bocca, 1992).
Talora queste costituiscono occasioni di nuove colonizzazioni criminali di territori che prima non avevano mai conosciuto tali fenomeni, o quasi (Giorgio Bocca, cit., oltre ad Arlacchi, ricorda come il rapimento di Paul Getty negli anni ’70 servì ad assicurare alla ‘ndrangheta di Gioia Tauro le risorse utili a pagare a Fiat Iveco i camion con cui si sarebbero eseguiti i primi movimenti di terra per il costruendo porto industriale. In seguito a quell’affare la famiglia dei Mazzaferro, collegata alle cosche della piana di Gioia Tauro, subappaltava i lavori dell’ampliamento del villaggio-Juventus a Villar Perosa, “aprendo” così le attività in Piemonte).
Ma l’affermarsi dell’emergenza rifiuti, insieme alla sostanziale dominanza del settore dell’escavazione, sul finire del secolo, illumina la capacità mafiosa di controllo su intere filiere, fino all’intero ciclo, dall’accaparramento dei terreni, alle fasi di raccolta e movimentazione, alla posa in discarica e alla sua gestione, o all’incenerimento. La retorica di Gomorra (Sales, 2014).
Ma altri grandi eventi e attrezzature permettono, qualche tempo dopo, la “diffusione nazionale” di mafia ‘ndrangheta e camorra: in primis l’alta velocità, ma anche l’aumento dei grandi centri commerciali e dei distretti turistico- commerciali. Ambiti che permettono tra l’altro alla criminalità di controllare anche l’intero ciclo del cemento in contesti centro-settentrionali, come già avveniva in molte aree del sud. Le opere della Legge Obiettivo negli anni più recenti sono state contrassegnate da scandali a forte intensità di corruzione e criminalità (Barbieri, Giavazzi, cit.; Imposimato, 1999).
La crisi economico-finanziaria, con i limiti alla spesa pubblica, ha clamorosamente ampliato le possibilità di manovra della criminalità: spesso soggetto prioritario, se non unico, a disporre della liquidità necessaria a sostituire la precedente capacità di spesa pubblica. Il crescente ricorso al project financing, per esempio, è stato un altro mezzo di grande penetrazione della criminalità nell’economia dei territori, specie settentrionali. Siamo all’attualità, con la criminalità diffusa su tutto il territorio nazionale (Galullo, 2015).
Riferimenti bibliografici
Arlacchi P., 1983, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna
Barbieri G., Giavazzi F., 2014, Corruzione a norma di legge, Rizzoli, Milano
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Becchi A., 2000, Criminalità organizzata. Paradigmi e scenari delle organizzazioni mafiose in Italia, Donzelli, Roma
Berdini P., 2011, Le mani sulla città, Alegre, Roma
Bevilacqua P., 2011, Il grande saccheggio. L’età del capitalismo distruttivo, Laterza, BariRoma
Bevilacqua P., Agostini I., 2016, Viaggio in Italia. Le città nel trentennio neoliberista, manifestolibri, Roma
Bocca G., 1992, Inferno. Profondo Sud, male oscuro, Mondadori, Milano
Cornago D., 2014, L’anticittà mafiosa e gli urbanisti, in “Urbanistica informazioni”, n. 258
Costantino D., 2001, “Problemi sociali dei contesti paesaggistici siciliani”, in Atti del workshop di Presentazione del quadro conoscitivo del Piano Territoriale Paesaggistico di Ambito 1 della Regione Siciliana, Trapani, Bozza Stampa
De Leo D., 2010, Contrasto alla criminalità e pratiche urbane, in “Urbanistica informazioni”, n. 232.
De Leo D., 2015, Mafie & Urbanistica, Angeli, Milano
Gallino L., 2012, Finanzcapitalismo, Einaudi,Torino
Galullo R., 2015, Finanza criminale. Soldi, investimenti e mercati delle mafie e della criminalità in Italia e all’estero, Il Sole 24 ORE, Milano
Imposimato F., 1999, Corruzione ad Alta Velocità, Koiné, Bologna
Magnaghi A., 2010, Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Milano
Mattei U., 2010, Il saccheggio. Regime di legalità e trasformazioni globali, Mondadori, Milano
Piselli F., Arrighi G., 1985, “Parentela,clientela e comunità”, in Bevilacqua P., Placanica A., Storia d’Italia. La Calabria, Einaudi,Torino
Sales I., 2014, La mafia come metodo e modello, in “Limes”, n. 11
Salzano E., 2003, Fondamenti di urbanistica, Laterza, Roma-Bari
Sberna S., Vannucci A., 2014, Le mani sulla città. Corruzione e infiltrazioni criminali nel governo del territorio, in Fregolent L., Savino M. (a cura di), 2014, Città e politiche in tempo di crisi, Franco Angeli, Milano
Sciarrone R., 2009, Mafie vecchie mafie nuove, Donzelli, Roma
riferimenti
Sull'argomento si veda, su eddyburg, il lavoro di Serena Righini, L’hinterland milanese tra sregolazione e criminalità
Dov’è finita tanta boria?
In questi ultimi giorni abbiamo assistito a spettacoli grotteschi. Centinaia di scuole chiuse per mancanza di riscaldamento, allarmi degli studenti e dei genitori sulla sicurezza degli edifici dove debbono formarsi le nuove generazioni. Le scuole dei nostri ragazzi sono spesso insicure, con servizi scadenti, prive di mezzi. Ebbene, tale squallida situazione, frutto di una politica europea che ci trascina verso il declino non è più tollerabile. Ma non è più tollerabile anche alla luce di quante risorse vengono impiegate dai nostri governi in spese militari.
Il nostro paese cade in ginocchio per qualche alluvione o per nevicate fuori dall’ordinario e noi sperperiamo in spese belliche e in interventi militari, nei vari teatri di guerra, oltre 29 miliardi di € l’anno (2015), circa 80 milioni di € al giorno. Mentre siamo impegnati ad acquistare gli aerei F35 al costo di 14 miliardi complessivi. Si tratta di velivoli da combattimento, strumenti di aggressione e di morte che denunciano da soli la violazione dell’articolo 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Ebbene, di fronte ai problemi elementari in cui si dibatte il nostro paese – la cui soluzione potrebbe generare centinaia di migliaia di posti di lavoro – riteniamo moralmente intollerabile lo sperpero di tante risorse a fini di guerra.
Chiediamo alle forze politiche che in Parlamento svolgono un’azione di opposizione di mettere in stato d’accusa il Governo della Repubblica, per l’aperta e continuata violazione di un principio costituzionale e per la responsabilità piena e consapevole nel privare i cittadini italiani delle risorse necessarie per la loro sicurezza.
Piero Bevilacqua, Tonino Perna (Università di Messina), Paolo Berdini, Tiziana Draghi (Università di Bari)Rossella del Prete (Università del Sannio) Piero Caprari, Roberto Budini Gattai, Ilaria Agostini( Università di Bologna), Cristina Lavinio, Paolo Favilli, Francesco Trane, Maria Pia Guermandi (Emergenza cultura), Alberto Magnaghi, Enzo Scandurra, Daniele Vannitiello, Ginevra Virginia Lombardi (Università di Firenze), Piero di Siena, Rossano Pazzaglia, (Università del Molise),Francesco Pardi, Laura Marchetti, Giuseppe Saponaro, Giancarlo Consonni, Andrea Ranieri, Annamaria Rufino (Università della Campania), Graziella Tonon, Velio Abati, Romeo Salvatore Bufalo (Università della Calabria), Amalia Collisani, Salvatore Cingari (Università di Perugia), Marcello Buiatti, Carlo Cellamare, Michele Carducci, Giovanni Attili, Luigi Vavalà, Lia Fubini, Alfonso Gambardella, Ignazio Masulli, Paola Bonora, Alessandro Bianchi, Ugo Olivieri (Università di Napoli, Federico II), Edoardo Salzano, Vezio de Lucia, Giorgio Nebbia, Stefano Sylos Labini, Franco Toscani, Lucia Strappini, Giorgio Inglese (Università di Roma.La Sapienza) Alberto Ziparo, Patrizia Ferri, Pier Luigi Cervellati, Anna Nassisi, Vittorio Boarini.
I "fondisovrani" (fondi finanziari di proprietà diretta di governi, e non di singoli investitori) sembrano eccitati dalle possibilità di diventare padroni a casa nostra, dove il mattone vale molto di più del grano duro, delle olive di Gaeta e del Lambrusco; non parliamo dei filosofi. Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2016
I fondi sovrani, invece, hanno fatto shopping negli ultimi anni nel nostro Paese e intendono continuare a farlo. Cogliendo di volta in volta le occasioni che il mercato ancora offre. Non dimentichiamo poi che al momento sul mercato sono arrivati o stanno arrivando una serie di portafogli già pronti, alcuni a reddito altri destinati a operatori opportunistici, che potrebbero risultare interessanti. Dal portafoglio Cdp, con le caserme Mameli e Guido Reni al fondo Cloe, passando per il pacchetto da 500 milioni di euro di uffici propri che vende Intesa Sanpaolo.
«Investiamo in maniera diretta e indiretta in grandi progetti - ha spiegato Ruslan Alakbarov, a capo della divisione real estate di State oil fund of Republic of Azerbaijan, al convegno organizzato dal gruppo Coima qualche giorno fa -. Puntiamo sul real estate spinti anche dal cambiamento nei rendimenti delle diverse asset class di investimento. Valutiamo nuovi mercati, Milano è uno di questi. Analizziamo le potenzialità: per esempio nel centro di Milano, dove abbiamo acquistato Palazzo Turati (affittato alla Camera di commercio), non si può costruire molto e aumentare l’offerta di uffici».
Manca ancora sul nostro territorio il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo con 820 miliardi di euro di valore stimato a fine 2016, che però sta valutando l’immobiliare italiano.
Il real estate nel nostro Paese arriverà a registrare a fine anno un volume di investimenti di circa otto miliardi di euro, in aumento sull’anno scorso. Nel 2016 bisogna però registrare un calo degli investimenti dei fondi sovrani rispetto ai volumi consistenti del 2015. Tra i fondi sovrani che investono nel nostro Paese c’è Adia (Abu Dhabi investment authority), guidato in Europa da Pascal Duhamel. Adia ha acquistato a Milano, tramite Coima Sgr, il palazzo dell’Inps di via Melchiorre Gioia a Milano che sarà abbattuto e ricostruito .
«Nel 2015, secondo il rapporto di Global Witness dedicato a Berta Cacéres, morta in Honduras nel marzo del 2016, il numero delle vittime tra gli attivisti è cresciuto del 59% rispetto all'anno precedente». Altraeconomia, 22 giugno 2016 (p.d.)
“I ‘difensori’ sono assassinati a un ritmo di più di tre ogni settimana” scrive la ong. Le pagine di “On dangerous ground” si aprono con un elenco - nome per nome - di tutti coloro che hanno perso la vita nel corso del 2015, e con una foto di Berta Cacéres: Goldman Prize (nobel alternativo per l’ambiente) 2015 per l’America Latina, la leader indigena hondureña è stata uccisa nella propria casa a marzo 2016. Il suo nome figurerà nella lista il prossimo anno, ma intanto Global Witness l’ha voluta ricordare - dedicandole il report - perché nel 2015 il 40% delle vittime erano indigeni, che soffrono una “immensa vulnerabilità”, a causa anche dell’isolamento geografico “che espone questi popoli in modo particolare all’accaparramento di terre per lo sfruttamento delle risorse naturali”.
Tra le risorse, senz’altro è l’opposizione ad iniziative del settore estrattivo e minerario ad aver causato il maggior numero di vittime nel 2015: sono 42 i casi, in 10 Paesi. In questo ambito, l’aumento rispetto al 2014 è del 70%. Gli altri ambiti indicati come cause di un numero rilevante di omicidi sono il comparto agro-industriale (con 20), le dighe e i diritti sull’utilizzo delle acque (15) e lo sfruttamento delle risorse forestali (15).
Global Witness evidenzia con alcuni esempi il profilo-tipo del “difensore della terra” vittima di omicidio nel 2015.Rigoberto Lima Choc, del Guatemala, aveva denunciato l’inquinamento dell’acqua causato da un’industria di produzione di olio di palma. Saw Johnny faceva campagna con l’accaparramento delle terre dell’etnia Karen, in Birmania. Alfredo Ernesto Vracko Neuenschwander, silvicoltore peruviano, difendeva la biodiversità dei boschi. Sandeep Kothari era un giornalista indiano: aveva scritto articoli contro lo sfruttamento illegale di alcune cave, nel Maharashtra. Infine, Maria das Dores dos Santos Salvador, leader di una comunità rurale dell’Amazzonica brasiliana, che aveva denunciato la vendita illegale di terre comunitarie.
Il Brasile è il Paese che ha registro nel 2015 il più alto numero di vittime, 50. Seguono, secondo i dati di Global Witness, che riguardano 16 Paesi, le Filippine (con 33), la Colombia (26), Perù (12) e Nicaragua (12). Complessivamente, sono 7 i Paesi dell’America Latina coinvolti (anche Guatemala, Honduras e Messico, oltre ai 4 già elencati). Sette i Paesi dell’Asia. Due quelli africani.
Tra le raccomandazioni, Global Witness avanza ai governi la richiesta di ratificare la Convenzione numero 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui popoli indigeni e tribali, e agli investitori di non realizzare alcuna attività senza aver ricevuto il consenso “veramente libero, previo e informato” dei popoli interessati.
Il rapporto può essere scaricato qui (in inglese) e qui (in spagnolo).
«Smog alle stelle. Per il Tribunale di Genova le crociere sono “trasporti di linea” e quindi devono usare carburanti meno tossici. Gli operatori contrari». Il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2016 (p.d.)
Tutto nasce dalle ultime contravvenzioni che le capitanerie di porto – Venezia e Genova, in particolare – hanno inflitto ad alcune delle maggiori compagnie. L’accusa: violazione dell’obbligo di utilizzare un carburante a basso contenuto di zolfo (1,5% della massa). Ed ecco scattare le sanzioni da 30mila euro. Ma in una partita da molti miliardi, la vera posta è che,in caso di recidiva,il comandante o le navi rischiano di non poter più attraccare nei porti italiani. Così ecco il ricorso presentato da Msc (ma il discorso vale anche per altri grandi operatori) al tribunale di Genova: i transatlantici da crociera, scrivono gli avvocati, non possono essere considerati navi di linea. Questione di orari, di tragitti: “Nessuno li utilizza per spostarsi da un porto all’altro”, scrivono i legali nel ricorso.Ma il giudice PietroSpera del Tribunale di Genova lo ha respinto. Una sentenza che potrebbe rivoluzionare il trasporto marittimo italiano. Scrive il magistrato: “Una serie di traversate a scopo turistico deve essere considerata come un collegamento”.
Ancora: “Dato che le direttive europee hanno lo scopo di tutelare la salute e l’ambiente riducendo le emissioni di anidride solforosa, incluse quelle prodotte durante i trasporti marittimi, detta conclusione non può essere inficiata dalla circostanza chei passeggeri di una nave da crociera beneficino di servizi supplementari, quali l’alloggio, la ristorazione e le attività ricreative”. Infine, rileva il Tribunale, gli orari delle navi da crociera si possono reperire sui siti delle compagnie di navigazione.
Ma che cosa è in gioco davvero? “Cambiare la classificazione di una nave significa risparmiare decine di milioni di euro. Perché le navi non di linea possono utilizzare carburante con una percentuale di zolfo del 3,5 per cento.E una nave da crociera arrivare a consumare 15 tonnellate l’ora ”, racconta un ufficiale della Costa Crociere che non vuole essere citato. Non è soltanto una questione di denaro, assicura un ufficiale Msc, ma anche di disponibilità: “Il carburante più pulito costa molto di più. Ma è anche più difficile da trovare”. Forse anche perché c’è poca domanda. E c’è infine, sostengono le compagnie, la questione della concorrenza: “Servono norme uniformi, perché se in Italia si chiede carburante pulito e in Spagna no, bé… andiamo fuori mercato”. Un business immenso, anche per i porti di accoglienza. “Ma c’è soprattutto la salute”, ricorda Spessotto.
E non c'è soltanto lo zolfo, ma anche le polveri ultrasottili. Come ricorda Luciano Mazzolin di Ambiente Venezia: “Secondo i rilevamenti dell’associazione ambientalista tedesca Nabu, in Laguna la situazione per il pm 2,5 talvolta è peggio che a Pechino. Il livello registrato è 150 volte superiore a quello dell’aria pulita (mille particelle per centimetro cubo)”. Prosegue Mazzolin: “Al ponte degli Scalzi sono stati registrati picchi di particelle ultrasottili di 62.400 unità per centimetro cubo. All’Arsenale, punto di passaggio delle grandi navi, siamo a 133mila unità”. Spessotto aggiunge: “Chiediamo al ministero di sapere se è vero, come ci risulta da fonti attendibili, che in queste ore le compagnie stanno cercando di ottenere un innalzamento dei limiti”. Interpellato dal cronista, il ministero ha smentito incontri. Alla successiva domanda se sia in atto un tentativo di pressing sul ministero non c’è stata risposta.
E non si parla delle navi merci. Secondo l’indagine della trasmissione Petrolio, i 20 cargo più grandi del mondo emettono più diossido di zolfo di tutte le auto in circolazione. Ma la flotta, che trasporta il 90% delle merci mondiali, è composta di 60mila navi. Un terzo transita per il Mediterraneo.
«Il ministero delle Infrastrutture lo “raccomanda” a quello dell’Ambiente, autorizzando gli studi d’impatto ambientale», che saranno realizzati dal Corila, lo stesso ente che ha coordinato e portato a termine nel 2010 il nuovo Piano Morfologico della Laguna di Venezia, fortemente critico sull'allargamento delle attività portuali, e probabilmente per questo insabbiato. La Nuova Venezia, 18 marzo 2016 (m.p.r.)
Le associazioni ambientaliste toscane hanno inviato una lettera con sette domande sul progetto del nuovo aeroporto al presidente della Regione Rossi. Il presidente ha risposto alla lettera e le associazioni hanno replicato.Qui tutto il carteggio.
Gentile Presidente Enrico Rossi,
Come Lei sa, l’Università di Firenze e gli uffici tecnici della Regione hanno avanzato molte riserve sul progetto del nuovo aeroporto di Firenze, attualmente proposto a Valutazione d’impatto ambientale da ENAC e Toscana Aeroporti. Le Associazioni firmatarie di questa lettera si rivolgono a Lei in qualità di governatore della Regione Toscana e quindi di garante della salute e della sicurezza dei cittadini, affinché chiarisca i punti più controversi del progetto e rassicuri gli abitanti della Piana, sul fatto che, una volta realizzato, l’aeroporto non peggiorerà le loro condizioni di vita.
1. Il progetto sottoposto a VIA è un Master Plan e non un progetto definitivo, come vuole la legge. La Regione Toscana accetterà questo strappo alle regole o chiederà al Proponente di rispettare quanto prescrive il Codice dell’ambiente?
2. La pista del nuovo aeroporto sarà di 2000 metri, come stabilito nel Piano di indirizzo territoriale, o di 2400 metri come richiesto dal Proponente?
3. La Regione Toscana si è impegnata ufficialmente a promuovere un Dibattito Pubblico sull’aeroporto, ma finora non ha rispettato il suo impegno. Lei si adopererà affinché possa finalmente svolgersi questo processo partecipativo?
4. Secondo il parere tecnico degli uffici regionali, il rifacimento del Fosso Reale e dell’intero sistema idrografico della bonifica comporterà un rischio idraulico non adeguatamente calcolato. Saranno richiesti al Proponente studi più approfonditi?
5. Nonostante il Proponente abbia affermato che la nuova pista sarà esclusivamente monodirezionale verso ovest, nel Master Plan questa risulta prevalentemente monodirezionale, con una percentuale non trascurabile di atterraggi e decolli in direzione di Firenze, il cui centro storico è patrimonio Unesco. Lei può dire qualcosa di definitivo in proposito?
6. Il Proponente dice che col nuovo scalo inquinamento atmosferico e acustico diminuiranno, ma ciò appare incongruente rispetto alla previsione d’incremento dei voli e della dimensione degli aerei. La Regione intende fare chiarezza su questo punto?
7. Il nuovo scalo non interferirà solo sul reticolo idrografico discendente da Monte Morello, ma anche sulla viabilità Nord/Sud della Piana, decretando ad esempio la cancellazione di via dell’Osmannoro: sono state adeguatamente valutate le conseguenze (funzionali, sociali, economiche) sul sistema della mobilità metropolitana?
Tommaso Addabbo, WWF Toscana
Paolo Baldeschi, Coordinatore della Rete dei comitati per la difesa del territorio
Fausto Ferruzza, Presidente Legambiente Toscana
Sibilla della Gherardesca, Presidente Fai Toscana
Maria Rita Signorini, Presidente Italia Nostra Toscana
Tommaso Addabbo, WWF Toscana
Paolo Baldeschi, Coordinatore della Rete dei comitati per la difesa del territorio
Fausto Ferruzza, Presidente Legambiente Toscana
Sibilla della Gherardesca, Presidente Fai Toscana
Mariarita Signorini, Presidente Italia Nostra Toscana
In particolare le intercettazioni della magistratura sulle vicende di Quarto sono paradigmatiche per descrivere dinamiche elettorali che si sono consolidate in alcuni contesti locali; qui l’imprenditore Cesarano - sospettato di essere colluso con la camorra - detta la strategia per sostenere al ballottaggio la candidata dei Cinquestelle, Rosa Capuozzo, chiarendo da subito le sue condizioni: "Comincia a chiamarlo. Ha preso 890 voti, è il primo degli eletti. Noi ci siamo messi con chi vince, capito?” E ancora: “L’assessore glielo diamo noi praticamente. E lui ci deve dare quello che noi abbiamo detto che ci deve dare. Ha preso accordi con noi. Dopo, così come lo abbiamo fatto salire così lo facciamo cadere”.
Il riferimento di Cesarano è al consigliere comunale De Robbio che, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, avrebbe tentato di convincere la Sindaca ad affidare la gestione del campo sportivo comunale ad una società vicina al suo "sponsor elettorale", ricorrendo a un presunto abuso di famiglia per minacciare la stessa Capuozzo. Sempre a Cesarano, De Robbio avrebbe poi promesso la nomina di una persona di fiducia all'assessorato all'urbanistica, per favorire al meglio i suoi affari.
Siamo a Quarto, piccola cittadina della provincia napoletana, con poco più di 40.000 abitanti ma le sue tristi vicende sono simili a quelle riscontrabili in altri contesti comunali nell'Italia degli oltre 8000 campanili.
Né la collocazione geografica né l'appartenenza a questo o quello schieramento politico può più rappresentare un valido e sicuro argine a fenomeni di questo tipo. Le indagini della magistratura spaziano dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, passando anche da una Milano dove l'ex sindaca Moratti, pochi giorni prima del maxi arresto legato all'inchiesta Parco Sud avvenuto nel luglio del 2010 alle porte del capoluogo lombardo, strillava che "la mafia a Milano non esiste" e nessun partito, neppure chi ha fatto della legalità e della trasparenza il proprio mantra elettorale, può ritenersi immune da pericolose collusioni.
Che i settori legati al ciclo dell'edilizio rappresentino gli ambiti principali per le infiltrazioni mafiose (al Sud come al Nord Italia) non è certo una novità, come testimonia l'elenco dei consigli comunali sciolti per mafia, per la maggior parte dei quali le motivazioni sono legate a questioni urbanistiche o a violazioni dei piani regolatori e purtroppo gli esiti spaziali di queste relazioni pericolose sono evidenti in termini di spreco edilizio, abusivismo, degrado ambientale e scarsa qualità degli spazi urbani e suburbani.
La relazione perversa tra interessi mafiosi, amministrazioni comunali e ciclo edilizio può essere affrontata, a mio avviso, agendo su tre aspetti diversi differenti: il primo è di natura elettorale, il secondo amministrativo e il terzo più strettamente urbanistico.
Il primo aspetto riguarda i criteri di selezione della classe dirigente politico-amministrativa: nei contesti territoriali locali è progressivamente venuto meno il ruolo dei partiti di massa, sia in termini di elaborazione di idee e sia in termini di formazione dei propri iscritti, e tale vuoto ha creato una generalizzata improvvisazione sui temi amministrativi. Inoltre le sedi locali dei partiti sono diventati luoghi in cui le discussioni sono asfittiche, ideologiche e molto spesso rincorrono rancori e recriminazioni personali anziché differenti posizioni politiche. Ecco allora che un curriculum non politico di un candidato sindaco può diventare un enorme punto di forza nella competizione elettorale in quanto indicatore di pragmatismo, di civismo e di una leadership che può essere esercitata senza dover rendere conto a nessuno del proprio operato. In queste dinamiche però il rischio è duplice: da un lato c'è quello di eleggere sindaci impreparati, inadeguati e non all'altezza di guidare processi amministrativi e burocratici anche complessi (e la bassa qualità dei governi locali ha spesso conseguenze dirette anche sulla qualità dei progetti di trasformazione territoriale), dall'altro la ricerca di nuove forze elettorali dalle quali farsi sostenere può portare a legami pericolosi che poi, solitamente, presentano il conto. In un contesto storico caratterizzato dalla crisi di rappresentanza e di fronte a un'appartenenza politica sempre più "liquida", occorre che i partiti nazionali intraprendano una seria riflessione sulle modalità di selezione della propria classe dirigente, a partire da quella locale. In questi tempi si parla spesso di tematiche trasversali e di nuove geografie politiche, l'auspicio è che la legalità non diventi tema contendibile nelle prossime campagne elettorali ma piuttosto sia un impegno chiaro e condiviso per tutti i partiti politici.
Il secondo aspetto riguarda le competenze delle amministrazioni comunali. In una fase di progressivi tagli alle amministrazioni locali, un Paese in cui il 70% dei Comuni ha meno di 5.000 abitanti non è più sostenibile. Una strategia nazionale che spinga verso gestioni di servizi ad una scala che consenta ottenere economie di scala (le Centrali Uniche di Committenza per gli acquisti delle pubbliche amministrazioni non possono bastare) ed esercizio di funzioni urbanistiche a una dimensione pertinente per poter pianificare in modo coerente e sostenibile i diversi sistemi territoriali (ambientale, infrastrutturale e insediativo) sembrano scelte non più prorogabili se si vuole impedire che gli ambiti comunali diventino nuovi feudi a conduzione familiare, soggetti a pressioni economiche (ma anche criminose) difficilmente controllabili anziché luoghi nei quali elaborare politiche per l'erogazione dei fondamentali servizi alla persona.
Il terzo aspetto riguarda il sistema normativo urbanistico vigente: le leggi urbanistiche regionali, approvate a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, hanno progressivamente elaborato norme in nome della semplificazione e dello snellimento burocratico che si sono tradotte nei fatti da un generalizzato laissez-faire. Questa de-regolamentazione é diventata uno dei principali varchi per le infiltrazioni mafiose nel mondo delle amministrazioni comunali anche considerando che l'edilizia è il settore ideale per riciclare e ripulire denaro sporco derivante da altri traffici criminosi.
L'Italia è molto indietro rispetto alle normative in vigore nei paesi del Nord Europa dove da almeno un decennio si trattano i temi della rigenerazione urbana, si lanciano bandi di idee tra progettisti per le opere pubbliche e i grandi progetti di riqualificazione urbana, si coinvolgono i rappresentanti della società civile nei progetti infrastrutturali più importanti (débat public francese), si hanno strumenti di valutazione anche economica dei progetti di trasformazione urbana (modello SoBoN di Monaco di Baviera), si affida la funzione di governo del territorio a una dimensione territoriale adeguata e comunque sovracomunale (schemi di coerenza territoriale francesi) per una pianificazione tra fabbisogni insediativi, accessibilità infrastrutturali, dotazione ambientale. Alcuni invocano strumenti speciali, come un ampliamento di competenze dell'ANAC guidato da Raffaele Cantone, che seppur utilissimi per enfatizzare l'attenzione su questi temi, non possono essere la soluzione strutturale a questo problema.
Il nostro Paese non ha più bisogno di norme speciali ma di amministratori locali competenti, preparati e consapevoli (oltre che onesti), di una razionalizzazione complessiva del sistema degli enti locali e di una complessiva riforma urbanistica, che abbia tra i suoi principi (a cui devono corrispondere adeguati strumenti) la trasparenza, la partecipazione e una regia sovracomunale nei processi di trasformazione del territorio. Solo in questo modo si potrà finalmente rompere la catena che lega gli interessi speculativi, mafiosi e non, al settore dell'edilizia e fare in modo che i Sindaci debbano sì rispondere del proprio operato, anche più di quanto sono chiamati a fare ora, ma solo nei confronti dei propri cittadini.
La denuncia di una vergognosa operazione delle giunte Orsoni e Brugnaro, con la complicità della grande maggioranza del consiglio comunale, delle diverse istituzioni coinvolte, delle associazioni che non hanno promosso una vigorosa protesta e della stampa cittadina che ha dato voce solo ai liquidatori del patrimonio pubblico. Italianostravenezia.org, 4 febbraio 2016 (m.p-r.)
Lunedì 1 febbraio il Consiglio comunale ha purtroppo approvato, con tre soli voti contrari – uno del Movimento Cinque Stelle e uno del Pd -, la delibera del passaggio in proprietà al Comune di Venezia dell’Isola della Certosa e del Forte di Sant’Andrea. Il sindaco e il suo capogruppo volevano convincere l’opposizione e il pubblico di cittadini che nella delibera si discutesse solo il passaggio di proprietà dallo Stato al Comune delle due isole, per cui lamentavano l’assurdità dell’opposizione a questo “regalo” del Demanio.
Leggiamo l’Accordo di valorizzazione, vincolante (perché se non realizzato lo Stato si riprende il bene): «Qualora al Comune di Venezia pervenga la disponibilità di spazi acquei, rive, banchine, etc. …, pertinenziali alle isole, che come detto non rientrano nel presente accordo ai fini del trasferimento, lo stesso Comune si impegna a destinarli ad usi compatibili ed integrati con i progetti di valorizzazione sopraccitati».
Cioè quando il Demanio Militare dismetterà l’area alle spalle del Forte, ecco già ratificato il Piano di Valorizzazione C2, con alberghi, centro benessere, altro ristorante, piscina a pelo d’acqua: un resort di lusso per turisti di alta fascia, che sorridenti e festosi, sorseggiando aperitivi sul bordo della piscina guarderanno i nostri figli in barchetta al Bacan,la spiaggia semisommera alla Bocca di Lido dove i veneziani "normali" vanno a bagnarsi - ndr] in perfetta continuità concettuale con l’operazione Fontego dei Tedeschi della giunta precedente.
Una vicenda locale che meriterebbe attenzione nazionale: leggi ad personam nell'epoca Renzi. Pescaranews.net, 28 novembre 2015
Innanzitutto va detto che la società dei Milia e Mammarella ha vinto perché il Consiglio di Stato ha ritenuto non legittimati i vicini ricorrenti che avevano vinto al TAR. Cosa che non sarebbe accaduta se a ricorrere in difesa della sua pianificazione urbanistica fosse stato il Comune di Pescara. Purtroppo la Giunta Alessandrini si è costituita ma per sostenere il progetto edilizio scegliendo di essere complice e sostenere l’operazione che era stata autorizzata all’epoca della giunta Mascia.
Il TAR aveva bocciato il permesso dando ragione a quanto sostenuto da Rifondazione Comunista: il tribunale amministrativo aveva confermato che le norme del “decreto sviluppo” di Berlusconi, rese permanenti da una pessima legge regionale di recepimento, non si applicano nelle aree sottoposte a piani particolareggiati.
Ma non basta prendersela con l’amministrazione di centrodestra che rilasciò il permesso e quella Alessandrini che lo ha difeso. Infatti in soccorso di Milia-Mammarella è sceso in campo lo stesso parlamento. Infatti – come da me denunciato dopo che per mesi avevano tenuta nascosta la cosa – nel dicembre 2014 è stato approvato un emendamento alla legge di stabilità con un'interpretazione autentica (quindi retroattiva) che sembrava scritta ad hoc per sbloccare il progetto. Infatti la norma precisa che le deroghe e i premi di volumetria si applicano anche all’interno dei piani particolareggiati. La norma è stata ovviamente brandita dai privati e dagli stessi avvocati del Comune contro la sentenza del TAR.
Come è stata approvata in parlamento questa cosa? A presentare l’emendamento in Senato è stato un senatore siciliano, a recepirlo è stato il governo Renzi che l’ha inserito nel maxi-emendamento alla legge di stabilità su cui il governo ha chiesto la fiducia. La norma che cancella ogni regola pianificatoria pubblica è stata votata in parlamento dalla maggioranza NCD-PD .
La relatrice di maggioranza sulla legge di stabilità era la senatrice pescarese Federica Chiavaroli che quando il sottoscritto ha scoperto la “porcata” dopo mesi dall’approvazione ha detto di non saperne nulla. Ricordo che essendo ancora in vigore la legge regionale scritta dai palazzinari pescaresi e fatta approvare con grande impegno dai consiglieri di centrodestra ma che piace anche al PD che non l'ha abrogata la nuova norma di interpretazione autentica si applica a tantissime altre situazioni con effetti devastanti (in pratica vengono superati tutti i piani attuativi comunali). Le regioni in cui sono in vigore analoghe leggi sono Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia. Forse Lazio.
Ricordo che per studiare una progettazione unitaria del piano particolareggiato il Comune di Pescara negli anni scorsi ha speso centinaia di migliaia di euro.
Quando mesi fa ho lanciato l'allarme c'è stata totale omertà politica: nessun partito, esponente politico, parlamentare, consigliere comunale o regionale ha ritenuto di intervenire nonostante le aree siano da anni considerate strategiche e oggetto di ampio dibattito pubblico. Ora speriamo si svegli qualcuno per abrogare questa legge vergogna.
«Quello delle spiagge è un rito che si ripete puntuale ogni anno. La questione è vecchia, e risale al 2006, quando il governo Prodi nella Finanziaria decise di mettere ordine sulla materia rivedendo i canoni legati alle attività turistico-balneari, spiagge comprese». Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2015 (m.p.r.)
Bene che vada, ci sarà il condono bis, a prezzi di saldo. Male che vada, le spiagge - o meglio gli spazi di “pertinenza economica” degli stabilimenti balneari (bar, ristoranti, palestre, piscine ecc. La vera polpa delle concessioni) - verranno vendute, o meglio, “sdemanializzate”, per usare il linguaggio tecnico dei proponenti. In pratica, peggio di quello che provò a fare il governo Berlusconi nel 2006 - il prolungamento di 50 anni delle concessioni - senza però riuscirci anche per l’opposizione del centrosinistra.
Cominciano a capire che cos'è il project financing all'italiana. C'è chi lo predica da decenni, e noi pagheremo tutto perché chi decide non sente. La Nuova Venezia, 2 novembre 2015
IL PM ORDINA LA PERIZIA SUI COSTI
Mestre. A quasi tre anni da quando Piergiorgio Baita (arrestato per le tangenti Mose) parlò dell’affaire Ospedale dell’Angelo a Mestre, la Procura di Venezia cerca ancora di capire se anche in quell’operazione ci fu un malaffare traducibile in reati da contestare. Da mesi un commercialista sta passando al setaccio il project finacing che ha permesso di realizzare l’opera nella periferia di Zelarino. Le indagini sull'ospedale dell'Angelo, nate da una “costola” della maxi inchiesta sullo scandalo Mose, alimentarono, fin da subito, attraverso le dichiarazioni di Baita, una serie di sospetti su l’opera realizzata attraverso la finanza di progetto. Sospetti, peraltro, estesi anche a tutte le altre opere realizzate o previste in Veneto con analoghe modalità contrattuali.
ZAIA: «VIA LA POLIITICA, DECIDANO I TECNICI»
VENEZIA Le procedure di finanziamento del nuovo ospedale di Padova, la querelle giudiziaria e amministrativa sui costi abnormi dell’Angelo di Mestre, il piano infrastrutturale “dormiente” in Regione: si riaccende così lo scontro sui project financing, i contratti “misti” che nella lunga stagione galaniana hanno sancito l’accesso dei capitali privati alle grandi opere pubbliche, consentendo la realizzazione di obiettivi importanti (dalla sanità alle strade) ma rivelandosi troppo spesso punitivi per le casse del Veneto e “vulnerabili” sul versante della legalità. Che fare allora?
Il progetto del nuovo aeroporto di Firenze è un concentrato di illegalità. Un masterplan, cioè un progetto preliminare, presentato ... (continua a leggere)
Il progetto del nuovo aeroporto di Firenze è un concentrato di illegalità. Un masterplan, cioè un progetto preliminare, presentato alla Valutazione di impatto ambientale al posto del progetto definitivo. Uno studio di impatto ambientale lacunoso e su dati non completi o non aggiornati. Una Valutazione ambientale strategica su una pista di 2000 metri e non di 2400 come quella sottoposta a VIA. Un piano di utilizzo delle terre di scavo assente, nonostante che per legge la sua presentazione «deve avvenire prima dell'espressione del parere di valutazione ambientale» (art 5, Decr. Min. 161/2012): con la beffa del Comune di Firenze che chiede che il piano sia elaborato «nelle fasi successive della progettazione», cioè quando nessuno potrà controllare alcunché, seguendo una prassi che è stata sperimentata con risultati disastrosi nella realizzazione della Tav in Mugello. Queste sono solo alcune delle torsioni, omissioni, forzature che Enac e Aeroporto di Firenze stanno perpetrando ai danni dei cittadini con la regia del Ministero dell'Ambiente e nel colpevole silenzio della Regione Toscana, che così anticipa la "riforma Boschi", quando le opere di interesse nazionale saranno di esclusiva competenza dello Stato.
Di fronte a un progetto che impatta violentemente sulla sicurezza idraulica della piana fiorentina e sulla salute degli abitanti, i Comuni interessati e le associazioni ambientaliste hanno chiesto all'Autorità alla partecipazione lo svolgimento di un Dibattito pubblico, previsto dalla legge toscana, prendendo, ahiloro, seriamente, un impegno ufficiale della Regione Toscana, sancito nella Variante al Pit che ha dato il via all'aeroporto; richieste rigettate, con la motivazione che avendo rifiutato Adf di mettere a disposizione il progetto e di partecipare, il dibattito sarebbe stato inutile. L'Autorità, tuttavia, in una lettera indirizzata al Presidente Rossi ha ritenuto “auspicabile” che la Regione Toscana promuovesse “una consultazione pubblica, volta a permettere ai cittadini e alle cittadine di essere informati debitamente sul progetto in questione e ad esprimersi su di esso". Ma Rossi ha taciuto e tace tuttora, mandando un chiaro segnale politico; né l'Autorità ha avuto uno scatto di orgoglio, prendendo una propria iniziativa.
Vanificato il Dibattito pubblico nonostante gli impegni, rimaneva un'ultima chance, che uno o più Comuni chiedessero all'Autorità di indire un "processo partecipativo", una forma minore di dibattito che tuttavia non necessita della collaborazione del proponente; così ha fatto il Comune di Calenzano, con l'adesione delle associazioni, ambientaliste. Ma è notizia freschissima che anche questa richiesta sarà probabilmente respinta perché nel frattempo la Regione ha operato un robusto taglio ai fondi a disposizione dell'Autorità. Nessuna forma di partecipazione allora? I diretti interessati non hanno neanche diritto a essere informati? Lo sta facendo Toscana Aeroporti , che ha nel frattempo inglobato Adf, con una mostra nella centralissima piazza della Repubblica di Firenze, dove i cittadini vengono edotti che il nuovo aeroporto ridurrà il rischio idraulico, migliorerà la qualità dell'aria, produrrà più di 2000 nuovi posti di lavoro, un vero toccasana. Toscana Aeroporti riempie a pagamento la pagine dei grandi quotidiani nazionali e, conseguentemente, viene censurata ogni voce di dissenso. La Regione non mantiene fede né alle sue leggi, né alle sue delibere. Il messaggio è chiaro: una vera forma di partecipazione non s'ha da fare, né domani, né mai. Lasciamo ai lettori indovinare chi è il don Rodrigo che dall'alto del suo castello conduce la manovra; e chi è don Abbondio. Quanto ai bravi ve ne sono così tanti che è impossibile individuarli tutti.
Le recenti imprese di un protagonista del gruppo di potere dominante nell'economia e nella politica veneziane: il «king maker dello "sviluppo" che vola insieme alle colate di cemento». Il manifesto, 26 agosto 2015, con ampia postilla
Marchi è presidente Save (35,9 milioni di euro di capitale) quotata in Borsa da dieci anni, che detiene il 27,65% dell’aeroporto belga di Charleroi ed è entrata nella spa che gestisce gli scali di Verona e Brescia. Fino ad ottobre 2016, Marchi può contare sul patto parasociale con Agorà Investimenti e Marco Polo Holding (entrambe società con sede a Conegliano). Ed è riuscito perfino a piegare il finanziere franco-americano Joseph Oughourlian (presidente di Amber Capital Italia Sgr) che con il 20% delle azioni Save aveva attaccato senza pietà la gestione del «Marco Polo» da parte dello staff di Marchi.
Ma il quadrante di Tessera continua a rappresentare, da lustri, il core business dell’urbanistica a senso unico. Fin dalla «svolta» in Save con gli enti pubblici locali beffati dal governatore Galan che incorona Marchi: è la privatizzazione, perfino a dispetto di Paolo Sinigaglia (presidente di Veneto Sviluppo). Così oggi il presidente di Save sfodera un’altra operazione in grande stile: il masterplan che ridisegna tutto, con orizzonte finale 2021.
Contiene un mega-hotel di fronte al progettato terminal acqueo che da solo vale 630 milioni di investimento. Il commissario Zappalorto aveva dato il via libera, ma sono insorti i comitati dei cittadini di Tessera e Campalto. L’albergo è previsto in un’area di 10 mila metri quadrati: il 30 settembre scade il termine della manifestazione d’interesse. Un analogo progetto era già contenuto in «Porta di Venezia» firmato dall’architetto canadese Frank O. Gehry e rimasto lettera morta per assenza di finanziamenti. L’idea dell’hotel viene rispolverata accanto alla specie di Croisette con vista laguna.
Il 22 luglio il comitato cittadini di Tessera e Campalto contro l’inquinamento acustico, atmosferico e ambientale da traffico aeroportuale ha depositato in commissione Via ulteriori 17 pagine di critiche al masterplan Save. «Non può essere l’Enac il proponente di una istanza di Via di un Masterplan redatto dal gestore aeroportuale, poiché all’Enac è attribuito per conto dello Stato il compito primario di controllare e vigilare sull’operato e le scelte del gestore», spiegano evidenziando il conflitto d’interesse. Il comitato si preoccupa anche del rumore notturno all’interno della municipalità: «La frequenza dei sorvoli in allontanamento è destinata ad aggravarsi con l’aumento del 30% dei sorvoli a bassa quota». Save promette una dozzina di opere di mitigazione a Tessera? «Abbiamo conferma dalla controdeduzione del dubbio espresso nelle nostre precedenti osservazioni: il complesso delle opere di mitigazione e compensazione è stato elaborato e inserito pro forma. Appare chiaro che è un collage pubblicitario, per imbonire i cittadini».
postilla
L’area di Tessera è un punto nodale della strategia diprivatizzazione e della città e della sua Laguna. Da un punto di vistaterritoriale è uno dei tre poli sui quali si concentrano grandi operazioniimmobiliari. A Tessera sono state avviate con una serie di modifiche dellastrumentazione urbanistica e di acquisizioni immobiliare finalizzata avalorizzare economicamente un enorme complesso di aree. Nel gigantescocomplesso immobiliare dell’Arsenale di Venezia, di eccezionale valorestorico-artistico, sono in atto da tempo iniziative di privatizzazione e“valorizzazioni” degli immobili oggi di proprietà pubblica. Al Lido di Veneziasono in corso iniziative di “valorizzazione” turistica basata essenzialmentesulla privatizzazione di complessi immobiliari pubblici. I tre poli dovrebberoavere il loro collegamento funzionale con la metropolitana sub lagunare,intervento devastante per l’impatto sullastruttura geologica di base dellacittà (il “caranto”) e per l’ulteriore apporto di flussi turistici verso unacittà già alle soglie del collasso.
Ecco per chi appesantiamo le nostre città, devastiamo i nostri paesaggi, peggioriamo le nostre condizioni di vita , cediamo i nostri poteri di decisione, rendiamo più amaro il future dei nostri figli (e nipoti). La Repubblica, 27 febbraio 2015
I grattacieli di Milano passano in mano agli emiri: il fondo sovrano del Qatar diventa il proprietario unico di Porta Nuova, l'area del capoluogo lombardo dove sono sorti numerosi nuovi grattacieli. Lo ha annunciato in conferenza stampa Manfredi Catella, a capo di Hines sgr. "È il padrone di casa", ha aggiunto, spiegando che il fondo controllava il 40% ed è salito al 100%. "Una delle transazioni più importanti degli ultimi tempi", l'ha definita ancora Catella.
Il fondo emiratino subentra quindi agli investitori iniziali: Hines, Unipol Sai, ed i fondi Mhrec, Hicof, Coima e Galotti. L'entità dell'investimento non è stata resa nota: l'area oggetto del progetto di riqualificazione comprende tutta l'area attorno a Porta Garibaldi, e nel suo complesso i 25 edifici hanno un valore di mercato di oltre 2 miliardi. "Gli investitori in Porta Nuova hanno guadagnato il 30%", ha detto Catella. "E' una delle transazioni più importanti a livello europeo - ha infatti aggiunto - ci sarà in futuro la possibilità di un ingresso di altri fondi sovrani in posizione di minoranza
Porta Nuova comprende 25 edifici tra cui la torre che ospita la sede di Unicredit, ed il cosiddetto 'Bosco Verticale' che è già stato venduto al 65%. La parte residenziale di Porta Nuova comprende 380 unità abitative in 13 edifici. Tra le società che già hanno scelto Porta Nuova come sede ci sono: Nike, Google e molte griffe della moda. Hines Italia Sgr continuerà a gestire i fondi d'investimento di Porta Nuova, property e project management invece sarà gestita da Coima della famiglia Catella.
Fino a poco tempo fa c’era un solo posto in Italia in cui si diceva ancora che la mafia non esiste, ed era il Nord, in particolare l’Emilia Romagna. L’idea che qua fossimo diversi e che la nostra diversità offrisse una barriera insormontabile al radicamento mafioso era così forte dal mettere al bando chiunque ne parlasse e con le stesse accuse rivolte a chi trent’anni fa ne parlava per il sud: procurare un immotivato allarme e screditare ingiustamente il territorio. Roberto Saviano, Beppe Sebaste e tanti altri giornalisti e scrittori - compreso il sottoscritto - bollati da prefetti, politici e anche alcuni magistrati come visionari e paranoici, deformati da una concezione esageratamente e volutamente noir di questa nostra isola così felice.
«Alcune dichiarazioni fanno scattare per lo scrittore una denuncia da parte della società francese che realizza la Torino-Lione. L'accusa è "istigazione pubblica a commettere delitti" per aver detto che la TAV va sabotata. "Ma chi è davvero minacciato dall'incriminazione che mi è stata rivolta è l'articolo 21 della Costituzione». Altreconomia.it, 7 gennaio 2015 (m.p.r.)
Nel settembre 2013, la LTF, ditta francese costruttrice della linea TAV Torino-Lione, annuncia una denuncia contro lo scrittore Erri De Luca, per le dichiarazioni rese all'Huffington Post Italia e all'Ansa. La denuncia viene effettivamente depositata il 10 settembre 2013 presso la Procura della Repubblica di Torino. «La Tav va sabotata», aveva detto Erri De Luca. Il 5 giugno 2014 sì è svolta la prima udienza preliminare, a porte chiuse. Il 9 giugno 2014 viene stabilito il rinvio a giudizio, per il 28 gennaio 2015. L'accusa è di aver «pubblicamente istigato a commettere più delitti e contravvenzioni ai danni della società LTF sas», come si legge nell'avviso di garanzia.
A due settimane dall'inizio del processo, il 14 gennaio 2015, uscirà in Italia e Francia un piccolo libretto di 64 pagine. Si intitola La parola contraria, è edito da Feltrinelli e costa 4 euro. È la “pubblica difesa” dello scrittore. Lo abbiamo intervistato.
Erri De Luca, quella in Val di Susa è una «lotta massicciamente diffamata e repressa». Perché?
La Val di Susa è un caso unico per la resistenza che la vallata ha saputo opporre a una 'grande' opera. In altri territori le ruspe e le trivelle sono passate con più facilità. È un caso unico per la qualità della resistenza civile degli abitanti di questa valle. È una lotta di pura e legittima difesa, indispensabile in un Paese come l'Italia. Ma attenzione, non è una lotta di retroguardia, semmai di avanguardia. Gli abitanti della Val di Susa dimostrano e stabiliscono il diritto di sovranità delle popolazioni locali sulle risorse, sull'aria, sull'acqua, sulla salute. Le loro voci sono minacciate dalla strafottenza pubblica nei confronti della vita civile. È una lotta di lunga durata ormai: una lotta esemplare per quel che riguarda il Paese e l’Europa. Una volta archiviato il cantiere, credo che verrà studiata nei libri di scuola.
Riflettendo sulla “istigazione” di cui l'accusano, lei scrive: «Vorrei essere lo scrittore incontrato per caso, che ha mischiato le sue pagine ai nascenti sentimenti di giustizia che formano il carattere di un giovane cittadino. […] Istigare un sentimento di giustizia, che già esiste ma non ha ancora trovato le parole per dirlo e dunque riconoscerlo. […] Di fronte a questa istigazione cui aspiro, quella di cui sono incriminato è niente».
Lo scrittore è una voce pubblica, che ha il compito di proteggere il diritto di tutti a esprimere la propria. Io mi considero un cittadino sia della Val di Susa sia di Lampedusa: posti nei quali la tenacia popolare ha smentito la diffamazione che è stata rivolta loro. I valsusini sono definiti "montanari" contrari al treno e all’alta velocità, amanti forse del calesse. La verità è che difendono il loro territorio da quello che ho definito '"stupro", in una delle più intense e durevoli lotte di prevenzione popolare contro la distruzione. È quindi ovvio che non possano transigere, che non siano trattabili la vallata e la loro salute. Non possono cambiare la loro posizione. Possono solo essere deportati. Non si può transigere sul diritto ad abitare quel suolo.
Il processo cui va incontro è un processo sulla libera informazione e sulla libertà di parola.
Ci sono montagne di documentazione che dimostrano, da anni, che la TAV in Val di Susa è inutile e dannosa. Allora perché tanti si ostinano a sostenerla, e lo Stato la considera un'opera “strategica”?
Si tratta di motivi di uniformità alle direttive economiche. Si tratta dei vantaggi delle imprese che devono realizzarla. Non la faranno mai, ma finché dura continueranno a lucrarci, anche a cantiere svuotato continueranno a guadagnarci. Un po' come accade con il Ponte sullo stretto di Messina. Sul fatto che sia strategica per lo Stato, registro che però io sono stato denunciato da una ditta privata. Sfido allora la pubblica autorità a costituirsi parte civile contro di me. Manca questo tassello a completare l’intimidazione. Non è detto che non lo facciano entro il 28 gennaio.
Tuttavia non si ritiene una vittima, né di aver subito un torto.
'"Vittima" è una parola che mi dà fastidio. Io sono testimone di un abuso nei miei confronti e nei confronti di una comunità. Se verrò condannato, non ricorrerò in appello -i miei avvocati sono ormai rassegnati-. I miei ragionamenti sono quelli contenuti nel libro: se non saranno sufficienti in primo grado non vedo il motivo per andarmi a cercare una seconda aula in cui ripetere gli stessi argomenti cercando migliore udienza. Se quello di cui sono accusato è un reato, allora mi dichiaro reo confesso e recidivo. Ho scelto anche di non cambiare tribunale (per incompatibilità ambientale, ndr), poiché per i processi No Tav non è mai stato fatto. La linea difensiva è svolgere il dibattimento il prima possibile, senza presentare obiezioni né testimoni. Le mie sono parole che ho sempre pronunciato. Non era la prima né l’ultima volta che le pronunciavo: sono convinto della ragioni della Val di Susa. Per me prendere la parola a favore di una comunità è un dovere. Fa bene alla mia salute. Se mi censuro, censuro il mio vocabolario, mi danneggio. Le leggi dicono che potrei andare in carcere.
In questi mesi ha ricevuto molto sostegno. «I tempi cambiano», scrive nel suo libro.
C'è stata molta solidarietà nei miei confronti a partire sin da giugno. Molte persone hanno letto in pubblico le mie pagine. È la cosa più bella che mi sia capitata in questa vicenda. Non si tratta di solidarietà sull’argomento, ma affetto nei confronti delle pagine scritte. È questa la mia linea difensiva: se ci sono dei precedenti di istigazione vanno cercati nella scrittura, non nella mia biografia. Io ho espresso una mia opinione, che è stata criminalizzata. Inoltre c'è stata la solidarietà degli editori, che hanno deciso per un prezzo così basso per il libro. Col resto ci si prende un caffè.
«Appalti, cemento, progettazioni di opere nate con questi presupposti daranno benefici scarsi, una sicura ferita all’ambiente e tanto consumo di suolo ma però faranno tanto consenso. Adesso questa politica, se non la corregge Renzi, dovranno pagarla gli italiani». Ilfattoquotidiano.it, 22 luglio 2014
Nel sistema nazionale dove la regolazione pubblica delle vecchia rete autostradale vede il Ministero delle infrastrutture nel ruolo più di spettatore che di programmatore e concedente di concessioni autostradali, anche la nuova rete in costruzione ne subisce un’influenza negativa. Contribuisce la frammentazione di 23 società che gestiscono in concessione i 7 mila km di rete autostradale, sia pubbliche che private, a rendere disorganico il quadro per la viabilità e gli utenti. Le concessionarie hanno una forte influenza politica (appalti, progettazioni, assunzioni), pagano canoni risibili allo Stato e si sono garantite, con i diversi governi che si sono succeduti, tutti disattenti, un automatismo tariffario con pedaggi salasso che generano extra-profitti.
Ciò grazie alla promessa di un maxi piano (sulla carta) di potenziamento della rete autostradale esistente che assicura rendite di posizione monopoliste con rinnovi delle concessioni automatici che evitano le gare suggerite dall’Europa. E’ in questo contesto che vanno valutati i sette grandi project-financingautostradali affidati negli anni passati e messi in “legge obiettivo”. Essi prevedevano investimenti complessivi per 15,3 mld e per i progetti più complessi lo Stato aveva stanziato un allettante pacchetto di risorse: oltre due miliardi di euro.
Ora, dopo tanti avvertimenti di esperti ed ambientalisti, questi progetti sono in grave difficoltà finanziaria. Si tratta della Pedemontana Veneta e Lombarda, della Tem milanese, dell’Asti Cuneo, della Tirrenica Nord della Cispadana e della Brebemi. Tutti questi progetti scontano non solo la grave crisi economica che si è abbattuta sul Paese ma anche l’inasprimento delle condizioni finanziarie poste dalle banche che non si sono più rese disponibili per prestiti a lungo termine se non con quote di equity, e quindi di rischio, degli azionisti che non hanno mai sottoscritto. Nel corso della progettazione e della realizzazione delle opere le banche sono diventate azioniste di controllo come nel caso di Tem e di Brebemi e i closing finanziari sono avvenuti durante il corso delle opere grazie ai prestiti di istituti pubblici come la Bei e Cassa Depositi prestiti.
Ma in questi anni i nodi della “grandeur autostradale privata” sono venuti al pettine facendo saltare i piani economico-finanziari. Ecco perché ora queste 7 concessionarie hanno richiesto complessivamente 2,9 miliardi di aiuti pubblici; o attraverso la defiscalizzazione o attraverso stanziamenti a fondo perduto e con l’allungamento della durata della concessione. Le previsioni di traffico erano state sovrastimate e i costi di realizzazione sottostimati per giustificare le tratte da realizzare. Le difficoltà a raccimolare le risorse per avviare i cantieri e la modifica dei progetti chiesta dagli enti locali e dalle valutazioni ambientali hanno allungato i tempi di anni.
Ciò ha incrementato il peso degli interessi sul costo dell’opera. Per esempio per Brebemi, i costi sono triplicati passando da 800 milioni a 2,4 mld di cui ben 800milioni di soli interessi ed oneri finanziari. All’atto dell’apertura della direttissima Brescia Milano, parallela alla A4 Milano Brescia, si è scoperto che le tariffe saranno doppie rispetto a quelle già salate di autostrade per l’Italia. Tra abbassare le tariffe per aumentare i volumi di traffico o tenerle alte Brebemi ha scelto la seconda opzione. E cosi anche l’utilità sociale, oltre a quella trasportistica, vengono meno. Con un traffico previsto di 20mila veicoli giornalieri, contro gli 80mila stimati, il Project -financing non poteva che essere “aggiustato” spostando sulla spesa pubblica i maggiori costi e le minori entrate.
Puntuale è arrivata la richiesta al Cipe di Brebemi di defiscalizzazione per 497 milioni di euro e di allungamento della durata della concessione di 10 anni, cioè da 20 a 30 anni. Così verrebbe modificato il Project financing e stravolta le condizioni della gara fatta nel 2007, la stazione appaltante perderebbe ulteriormente di credibilità e ciò spiega il motivo per cui in questi 7 Project -financing che ora chiedono 2,9 miliardi non c’è un euro di una banca straniera. Appalti, cemento, progettazioni di opere nate con questi presupposti daranno benefici scarsi, una sicura ferita all’ambiente e tanto consumo di suolo ma però faranno tanto consenso. Adesso questa politica, se non la corregge Renzi, dovranno pagarla gli italiani. E’ cosi che i Project financing fatti per non gravare sullo Stato finiscono per essere modificati dagli stessi promotori delle opere e subiti (con entusiasmo) dai committenti pubblici Ministero delle Infrastrutture, Anas e Regioni.
Dario Balotta è esperto di trasporti e ambiente
Avrebbero potuto, in particolare Il Corriere della Sera e la Repubblica, incalzare il "sistema Expo" nel lungo intervallo di una luna di miele iniziata nel marzo del 2008, dopo l'assegnazione a Milano dell'organizzazione di Expo 2015 e maggio 2014, con gli arresti che provano ciò che molti a Milano e non solo sostengono da tempo: questo Expo senz'anima (come lo ha definito Carlin Petrini di Slow Food nel corso di un convegno ospitato dall'ISPI) è stata solo una "grande opera", anzi un insieme di grandi opere che costeranno almeno 11 miliardi di euro.
Le parole di Petrini sono lo spunto per un corsivo pubblicato il primo giugno dal Corriere della Sera, ma chi lo firma, Giangiacomo Schiavi, meno di tre mesi fa sedeva a intervistare Sala, ad di Expo, Pisapia, sindaco di Milano, Maroni, presidente di Regione Lombardia, e Martina, ministro dell'agricoltura a Milano, e non ha incalzato nessuno dei quattro su ritardi (la cancellazione della linea metropolitana M4, la mancata inaugurazione di M5; i cantieri "indietro tutta" di Pedemontana), né sul rischio di una Expo "dimezzata": come scrive Lorenzo Bagnoli su Altreconomia di maggio 2014, i Paesi ospiti non dovranno pagare alcuna penale se rinunciano a realizzare il loro padiglione, e se continua così - per i cantieri "preliminari" della Piastra espositiva siamo a quasi due anni di ritardo - alcuni potrebbero rinunciare.
Schiavi, pur con distinguo, continua però a difendere Expo, definisce "rubagalline" gli arrestati, ma basterebbero due collegamenti - il dovere del giornalista è quello della "memoria"- per evidenziare la debolezza di questa lettura. In aiuto, arriva uno scoop di Repubblica, sugli extracosti legati a una gestione "commissariale" ed "emergenziale" degli appalti. L'imbeccata è - oggi - della Corte dei Conti, ma sarebbe bastato ascoltare in questi anni la voce dei No Expo per capire "dove saremmo andati a parare". A meno di non rinunciare a questa mega-macchina mangia soldi, pagando - fino ad aprile 2013 - una penale di poche decine di milioni di euro, irrisoria rispetto allo spreco di denaro pubblico che è già stata e sarà Expo.
Invece, siamo ancora qui, a 11 mesi dall'evento, ad ascoltare senza colpo ferire un ministro in carica parlare di Expo come di una "scommessa". Se è davvero tale, dopo sei anni, è già persa. Avvertite Maurizio Martina.
Dopo oltre trent'anni di veleni e morti «per far emergere verità inoppugnabili, c’è stato bisogno dell’intervento della magistratura che ha riconosciuto colpevoli i massimi dirigenti dell’Enel. Left, 8 febbraio 2014
Parallelamente, le ragioni dei cittadini inquinati costituitisi parti civili sono state verificate da una scrupolosa pubblico ministero, Emanuela Fasolato, che, sulla scorta di studi epidemiologici delle Asl e dei consulenti del tribunale, ha chiesto il riconoscimento del nesso causale tra inquinamento dell’aria e patologie respiratorie riscontrate specie sui bambini, oltre ad una mortalità in eccesso per tumore su tutte le fasce della popolazione.
ACCUSE IN BELLAVISTA
L’imprenditore fermato mentre era dal sindaco. I pm: illeciti nella costruzione del porto di Imperia. Indagato Scajola
di Ferruccio Sansa
Doveva incontrare il sindaco di Imperia. Ma ad accoglierlo ha trovato anche la Polizia Postale che lo ha arrestato. Parabola amara per Francesco Bellavista Caltagirone, patriota della cordata Alitalia: anni fa nel Ponente ligure era visto come il salvatore, l’uomo che aveva realizzato il porto voluto da Claudio Scajola. Ieri è uscito dal Comune in compagnia degli investigatori. Un terremoto per il regno di Scajola, “u ministru” come continuano a chiamarlo qui. Un epilogo, però, non inatteso: il porto di Imperia da due anni è sotto inchiesta, con costi lievitati da 80 a 200 milioni.
Insieme con Caltagirone Bellavista è finito in prigione Carlo Conti, ex direttore della Porto d’Imperia spa (pubblico-privata) considerato vicino a Scajola. L’accusa per entrambi è truffa aggravata. Indagati anche Paolo Calzia, già direttore generale del Comune di Imperia, Delia Merlonghi, legale rappresentante di Acquamare (società di Caltagirone), Domenico Gandolfo, ex direttore della Porto di Imperia e Beatrice Cozzi Parodi. Sì, la compagna dell’immobiliarista, soprannominata “nostra signora dei porticcioli” perché impegnata da sola o con Caltagirone nella realizzazione e nella gestione di 5 scali imperiesi. Uno scandalo che mette in discussione il sistema di porticcioli che hanno ricoperto le coste liguri di moli e cemento, con la benedizione di centrodestra e spesso centrosinistra.
Truffa aggravata, quindi. Si tratta della pista finanziaria della più ampia inchiesta sul porto che vede indagato in un altro filone anche Scajola. Secondo i pm imperiesi, l’ex ministro sarebbe tra gli ispiratori di un’associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta (per l’aggiudicazione non ci fu bando di gara). Ma questa è un’altra storia. Al centro dell’ordinanza che ha portato agli arresti di ieri c’è il contratto di permuta con cui le società costruttrici in cambio della realizzazione del porto hanno ottenuto la concessione su gran parte delle opere. Lasciando, sostiene l’accusa, il socio pubblico a becco quasi asciutto: secondo gli accordi, ricostruiscono Polizia Postale e Finanza, i privati avrebbero ottenuto il 70% dell’opera. Alla società Porto di Imperia spa (di cui il Comune detiene appena un terzo) sarebbe rimasto il restante 30%.
Racconta Beppe Zagarella (Pd), una delle poche voci critiche: “Le società realizzatrici hanno ottenuto l’85% della parte residenziale del progetto, alla Porto di Imperia sono restati i capannoni per la cantieristica e una discoteca. Poi c’è il porto: ai privati sarebbe andato il grosso dei posti barca, mentre al pubblico restano i moli per le imbarcazioni in transito e quelli per la nautica sociale”. Non basta: i pm si sono anche concentrati sui costi del megaprogetto . Si è passati da 80 a 200 milioni. C’è poi il capitolo legato al mutuo da 140 milioni ottenuto dalle società realizzatrici (oggetto di polemiche politiche, ma non ancora di formale indagine). Ricorda Zagarella: “Finora le rate non sono state pagate. Gli istituti hanno concesso una proroga”. Il finanziamento è garantito con un’ipoteca da 280 milioni, ma i creditori cominciano a essere impazienti. Tra le banche interessate all’operazione la parte del leone spetta alla Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (Carige). L’opposizione ricorda che il vicepresidente è Alessandro Scajola, fratello dell’esponente Pdl, mentre nella fondazione siede Pietro Isnardi (consuocero di Alessandro Scajola). Il vice-presidente è Pierluigi Vinai, uomo stimato dagli Scajola e appena scelto come candidato sindaco del centrodestra a Genova.
È il 2003 quando le cronache cominciano a parlare del porto. Mancano ancora anni all’aggiudicazione della concessione, ma Caltagirone Bellavista già vola sopra Imperia in elicottero sognando affari. Con lui ci sono Claudio Scajola e Gianpiero Fiorani che in Liguria sogna di reinvestire i soldi delle sue operazioni finanziarie. Alla fine ecco il via libera: 1440 posti barca più capannoni e residenze. Presto, però, cominciano i guai: i costi crescono, le magistrature indagano. Oltre alla Procura di Imperia c’è anche quella di Sanremo che teme il coinvolgimento di imprese in odore di ‘ndrangheta nei subappalti per la bonifica e il movimento terra dei porti di Imperia e Ventimiglia (inchieste, va sottolineato, alle quali Caltagirone Bellavista, Cozzi, Scajola e le persone citate in questo articolo sono estranei).
Ma chi osa avanzare perplessità viene messo a tacere. Come Claudio Porchia, all’epoca segretario Cgil di Imperia: “Tu sei il capo di un gruppo parassitario che non conta un tubo e non prende un voto”, replica Scajola.
Adesso l’aria sembra cambiata. E l’eco dell’inchiesta arriva in mezza Italia. Perché le società di Caltagirone Bellavista dominano il mercato dei porticcioli. Dal litorale laziale, Civitavecchia e Fiumicino, ancora con benedizione bipartisan, alla Sicilia (Siracusa). Ma per il futuro si parla di Toscana e Dalmazia.
L’AMICO DI FIORANI
MATTONE, SALOTTI E INCHIESTE
di Stefano Feltri
Per lui Maria Angiolillo, l’animatrice del salotto romano più ambito, era “Amica. Sorella. Compagna”, come fece scrivere nel suo necrologio. Perché Francesco Bellavista Caltagirone (doppio cognome perché nato illegittimo da Ignazio Caltagirone e poi riconosciuto), 73 anni, arrestato ieri a Imperia, è molte cose, ma soprattutto è un uomo di relazioni. É più facile ricostruire la sua rete di relazioni che l’assetto proprietario del suo gruppo, l’Acqua Marcia, che si perde tra Lussemburgo e Malta, dove c’è l’ultima scatola, l’oscura Ignazio Caltagirone Trust.
Le sue donne sono tante, decisivo un matrimonio con Rita Rovelli, figlia del finanziere Nino. Le sue frequentazioni sono molte: Marcello Dell’Utri, Sergio D’Antoni, Marcello Pera, l’ex comandante della Finanza Roberto Speciale, l'ex presidente di Confcommercio Sergio Billè. E ovviamente Claudio Scajola. Fino a qualche anno fa prestava i suoi aerei privati a Gianpiero Fiorani, fino al 2005 arrembante banchiere della Popolare di Lodi. Nei primi mesi dell’anno dei “furbetti del quartierino” Bellavista usa una società delle Isole Vergini, la Maryland, per aiutare l’amico Fiorani: finanziato dalla Popolare di Lodi, rastrella azioni di Antonveneta (che la Bpl stava scalando), all’insaputa dei piccoli azionisti e della Consob. Con il più famoso cugino Francesco Gaetano Caltagirone, immobiliarista , editore e finanziere, non è in rapporti. E l’Ingegnere, come si fa chiamare il Caltagirone potente, è assai infastidito dall’omonimia.
Anche perché il gruppo Acqua Marcia non se la passa affatto bene da alcuni anni. Nel 2009 i debiti ammontavano già a 650 milioni, troppi a fronte di un fatturato di 260. Nel giro di due anni i debiti salgono ancora fino a 900 milioni. E Bellavista discute con le 16 banche creditrici, con l’intermediazione di Rothschild, un piano di cessioni per ripianare almeno parte dell’indebitamento. L’eterogeneo gruppo Acqua Marcia ora rischia lo spezzatino. Si parla della cessione del settore turistico-alberghiero e dei servizi aeroportuali.
Quando nel 1994 Bellavista rileva la “Società dell’Acqua Pia Antica Marcia”, questa è soprattutto un’azienda immobiliare con una lunga storia. Recita il sito web: “Con oltre 140 anni di storia l’Acqua Marcia rappresenta oggi la più antica società immobiliare italiana, una società non solo di costruttori ma anche di realizzatori di grande opere e di interventi di recupero e riqualificazione di complessi industriali di pregio storico”. Negli anni diversifica, pur mantenendo una presenza solida nell’immobiliare, tra Milano, Roma e il Veneto. A Milano la magistratura ha sequestrato un’area di 300 mila metri quadri di proprietà dell’Acqua Marcia e della Residenza Parchi Bisceglie. Quei terreni, dove si stavano costruendo alcuni palazzi, erano niente altro che una discarica bonificata (secondo l'accusa) solo in parte.
Bellavista controlla alcuni degli alberghi più esclusivi d’Italia, in Sicilia: Villa Igiea e Des Palmes, a Palermo, il San Domenico a Taormina, l’Excelsior di Catania. Il Molino Stucky di Venezia è il pezzo pregiato della lista visto che, come si legge sul sito, è “il più grande albergo 5 stelle della laguna”. Me è nelle infrastrutture che Bellavista è più attivo: oltre al porto di Imperia, affare per il quale è stato arrestato ieri, ci sono i lavori per la costruzione dei porti di Fiumicino e Siracusa. E poi il business dei servizi di terra in aeroporto, con le controllate Ata Handling e Ali: dalla gestione dell’aeroporto privato di Linate a Malpensa, Bologna, Catania, Venezia. Comprensibile che un imprenditore così esposto verso la politica e interessato al settore aereo nel 2008 venga incluso da Bruno Ermolli tra i patrioti dell’Alitalia: un gettone quasi simbolico, l’1,77 per cento. Giusto per esserci, nonostante i debiti.