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Caro Eddyburg, forse alla tua cartella dedicata alle “Parole” potrà trovare asilo questo breve testo noto come "indovinello veronese" - vergato sul margine di un documento oggi conservato presso la Biblioteca Capitolare della città scaligera, e databile attorno al 900 d.c. - è il primo esempio letterario del proto-volgare, un latino tardissimo che va già trasformandosi in italiano:

Se pareba boues

alba pratalia araba

& albo uersorio teneba

& negro semen seminaba

Spingeva avanti i buoi,

un bianco campo arava

e teneva un bianco aratro,

e nero seme seminava.

È interessante che questo testo oggi così lontano, ove già l'italiano occhieggia bambino sotto le gonne della madre latina ormai decrepita, descriva l'atto dello scrivere, la scrittura, attraverso la metafora-indovinello (peraltro insita nella doppio significato del latino "versus": verso poetico, ma anche solco) del bue che ara i campi, dell'aratro che scava il solco, del contadino che sparge i semi. Metafora della metafora: copula con la carta da cui nasce la parola-fantolino?

Per chi voglia approfondire consiglio il saggio di Julián Santano Moreno, Il solco e il verso. Il luogo della metafora, "Rivista di filologia cognitiva", I, 2003; anche all'indirizzo web " http://w3.uniroma1.it/cogfil/solco.html"

Grazie, , tutto quello che aiuta a comprendere la complessità e la ricchezza dei nostri patrimoni è utile.

Concordo pienamente con Franco Girardi: ripartiamo dalla legge del 1942; è sicuramente più avanzata della legge n. 2359 del 1865 con cui di fatto ci troviamo ad operare oggi, dopo che i Programmi Integrati di Intervento dell'art. 16 della L. 179/92 e l'estensione fattane dalle varie leggi regionali e dal Ministero dei LL.PP. coi vari PRU, PRUSST e contratti di quartiere, ci hanno riportati ad una situazione di una sommatoria di piani attuativi senza più inquadramento generale.

Come ricordava Keynes, in economia la moneta cattiva scaccia quella buona; in urbanistica, quella cattiva, scaccia quella buona. Le due concezioni non possono convivere, come, invece, propone di fare il testo unificato del progetto di legge quadro Lupi-Mantini. Occorre ripartire dall’articolazione del PRG tra una fase strategica, a tempo indeterminato, senza vincoli espropriativi legati alle proprietà, e, possibilmente, approvato a larga maggioranza qualificata (in quanto carta costituzionale o statuto del territorio, che esprime obiettivi stabilmente condivisi dalla collettività al di là della maggioranza del momento) ed una fase operativa di durata quinquennale, che fissa i vincoli espropriativi di quel quinquennio sulla base del programma della maggioranza amministrativa. Ciò consentirebbe di abolire tutti gli strumenti di "urbanistica occasionale" diffusisi nello scorso decennio, poiché una pianificazione operativa di un quinquennio non può certo essere ritenuta troppo vetusta e macchinosa, come spesso si dice degli attuali PRG, e al tempo stesso di risolvere la contraddizione tra PRG e durata quinquennale dei vincoli espropriativi.

A meno che ciò che surrettiziamente si vuole perseguire è proprio un’urbanistica alla giornata, da concordare caso per caso, volta per volta, accrescendo il potere discrezionale dei gruppi politici dominanti, ma sacrificando l’interesse generale di lungo periodo della città e dei cittadini. E’ una scelta di campo su cui cultura disciplinare e forze politiche devono essere chiamate a discutere e ad esprimersi come fattore discriminante.

Caro Eddy,il tuo articolo di fondo del 15 non mi offre molto spazio alla discussione perché, visto quale è stato il comportamento di tutti noi "firmatari", è condivisibile quasi totalmente. Ripristinare, è veramente la giusta parola e il giusto obiettivo. E progredire (progettare in progressione e attuare anche nel senso di non attuare) verso una riconversione (un ritorno) in vari sensi. Per me, moralità berlingueriana, austerità, generosità sono i plinti di fondazione dell'edificio politico socialeCome urbanista architetto vecchio insegnante pedagogo vorrei in primo luogo una grande mobilitazione culturale che: riesca a far capire quanto il paese sia stato depredato delle sue ricchezze ambientali: dappertutto, nelle città, nelle campagne, negli spazi aperti, al mare, in montagna..., insomma un delitto inconcepibile ripetuto per oltre mezzo secolo; riesca a far memorizzare le effettive responsabilità, precise, non generiche; riesca a far concepire la pianificazione, il progetto fuori dalla menzognera logica del cosiddetto sviluppo (parola da abolire, tanto ha concesso alla mistificazione), invece entro, appunto, la logica del ripristino e della pura, stretta corrispondenza al superamento delle ingiustizie sociali permase sul territorio. In particolare, dal punto di vista urbanistico-architettonico-paesistico non vedo perché non si debba avere il coraggio di risanare i paesaggi violentati mediante progetti e realizzazioni di demolizione, diradamento, appunto riconversione.Non vedo poi, accennando a caso nella sfera delle cosiddette opere grandi o no, perché non si debba intervenire per bloccare infrastrutture inutili (sappiamo quali, anche assurde!), per accantonare progetti sbagliati come la nuova autostrada toscana (benché Domenici vi sia implicato...), per rilanciare sul serio il sistema ferroviario, soprattutto riprendendo la vecchia visione dei vecchi urbanisti come me, te (per non dire degli antenati) circa la modernizzazione o la ricostruzione dei tracciati minori (molti cancellati, qualsiasi fosse il governo) e la costruzione di nuovi a vari gradi di importanza. Di autostrade fattibili, poi, fa vergogna riaffermarlo, ci sarebbero bell'e pronte quelle del mare per il trasporto delle merci!Nel quadro legislativo, la mobilitazione culturale deve influire sulla possibilità/necessità di cancellazione di determinate leggi regionali e disposizioni ministeriali, anche scendendo nei particolari: penso per esempio ai due orribili fenomeni edilizi sui quali ho scritto nel sito: la legge lombarda sui sottotetti (estesa a tante altre regioni) che continua a massacrare anche bellissimi palazzi milanesi; le diverse disposizioni legislative su demolizione e ricostruzione....Vorrei continuare, circa l'urbanistica e l'architettura, estendendo anche il discorso sulle prospettive politiche del centrosinistra, specialmente totalità contro triciclante parzialità, ecc.ecc. Ma chiudo perché debbo andarmene per qualche giorno da Milano: qui sono le stesse autorità a dirci che i nostri occhi bruciano perché l'inquinamento, col bel tempo stabile, è altissimo, col primato del danno assegnato all'eccesso di ozono (e le P10, e la CO2, ecc.ecc.?). Mi riservo di scriverti di nuovo al ritorno.

Caro Edoardo,

ti scrivo perchè vagando per il tuo sito mi sono chiesta se erano graditi suggerimenti sul dove mangiare bene in Italia.

Ho infatti da poco scoperto un posto super caratteristico a due passi da Campo dei Fiori a Roma e non resisto dal consigliarlo perchè è davvero unico.

Si chiama "Filetti di Baccalà" e si trova in Piazza S.Barbara (la chiesetta omonima ha la facciata che sarà larga appena 5 metri, deliziosa!!!)

Entrando in questo posto (...o uscendovi dato che durante l'estate i tavolini invadono tutto lo spazio della piazza) sembra proprio di essere in un film con la Magnani o di De Sica.

La cucina, si capice da sè, ruota attorno a questi buonissimi fileti di baccalà che vengono fritti in una pastella da delle corpulente signore romane che travasano i filetti attraverso tre teglioni pieni di olio bollente durante le tre fasi della cottura.

Naturalmente oltre il piatto forte si possono gustare ottime zucchine e formaggi fritti, antipasto con semplice burro e alici salate e non sott'olio (dice la mia mammma siano le più rare), puntarelle condite con aglio e acciughe, vino della casa e via!!!!

Prezzo medio di ogni piatto circa 3 Euro.

Ambiente famigliare romano romano.

Da non perdere per uscire dai circuiti turistici della zona!!!

Grazie, Betta, appena posso ci vado. Per ora lo consiglio a chi legge, e magari sta a Roma.

Bonjour, Excusez moi de ne pas parler ni écrire l'italien ! Merci d'avoir placé mon article sur votre site. Un ami l'a traduit en Italien. Je vous l'envoie ci-dessous. Amicalement

Merci à mon tour. Pas tout mes lecteurs comprennent le français, et mon temps est deja assez envahi par Eddyburg pour me permettre de traduir les textes en français. Ecco la traduzione

6 giugno: commemorazione o mistificazione?Nico Hirtt

Per il loro accumulo e per il loro carattere unilaterale, le commemorazioni del sessantesimo anniversario dello Sbarco sono destinate ad inserire nella coscienza collettiva delle giovani generazioni, una visione mitica, ma largamente inesatta, del ruolo svolto dagli Stati Uniti nella vittoria sulla Germania nazista. L'immagine veicolata dagli innumerevoli reportages, interviste di anziani combattenti americani, film e documentari sul 6 giugno, è quella di una svolta decisiva nella guerra. Ora, ogni storico vi direbbe: il Reich non è stato sconfitto sulle spiagge della Normandia, ma nelle pianure della Russia .

Ricordiamo i fatti e, soprattutto, le cifre.

Quando americani e inglesi sbarcarono sul continente, si trovarono di fronte 56 divisioni tedesche disseminate in Francia, in Belgio e nei Paesi Bassi. Nello stesso momento, i sovietici affrontavano 193 divisioni sul fronte che si estende fal Baltico ai Balcani. Alla viegilia del 6 giugno, un terzo dei soldati sopravvissuti alla Wehrmacht erano già stati feriti in combattimento. L'11% feriti due volte o anche più. Questi disperati costituivano, ai lati dei contingenti di ragazzini e di soldati molto abbienti, l'essenziale delle truppe rintanate nei buncher del muro Atlantico. Le truppe francesi, equipaggiate con i blindati migliori, l'artiglieria pesante e i resti della Luftwaffe, si battevano in Ucraina e in Bielorussia. Al culmine dell'offensiva in Francia e in Benelux, gli americani allinearono 94 divisioni, i britannici 31, i francesi 14. Nello stesso tempo, ci sono 491 divisioni sovietiche impegnate ad Est.

Ma soprattutto, al momento dello sbarco in Normandia, la Germania è già virtualmente sconfitta. Su 3,25 milioni di soldati tedeschi, tre sono scomparsi nel corso della guerra, 2 milioni sono caduti tra il giugno del 1941 (invasione dell'URSS) e lo sbarco nel giugno del 1944. Prima del giugno 41, ne erano caduti meno di 100.000. E sulle 1,2 milioni di perdite tedesche prima del 6 giugno 44, i due terzi sono ancora sul fronte orientale. La sola battaglia di Stalingrado ha eliminato il doppio delle divisioni tedesche battute dall'insieme delle operazioni militari che sono state intraprese sul fronte Occidentale tra il momento dello sbarco e quello della capitolazione. Complessivamente, l'85% delle perdite militari tedesche della seconda guerra mondiale sono dovute all'Armata rossa ( diversamente da quanto accade nel caso delle perdite civili tedesche: quelle sono, in primo luogo, l'effetto di uno sterminio operato dagli stessi nazisti e, in seguito, il risultato dei massicci bombardamenti di bersagli civili operato dalla RAF e dall'USAF).

Il prezzo pagato dalle diverse nazioni è in sintonia con questi dati. Nel corso di questa guerra, gli Stati Uniti hanno perduto 400.000 soldati, marinai e aviatori e circa 6.000 civili (essenzialmente personale della marina mercantile). Quanto ai sovietici, secondo le fonti, hanno subito perdite militari comprese tra 9 e 12 milioni e perdite civili tra 17 e 20 milioni di persone. E' stato calcolato che l'80% degli uomini russi nati nel 1923 non è sopravvissuto alla Seconda guerra mondiale. Analogamente, le perdite cinesi nella lotta contro il Giappone -- che si contano a milioni -- sono infinitamente più elevate --- e infinitamente meno conosciute -- di quelle americane.

Queste macabre statistiche, chiaramente nulla tolgono al merito individuale di ciascuno dei soldati americani che si sono battuti sulle spiagge di Omaha Beach, sui ponti dell'Olanda o nelle foreste delle Ardenne. Ogni MI della seconda guerra mondiale merita la nostra stima e la nostra ammirazione, come la merita ogni soldato russo, britannico, francese, belga, iugoslavo o cinese. Al contrario, se non si parla più di individui ma di nazioni, il contributo degli Stati Uniti alla vittoria sul nazismo risulta largamente inferiore a quello che vorrebbe farci credere la mitologia del Giorno J. Questo mito, inculcato nelle generazioni precedenti da quella formidabile macchina di propaganda che è l'industria cinemetografica americana, viene rivitalizzato oggi, con la complicità dei governi e dei media europei. Nel momento in cui l'esercito Usa si impantanasse nel Vietnam iracheno, avranno buon gioco nel farci credere che ciò sia solo frutto del caso.

Quindi, benchè ormai i corsi di storia dei nostri allievi si siano ridotti all'acquisizione di "competenze trasversali", una volta tanto potrebbe essere cosa buona fargli memorizzare "brutalmente" qualcuno di questi saperi elementari concernenti la seconda guerra mondiale:

- È davanti a Mosca, durante l'inverno 41-42, che l'armata hitleriana è stata fermata per la prima volta.

- È a Stalingrado, durante l'inverno 42-43, che essa ha subito la sua più pesante disfatta storica.

- È a Koursk, nel luglio del 43, che il nocciolo duro della sua potenza di fuoco -- le divisioni Pantzers -- è stato definitivamente spezzato (500.000 morti e 1000 carri distrutti in appena dieci giorni di combattimento !).

- Per due anni, Stalin ha fatto appello agli anglo-americani perchè aprissero un secondo fronte. Invano.

- Quando, infine, la Germania è vinta, i sovietici corrono verso l'Oder, la Resistenza -- spesso comunista -- ingaggia rivolte insurrezionali un po' in tutta Europa, la bandiera stellata sbarca repentinamente in Normandia ...

*Nico Hirtt Insegnante, scrittore (autore di "L'école prosituée", ed Labor).

trad. a cura di Paola Capozzi

Nell’eddytoriale del 7 giugno proponi un’attualizzazione dell’Antigone e del suo conflitto. Te ne propongo un’altra, che mi viene in mente quando penso al conflitto tra Oriente e Occidente che ha invaso i nostri giorni. (Il bello dell'ermeneutica sui classici antichi è che gli autori non protestano mai; e così, dopo Hegel, Kierkegaard, Hoelderlin, Heidegger, Lacan e Derrida, anch'io sull'Antigone).

Tutti i filoni interpretativi hanno un tratto comune: giocano sull' antinomia Creonte / Antigone. Così Creonte è il nomos, la polis, la cultura, l'ordine logico apollineo, mentre Antigone è il ghenos, la natura, il dionisiaco.

Allora continuiamo e veniamo ai nostri giorni: Creonte è l'Occidente che cerca di ridurre a norma, di dettare delle regole (l'isonomia come sola garanzia contro il disordine del caos primigenio) alle forze ctonie (per questo femminili...), orientali. Creonte siamo noi europei, adesso, e com'esso cerchiamo di contrapporci a forze che riteniamo retrograde e irrimediabilmente "incivili". Antigone sono gli altri, l'elemento selvaggio orientale, che comporta, fra l'altro il disprezzo della vita, la morale che si pone prima e davanti alla politica.

E' stato detto che Antigone è anche tragedia del linguaggio: fra Antigone e Creonte non c'è alcuna comunicazione reale: nessuno ascolta le ragioni dell'altro. Falliti i tentativi di mediazione (Emone, Tiresia, gli anziani del coro), l'esito finale è irrevocabilmente determinato: lutti e rovine...una tragedia... greca, appunto.

"Un classico è tale perchè non finisce mai di dirci quello che ha da dire" (Italo Calvino).

“NON SCASSARE PIU’ IL CAZZO SU POMPEI SE NO TI VENIAMO A ROMPERE IL CULO”.

Non pubblichiamo lettere anonime, né lettere nelle quali si adoperi il turpiloquio. Questa abbiamo deciso di pubblicarla per alcune ragioni, che esporremo subito. Ma prima vogliamo informare del fatto. Il garbato messaggio di cui sopra è stato inviato a Maria Pia Guermandi, vicedirettore di eddyburg, inserita in busta ministeriale, spedita da Napoli in data 1° agosto. Naturalmente il fatto è stato subito denunciato alle competenti autorità. Oggetto della delicata missiva era evidentemente l’opinione dal titolo “L’indiscreto fascino dell’emergenza”. Rileggendo il testo dell’articolo si potrà forse annusare da dove viene il garbato profumo.

Abbiamo deciso di pubblicare la lettere perché testimonia il livello cui è giunta la civiltà nel nostro paese: un livello che definiremmo bestiale se non temessimo di offendere la dignità del mondo animale. E perché implicitamente dimostra l’utilità di uno strumento come eddyburg , se è capace di colpire bersagli che non trovano altri strumenti di replica che non siano il turpiloquio, la minaccia fisica, e l’impotenza dell’anonimato.

Caro Eddy,

il mio modo di intervenire di fronte al "testo unificato" per le nuove regole dell'urbanistica e al gioioso succube consenso dell'Inu è semplice: mi affianco alla tua posizione; se scavi una trincea di difesa dalle invasioni barbariche urbaniste e liberiste sarò lì con te. Gli Eddytoriali del 2 e 13 marzo li condivido nella misura in cui non si lasciano intimidire dal nuovo gioco a oppositum binomiale degli inuisti o inuini o inuesi (autoritativismo-autoritarismo / contrattazione-negoziazione) tanto schematico e capzioso da non riuscire a nasconderne il sottofondo politico e culturale: stare, gli urbanisti, ben ritti e ben esposti dentro la cultura riesumativa di destrismo, dentro la politica legislativa e la voglia attuativa di questo governo: sicuri di partecipare al "fiero pasto" sui residui carnosi ancora appiccicati alle ossa in gran parte scoperte e calcinate di questo disgraziato paese. Attenzione: ho sempre denunciato che la pianificazione urbanistica ("classica", dite) non è bastata per realizzare territori e città funzionali e belli, per salvare il paese dall'aggressione edificatoria oltranzista. Il disastro nazionale è dipeso da un lato dalla mancanza di tempestiva pianificazione, dall'abusivismo e dal conseguente condonismo, ma dall'altro da certi piani regolatori o piani particolareggiati "appropriati", vale a dire volti agli interessi delle classi dominanti, all'esaltazione della rendita fondiaria ed edilizia, dei plus-profitti e (fenomeno evidentissimo spesso falsamente negato da emeriti produttori) degli intrecci rendite-profitti. In realtà questo caso di pianificazione godeva largamente di intrinseca contrattazione e ha provocato solo danni. Si trattava forse di autoritarismo? Certamente del suo contrario verso i produttori e i possessori privati del territorio; semmai di violenza (autoritaria oggettivamente) verso gli interessi generali delle popolazioni e quelli specifici delle classi subalterne. Era forse autoritaria l'urbanistica del piano regolatore comunale studiato da urbanisti diversi da quelli implicati nelle operazioni di cui sopra? Urbanisti sinceri e attenti soprattutto alle esigenze generali di quella specifica comunità locale, votati all'analisi territoriale-sociale e poi a un progetto delle regole, degli spazi, delle dotazioni appunto sociali reso comprensibile per positivo ai ceti dipendenti maggioritari e per negativo ai padroni della terra e ai produttori gretti?

Se si dava necessità di "contrattazione esplicita" (personalmente non l'ho mai praticata) la regola era quella che descrivi tu nell'editoriale del 13 marzo; e nel quadro dei piani di lottizzazione convenzionata non è nemmeno esatto l'impiego del termine "contrattazione". In ogni modo la questione si poneva secondo molti differenti gradi di legittimità e qualità socio-urbanistica dei risultati a seconda della democraticità, dignità, onestà degli amministratori e politici che impersonavano il potere: democratico per definizione ma nella sostanza aperto a ogni sorta di decisionismo non controllabile dalle cittadinanze "deboli" e ricattate (non abbiamo mai discusso a fondo dell'urbanistica nel Sud, di urbanistica-urbanisti/amministratori eletti/mafia). D'altra parte semi di contrattazione presenti ma poco germogliati negli anni Cinquanta divennero piante dai bei frutti turgidi verso la metà degli anni Sessanta: certi urbanisti e amministratori, desiderosi di veder concretata qualche previsione di piano soprattutto riguardo alle attrezzature pubbliche, praticarono con disinvoltura sorprendente la regola del "metà per uno". Esempio: una bella ampia area verde prevista su suolo privato frammezzo a una zona residenziale dalla data densità di fabbricazione: ti lascio, o proprietario!, costruire su metà della superficie secondo gl'indici di zona (ma non mancarono i casi in cui si ammetteva la concentrazione lì dell'ipotetica volumetria attinente all'intera area) e mi cedi gratuitamente il resto (l'eventuale giardino ti arrecherà ulteriore beneficio, carissimo!). Ho sempre giudicato aberrante tale procedura. Di qui, ritengo, erodendosi man mano la buona fede degli attori, o essi cambiando, venne ciò che tu denomini spesso "rito ambrosiano", vale a dire procedure che ad un certo momento non poterono, per così dire, fare a meno di un quid di corruzione corrente in varie direzioni fra tutti gli attori.

E oggi, im Western nicht Neues, le nostre inu-cocuzze applaudono a (o pensano di inventare loro) una "contrattazione esplicita" che rappresenta da tre anni, guarda caso, il nuovo rito milanese depurato, si spera, dei residui inquinanti, tuttavia causa dei nuovi danni urbanistici e architettonici che già si intravedono levati all'orizzonte. Hai già discusso ampiamente di questo confrontandoti col nostro collega incomprensibile autore del famoso documento programmatico per la giunta comunale di Milano. Ne ho scritto brevemente nell'ultimo libro e ne riprendo qui il fondamento, quasi citandomi con le dovute scuse: il farsi della città deriverebbe dalla libera dinamica dell'imprenditoria privata fondiaria e/o edilizia con la quale l'ente pubblico concerterà, che cosa?, se non l'antecedente decisione comune di rifiutare un qualsiasi piano generale e anche una qualsiasi idea generale di città, o di variare l'eventuale piano vigente a tòcchi successivi, in coerenza a un raccomandabile "gioco delle forze"? Del resto risale a ben prima del documento programmatico la gigantesca operazione pirelliana alla Bicocca: l'espansione della città (e perché "espansione" e non "contenimento"?) in quella parte non a seguito, appunto, di una scelta discussa e sostenuta da ragioni plausibili, più convincente di altre possibili, ma grazie esclusivamente alla potenza dell'industriale passato armi e bagagli nel campo della rendita fondiaria ed edilizia, consenzienti entusiasti gli amministratori comunali alla cui azione possiamo assegnare qualsivoglia titolo meno quello di componente paritaria di una "contrattazione esplicita".

Cosa contrapporre a una legge controriformista che taglia radicalmente ogni legame con la riforma del movimento moderno, con la tradizione europea del progetto? Sai che non ho da tempo alcuna fiducia nell'urbanistica professionale indipendentemente dall'esistenza o meno di una buona legislazione. Ma, come insegna il caso Ravello sul quale sono intervenuto senza reticenze, so che la perdita definitiva di un sentimento della regola, seppellirà ogni speranza di salvare dalla rovina quel 10% del nostro paese che ho calcolato essere ancora in grado di insegnare lui ai giovani cosa è un territorio veramente tuo come "patria", il tuo oikos che devi difendere, se no è come morire. A questa stregua, fuor delle metafore, condivido il principio di Giancarlo Consonni fondato sul "ragionare per luoghi" (La città che cambia, articolo da te riprodotto dal "Corriere della Sera" dell'11.3.2004), ci ho provato per una vita. Ma a patto che, contro "l'atopia" e, di più, la cacotopia narrata da Geddes, tastare il polso porti poi a comprendere il funzionamento del cuore e poi ancora di tutti gli organi del corpo e di questo nell'interezza. Così il buon medico interverrà, se è il caso, se il povero corpo non è morto.

Ciao, Lodo

Certo che la “pianificazione classica” (o “tradizionale”, o “razional-comprensiva”, come variamente viene denominata nell’accademia) non ha mai impedito scempi. Mentre l'assenza di pianificazione nella società moderna ne ha sempre provocati.

Lo stesso vale per altre istituzioni, per esempio, quelle della democrazia rappresentativa; non è stato nell’ambito di questa che sono saliti al governo uomini truci, decenni fa e ieri? Ma non per questo ci proponiamo di abolire i parlamenti.

Che cosa contrapporre a una legge controriformista? Una legge decente, oppure l’attesa di tempi migliori e, intanto, un po’ di fiducia per ciò che le regioni (alcune, forse poche), le provincie (idem) e i comuni (forse un po’ di più) stanno facendo nell’ambito dei “principi desumibili dalla legislazione previgente” (es)

Eddytoriale 2 marzo

Eddytoriale 13 marzo

Caro Eddy, i tempi sono tanto orribili che non viene più la forza di chiedere «come va?».Ti mando un mio articoletto apparso sulle pagine milanesi del «Corriere della Sera», in cui sintetizzavo l'intervento al Convegno che si è tenuto in Triennale a partire dalla Mostra «La città infinita» curata da Aldo Bonomi e Alberto Abruzzese.

Si può essere densi e giusti anche nella sintesi di un “articoletto”. Grazie! Inserisco subito, qui.

Caro Eddy,anche questa volta il tuo fondo del 28 giugno è da sottoscrivere. Ammiro la chiarezza con la quale indichi il compito che la sinistra (il centrosinistra?) ha di fronte: da subito dove è diventata localmente maggioranza e nella prospettiva biennale di preparazione alle elezioni politiche (e all'intermezzo regionale) da vincere su una base di assoluta differenziazione dal modello berlusconiano e di impegno a ridurlo in macerie. Cosa non facilissima, pensi tu e pensiamo tutti con te, appunto perché certi germi della poliposa malattia che ha contagiato buona parte della popolazione sono penetrati anche, come la scabbia, sotto la pelle di qualche politico nominalmente all'opposizione. Tant'è, oggi siamo contenti e, benché alieni da entusiasmi infantili grazie a frequenti verifiche dei fatti in un lungo passato, siamo pieni di speranza, dico la speranza che a ognuno è concessa e che è certo meno della piena fiducia in tutti i comandanti del barcone del centrosinistra. E poi debbo essere, io, contento nel particolare come milanese e come originario novarese. Le province hanno scarsa importanza, si ritiene comunemente, eppure il caso di Milano è due volte importantissimo: perché rappresenta da un lato l'atteso segnale di valore generale proveniente dalla più simbolica oltre che ben munita fortezza berlusconiana, dall'altro l'occasione di sperimentare nel concreto un modo nuovo di svolgere i compiti di politica sociale e territoriale che comunque spettano alla provincia (per esempio varie forme di assistenza sociale, gestione di istituti scolastici per la parte edilizia e, specialmente interessante per noi urbanisti e architetti, stesura dei piani paesistici). Nota che la provincia di Milano, una volta che sarà sottratta fra breve la nuova provincia di Monza, dopo quelle di Como, Lecco e Lodi, viene quatta quatta a corrispondere territorialmente pressappoco a quella specie di area metropolitana per la quale chiedevamo due decenni fa veste istituzionale, con relativo governo superante la logica dei cento sindaci, o meglio dei novantanove sindaci deboli sotto il peso del primato di Milano. Quasi che si rilanciasse il famoso comprensorio 21 fra i trentadue lombardi, circa la creazione dei quali s'era dato quel tale accordo fra le forze politiche e culturali che sparì di colpo insieme al disegno dei comprensori: peraltro silenziosa e incomprensibile la sinistra ai cui "storici" impegni risaliva la funzione del Centro studi volta alla costituzione del Piano comprensoriale (come decenni prima del Piano intercomunale). Quanto alla provincia di Novara, un solo esempio: attendiamo un'immediata azione urbanistica di alta rilevanza: mi spiego: è pronto da tempo un bellissimo progetto dettagliato del nostro collega Sergio Rizzi per il Parco della battaglia, la battaglia che si combatté nelle campagne a sud della città (alla Bicocca) conclusa con l'armistizio nelle mani del generale Radetzki e l'esilio del re Carlo Alberto. Il piano ha ricevuto tutte le approvazioni "superiori", sovrintendenza compresa, e avrebbe dovuto approdare appunto a un più ampio Piano paesistico, in effetti già predisposto da Rizzi. Ed ecco l'amministrazione provinciale di centro-destra affossare tutto, parco e piano paesistico; ed ecco il compito di rilancio e piena realizzazione che spetta nell'immediato al centrosinistra. In breve sui punti del tuo fondo che ritengo prioritari Analisi scientifica delle forze in gioco: ho sempre sostenuto che non si può impostare alcuna politica sociale e, specificamente, territoriale, se non si capisce la distribuzione e il peso (e ovviamente il mutamento in serie storica) delle diverse classi presenti alle diverse scale sul territorio (perdono, meglio dire webernianamente ceti). Anche nei progetti a scuola queste erano basi del progetto insieme all'analisi fisica. Patrimonio comune: la destra odia i valori comuni e gli obblighi societari. I maledetti slogan tipo è il mercato che comanda, è l'interesse (e il benessere) individuale che decide forse hanno intaccato qualche mente dell'opposizione, ma c'è abbastanza tradizione "comunista" nella sinistra per ricuperare nel senso che delinei. Assoluta mancanza a sinistra, per lunghi decenni, del tema territorio: nessuno può smentirti. La mia disperata posizione in merito al territorio e all'ambiente e al paesaggio e all'architettura la conosci. Tuttavia quel 10 % di territorio ancora "salvo" cui altra volta ho accennato, lo si protegga sul serio per dio, si pianifichi per ricostruire o per non erigere (ved. altrove), ci si rivolga con uguale vocazione difensiva e dimostrativa a preservare dai perenni aggressori le città, le campagne, le coste, le montagne..., insomma il patrimonio della geografia nazionale residuale, in vista speranzosa di un possibile incremento futuro: se governeranno a lungo dei giusti nella misura in cui (apposta berlinguerianismo) ce ne saranno.Ciao, Lodo

Caro Eddyburg, la terza delle questioni, che a me paiono emergenti e urgenti, riguarda la figura e il ruolo dell’INU. Sulla sua storia ho scritto alcuni fogli, che qualche amico urbanista ha avuto modo di leggere.

Era noto e ripetuto che il nostro Istituto fosse un corpo con più anime diverse, anche contrapposte. Lo è stato fin dalla nascita nel 1930, quando la formula accademica professionale ha vinto su quella di istituzione al servizio della pubblica amministrazione. Ambiguità e incertezze sono durate nei decenni successivi. Quando sul panorama urbanistico italiano cominciavano ad allungarsi da oltre oceano le ombre della controriforma neoliberista, a Milano ’90 si è tentato, generosamente ma ormai tardivamente, di portare in piena luce le opposta anime interne, per arrivare almeno a un compromesso, che desse vita unitaria al corpo dell’Istituto. La storia dovrà registrare il rifiuto della maggior parte degli urbanisti italiani, durato ben oltre le poche giornate del congresso, di affrontare l’impegno, certo non facile ma necessario.

Il nodo inestricabile, che si era creato, è stato tagliato, come il famoso gordiano, licenziando il vecchio gruppo che fino allora aveva guidato l’Istituto in quelle acque procellose, e facendo largo ai giovani. Ne è seguito un INU tranquillo, senza contrasti interni, con qualche segno di stima da parte del mondo accademico e politico ufficiale. A questo punto però, se si considerano i problemi tuttora irrisolti e in molti casi aggravati, che affliggono le nostre città e l’ambiente abitato in genere, si può nutrire qualche perplessità sulla linea di moderata neutralità (la si chiami pure riformista) assunta dall’INU: Né vale più che tanto la stima ritrovata nella politica e cultura ufficiali. Di ciò qualche dubbio è emerso nello stesso INU, ma senza alcuna risonanza di rilievo.

Due episodi non secondari vengono oggi ad appesantire la situazione. La sostanziale adesione dell’Istituto alla proposta di nuova legge urbanistica della maggioranza di governo (ma non solo) in un testo che è inaccettabile per che ha vissuto la storia dell’Istituto. Le dimissioni di Salzano, che non è un socio qualsiasi, motivate da varie ragioni, compresa la suddetta adesione. Di questo quadro si possono immaginare esiti diversi (come le anime). Che nell’INU tutto proceda tranquillamente come prima. Il trasformismo è per alcuni un vizio, per altri una virtù nazionale. Che si venga allo scoperto, e si tenti un chiarimento nello spirito di Milano ’90 (in teoria sempre possibile). Che si sancisca la definitiva rottura, che alcuni danno di fatto per scontata.

In ogni caso mi sembra che emerga, e non sia eludibile, il quesito circa la figura e il ruolo dell’INU. Chiedendosi anzitutto se oggi ha ancora senso una istituzione come l’INU. A questo dubbio radicale risponderei con una ulteriore domanda. Come e con quali strumenti culturale e politici si pensa di proporre (e magari praticare) il riordino delle nostre squallide periferie e la salvezza dei nostri centri storici, sempre pericolanti? E ancora, volendo allungare lo sguardo oltre casa nostra, proporre una alternativa alle ammucchiate di mediocri grattacieli e di orribile favelas, che riempiono il mondo? Come surrogare una istituzione (espressione di un ordine politico culturale direbbe Olivetti) che promuova i principi dell’Urbanistica? Dobbiamo confidare in qualche mano invisibile o divina Provvidenza di vichiana memoria?

In conclusione, se riteniamo che qualcosa come l’INU sia pur necessaria, mi sembra ragionevole ritornare sulla nostra storia. Può allora capitare, come è capitato a me, che questa storia suggerisca una radicale "rifondazione", con tutto quello di non poco e non facile che ne conseguirebbe. Può essere un’idea sbagliata. Meriterebbe comunque discuterne, per trovarne eventualmente di migliori.

L’INU è stato un organismo di battaglia culturale, in vari momenti della sua storia. Perciò ha svolto un ruolo di rilievo nella società italiana: negli anni in cui si preparava la legge urbanistica del 1942, come quando si è aperta la vertenza politica per la "riforma urbanistica", all'inizio degli anni 60. Ha svolto un ruolo altrettanto rilevante per la formazione dell’urbanista in Italia (non si può non ricordare Giovanni Astengo e la "sua" Urbanistica). La mia opinione è che ha potuto svolgere questo ruolo quando era l’espressione di una linea culturale condivisa, che era possibile quando gli urbanisti erano relativamente pochi. Non ha saputo reggere alla sua trasformazione in una associazione di massa, nonostante i tentativi di alcuni di noi. Ora è un’associazione meramente corporativa, priva di collegamenti con la sua storia (non ti sembra singolare che nessuno mi abbia chiesto di ritirare le dimissioni?). Io credo che le strade per un ruolo quale quello che tu auspichi non passino più in quelle stanze. Comunque, la discussione è aperta.

Gentile prof. Salzano, ho scoperto casualmente il suo sito e ne sono rimasto francamente affascinato: è così raro oggi approdare in luoghi della rete che risultino di spessore...

E così ho potuto ripercorrere grazie a lei tappe importanti anche del mio passato (emozionante la foto della manifestazione per la casa a Roma del 69 e, se non ricordo male, ci fu l'occupazione simbolica del Campidoglio, con canti notturni registrati in diretta da Sandro Portelli, ecc...). Ho militato in un collettivo romano (Collettivo edili Montesacro, una costola del Manifesto uscito da esso insieme ad Aldo Natoli) e ci siamo occupati più volte di lotta per la casa. E' stata una grande università di vita..

Ho letto scorrendo gli articoli che riguardano Enrico Berlinguer che voleva sapere della data del Discorso ai giovani: è stato tenuto a Milano nel 1982 ma non sono ancora riuscito a sapere giorno e mese. appena lo saprò sarà mia cura inviarglielo.

Se me lo consente sarà anche mia premura girarle qualche buona ricetta (io e la mia compagna ci dilettiamo di cucina soprattutto perchè è un piacere con gli amici) e anche qualche eccellente ristorante belga (siamo tornati da alcuni giorni da un breve soggiorno di arte e cucina in Belgio e Olanda. Una vera scoperta il Belgio, l'arte, la cioccolata e la sua cucina a base di birra) per un prossimo suo viaggio. Un vero godimento anche la sua rubrica dei suoi viaggi: se le piace la Grecia e le sue isole le segnalo Ikaria, l'isola dei confinati comunisti, con le sue terme e i "paneghiri" di agosto (feste dionisiache dal pomeriggio all'alba riprese dalla chiesa e successivamente "infiltrate" dai comunisti per sovvenzionamento, e oggi di tutti) ei venti che precipitarono Icaro; è posizionata di fronte a Efeso, Turchia.

E' stato un piacere conoscerla, in rete. Molti cordiali saluti

Grazie Andrea. Grazie dell'informazione, delle promesse, dei ricordi.

Magari ci ci siamo incontrati in quegli anni: sono stato consigliere comunale a Roma, prima indipendente poi iscritto, nella lista del PCI, dal 1966 al 1974: da Natoli a Vetere. E magari abbiamo anche litigato, perché io ero fedele "picista". Sono stati tempi difficili ma vivi: anche chi stava su posizioni diverse condivideva le stesse speranze. Non solo, ma anche chi militava sulla sponda opposta aveve le sue speranze, diverse dalle nostre ma comunque ispirate a un'altra visione del bene comune. E' lì che bisogna tornare, sebbene la strada sia lunga, e tortuosa: non si vede (almeno, io non vedo) da dove passerà.

Il discorso ai giovani di Enrico Berlinguer è qui

Caro Eddy, tu che hai qualche anno in più rispetto a me ne avrai viste di ogni genere. Ma forse sarai d'accordo con me sul fatto che qui non si tratta di cicli storici, ma di declino di una civiltà. Siamo nel Basso Impero. E non so se alla fine di un medioevo prossimo venturo ci sarà un nuovo Rinascimento, perché anche sperando nell'era dell'idrogeno mi sa che mancheranno altre condizioni per il rifiorire di una civiltà degna di questo nome. Le belle parole del tuo edditoriale sul voto sono nello stile che mi ha fatto appassionare alla causa della politica e dell'ecologia, e dell'urbanistica che si occupa di entrambe, ormai dal 1988 o giù di lì, da quando per la prima volta sentii parlare di effetto serra. Oggi dopo averne prese tante e restituite poche, anche perché ho giocato con le mani nude di chi non ha potere, ne ho meno voglia di te, che potresti essere mio padre. Mi dispiace essere attraversato da un lucido disincanto, ma tant'è. Leggendo le tue righe ho provato un po' di nostalgia per quando mi impegnavo pienamente per una causa giusta, fino a farmi anche venire l'ulcera a litigare con i verdi e tra i verdi. Ho provato anche una certa voglia di ritrovare quelle motivazioni, e quelle ragioni. Certo che un programma delle forze progressiste per la ri-civilizzazione degli Italiani sarebbe l'unico progetto politico sensato per le sinistre. Ma al di là della reazione di disgusto a berlusca e alle prepotenze dei nuovi paladini dell'egoismo, credi davvero che il nostro sistema politico consenta ai partiti di vivere senza finanziamenti illeciti? credi davvero che il cinismo dilagante nella nostra classe dirigente - politica e non - possa regredire? Credi davvero che i sindacati possano qualcosa se dietro le spalle hanno la voragine delle masse di nuovi schiavi asiatici che lavorano per un tozzo di pane e davanti a sé gli imprendiitori con il bilancio in rosso? Non dico come la Fallaci che dobbiamo difendere la nostra superiore civiltà dai barbari olivastri, ci mancherebbe altro, ma credi che al confronto con le barbarie e le miserie del mondo non venga voglia agli italiani di ridurre il proprio fardello di scupoli invece di apprezzare ciò che si ha e di praticare i buoni sentimenti? Un quadretto negativo, salvo eccezioni, s'intende. Obiettivo minimalista, dunque: teniamoci stretti, almeno, che se la nave va alla deriva, che almeno ci vada un po' più lentamente.Postilla: nonostante tutto, continuo a sentirmi bene quando mi alzo la mattina, e quando incontro persone e cose belle. Potenza della vita! Si, Lorenzo, lo credo. Credo che si possa ricominciare a costruire. Che si possanno vincere gli interessi piccoli, semplicemente perchè ci si rende conto che senza la prevalenza degli interessi grandi ci rimettiamo tutti. Che i problemi si possano risolvere migliorando per tutti, e non necessariamente chiudendosi a difesa dei vantaggi immediati. Il problema non è di praticare i buoni sentimenti, ma di rendersi conto che "il tutto è più importante delle sue parti" non per ideologia, ma per necessità: nel nostro mondo, soli non ci si salva.Ciò che era vero ieri (ti ricordi "I care"?) non è meno vero oggi. Si tratta di comprenderlo, da parte di una maggioranza. Certo, ci sono periodi in cui la maggioranza invece dimentica: periodi bui, che bisogna attraversare. Con la consapevolezza che non è detto che in fondo al tunnel ci sia la luce, ma che può esserci: e finchè può esserci io mi immagino che ci sia. E' questo che, per me, significa dum spiro spero.Oggi, in Itaia, la luce in fondo al tunnel la si intravede. Certo che il tunnel è ancora lungo, e non è che litigando tra centri concentrici e altri simboli vuoti che si arriva prima in fondo, alla luce di un dopo-Berlusconi solido.

La legge dispone di rendere pubblico, per un certo periodo, i progetti edilizi complessi analogamente ai piani urbanistici. Ciò ha il fine di dare la possibilità ai cittadini interessati di presentare osservazioni riguardo al progetto.

Questa è la Legge ma la realtà è un'altra e peggiorata dal marketing applicata alla modificazione del territorio. La realtà è che il cittadino non ha il tempo e a volte la preparazione culturale per recarsi presso gli enti locali a prendere visione e ancor meno analizzare i progetti. Inoltre la proprietà, con l'iniziativa e le disponibilità economiche che le sono proprie, intraprende azioni comunicative che presentano una finta realtà non contrastata da uguali azioni informative pubbliche. La potenza di modificazione dell'opinione pubblica dell'ente locale è minima rispetto a quella elevata e senza limiti della proprietà.

Di esempi ce ne sono a centinaia; ne segnalo uno riguardante l'intervento denominato "I Gigliati", previsto nella cittadina di Fidenza, in provincia di Parma. Il rendering divulgato sui media è suggestivo e mistificatorio della reale portata dell'intervento raffigurandolo visivamente per la minima parte comprendente quasi esclusivamente le superfici a verde e spazio pubblico. Rinvio, per una migliore fruizione dei concetti, al sito diariodifidenza.it ove sono riportati il rendering a confronto con la reale incidenza progettuale.

A quando un'etica della comunicazione per chi modifica il territorio che, in fin dei conti, non è dentifricio?

Un cordiale saluto.

Condivido pienamente la sua critica. La retorica della partecipazione nasconde giochi di prestigio orientati a propagandare, cioè a convincere che una certa merce è desiderabile al di là delle sue qualità reali, spesso inventando e mistificando. E spesso i tecnici aiutano a mistificare, a camuffare, a nascondere; il largo impiego dei rendering finisce per testimoniare proprio questa intenzione.

Ma la responsabilità va distribuita in più d’una direzione: chi governa, che si propone più di inculcare che di convincere; chi assiste tecnicamente il governante, che adopera il suo sapere nell’aiutare a camuffare, anziché a rendere trasparente ciò di cui si discute; e anche il cittadino, che dovrebbe impiegare parte del suo tempo a comprendere, a pretendere che lo si aiuti a comprendere, e a contestare chi lo inganna.

Cari amici,

di seguito il disegno delle abitazioni di cui Ar.te Immobiliare annuncia l'imminente costruzione ai bordi del Parco Mauriziano di Chivasso. Le abitazioni costituiscono il cosiddetto PEC Mauriziano approvato dal Comune di Chivasso, già da una precedente amministrazione.

Il disegno è tratto dal sito dell'immobiliare medesima, che potete consultare anche voi.

Qualche osservazione:

1) gli edifici (in giallo) che verranno costruiti sono alti e grandi, sproporzionati rispetto alle piccole case (in grigio) esistenti nella zona, e sono ai confini del Parco, a differenza delle casette. Insomma, tra le attuali casette e il Parco ora c'è un grande prato: un'area verde rimasta per anni intatta, e che ora verrà riempita dal complesso edilizio;

2) I nuovi edifici appaiono alti e grandi (ad una domanda telefonica fatta da un giornale locale l'impresa ha risposto che verranno costruiti 600 appartamenti, vedi "La Periferia" del 16 luglio 2008): e il verde? Qualche fila di alberelli: oltretutto questo è il disegno presentato agli acquirenti: quanti di questi alberelli verranno veramente piantati? Tenete conto che la fitta striscia di alberi che compare alle spalle del complesso edilizio non rappresenta in modo credibile l'esistente: non sono alberi così fitti come compaiono nel disegno: se tanto mi dà tanto, staremo a vedere quanto verde verrà effettivamente creato attorno alle nuove abitazioni;

3) come potete notare, la strada (la famigerata strada del Mauriziano) collega due rotonde, una all'inizio di Chivasso Ovest, e una ai bordi del centro città. Cioè raccoglie il traffico in arrivo da Torino e lo convoglia verso il centro città (e verso le zone di espansione urbana di Chivasso Nord, a Nord della ferrovia Torino - Milano), e viceversa. Diventerà perciò una strada di grande traffico, che passerà ai bordi del Parco, dove ora c'è solo un tranquillo sterrato da passeggio. E consentirà a chi arriva da Torino di raggiungere rapidamente il centro infilandosi a razzo in Via Berruti: un altro colpo di genio, visto che nella zona di Via Berruti ci sono scuole superiori, un asilo e un centro anziani;

4) gli edifici sono alti e grandi e si affacciano sul Parco. Costituiranno uno specie di muro che incomberà sul Parco: un disastro anche dal punto di vista paesaggistico. Mi chiedo con quale criterio l'Amministrazione che ha approvato il Pec abbia consentito una tale cubatura, o meglio con quale criterio sia stato redatto il Piano Regolatore che autorizza una tale cubatura in quell'area finora circondata dal verde. Quel piano regolatore è stato approvato definitivamente nel 2004, sotto l'amministrazione dell'attuale senatore Andrea Fluttero. Ora il senatore è stato nominato responsabile per le politiche ambientali del suo partito. Non commento: fate voi. E un po' come se il ministero della salute venisse affidato a Jack lo Squartatore;

5) nell'immagine 2, in alto verso destra, compare un'area verde. E' molto più grande di quanto appaia nel disegno. Ora è un grande campo coltivato, l'ultimo che ancora trovate uscendo da Chivasso verso Torino, a destra dopo il distributore di benzina e prima della rotonda. E' una specie di miracolo che un pratone come quello sia ancora lì e non sia stato ancora urbanizzato. Ma probabilmente non durerà a lungo. Il Piano regolatore consente che vi si costruiscano capannoni. Eppure a Chivasso vi sono due grandi aree industriali sottoutilizzate, e poste vicino al casello autostradale, la Chind e il Pichi, cioè l'ex area Lancia. A che serve destinare a capannoni anche il pratone? Gli ambientalisti chivassesi hanno chiesto una variazione di piano per trasformare il pratone in area verde o agricola, in modo da salvarla. Naturalmente, nessuna risposta. Oltretutto, oggi, con l'aumento del prezzo dei prodotti agricoli, sarebbe sensato salvare le aree agricole esistenti. Invece ci faranno capannoni: un vero colpo di genio! Chissà se qualche membro dell'Amministrazione chivassese si è mai imbattuto nell'espressione "consumo di suolo". Forse sì, ma potrebbe averlo scambiato per una nozione usata in un corso universitario sull'allevamento dei vermi, oppure in un corso di Scienza dell'alimentazione.

Per ulteriori informazioni sulla situazione urbanistica Chivasso (adatta ad una tesi di laurea intitolata: "Un caso di urbanistica criminale") visitate il sito del Centro Otelli di Chivasso (www.centrotelli.blospot.com).

La Illycaffè ha presentato una richiesta di risarcimento danni per 450.000 Euro nei confronti di un blog intitolato “Illyflop”, attivato nella recente campagna elettorale per le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia, blog di cui era responsabile un esponente di AN e che era rivolto in realtà contro l’allora presidente della Regione, Riccardo Illy. La richiesta è motivata dal fatto che il blog in questione - peraltro oscurato dopo pochi giorni – avrebbe provocato un calo (quantificato in 180 tonnellate di caffè) nelle vendite dell’azienda. La vicenda – ancorché apparentemente grottesca - giustifica una certa preoccupazione, per quanto concerne la libertà di parola e di stampa.

Se è infatti sufficiente che il cognome di un politico e il nome di un’azienda coincidano, per motivare richieste del genere, è facile immaginare a quali rischi si andrebbe incontro, qualora il tribunale ammettesse l’istanza della Illycaffè.

Ogni critica rivolta al politico sarebbe infatti ritenuta riverberarsi automaticamente sull’azienda, con le conseguenti azioni giudiziarie: tenuto conto del numero di imprenditori (o rampolli di famiglie imprenditoriali) “prestati alla politica” in Italia, le conseguenze sarebbero incalcolabili. Verrebbe a crearsi infatti una nuova forma di censura, incompatibile con i diritti politici elementari garantiti dalla Costituzione. Avrebbero qualcosa da temere tutti coloro i quali – non soltanto i avversari politici – per anni hanno criticato Illy presidente della Regione Friuli Venezia Giulia (e prima ancora Illy sindaco di Trieste) in interventi sui media, nei dibattiti pubblici, ecc.

Pare quindi evidente l’effetto intimidatorio implicito nella richiesta di risarcimento danni. Nel caso specifico di Illy, poi, viene anche da chiedersi se l’apparentemente inspiegabile favore mediatico di cui ha goduto per anni, sia dovuto a sincero apprezzamento per la sua azione politica, oppure al timore di ritorsioni da parte dell’azienda di famiglia. In ogni caso, l’azione legale pare in linea con il comportamento tenuto da Illy dopo le elezioni, inaspettatamente - per lui e la sua coalizione di centro-sinistra - perdute: totale silenzio con i media e perfino con gli alleati (neppure un ringraziamento agli elettori), ritiro “sdegnoso” nell’azienda, dimissioni da consigliere regionale ma richiesta di riscatto per il vitalizio (da 1.700 Euro netti mensili), che gli spetterà al compimento dei 60 anni in quanto ex consigliere, in aggiunta alla “liquidazione” da quasi 50 mila Euro incassata subito. Come un qualsiasi esponente della “casta”. Il suo reddito dichiarato nel 2006 ammontava a 1.122.423 Euro.

Un evidente paradosso. Il pensiero corre ad altri proprietari di ingenti macchine per fare profitto, ben più potenti (e vincenti) di Illy. Ma B. non sembra poter reclamare danni per il suo soggiorno nella politica.

Caro Eddyburg, rispondo all'appello di Giuseppe Palermo che invoca l'aiuto degli esperti di fronte al diffondersi di sentenze dei TAR che negano la legittimità dei ricorsi delle associazioni ambientaliste e suggerisce il coinvolgimento diretto dei cittadini nei ricorsi. Purtroppo la situazione è ancora peggiore: in un ricorso di cittadini e commercianti del quartiere Isola a Milano il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR Lombardia favorevole nel merito ai ricorrenti sostenendo - udite, udite - che cittadini e commercianti non potevano avere interessi legittimi convergenti; il Tar Lombardia si è prontamente adeguato a questo ammaestramento citando quella sentenza per negare la legittimazione al ricorso sul caso ex Varesine dove i ricorrenti erano solo cittadini direttamente antistanti l'area in questione.

Il messaggio è chiaro: nelle trattative dirette (PII, ecc.) tra amministrazioni comunali e proprietà immobiliari con cui si gestisce ormai la città, i cittadini è bene che non mettano becco !

Con un Parlamento tutto impegnato a risolvere i casi giudiziari del premier, la questione della giustizia per i cittadini comuni viene continuamente negata, anzi si avanza l'ipotesi che negli eventi speciali (Expò, grandi opere) bisognerebbe sancire per legge l'impossibilità di associazioni e cittadini di ricorrere ai TAR chiedendo le sospensive: se ne parlerebbe semmai poi, ad opere compiute, per valutare eventuali diritti a risarcimenti monetari. Anche qui, immunità e blocca processi, diritto del più forte economicamente a fare i propri comodi, se del caso pagando il proprio privilegio.

Sono i politici, non gli esperti, a dovere farsi vivi rompendo un farisaico diplomatismo istituzionale che assiste inerte alla demolizione dello Stato di diritto!

Certo che è la politica che deve farsi carico di questi aspetti della vita e del futuro della nostra società: tanto più che l’aggressione ai diritti dei cittadini in quanto tali è fortissima e pervasiva, caratterizza un’ideologia che non è solo della destra berlusconiana. Ma la politica non coincide con i politici, essa è anche una dimensione del cittadino. E se i professionisti della politica non fanno, o fanno troppo poco e troppo pochi, il loro mestiere, occorre che i cittadini si attrezzano. Come i politici di professione, anche i cittadini devono attrezzarsi. A questo fine occorrono due cose: la capacità di associarsi, la disponibilità di esperti.

Cari amici, come potete vedere nell'allegato, una impresa edile annuncia la prossima realizzazione delle nuove abitazioni presso il Parco Mauriziano di Chivasso. Un progetto (il cosiddetto Pec Mauriziano) annunciato da tempo.

Il processo di graduale "privatizzazione" del Parco era già iniziato con la costruzione della "casa degli scout", che l'Amministrazione comunale chivassese ha edificato nei mesi scorsi per assegnarla al gruppo scout CNGEI di Gassino e Chivasso. In città è stato un avvenimento clamoroso, che ha suscitato molte polemiche. E' stato infatti il primo edificio costruito dentro il Parco Mauriziano. Non era mai avvenuto prima: una costruzione realizzata con denaro pubblico - dentro un parco acquistato con denaro pubblico - e che, invece di venire messa a disposizione di tutti i cittadini, sarà assegnata ad una sola associazione privata. (Chi desidera, può ricevere gli atti amministrativi che riguardano la vicenda: in allegato ptete comunque trovare bozza della lettera che gli ambientalisti chivassesi stanno inviando alla Regione Piemonte).

Ora viene annunciata la "prossima realizzazione" degli edifici residenziali del "PEC Mauriziano", che trasformerà il parco nel cortile di casa dei nuovi residenti. Com'è noto, l'edificazione del PEC Mauriziano comporta la costruzione della cosiddetta "strada del Mauriziano", che per un tratto passerà esattamente al confine con il parco: collegando la statale in arrivo da Torino con la provinciale per Montanaro, diventerà una strada di grande traffico e avrà un impatto devastante nei confronti un'area verde finora appartata e tranquilla anche grazie al fatto che vi si accede solo attraverso uno sterrato.

Gli ambientalisti chivassesi da tre anni chiedono all'Amministrazione comunale che venga costruito solo il primo tratto della strada, quello effettivamente necessario agli autoveicoli per raggiungere le nuove abitazioni e il vicino capannone. E chiedono che si rinunci alla costruzione del secondo tratto, quello che correrebbe esattamente lungo il confine con il parco. Questo secondo tratto è una inutile devastazione. Sarà un regalo ai costruttori del PEC Mauriziano: per i futuri residenti delle nuove abitazioni, infatti, quel secondo tratto costituirà una "scorciatoia" per infilarsi rapidamente nel centro della città. Ma sarà una "scorciatoia" che porterà rumore, inquinamento e pericolo in un'area verde frequentata da famiglie, bambini, anziani, sportivi.

Il Parco Mauriziano non è un giardinetto qualsiasi. Antica proprietà dell'Ordine Mauriziano, è un'area ricca di grandi e vecchi alberi, fresca e ombrosa. E' l'unica area verde della città ad avere queste caratteristiche. La sua integrità dovrebbe venire preservata accuratamente, anche a vantaggio dei tanti che, in tempi di crisi economica, hanno minori possibilità di andare in vacanza e di passare i fine settimana fuori città.

Il Parco Mauriziano è stato acquistato dal Comune di Chivasso per metterlo a disposizioni di tutti i cittadini. Ora, come tante aree verdi nel nostro paese, subisce un processo di graduale "mercificazione" e di "privatizzazione" di fatto, a vantaggio di interessi particolari e a danno di quelli collettivi.

Tuttavia, la strada del Mauriziano non è stata ancora costruita: c'è ancora tempo per fermarla.

Piero Meaglia, Comitato Parco Mauriziano di Chivasso

Per info: 011 9109407, 347 0978639,
p.meaglia@libero.it

P.S. Sulle vicende delle ex proprietà dell'Ordine Mauriziano è stato appena pubblicato il libro di Michele Ruggiero, Il grande broglio di Torino. Scandaloso Mauriziano. La dissoluzione della più grande proprietà terriera europea, Fratelli Frilli Editori, Genova 2008, di cui daremo più ampia informazione.

Caro Eddyburg, ho letto il comunicato delle associazioni sulla variante di San Casciano e anche la sentenza del Tar Toscana che rigetta il loro ricorso, e devo dire che, pur comprendendo e condividendo appieno il disappunto di quegli amici, non mi sentirei però di condividere interamente il loro stupore. In realtà la sentenza, per la parte che riguarda l'inammissibilità delle associazioni ambientaliste, mi pare in linea con la giurisprudenza prevalente (fra cui alcune note pronunce del Consiglio di Stato), la quale – purtroppo se vogliamo, ma così è – propone la famosa distinzione fra ambiente e urbanistica. Discutiamone pure, mostriamo tutti i limiti di quella concezione, ma non dimentichiamo nemmeno che si tratta di materia nota e non nuova. Col senno del poi, mi permetto anche di dire che sarebbe stato opportuno rivolgersi, per la firma di quel ricorso, ad un'associazione nel cui statuto quell'interesse all'urbanistica fosse indicato con chiarezza o, ancora meglio, a un qualsiasi privato cittadino abitante nella zona. Quanto poi alla parte della sentenza che dichiara infondati i restanti motivi del ricorso, lì – mi pare – è giocato tutto da un lato sulla data di decorrenza della VAS e delle sue norme attuative e dall’altro sulle procedure che il Comune dice di aver seguito e che i ricorrenti contestano, e su questo, anche perché non conosco le carte, non mi pronuncio.

Se ti scrivo però non è per dare giudizi, senza nemmeno averne i titoli, sul lavoro in ogni caso prezioso fatto dagli altri, ma per una questione più generale. Temi come quelli sopra ricordati (rapporto fra ambiente e urbanistica nel diritto, rappresentatività di comitati e associazioni e interessi diffusi, recepimento delle direttive comunitarie in materia di ambiente) sono troppo importanti per essere lasciati agli specialisti. Specialmente la normativa comunitaria, con i tempi che corrono, dovrebbe essere familiare non agli “operatori del diritto” soltanto ma a tutti, in modo che tutti, proprio tutti, possano avvalersene in modo tempestivo ed efficace, senza intermediari e senza dover incorrere in errori spesso evitabili. Si tratta di procedure estranee alla nostra tradizione, sì, ma con cui avremo a che fare sempre più spesso. I funzionari, compresi quelli bene intenzionati, le conoscono male (hai mai visto, per caso, un soprintendente mandare a VIA, di sua propria iniziativa, un progetto dell’allegato B del dpr 12/4/96, p. es., per capirci, un villaggio turistico? Io no, almeno dalle mie parti, eppure lo potrebbe fare benissimo e ciò oltre tutto gli faciliterebbe il lavoro e gli eviterebbe magari qualche grana superflua; e mi pare anche grave che nel codice dei BBCC appena pubblicato di queste norme comunitarie sovraordinate non si faccia nemmeno cenno). E non è uno scandalo che autentiche enormità (e ancora una volta sulla VIA!) come quelle contenute in certe sentenze su MoSE, Ponte o Tav, per limitarmi a casi macroscopici, non siano state oggetto dell'esame accurato che meritavano e spesso nemmeno siano state impugnate presso la Corte di giustizia europea?

E allora, lo so che le persone capaci di orientarsi bene in queste materie, e poi di farle capire a tutti, sono poche. Ma quei quattro gatti rimasti in giro perché non vedi di chiamarli a raccolta un po’ tu, che intervengano e scrivano più spesso qui di queste cose?

Grazie Giuseppe, è sacrosanto il tuo appello alla collaborazione di chi sa. Sarebbe bello se le associazioni, i comitati, i gruppi interessati alla difesa dei beni comuni (il paesaggio, il territorio, la città) riuscissero a costituire un gruppo di esperti cui chiede pareri e assistenza, valutazioni e consigli. Scendano gli esperti – quelli veri – dalle loro torri d’avorio, e diano una mano a chi, giorno per giorno, cerca di difendere interessi di tutti, troppo spesso a mani nude.

In prima approssimazione si può concordare con De Lucia (Pianificazione paesaggistica vs Pianificazione urbanistica?eddyburg, 29 giugno 2008), perché nella pregevole relazione di Settis al convegno della rete dei comitati del 28 giugno scorso a Firenze, l’affermazione che nella legislazione pregressa sul paesaggio «la tutela si è fermata alla porta delle città» può essere interpretata come un’inesattezza. Ma poi occorre discostarsi dagli argomenti che De Lucia adduce. È indubbio che l’urbanistica abbia da sempre teso a comprendere la tutela del paesaggio. L’urbanistica è essenzialmente volontà di governo dell’interezza del territorio. Ma è difficile pensare che Settis non abbia, come i più, questa consapevolezza. Ciò che, invece, sembra poco presente alla maggioranza dei commentatori è che la legge 1497 del 1939 non intendeva affatto limitare la tutela alle porte delle città. Non solo ciò è documentato dagli innumerevoli scritti che la precedono e ne propugnano l’emanazione; ma anche dalla semplice constatazione che le migliaia di luoghi vincolati in base a quella legge (e non per deliberazione di piani territoriali o urbanistici) comprendono interi centri urbani e cospicue parti di grandi città.

A cosa è dovuto dunque questo costante riaffiorare di una vena polemica, «pianificazione paesaggistica vs pianificazione urbanistica»? Solo a un perdurante quiproquo? No, le radici del contrasto sono profonde e di ben altra natura; ma per lo più non si spinge lo sguardo verso questo fondo, evitando così di porsi faccia a faccia col dilemma in cui resta avvolta la volontà di tutelare il paesaggio in forza di legge, in quanto bene culturale di interesse pubblico. Questa volontà sorge insieme all’affermarsi degli ordini giuridici volti a garantire il cosiddetto “libero mercato”, ossia quell’agire individuale e sociale che, in quanto determinato dallo scopo primario del profitto, si chiama “capitalismo”. La tutela si costituisce essenzialmente sulla base della distinzione tra valore “culturale” e valore “venale” dei beni. Non si tiene mai abbastanza presente che negli ordini giuridici del nostro tempo, quelli in vario modo liberaldemocratici, entrambi i valori sono di interesse pubblico, ossia sono riconosciuti come diritti. Quando un determinato bene è posto come mezzo di un’azione di mercato, pubblico o privato che sia l’attore, tale bene si identifica al suo valore venale. Cosa accade quando il medesimo bene è posto sotto tutela in quanto ne è riconosciuto il suo valore culturale?

Il legislatore e la giurisprudenza hanno mantenuto saldo il principio che il valore culturale è preminente su quello venale. Il fondamento giuridico della tutela pubblica (dalla quale non discende immediatamente alcuna efficienza operativa), è tutta racchiusa in questo principio, che è però insieme il più esplicito riconoscimento della contrapposizione irriducibile dei due valori. In che senso irriducibile? La preminenza di un valore non annienta gli altri possibili. Ma va tenuto ben presente che ogni agire è determinato dallo scopo primario. È lo scopo primario che dà il senso all’agire, che ne determina la direzione verso cui muovere, ogni altro fine coinvolto nell’azione è ridotto a puro e semplice mezzo per raggiungere l’intento prioritario. Sicché ogni agire che ponga come primaria la determinazione del valore venale di un bene, non esclude necessariamente la determinazione del valore culturale del medesimo bene, ma quest’ultima sarà posta necessariamente quale proprio mezzo e così viceversa quando l’azione ponga come primaria la determinazione del valore culturale.

Ora, c’è una pervicace resistenza nella cultura urbanistica a non riconoscere esplicitamente e nella sua essenza che quell’agire per mezzo di atti normativi delle amministrazioni locali che chiamiamo pianificazione urbanistica e territoriale è istituzionalmente e di diritto preposta alla determinazione del valore venale dei beni e come tale è operata, con un’efficacia e un’efficienza che non hanno alcun riscontro in nessuna azione di tutela. Allo stato del diritto è questa la ragion d’essere della pianificazione pubblica, che la rende assolutamente incompatibile con lo scopo costituito dalla determinazione del valore culturale dei beni a fini di tutela.

Un padrone può avere due servi, anzi spesso ha bisogno di molti servi, ossia gli occorrono molte mediazioni per raggiungere gli scopi. Ma un servo (lo strumento urbanistico) non può avere due padroni (il valore culturale e il valore venale). Quando si tende, come si sta tendendo, verso una tale situazione, allora è il servo a farla da padrone, ossia il mezzo (la strumentazione urbanistica) si rovescia in scopo primario di tutte le azioni che se la contendono. L’agire determinato dalla tutela e l’agire determinato dagli interessi economici (pubblici o privati che siano) sono costretti ad assumere come scopo primario il possesso e il potenziamento del mezzo, ciascuno nel tentativo di prevalere sull’avversario. Sicché gli atti normativi, di legge e amministrativi, vanno crescendo di numero e s’infittisce il ritmo e la variazione della loro produzione. Ma allo stato dei rapporti di forza, è l’agire economico che ha la capacità di sviluppare una potenza di gran lunga superiore all’agire culturale nel potenziamento e nell’uso degli strumenti di piano a proprio favore. È altamente probabile (ma qui non c’è spazio per argomentare la tesi) che l’insufficiente consapevolezza di gran parte della cultura urbanistica contribuisca a rafforzare tale supremazia, anche quando o soprattutto quando crede o vuol far credere di esser tutta intenta a salvare e a donar paesaggio (e non solo) all’umanità intera.

Postilla

Il punto su cui non concordo con Ventura è racchiuso in questa frase: “quell’agire [...] che chiamiamo pianificazione urbanistica e territoriale è istituzionalmente e di diritto preposta alla determinazione del valore venale dei beni”. A differenza di Ventura, io ritengo che la pianificazione urbanistica sia uno strumento, la cui finalizzazione è determinata dalla politica. Tra i suoi effetti possono esserci sia l’attribuzione di “valori venali” che la tutela di “valori culturali”, È solo se scendiamo dal livello dell’astrazione a quello della concretezza che possiamo cogliere la validità (parziale) della posizione di Ventura: che sta nel fatto che oggi, nella condizione della nostra attuale società, la pianificazione è adoperata per la finalità “venale”. Ma le eccezioni ci sono, e dimostrano che – come nel caso dei piani ricordati da De Lucia – la pianificazione può essere adoperata anche per la finalità della tutela dei “valori culturali”.

Alcuni di noi, da diverse sponde, si sforzarono di proporre un metodo di pianificazione che anteponesse, nella pianificazione territoriale e urbanistica ordinaria, le scelte della tutela su quelle della trasformazione, cioè dell’attribuzione di “valore venale” (rinvio in proposito al mio scritto per i Quaderni dell’Archivio Osvaldo Piacentini). Tracce sbiadite di questo tentativo sono nelle parole di alcune leggi regionali, come la toscana; ma sono, più che parole, chiacchiere.

Gentile prof. Salzano,

Dall'articolo di ieri uscito su Milano Finanza (di seguito), se ho capito bene:

1) Io Stato non ho un euro da dare a Te Comune e a Te ho tolto l'Ici;

2) Tu Comune non hai un euro, ma non puoi tartassare i concittadini federalisti, autonomi e devoluti... se no arrivano le forche da te...mi crolla il federalismo e poi faccio comunque brutta figura anche io Stato;

3) Se Tu comune non puoi tartassare non puoi, così come sei messo adesso amministrativamente, vendere ai privati la terra i palazzi, i musei che i tuoi concittadini passati e presenti ti hanno lasciato. Tu Comune sei una bella signora non più tanto giovane e senza molti liquidi ma hai comunque ricche doti immobiliari che tieni "congelate". E si sa, quando c'è la salute c'è tutto...

4) Se però Tu Comune dai a me Stato i palazzi i musei e quant'altro che i tuoi concittadini ti hanno lasciato in eredità per custodirli, indebolisci i tuoi status proprietari, le tue prerogative, sciogli i vincoli e me li fai vendere a me Stato, io garantisco Te Comune che la cosà apparirà semplice ed indolore, sotto il tappeto di una mega corporation immobiliare, con sede in Olanda ed "utili" (di pochi) in luogo dei diritti (di tutti) e soci (pochi) in luogo dei "cittadini" (tutti).

5) Tu Comune, vecchia signora, non avrai più bisogno dell'umiliante assegno-trasferimento di papà Stato, è il federalismo baby cosa ci vuoi fare! Una volta ceduti tutti i gioielli di famiglia tramite la mallevadoria statale alla Corporation, reso disponibile al mercato l'indisponibile, violati tutti i pomerii, potrai comunque ritirare, a ogni fine del mese... i soldi della pensione da qualcun'altro...

Cortesia, Convenienza, Qualità

ho capito bene o sono troppo pessimista?

Temo proprio che, nella sostanza, lei abbia capito benissimo. Quanto tempo impiegheranno i nostri concittadini a comprendere che hanno dato poteri quasi assoluti a chi le inventa tutte per togliere loro quello che hanno conquistato con lotte e sacrifici? Inserisco di seguito l’articolo che mi ha cortesemente inviato. Lei legga l'analisi /article/articleview/11455/0/150/ di Mario Agostinelli e Andrea Rossi sul modo in cui con l'ICI tolgono ai poveri per dare ai ricchi.

Tremonti vuole i palazzi comunali.

Manovrina da 3 miliardi nel 2008, oltre 13 miliardi nel 2009.

di Rocco Spinosi

Milano Finanze, 13 giugno 2008

L’immaginazione e la creatività non gli è mai mancata e anche questa volta il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, sta mettendo a punto una manovra delle sue. Nel mirino il gigantesco patrimonio immobiliare degli enti locali che assomma a oltre 460 miliardi. Peccato che siano gestiti malissimo, dal momento che danno in media un rendimento dell' 1 % e costano il 2%. Bene, per recuperare parte delle risorse che servono a far ripartire l'Italia con il suo Piano Triennale, il superministro avrebbe in carnet un progetto per il prossimo Dpef: il conferimento di una corposa fetta degli immobili comunali nella nuova società che nascerà dalla fusione tra Patrimonio spa, Agenzia del Demanio e Fintecna Immobiliare. Per il via libera del piano serve l'assenso dei comuni interessati, ma l'intento sarebbe quello di razionalizzare l'immenso mattone di Stato, retrocedendo poi agli enti locali che aderissero all'operazione un valore per ciascun immobile trasferito: un percorso analogo a quello effettuato già in passato con le operazioni di cartolarizzazione Scip 1 e Scip 2, dove gli enti previdenziali che conferirono i loro immobili al Tesoro ebbero in cambio capitali senza ricevere però più i trasferimenti centrali. Un'altra ipotesi in campo prevede un fondo immobiliare che gestirebbe anche gli edifici. La manovra è complessa e con cifre da capogiro, basti pensare che uno studio recente di Magna Carta ha contabilizzato in ben 227 miliardi il valore degli immobili comunali, mentre regioni e province avrebbero sotto il loro ombrello cespiti molto inferiori rispettivamente di 11 e 29 miliardi. Ma da ieri è certo che una stretta sugli enti locali arriverà e sarà di circa 3,4 miliardi solo nel 2009 (1 miliardo di tagli solo alla sanità) per salire a quota 5,2 nel 2010 (2 miliardi i tagli sanitari).

Il quadro macroeconomico non è infatti incoraggiante e i tecnici ministeriali sono alla ricerca di 35 miliardi che comporranno il menu del Piano, di cui 13,1, come ha annunciato ieri il sottosegretario al Tesoro Giuseppe Vegas, solo per il 2009. Intanto Tremonti, il presidente della Camera Fini e il ministro Calderoli hanno fatto il punto sul Dpef e da alcune fonti è giunta anche una conferma: il governo, insieme a manovra e disegni di legge collegati, avrebbe pronta anche una piccola manovrina correttiva per il 2008, necessaria a centrare il rapporto deficit/pii. Si tratta di misure da 2,5-3 miliardi che arriverebbero da una stretta sulle spesa delle p.a. e dalle annunciate misure fiscali su banche e petrolieri. Dpef, decreto legge sulla manovrina e ddl sul piano di sviluppo saranno discussi nel consiglio dei ministri fissato per mercoledì 108 giugno alle 18.

Ho letto l'articolo dell'Unità con cui Morassut risponde a Tocci e la postilla. C'è un punto molto importante che andrebbe chiarito - sicuramente a vantaggio della comprensione da parte dei non specialisti, ma forse anche per loro -: Morassut dice che le denunce di Report si riferiscono a iniziative urbanistiche che sono il risultato di decisioni presi dalle giunte Carraro. Il punto è che tutto ciò non riguarderebbe il nuovo PRG: se questo è vero (non si dice niente nella postilla su questo), la questione riguarderebbe il fatto che per 15 anni le giunte di sinistra non hanno fatto niente per mettere una pezza alle situazioni che hanno prodotto gli obbrobri denunciati da Report (ridisegnarli, annullarli, qualche cosa...) e, più che altro, che tali obbrobri prendessero forma. Il problema, quindi, sarebbe grave, ma diverso da quello denunciato da Report e commentato da Tocci.

Nella postilla si scrive che “le previsioni dei PRG non concedono affatto ‘diritti edificatori’, che quindi la cancellazione di previsioni del vecchio PRG (1962!!!) non comportava nessuna ‘compensazione’ nè per Tormarancia nè per nessuna altra previsione che si fosse voluta cancellare. Rilasciare o autorizzare atti abilitativi basati su vecchie previsioni di PRG non era quindi necessario nè alla giunta Rutelli nè alla giunta Veltroni”. Mi sembra che sia esattamente quello che Declich vorrebbe che fosse scritto. L’origine di tutti i regali che gli amministratori alla Morassut (non è certamente l’unico!) fanno alla rendita immobiliare sta proprio in quella incredibile falsità: che il PRG assegni dei “diritti edificatori” che devono in qualche modo essere riconosciuti. Nella trappola di questa falsità cade perfino Walter Tocci: il che prova che quella malfamata espressione, “diritti edificatori”, è diventato un idolum fori. Bisogna sconfiggerlo, caro Declich, il marcio nasce da lì. Carlo Levi diceva: le parole sono pietre. Oggi dobbiamo dire: dalle parole sbagliate nascono palazzi.

Caro Eddy, raccolgo il tuo invito a conclusione dell’incontro di sabato a Ferrara. Francesco Indovina, il cui intervento è stato molto interessante, ha fatto nella replica un’affermazione a proposito di Barcellona, che a me non pare esatta: ha sostenuto che nel territorio metropolitano di quella città è in atto una interessante esperienza di governo metropolitano, senza che vi sia nemmeno un piano urbanistico di riferimento. Non so se in questo preciso momento la situazione è quella che dice Francesco ma mi risulta che storicamente questa esperienza si è formata su solide basi di pianificazione. Accludo uno stralcio di una lezione che tenni in un corso integrativo di urbanistica a Napoli sugli uffici di pianificazione, dove ricordo alcune notizie su questo tema. Dalla mie informazioni risulta che:

- il piano urbanistico c’era, ebbe una importanza rilevante e sulla sua formazione aveva avuto una notevole influenza il piano intercomunale milanese. E’ strano il mondo allora erano gli spagnoli a copiarci;

- c’era anche un organismo di governo metropolitano, che a quanto mi risulta opera ancora, specie nella gestione delle reti infrastrutturali. Qualche anno fa ho avuto l’opportunità di visitare questa struttura e ho appreso tra l’altro che – per quanto costituito per legge dal Franchismo morente – era diventato una struttura governato dai socialisti e quindi inviso alla Generalidad, che lo sciolse d’imperio. Ma ciò non valse a distruggere questa struttura che si ricostituì qualche anno dopo, su base consortile, per volontà diretta dei comuni interessati.

Roberto Giannì

Forse non mi sono spiegato bene, ho sostenuto una cosa diversa e cioè che era stato approvato il nuovo piano metropolitano, un piano i cui primi vagiti

risalgono al 1963, ma manca ancora un livello di governo metropolitano. Come mi pare si sia messo in evidenza, proprio nella riunione, l'assenza di un livello

di governo appare negativo anche per la migliore pianificazione. Una struttura "consortile" non è proprio una struttura di governo perchè essa è legata al consenso dei membri che misurano la condivisione in base all'interesse della propria zona e non dell'intera area metropolitana (a questo proposito il fallimento di tutte le esperienze italiane di pianificazione comprensoriale costituisce una verifica di questa mia opinione). E' vero che a Barcellona esiste una gestione unitaria delle reti di mobilità, che è stata una fortuna per determinare linee di indirizzo all'esplosione di Barcellona, dando luogo a quella che Oriol Nello definisce una "città di città" e alle quale, se non ricordo male, ho fatto riferimento nell'intervento.

Quindi non mi pare ci sia da contendere tra Giannì e me, ma piuttosto un fraintendimento in ragione dei tempi stretti che la tavola rotondo ha cocesso a ciascuno.

Altri punti, dato l'uditorio, mi sembrava fossero più controversi. Io sono disponibile anche ad un dibattito telematico.

Francesco Indovina

D’accordo, Francesco, proseguiremo la discussione, soprattutto sui punti controversi: che valutazione dare dello sprawl e, più in generale, è indispensabile accodarsi allo sviluppo in atto, alle sue regole, ai suoi miti e ai suoi "stili di vita", oppure si può (si deve) criticarlo e contrastarlo? Ne riparleremo presto, il Festival di Ferra a è statoi molto interessante in proposito, fino agli ultimissimi interventi di domenica sera

Vi segnalo due video (su Yuo Tube) sui risultati dell'attività edilizia nel comune di Capo d'Orlando (ME). Allegato un documento sulla situazione urbanistica della città

1 http://it.youtube.com/watch?v=grgZzGqLaHU&feature=related

2 http://it.youtube.com/watch?v=rBDb1-eFy0Q

Saluti.

Davvero terrificante questa tranquilla documentazione di come rubano il nostro patrimonio, giorno per giorno

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