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Caro Eddyburg, mi domando se domani esisterà ancora la “Toscana delle colline”, quella che nell’immaginario collettivo rappresenta la nostra regione, quei poggi, da sempre sfondo del nostro quotidiano e prima di noi dei nostri padri che hanno amato la loro terra, lavorandola in un razionale rapporto di equilibrio fra uomo e natura. Un paesaggio che ogni toscano porta con sè, inserito come sfondo nelle più alte opere d’arte, perchè esso stesso opera d’arte.

La nuova politica partecipata di governo del territorio: il caso di Montescudaio in provincia di Pisa, è un esempio dei tanti comuni che oggi in toscana partecipano alla corsa forsennata e affaristica all’ eolico, un grande business per le multinazionali e un danno incalcolabile per l’ambiente. Possiamo chiamare referendum democratico quello che si è svolto a Montescudaio il 25 marzo scorso? Una consultazione nella quale chi ha votato SI sceglieva di assicurarsi un beneficio di €300 l’anno? La campagna informativa, per il nnuovo “parco Eolico” di Montescudaio, è iniziata di fatto solo 15 giorni prima del referendum, ed è consistita in un convegno presso il palazzo Comunale dove i relatori erano tutti favorevoli per il SI. Una simile consultazione è stata un’offesa per la democrazia e per questo riteniamo che l’Eolico industriale danneggi non solo e per sempre i preziosi e ammirati paesaggi italiani, ma in vari modi indebolisca anche il processo democratico, specialmente nelle comunità più deboli. La Toscana non può reggere all’impatto di 1500 torri eoliche che potranno essere installate già dal prossimo anno: stiamo parlando di installazioni che superano in altezza i 90 metri, le più alte oggi arrivano fino a 140 metri, più alte del duomo di Firenze che misura 107 metri o della torre di Pisa che ne misura 55metri. Vani sono stati gli appelli degli scienziati, il Premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia, affermava infatti in una recente intervista “…è inutille insistere con l’ energia eolica perchè di vento ce n’è poco nella Penisola, al contrario dei paesi del Nord Europa o dell’Irlanda.”.

Tutto questo per nulla!!! La ricaduta in termini energetici è bassissima, inferiore all’aumento annuo del fabbisogno energetico. Per questo chiediamo con forza che le istituzioni regionali aprano un tavolo di concertazione: vogliamo ottenere l’immediata sospensione delle autorizzazioni, in attesa di una legge regionale che regolamenti la localizzazione dei nuovi “parchi” eolici. Il territorio non è una fonte rinnovabile. Sia chiaro che altrimenti dovremo assumerci la responsabilità di spiegare ai nostri figli che altre vie non esistevano e la distruzione del paesaggio era inevitabile

L’utilizzazione dell’energia eolica è tra le molte cose che in Italia sono gestite malissimo. Si ha l’impressione che il danno provocato sia maggiore del beneficio. Non c’è un confronto serio tra i diversi costi e benefici delle diverse energie alternative, e che l’eolico sia in così ampia espansione al confronto con altri modi solo per due ragini: perché l’unico danneggiato è ilo territorio, come paesaggio e – in molte zone – come produzione agricola cacciata dalla più lucrosa cessione del terreno ai parchi eolici; pertchè chi si muove per produrre l’energia eolica, chi progetta gli impianti, chi sceglie le aree dove installarle è l’industria. Le regioni, nel migliore dei casi, si limitano a porre qualche esclusione: qui non si può. Il che significa “altrove fate tutto quello che volete”. Vogliamo provare, come suggerisce Alberto Magnaghi, provare a contare quanta energia produrrebbe invece coprire di pannelli solari tutte le coperture delle zone industriali? E vogliamo provare a progettare, magari nell’ambito della pianificazione paesaggistica, i parchi eolici là dove non recano danno né al paesaggio né all’agricoltura (né alla sicurezza degli nuomini né alla vita degli animali)?

Oggi, come la lettera testimonia, il passpartout dell’eolico e la sua forza di convinzione sono affidate unicamente all’interesse venale, dei comuni e dei proprietari del territorio rurale. Non è una buona cosa.

Gentile prof. Salzano,

ieri alla presentazione del libro No Sprawl a Parma non sono riuscito a fare la domanda e mi ha invitato a porgliela via mail. Volevo chiedere questo: lo sprawl è contrastabile, come han mostrato le esperienze di Germania e Gran Bretagna - e sarei ben felice che questo scempio cessasse - però sorge un dubbio: sotto allo sprawl stanno problemi più vasti: voglio dire: le case che vengono costruite non rimangono tutte vuote, ma vengono abitate. I centri commerciali vengono usati. I capannoni che vedo nel mio comune costruiti negli ultimi anni sono quasi tutti utilizzati. E allora, sotto lo sprawl non stanno cause che andrebbero analizzate altrimenti si rischia di contrastare l'effetto e lasciare intatta la causa? Per fare un esempio che mi viene in mente: c'è necessità di maggiore quantità di appartamenti anche se la popolazione rimane la stessa perché i nuclei familiari sono pi piccoli (separazioni, divorzi ecc.). Tra l' altro, mi può segnalare se ci sono ricerche al riguardo? La ringrazio molto.

Non sempre le trasformazioni urbanistiche sono motivate da bisogni reali. Un terreno edificabile vale molto di pi di un terreno non edificabile, anche se non viene effettivamente utilizzato. C'è quella che Luigi Scano chiamava "l'economia del retino": se sul mio immobile ho un retino di PRG che mi dà una prospettiva lucrosa posso ottenere facilmente mutui, posso metterlo "a bilancio" con un valore elevato.

E' comunque certo che ala base dello sprawl c'è anche una spinta oggettiva: molti autori lo mettono in relazione anche con le politiche neoliberiste di smantellamento dello stato sociale, e in particolare l'abbandono dell'edilizia residenziale pubblica. E nei paesi dove la dispersione urbana viene effettivamente contrastata le politiche di tutela del territorio rurale si accompagnano alle politiche di incentivo all'edilizia sociale (vedi le nuove leggi della Francia e della Catalogna) e alle politiche urbanistiche volte a rendere utilizzabili le vaste aree dismesse presenti in moltissime cittè. Se nelle aree abbandonate dalle fabbriche o dagli ospedali o dalle caserme o dalle scuole si prevedono ristrutturazioni urbanistiche, o spesso anche solo edilizie, che rispondano alle domande di nuovi capannnoni, nuovi spazi per il commercio ecc. invece di prevedere "valorizzazioni immobiliari", ecco che si può soddisfare la domanda senza occupare nuovo suolo naturale. Sul libro No Sprawl troverai indicazioni ed esperienze in questa direzione, soprattutto nei saggi di Gibelli e di Frisch.

Caro Professore, l'ho appena incontrata in Eddyburg che è spuntato dal web perchè cercavo "belpaese". In Eddyburg ci si può perdere, ritrovare, abitarci o semplicemente passare una vacanza, io ho fatto una rapida nuotata e ho pensato che le avrei scritto subito perchè forse poteva aiutarmi rispetto ad un problema molto preciso.

- Che fare quando una amministrazione con efficienza e determinazione vuole trasformare un bel paese di 1800 abitanti in un postaccio inquinato e cementificato? - Che fare quando una amministrazione si rifiuta di chiedere la VIA?

Vivo in Umbria in uno splendido piccolo paese in collina sulla Valle del Tevere. Vogliono costruire un cementificio con una torre-betoniera di 30 m e fanno molte altre porcherie comunque su scala più micro e meno rapidamente devastante. Che fare? Io sono una non urbanista, ma mi occupo di programmazione sociale e comunque sono una amante del paesaggio. Assistere impotente alla folle degradazione di un patrimonio straordinario come quello che avremmo qui prima di questa "grande opera", mi dà molto fastidio. Not In My Garden per me riguarda tutta la Valle del Tevere e gli splendidi paesi di pietra. Insomma, penso in grande!

Le sarò grata per qualsiasi suggerimento.

Grazie per Eddyburg!

Ringraziarla (anche per i miei collaboratori) è facile. Più difficile è risponderle. Il primo strumento che abbiamo se un’amministrazione si comporta male è usare lo strumento del voto, e mandarla via. Purtroppo è un’arma imperfetta; per essere efficace richiede almeno due condizioni: che ci sia un’alternativa, e che questa sia maggioritaria. Il lavoro, faticosissimo, che ciascuno di noi può fare è quello di far comprendere le cose giuste al maggior numero possibile di persone: protestare ed educare, o se vuole protestare educando ed educare protestando. In Italia ci sono moltissimi gruppi, comitati, associazioni che si battono per la difesa del paesaggio, della bellezza e della salute, per una migliore qualità della vita. “Mettersi in rete” con gli altri può essere uno strumento utile. Prendere contatto con le associazioni più grandi (Italia Nostra, WWF, Legambiente), cercare i giornalisti più sensibili, documentare e denunciare. Cominciare in pochi ma proporsi di diventare molti.

Un cammino lungo e difficile, ma non credo che ce ne siano altri.

sono un giovane laureato all'Accademia di Belle Arti di Venezia che lavora come volontario del servizio civile presso il Centro Pace del Comune di Venezia. Ho imparato a conoscerla dapprima attraverso gli eddytoriali su Carta e poi navigando sul suo sito.

Ora vivo a Murano ma il paese dove sono nato, dove ho passato infanzia, trascorso la giovinezza e dove a tutt'oggi risiedo è Monteviale, piccolo paese alle porte di Vicenza. Nell'agosto dello scorso anno, per iniziativa di un manipolo di giovani del paese, abbiamo costituito un gruppo, denominato "coordinamento No al distributore", nato con l'intento di tessere reti e trovare nuove sinergie che portassero i nostri riottosi concittadini a mobilitarsi contro la costruzione di un impianto di distribuzione carburanti, ennesimo oltraggio ad un territorio che, nel giro di pochi anni, è stato letteralmente devastato da speculazioni immobiliari, annesi rustici e altre incredibili porcherie. Il distributore sorge (i lavori sono oramai ultimati) in un'area soggetta ad esondazioni, vincolata (per la vicina roggia Dioma), a ridosso di un vincolo monumentale, a poche centinaia di metri da Villa Loschi Zileri (opera del Muttoni con un ciclo d'affreschi di Giambattista Tiepolo).

Non la tedio ora narrandole la triste e raccapricciante storia di come s'è giunti a rilasciare autorizzazioni e permessi; vorrei invece raccontarle brevemente di come da quella mobilitazione si sia costituito un gruppo che, riunendo diverse competenze e sensibilità, sta ora studiando tutta una serie di iniziative e proposte per la promozione, la salvaguardia e lo sviluppo sociale ed economico del territorio. Stiamo inoltre elaborando un documento con il quale vorremmo presentarci alla fase di concertazione del P.A.T.

Con riferimento soprattutto a quest'ultimo punto volevo sapere se c'era da parte sua la disponibilità a darci delle indicazioni, a suggerirci modalità e strategie, a fornirci, detta molto terra terra, qualche utile consiglio. Martedì abbiamo iniziato un ciclo d'incontri di carattere formativo-informativo aperti alla cittadinanza; in questo primo appuntamento abbiamo cercato di spiegare le ragioni, le criticità e le incoerenze che stanno dietro al progetto, previsto dalla Regione, per una grande cassa d'espansione artificiale, collegandola al problema del consumo del suolo. Inoltre abbiamo parlato di paesaggio, degli aspetti identitari, della qualità della vita, di quanto sfugge alla monetizzazione ma non per questo ha meno valore.

In attesa di riscontro la ringrazio per l'attenzione

Non so darle che risposte generiche. Mi sembra che la strada sulla quale vi muovete sia giusta: approfondire l’esame dei problemi, cercare di far condividere le proprie idee sul territorio a un numero sempre più vasto di persone. Per darle davvero una mano in termini più specifici bisognerebbe avere il tempo di studiare con voi la situazione, di individuarne i problemi, e su questa base scoprire le possibilità di azione che ci sono, in quello specifico contesto, per un gruppo di cittadini che voglia opporsi alle scelte sbagliate. Pubblico la sua lettera non solo perché è una bella testimonianza delle mille proteste che salgono da ogni parte d’Italia contro il disordine nell’uso del suolo e delle mille volontà di concorrere a rendere più amichevole il territorio e più comprensibili le decisioni sul suo governo, ma anche perché spero che dare un po’ d’evidenza alla vostra situazione attiri su di voi l’attenzione e l’interesse di qualcuno che possa aiutarvi meglio di me.

Cari amici di Eddyburg,

ho letto l'articolo di Caudo su "Vivere in affitto, in Italia" , del 07.04.2007. Ho un paio di domande.

Visto che gli affitti sono così alti, non sarà forse questa la ragione per cui, alla fine, la gente finisce per comprarsela la casa?

Questo fatto spiegherebbero perché solo quelli veramente poveri stanno in affitto. Per gli altri, la scelta più intelligente, è quella di non buttar via i propri soldi. Un modo come un alto per tenere alta la pressione della domanda (e fare i soldi col mattone)... Negli anni passati, quando i tassi di interesse furono abbassati dal primo governo Prodi, era chiaro che questo convenisse.

Certo, parlo per impressioni, ma forse voi ne sapete di più.

Si parla del 18,7% circa di famiglie che non vivono in case di proprietà. Certo, anche il giovane trentenne che non riesce a vivere da solo vive in una casa di proprietà (della famiglia). Insomma: non pensate che, forse, queste statistiche sugli affitti diano una immagine del paese fuorviante?

Fatemi sapere che ne pensate. Buon lavoro

La rigidità del mercato dell'affitto in Italia, ovvero assenza di affitti a canone sociale, a canone intermedio, e quindi solo offerta di alloggi a libero mercato, ha spinto molte persone a "scegliere" di comprare casa. Una scelta obbligata. Negli ultimi anni molte famiglie hanno comprato casa aiutate dalla relativa facilità con cui le banche concedono mutui. Nell'articolo che segue si dà conto di come le famiglie si siano indebitate di più e per più tempo (i mutui a 30-40 anni sono ormai la norma). Il lettore coglie quindi un dato reale che si nasconde dietro i dati della crescita dei "proprietari" di case: sostenere il mercato immobiliare tenendo alta la domanda ed evitarne una brusca caduta. Ma c'è anche un altro aspetto non sempre evidenziato, il rovescio della medaglia: la compressione della capacità di spesa delle famiglie. Una compressione che destina oggi, e per i prossimi decenni, oltre il 50% del reddito delle famiglie alla rata di mutuo. Non ci sono indagini specifiche ma è evidente che questo rappresenta una zavorra notevole alla crescita economica del Paese. Indirettamente la comparsa sul mercato di prestiti al consumo offerti alle famiglie "proprietarie" di case anche se ancora risultano impegnate a pagare il mutuo, è una conferma di questo disagio. Negli Stati Uniti questo meccanismo del "prestito sul prestito" ha alimentato i consumi interni negli ultimi dieci anni ma oggi i nodi sono venuti al pettine. E' di questi giorni il fallimento di una compagnia di prestiti specializzata nella concessione di mutui per le famiglie che non potevano offrire garanzie.

La finanziarizzazione del mercato immobiliare, si veda l'articolo per eddyburg "Case di carta", è la spiegazione di molte delle questioni che riguardano oggi la nuova questione abitativa. I dati vanno letti quindi per quello che sono e l'immagine "fuorviante" che ne viene fuori è che non si può pensare che tutti saranno proprietari e considerare il mercato dell'affitto come un mercato marginale, destinato solo ai poveri. Ci sono diverse ragioni per questo, e quello di dare una casa a chi non la può comprare è solo una parte del ragionamento: oggi il mercato dell'affitto è centrale per assecondare la dinamicità della società, soprattutto nei primi anni di formazione della famiglia, è centrale per consentire di accogliere il flusso di persone che attraversano il "mondo" delle città, per accogliere le forze più giovani e dinamiche della società. Insomma, in tutti i paesi civili l'affitto è considerato un mercato centrale per contribuire a rafforzare l'economia del paese. Per questo ad esempio la Spagna, la Francia, e l'Inghilterra hanno politiche nazionali per l'affitto a costi accessibili. Da noi questo segmento del mercato non esiste proprio e si fa anche fatica a inserirlo nell'agenda politica. Ma i dati, ormai da anni, dicono solo questo: la necessità di non considerare più il mercato dell'affitto come mercato marginale e la necessità di avviare politiche specifiche per ampliare l'offerta di alloggi in affitto. (g.c.)

Ho letto la segnalazione del Signor Mario Colombo a proposito di un porticciolo turistico che dovrebbe sorgere, recuperando un'area industriale dismessa, tra la foce dell'Arno e il Parco di San Rossore. Penso che la segnalazione ponga alcuni problemi ai quali si potrebbe rispondere in modo un po' diverso dal semplice riporre la questione nella conformità o meno del progetto ai piani vigenti. Non so nulla di quel progetto ma non mi sentirei di affermare che se è conforme ai piani vigenti allora va tutto bene. Molte delle segnalazione che meritoriamente eddyburg pubblica quotidianamente (purtroppo e comprensibilmente non tutte quelle che arrivano) si occupano di previsioni di piani regolarmente approvati dagli organi di governo preposti. Il Signor Colombo solleva poi, sommessamente, un'altra questione: i lavori avranno inizio non appena consegnata la V.I.A., ovvero la riduzione della valutazione d'impatto ambientale a prassi autorizzativa. Lo stupore del Signor Colombo è comprensibile e contiene lo sconcerto di chi pensa che la V.I.A. dovrebbe servire a valutare un progetto non ad autorizzarlo. La V.I.A. dovrebbe inoltre contemplare delle audizioni pubbliche,con le quali si dovrebbe rendere noto il progetto alla popolazione potenzialmente interessata dai suoi effetti. Un elemento "larvale" di partecipazione che viene quasi sempre dimenticato. Prima di affermare che se il progetto è conforme ai piani allora va tutto bene, verificherei almeno come è stata condotta la procedura di V.I.A. Anche il progetto Citylife per la riqualificazione dell'ex Fiera di Milano è un regolare Programma Integrato d'Intervento corredato da V.I.A. ma possiamo per questo affermare che tutto va bene? Con i migliori saluti

P.S. Qualche tempo fa le avevo mandato una mia testimonianza a proposito di cosa succede in un paese della Brianza (decida lei se chiamarlo gaddianamente Bueydos, come avevo fatto io, o se con il suo vero nome: Bovisio Masciago) il quale, grazie alla vigente legge urbanistica lombarda, si è approvato un regolare Piano di Governo del Territorio, con tanto di regolare Valutazione Ambientale Strategica del Documento di Piano. Questa storia ordinaria forse non interesserà nessuno, ma ci racconta di cosa succede (frequentemente) nella regione d'Italia che per prima ha adottato la via della controriforma urbanistica, tentata a livello nazionale con il DDL Lupi. Personalmente sono convinta che un po' più d'interesse vi andrebbe messo, visto che, come lei afferma nel suo editoriale del 14.02.2006, "La legge Lupi è dietro le nostre spalle. Non così la cultura che l’ha prodotta.". Le re-invio le cronache da Bueydos, rivedute e corrette a beneficio di altre persone che hanno vissuto quella vicenda o che se ne sono interessati.

Ci sono piani fatti bene e piani fatti male. Ci sono VIA fatte bene e VIA fatte male. Non considero né l’uno né l’altra procedimenti burocratici: ma metodi e strumenti diversi necessari per valutare alcune cose. Il piano è lo strumento preliminare, perchè deve garantire la coerenza complessiva delle trasformazioni proposte, e perché contiene un minimo di trasparenza dovuta all’obbligatorietà della pubblicazione e sulla facoltà dei cittadini di presentare osservazioni e di ottenere risposte. Nella risposta a Mario Colombo, quando mi riferisco alla pianificazione regionale e a quella comunale, mi riferisco a piani veri, non a quei pasticci, tipo i “programmi complessi”, inventati per derogare dalla ricerca della coerenza e della trasparenza, che è l’essenza della pianificazione. Certo è comunque (e su questo concordo con lei) che il rispetto della pianificazione (seria) è condizione necessaria ma non sufficiente.

Appena ho tempo e spazio leggo Bueydos, e magari lo inserisco. Abbia pazienza. Per superare la cultura dela legge Lupi ce ne vuole molta.

Esimio prof., leggo sempre con estremo interesse, anche se talvolta non condivido, le opinioni sue e di altri che appaiono sul suo sito. Sono reduce da qualche giorno di vacanza in Toscana ed alla Marina di Pisa, di fronte al parco di san Rossore e sulla foce del fiume Arno, il Comune di Pisa ha autorizzato la formazione di un porto turistico da 400 posti ed oltre 200.000 mc di residenza turistica, commerciale, alberghiero, etc con la scusa del recupero di un industriale dismesso da tempo ex FIAT.

Mi hanno raccontato che i lavori dovrebbero iniziare entro questa estate non appena consegnata la V.I.A. (sic) Conoscendo l'attenzione che porta all'ambiente e le sue battaglie non crde che un minimo di interessamento debba essere posto anche a questo insediamento che prevede un'albergo al centro del porto??? Mi scusi dell'intrusione e voglia gradire i miei cordiali saluti.

Non sono contrario in linea di principio alla realizzazione di porti turistici. La domanda è: il porticciolo è revisto dalla programmazione regionale, in quanto compreso in un documento di pianificazione territoriale regionale discusso e approvato con procedure trasparenti? E' conforme ai piani comunali vigenti? Se è così, niente di male. Se non è così, malissimo: come tantissimi altri interventi di cui ci giungono quotidianamente segnalazioni. Colgo l'occasione per dire che non riusciamo a dare notizia di tutte le denunce che ci arrivano: per ragioni di tempo (a questo sito lavorano nei loro ritagli di tempo un paio di persone) e di spazio. Colgo l'occasione per scusarmene.

In margine (ma non tanto) alle discussioni sula caduta del governo Prodi vorrei porre in evidenza una circostanza che è stata totalmente ignorata dalla stampa d’opinione: la mozione di approvazione della relazione del Ministro degli esteri non sarebbe stata approvata dal Senato neppure se Rossi e Turigliatto avessero votato a favore, invece di uscire dall'aula.

Sulla base del vigente regolamento dal Senato ho fatto due facili conti, che vi sottopongo. La proclamazione dell'esito della votazione è stata: presenti 319, votanti 318 (il Presidente Marini, come da consuetudine, non aveva partecipato al voto, pur essendo - ineluttabilmente - presente), favorevoli 158, contrari 136, astenuti 24 (che, secondo il regolamento del Senato, si sommano ai contrari). Dei votanti non facevano parte, non avendo inserito il loro tesserino, né il senatore Rossi né il senatore Turigatto, fossero o meno fisicamente presenti in aula

Tutti ripetono che il quorum che avrebbe consentito l'approvazione della mozione era di 160 (318 diviso 2 più 1). E' un'affermazione esatta, nell'assoluta invarianza di tutti i fattori della votazione intercorsa: infatti, il quorum è stato raggiunto dalla somma dei contrari e degli astenuti (136 più 24 uguale 160), implicando la reiezione della mozione.

Se Rossi e Turigliatto avessero partecipato al voto, ed espresso voto favorevole, la situazione sarebbe stata la seguente: presenti 321, votanti 320, favorevoli 160, contrari 136, astenuti 24. In questo caso il quorum sarebbe stato di 161 voti. La mozione sarebbe stata egualmente respinta. Questo dicono i numeri, interpretati alla luce delle vigenti regole.

Se l'illustrazione di questi semplici, banali fatti, fosse stata premessa a ogni commento, come si sarebbe poi potuto scrivere chilometri di colonne di stampa di editoriali, opinioni, elzeviri, commenti, noterelle, da un lato invocando la resa dei conti definitiva tra "sinistra [centro] riformista" e "sinistra radicale" (con "soluzione finale" per quest'ultima, pare doversi immaginare, anche se non è proprio esplicitato), dall'altro lato incolpando di tutto l'alleanza tra i "poteri forti" (Confindustria, Vaticano, USA).

Mi sembra che il risultato politico dell’episodio non muti. Nei fatti (e i fatti contano) nel valutare quella mozione la maggioranza non c’è. Certo, è un voto di approvazione di una mozione (arrogantemente illustrata), e non è un voto di fiducia, ma il fatto rimane. E rimane il fatto che i due senatori dissidenti hanno fornito pretesti a chi non ha nascosto l'interesse a ridurre ai margini la "sinistra radicale". Ivi compreso il vicepremier D'Alema: si leggano le sue dichiarazioni di oggi, nelle quali parla una sinistra "comitiva di irresponsabili" (due persone formano forse una comitiva?) "che pur di non perdere la sua verginità, preferisce riconsegnare il Paese a Berlusconi".

È però un fatto anche la superficialità, e il disprezzo per i lettori, che i mass media dimostrano nell’informare in modo incompleto, parziale, e perciò stesso fazioso, i lettori. Ma questi sono ormai divenuti “clienti”, non sono più cittadini, utenti di un servizio.

"In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro."

Italo Calvino - Le città invisibili

Gentile Eddyburg, Nella città di Fedora molti opinionisti scrivono degli errori compiuti nelle città altrui. Aspettano che a Fedora giunga un governo meno amico per usare la stessa accorata partecipazione. Qui i signori del metro cubo non sono mai stati così potenti. Con la destra non sarebbe andata diversamente, anzi. Ma è grazie al "governo amico" che si è approvato un piano regolatore di 70 milioni di metri cubi di cemento, che sta cancellando 15 mila ettari di campagne. Ghetti, villettopoli, centri commerciali stanno chiudendo tutti i panorami. Un disegno in cui le periferie dilagano addosso alla provincia e si moltiplica l'esercito dei pendolari, senza previsioni plausibili di trasporto pubblico su ferro o di mobilità ciclo pedonale. I risultati si vedono su ogni consolare e tangenziale fino all'estrema periferia con livelli illegali di smog, h 24. Del resto Fedora è la città più automunita del Paese con quasi quattro ruote per abitante. Degli spazi pubblici e verdi nelle periferie hanno fatto incetta i grandi e piccoli costruttori, serbatoi di voti e di lauti finanziamenti per il governo amico. Alle borgate, prive di standard urbanistici, sono addossati nuovi quartieri, ma queste operazioni di mera speculazione vengono chiamate raffinatamente "Programmi di Recupero urbano", o "Riqualificazione delle Periferie ex abusive". Vengono intitolati nuovi quartieri ai principi del mattone: il quartiere Caltagirone, il Parco Leonardo (parco edilizio-commerciale intitolato al padre dei Caltagirone). Il mercato immobiliare sale alle stelle con prezzi in aumento del 14% annuo. Sfratti esecutivi per migliaia di famiglie della città storica e della prima cinta periferica, ma nel piano regolatore non un metro cubo di edilizia popolare sovvenzionata. Per sedare le proteste dei comitati di lotta per la casa il governo amico ne concede una quota risibile (neanche il 10 %) in nuovi piani di zona approvati su aree vincolate dal Piano stesso, un'ora dopo la sua approvazione. La piaga dell'emergenza casa si trasforma in un "premio" di cubature per i palazzinari.

Capita però che commentatori e opinionisti si sveglino durante lo scrosciare di applausi per un grande evento ideato dal capo animatore Walter Veltroni.

Leggendo la sua lettera, mi viene in mente la Napoli di Achille Lauro. Ma certamente parliamo d’altro.

Le vicende della "Toscana felix"continuano a occupare le pagine dei giornali, ultima in termini di tempo la corrispondenza tra Mario Pirani di "LA Repubblica" e l'Ass. regionale Conti. E' giusto sia così perchè la "toscana felix" è oggettivamente un patrimonio che non appartiene solo ai toscani, ma forse sarebbe utile, ogni tanto, parlare anche di piccole cose di segno positivo. Mi riferisco a Portoferraio che si è data un nuovo regolamento urbanistico chiudendo una vicenda pluriennale segnata in passato anche da pesanti implicazioni giudiziarie.

La maggioranza di centrosinistra, eletta nella primavera 2004, è riuscita ad approvare uno strumento (era dai primi anni 90 che chi governava Portoferraio ci provava) a forte connotazione ambientalista, che si promette di arginare stabilmente la proliferazione di case per vacanza e l'urbanizzazione confusa dei decenni passati.

Magari con poche raffinatezze tecniche, scontando i limiti imposti da un piano strutturale realizzato trasformando un già predisposto PRG di tipo tradizionale, il regolamento urbanistico si caratterizza per una limitata previsione edificatoria, circa 41mila mq. di superficie utile residenziale, che per il 25% è prodotta da interventi di recupero o trasformazione di edifici esistenti, per il contributo aggiuntivo, in termini di aree o di alloggi da cedere gratuitamente al Comune, imposto ai privati che intervengono nelle aree di trasformazione. Ma è anche obbligatorio installare pannelli solari o fotovolatici in tutte le nuove costruzioni, recuperare le acque piovane e quelle reflue eventualmente trattate per irrigazione o per le acque dei water, potenziare la coibentazione degli edifici, aumentare le quote di verde pubblico e privato, incentivando le realizzazioni con abbattimento degli oneri di urbanizzazione e piccoli incrementi di edificabilità come consentito dalla legge regionale 1/2005.

E' poca cosa tutto questo, sono cose normali, ma non lo erano e non lo sono ancora per l'Elba ed anche per molta parte della Toscana (basta pensare agli oltre 400 alloggi assentiti con accordo di pianificazione a Marina di Donoratico alle spalle delle dune in una della campagne più belle della toscana costiera), ma sono cose importanti se si pensa che per la prima volta, partendo dal basso, 5 comuni dell'Elba, Portoferraio, Rio nell'Elba, Capoliveri, Campo nell'Elba, Marciana, hanno deciso di procedere alla gestione associata dei piani strutturali e quindi dei regolamenti urbanistici per coordinare le previsioni, focalizzare l'attenzione sulla realizzazione delle infrastrutture pubbliche che sono l'indispensabile presupposto di un reale processo di sviluppo sostenibile, ricostruire i rapporti con il Parco Nazionale dell'Arcipelago dopo anni di inutili dispute di potere soprattutto per dare un nuovo futuro agricolo e una caratterizzazione energetica "no -oil" dell'isola.

Il messaggio che viene da Portoferraio è dunque, si può, se si vuole, fare una politica urbanistica di segno diverso da quelle tradizionalmente imperniate sulla contrattazione pubblico - privata, o su "avvisi" non meglio identificati che a contrattazione peraltro sempre somigliano, è poca cosa,ma ogni tanto possiamo anche rallegrarci.

Meglio poco, ma bene.

Caro Direttore, mi chiamo Michele Pellegrini, ho trentuno anni e faccio lo sceneggiatore. Seguo il suo sito quotidianamente con grande interesse da diversi mesi e ho comprato i suoi libri, la ringrazio per l'attenzione e la precisione con cui porta avanti un discorso culturale su un argomento che mi sta personalmente a cuore come la difesa della natura e del paesaggio da quando, studente, mi sono imbattuto negli scritti di Antonio Cederna. Le scrivo per metterla al corrente che su Rai uno in queste settimane va in onda una fiction in parte scritta da me (insieme ad altri amici colleghi con la guida di Stefano Rulli, Gloria Malatesta e Claudia Sbarigia) con Massimo Ghini e Lunetta Savino che si chiama RACCONTAMI. In questa fiction che sta andando piuttosto bene (ad oggi sei milioni di spettatori di media) si racconta l'evoluzione di una tipica (ultratipica secono certi stilemi e necessità editoriali del primo canale nazionale!) famiglia italiana che vive l'euforia e le contraddizioni del BOOM economico degli anni sessanta. Massimo Ghini interpreta Luciano Ferrucci, il capofamiglia, nelle prime puntate è capomastro, poi studia e diventa geometra diplomato e alla fine diverrà imprenditore edile ed è questa la trama portante dell'intera vicenda che si snoda per tredici puntate. Ci tenevo a scriverle perché al di là del risultato estetico ottenuto, (non so se lei guarda le fiction in televisione, forse non sono di suo gradimento e forse proprio Raccontami non le piace) sono convinto di essere riuscito (insieme agli altri scrittori ovviamente) a dare un'idea onesta e pulita del lavoro del costruttore. Il nostro eroe è infatti lontano da tentazioni palazzinare, vuol costruire per fare belle case rispettando le regole. In questa serie soprattutto si parla di Cederna, del piano regolatore di Roma e della legge Sullo. Magari sotto forma di citazioni colte che il novanta per cento degli spettatori non coglieranno a pieno e forse saranno poco più che citazioni, ma mi sembra che in genere il disagio e l'urgenza di un Italia che stava sputtanando il bene del paesaggio mi sembra che venga in qualche modo fuori. In una puntata si parla di un albergone che stanno costruendo su Monte Mario e la figlia di Ghini dice che è uno scempio citando l'urbanista Cederna, in un'altra puntata l'attore Paolo Sassanelli che interpreta un professore tuona contro gli affossatori della legge Sullo, in tutte le altre puntate si fa continui riferimenti alla necessità di costruire bene... insomma, c'è a chi la serie piace molto e chi invece sostiene sia la solita solfa della RAI tutta buoni sentimenti. Secondo me qualche passo avanti è astato fatto a tutti i livelli ma non sono certo il più indicato per sostenerlo... vorrei soltanto segnalarle che nel nostro piccolo, magari sbagliando, senza certo stravolgere i palinsesti di una rete nazional popolare ma forzandoli un po', stiamo cercando di fare anche noi qualcosa di buono per questo paese di villette a schiera e capannoni. Grazie per l'attenzione. Michele Pellegrini.

Non è male che i temi della città come prodotto collettivo e come terreno dello scontro tra interessi contrapposti si affaccino anche sui programmi più popolari. Far vivere in una storia di largo consumo il contrasto tra l’onesto geometra Ferrucci e il suo socio immobiliarista corruttore è cosa che aiuta a far entrare nei modelli culturali più diffusi alcune verità colpevolmente trascurate dai media. Eppure, è proprio da quelle verità e da quei contrasti che nascono le condizioni attuali delle città in cui, più o meno malamente, viviamo tutti.

Sarebbe bello se anche altri programmi riprendessero gli stessi temi. Magari aggiornandoli: non limitandosi a descrivere la speculazione degli anni Sessanta, ma raccontando e documentando i modelli e gli episodi più aggiornati. Che hanno nomi diversi da quelli del passato: nomi come “perequazione” e “compensazione”, adoperati come ideologia idonea a giustificare l’espansione a dismisura dell’edificabilità dei terreni a danno degli spazi pubblici e dei territori rurali, o come “grandi opere”, magari distruttrici dell’ambiente e della storia (come il MOSE a Venezia e il Pontone sullo Stretto) adoperate come strumento per enfatizzare il matrimonio tra la propaganda mediatica dei governanti (“il mio grattacielo è più lungo del tuo”) e le convenienze del mondo degli affari.

Dopo l'incontgro di Italia Nostra a Savona avrei voluto comprare il libro di Hans Bernoulli, ma non sono riuscito a trovarlo. Da quello che ho sentito si tratta di una casa editrice piccola e nuova. Mi potete aiutare? Grazie

Mi dice l'editrice che la distribuzione per ora non copre l'intero territorio nazionale. Può telefonare alla segreteria della Corte del Fòntego, 041 5232533, oppure inviare la sua richiesta via e-mail,
cortedelfontego@virgilio.it. Il sito è qui.

L’intervento di Fabrizio Bottini dà manforte alla tesi che ha vinto in Sardegna, secondo cui con l’eolico occorre andarci pianissimo.

La maggioranza di centrosinistra che governa la Regione ha da tempo deciso di andare a vedere meglio le questioni connesse alla installazioni di tralicci eolici nel territorio. Con legge e poi con il piano paesaggistico è stato disposto di sospendere, e in alcune zone di inibire, le numerose iniziative – pronte a partire – in danno di scenari di rara bellezza. La tesi di Giovanni Valentini su la Repubblica è di altro avviso. Il limite dell’ impostazione, rilevato da Bottini e poi da Carla Ravaioli, è quello di attribuire il primato alla questione energetica, mettendo in subordine o quasi il bene comune paesaggio. Così nelle aree dove il maestrale soffia energico ( ma non in Costa Smeralda (?) – avverte Valentini) si dovrebbe realizzare quel modello energetico pulito che l’umanità intera reclama.

Peccato che l’impatto di queste torri ubicate su quote elevate, percettibili distanza producano un esteso grado di compromissione, che si ripropone per decine di chilometri ( basta andare a vedere la Valle della luna in comune di Aggius). Peccato che si turbino i luoghi più appartati, dove l’assenza di artifici e il silenzio hanno ancora un significato ( altro che Costa Smeralda!).

Un esito iniquo, a danno di risorse che sono la sola ricchezza, che in un futuro non lontanissimo potranno essere essenziali per lo sviluppo della Sardegna (ecco: dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo). Salvare le cose belle che potranno servire domani è un imperativo. Se nell’isola si realizzassero gli impianti previsti nel nome dell’ energia pulita c’è la certezza di un danno davvero incalcolabile al paesaggio sardo. Data la certezza – lo riconosce Valentini – che fra qualche anno, per l’evoluzione della tecnologia, quelle pale non saranno che inservibili ferraglie (che nessuno sarà impegnato a togliere) dire no all’eolico selvaggio è una scelta di civiltà. Altra cosa è valutare se, come, dove, quantità limitate di energia eolica ( non da esportazione) possano essere prodotte in Sardegna, ovviamente secondo le regole del piano paesaggistico ( art. 111 delle NTA).

Cari amici di Eddyburg, grazie per gli interventi su questioni politiche e culturali delle città, del paesaggio e soprattutto dei cittadini che lo vivono.

Grazie, perché proponete un punto di vista coerentemente democratico di critica alle distorsioni del modello di sviluppo capitalistico e delle mistificazioni borghesi nelle pratiche politiche anche all’interno della Sinistra nel governo locale e nazionale. Mi riferisco soprattutto all’accettazione della logica del Mercato come regolatore delle trasformazioni territoriali, che tanta sedicente Sinistra fa propria. Ma il discorso si estende poi al rapporto democrazia e potere.

Siete un valido riferimento per tanta Sinistra diffusa, quella vera, che continua a elaborare umanesimo per la libertà e la felicità della gente onesta contro le prevaricazioni e le prepotenze della politica ipocrita e borghese. Penso possiate essere paragonati al validissimo gruppo di intellettuali che nel dopoguerra diede vita al Politecnico diretto da Elio Vittorini. Il Politecnico, rivista di cultura e politica, che guardava a sinistra di Togliatti, e non temeva di dispiacere a nessuno rispettando l’intelligenza e la verità.

Non voglio perdermi nei complimenti, ma formulo anche una richiesta: che ne direste di pubblicare un glossario per terminologie , sigle e le varie cariche istituzionali della Pianificazione Territoriale? Mi riferisco a i vari strumenti di governo del territorio (città- campagna-porti) al di sotto e al di sopra del P.R.G. comunale e ai dirigenti che hano potere nei vari istituti. Il Potere borghese si giova anche di formule astruse e poco comprensibili ai più! Facciamo chiarezza!

Complimentyburg!

Grazie per i complimenti (che mi sembrano francamente esagerati) e soprattutto per la proposta. C’è qualcuno di buona volontà che possa lavorare a un “glossario” sugli strumenti urbanistici?

Ciao caro eddyburg, cercavo qualche posticino dove mangiare e sono arrivata al tuo mitico sito...ho scoperto che non hai nulla su Bologna....

L'offerta culinaria di Bologna città di questi tempi è un po' particolare, sicuramente non si può parlare di luoghi dove il cibo è considerato bene primario e il prezzo adeguato, allora tanto vale provare qualcosa che offre un'esperienza più complessa.

Suggerisco quindi:

Marco Fadiga Bistrot dove non si può perdere la crema al rhum con cialde alla frutta secca e salsa di sigaro Cohiba. Nel sito hanno la decenza di mettere i prezzi così si arriva preparati, ma in fondo per un'occasione ne vale la pena.

Per una serata di relax romantico suggerisco invece Casa Monica (tel. 051.522522), in via San Rocco 16, nel centro di Bologna, è diverso da una trattoria, ricorda un loft, diciamo che è come entrare nel soggiorno dei due proprietari. Cucina creativa e leggera.

Per fare la serata mangiereccia invece consiglio l'agriturismo il Cucco a Malalbergo in via Nazionale 83, dove c'e' un menu' "Bisteccone" che da grandi soddisfazioni. Anche verdure di stagione e pane fatto in casa. Ambiente molto piacevole.

Mi fido di te, quindi passo subito questi suggerimenti ai frequentatori di eddyburg.it. Li inserirò nei siti segnalati nell’apposita cartella Mangiare e bere in Italia appena avrò potuto sperimentarli personalmente e raccogliere la necessaria documentazione. Grazie

Cari amici di Eddyburg, ho letto con grande interesse l’articolo di Berdini su Eddyburg, ma vorrei fare due domande sia a lui che a voi: come si fa a fare i soldi col “mattone” a Roma promuovendo un eccesso di offerta edilizia (una situazione 'à la Sen', in cui le carestie non sono prodotte da un diminuzione della produzione alimentare)? Il fatto che a Roma siano stati certificati dall'ISTAT 200 mila abitanti in più non cambia forse il ragionamento proposto?

Spero di ricevere qualche chiarimento in proposito. A presto e cordiali saluti

Caro Declich,a Roma si fanno i soldi con il mattone per tre motivi.

In primo luogo perché la domanda da parte di un numero consistente di nuclei familiari è ancora molto elevata. I mutui immobiliari sono ancora oggi molto convenienti e si può investire sul bene casa facendo affidamento su un modesto indebitamento. Le incertezze degli investimenti azionari hanno poi contribuito ad indirizzare finanziamenti sul mercato immobiliare. A Roma, dunque, pur in presenza di un sensibile decremento della popolazione nel decennio 1991-2001, il mercato immobiliare continua a presentare una congiuntura positiva a causa di una domanda interna.

C’è poi da considerare i circa 300.000 mila immigrati regolari che abitano in città. Una parte di essi, quelli cioè che hanno un lavoro stabile o svolgono un’attività imprenditoriale, sta investendo sia nel settore abitativo che in quello commerciale. L’esempio più eclatante è la presenza della comunità cinese ad Esquilino: le attività commerciali lì presenti sono state acquistate sistematicamente in questi ultimi anni e il processo di sostituzione è ormai completo. Sempre la comunità cinese è titolare della metà delle immense superfici dei capannoni commerciali all’ingrosso ubicati ai margini dell’aeroporto di Fiumicino (Commercity). Roma è un luogo privilegiato per gli investimenti delle comunità straniere più ricche.

Ma è la terza motivazione a connotare meglio la fase attuale della vita urbana della capitale. Roma è un luogo in cui le grandi società finanziarie internazionali hanno investito in misura elevata. Nel mio articolo citavo diffusamente le catene alberghiere e commerciali, ma accennavo anche ai fondi di investimento (la Carlyle delle famiglia Bush, ad esempio) che hanno approfittato della congiuntura economica e delle opportunità offerte dalla svendita del patrimonio immobiliare pubblico. E se non fosse stata sufficiente questa tendenza di mercato, c’è stato il comportamento scellerato dell’amministrazione comunale a completare il quadro. Dal 1998 (posso sbagliare di un anno) il comune di Roma è presente in massa alla fiera immobiliare di Cannes (il Mipin). In quel luogo convergono tutti gli investitori del mercato mondiale che decidono le proprie strategie aziendali sulla base dell’offerta immobiliare. Non è un caso che il nuovo piano regolatore di Roma facesse vanto di essere un piano dell’offerta immobiliare. Roma è stata dunque inserita a pieno titolo nel mercato immobiliare globalizzato.

Paolo Berdini

L'Accademia internazionale di scienze ambientali ha lanciato la proposta di istituire, con sede a Venezia, una Corte penale internazionale dell'ambiente (da "la Nuova di Venezia e Mestre" del 17 novembre 2006). Per quel poco che può valere, mi associo entusiasticamente, e aggiungo la proposta dei primi tre soggetti da deferire alla nuova Corte: Romano Prodi, Antonio Di Pietro e Tommaso Padoa Schioppa.Concordo pienamente con la proposta. Ho qualche incertezza nella gradualità suggerita. Certamente merita pene più alte il primo, per la sua responsabilità di ruolo; ma non gli è secondo il secondo, grazie al suo passato di implacabile persecutore dell'illegalità. Comunque, decideranno i giudici.

Caro Edoardo Salzano,

sono Patrick Marini, un architetto 40enne, trasferito in Maremma da 7 anni da Bergamo dove continuo a lavorare nel esclusivo recupero di edifici.

ieri sono stato al convegno di Monticchiello.

Speravo di poter intervenire portando quattro casi maremmani.

Purtroppo non c'è stato tempo ma forse è stato meglio così. Sarebbe stato un pianto in mezzo a tanti, erano previste 100 persone e ne sono arrivate 250 e tutte con qualcosa da dire!

E' stato un convegno con una forte tensione, dovuta alle polemiche in corso , denso e con molti interventi illuminanti e a volte drammatici rallegrato soltanto dalla breve apparizione di Rutelli con i suoi aneddoti e mondanità inconsistenti ma utili a rallegrare la platea.

Sono comunque riuscito a consegnare la documentazione raccolta alle persone che più mi hanno ispirato.

Un riassunto delle mie impressioni e i dossier in .pps dei quattro casi che ho preparato sono visibili e scaricabili al seguente indirizzo:

http://patrickmarini.wordpress.com/tag/fragile-maremma/

E' proprio triste constatare la vastità del problema, l'impotenza (e la poca virtù) delle istituzioni e l'ignoranza della gente nonchè l'"insensibilità" dimostrata dai miei colleghi di Grosseto "provocati" quotidianamente, per due mesi, tramite una mailing list attivata dall'ordine senza suscitare in loro la minima reazione.

Mi farebbe piacere che tu inserissi nella rubrica SOS Maremma i casi. Se ti servisse materiale in altro formato te lo spedisco immediatamente. Purtroppo la vastità del territorio minimizza anche casi eclatanti ...

Ho scoperto da poco il tuo sito estremamente ricco e che penso diventerà un punto di riferimento imprescindibile.Grazie Patrick

Grazie, Patrick, delle segnalazioni e della tua sintetica cronaca del convegno.

Strade, scuole e servizi: Maxi riqualificazione in sei quartieri”. Così il Messaggero, intervistando l'assessore all'urbanistica Roberto Morassut, ha salutato i prossimi interventi nelle periferie romane. Si parla con entusiasmo di opere pubbliche che miglioreranno la vita degli abitanti, portando scuole, parchi, “ossigeno puro”. Progetti selezionati secondo criteri di qualità urbana. Poi l'assessore si lascia sfuggire una frase: “sono opere pubbliche che i privati dovranno realizzare in base alle compensazioni e al conseguente trasferimento di volumetrie. Abbiamo fatto in modo che non si traducessero in banali lottizzazioni”.

Un momento. Da cittadino ingenuo dico: lottizzazioni??! Che c'entrano le lottizzazioni con le opere pubbliche? Il trasferimento di volumetrie con la riqualificazione delle periferie? Il Messaggero (di Caltagirone) sta plaudendo alle scuole, agli asili nido, al verde per i cittadini o forse, più plausibilmente, alle prossime lottizzazioni? Finisco di fare l'ingenuo. Queste opere il Comune le fa realizzare da privati costruttori che in cambio chiedono e ottengono permessi di costruire, con il bonus dell'abbattimento degli oneri concessori (tasse). Si chiama urbanistica contrattata, ed è il fiore all'occhiello dell'amministrazione Veltroni, come lo fu di quella Rutelli e come lo è stata del Governo Berlusconi con la legge Lupi. La stessa che ha guidato ogni scelta del nuovo Piano Regolatore, o più appropriatamente Piano Regalatore. Scelte che non tarderanno a pesare sul nostro futuro. Ne riportiamo un esempio. Tra le opere pubbliche menzionate nell'articolo del Messaggero figura anche Fontana Candida, ottavo municipio. Via Casilina, direzione Frosinone, appena passata la sopraelevata di Torre Gaia e superato il Villaggio Breda ci troviamo in fermata Grotte Celoni. Volgiamo lo sguardo a destra, verso i Castelli, ed ammiriamo un unico spazio verde, di prato, rimasto tra il Villaggio Breda e il quartiere Fontana Candida, già minacciato da un polo commerciale in espansione. Scordiamocelo, perché lì, su quei 23 ettari arriveranno, insieme ai dovuti servizi minimi, che Messaggero e Morassut somministrano come zuccherino, ben 182.000 metri cubi di cemento, con circa 2.300 nuovi abitanti. Ma questo nell'articolo non viene scritto.

Non stiamo qui a ricordare la condizione di emergenza ambientale legata al traffico automobilistico della zona in questione, né le conseguenze sulla salute delle persone; tanto meno vogliamo rimarcare la cronica carenza di spazi pubblici nell'intero municipio. Cose arcinote, che compaiono perfino nel programma elettorale del neo-presidente Scorzoni (DS). Vogliamo solo considerare che i pochi servizi annunciati da Morassut non saranno per i quartieri esistenti, ma per i nuovi quartieri che vi verranno addossati. Del resto l''assioma dell'urbanistica contrattata non potrebbe che essere questo: portare un servizio in periferia a condizione di aumentarne la popolazione e il fabbisogno di servizi. Risultato: i disservizi restano quelli di prima, con la differenza che il suolo diminuisce, finiscono gli spazi aperti e liberi, potenzialmente fruibili, sottratti dagli speculatori alla collettività, con l'autorizzazione dei loro amici politici.

Domanda: perché tanto favore da parte dei grandi quotidiani romani a questa amministrazione; perché tanto giubilo quando si parla di riqualificazione delle periferie?

Risposta: guardiamo le loro proprietà

Il morbo dell'"urbanistica perequata" da Roma sta propagandosi in tutt'Italia. E' un aspetto, e uno strumento, delle rinnovate fortune della rendita immobiliare, i cui legami con la poilitica non sono mai stati così floridi. E i cui effetti sul futuro delle città (quindi delle nostre vite) non sono stati mai così perversi.

Caro Eddy, ho letto con grande interesse e piacere la tua bella lezione introduttiva al corso di laurea in Scienze della pianificazione urbanistica e territoriale dello IUAV con il bell'aneddoto sull'arco e le pietre che già appariva in epigrafe al tuo libro di Fondamenti di urbanistica e con la definizione dell'urbanista come garante degli interessi collettivi.

Tutto ciò, però, mi ha fatto venire in mente alcune recenti esperienze con gli studenti durante gli esami del mio corso di Fondamenti di urbanistica alla Facoltà di Architettura civile del Politecnico di Milano: chiedo ad uno studente chi approvi gli strumenti di pianificazione di un Comune. Di fronte alla sua aria smarrita, cerco di aiutarlo chiedendogli: qual è l'organismo più rappresentativo dell'Amministrazione comunale? Gli si illumina il viso e bel bello mi risponde: il Sindaco! Perdindirindina, no! Il Consiglio comunale. A una studentessa chiedo dove originariamente era previsto che dovessero localizzarsi le aree per l'edilizia popolare. Stessa aria smarrita e allora traccio uno schema con un ipotetico nucleo insediativo originario, poi le zone di completamento urbanizzativo, poi le zone di prevista nuova urbanizzazione e domando: quali sono le zone di espansione? E il dito subito le corre ad indicare le zone non urbanizzabili ! Sbotto che mi verrebbe voglia di spaccarle la testa (almeno metaforicamente), ma poi penso che non è tutta colpa loro se hanno subìto un tale lavaggio del cervello: è ormai senso comune che le decisioni le contratta il Sindaco e che tutto il territorio è contrattabile a fini urbanizzativi ! Quanti illustri colleghi ormai la pensano così, a partire dai Campos, dagli Oliva, dai Mazza?

A proposito: che fine ha fatto tutta la dichiarata disponibilità delle forze politiche intervenute a Roma a luglio a tradurre lo schema elaborato da eddyburg in disegno di legge? Ne ho incontrato qualcuno di recente e le sue risposte mi sono parse quanto mai evasive !

Ti ringrazio. Condivido la tua amara indignazione, ma agli “illustri maestri” aggiungiamo gli egregi parlamentari, e i loro (nostri) partiti, che in nome dell’efficienza e della “governabilità” hanno distrutto i consigli e trasformato i sindaci in Cacicchi e i presidenti in Governatori. Per la legge, non so neanch’io che pensare: si vede che maiora premunt.

Caro Eddyburg, innanzitutto mi presento: sono un fresco laureato dell'Università di Torino (della Facoltà di Scienze Politiche). Avrei bisogno di una rapida consulenza su un progetto di studio e ricerca (che parla sostanzialmente di governance territoriale e istituzionali locali), da presentare per un bando di concorso, su cui sto lavorando. Ora vengo al dunque e le sottopongo quattro punti che ho cercato di sintetizzare:

1. Parto da una considerazione. Nell'ambito della dimensione sovracomunale, o meglio di area vasta di livello intermedio, mi pare si possa riscontrare, in Italia, una diffusa difficoltà a fare sistema. Certo, ci sono dei territori storici che fanno della propria capacità di proporsi in termini di attore collettivo un vero e proprio marchio di fabbrica: vedi i territori a forte configurazione distrettuale, istituzionalizzati anche con le normative sui distretti, che spesso successivamente hanno addirittura conquistato lo "status" di provincia (Prato, il Biellese, il Fermano, ecc...). Ma si tratta di esempi isolati. I risultati, fatti di luci ed ombre, che hanno contraddistinto e contraddistinguono l'esperienza dei Patti territoriali sono probabilmente un esempio pratico di quanto detto. Inoltre, entrando nell'ottica delle dimensioni provinciali, troviamo i casi delle costruzioni provinciali più ampie, dove possono sorgere difficoltà quando si parla di sviluppo locale o di interrelazioni territoriali.

La mia domanda è: questa visione è plausibile o è frutto di mie illusioni? Concludo il punto dicendo che in diversi Piani territoriali di coordinamento provinciale (uno su tutti, quello della Provincia di Torino) ho rilevato chiari riferimenti alle difficoltà i interrelazione tra Comuni, sia in termini di interrelazioni urbanistiche che di interrelazioni territoriali.

2. A proposito delle interrelazioni sovracomunali di carattere urbanistico, nel suo libro lei parla di piano regolatore intercomunale: ma quanta applicazione ha avuto in Italia questo strumento? Per quel che risulta a me davvero poco.

3. In generale, riallacciandomi al primo punto, mi pare di poter aggiungere che in Italia c’è poca propensione all'innovazione istituzionale. Esiste una certa tendenza a discutere (e discorrere) di riforme, magari di più o meno competenze da assegnare a questo o quel livello di governo, ma raramente si prende in considerazione il ruolo effettivo che si vuole dare ai governi locali, se valga la pena tenerli in vita come adesso, con dei ritagli rigidi che risalgono per gran parte all'epoca napoleonica e che costituiscono un importante elemento di path dependency, o se invece magari non sia meglio discutere di innovazioni da portare, iniziando dall'introduzione di un carattere maggiormente flessibile. Condivide? Le esperienze francesi, quali ad esempio le Communautés des Communes e .le Communautés d'Agglomération, possono essere considerate un buon esempio di innovazione istituzionale?

4. In conclusione, ovviamente ancora in relazione ai temi sopra accennati, ho notato una recente affermazione di Carlo Olmo (direi molto interessante), pubblicata all'interno di un editoriale del Giornale dell'Architettura, che lei ha ripreso sul suo sito: una sorta di invito al "superamento di autonomie locali oggi controproducenti: cosa intende(te)

Le rispondo alle quattro domande.

1. "Natura di cose altro non è che nascimento di esse",diceva Gian Battista Vico. Credo che la radice di ciò che lei individua sia nell'esasperato campanilismo cui la nostra storia ci ha condotto, oltre che nella debolezza dei "governi" sovracomunali. Credo che gli studi storici potrebbero aiutare molto a comprendere perché in certe aree si siano costruiti e permangano legami intercomunali forti.

I problemi però sono due. Da un lato, la debolezza dei governi "di area vasta", dall'altro lato, le resistenze all'autoaggregazione dei comuni. C'è un passaggio molto bello nell'articolo di Lunghini che ho inserito in eddyburg, dove parla dei danno che la concorrenzialità tra nazioni provoca. Credo che lo stesso ragionamento si possa fare per i comuni.

Comunque, credo che lei ponga l'accento si una questione molto seria e di grande attualità. A mio parere la proliferazione delle province, il loro indebolimento anche a causa di politiche regionali distorte, il mancato respiro politico che ha avuto l'attuazione di quella ottima legge che,per questi aspetti, era la 142/1990 debbano indurre a una riflessione seria. Nella quale non si getti il bambino con l'acqua sporca, ma si ragioni seriamente e razionalmente su ciò che è successo e ciò che non è successo.

Forse quello che a molti di noi appare come un'aberrazione,il proliferare di nuove province,è l'espressione del consolidarsi di "identità locali sovracomunali" che andrebbe colto e incoraggiato, magari in altri modi. Mi piacerebbe aprire la riflessione su eddyburg, e magari lo faremo. Ma bisogna in ogni caso partire dal percorso che è stato compiuto dagli anni 60 alla 142/1990: questa è stata il meditato punto d'arrivo di un'ampia sperimentazione,e aveva ragioni profonde che devono essere mantenute. Soprattutto tre: i problemi di governo del territorio richiedono,per essere affrontati correttamente, una dimensione locale superiore al comune; l'autorità di governo del territorio deve essere elettiva di primo grado (altrimenti ogni membro ne rappresenta solo una parte, e la lite tra le parti prevale su tutto); è necessaria una volontà politica centrale (il governo nazionale, i partiti) moltoforte e determinata, che sappia spendersi su questioni di merito e non solo di potere di parte.

2. La risposta alla seconda domanda è molto semplice: nessun piano intercomunale ha mai concluso il suo iter.

3. Per l'Italia direi che manca soprattutto la continuità nelle convinzioni politiche. Il significato della 142/1990 è stato dimenticato, da parte della politica, il giorno successivo all'approvazione: non è perciò mai diventata un traguardo politico, un impegno forte. Ugual fine avrebbe qualunque altra riforma della riforma.

Da questo punto di vista (e non tanto da quello delle specifiche forme istituzionali) il confronto con la Francia può essere interessante. So che in Francia si è partiti da un fortissimo centralismo, e che l'autorità centrale ha ancora un potere molto penetrante. So che c’è una direzione di marcia verso l'aggregazione dei comuni in aggreghazioni più vaste che prosegue da decenni, con costanza, intelligenza e risorse. E poi, c'è un'amministrazione molto efficiente e potente, che dirige ancor più di quanto facciano gli eletti. I quali a loro volta vengono molto spesso dalla pubblica amministrazione, forse più che dalle "libere professioni" (è una ipotesi non supportata da dati). C’è indubbiamente durata, efficacia e potenza all'amministrazione pubblica.

4. Per conto mio sono per il principio di sussidiarietà: quello “in salsa europea", non alla Bossi-Bassanini, per intenderci. Non "tutto ilpotere al livello pi basso", ma ogni decisione al livello che meglio può assumerla nell'interesse generale. Mi sembra che oggi, per riprendere un'antica espressione di Giulio Carlo Argan (quando divenne Sindaco di Roma) "l'Italia stia diventando un immenso campo di decentramento". E i prezzi si pagano: vedi le mille Monticchiello!

Gentile professore, amatissimo Eddy,

diverso tempo fa le scrissi, lei mi incoraggiò, mi suggerì contatti e io sono andata avanti.

Ho 56 anni, sono funzionario della Provincia di Roma nel settore Ambiente - Valorizzazione del Territorio - mi sto dedicando con tutte le forze al tentativo di limitare lo scempio, la distruzione irreversibile del quartiere in cui abito che sembra essere stato prescelto quale incubatoio di sperimenti dell'orrore.

La storia è complessa e viene da lontano, perfettamente inscritta in quel movimento di penetrazione speculativa e di inestricabile intreccio pubblico-privato degli ultimi anni. All'ombra di una amministrazione cittadina dal volto fiabesco, che da una generosissima cornucopia riversa vistosi interventi di attualissima governance, poteri bifronti attaccano e distruggono le ultime risorse del territorio urbano e spazi comuni.

Io non voglio cedere. Questa lettera è un appello disperato. Sono riuscita a formare un Comitato di cittadini, regolarmente accreditato presso il Municipio 2° (quello dell'Auditorium! il Municipio della Cultura lo chiama il nostro Sindaco) con oltre 200 appartenenti, per chiedere il rispetto della Variante delle certezze del Piano Regolatore (in un ettaro di bosco chiuso in mezzo alle case, dove sarebbero dovuti sorgere un nido e un centro sportivo stanno costruendo da 4 mesi un parcheggio temporaneo della durata di 20 mesi. Realizzato ancora solo in parte, che succederà dopo?..), per chiedere che il secondo Parcheggio di nove piani (tre interrati) che sorgerà a soli 500 metri non sia destinato, come è previsto, a fare da "attrattore" per gli esercizi commerciali della zona. La zona è la stessa dove sono in corso i cantieri per il prolungamento della linea metropolitana che qui avrà ben tre uscite. Ragionevolmente chiediamo allora di potenziare la circolazione pubblica perchè si avveri la circolazione integrata (mezzi pubblici elettrici, corsie preferenziali, piste ciclabili protette almeno lungo i percorsi delle scuole, conclusione dell'anello ferroviario morto a pochi metri da qui..)

Non posso rappresentare il degrado della zona, bisogna venirci: incroci con morti e feriti quasi tutti i mesi, mancanza di illuminazione, piccole discariche a cielo aperto perchè i cassonetti sono fatiscenti e gli anziani non riescono ad azionarli. Sporcizia, incuria, intasamenti, frastuono. E che vogliono fare? altri centri commerciali e parcheggi a pagamento. Perchè i privati rientrino dei loro investimenti e della smisurata spesa di oneri concessori pagati al Comune di Roma sembrerebbe giusto investire nelle opere che qualificano il bene collettivo, invece si sono dedicati ad allestire un inferno che non si capisce chi dovrebbe favorire.

Non mi voglio arrendere. Speravo che questo piccolo pezzo di città diventasse un laboratorio di buone pratiche..Si fa così e così...non facendolo dire ai servi della gleba che, si sa, non sono nè colti nè lungimiranti, ma agli architetti dal cuore buono. Facciamolo dire, ti prego - tu puoi farlo - a tutti quelli che sanno guardare oltre e non possono essere zittiti: ai Lancillotto, Galvano, Perceval dei nostri giorni.

Gli amministratori dovranno cedere, con un bel sorriso (la gente del Comitato e poi quei nomi così importanti e cari ai più..che fanno vignette che piacciono a tutti: Bucchi, Altan, che scrivono e piacciono a tutti: Stefano Benni, Michele Serra..e gli urbanisti, gli architetti. Pensa, caro Eddy, tante persone che si muovono e, anche da posti lontani, si concentrano per un po' su di un luogo che è il paradigma dei loro brutti sogni. Perchè proprio quello? E' un esperimento, se va bene lì, che cittadini, esperti al di sopra di ogni sospetto e un piccolo, ma fortissimo pool di quelli a cui "i media" guardano con approvazione/amore/simpatia, può essere replicato ovunque. Sarà vietato parlare di Governance, di buone pratiche e favole del genere. Sarà d'obbligo "fare", invertire le rotte, tirare i freni, nascondere e modificare operazioni di fantasiosa finanza pubblica ai danni del pianeta. POSSIAMO FARLO. Basta volerlo, o meglio basta che lo vogliano non i loschi feudatari, ma i luminosi cavalieri. Una volta erravano, nel senso che andavano in giro alla ricerca delle battaglie da ingaggiare contro il male. Quel male ha vinto, oggi è quasi dappertutto e non ci sono più donzelle. Siamo tutti paladini..

P.S. abbiamo ottenuto l'appoggio del WWF Lazio e di Italia Nostra nella figura del prof. Tamburrino

Che posso dire, se non auguri? Per la vostra iniziativa, per il vostro coraggio e la vostra tenacia, per l’esempio che date e che, speriamo tutti, sarà seguito da altri in modo sempre più vasto, diffuso, informato, consapevole, efficace. Grazie

Caro Eddyburg,

l'articolo di Settis, pubblicato oggi da "la Repubblica" e, in contemporanea, nel tuo/nostro sito, ripropone l'agghiacciante tema del silenzio assenso in materia di beni culturali. Ero convinto che questo fosse un argomento caro al centro-destra, così come l'indulto e altre faccenduole da casadellelibertà. Apprendo oggi che anche il centro-sinistra, da cui pure ci aspettavamo qualcosa di meglio, ama cimentarsi con le "ricette" tipiche del liberismo berlusconiano più spinto. Capisco che la politica è il regno del possibile e che ciò che era vero quando si stava all'opposizione può (?) non esserlo oggi, ma mi pare che si esageri!

Ti invio un feroce comunicato di Sauro Turroni, contro il silenzio-assenso. Sembra scritto oggi, vero? Sbagliato. E' del 3 maggio 2005.

Un abbraccio.

"Il silenzio-assenso torna a minacciare i beni culturali, paesaggistici e ambientali del nostro Paese. Con il solito colpo di mano, la lobby degli amici di chi manomette il BelPaese è tornata in campo e ha ripristinato all’interno del maxiemendamento sulla competitività il testo originario del silenzio-assenso, cancellando l’emendamento dei Verdi, approvato dalla commissione affari costituzionali. E’ una disposizione criminogena che, con la scusa di snellire le procedure, consentirà agli ‘Attila’ dell’ambiente di fare quello che vogliono impunemente. Ciò, purtroppo, riguarda moltissimi altri settori dell’attività amministrativa le cui autorizzazioni potranno essere ottenute grazie a compiacenti e non sanzionabili inosservanze dei tempi. Il silenzio-assenso, in particolare, torna a minacciare i beni culturali e paesaggistici. Avevo già espresso la mia contrarietà e spiegato nel dettaglio il motivo della gravità di tale norma. Un esempio: se io volessi curare un bosco, tutelarlo non avrei il silenzio assenso. Viceversa, se volessi tagliarlo o trasformarlo, non tutelarlo, ma manometterlo, ne avrei diritto. Già in commissione Affari costituzionali - prosegue l’esponente del ‘Sole che ride’ - era passata un mio emendamento. La mia modifica proponeva che il silenzio-assenso non si applicasse alle istanze relative ai beni culturali, ambientali e paesaggistici, naturalmente nel maxiemendamento - conclude Turroni - hanno pensato bene di far sparire la norma che avevo proposto e che era già stata approvata in commissione".

Sauro Turroni -

Mi chiamo Sergio Morozzi e mi vorrei complimentare per il vostro sito e per il lavoro di informazione e formazione qualificate che state svolgendo.

Io sono il coordinatore di una serie di sei comitati autonomi di tutela ambientale sorti negli ultimi anni a Bagno a Ripoli, Comune di prima cintura della zona sud di Firenze, famoso per la bellezza delle sue colline.

A nome dei comitati vi scrivo per rafforzare l'autorevole accusa che Alberto Asor Rosa ha indirizzato contro un modo di fare politica e urbanistica del tutto distruttivo come accade a Monticchiello, ma il fenomeno è esportabile in quasi tutti comuni ed in parte crediamo sia figlio dell'ICI, che costituisce la zecca dei comuni, ma soprattutto dell'intreccio tra affari e politica che ovviamente, nei piccoli Comuni, quando si verifica è immediatamente evidente.

Quanta demagogia abbiamo sentito noi di Bagno a Ripoli, del tipo: "si costruisce sulle colline per valorizzarle"; "case per le giovani coppie a 600.000 euro"; "per abbassare i prezzi del mercato" ecc..

Tutte queste non ragioni le risentiamo oggi, a difesa dell'insediamento di Monticchiello, dalla bocca dei vari sindaci che a turno, su vari giornali, accorrono, non senza interesse, in aiuto del loro collega di Pienza con la solita demagogia di far passare nell'opinione pubblica la convinzione dell'inderogabile necessità di scellerati interventi del genere palesemente figli non di bisogni ma da una speculazione camuffata, talvolta, come accade da noi, dall'essere convenzionata a cooperative.

La nascita dei nostri comitati si è resa necessaria soprattutto per contrastare interventi di edificazione consistenti in antichi borghi collinari come Villamagna, Osteria Nuova, Balatro, Baroncelli e la Fonte e per combattere molte assurdità e capziosità che accompagnano i regolamenti edilizio ed urbanistico.

Piani di paesaggio e quantomeno una contestualizzazione dei manufatti sono stati saltati a piè pari, anzi, Provincia e Comune si sono "accordati" per escludere i borghi suddetti dalle aree fragili, delle quali, secondo noi, costituiscono invece degli inclusi da tutelare in quanto facenti parte ormai della trama del paesaggio. Questi borghi, li hanno infatti perimetrati come centri abitati alla stessa stregua di altre grandi frazioni come Grassina o Antella escludendoli così da ogni tipo di tutela, facendone una sorta di porto franco dove sarà possibile fare di tutto.

Purtroppo noi non abbiamo un Asor Rosa che denunci questi scempi all'opinione pubblica e certi giornali come Repubblica non ci hanno certo aiutato e quando è accaduto è stato per caso.

Dall'intervista ad Alberto, recensita sul vostro sito, e dalle altre giustamente a confronto, traspare come anche un cittadino del suo calibro si ritrovi a recitare il ruolo di colui che è tenuto al margine di qualunque percorso partecipativo, salvo trovarsi di fronte le gru e domandarsi incredulo il perchè; quando ormai non si può fare più niente, perchè ovviamente tutto è orchestrato per essere formalmente ineccepibile, praticamente a prova di scempio e ricorso al TAR.

Neppure Alberto ha fatto eccezione, finendo così per sentirsi un po' come Renzo e Lucia, vittima di un sopruso, del quale nessuno sembra aver colpa: il sindaco di Pienza è in regola perchè la colpa è delle precedenti amministrazioni; per Riccardo Conti la Regione ha dato parere negativo per ben due volte a quel progetto, (ma quando c'era ancora la CRTA) e quindi non ne ha colpa ecc. ecc.

Insomma tra Bravi sindaci e tanti don Abbondio il nostro territorio lo stiamo consegnando a tanti don Rodrigo.

Così quando Asor Rosa ha posto questi problemi ci è sembrato finalmente che fosse arrivato Frà Cristoforo, tanto per restare a Manzoni, ma forse nel nostro caso neppure la Provvidenza riuscirà a vincere gli affari.

Non vorremmo pensare male, ma era chiaro a chiunque che concedendo tutto il potere di programmazione ai comuni questi avrebbero ovviamente utilizzato l'urbanistica per trarre dalla stessa vantaggi politici locali, in barba al territorio, anche se patrimonio dell'Umanità!

Scusate lo sfogo ma forse potreste seguire meglio le vicende dei nostri comitati andando sul nostro sito, dove sono scaricabili anche tutti numeri di un nostro foglio periodico: L'ALTRA CAMPANA che si stampa da 3 anni.

Ma a completamento della dialettica ed a chiarimento anche del nuovo PIT al quale Riccardo Conti fa riferimento qua e là, con la solita furbizia di considerarlo un antidoto al problema presente, ma che secondo noi si rivelerà poi peggiore del male, vi inviterei a seguire sulla rivista on line dell'IRPET ai seguenti indirizzi URL un epistolario intercorso tra noi e l'assessore che, dopo Monticchiello, pensiamo non si sia ancora concluso: www.idee.irpet.it/articolo.php?ArticoloId=1285, www.idee.irpet.it/articolo.php?ArticoloId=1272, www.idee.irpet.it/articolo.php?ArticoloId=1262.

A disposizione per ogni ulteriore chiarimento o contatto.

È molto interessante, e forse sarà anche utile, la molteplicità delle testimonianze che rivelano come Monticchiello non sia un caso isolato. Sempre più urgente diviene allora cercare di comprendere le cause. Queste sono certamente a livello nazionale (una finanza pubblica che sollecita i comuni a cercar di raccattar quattrini con la svendita del territorio, una stampa che non aiuta a comprendere ma si limita a “sbattere il mostro in prima pagina”), e sono a livello regionale. La democrazia è bella se ogni livello istituzionale fa il proprio mestiere. La mia impressione è che in Toscana si sia slittato sempre più verso un democraticismo di terz’ordine, che scarica sui comuni (l’anello più debole della catena che dovrebbe imbrigliare la speculazione) responsabilità che sono sue, salvo intervenire dall’alto quando ciò conviene a indeterminate strategie regionali. Mi sembra che la nuova legge urbanistica del 2004 abbia accentuato ancora questa tendenza, riducendo ancora il peso che la regione può e deve esercitare con strumenti trasparenti e coerenti (quelli della pianificazione, e accrescendo ancora le responsabilità e l’autonomia dei comuni in materie che trascendono le loro competenze. Ma su questo tema ritorneremo con maggiore ampiezza, perché ci sembra cruciale: non è affatto “questione da urbanisti”, perché è in primo luogo questione da cittadini.

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