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Caro Eddyburg, scrivo dopo aver letto la corrispondenza inviatale dal tredicesimo municipio di Roma che mi ha colpito non poco! Anche (soprattutto?) perchè ho rivisto in quelle righe una storia che ho vissuto in prima persona, accaduta verso il Natale 2006 a poche decine di metri dal confine con il Parco dell'Appia!

Credo che lei conosca la vicenda urbanistica di Tor Marancia, con la nefasta scelta (politica, ovviamente) di dover compensare i signori del mattone che avevano le proprietà di quei terreni: parte di quella cubature è atterrata a 100 metri di distanza dal Parco dell'Appia (come ben descritto da Paolo Brogi qualche tempo fa), in una zona, denominata in prg "I 60", che è la naturale prosecuzione del pianoro di Tor Marancia verso l'area del contiguo Fosso delle Tre Fontane.

Proprio in questa zona, dominava il paesaggio (fino al 2005, appunto), un bel casolare, "Casale Baffoni", complesso costituito da tre corpi di fabbrica che si affacciavano in una corte interna, con stradina di ingresso da via di grottaperfetta, a lato dell'ottocentesco Forte Ardeatino. Un bel (sic!) giorno, al posto del casolare, (censito al numero 193 del foglio 24 della carta dell'agro, nominato dal Tomassetti nel volume I della “La Campagna Romana Antica, medievale e moderna”, al numero 298 come "Sant'Alessio o Vigna Murata, Baffoni Luigi, ettari 6.57.") trovo solo macerie! da un giorno all'altro, con il pretesto (credo) di sgomberare il casolare da occupanti abusivi, senza nessuna traccia di cartelli recanti la committenza del "lavoro", non è rimasto nulla della storia di questo territorio, nè delle fatiche di chissà quante persone hanno abitato quel casale e che hanno lottato contro la malaria, le due guerre, la miseria dell'agro romano..tutto distrutto!..una damnatio memoriae che sarà completata appena i costruttori riusciranno a colare i 400 mila mc previsti dalla compensazione di tor marancia! naturalmente questo era solo un ricordo personale di una vicenda minore (nella più vasta tragedia) del consumo di suolo in territorio romano, ma che comunque credo dia il segno tangibile dell'ignoranza e del pressappochismo di molti dei nostri politici (o tecnici compiacenti) e di come non riescano a leggere in un casale abbandonato la storia stessa e le lontane radici del territorio che desiderano governare. Unica voce che sono riuscito a trovare in rete, nel silenzio totale sotto il quale è passata la demolizione, è la menzione in un comunicato della sezione romana di Italia nostra, oltre ad una paginetta che mettemmo sul sito dell'allora gruppo locale wwf

Non credo che questa distruzione della nostra storia e della bellezza che ci hanno lasciato i nostri avi possa durare a lungo. Prima o poi le voci che si levano sempre più frequenti saranno così forti da bucare il muro di silenzio che hanno costruito per nascondere la verità. Bisogna comprendere quello che succede e individuarne le cause. Bisogna impiegare tutta la nostra capacità di raccontare, argomentare, convincere, e lavorare con gli altri, con pazienza, tenacia, costanza e soprattutto con speranza.

Mi chiamo Angela Comenale Pinto, sono napoletana e vivo da 27 anni a Genova, dove insegno in un Istituto Agrario a S. Ilario, un posto incantato, che però fa gola a troppi. Da un anno il Comune di Genova porta avanti il progetto di una strada che taglierebbe a metà lo storico podere Costigliolo, dove sorge la Scuola, fondata nel 1882 da Bernardo Marsano. Le allego la documentazione relativa e le chiedo il suo parere e il suo aiuto.

Un cordiale saluto

Angela Comenale Pinto

Non so consigliarle altro che dare diffusione alla sua protesta e alla documentazione. La allego, mi sembra molto chiara ed efficace. Mi sembra che la scelta del comune sia veramente sbagliata: distruggere un simile bene per costruire una strada per la quale ci sono alternatevole ragionevoli e rispettose del patrimonio paesaggistico! Ma quel sito non è protetto dal piano paesaggistico della regione? Spero che qualche lettore di eddyburg di quell’area ci informi e ci aiuti alla difesa del Podere Costigliolo

“A Napoli non prosegue il buon livello di pianificazione raggiunto con la Variante al Prg e non si considera la prospettiva di un CENTRO collegato alle periferie con standard europei che sarebbe possibile grazie al Parco delle Colline e alle nuove linee della Metropolitana in via di realizzazione. Nei prossimi mesi il Comune di Napoli vara il Programma di Intervento Centro Storico, finanziato da contributi europei per circa 240 milioni di euro. Nel Programma gli assessorati designati hanno sancito la priorità “Cittadella degli Studi”, cioè l’unione di facoltà e istituti universitari nel Centro Storico perimetrato come Patrimonio Unesco. Alla “Cittadella” viene subordinato anche il Parco Archeologico, ancora da istituire e già previsto dal Prg di Napoli.

Il prossimo 12 settembre è la scadenza fissata dal Comune per accogliere le proposte di comitati e associazioni della società civile. Ritengo che non debba essere l’Università la funzione egemone e il principio ordinatore degli interventi per la riqualificazione del Centro Storico, e particolarmente dell’area dei decumani, luogo ancestrale, simbolico e ricco di significati per la collettività. La tanto decantata “vocazione” del Centro Antico a “Cittadella degli Studi” non esiste: Gli edifici istituzionali della Università Federico II e dell’Istituto Orientale sono ubicati sul Corso Umberto e la via Duomo, assi di sventramento effettuati alla fine dell’Ottocento dalla Società del Risanamento, i cui progettisti non tenevano in alcuna considerazione la città antica.

La fondazione di Napoli col tracciato ippodameo risale a duemilacinquecento anni fa, mentre l’università contemporanea con le iscrizioni di migliaia di studenti napoletani e forestieri è storia di solo pochi decenni. Inoltre, le scuole, gli istituti, le università situate nel perimetro del Centro Storico non sono certo da considerarsi per tale motivo migliori di quelle che invece sono ubicate al di fuori, come la Facoltà di Ingegneria che dal 1965 si trasferì a Fuorigrotta.

L’Università necessita di aule e laboratori con le caratteristiche necessarie alle esigenze didattiche e di case dello studente modernamente modulate e con affitti proporzionali ai redditi familiari; con queste vanno progettate sale e strutture collettive per l’aggregazione, le attività culturali e lo svago di giovani studenti. Tutti progetti da realizzare nelle aree dalle industrie dismesse e nelle periferie degradate, nel quadro di interventi tesi a ricucire le smagliature (sprawl) del tessuto urbano, proseguendo e migliorando così l’insediamento di Monte S.Angelo e dando inizio a quello di S.Giovanni a Teduccio. Mi sentirei in una Napoli modernamente più europea se sulle nuove linee della metropolitana ci fossero le fermate “Città Universitaria” e “Case dello studente”. Napoli persegua un destino di comune virtuoso, gà delineato dalla Variante al Prg, realizzando progetti equilibrati tra le diverse parti di città a partire dal proprio Centro: la città antica. Ci sia al più presto un diffuso Parco Archeologico con aree pedonalizzate, chiostri e giardini accessibili a donne, bambini e persone anziane.

Le istituzioni comunali recepiscano i bisogni reali della gente: si insedino nei decumani il Dipartimento di Urbanistica e la Casa della Città con programmi e informazioni per i cittadini. Il Programma Centro Storico provveda a migliorare la qualità della vita con misure efficaci: Censimento, regolamentazione e sostegno delle attività produttive. Assistenza per la maternità e la pari opportunità delle donne nel mondo del lavoro. Promozione della raccolta differenziata dei rifiuti e incentivi per l’energie naturali. Laboratori di ricerca e produzione teatrale, vicino ai siti dell'antichità greco-romana, con coinvolgimento delle scuole e della cittadinanza tutta.

Alberto Calabrese, socio e collaboratore del Circolo Centro Antico, primo circolo della Lega per l’Ambiente a Napoli.

Le sue considerazioni mi sembrano ragionevoli. Spero che il Dipartimento urbanistica del Comune, che certamente legge questa lettera, ne terrà conto ed esprimerà anche ad eddyburg i suo parere in merito

All'inizio dello scorso luglio l'Agenzia delle Entrate ha diramato una propria risoluzione (170/E del 3 luglio 2009) in cui, partendo dalla specifica tematica oggetto dell'azione istituzionale della medesima Agenzia, cioè l'applicazione della normativa tributaria, perviene ad una interpretazione piuttosto ambigua, se non pericolosa, per gli effetti sulla gestione ed attuazione delle aree che il piano urbanistico destina a servizi e attrezzature pubblici. Al di là della specifica questione tributaria (nb: già è discutibile sul piano dell'equità che sia richieda il pagamento dell'ICI su terreni resi edificabili solo a seguito dell'adozione di uno strumento urbanistico e non già quando questo diviene efficace) l'esito della risoluzione sembra possa produrre una sottrazione ulteriore al regime pubblico di quelle fondamentali parti della città che grantiscono l'equità dei diritti sociali (scuole, asili, strutture sanitarie, verde, ecc.). In sostanza ai fini tributari - ma siamo sicuri che sia solo a questi fini ? - l'edificabilità di un'area che il piano regolatore riconosce nell'ambito del sistema dei servizi e delle attrezzature pubbliche (gli standard urbanistici secondo il DM 2 aprile 1968)) è esclusa, ammenochè l'attuazione e la gestione della previsione di piano sia ammessa dal medesimo strumento a vantaggio di operatori privati. Cosa ne pensa eddyburg ?

Sono veramente bravissimi. Con questa interpretazione si sollecitano i comuni virtuosi (quelli che vogliono salvare le aree vincolate per la formazione di spazi pubblici ma non ancora acquisite) a modificare le norme nel senso d consentire che le attrezzature pubbliche vengano realizzate e gestite dai proprietari. Un ulteriore passo verso la privatizzazione di ciò che è pubblico, verso la trasformazione della città a merce, a valore di scambio, verso la pienezza del potere della proprietà immobiliare. Un ulteriore passo verso la scomparsa dell’equità nell’uso della città.

Continuiamo a sperare che l’opposizione (le opposizioni, quelle togate e quelle, diciamo, straccione) se ne accorgano. E speriamo che qualche esperto di jure amico di eddyburg vorrà commentare l’interpretazione degli uffici finanziari.

In omaggio ai leghisti, alle loro proposte agostane, ai dialetti, a Berghem de hüra (Bergamo alta) e a Berghem de hota (Bergamo bassa), ho trovato oggi in rete questi tentativi di Haiku, di cui ti so fine cultore. Non possono competere con gli originali, ma devi ammettere che un certo fascino ce l'hanno anche loro, no?

Haiku-De-Hura, Haiku-De-Hota



Verdevestito,

se parli di "radici"

sollevo i piedi



Il tuo dialetto

desidero impararlo

Per insultarti

Dal sito ghostwritersondemand.splider.com

Grazie, davvero rinfrescanti, e adeguati al bersaglio.

Caro eddyburg, Nel golfo compreso tra Capo Rossello e la Scala dei Turchi, che ha ispirato alcuni racconti di Andrea Camilleri, sono stati realizzati da poco dei frangi flutti, parallelamente alla costa, con lo scopo di proteggere la parete marnosa che chiude alle spalle un lembo di spiaggia dal valore paesaggistico ineguagliabile. Opere simili sono già state costruite in passato lungo la costa agrigentina ed hanno trasformato spiagge e scogliere bellissime in distese di sabbia dura e impossibile da utilizzare per la balneazione.

Stessa sorte purtroppo toccherà al golfo della Scala dei Turchi se non si rimuoveranno i frangi flutti

L’aumento delle piogge stagionali e la strada che in passato è stata costruita sull’altipiano, favoriscono le infiltrazioni causando un accelerazione del fenomeno franoso a cui, naturalmente, è sottoposta la parete di marna quindi qualsiasi intervento risulterebbe assolutamente parziale.

E’ stato chiesto più volte di modificare il progetto ma è stato risposto che non era possibile perché ormai l’opera era stata finanziata e non si poteva tornare indietro. Il paradosso è che il comune di Realmonte di recente ha avanzato richiesta all’UNESCO di inserire la Scala dei Turchi tra il Patrimonio dell’Umanità e ci si chiede come i lavori si possano conciliare con le regole che disciplinano l’inserimento dei siti tra il Patrimonio dell’Umanità.

La costa agrigentina ha sempre subito le ferite di un abusivismo scellerato e di interventi per la salvaguardia delle coste inadeguati ed episodici che hanno modificato l’aspetto dei luoghi dove siamo cresciuti e dove ritroviamo la matrice della nostra identità. La baia dove approdarono i Turchi per le loro scorrerie, è uno di questi ed è ancora lì come un tempo e tale deve rimanere.

Le chiediamo aiuto e di dare visibilità sul Suo sito a quanto sta accadendo. Grazie mille. Certo di un suo aiuto le porgo cordiali Saluti.

Caro Verruso, di fatti come quello che lei denuncia ne succedono tanti, troppi, in Italia. Quelli che approdano in eddyburg sono la punta estrema di un iceberg. Il nostro sforzo è quello di comprendere, e di far comprendere, perché ciò succede: comprendere è il primo indispensabile passo per chi vuole cambiare. Speriamo che aver dato quel poco di visibilità che possiamo alla distruzione della Scala dei turchi possa aiutare a salvare quel bene.

Caro Lodo, Il primo punto è se la legge 24/2009 della Regione Toscana, il ‘piano casa’, sia una buona legge. Io ho brevemente argomentato a favore. Non sto qui a ripetermi. Se si è di parere diverso si ha il dovere di argomentare diversamente. Il secondo punto è che una buona legge sulla carta può produrre effetti cattivi se i comuni non agiranno nello spirito del provvedimento, ma a seconda di interessi particolari o peggio. Non vedo niente di contraddittorio fra i due punti. Si ritorna perciò al nodo critico del governo del territorio in Toscana, ancora più critico quando si tratta di paesaggio. Un buon funzionamento della legge, e in generale del PIT implica che le responsabilità di tutela e gestione del paesaggio non siano delegate ai comuni singolarmente, ma attuate in forme di governo statutarie e con modalità allo stesso tempio più ampie e partecipate. La strada opposta è una gestione burocratica di leggi e PIT, con i comuni chiamati a autocertificare la propria conformità al piano regionale. Perché dovrei considerare inevitabile la seconda strada? Che senso avrebbero allora le critiche e le proposte avanzate su questi temi da me come da tanti altri (anche) su eddyburg?

Credo sia più interessante valutare il governo del territorio della Regione Toscana per le politiche reali piuttosto che emettere una scomunica preventiva. Con ciò esprimo, come te, un parere libero da ogni condizionamento, anche di linea politica.

Abbracci

risponde alla lettera di Lodo Meneghetti qui sotto nella stessa rubrica

Ho letto in ritardo, ma dico la mia. Per fortunal’articolo di Baldeschi sulla legge casa della Toscana, dapprima tutto una specie di canto soddisfatto, si rompe e si contraddice nella seconda parte con quel “tuttavia…” che introduce a ciò che sarà la realtà a scala comunale (e regionale). Se si rinuncia alla dura motivata opposizione disperdendosi nella ricerca di qualche pinzillacchera positiva nei quadri disastrosi, si rinuncia al compito che come eddyburg, credo, ci siamo dati. Che non significa non riconoscere il buono, il buono vero non falso, il buono nella società dove c’è, anche dentro il disastro: vedi il caso veneto con le migliaia di osservazioni e di opposizioni alla legge casa provenienti, come si dice, dal basso (Edoardo, in Carta). Sono dispiaciuto con Paolo.

A questa lettera indirizzata a Paolo Baldeschi, anche lui “opinionista” di eddyburg, risponderà Paolo.

L’articolo del nostro collaboratore Paolo Grassi, che tra l'altro criticava la debolezza con la quale la sezione romana dell’associazione Italia Nostra aveva difeso e difendeva il “Progetto Fori”, ho suscitato un’ampia lettera di protesta della dirigenza della sezione, Alla protesta ha replicato Paolo Grassi. Data l’ampiezza dei testi, lontana dallo standard della rubrica Posta ricevuta, alleghiamo entrambi in formato .pdf. Con la viva speranza che il ritrovato consenso per la positività e l’essenzialità del “Progetto Fori” e la comune critica per il suo insabbiamento provochino nuove azioni. Chi condivide la portata innovativa di quel progetto per il futuro urbanistico, culturale e sociale di Roma non può lasciare che esso venga dimenticato, sacrificando un futuro possibile alla prevalenza del crescente traffico automobilistico, degli interessi immobiliari e delle ambigue rivendicazioni di una continuità col regime fascista.

In calce sono scaricabili la lettera di Mirella Belvisi, dirigente della sezione romana di Italia Nostra, e la replica di Paolo Grassi. A richiesta saranno trasmessi gli allegati elencati nella replica di Grassi.

La Giunta Marrazzo con l’autostrada denominata Corridoio intermodale Roma-Latina, ha intrapreso unilateralmente e senza alcun coinvolgimento e partecipazione delle comunità locali un percorso devastante per il territorio, oneroso per la collettività e i pendolari, inutile per la non risoluzione dell’accesso e dell’uscita da Roma. Inoltre, nella conferenza dei servizi sono state adottate varianti ulteriormente peggiorative, difatti il percorso passerà per il 60% fuori dall’area di sedime della Pontina provocando ulteriori danni ed espropri delle case e delle attività produttive. L’impatto ambientale è insostenibile fin dall’inizio e per tutto il suo percorso all’interno del Comune di Roma, interferirà con la riserva naturale di Decima-Malafede, le zone archeologiche (Necropoli di Decima) tutelate dalla legge 1039, la Zona di protezione speciale e il SIC di Castel di Decima. L’autostrada ridurrà di oltre 100 ettari il Parco di Decima-Malafede colpendo le sue aree boschive e seminative arrecherà un duro colpo al suo equilibrio naturale. L’esproprio delle aree, in particolare dai by passes di Pomezia, Aprilia e all’altezza di Capoverde e Fossignano sconvolgerà gli standard abitativi, le attività agricole, zootecniche e produttive. L’intervento dei privati pari al 60%, imporrà il pedaggio-beffa. I pendolari continueranno a fare file interminabili perché il tappo a Roma rimarrà inesorabile, aggravato dal mega Centro Commerciale EUROMA2! Anche per evitare i continui incidenti mortali chiediamo: l’adeguamento in sicurezza di tutta la Pontina, il miglioramento delle linee ferroviarie Roma-Latina e Nettuno-Campoleone, la costruzione della metropolitana leggera Roma-Pomezia-Ardea, i parcheggi di scambio, la tutela del Parco di Decima-Malafede e della vocazione agricola dell’agro romano e pontino. Ciò equivale a minor costi, minor impatto ambientale, minor stress e inquinamento, una forte riduzione del traffico privato su gomma, un miglior afflusso dei veicoli nella metropoli.

Invitiamo i lettori di eddyburg a firmare il nostro appello.

Di destra o di centrosinistra che siano, non riescono a fare che autostrade e simili. Risultati: aumentano il trasporto automobilistico e provocano ulteriore congestione, che richiederà nuove autostrade; continuano la distruzione del territorio naturale e di quello agricolo; con la mistificazione dei lavori in concessione, o del project financing, aumentano il debito che dovrà essere pagato dalle generazioni future. Allego il vostro appello, cui naturalmente eddyburg aderisce (si può aderire qui online)

Gianni Beltrame, urbanista “ambientalmente orientato” fin dai lontani anni Settanta, ha criticato una proposta legislativa di Legambiente Lombardia in un articolo pubblicato su questo sito. Legambiente Lombardia risponde, molto adirato, il presidente Damiano Di Simine, cui a sua volta replica Beltrame

Damiano Di Simine

Risposta di Legambiente Lombardia

a Gianni Beltrame

Caro Gianni Beltrame, consentici di rispondere alle tue critiche incomprensibilmente nostalgiche e rancorose.

Legambiente, per sua missione, ha da un lato il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica, dall’altro quella di avanzare proposte scientificamente fondate e concretamente fattibili.

Questo è quello che abbiamo fatto lanciando la legge di iniziativa popolare incriminata. Nel confezionarla, ci siamo confrontati con una pluralità di esperti: urbanisti, economisti, agronomi... abbiamo chiesto un parere anche a te, memori di un lontano passato in cui da Gianni Beltrame giungevano critiche e suggerimenti utili e costruttivi. Ma evidentemente erano altri tempi, forse più generosi e stimolanti per te. Peccato, forse col tuo contributo avremmo potuto perfezionare quella norma che ora contesti. O forse no, perchè gli aiuti e i suggerimenti che abbiamo ricevuto dai molti esperti che abbiamo consultato sono stati davvero ricchi e puntuali.

Evitiamo in questa sede di discutere gli argomenti generali, anche se non ci possiamo esimere dal segnalare che ritenere il tema del consumo abnorme di suolo come un problema “solo ed esclusivamente urbanistico” ci sembra riduttivo e forse fuorviante. Chi dice questo evidentemente non si è accorto degli enormi flussi finanziari che si riversano sempre di più sul mattone; pressioni che vanno ben al di là di una normale (seppur disdicevole) dinamica del profitto: non si spiegherebbe altrimenti la scelta di costruire per costruire, indipendentemente dalle reali possibilità di vendita degli immobili. Inoltre i procuratori antimafia ci spiegano da qualche anno quante sono le infiltrazioni mafiose nel settore immobiliare, anche qui a Milano. Non è quindi solo “questione urbanistica”. Certo, gli urbanisti hanno pesanti responsabilità, che sono quelle di essersi limitati troppo spesso a trascrivere in bella copia le peggiori perversioni cementizie, ma i mandanti sono altri, e all'urbanistica si può 'solo' rimproverare la mancanza di un credibile movimento di obiezione di coscienza.

Per il resto l'urbanistica non ha mai avuto il ruolo che gli attribuisci, perchè non ha mai governato nemmeno concettualmente il tema del suolo e del suo consumo: lo dimostra il fatto che in Italia manchino persino i dati su base nazionale di consumo di suolo, e che nessuno si sia peritato di porre seriamente questo tema, che invece dovrebbe essere un caposaldo su cui informare le scelte strategiche di pianificazione e programmazione territorale (come insegna la legislazione tedesca sui suoli, una delle fonti a cui ci siamo ispirati per scrivere la nostra 'leggina'). Se dovessimo valutare in base alla qualità e alla quantità dei dati disponibili in Italia, dovremmo dirci che l'urbanistica come disciplina semplicemente non si occupa del suolo e del suo consumo, tutt'al più lo considera un argomento retorico. L'eccezione è quella, avviata da alcuni mesi a questa parte, dal DIAP del Politecnico di Milano che con Legambiente e INU sta lavorando alla difficile raccolta e validazione dei dati esistenti.

Ma veniamo alle specifiche critiche.

Abbiamo proposto una “leggina”.

Sì, è vero, si tratta di una legge che interviene in modo limitato e parziale. E’ una colpa grave? Noi, molto modestamente, sappiamo fare questo. Ci vuole il solito 'ben altro'? Di sicuro, ci vuol sempre ben altro, e, caso mai ce ne dimenticassimo, ci sarà sempre qualche 'benaltrista' che ce lo ricorderà. D’altra parte sono ormai troppi anni che attendiamo che qualcuno più bravo di noi scriva una buona legge urbanistica regionale da opporre alla “controriforma” venuta avanti in questi anni, l’avremmo appoggiata volentieri. Ma non solo non sono venute proposte da “tutte le sane forze dell’ambientalismo”, ma neppure da quegli urbanisti che in ogni convegno ci spiegano come gira il mondo: evidentemente sono stati troppo occupati ad aiutare le amministrazioni comunali ad applicare le “controriforme” che nel frattempo sono arrivate.

Da parte nostra avremmo certo voluto scrivere un testo più forte, che affrontasse ad esempio la questione della fiscalità locale, i meccanismi di incentivo perverso legato all'uso degli oneri di urbanizzazione, la questione della proprietà privata... ma si dà il caso che le materie fiscali e quelle di modifica della Costituzione sono sottratte all'iniziativa popolare di proposta di legge, avremmo scritto un testo certo molto più incisivo, ma privo dei requisiti di ricevibilità da parte delle sedi legislative: sarebbe stato un ottimo manifesto politico, non una proposta di legge. E tuttavia di questi temi certo non ci dimentichiamo, ma ne facciamo elemento di battaglia politica, non di proposta legislativa che compete, per queste materie, esclusivamente alle sedi a ciò istituzionalmente preposte, i parlamenti regionali e nazionale, ma che noi intendiamo condizionare con la nostra campagna 'metti un freno al cemento'.

La proposta “ha poco più il valore di una grida, …. “

Articolo 1, comma 2: In particolare, la Regione promuove e garantisce la tutela delle risorse naturali del territorio, in quanto beni che costituiscono patrimonio della collettività e non possono essere consumati in modo rilevante e irreversibile. Sarà pure una grida, ma sarebbe la prima volta che, in una norma di legge italiana, si riconosce il principio che il territorio, pur vigendo la proprietà privata, è un bene comune, appartiene all’intera comunità.

All’articolo 4 si vieta di pianificare espansioni se nel Comune esistono aree già urbanizzate non utilizzate, sottoutilizzate o dismesse. Tale indicazione esiste già in altre leggi (compresa la 12/2005), ma non è mai prescrittiva e vincolante: con la nostra “leggina” lo diventerebbe. E’ una norma inutile? Non è abbastanza radicale? Non sarebbe una concreta limitazione alle espansioni?

All’articolo 5 le espansioni già previste vengono gravate dall’obbligo di cedere al Comune e ad equipaggiare il doppio della superficie fondiaria occupata dal nuovo intervento, sia edificatorio che infrastrutturale, oltre ai vigenti oneri, standard a verde compresi. Noi crediamo che, oltre che garantire un consistente “ristoro” al danno causato dall’occupazione di suolo libero, questa norma possa influenzare positivamente il mercato orientando almeno una parte degli appetiti immobiliari sul riuso del patrimonio esistente anziché sulla costruzione del nuovo. E’ poco? Può darsi, però porterebbe matematicamente ad un esaurimento delle possibilità di espansione ad un livello comunque inferiore al 100% oggi possibile (e in qualche Comune già avvenuto). E’ inutile? Certamente no. E’ “vago e confuso”? Ci si spiega perché, di grazia?

In ogni caso, se la norma è così indolore, benissimo, allora dovrebbe essere molto facile metterla alla prova: non occorre una legge per inserire, volontaristicamente, la 'indolore' compensazione ecologica preventiva all'interno del piano delle regole di uno qualsiasi dei PGT dei1546 comuni lombardi, anzi, visto che è così indolore, ci stupisce che nessuno l'abbia ancora fatto: confidiamo pertanto che ciò avvenga, per vedere come questa norma indolore agisce.

“… se pur alla ricerca di un facile consenso”.

Questa critica ci pare proprio curiosa. E’ forse una colpa cercare, e possibilmente avere, un largo consenso? E’ forse inutile obbligare il Consiglio Regionale ad esprimersi su una proposta di risparmio di suolo corredata da un alto numero di firme che ne comprova il consenso popolare?

Dovremmo fare proposte che suscitano opposizione nell’opinione pubblica?

“solo il ritorno ad una corretta e operante pianificazione territoriale-paesistico-ambientale …”

Questa è la parte meno comprensibile tra le tue critiche. A quando o a dove si riferisce l’auspicato “ritorno”? Se, per restare in Lombardia, tutti siamo dell’opinione che lo sfascio delle normative urbanistiche degli ultimi 15 anni ha provocato danni incalcolabili, a noi non pare che prima si fosse in una mitica “età dell’oro” della pianificazione territoriale. Forse le “corrette pianificazioni” stavano, in qualche caso, sulla carta. Sul territorio concreto a noi non pare. Oppure ti riferisci ad altre regioni italiane supposte virtuose? Quali sarebbero? Chi e quando ha quanto meno limitato il consumo di suolo? Qual è la corretta urbanistica che ha dato prova di funzionare bene e che pertanto meriterebbe nostalgia?

Da ultimo

Nell’ultimo punto della lettera aperta fai riferimento a “sane forze ambientaliste” da “guidare” e da “mobilitare”. Ora, i casi sono due: o consideri Legambiente una forza ambientalista “malata”, e allora il dialogo diventa veramente difficile, oppure ci annoveri tra quelle sane, ma in questo caso non comprendiamo chi ci dovrebbe “guidare”. Noi intenderemmo auto-guidarci. Almeno questo lasciacelo.

Nel frattempo, attraverso i banchetti di raccolta firme presenti in tutta la Regione, noi stiamo parlando di consumo di suolo con tutti i cittadini che si avvicinano, e sono tanti.

Non servisse ad altro, basterebbe questo a giustificare la campagna. O no?

Gianni Beltrame

Risposta a Damiano Di Simine

A chi non capisce, è bene e doveroso, gentilmente, rispiegare una seconda volta (se, naturalmente, chi non ha capito ha sincera voglia di capire).

Il contenuto della mia “lettera aperta” è molto chiaro e si basa su un ragionamento semplice e lineare, articolato in tre punti:

1) l’abnorme e non necessario consumo di suoli oggi in atto dipende esclusivamente dalla mancanza e dalla assenza di una corretta e operante pianificazione territoriale ovvero dalla assenza di applicazione di quel complesso di norme, leggi, pratiche disciplinari, pianificatore e ambientali e corretta amministrazione del territorio e del paesaggio definite in pratica “urbanistiche”, “comprensive di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi o gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”.

2) regole, norme e buone pratiche rese possibili attraverso un buon uso del complesso delle leggi precedentemente esistenti ma distrutte sistematicamente negli ultimi anni da quella “controriforma urbanistica” che, in nome di un ideologico “liberismo” e “laissez faire a fini cementificatori” ha portato ad uno smantellamento totale della gestione del territorio improntata all’interesse collettivo e all’uso di piani e programmi pubblici per mettere al di sopra di tutto l’interesse privato a edificare ovunque e la “negoziazione” e “mercatizzazione” di ogni bene territoriale. (Disegno di legge Lupi).

Ovvero da quella concezione della “barbarie antiurbanistica” che quest’anno celebra il suo trionfo col cosiddetto Piano casa del Presidente Berlusconi e con le dichiarazioni del Ministro per i Beni e le attività Culturali Sandro Bondi che afferma che i disastri urbanistici in Italia sono stati fatti dai Piani regolatori! (E quasi nessuno si indigna)

3) sostengo, infine, che l’idea di poter invertire questa situazione promuovendo una ingenua leggina, sia pur di iniziativa popolare, per arginare gli eccessi di consumo dei suoli, sia pura illusione.

Non esistono vie facili e brevi in materia così complessa e difficile - e profondamente avversata - com’è urbanistica, tanto più che le forze di sinistra e ambientaliste cui dovrebbe competere questo sforzo di ricostruzione, non danno sino ad oggi segni di risveglio.

Solo un lungo, non facile e faticoso lavoro di rilancio e di ricostruzione di un quadro legislativo-normativo, di comportamenti e di corrette pratiche di pianificazione territoriale a guida pubblica, potrà affrontare il problema di un corretto uso dei suoli.

Del resto solo una corretta pianificazione territoriale e ambientale, basata su una conoscenza sistematica, complessiva e preventiva di valutazione di tutti i suoli e di tutti i valori paesistico-ambientali connessi in una visione di organizzazione territoriale, è in grado di decidere razionalmente su quali e quanti suoli trasformare, su cosa è consumo corretto e cosa è spreco, su quali e quanti non trasformare e proteggere: su quali , quanti, dove e perché.

Questi sono i contenuti della mia “lettera aperta” :nessuna aggressione e nessuna affermazione ideologica dunque, come invece sostiene il sign. Di Simine.

Caro direttore, siamo Federico e Lorenzo, i due ragazzi del Comitato “Non grattiamo il cielo di Torino” che giovedì sera sono intervenuti alla trasmissione Annozero di Rai2, nella quale purtroppo non siamo riusciti a dire cosa stiamo facendo per contrastare la costruzione del grattacielo Intesa-Sanpaolo nella nostra città. Ce l’hanno impedito Maurizio Lupi e Daniela Santanchè, rappresentanti di una classe politica che, senza pudore e con arroganza, arriva a negare perfino quei minimi spazi di espressione concessi a noi giovani. Avremmo voluto raccontare dei nostri 4 alberi da frutta “abusivi” piantati a ridosso del cantiere dello scavo preliminare del grattacielo, e delle decine di semi e piantine del nostro “Ins-Orto”, che stiamo coltivando insieme agli abitanti del quartiere. Avremmo poi raccontato dell’arrampicata su uno degli alberi che il cantiere stava per espiantare, delle simulazioni realizzate per far vedere come cambierebbe irrimediabilmente il paesaggio della città (disponibili su www.nongrattiamoilcielo.org), delle enormi bolle di sapone fatte sotto la sede della banca e anche in faccia al presidente Salza… Avremmo infine risposto alla Santanchè, desiderosa di nuovi simboli per Torino, che siamo affezionati all’architettura storica della nostra città, e che Torino non è affatto “piatta e grigia” (fuori onda), ma piena di vita e colori, che la animano tra i riccioli barocchi dei suoi palazzi e sotto i portici dei viali ottocenteschi. Speriamo che si sia almeno capito che 300 milioni spesi per nuovi uffici, quindi per un’opera inutile, sono uno schiaffo a chi sta vivendo la crisi.

Anch’io sono rimasto scandalizzato da quel numero di Anno zero. Belli i servizi dalla Sardegna, benché non fosse affatto chiarito dal conduttore il nesso tra quei servizi e l’argomento del cosiddetto “piano casa”. Ottimo, come al solito, l’intervento di Travaglio e la sua replica al fondamentalista Lupi. Ma tutta la parte nello studio secondo me è stata terribilmente inadeguata. L’unico che ha detto cose vere e serie è stato Sansa, che certamente (oltre al volpino Lupi) era l’unico competente, e assolutamente l’unico con una competenza volta a fin di bene. Santanchè ha dimostrato quanto è basso il livello più basso del personale politico attuale (non riesco a immaginare che ci sia qualcuno più incompetente e arrogante di lei, ma ne conosco pochi di parlamentari new wave). Il bravo Nicky Vendola ha fatto discorsi alti (l’unico), ma nel merito mi sembrava un pesce fuor d’acqua. Ma forse il punto più basso della trasmissione è stato rappresentato dal modo in cui Santanchè da un lato, e Santoro dall’altro, vi hanno impedito di esprimervi. Il conduttore non solo ha lasciato strillare gracidare Santanchè sulle vostre parole, ma ha chiuso facendo intendere che la disputa era solo una questione di gusto.

Devo dire che ciò che più mi ha amareggiato è il modo assolutamente superficiale, confuso, arruffone in cui si sono trattati temi decisivi, come la grande operazione immobiliare, distruttiva della città e del territorio, avviata da Berlusconi. Chiacchiere da Bar dello Sport; salvo quelle poche eccezioni che ho citato, affogate nel mare del common sense più sciatto. L’unica conclusione che posso trarne è che a Santoro l’argomento non interessasse affatto, e che il suo obiettivo fosse solo di dare un po’ di spazio, nel ciclo delle sue trasmissioni, a quei due personaggi della misera destra italiana.

Caro Eddy, salvare il mondo e difendere quel poco di urbanità che ancora resiste è faccenda assai più complicata che salvarsi l'anima. Il primo impegno richiede quel che tu dici: «fatica, pazienza, speranza»; per salvarsi l'anima basta il pensiero lineare dei fondamentalismi e dei narcisismi (che spesso vanno a braccetto).

Di «fatica, pazienza e speranza» è fatto il lavoro che non pochi di noi fanno con gli studenti. Ma, se vuoi bruciare quel residuo di credibilità che ti rimane, non hai che da usare la tua "posizione" come un mitra puntato. La rivoluzione, come sai, è invece indurre a ragionare e a sentirsi responsabili. Delle sparate dalle torri d'avorio, dentro l’università e fuori di essa, non frega niente a nessuno. Sono, anzi, quanto mai nocive (oltre a offrire ulteriori motivazioni a chi lavora senza tregua per distruggere la scuola pubblica).

Allo stesso tempo, sul fronte accademico la sopravvivenza dell’università viene ormai fatta dipendere dalle commesse contoterzi. Nel campo dell’urbanistica il volume delle commesse ha raggiunto in talune strutture livelli un tempo impensabili, ma quanto di questo lavoro costituisce un avanzamento nella ricerca e quanto è invece lavoro professionale camuffato? Quanto risponde a uno spirito di responsabilità civile e quanto è mero lubrificante offerto agli amministratori pubblici per far girare le cose come vogliono loro? Su questo andrebbero tratti bilanci, ma le domande di cui sopra non sono all’ordine del giorno degli organi di governo dell’università.

Come la mettiamo allora con l’impegno civile del lavoro universitario? Questo si gioca sui progetti formativi e sugli strumenti conoscitivi e operativi che si mettono a disposizione delle giovani generazioni per interpretare la realtà e tentare di modificarla, avendo presenti le grandi questioni strategiche (su cui il più delle volte la politica si dimostra assente). E quanto all’impegno politico, è già tanto che l’università trovi i modi per difendere il suo patrimonio e il suo potenziale da un attacco che non ha l’uguale da quando è stata istituita.

C’è poi il problema dell'accesso ai mezzi di comunicazione. Internet ha in parte scombinato il monopolio – Eddyburg è lì a dimostrarlo –, ma per arrivare alle masse ci vuole ben altro. È incredibile l’anestesia prodotta dal berlusconismo. Posso citare alcune mie esperienze. Più di un articolo che ho inviato alle redazioni milanesi di «Repubblica» e del «Corriere della Sera» è stato cestinato, o trasformato in lettera. Lo stesso è accaduto con "AL", la rivista degli ordini degli architetti lombardi: il pezzo richiestomi sul progetto di Koolhaas per Milano-Bovisa (poi integralmente pubblicato su Eddyburg) è uscito ridotto in forma di lettera. Il che non ha impedito che quella mezza paginetta mandasse su tutte le furie l’operatore immobiliare e irritasse i vertici accademici. Eppure esprimevo giudizi difficilmente contestabili sulla povertà mista ad arroganza del “progetto” di un’archistar del tutto inadeguata al compito affidatale.

Alla vigilia di un incontro pubblico dell'assessore Masseroli alla Facoltà di Architettura Civile di Milano Bovisa è uscita finalmente una intervista su "Repubblica" (puntualmente ripresa da Eddyburg) in cui, fra l’altro, esprimevo perplessità sull’idea di riportare a Milano 700 mila abitanti. Una tale prospettiva non rientra nel novero dei fatti opinabili. Un’amministrazione che si proponga di riportare quote significative di popolazione in città non può non fare i conti coi processi selettivi che ha visto la rendita immobiliare dare vita a un esodo di oltre mezzo milione di abitanti negli ultimi trent’anni. Se non si dice come il controesodo può avvenire, si fa solo un uso strumentale di una grande questione al solo scopo di alimentare la deregulation. La strumentalità della proposta è dimostrata dal fatto che le stesse forze politiche che governano Milano – e, ahimè, non solo loro – promuovono allo stesso tempo espansioni forsennate dell’edificato ovunque: nella cosiddetta città diffusa e ora persino nel Parco Sud (per tacere del piano casa di Berlusconi). Riportare anche solo un decimo dei 700 mila abitanti di cui parla Masseroli comporta una politica della casa e insieme politiche di governo della tendenza insediativa nel contesto metropolitano che non si possono certo affidare al mercato. Ma di questo non si può parlare; e anche le pagine dei maggiori quotidiani nell’inseguire scoop e annunci, se ne guardano bene di riportare a una coerenza d’assieme quello che di giorno in giorno occupa l’agenda. Alla fine i giornali si riducono a una raccolta indifferenziata di notizie con cui si fa quotidiana opera di diseducazione civile.

La situazione a Milano e in Lombardia è pesante. Forza Italia, CL e Lega formano un insaziabile cerbero a tre teste, superiore come capacità devastante al brontosauro democristiano che pensavamo insuperabile. Ma non è vero che il panorama milanese è una palude: non ci sono solo atteggiamenti conniventi. Numerosi sono i punti dove si cerca di contrastare l’onda di incultura e irresponsabilità che avanza.

Segnali di controtendenza vengono anche dalla rivista on-line diretta da Luca Beltrami Gadola ( www.arcipelagomilano.org), per non dire dell’attività dei molti comitati di cittadini. E ancora non si può dimenticare quello che sta facendo la Fondazione Corrente sull'Expo'.

Un caro saluto

Che l'enorme serbatoio di saperi che è l'università si sia sterilizzato è una delle componenti della tragedia italiana. Sono sempre più convinto che invertire il trend del degrado morale e civile sia possibile solo secondo due vie: o un evento inaspettato e catastrofico (una nuova ondata di Unni o Visigoti, Vandali o Marcomanni, o una guerra devastatrice), oppure un lavoro di lunga lena: un lavoro, appunto, nel quale fatica e pazienza si accompagnino alla speranza. Su questa seconda strada è essenziale che chi sa insegni, chi ha risorse (di memoria, di capaccità di analisi, di progettazione delle tante facce del mondo) lo impieghi al servizio di quelli che non sanno, o non ricordano, o non hanno conosciuto.

Come tu dici, per farlo - ove ve ne sia la volontà e la disponibilità - è poi necessario rompere il muro dell'informazione ufficiale: dell'informazione di regime, di quella che Stefano Rodotà stigmatizzava nel suo articolo di oggi ricordando Orwell: "Parole manipolate per soddisfare le 'necessità ideologiche' del regime, per 'rendere impossibili altre forme di pensiero'".

Ecco, credo che sforzandoci di opporre informazioni profonde a quelle galleggianti del potere dobbiamo "rendere possibili altre forme di pensiero". Nell'assoluta modestia dei nostri mezzi, con eddyburg ci sforziamo di contribuire al lavoro comune in questa direzione.

L‘Eddytoriale 120 (29/01/2009) rinnova l’attenzione sullo stato delle nostre città, e conclude invitando a diffondere l’articolo nella cerchia dei propri amici. Ho provveduto (quasi intendendolo un dovere), inviandone copia ad amici sociologi, antropologi, economisti, politici consapevoli (di cui c’è qualche traccia) che condividono la nostra attenzione ed apprensione. Ma, oltre a questo, l’editoriale merita un particolare riguardo al suo contenuto, e sollecita ad approfondirne le argomentazioni. Queste sono centrate sul concetto di “spazio pubblico”, che trova la sua evidente e storica manifestazione nella “piazza”, la quale è elemento costitutivo ed espressivo per eccellenza della città. Lo era nella città antica, col foro e l’agorà, lo è ancora nella città moderna borghese, sorta alla fine del medioevo.

La nostra società (che pure si fregia del titolo di borghese) sembra ignorare tutto ciò, e fa di tutto per negare i caratteri propri ed intimi della piazza, ampiamente ricordati nel secondo capoverso dell’editoriale.

A noi urbanisti, primi responsabili, si pone subito un quesito di natura storico-critica circa la responsabilità, che in questa vicenda di deperimento culturale e di degrado, sono da ricercare nei dogmi del “movimento moderno” dei quali è pur fatta la nostre storia più o meno recente. A mio giudizio queste responsabilità ci sono ( ma molto meno di quanto può apparire a prima vista) e comunque contano.

Andiamo avanti. E’ merito di eddyburg farsi paladino di una nuova visione e progetti alternativi, ma ( e qui si pone un secondo e più pratico quesito) è sufficiente diffondere la consapevolezza di questi problemi nella cerchia dei propri amici? O non va tentato di arrivare alle menti (e ai cuori) della infinita moltitudine di coloro che abitano la città moderna, risvegliandone la coscienza (e l’interesse) a esserne “ cittadini”, da meri “ clienti” ai quali si tenta di ridurli?

Mi rendo conto che il quesito è squisitamente politico e va ben oltre la sfera (e i mezzi) della nostra condizione professionale. Ma resta comunque duro e ben evidente; e ne è la prova che sono ancora troppi i cittadini i quali, quando sono chiamati alle urne, si comportano da clienti.

Per tentare ci sono almeno due buoni motivi. Primo, le idee di spazio pubblico, di città, di bene comune non sopportano una diffusione circoscritta, professionale accademica: vogliono un’area vasta ideale. Secondo, i cittadini sono i portatori legittimi di quelle idee; sono i loro naturali attuatori, quando si tratta di dare corpo alle idee. Il principio della “urbanistica partecipata” dovrà seguire a quelli nobili del movimento moderno (ad esempio gli standard urbanistici) e a quelli degenerati della urbanistica “contrattata”.

Il compito è forse immane e la mia può apparire una pretesa ingenua (Vezio de Lucia la direbbe “innocente”). Ma è un compito non impossibile, come tanti altri di cui è piena la storia. Le attuali vicende, che investono il nostro come altri maggiori paesi, e vanno sotto il nome di crisi economica e sono alla radice di crisi morale dei cervelli, postulano questa necessità. Ne vanno intesi i segni palesi e tentate le possibili risposte. Mi sia permesso insistere su queste considerazioni un poco a sentimento, dopo aver provveduto alla dovuta diffusione della visione e dei progetti di eddyburg.

Caro Franco, io non credo di aver invitato a "diffondere l’articolo nella cerchia dei propri amici". Poichè credo - come te - che bisogna lavorare su una platea molto più vasta della cerchia dei nostri amici, sebbene sia certamente da là che si deve cominciare. Dobbiamo perciò, come tu dici, parlare alla "infinita moltitudine di coloro che abitano la città moderna, risvegliandone la coscienza (e l’interesse) a esserne cittadini, da meri clienti ai quali si tenta di ridurli".

Dobbiamo però avere la consapevolezza che esiste oramai un pensiero corrente che è contrario alla pianificazione, e più in generale alla prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato nelle questioni che trascendono dal personale e dall'intimo pur costituendone la necessaria cornice. Finchè saremo un gruppetto, o qualche élite, saremo sempre sconfitti e potremo solo recare testimonianza: ciò che è importante ma non basta. Non basta certamente nelle questioni del territorio e della città dove le conseguenze degli errore e dei delitti sono risarcibili solo in tempi lunghissimi, metastorici.

Sono convinto che finchè non si realizzerà di nuovo un incontro tra "gli intellettuali e le masse", per riprendere termini antichi ma sempre validi, gli altri vinceranno sempre. Se si fa attenzione a quello che emerge dai massmedia (al di là della stretta cerchia di quelli di cui leggiamo gli scritti in non più centomila persone) scopriamo che l'ideologia del neoliberalismo (quella che in Italia è arrivata profondamente nella sinistra ai tempi di Lucio Libertini) è diffusa al di là di ogni immaginazione. Quella ideologia, condita in salsa italiana (cioè in un paese dove la rivoluzione borghese è rimasta incompiuta) rende vincente la visione di Berlusconi.

Bisogna allora raccontare come esattamente stanno le cose, spiegare che quello che trasmettono giornali e televisioni (salvo le eccezioni d'élite) è falso, fare controinformazione e spiegare che non è vero che "i vincoli ingessano", che non è vero che le procedure della pianificazione sono lunghe, quando le amministrazioni si comportano (o si comportavano) bene e quando i privati rispettano le regole; e bisogna dimostrare che per l'anarchia e il "fai da te" si pagano prezzi salati.

Ecco, io credo che il nostro obiettivo non possa essere solo quello di dire le cose giuste nel momento giusto, ma di lavorare (con molta fatica, molta pazienza e almeno un pò di speranza) per mettere il nostro sapere a disposizione degli altri: del maggior numero possibile di altri. Hai sentito ieri sera Roberto Saviano? Mi pare che ciò che diceva fosse del tutto su questa linea.

Sono d'accordo con te anche sull'altro punto: la responsabilità della cultura urbanistica razionalista in alcune delle cose che si sono perse a proposito dello spazio pubblico. Riflettevo qualche giorno fa sul fatto che ci si è adoperati più per comprendere, normare e progettare le singole componenti dello spazio pubblico (le scuole, gli ospedali, le chiese, i mercati, i parcheggi, le strade), in relazione alle particolari categorie di utenti che devono servire, che per integrarle in uno spazio non frammentato, non specializzato, ma aperto a tutti: come erano, appunto, le piazze della storia. Eddyburg ha intenzione di lavorare molto su questo argomento, che mi sembra del tutto complementare con l'altro. Al Forum sociale europeo del 2008, nel convegno dedicato alla "città come bene comune" che abbiamo organizzato, un ragazzo greco diceva: "ma come facciamo a organizzarci, a discutere tra noi, a lavorare insieme per comprendere e agire, se non abbiamo spazi pubblici, aperti a tutti, dove riunirci?".

Partecipo con rabbia disarmata alle denunce e proteste di tanti urbanisti al “decreto orribile sulla città" (eddyburg). Aggiungo una nota riguardo allo stravolgimento urbano dovuto all’aggiunta di uno o due o più piani a ogni tipo di edificio (esistente o ricostruito), giacché quelli “non vincolati” sono la totalità salvo rare eccezioni. Un disastro architettonico e urbanistico di questo genere si compie da anni e prosegue intensamente ogni giorno a Milano e nessuno ha potuto contrastarlo se non con le parole. Migliaia di costruzioni milanesi denominate «adeguamento dei sottotetti» nulla c'entrano con la realtà degli accadimenti. È conosciuta la normativa che ha permesso la distruzione della linea del cielo milanese (vedi anche miei articoli in eddyburg fin dal 2003) attraverso l'interpretazione della legge regionale relativa al preteso utilizzo dei sottotetti e conseguenti modelli progettuali. Erano assurde le motivazioni dichiarate dai fautori. Dicevano di voler favorire l'edificazione nelle zone già fortemente urbanizzate invece dell'espansione nelle aree libere (e intanto mai come oggi è in ballo una gran quantità d’interventi edilizi giganteschi in spazi aperti). Dicevano – e questa è davvero grossa – di voler permettere l'ampliamento dell'abitazione di famiglie residenti in spazi troppo angusti, soprattutto se presenti persone disabili. Gli interventi, dapprincipio non completamente staccati dal (falso) scopo originario di rendere abitabili spazi esistenti inabitabili per regola igienico-edilizia, sono diventati sempre più numerosi e pesanti: quasi tutti riguardanti bei palazzi dell'Ottocento-Novecento nel cuore ambito della città e rivolti non a modificare il tetto con mezzi contenuti per ottenere (ma non è un diritto!) determinate altezze medie interne, bensì decisi a rubare al già vessato cielo milanese fior di metri cubi d'aria per mutarli in potenti volumi edilizi, alias in superfici da 10 mila euro al metro quadro. I risultati funzionali ed estetici di un'attività che è il vero affare d'oro per l'immobiliarismo in attesa delle rendite dai nuovi grandi insediamenti voluti dal Comune fanno schifo. Non è più questione di sottotetti belli o brutti. Qui è sconvolta la logica della cortina stradale, con le altezze proporzionate alla larghezza e le gronde allineate, è negata la funzione urbanistica, è distrutta la bellezza architettonica, sono violati i diritti e la sicurezza dei dirimpettai e dei confinanti. Macché sottotetti: i palazzi presentano obbrobriosi rialzi verticali sopra il cornicione per ottenere, di fatto, fregandosene dell'architettura sottostante, almeno un nuovo piano; semmai il falso sottotetto è il nuovo attico al di sopra, prezioso e non costoso raddoppio volumetrico. Come pagar uno e prender due. Macché sottotetti. Indipendente da riferimenti alle norme, il progetto attuale, senza bisogno della nuova deregolamentazione di Berlusconi, consiste nel sopralzo della città. Come nel primo dopoguerra. Allora il decano degli architetti razionalisti milanesi, Enrico Griffini, denunciò il dominio «della speculazione con abusi di ogni genere a dispetto delle Soprintendenze, delle leggi, dei decreti… Una licenziosa e babelica febbre costruttiva conduce questa città a imbruttirsi oltre ogni previsione perdendo tutta la sua organicità e l'unitaria bellezza» (1948). Oggi il fatto è compiuto.

Proprio così, l’urbanistica milanese sperimenta e anticipa il peggio. Gli anticorpi ci sono, ma sono deboli. Come fare per rafforzarli? Questo secondo me è il tema per chi pensa e sa: come distribuire il sapere, come far comprendere le conseguenze delle scelte sbagliate, come contro informare e, in fondo in fondo, come diventare moltitudine. Io vedo come soli strumenti la fatica, la pazienza, la speranza

Mi chiamo Mauro Bernardi ed abito a Cento in provincia di Ferrara. Il vostro indirizzo me lo ha fornito una collega che è architetto, e che mi ha consigliato di segnalarvi la grave situazione che dobbiamo affrontare a Cento … forse potrebbe aiutarci ad evitare che la città venga stravolta da un ciclone speculativo-distruttivo che non ha precedenti nella sua storia (se pure le precedenti Amministrazioni non è che siano andate leggere..)

Nella città del Guercino l’attuale Amministrazione comunale (AN + altri di centrodestra. con F.I. all’opposizione assieme a P.D. e Com. Ital.!) sta portando avanti un “progetto di riqualificazione urbana” che stravolgerebbe completamente l’attuale area Verde/sportiva situata nei pressi di via S. Liberata. I cittadini stanno insorgendo: è nato un Movimento indipendente, NOI CENTO, che raccoglie persone di ogni orientamento politico decise a contrastare lo scempio, anche i partiti del centro-sinistra si sono mossi ed hanno costituito un Coordinamento che contrasta alcuni aspetti del progetto in elaborazione (ma, con una procedura molto discutibile, ad ACER Ferrara la Giunta comunale ha già conferito l’incarico per la predisposizione di un progetto preliminare!... ).

Vorremmo mettere in cantiere un'iniziativa per far conoscere alla gente altre esperienze di “riqualificazione” vere, spiegare alla cittadinanza che quanto vogliono realizzare snaturerà la città, un importantissimo comparto del centro verrà stravolto....ma vi spiegherò tutto se ci sarà la possibilità di un vostro intervento di sostegno, altrimenti non vale la pena di farLe perdere altro tempo.

Abbiamo mandato un po’ di materiale al gruppo dei Celestini di Bologna che ci hanno detto che ci faranno sapere …. Siccome sui giornali ed in città non si parla d’altro e la Giunta ha fretta di compiere quei passi dai quali poi sarebbe molto difficile recedere abbiamo pensato di disturbare anche voi.

Vi ringraziamo anticipatamente qualsiasi sia la risposta alla nostra domanda, le cose che abbiamo trovato sul sito sono interessantissime e sicuramente ci saranno molto utili.

Un’azione di svelamento e contrasto alle scelte urbanistiche sbagliate esige due cose.

La prima è l’esistenza di gruppi di abitanti, dotati di spirito critico e di un certo bagaglio di conoscenze da cittadini (non necessariamente “esperti”), disposti a impegnare parte del loro tempo per conoscere ciò che accade, studiare, verificare, comprendere, convincere altri (meno siamo meno contiamo). Su questo punto mi sembra che siate sulla buona strada, c’è da insistere con tenacia.

La seconda cosa necessaria è l’esistenza di esperti disposti anche loro a rinunciare a un po’ del loro tempo per mettere il loro sapere a disposizione dei cittadini che si battono per i propri diritti. Purtroppo su questo c’è una carenza grave. Mi sembra che gli urbnanaisti disposti a impegnarsi su questo terreno siano molto meno della domanda cher nasce dalla società. Avete fatto bene a rivolgervi ai Celesti, che erano (o sono ancora?) un gruppo ben organizzato, molto disponibile e molto capace. Vediamo che cosa vi rispondono, ma la loro collaborazione sarebbe un’ottima scelta. Per loro e per voi.

Siamo due cittadine di un piccolo territorio, Migliarino Pisano che sta subendo un attacco dal colosso svedese ikea, siamo alla presentazione del 3° progetto e questo sembra che ce la farà. Ma iniziamo dall’inizio…

Negli anni ‘60-‘70 il nostro territorio divenne oggetto di una delle più grandi speculazioni edilizie che l’Italia di quell’epoca avesse mai conosciuto, tesa a trasformare tutta la fascia costiera che si estende da Viareggio fino alla foce del fiume Serchio in un enorme porto turistico, distruggendo per sempre quell’ oasi naturale che lo stesso Presidente Martini successivamente definì una “perla ambientale” della Toscana.

Fu solo grazie alla massiccia mobilitazione della maggioranza dei cittadini vecchianesi, insieme all’aiuto di tante personalità appartenenti al mondo scientifico e culturale e all’impegno della appena nata Regione Toscana, che si riuscì a bloccare questo insidioso progetto denominato “Villaggio porto Cristina”. Dopo tante battaglie nel 1979, con una amministrazione di sinistra che elaborò un nuovo Piano Regolatore, (il precedente fu bocciato dal Ministero dei Lavori Pubblici) fu promossa e concretizzata la costituzione del Parco Naturale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli.

Da quel momento in poi le amministrazioni comunali che si sono succedute al governo del nostro comune hanno sempre operato per la salvaguardia e la valorizzazione del territorio attraverso politiche di sviluppo compatibile correlate alla presenza del parco, risorsa di inestimabile valore. L’elevata sensibilità dei cittadini e degli amministratori ha fatto si che dalla costituzione del Parco ad oggi le situazioni di degrado territoriale venissero prontamente bloccate. Anche se le cose sarebbero potute andare meglio. Tutta la partita sottesa alla gestione di un territorio a vocazione turistica poteva essere sviluppato in un modo diverso e ora avremmo avuto i nostri posti di lavoro. Invece negli ultimi tempi ci sono state e ci saranno operazioni poco condivise, e poco in sintonia con le linee di sviluppo adottate da trent’anni a questa parte.

Ma oggi abbiamo questo progetto presentato in più riprese dal C.T.C. (Consorzio Toscano Costruzioni) insieme alla multinazionale IKEA con il quale si ipotizza la realizzazione di un Parco Commerciale nel Comune di Vecchiano in un’area dichiarata agricola dal Piano Strutturale del Comune, adiacente allo svincolo dell’autostrada (A11-A12), a ridosso della frazione di Migliarino e della Statale Aurelia e che confina con il Parco Regionale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli.

In breve proviamo ad evidenziare solo alcune fra le più importanti conseguenze che l’insediamento di una tale struttura indurrebbe nella nostra zona:

- un bacino di utenza di circa due milioni e mezzo di visitatori all’anno, concentrati durante i giorni festivi, oltre al conseguente incremento dei mezzi di “servizio” ad un’attività commerciale di questo genere, provocherebbero un impatto non indifferente sul precario equilibrio del sistema infrastrutturale dell’area già così compromesso ed insufficiente a sostenere un ulteriore aumento del traffico;

- un reale innalzamento dei livelli di inquinamento dell’aria ed acustico a danno della salute di tutti i cittadini in primis della frazione di Migliarino senza considerare l’impatto ambientale di tale struttura;

- una compromissione del tessuto socio-economico della piccola-media impresa artigianale e commerciale dell’area non compensato quantitativamente e qualitativamente dai risvolti occupazionali sbandierati in modo strumentale ma di fatto prevalentemente a tempo determinato e precari;

- una sicura riduzione attrattiva del territorio dal punto di vista ambientale e turistico. Molti sono coloro che apprezzano e vivono il nostro litorale per la bellezza e l’unicità del parco naturale all’interno del quale è incastonata una spiaggia fra le più belle della Toscana;

- una riduzione sensibile del livello di tranquillità e di qualità della vita, caratteristiche che nel tempo hanno saputo attrarre nuovi abitanti e visitatori.

Adesso noi siamo in grande difficoltà per vari motivi: questo progetto è stato ed è tutt’ora una vera patata bollente, lo scheletro nell’armadio degli amministratori e dei politici, tant’è che non se ne parla, lo si ignora sperando che la questione si risolva grazie all’intervento di qualcun altro “sporcandosi” il meno possibile le mani e senza perdere troppi consensi politici.

E’ talmente vera questa cosa che adesso si parla a breve termine di un referendum, ora che la gente è stata lasciata sola a crearsi pensieri e idee molto veloci e di superficie, vittima del facile populismo e della demagogia di che ha voluto strumentalmente caricare la parte dei posti di lavoro a scapito di altre implicazioni non meno rilevanti.

Eh si, quella partita è veramente tosta; una marea di posti di lavoro sbandierati come salvezza di un territorio, di un numero di giovani che pare non aspettino altro che essere assunti da ikea. Noi, invece, siamo diventati quelli che sputano sopra il lavoro per i giovani, la sinistra che dice sempre no a tutto, i sognatori del tempo perduto, i filosofi del si stava meglio quando si stava peggio, i falsi moralisti che ideologicamente dicono no alla grande distribuzione ma poi vestono griffato….

Non so quanto siamo state chiare, ma siamo due persone che hanno scelto di svegliarsi, di impegnarsi attivamente per il loro territorio. La nostra difesa non è dettata dalla volontà di precludere al nostro territorio un futuro, un futuro che non sia miope e che non scambi il dito con la luna

Il nostro impegnarci in prima persona non è nell’ottica di un “NO a tutto” bensì nell’individuare strade di “sviluppo” diverse, compatibili con la nostra storia e con le potenzialità ancora inespresse del nostro territorio. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto che potete darci: informazioni di Comuni con buone pratiche che hanno risolto difficoltà simili alle nostre, suggerimenti su che strada seguire, su quali strategie, o meglio ancora avere un vostro supporto anche in termini di partecipazione ad iniziative volte a sensibilizzare culturalmente i cittadini dimostrando che è possibile declinare diversamente le voci lavoro, sviluppo e crescita.

Insomma abbiamo provato a fare il quadro della situazione, è un vero SOS a cui speriamo risponderete. Per saperne di più, per avere il polso della situazione http://www.lavocedelserchio.it/

Sicure che tutti quelli che sono contrari a questo progetto approveranno questo nostro appello, vi porgiamo i nostri e i loro saluti e restiamo in attesa di una vostra risposta

Dalle informazioni che abbiamo assunto non risulta che le previsioni di cui si parla siano compatibili con il piano strutturale vigente. La costruzione di un nuovo centro commerciale in un'area agricola, come tale disciplinata dal piano strutturale, richiede - necessariamente - una serie di varianti ai piani urbanistici. Ci sono quindi gli spazi per chiedere di essere ascoltati prima dell'adozione del piano e richiedere una risposta, scritta ed esplicita, sulle critiche formulate, e per presentare osservazioni alla variante di piano dopo l'adozione. Bisognerebbe anche controllare se per caso nel PIT (il piano regionale) e nel PTCP (il piano provinciale) non vi siano norme, eluse o interpretate in senso estensivo, per consentire la variante urbanistica (in questo caso si può sollevare il problema per via amministrativa). E' un lavoro faticoso, dei cittadini da soli non riescono a compierlo se non si aggregano e cercano sostegno da parte di qualche tecnico bene orientato¨ce ne sono anche nelle amministrazioni pubbliche. In Toscana c’è la Rete dei comitati per la difesa del territorio, credo che sia un punto di riferimento da non trascurare; qui è il loro sito:http://www.territorialmente.it/. Ma qualunque azione di contrasto non è detto che vada a buon fine. Salvo errori o abusi, l'ultima parola spetta - come è giusto che sia - al consiglio comunale. E se la maggioranza è pro-Ikea l'unica cosa è adoperarsi per una maggioranza differente. Anche qui, non da soli: se agisce da solo ciascuno di noi è perdente.

Caro direttore,

Renato Nicolini opera una ricostruzione per lo più convincente della Roma notturna, dai "suoi" anni Settanta ad oggi, ed ha ragione nel proporre come nuovi luoghi di aggregazione giovanile l'Auditorium (attorno al quale però c'è una sorta di deserto, non un ristorante, non una buona pizzeria aperta dopo le 23), l'Ostiense e altro ancora. Mi convince meno quando parla di centro storico dove gli spazi sono ristretti e dove il rimbombo della gente che sta in strada fino all'alba diventa insopportabile (conosco persone che hanno lasciato per disperazione la casa in Santa Maria dell'Anima emigrando in Prati). Ma soprattutto aggiungerei, quale causa scatenante, alla abolizione dei piani commerciali all'epoca della giunta Rutelli una vigilanza urbana diventata la più latitante del mondo sviluppato e gli effetti perversi del decreto poi legge Bersani. Che ha liberalizzato le licenze senza salvaguardare con una norma tecnica - sottoponendo le nuove licenze ad una qualche autorità - i centri storici ora invasi, specie nelle città universitarie e del turismo, da ogni sorta di locale. Statistiche recenti ci dicono che da una parte Roma ha perso più di ogni altra città il turismo "alto", quello dei grandi alberghi, dall'altra ha visto aprire 242 nuove pizze a taglio. Perché? Perché nelle pieghe della Bersani c'è una norma la quale consente ai forni, notoriamente aperti di notte, di vendere direttamente i loro prodotti, essenzialmente pizze di vario tipo. Così abbiamo visto, per esempio a Trastevere, sparire un forno tradizionale che, di fatto, è diventato pizzeria notturna. Abbiamo cos liberalizzato la devastazione commerciale notturna dei centri storici incrementando la forma peggiore di "divertimentificio". Quella che spinge i pochi residenti rimasti a trasferirsi anch'essi altrove, decretando la fine di ogni tessuto e quindi controllo sociale. Del resto il presidente dei commercianti romani Pambianchi non ha chiesto a gran voce di allentare vincoli, prescrizioni, regole (già regolarmente calpestate) per "rianimare" i consumi nel gorgo di questa crisi che peraltro Confcommercio e Berlusconi - solo loro - negano?

Ti pongo allora un altro problema: con la recessione in atto vi sono molti locali del centro chiusi o prossimi a chiudere, facile preda, temo, dei soli che oggi hanno soldi da spendere e che sono mafiosi, camorristi, malavitosi vari, italiani e cinesi. Temo che tutto ciò, se non si corre presto ai ripari (e non ci correrà certo la giunta Alemanno votata dai bottegai), gran parte della città antica sarà conquistata da affaristi e riciclatori di denaro sporco. Già adesso assistiamo allo stravolgimento di talune strade in poche battute: via del Banco di Santo Spirito, che va verso Ponte Sant'Angelo, è stata "cinesizzata" in pochi giorni cacciando un buon antiquario e altri negozi decenti (ripagati da una buonuscita elevata) sostituiti da questi orrendi rivenduglioli di "souvenir" a prezzi infimi fra i quali campeggia un paio di boxer maschili con tricolore e pene marmoreo bene in vista. Vicino ad immagini sacre, giubilari, naturalmente. L'Italie telle quell'est, scriveva un secolo fa l'anarchico Francesco Saverio Merlino esule in Francia. Rome telle quell'est. Di notte e di giorno.

Con cordiali e amari saluti

Caro Emiliani, la tua analisi è esatta. Mi sembra che non sia distante dall’ispirazione del bell’articolo di Nicolini: anche lui esprime il timore si possa “aprire la strada alla trasformazione del centro in uno shopping mall a cielo aperto, con bar e ristoranti”.

É una strada, per la verità, che è già aperta e percorsa nelle città più belle e nei cenbtri storici più prezioni. Man mano che la grande pompa aspirante dei “non luoghi” svuota i centri urbani (e non solo quelli antichi) dalle attività tradizionali del piccolo commercio, legato alle esigenze quotidiane degli abitanti, i luoghi più pregiati vengono invasi da paccottiglia (la chiamano junk) e da attività assolutamente prive da ogni connessione col luogo, A volte, come a Roma, inquinate dalla malavita organizzata. Parafrasando Soru si potrebbe dire, pensando a quegli scimmiottamenti di città che sono gli outlet, che hanno costruito città-scimmie e hanno trasformato in scimmie le città esistenti. É evidente che questo è avvenuto anche perché, a partire dagli anni 80 e 90 del secolo scorso, si è gridato “via lacci e lacciuoli”, “mercato è bello” e si sono abbandonate le regole. Lo sai che a Venezia il primo atto che fece la giunta Cacciarinel 1993 fu di abrogare una delibera, approvata dalla precedente giunta Casellati, che applicava a Venezia il dispositivo di una legge nazionale (dovuta a Oscar Mammì), che avrebbe consentito il controllo delle licenze commerciali per garantire il carattere tradizionale di certe botteghe, e che avrebbe impedito la realizzazione dei McDonald e simili)

C’è anche da dire da tempo la pigrizia era subentrata, e si era affidato alle regole molto più di quanto le regole possano dare. Ricordo, ad esempio, che quando cominciò l’avanzata della grande distribuzione molti di noi, inascoltati profeti, insistettero su fatto che il piccolo commercio doveva spinto ad attrezzarsi per resistere, e associarsi per offrire al cittadino vantaggi dello stesso peso di quelli offerti dai supermercato, sia pure di diverso carattere. Forse la spinta delle potenze economiche era troppo forte, il piccolo commercio troppo arretrato, la politica già poco attenta, e quella resistenza non ebbe successo. Comunque il problema resta quello, come sostengo nell’ultimo eddytoriale. L’attuale predominio, fuori e dentro le città, di questo commercio (“non luoghi” da una parte, mercificazione e imbarbarimento e invivibilità dei centri urbani dall’altra) è il frutto di forze che nessuno sembra voler contrastare. Che andrebbero invece contrastare a partire dall’ideologia che esprimono, e che è diventata, ahimè, opinione corrente. Siamo diventati un popolo di clienti, e forse, come abbiamo la politica che meritiamo, abbiamo anche il commercio che meritiamo.

Cari amici di Eddyburg, ho letto con interesse l'articolo del 23 gennaio di Nicolini, riportato su Eddyburg (Ripensare il Centro per una nuova movida). Vorrei fare un breve commento. Sono, in generale, d'accordo con il fatto che vada controllato "l'uso" che si fa di alcune zone della città, come suggerisce Nicolini. Il punto è che lo strumento che egli propone, un qualche cosa di simile a un piano per il commercio con il "controllo delle destinazioni d’uso sostenibili", pone più problemi di quanti non ne possa risolvere. Bisognerebbe, in pratica, stabilire in maniera artificiale dei limiti a certi usi commerciali. Certamente il problema è che certe zone del centro sono diventate grandi mense per turisti di bassa qualità e alti costi. Ma siamo proprio sicuri che la causa sia quella che traspare dal ragionamento di Nicolini, e cioè che il cattivo uso del centro storico sia semplicemente da ricondurre al funzionamento del mercato?

Non ne sarei così sicuro. A parte che nessuno sa quale sia la quantità giusta di esercizi commerciali da dedicare a un uso piuttosto che a un altro, a me sembra che il problema, negli ultimi anni, sia stato non la "deregolamentazione" del commercio, ma il fatto che si è "deciso" di non applicare tutto il resto delle norme esistenti. Oppure, le stesse, sono state applicate in maniera bizzarra. Mi spiego: con quali criteri sono stati rilasciati i permessi di occupazione del suolo da parte dei ristoranti in centro, spesso in aree che non consentono la disposizione di tavolini se non a detrimento del diritto di tutti a utilizzare strade, piazze, marciapiedi? Il dilagare dei Bed & Breakfast riduce l'offerta di case per l'affitto anche perchè tutte le ovvie regole dei B&B vengono violate. La massa crescente di turisti venuti a Roma negli ultimi anni hanno soddisfatto il loro bisogno di mobilità attraverso i pullman privati e non con una più adeguata e ordinata offerta di trasporto pubblico (la proposta di ArcheoTram di Tocci-Cederna è stata lasciata nel dimenticatoio). Sono stati aperti nuovi alberghi in zone dove non c'è spazio adeguato per il transito dei pullman, ma si è chiuso un occhio rispetto al fatto che questi continuassero a invadere il centro e le zone limitrofe per servire gli alberghi. E che dire del piano parcheggio Pullman non rinnovato dopo il giubileo? Potrei continuare a lungo. Insomma, il problema non è tanto fare nuove regole. Il punto è che non abbiamo un'amministrazione in grado di applicarle ne la volontà politica di fare in modo che l'amministrazione si attrezzi per fare adeguatamente il proprio dovere.

Quindi, non me la prenderei, anche se velatamente, con il mercato. Il grande economista dello sviluppo Paul Streeten diceva che un mercato forte ha bisogno di uno stato forte. Lasciamo che agisca la libera iniziativa degli imprenditori, la quale include anche tutte quelle attività culturali che rendono belle e ricca la vita notturna di una città e che rimarrebbero probabilmente fuori da un piano del commercio pensato da Alemanno o Cutrufo. Ma facciamo rispettare a tutti i limiti a certe attività. In caso, introduciamone di nuovi che siano chiari, facili da rispettare. Oppure, si faccia pure a un piano come suggerito da Nicolini. Ma i problemi che ho segnalato sono del tutto indipendenti e, probabilmente, contano molto di più per una efficace gestione della città.

Non mi sembra che Nicolini proponga oggi il piano del commercio della legge: sostiene una cosa secondo me sacrosanta: che occorre tornare al controllo delle utilizzazioni del suolo e delle sue parti. Se gli urbanisti non ritengono di essere in grado di farlo meglio del Mercato, è meglio che cambino mestiere. Se poi s’illudono che il Mercato sia in grado di servire l’interesse comune, è meglio che comincino a studiare come stanno le cose nella realtà.

Certo che le regole non sono sufficienti (penso che nessuno l’abbia mai sostenuto), ma è altrettanto certo che senza regole stabilite secondo i criteri della pianificazione pubblica le fanno, opacamente e interessatamente, i poteri che governano l’economia. Poteri davanti ai quali il cittadino si trova notoriamente e totalmente indifeso, mentre le regole pubblich, essendo trasparenti, sono sempre discutibili. Comunque le mie idee le ho espresse più ampiamente nell’ultimo eddytoriale, e in numerosi altro articoli raccolti in eddyburg.

Caro Eddyburg, Marco Casamonti, già indagato a Firenze per corruzione nella vicenda Castello/Fondiaria/Sai, è stato arrestato per turbativa d'asta a Terranuova Bracciolini (AR). Ben s-pregiudicati questi astri nascenti dell'architettura italiana, commenterebbe forse d'Avec ! Ma, come osservava Marc Bloch nel suo "Esame di coscienza di un francese" scritto nel 1940 alla vigilia della sua entrata nella resistenza antinazista in cui avrebbe trovato la morte, "in una nazione nessun corpo professionale è mai totalmente responsabile dei propri atti. La solidarietà collettiva è troppo forte perché un'autonomia di tal genere sia possibile". I fatti di Firenze sull'area Castello, quelli di Pescara sul riuso dell'ex sedime ferroviario, le indagini in corso a Perugia, a Genova, a Milano chiamano in causa non solo la moralità della classe politico-amministrativa e dei suoi tecnici, ma di un'urbanistica delle trattative senza progetto generale di città che ci ha riportato indietro di quarant'anni, a prima della legge ponte del 1967, alle "convenzioni" senza Piano regolatore, alle inchieste dell' Espresso su "Capitale corrotta, nazione infetta".

Eppure nel Parlamento del bi-partitismo, teoricamente alternativo eccetto che per le regole istituzionali, in materia urbanistica i parlamentari milanesi Lupi (FI) e Mantini (PD)continuano a presentare disegni di legge che mostrano un'invincibile attrazione fatale nel legittimare e perpetuare quel regime di trattative senza regole. Sarà o no il sintomo di quella "solidarietà collettiva" da cui scaturiscono poi gli scandali urbanistici su cui indaga la magistratura e si pone la questione morale ? E perché nessuna forza politica, fuori e dentro il Parlamento, pone con forza e coerenza la necessità di porre fine al quasi ventennio di deregolazione diffusasi coi Piani integrati e gli Accordi di programma, per tornare ad una pianificazione generale collettiva e condivisa ? Non servono, altrimenti, le lacrime di caimano sui grattacieli storti o le tardive indignazioni sulla decadenza morale dei pubblici amministratori.

Come non condividere il tuo amaro giudizio? Dobbiamo continuare a insistere, e a sperare che diventino sempre più evidenti agli uomini di buona fede le ragioni per le quali continuino a manifestarsi dissesti, degradi, sprechi e dissipazioni di risorse essenziali, abbandono dell’interesse generale, rinuncia a ogni futuro per noi e i nostri posteri. Queste ragioni si chiamano anche abbandono della regolazione del territorio nell’interesse della maggioranza dei cittadini, e introduzione di quegli strumenti deregolativi cui fai riferimento. Ad alcuni faccio cenno nell’eddytoriale che sto per mettere in rete.

Stimatissimo prof. Salzano, generalmente non trovo molto interessanti - nè probanti - i testi delle conversazioni telefoniche usate dagli inquirenti e dai giornali per dimostrare qualche tesi, ma il caso delle recenti vicende fiorentine mi ha veramente rattristato, confermando quanto poco rispetto del "bene comune" (come fosse una polenta da spartirsi) coloro che sono stati chiamati a rappresentarlo. E l'articolo del prof. Baldeschi è rivelatore, per quanto molto corretto e misurato. Le invio la copia di un articolo del Corriere redazione di Firenze, non per spingerla a pubblicarlo sul suo sito, decisione che spetta a lei, ma soprattutto per "condividere" con lei questa amarezza.

Una nota da parte mia: il suo sito non è dedicato all'architettura, trattando di temi superiori. Ma io temo che una gestione non etica dell'urbanistica porti indirettamente anche alle tante brutture architettoniche, per non dire di peggio, che oggi "decorano" la nostra periferia... che si tratti di una vera e propria impostazione mentale (non riesco a dire "culturale")? Le invio anche una mia foto della casa dello studente Erasmus in via Maragliano a Firenze.... un dettaglio, che credo significativo.

Credo che siamo in molti a condividere la sua amarezza. E sono convinto che sarebbe bello che si fosse trattato di un caso di “normale” corruzione, e non invece dell’espressione di un diffuso costume di ignoranza dell’esistenza di un bene comune: di un patrimonio che chi amministra dovrebbe rendere accresciuto, e non diminuito. Dobbiamo sforzarci di comprendere perché tutto ciò è pootuto accadere, perché si è propagato questo degrado delle coscienze. Non mi stanco di ripetere che abbiamo gli amministratori che ci meritiamo, nel senso che sono lo specchio, e l’espressione, del “senso comune”. In che modo questo senso comune si è formato? Come modificarlo, come restaurare un buon senso che comprenda come non è l’individualismo, l’”arrangiati come puoi”, la strada che può aiutarci a risolvere i nostri problemi? Sono convinto che far rinascere il senso critico nei giovani (e in tutti) sia un passaggio necessario, e che indurre le persone a ragionare su ciò che accade, su chi ne guadagna e chi paga, aiutare a guardare dentro gli eventi, dentro le scelte di chi governa (o comanda9 sia limpegno che deve essere svolto da chiunque ha un po’ più di sapere, o di lucidità, degli altri. Aiutamoci a farlo, come lei ci aiuta.

Non pubblico l’articolo del Corriere, perché riporta parole sciagurate che eddyburg ha già ripreso da altri giornali. Inserisco invece qui sotto la sua fotografia.

Caro Eddyburg, ho letto sul manifesto la breve notizia che ti riporto di seguito. Penso sia interessante perché applica a livello statale un procedimento che da noi potrebbe essere proposto a qualche regione (ammesso e non concesso che qualcuno voglia fare ancora delle case popolari). Forse sarebbe il caso di approfondire il tema su eddyburg, che è sempre più indispensabile. Grazie per il lavoro che fai! Ciao

Ecco l’articolo, da il manifesto del 29 ottobre

Crisi immobiliare

IL GOVERNO SPAGNOLO COMPRA TERRENI

Per dare ossigeno alle imprese messe in ginocchio dalla crisi delle costruzioni, il governo spagnolo acquisterà suoli edificabili dalle agenzie immobiliari, sui quali realizzerà ventimila alloggi di edilizia sociale.

L'offerta pubblica di acquisto dei suoli è la principale misura contenuta nel Piano statale di alloggi e riattazioni 2009-2012, presentato lunedì dal Ministro per la Casa, Beatriz Corredor, alle Comunità autonome, ai sindacati e ai patronati. E ha il doppio obiettivo di riattivare, da un lato, un settore in crisi e, dall'altro, di realizzare l'intervento di edilizia popolare annunciato dall'esecutivo per la legislatura.

L'offerta di acquisto ha una previsione di bilancio di 300 milioni di euro, ai quali SEPES, la società pubblica di gestione del suolo, aggiungerà altri 130 milioni per le urbanizzazioni. Le immobiliari che vogliono vendere suoli, che non riescono a collocare sul mercato a causa della crisi del settore, hanno tempo fino al prossimo 29 dicembre per presentare le proprie offerte che, dal primo gennaio al 30 aprile 2009 saranno vagliate dalla SEPES.

Ti ringrazio molto, la nota mi era sfuggita. Giro la proposta ad amici di eddyburg che sono più competenti di me in materia, e pubblicherò le loro risposte. La pratica che mi sembra interessante, e che si avvicina a quella del piano spagnolo, è quella di chiedere a tutte le lottizzazioni convenzionate una cessione di un tot di aree da cedere al comune per realizzarvi edilizia residenziale pubblica. Ma dove non c’è consistente espansione c’è comunque necessità di abitazoni locate a caanone commisurato a redditi molto bassi o incerti? Possibile che l’Italia sia l’unico paese nel quale non si può espropriare a prezzi ragionevoli (che non compensino cioè i c.d. “diritti edificatori”), o comprare aree a prezzo di terreno agricolo? La cosa continua a restare misteriosa, almeno per me.

Questo pomeriggio (10 settembre . n.d.r.) alle 18.00 circa il Consiglio comunale di Torino guidato dal sindaco del PD Sergio Chiamparino ha votato (con il voto contrario di alcuni consiglieri del PCd’I, di Rifondazione Comunista, di Sinistra democratica e della Lega) la ennesima variante del PRG (la 164!) con la quale si autorizza un innalzamento oltre i 150 metri del grattacielo del San Paolo e degli altri che potranno sorgere sulla spina 2, a due passi dagli ottocenteschi quartieri della città. Durante il voto un gruppo di cittadini tra cui noi del “non grattiamo il cielo” hanno manifestato per dire che la città non ha bisogno di grattacieli, ma di servizi sociali e di impegno verso i lavoratori. Le proteste e le iniziative di questi mesi cui anche tu hai contribuito (ti ricordi la presentazione del tuo volume alla facoltà di architettura?) non sono evidentemente bastate a smuovere una maggioranza che si fonda sulla vendita del territorio pubblico alle grandi imprese e gruppi bancari. Allego una mia riflessione su questi temi che ha trovato sul “giornale dell’architettura” del maggio scorso uno spazio parziale. La nostra lotta comunque non si ferma…

La riflessione che sviluppi nel tuo scritto (scaricabile qui sotto) mi sembra del tutto condivisibile. E confesso che è umiliante essere costretti a dire si o no sulla base delle contrapposizioni maniche: il ragionamento, e le conseguenti scelte, dovrebbero seguire proprio il percorso che tu proponi. Il fatto è che se Torino non ha bisogno di grattacieli, ne hanno bisogno il potere finanziario, di cui il Municipio è sempre più succube. Il modo in cui la politica è divenuta serva (sciocca, vorrei aggiungere) dell’economia, e di un’economia a sua volta schiacciata sulla rendita, è cosa che indigna chiunque abbia un’idea di che cosa “città” significhi. Mi pace la frase con cui concludi la tua lettera: la lotta non deve fermarsi.

Caro Eddyburg, mi chiamo Andrea Nurcis sono un artista originario di Cagliari ma vivo tra Roma e Bologna. Un amico archeologo, Marcello Madau, mi ha segnalato il suo sito che trovo sia davvero entusiasmante. Attualmente mi sto occupando del problema di Tuvixeddu che mi sta molto a cuore perchè sono cresciuto su quel colle. A Tuvixeddu, come saprà, esiste una delle più grandi e importanti necropoli fenicio-puniche del mondo semita del mediterraneo occidentale. Sin dall'infanzia trascorrendo la mia vita a Tuvixeddu, ho potuto sviluppare la mia visionarietà che mi ha portato negli anni, a scegliere l'arte come motivo principale della mia esistenza. Io penso che a Tuvixeddu qualsiasi progetto edilizio, sia esso di natura privata, come il complesso residenziale di 400 appartamenti della Coimpresa in accordo col comune di Cagliari, sia di natura pubblica, come il progetto di parco archeologico proposto dall'architetto Gilles Clément sostenuto dalla Regione Sardegna, siano assolutamente inadeguati, per quelle che sono le peculiarità storico ambientali del colle Tuvixeddu-Tuvumannu.

Il contesto del colle va assolutamente vincolato nella totalità della sua area e riportato ad una condizione ottimale per quanto riguarda le sue caratteristiche ambientali, geomorfiche e floristiche. Va inoltre “restaurato” l'ambito archeologico riportandolo il più vicino a quello che è il suo senso originario, cioè un luogo sacro in cui oltre 3000 anni fa furono sepolti gli antenati dei cagliaritani. Andrebbero abbattute tutte le strutture che interferiscono e che si sovrappongono col sito archeologico. Andrebbero poi applicate delle forme di protezione e fruibilità al pubblico che non snaturino il senso del luogo, cioè che non lo “mummifichino” in un museo per turisti, perchè Tuvixeddu dovrebbe essere un cantiere archeologico in piena attività, visto che anche negli ultimi anni, durante degli scavi non certo di carattere scientifico quanto “edilizio”, sono stati fatti dei rinvenimenti di grande valore. Personalmente “restaurerei” utopicamente e provocatoriamente anche l'ambito “antropologico” di Tuvixeddu, riportandoci le greggi delle pecore che durante la mia infanzia e adolescenza vi transumavano, pascolando tra le millenarie tombe e anche le prostitute che la notte frequentavano il colle per la sua caratteristica di luogo isolato, lontano dall'urbanizzazione e dal traffico cittadino. Credo che Il colle di Tuvixeddu debba rimanere un luogo isolato, una campagna” in mezzo alla città. Darei delle aree alla gente, persone anziane in pensione che hanno vissuto in quella zona per tutta la vita, che la conoscono e la amano, legate per generazione o per cultura alla campagna, affinchè ci coltivino i loro orti.

Insomma su Tuvixeddu, eviterei ovviamente ogni forma di speculazione edilizia, ma anche ogni forma di “imborghesimento”, abbellimento. Riporterei il luogo al suo dignitoso stato integro, grezzo-romantico ottimale.

Voglio lasciarle il link di un articolo apparso qualche giorno fa sul Die Zeit, che non ho visto segnalato nel suo sito e che mi sembra molto interessante. Qui c'è la pagina in tedesco; e questo è il link della traduzione italiana:

Condivido pienamente e sue preoccupazioni. Mi sembra stupefacente che la difesa di Tuvixeddu-Tuvumannu debba essere confinata a un conflitto tra poteri pubblici. Ancor più mi scandalizza che la stampa e la televisione nazionale vi diano così poco peso. Sono certamente stati compiuti errori da tutte le parti (sebbene non si possano mettere sullo stesso piano gli errori di procedura e di correttezza amministrativa compiuti nella difesa con l’errore capitale di minacciare l’integrità fisica di quell’inestimabile patrimonio o di esserne complici). È forte il rimpianto per quei governanti che sapevano agire con velocità ed efficacia; il ricordo va a Giacomo Mancini e alla sua difesa dell’Appia Antica. Ed è forte l’indignazione per un’opinione pubblica che non sa reagire, non sa difendere i propri tesori, non sa ribellarsi contro il furto sacrilego: perché di questo si tratta.

Nei limiti delle possibilità di questo sito cercheremo di promuovere un’azione di stimolo nei confronti dei poteri pubblici coinvolti. La minaccia che grava su Tuvixeddu è pari a quella di una calamità nazionale: in casi simili in una nazione che conservi qualche brandello di dignità e di cultura chiunque ha un briciolo di potere scende in campo.

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