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Caro Edoardo, ti scrivo da Roma ladrona anche se sono nato a Venezia (a proposito: dovresti vedere come se la spassano i deputati leghisti qui a Roma ladrona, mangiando come ladroni nel sole tiepido delle ottobrate romane ladrone nella stessa osteria - manco a farlo apposta dei DUE LADRONI - dove mangiavano i socialisti ladroni).

Capisco la tua posizione ma noi perderemo anche alle prossime elezioni. Dobbiamo farcene una ragione. E' una matematica certezza: siamo in minoranza numerica già ora in Parlamento. Di sicuro, continueremo ad esserlo dopo le elezioni perché non avremo nuovi voti. La gente continua a non fidarsi di una formazione (l'Ulivo) che è debole per la sua frammentazione e per la sua instabilità politica. Il Polo ha dato all'elettorato più incerto una garanzia almeno apparente di stabilità e di compattezza che noi non abbiamo mai avuto. Dobbiamo perdere ancora una volta per capirlo ma allora sarà troppo tardi, ci troveremo tutti in Argentina. Allora occorre al più presto riformulare la sinistra e creare un grande partito democratico progressista.

Intanto, le leggi antidemocratiche continuano a passare senza modifiche e senza che si possa fare nulla. Non voglio una sinistra che abbandona l'aula per protesta. Lo trovo immorale, anche perché loro sono in Parlamento per rappresentarci e sono stipendiati da noi. Voglio una sinistra che combatta e che si rimbocchi le maniche. Ancora più immorale è arrivare fino a questo punto e poi rimandare alla volontà popolare proponendo il referendum. Se si abusa di questo strumento significa che il Parlamento (o una parte di esso, precisamente la nostra) non funziona.

Questi sono i motivi per cui sto proponendo ovunque il boicottaggio di questa sinistra. Verranno tempi migliori, ma molto tardi. Se non costringiamo la nostra banda di irresponsabili a cambiare drasticamente strategia, i tempi migliori non verranno mai più e l'unica possibilità di ristabilire una democrazia in Italia sarà una guerra civile. Possibile che non lo capiate? Non c'è tempo da perdere.

P.S.: Se questo Movimento crescerà e desterà qualche preoccupazione nei capi del centrosinistra, come già è accaduto con i girotondini, non accetteremo inviti a salire sui palchi dei DS o della Margherita per fare dibattito. Non ci lasceremo blandire, inghiottire e neutralizzare come è accaduto nel caso di Nanni Moretti. Non abbiamo niente da aggiungere. Sono loro che ci devono delle risposte.

Cerchiamo di capirci. Uno è il problema della sinistra, l’altro è il problema di battere Berlusconi. Sono certamente connessi, perché senza una sinistra che funzioni non si può battere Berlusconi. Ma vale la pena di esaminarli distintamente.



L’Italia è intrisa di berlusconismo . Cioè di un “destrismo” che nasce ai tempi della Tatcher e di Reagan. Gli slogan tipici del conservatorismo euro-americano (privato è bello, via lacci e lacciuoli, meno Stato più mercato) hanno riusuonato anche sulle bocche della sinistra, da Lucio Libertini buonanima a Massimo D’Alema (non aggiungo Rutelli all’elenco, perché mi limito alla sinistra). E così ha trovato sponda anche a sinistra il fastidio per le iniziative della magistratura, non comprendendo, o non volendo comprendere, che un certo “impiccionismo” dei magistrati era di gran lunga un male minore rispetto al sacrosanto lavoro di pulizia che hanno fatto squadernando le porcherie di Tangentopoli (che non è stata solo corruzione, ma corruzione eretta in sistema politico: su questo con Piero Della Seta ho scritto un libro). Forse è in questo “destrismo della sinistra”, in questo berlusconismo diffuso (oltre che nella presunzione della propria superiore intelligenza di manovriere politico), l’origine degli errori che si sono fatti e si continuano a fare agevolando il passo e la vittoria finale a Berlusconi. Questa sinistra va cambiata, sono d’accordo con te. Punto.

Berlusconi è peggio del berlusconismo diffuso. Così come il fascismo era peggio della destra più stracciona. Se così non fosse faremmo meglio a emigrare (o a convertirci). Berlusconi non si può battere se non si mettono insieme: quelli che vogliono una sinistra diversa (come me e te, e qualche altro); quelli che gli va bene, più o meno, una sinistra così com’è; quelli che non sono né di destra né di sinistra (Rutelli compreso); quelli che sono di destra come lo erano Luigi Einaudi (leggiti il bellissimo testo che ho inserito qualche giorno fa), Benedetto Croce, Giovanni Malagodi, Valerio Zanone, fino a Carlo Azeglio Ciampi e alcuni altri; e forse anche quelli che oggi stanno con Berlusconi ma non gli va tanto. Io non credo che siamo molto lontani dal poter raggiungere il risultato di essere più del 50 %. La maggioranza schiacciante che la “Casa della libertà” ha in Parlamento non corrispondeva affatto a una maggioranza altrettanto schiacciante nelle urne, ma era il risultato della stupida ricerca della “governabilità” che produsse la legge elettorale.

Veniamo al dunque. Due obiettivi: battere Berlusconi, cambiare la sinistra. La scadenza per il primo obiettivo è relativamente lontano: le prossime elezioni politiche. Possiamo prima di quella data cambiare la sinistra? Io non credo, sebbene non escluda affatto di dare qualche segnale in questa direzione prima di allora: come molti di noi hanno fattopp quando hanno votato scheda bianca alle amministrative e alle regionali, e quando siamo stati capaci di scendere in piuazza in tanti. Ma l’obiettivo piuù urgente è per me battere Berlusconi. Non lasciamo che la nostra sacrosanta lotta contro il berlusconismo diffuso ci impedisca di battere Berlusconi.

E' arrivato il momento di riformare la Sinistra che così non funziona. Dobbiamo dar vita ad un movimento che porti ad un bipolarismo all'americana. Non l'hanno capito con le buone, lo capiranno con le cattive. Non siamo buonisti come i girotondini. Aderire a questo Movimento è facile e non richiede tempo da spendere in inutili riunioni o soldi per il suo finanziamento: basta boicottare il centrosinistra e invitare a boicottarlo col passaparola. Non cerchiamo alcun dialogo, semplicemente dovranno ascoltarci. Se non vi riconoscete in alcun rappresentante di questa sinistra, allora siete dei nostri. Dateci, anzi diamoci, una mano a diffondere quest'idea e a far crescere il Movimento. Serve un sito web e occorre continuare il passaparola. Possiamo ancora salvare l'Italia. Siamo una sinistra che non c'è più. Anzi, che non c'è ancora. Ma presto si farà sentire. Ecco il testo della lettera che sta arrivando a tutti i capigruppo dell'Ulivo:

Stanno smontando la Costituzione Voi avete permesso che tutto questo accadesse e voi sarete boicottati dalle prossime elezioni. E' iniziato il passaparola: fino a quando tutti i gruppi dell'Ulivo non decideranno di sciogliersi per diventare un unico partito non vi voteremo MAI PIU'. Dovete fondare il Partito Progressista (o Partito Laburista) italiano ORA. Perfino la Spagna che fino all'altro ieri aveva una dittatura fascista oggi ha un parlamento bipolare più moderno del nostro. L'Italia merita un'amministrazione moderna, altro che federalismo. Questo mail non è uno scherzo.

Aspettatevi il peggio.

Bruno Ballardini

Caro Ballardini, condivido il tuo stato d’animo ma mi sembra che la proposta non possa avere successo. Già i Girotondini sono una minoranza: quelli che pensano come te e come me sono ancora meno. E’ vero che D’Alema e Bassanini hanno concretamente preparato l’avvento della devoluscion nel tentativo di tagliare l’erba sotto i piedi a Bossi. E’ vero che D’Alema ha preparato la strada a Berlusconi con la Bicamerale. E’ vero che la vittoria della destra berlusconinana (ahi quanto lontana dalla destra di Einaudi e Malagodi, per non parlare di Quintino Sella e Benedetto Croce) è stata preparata da quella sinistra che ha predicato “meno Stato e più mercato”, “privato è bello”, “via lacci e lacciuoli”. E’ vero che la sfiducia di Bertinotti a Prodi è stato un errore che ha provocato la vittoria di Berlusconi. E’ vero che continuare a predicare che “il regime non c’è” tappa gli occhi agli italiani che non vedono il regime che sta affermandosi dappertutto. E’ vero che tra le idee di Rutelli e quelle degli alleati di Berlusconi spesso non c’è differenza, e magari quelle di Mastella sono ancora peggiori di quelle di Follini. Tutto questo è vero, come è vero che battere Berlusconi non significa battere il berlusconismo. E tuttavia, il primo obiettivo è per me battere Berlusconi. A questo fine servono anche D’Alema, Bassanini, Bertinotti, Rutelli e compagnia cantante. A meno che non vogliamo limitarci ad aspettare, come suggerisce Stefano Faterella, di aspettare una “Rivoluzione dei garofani” con l’appoggio di un colpo di Stato militare

E mentre arriva l'ennesima, quotidiana prova del reato (vogliamo chiamarlo come si devono chiamare queste cose !) consumato in queste ore nel Parlamaento della Repubblica a favore del Grande Maestro, dando ancora una volta una gran bella prova di senso dello Stato, di giustizia, di civiltà, nel mentre milioni di abitatori d'Italia stanno attaccati al cinescopio ammirando culi, tette siliconate, bocche sfatte, uomini finti, ascoltando con avidità scuregge, rutti, parolacce provenienti in diretta dalle isole caraibiche, sognando di partecipare a questa grande sinfonia corporale assieme alla velina di turno, da noi - nel nostro piccolo mondo aziendalizzando che di friulano ha ormai solo il Tocai - in Consiglio regionale, con il centro-sinistra al potere (governo è una parola troppo nobile), si dà prova di grande capacità nel tirare la coperta del condono in salsa friulan-giuliana e nello smantellare la sanità pubblica. E sulla Costituzione si sta consumando il più grande assassinio politico della Repubblica, nel silenzio più assordante ! A confronto il capitano Maletti appare un dilettante. Verrebbe la voglia di lavorare per e di acclamare un colpo di stato militare. Come nel Portogallo dell'aprile del 74. Prima che si scivoli del tutto dentro la melma della assoluta amoralità. Ma è solo un sogno. Un bellissimo, maledetto, necessario sogno liberatorio.

Già, ma solo un sogno. Quando ci svegliamo che cosa facciamo per cacciare Berlusconi?

Caro Eddy, è vero che io non seguo più tanto il gossip urbanistico corrente, ma mi cade l'occhio sull'iniziativa prevista dalll'Inu nell'ambito della V RUN, denominata " Urbanpromo", che ti segnalo apprendendo con costernazione, fin dalle prime righe di enunciazione degli obiettivi, come in questo frattempo io mi sia persa qualcosa come una "rivoluzione copernicana". Per l’INU è assurto al rango di finalità generale l' "accrescere negli Enti che detengono i poteri di pianificazione la consapevolezza dei vincoli di mercato e la propensione a ‘creare valore’ " e non, come io meschina continuavo a credere, il processo sostanzialmente opposto, per cui avrebbero dovuto essere i soggetti detentori di interessi economici particolari a dover prendere consapevolezza dei vincoli imposti dal più generale interesse espresso nella pianificazione, e a dover "accrescere" la propria "propensione" a creare utilità sociale (sia pure, se proprio si vuole, "marginale").

La prima cosa che mi viene in mente è, per analogia con il titolo di un saggio Einaudi che recita "come si diventa nazisti", che l'iniziativa Urbanpromo potrebbe titolarsi "come si diventa speculatori" - ma forse sono stata davvero un po' troppo distratta, e come al solito mi piace esagerare. credo tuttavia che la "nobile" iniziativa meriti menzione sulle pagine di Eddyburg.

La cosa merita indubbiamente attenzione. Per ora dico che sono lieto di aver dato da tempo le dimissioni dall’INU (pur essendone stato per 10 anni il presidente, e avendo fondato e diretto la sua rivista Urbanistica informazioni ), e che nessuno mi abbia chiesto di ritirarle.Ma questa è solo un'osservazione personale; bisognerà riflettere sugli aspetti culturali e politici del degrado di un'antica istituzione.

Su Repubblica di venerdì scorso, nelle pagine di economia, un'interessante intervista di Salvatore Tropea al presidente dell'istituto San Paolo di Torino sottolinea come si stia rafforzando il legame tra Torino e Milano sulla formazione (l'alleanza dei politecnici), sulla sanità (un distretto medicale comune), sulle fiere (un unico polo fieristico con due sedi, Lingotto e Fiera di Milano). Elemento cardine di questa nuova alleanza sarà il sistema delle comunicazioni e, in particolare, la nuova rete ferroviaria ad alta velocità/capacità in via di completamento.

E' un fenomeno in netta controtendenza con quanto è avvenuto negli ultimi anni perché privilegia la concentrazione rispetto alla diffusione e rafforza le grandi città, da molti anni in declino demografico e stasi economica. Naturalmente la possibilità che si venga a formare un asse privilegiato di sviluppo, collocato a nord-ovest, cinquanta anni dopo l'affermazione del triangolo industriale To-Mi-Ge, è tutta da dimostrare. Altrettanto naturalmente, non esiste nessun piano, nessun documento pubblico e nemmeno nessun pensiero complessivo sulle opportunità e sugli svantaggi di questo tipo di evoluzione delle due maggiori città del nord-Italia. Lo stesso presidente dell'Istituto San Paolo denuncia l'assenza di un "grande progetto". Evidentemente, né il Documento di inquadramento delle politiche del Comune di Milano, né il piano strategico del Comune di Torino avevano questo respiro, probabilmente a causa dell'orizzonte troppo angusto del committente: il comune. A me sono tornate alla mente le "linee fondamentali" dell'assetto del territorio nazionale, che lo Stato potrebbe definire in base alle leggi vigenti (in fin dei conti l'alta velocità è un progetto nazionale e tutte le altre questioni hanno rilevanza inter-regionale). Meglio ancora se lo Stato si facesse promotore di un accordo tra le due regioni su una proposta comune e se sostenesse questo accordo con una formula simile ai contratti Stato-regione della Francia.

Chissà se al candidato premier (?) del centrosinistra interessa un ragionamento sulla competitività del territorio. E chissà se ai suoi alleati interessa che lo sviluppo del paese sia promosso nelle sedi democratiche, anziché attraverso singoli progetti e singole alleanze tra soggetti economici, magari formulando un pensiero complessivo sulla distribuzione di vantaggi e svantaggi e sulle conseguenze ambientali...

Chissà!

Sulla lettera appello di Prodi. Ci dice che si deve e ssere uniti, che senza unità non si va da nessuna parte e anzi ci aspetta il declino. Che ogni settore richiede profonde riforme perchè in ogni settore non c'è cosa che vada come deve. Ecco il punto: vorrei sapere, da semplice cittadino, perchè francamente ancora non l'ho capito con l'indispensabile chiarezza, come per ognuno dei temi che Prodi ha trattato, l'Ulivo - o il centro sinistra più semplicemente - intende progettualmente intervenire. Qual'è la ricetta, insomma. Non è questo il punto cruciale? Diciamocelo francamente: perchè dovrei comprare una torta che magari ha anche un bell'aspetto se non so che cavolo il pasticcere ci ha messo dentro? Chi mi assicura che mangiandola non mi venga un mal di pancia (nb: siamo vaccinati potrebbe dire qualcuno). Potrei non comprare quella torta, se non mi convince. Il chè non vuol dire che compri a tutti costi un'altra torta tra quelle esposte in vetrina, nè quella che sta alla destra, nè quella che sta a sinistra. Sapendo comunque che la prima, che è ai marron glaces e alle violette, non mi piace e che l'altra posso mangiarla solo di tanto in tanto, in occasione di qualche festa. E poi dove sta scritto che l'Italia deve essere tra i Grandi? A me basterebbe che stesse tra i Paesi normali e civili, come mi pare alla stragrande maggioranza delle persone normali che hanno la sfiga-fortuna di essere nati e di vivere in Italia. Ricordo una bellissima vignetta di Altan dove il solito italianino stravolto diceva: vorrei tanto che l'Italia fosse un paese normale. Non ti sembra sempre questo in fin dei conti il nocciolo? Si, certo, hai ragione. Ma uscire da questa schifezza per me sarebbe già una ragione sufficiente. Comunque, speriamo che ci dicano per che cosa, oltre che per battere Berlusconi, dobbiamo votare per loro.

Ho appena scoperto che il dicastero dell'Economia e delle finanze, all'epoca ancora guidato da Tremonti, con nota del 7 ottobre 2003 prot. n. 0108321, in risposta ad un quesito dell'Associazione Bancaria Italiana, ha interpretato che l'art. 136, comma 1, lett. c del Testo unico sull'edilizia nell'abrogare l'art. 12 della L. 10/77 Bucalossi avrebbe soppresso l'obbligo di versare gli oneri di urbanizzazione su un conto vincolato alla realizzazione di opere pubbliche e che ciò avrebbe effetto retroattivo anche sulle somme già versate in precedenza. Gli oneri si potrebbero, quindi, destinare liberamente anche per intero a spese correnti ! Dal novembre scorso, quindi, le varie Tesorerie comunali stanno quindi chiedendo ai comuni di essere autorizzati a svincolare tali somme.

La finanza creativa ha colpito anche la buona urbanistica ! E io che, ingenuamente, chiedevo di vincolare ulteriormente le destinazioni separando oneri, contributo sul costo di costruzione e monetizzazioni di aree ciascuno per gli scopi specifici cui erano destinate (opere, architettura bioclimatica, acquisizione aree) ! E con cosa faremo le opere di urbanizzazione per attrezzare le nostre città ?

Avanti verso più arretrati obiettivi, siamo tornati agli anni Cinquanta/Sessanta !

Non ho parole. Se ricordo con quanta fatica, e con quanta partecipazione, alla fine degli anni Sessanta si condusse la vertenza per ottenere che le attività edilizie, attraverso gli oneri vicolati a opere di urbanizzazione da fare, portassero un contributo alla vivibilità delle città. Ma sindaci, giunte, consigli comunali responsabili possono ancora riparare al mal fatto. La resistenza continua.

Tempo fa, avevamo accennato al fatto che la sezione Megalopoli (ma anche Articoli dai Giornali non scherza) doveva essere articolata, o sostituita, insomma che non ci si capiva niente. Da allora, ci sono entrati altri testi, e la confusione è cresciuta. Io non so che farci, salvo tentare di non mettere più niente, ma non mi pare una soluzione.Qualcuno ha delle idee? Giro ai frequentatori di Eddyburg l'appello di Fabrizio Bottini. L'idea di partenza è che "Articoli dai giornali" seguano l'attualità e, nel tempo, permettano di rendersi conto del modo in cui la grande opinione pubblica stata interessata ai temi (nella sezionespecifica, quelli della citta e del territorio). "Megalopoli" diveva raccogliere analisi e testi che allargassero lo sguardo al di là dei primi testi sugli Outlet e altre innovazioni apparse nella valle del Po. Forse a questo punto converrebbe aprire una nuova cartella tipo "Dibattiti oltreoceano" oppore "Tendenze nel mondo". Aspettiamo proposte

Ho un sogno per i prossimi per il futuro di Ferrara. Il mio sogno ha avuto inizio con la visita alla Pinacoteca nazionale nel Palazzo Diamanti dove è esposto un quadro di Carlo Bonini dal titolo "Santa Barbara". In primo piano cè il ritratto della santa che si staglia sullo sfondo di una campagna collinosa. Nel mezzo, tra Santa Barbara e la campagna, cè un¹impalcatura sulla quale sono ritratti alcuni lavoratori. A cosa stiano lavorando non è dato comprendere. E venuto spontaneo chiedermi: viene limitato da quella impalcatura lo sguardo verso la stupenda campagna oppure questa resta inalterata nella sua bellezza?

La bellezza dell'arte antica, il mondo di qua e di là del muro, il Nuovo, una pittura ideale, costringe a riflettere sul passato e sul presente della città. Tempo fa il prof. Gianni Venturi ha fatto riferimento ai versi di Leopardi per affermare che il futuro, la speranza e da ultimo il sogno vengono determinati anche dall¹ analisi critica del presente. Per quanto mi riguarda, ad esempio, la critica che muovo a Ferrara è strettamente correlata all' opera di Michelangelo Antonioni. Questi è stato uno dei grandi registi del XX secolo, ma a Ferrara gli è stata dedicata soltanto una mostra permanente delle sue pitture, che peraltro non sono significative.

Inspiegabile come mai un patrimonio culturale di questa portata sia così poco curato e valorizzato.

All' analisi critica del presente appartiene anche la considerazione di quanto poco venga sfruttato il gemellaggio di Ferrara con Sarajewo con il loro patrimonio di potenzialità culturali. A me pare che questo gemellaggio sia a senso unico: la ricca Ferrara aiuta la povera Sarajewo! Perché Ferrara non può diventare un centro per lo scambio delle culture italiana e balcana? Ci sarebbe una lunga schiera di personalità bosniache da coinvolgere: artisti, scrittori, attori, musicisti e giornalisti, che certamente arricchirebbero il livello culturale di Ferrara.

Ancora una critica propositiva volta a migliorare il futuro: come mai non esiste ad oggi un piano preciso per il teatro Verdi? Da parte del Comune viene continuamente ripetuto che il teatro verrà restaurato e nuovamente aperto, ma non mi risulta esistere alcun progetto su come dovrà essere utilizzato dal punto di vista artistico.

Forse il teatro Verdi potrebbe essere il luogo adatto per istituzionalizzare l¹Ater Forum, che ha trovato un valido equilibrio tra tradizione e modernità realizzando così uno scambio, un interazione musicale tra moderno e classico, tra Frescobaldi, il jazz e la musica mondiale. Trovare un giusto equilibrio tra la passione per l¹antico e la tradizione, il coraggio di rinnovarsi e di sperimentare, resta uno dei compiti dell¹ avanguardia culturale ferrarese.

Tutto insieme, la bellezza che si trova a Ferrara in ogni vicolo, l¹apertura curiosa verso il mondo e una cantiere permanente per nuovi progetti culturali - come si vede sul quadro di Bonini - questo sarebbe il mio sogno ferrarese per i prossimi due lustri.

Chissà se tra i 10mila lettori mensili di Eddyburg c'è qualcuno che, da Ferrara, può valutare le tue proposte e trasformare le tue speranze in realtà! Cose belle in quella città ne sono state fatte, e sono sicur che se ne faranno ancora. Guerre permettendo.

Allego una piccola/breve riflessione sulla questione irakena, in giorni in cui la retorica mistificatrice e la mancanza di lucidità politica sembra aver contagiato anche la sinistra più consapevole. Falsa coscienza, etica a senso unico e subalternità culturale al neo imperialismo neocon planetario sono i funghi maligni che accecano anche chi dovrebbe, per obbligo della storia, farsi carico davvero di indicare la via per una pace mondiale (sì! l'utopia della pace perpetua kantiana sta scritta nei vessilli della sinistra), e preparare la pace vuol dire prima di tutto lottare senza requie con chi vuole le guerra, con chi la difende, con chi ne nega le radici storiche, con chi non riconosce che il selvaggio dominio e sfruttamento dell'occidente nei confronti del resto del mondo negli ultimi cento anni è il vero motore delle tragedie di questi ultimi tempi.

Ecco l’allegato:

A volte la realpolitik abbandona la ragion di stato e si fa incarnazione dell'etica della necessità e del bene comune. Cosa altro dire se non che è necessario ritirare il contingente di occupazione italiano dall'Irak immediatamente, come fece la Spagna, non certo per "cedere" ai ricatti dei rapitori, ma perché l'Italia sta occupando militarmente uno stato sovrano senza alcun mandato dell'ONU e quindi è contro il diritto internazionale? Gli irakeni - e chi dice il contrario dice un'enormità giuridica oltre che politica - hanno il diritto di lottare militarmente contro chi occupa illegalmente il loro paese. Questa è la realtà, innegabile. Etichettare unicamente come terroristi i movimenti di resistenza irakeni, anche quelli più estremisti, è storicamente ingiusto e politicamente idiota, e non tiene conto che ogni, dico ogni, movimento di resistenza ha utilizzato ANCHE metodi legati al terrore. O si riparte politicamente da tali assunti innegabili, e non si utilizzano etica e morale a senso unico, oppure anche a sinistra si ricade nel gioco perverso dello slogan "sono tutti terroristi". Con il rischio, comico e tragico insieme, di vedersi presto scavalcare politicamente nel realismo politico da pensatori conservatori americani, che già in alcuni casi stanno iniziando a prendere anche loro in considerazione l'ipotesi del ritiro dall’Irak come "minor male". Si rassegnino Bush, Blair e Berlusconi: nella lunga durata la loro guerra in Irak è perduta, a meno di non spedire in Mesopotamia 400.000/500.000 uomini e occupare davvero tutto il paese manu militari, un’ipotesi del tutto irrealistica, anche nel caso che a novembre l’attuale presidente degli Stati Uniti venisse rieletto. Il risultato dell’avventura irakena sarà la creazione, tra uno o due anni, di una repubblica islamica – probabilmente a maggioranza scita e vicina politicamente all’Iran. Il resto sono chiacchiere, retorica ad usum stultorum o bieca ideologia.



Mi sembra che, nell’attuale ondata di violenza, in ciò che viene sbrigativamente definito “terrorismo”, facendo d’ogni erba un fascio, ci sono molte cose, molte più di quanto non ce ne fossero in altre situazioni simili all’Iraq di oggi. Credo che ci sia, oltre all’impiego di metodi violenti per difendere o ripristinare la propria indipendenza, anche una presenza di inquietanti vene di fanatismo (in fondo analoghe a quello che qualche secolo fa hanno sporcato un’altra religione monoteista). E credo anche che ci sia una componente, più marcata che in passato, dei servizi segreti: c’è chi li vede, non senza argomenti, nell’assassinio di Enzo Baldoni, c’e chi ne ha parlato a proposito della strage in Ossezia e del rapimento delle due Serene. Sono d’accordo con te che sarebbe sbagliato fare d’ogni erba un fascio, innalzare barriere e proclamare guerre di civiltà in situazioni nelle quali, in materia di civiltà, la storia degli ultimi secoli del mondo “atlantico” non è esente da errori e colpe mai riparati, i quali anzi proseguono ancora.

I commenti di Eddy alle mie considerazioni in materia urbanistica sono un segno che il dibattito teorico, a mio giudizio sempre necessario, non è spento. Non voglio perdere l’occasione di alimentarlo

Una prima considerazione si riferiva al vuoto, che si rileva nella Sinistra, sui temi dell’urbanistica (il buon ordine insediativo e il conseguente benessere degli abitanti), di cui un aspetto è la disinformazione della stampa, un altro il ripiegamento sui progetti di controriforma della Destra. Su ciò Eddy Salzano, in un breve scambio di parole al telefono, mi è sembrato consentire sostanzialmente. Il problema, allora, è di vedere se e come colmare questo vuoto, cominciando a individuarne e denunciarne le cause. Queste sono certamente molte e diverse, ma, per ben cominciare, io credo che bisogna guardare a una questione di principio. Si tratta, precisamente, dell’idea di città, del modello insediativo, che alberga ancora nelle menti della Sinistra, il quale è pur sempre quello dominante, borghese e industriale, o se non è tale, ne è un parente prossimo. Quel modello, che io reputo degno del massimo rispetto, era già vecchio ai tempi di Hausmann, e al tempo nostro è degenerato nelle forme della metropoli e delle favelas invivibili, e del degrado ambientale generalizzato. Per quel modello è stata felicemente coniata la nozione di “città quantitativa”, con la quale si denuncia la confusione dello sviluppo sociale (ed anche economico) con la mera crescita dei beni materiali, coerentemente, d’altra parte, con la logica del sistema economico capitalistico. Che questo modello, ormai dominante in tutto il mondo, impregni ancora la politica urbanistica della Sinistra non deve sorprendere, se si osserva che le sue tracce si possono ritrovare persino nel pensiero e nell’opera di tanti insospettabili maestri del movimento moderno.

Il problema è, allora, di pensare e definire un modello insediativo, un’idea di città alternativi e coerenti con i reali bisogni della nostra società contemporanea, in ogni paese e non solo in alcuni luoghi privilegiati. Non è certo facile. Come si farà a valutare i nostri beni immobili in termini di bellezza, come si faceva una volta, e non tanto di metri cubi o quadrati? Come orientare le scelte progettuali sul giudizio personale degli utenti, assunto criticamente, ottenendone la convinta partecipazione? In che modo togliere definitivamente le automobili dalla città, e fare delle autostrade e delle linee A.V. dei fattori di disegno, non di degrado del paesaggio? Come eliminare la piaga dell’abusivismo, che è un male culturale e sociale, prima che urbanistico? Sono citazioni a caso: fanno capire che la città è prima di tutto quella che si pensa, e quindi quanto sia semplice, ma quanto arduo il problema di cambiarla. Per la Sinistra, a mio giudizio, è problema non più rinviabile. A meno di continuare ad accettare il modello dato, accollandosi l’attributo di riformista nel peggior senso che la storia ci ha tramandato.

La seconda mia considerazione riguardava la proposta di nuova legge urbanistica, e voleva ricordare la lezione che può ancora venire dalla vecchia legge, ricordando anche l’uso distorto che ne è stato fatto da chi l’ha gestita nei decenni trascorsi. Tenendo presente che i nodi essenziali dell’urbanistica sono la “rendita” e il “piano”, accennavo il dubbio che il primo si possa esaustivamente sciogliere in una legge urbanistica (lasciando comunque il quesito alla dottrina del giurista), mentre il secondo mi sembrava materia originale e propria della legge. Il commento di Eddy coglie nel segno, osservando che in questo modo viene privilegiato l’aspetto tecnico della legge, e si rischia di cadere nel tecnicismo ( technicalities). E’ vero, ma non è questa la prospettiva che io intendo suggerire.

Anzitutto il dubbio di poter battere la rendita (io insisto a dire: il cattivo uso della rendita) è legittimato dal fatto che essa è un fenomeno naturale nel mondo economico. Per esempio, battuta attraverso l’esproprio dei suoli, si riproduce negli edifici, una volta che siano costruiti. Il dubbio, però, è accompagnato dalla certezza, che in una legge urbanistica debbono esserci le regole che impediscono l’uso perverso della rendita. Per questo la via regia è quella della pianificazione. E questa è un insieme di principi, mezzi e procedure, che si raccolgono in una tecnica e in una specifica dottrina. Il nostro maestro Astengo ha consumato una vita su questa dottrina. La mia esperienza, per quanto vale, mi dice che il tema offre ancora materia di studio e sperimentazione. Cito solo qualche punto, su cui mi sembra ancora aperta la messa punto teorica. Quali e quanti livelli di piano si dovranno stabilire in rapporto ai soggetti competenti? E quale il loro contenuto, se generale o particolare o di settore; e il grado, se indicativo o prescrittivo; e la forma di espressione, se con la norma o col disegno? Cosa si deve intendere per “zoning” e cosa per “standard”? E ancora, quale la parte che spetta alla progettazione e quale alla analisi, le quali, a mio giudizio, si dividono a metà il campo della pianificazione?

Mi sembra che la risposta a questi quesiti debba costituire il contenuto della nuova legge urbanistica, non meno delle norme che conciliano l’interesse privato con quello pubblico. Aggiungo che, se crediamo l’urbanistica un affare eminentemente pubblico, dovranno anche essere meglio ordinati i servizi urbanistici, cui devono provvedere lo Stato e gli altri enti pubblici. Ruolo della pubblica amministrazione, rapporto pubblico-privato, tecniche di pianificazione. Abbiamo così ritrovato i tre titoli essenziali della vecchia 1150, la quale (si è capito) “nel cor mi sta”.

L’ultima considerazione riguardava la figura e il ruolo dell’INU. Ai pochi e succinti ricordi storici, dai quali partiva la mia considerazione, Eddy aggiunge l’osservazione che la figura dell’Istituto riflette oggi quella corporativa della base sociale molto allargata negli ultimi decenni. E’ vero. e direi inevitabile, tant’è che lo stesso problema si può riscontrare in un'altra istituzione di “battaglia culturale” qual è Italia Nostra. Credo, però, che si debba distinguere tra figura e ruolo, e il problema, per noi, mi sembra essere soprattutto del secondo. La figura, forse, può anche restare “di massa” (anche se sono convinto che sarebbe meglio essere pochi e buoni) ma, in ogni modo, i problemi esterni restano gli stessi nella situazione data. Come confrontarsi con la società e con la storia che viene avanti? Negli anni della 1150/42 e nei 60 i pochi hanno svolto bene il ruolo. Ora, pochi o molti che siamo, che si deve fare? Non certo come pensa qualche bell’ingegno, il quale, ben lungi dal preoccuparsi per le dimissioni di Salzano, e non contento delle RUN, si è inventato gli Eventi di Marketing Urbano (con le iniziali maiuscole).

La mia proposta è di ripartire dalla fondazione (1930), e dai problemi interni di allora (oltre che dai presenti interni ed esterni), in base alla premessa che l’urbanistica è affare di interesse pubblico, da affrontare come tale. Questo mi sembra quasi banale. Si tenga presente che pubblico qui è sinonimo di collettivo, e che l’opposizione di pubblico (Stato) / privato (mercato) è altra cosa, della quale bisognerebbe parlare a ragion veduta, non in base a pregiudizio ideologico, come quello neoliberista, importato d’oltre oceano, per nostra sfortuna. L’importante è che la discussione resti aperta, come fa sperare Eddy. Se le stanze di piazza Farnese sono chiuse a questa discussione, se ne occupino altre, che non mancano di certo, come quella qui usata.

La discussione rimane aperta. Almeno in questo "cortile", come affettuosamente lo chiama Lodo Meneghetti. Altrove, mi sembra un po' meno; ma non si può mai dire

Sabato 31 luglio, Anna e io eravamo a Bordeaux e la sera siamo stati a cena in un posto chiamato "La brochetaille", nome ricavato da "Brochet" (spiedo) associato al suffisso "aille" alla maniera di Rabelais, quello di Pantagruell.

Trattasi di una carcassa di anatra, svuotata e tagliata longitudinalmente: In quella sorta di arca che ne deriva, il tizio mette a dimora delle fettine di maigret de canard (fettine di anatra) coperte da foiegras. Richiusa l'arca col suo naturale coperchio, il tutto viene messo ad arrostire in un camino che fa bella mostra di sé in sala, davanti agli sguardi cupidi dei clienti. Il proprietario, tipo "oste della malora", ti mette soggezione quando ti dice, meglio sarebbe ti intima, di aggredire la carcassa con qualunque mezzo tranne forchetta e coltello. Dunque chi ha paura di sporcarsi le mani è avvertito!

Anche sul vino, sai com'è!... Uno arrivato di fresco in città legge nomi di domaines e châteaux, ma non è che sa dire con sicurezza... Allora magari si regola con i prezzi. Ma il nostro oste ancora una volta dà prova di resolutezza che a te pare intransigenza. Mette il dito su un nome e non ti resta che pensare: "Era proprio quello che volevo!" E dire: " OK, ça peut y aller".

E ora il giudizio: è la cosa più memorabile che io abbia mai assaggiato; e nel dir questo, io coltivatore del dubbio, mi vengo a trovare dinanzi ad una certezza incontrovertibile. Stupenda la "carcasse", notevole il vino, ma non è finita qui.

Ridotti i nostri piatti a due campi di battaglia al crepuscolo, l'amico torna e ci chiede se gradiamo del formaggio. Di cosa si trattava lo avevamo già letto e non pensavamo certo ad una normale " assiette de fromages". Si trattava di crostini al Camembert scaldati nel camino di cui sopra. Noi eravamo già pienotti e la bottiglia aveva assunto l'aspetto giusto per la raccolta differenziata del vetro. Allora Anna timidamente fa: " Pour une personne!" Il tizio borbotta qualcosa fra i denti, traducibile più o meno: "Sì, vabbè..." e torna con il giusto rifornimento. Ed è chiaro che questo secondo round non lo si può affrontare senza una seconda bottiglia. La si ordina e sarà quel che il cielo vorrà. L'albergo non è lontano...

Con gli euro che abbiamo speso là, qui a Bologna avremmo mangiato, magari non male, ma in un posto non meritevole di recensione gratuita. E allora, anche grazie alle due bottiglie di Bordeaux, mi è venuto un flash. Ho pensato al 1204, quando i Veneziani trasportavano i crociati a combattere la quarta. A un certo punto qualcuno disse: "ragazzi si cambia strada", e se ne andarono tutti a Costantinopoli. Ho pensato di convincere un gruppo di amici a fare una capatina a Santiago de Compostela, che di questi tempi va tanto di moda. Poi, a un certo punto, sull'Autoroute du Midi, dico all'autista: "Prendi per di là", e li porto tutti... nella mia Costantinopoli...

L'indicazione è qui: http://mmmm.free.fr/scripts/script_detail_resto.php?id=1078

Grazie, Carlo, anche da parte dei miei amici che si troveranno a passare per il sud-ovest della Francia

Caro Eddy, il tuo editoriale è davvero molto buono. Serve per fare chiarezza. Dispiace che Valentini abbia scritto il suo articolo non pensando che così ha dato fiato alla destra e a qualche esponente della sinistra (riformista) per avanzare i se e i ma.

Come al solito.

Ieri il Comune di Olbia ha approvato il piano urbanistico in contrasto-sfida con il decreto Soru. Gravissimo. Primo ( ma è fin troppo ovvio) perché un soggetto istituzionale non può contraddire le disposizioni normative che non condivide. Secondo perché quelle previsioni sono un sproposito: il raddoppio di quanto ammissibile ! In quel territorio, per memoria, c'è il progetto "costa turchese" della famiglia Berlusconi.

Ti farò sapere

Grazie. I lettori di Eddyburg ed io ti saremo grati degli aggiornamenti sulla questione. Ho visto dai giornali che il dibattito è stato buono, con una maggioranza di posizioni favorevoli al decreto, e argomentazioni spesso intelligenti. È uno dei casi in cui il locale può essere utile al generale .

Oltre alle migliaia di notizie sul rogo al centro commerciale di Asunciòn, ho trovato anche il sito della premiata ditta che chiude dentro i premiati clienti. Che sia una nuova strategia di mercato? Ti vendo anche la via di fuga?

Allego file word con la "comunicazione istituzionale" di impresa, e ovviamente il link. Da appiccicare, se credi, all'altro articolo sul tema che hai già inserito.

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Historia

El Supermercado Ycuá Bolaños es una empresa que en sus comienzos fue únicamente Comercial, se dedicaba a la compra y venta de mercaderías. En la actualidad es Comercial e Industrial ya que se dedica también a la producción de ciertas mercaderías como panificados, fideos, hamburguesas, etc. Los inicios se remontan al año 1978, cuando el actual socio fundador se independiza del negocio familiar.



Hoy día la Cadena cuenta con cuatro sucursales, ubicadas en puntos estratégicos de la Capital. Ycuá Bolaños I se encuentra ubicada en la calle Fdo. De la Mora esq. 12 de Octubre, Ycuá Bolaños II en el Shopping Multiplaza Km.5, Ycuá Bolaños III sobre la Avda. San Martín esq. Roque Centurión Miranda e Ycuá Bolaños IV sobre la Avda. Artigas esq. Santísima Trinidad.

La Cadena se dedica también a la venta de productos no tradicionales como ser Zapatería, Juguetería, Decorado, Artículos para el Hogar, etc.; pues no se limita a ofrecer y vender exclusivamente productos de primera necesidad. Comenzaron a incorporar estos productos en un porcentaje pequeño, hasta convertirse hoy en día en uno de los ejes de venta del Supermercado. Esta es una modalidad que ha sido incorporada al mercado por la Cadena Ycuá Bolaños.

Cada sucursal comercializa más de 40.000 items de productos con un concepto de atención, seguridad e higiene absolutamente de primer nivel. Se caracterizó desde sus inicios por sus buenos precios que hicieron que los consumidores lo prefirieran. Hace años la firma importa en forma directa, es decir, evitando intermediarios, una gran cantidad de artículos como juguetes, bazar, regalos, acero inoxidable, entre otros. Realiza las importaciones de Italia, Medio Oriente, Panamá. La política básicamente es ofrecerle al público lo que él quiere: buen precio, buena atención y todas la comodidades que el cliente más exquisito pueda exigir.

Debido a la amplitud de la Cadena, la misma decidió enfocarse en el tercer local, Ycuá Bolaños Los Arcos. Este cuenta con un amplio y confortable salón de ventas de 3.500 m2 y un estacionamiento cubierto para más de 430 vehículos, con estricta seguridad de entrada y salida, permiten que el consumidor disfrute de sus compras en un cómodo horario de 08:00 a 22:00 hs.

Consideramos que el buen funcionamiento de esta empresa depende la eficacia y eficiencia con que se realizan los procedimientos. Es por eso que es de suma importancia que las mismas cuenten con un manual de procedimientos y organizaciones para facilitar el desarrollo de sus funciones administrativas y operativas. Los manuales son instrumento de comunicación, ya que ayudan al personal a identificar sus tareas y a realizarlas de la mejor manera posible. Además sirven como instrumento de referencia y consulta; clarifica las acciones a seguir o la responsabilidad a asumir en aquellas situaciones en las que pueden surgir dudas respecto a que área debe actuar o a qué nivel alcanza la decisión o la ejecución. También facilita la dirección, supervisión, control y evaluación del cumplimiento de las funciones, así como de la aplicación de la políticas, normas y procedimientos establecidos.

Ecco il sito della garbata società Ycua Bolanos

Sul dopo elezioni e sulle prospettive, bello anche il fondo del 22 luglio su come ti piacerebbe agissero i governi locali. Scrivo "anche" in relazione ai precedenti articoli condivisi e seguiti da miei commenti non brevi (vedi 17 e 29 giugno, e 1 (7) luglio). Purtroppo leggo ben poco, o niente, nel pasticciato dialogo interno al centrosinistra, che riguardi una "politica urbanistica", il "governo della città e del territorio" e, aggiungo una mia fissazione già parallela alla tua, una forte volontà di ripristinare quanto più possibile del carattere originario del patrimonio ambientale, paesaggistico, monumentale massacrato in sessant'anni da parte di attori i più diversi, governi nazionali consenzienti o promuoventi, enti locali idem... sappiamo sappiamo, ne ho scritto un mucchio di volte.

Ora la questione che sollevi delle nuove giunte e dei loro programmi è essenziale. Le vedremo alla prova di fronte a qualche grosso problema territoriale.

Esempio: in quale verso si muoverà la provincia di Milano (ma ci sono anche Varese e Pavia) dopo che sembra segnato il destino del meraviglioso Parco del Ticino quale contesto di nessun valore a petto della "indispensabile" costruzione della famosa bretella Boffalora-Malpensa, che lo ferirà a morte con un enorme taglio largo 40 metri e lungo 18 chilometri? Mesi fa ti ho scritto della minaccia e del pericolo insito in una certa ambiguità della sovrintendenza: oggi siamo al dunque, i lavori sono iniziati! Non entro nella descrizione dei fatti e delle previsioni perché lo fa benissimo Valentini sul numero odierno di Repubblica con La Super-Malpensa e il tesoro verde. Valentini peraltro non tace dell'altra minaccia all'orizzonte "ancora più grossa, quella della terza pista dell'aeroporto che segnerebbe davvero la fine del Parco, pista che viene considerata comunque superflua...".Ti prego di pubblicare per intero l'articolo di Valentini, l'unico giornalista dei quotidiani nazionali che non teme di passare per alleato di "quei 'rompiscatole' degli ambientalisti" (così nel suo pezzo).Tue notizie? A quando?

Il pezzo di Valentini è già in Eddyburg, mi ha anticipato Fabrizio Bottini nell'inserirlo. Mie notizie? Ma se scrivo qualche riga ogni giorno presentando gli articoli che inserisco! Va bene, l'eddytoriale 52 fra poco.

Due anni. Tanto è durata la nostra conoscenza, la collaborazione, l’amicizia.

Solo due anni, ma ora mi sembrano molti di più. Perchè c’era tanta sintonia nel nostro modo di vedere le cose, perchè ormai ci capivamo al volo : del resto, in fondo, venivamo dallo stesso retroterra culturale e generazionale.

Ma naturalmente, c’era anche molto altro.

C’era soprattutto Wilma.

Con la sua curiosità e la straordinaria capacità di approfondire i problemi, dipanare i misteri (anche quelli creati ad arte), analizzare e confrontare i documenti, chiarire i concetti ed i linguaggi (spesso volutamente) oscuri, estrarre un filo logico – quando c’era – dalle situazioni e dai fatti.

Con la tenacia nel ricercare le informazioni ed i documenti, lo sforzo continuo di divulgare i risultati delle ricerche, le riflessioni e le proposte, di coinvolgere altre persone nell’informazione e nell’impegno.

Con l’assoluta impermeabilità ad ogni tentativo di mistificare la realtà, ad ogni inganno e autoinganno (che talvolta fuorvia anche intelligenze altrimenti brillanti) e l’assenza di qualsiasi timore reverenziale, si trattasse di confrontarsi con “tecnici” o con “politici”.

Con, soprattutto, l’inesauribile capacità di indignarsi e – fondamentale – di tradurre l’indignazione in impegno personale e diretto, totale, fino all’estremo, fino all’ultimo soffio di vita.

Perchè l’ambientalismo vero non è generica protesta e sterile testimonianza parolaia, ma impegno concreto, duro, costante nel tempo, lucido e profondo nelle analisi, nelle critiche e nelle proposte, aperto al confronto con tutti ed al contributo di opinioni ed esperienze diverse, tenace nel perseguire risultati reali e tangibili, ora e subito - quand’è possibile - ma anche per un lontano futuro, quand’è necessario.

L’ambientalismo è anche – e non può non essere - pratica di partecipazione attiva e sforzo di trasparenza, in una parola : democrazia.

Come l’ha concepito e l’ha praticato Wilma, appunto.

Come vorremmo e dovremmo saperlo praticare tutti noi che ora ne piangiamo la scomparsa.

Sapremo, saprò, essere all’altezza del grande esempio che ci ha lasciato ?

Il dolore e lo sconforto sono grandi, in questo momento, ma in fondo non c’è modo migliore per ricordarla e per dare un senso al nostro essere parte di quanti cercano di migliorare l’ambiente, per sè stessi e per quelli che verranno dopo di noi.

Caro professore: in che modo il nostro lavoro può contribuire a risolvere i problemi dell'uomo che va in tram, in macchina o in motorino?

Penso che sarebbe utile riannodare le tre dimensioni (strategica, regolativi e operativa) delle politiche urbanistiche che oggi sono disgiunte fra loro. Tutte le cose che tu indichi come auspicabili (dai trasporti ai servizi, dalla rete dei percorsi alla gestione sostenibile del territorio aperto) costano (quante risorse sottrae ­ alle città ­ la politica delle grandi opere? Come possiamo chiedere ai sindaci di promuovere politiche urbane se il governo impone loro di tagliare le spese correnti?). Tutte le cose di cui c’è bisogno richiedono un’onerossisma opera di governance, o ­ più semplicemente - di gestione (mettere insieme le mille voci del pubblico, separare la farina dalla crusca nel privato, formulare progetti molto più dettagliati e responsabili che nel passato, districarsi nel mare di procedure in costante e convulsa evoluzione). Bisogna compiere ogni sforzo di dialogo con chi amministra e con chi lavora sul campo, magari navigando a vista. Insomma, nella maggioranza di sindaci e tecnici che si impegna esclusivamente nella dimensione operativa, non c’è solo berlusconismo, sebbene l’eccesso di pragmatismo può facilmente trasformarsi in opportunismo spicciolo, lasciando campo aperto agli interessi economici e alla ricerca di consenso politico. Mi sembra quindi una conclusione troppo pessimistica quella con cui concludi il tuo eddytoriale. Ad un 20% di ironia e un 20% di tristezza per come vanno le cose segua un 60% di voglia di rimedio...

Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà, suggeriva Antonio Gramsci. Ma bisogna partire dalla consapevolezza dell'analisi

Caro Eddyburg,

Il testo a firma di Carlo Melograni proposto dal sito nell’ambito del dibattito sulle recenti trasformazioni di Milano, mi è sembrato molto stimolante: perché parla elegantemente male di Fuksas senza darla troppo a vedere, ma soprattutto perché tocca in modo complesso e inusuale il ruolo sociale dell’architettura moderna. Vorrei aggiungere, in nota alle sue condivisibilissime riflessioni, alcuni miei più modesti e vaghi pensieri. Lo farò nello stile semiserio che mi viene spontaneo, anche se ritengo il tema serissimo.

Quando è morta l’architettura moderna, alle tre del pomeriggio il 15 luglio 1972, io festeggiavo il mio diciottesimo compleanno sulla spiaggia Grotticelle (o forse vista l’ora davanti a una fetta di cocomero), a Capo Vaticano (CZ). Non ricordo di aver visto pescatori calabresi stracciarsi le vesti quel giorno, e del resto anche Charles Jencks ci impiegò cinque anni a certificare la morte della cultura CIAM su Architectural Forum nel 1977, e a datarla proprio a quel pomeriggio del mio compleanno in cui le mine facevano crollare le torri di case popolari del complesso Pruitt-Igoe di St. Louis, progettato tre lustri prima da Minoru Yamasaki (it followed the planning principles of Le Corbusier).

E il fatto che si tratti dello stesso Minoru Yamasaki progettista delle Twin Towers mi pare, detto terra terra, meno di una coincidenza. Nemmeno gli estroversi chiacchieroni dei forum americani di internet ci spendono più di tre parole, a notare la coincidenza. Pare a tutti molto più importante che il crollo delle torri Pruitt-Igoe coincida con la nascita della multimedialità di massa, visto che il collasso di quelle case popolari è una delle chicche più note di Koyaanisqatsi, il film di Godfrey Reggio reso famosissimo dalle musiche di Philip Glass.

Meno noto, se non agli addetti ai lavori, è che la cosiddetta morte dell’architettura moderna coincide, nelle parole del suo fondatore, con la nascita di una nuova disciplina dello spazio costruito: la “prevenzione del crimine attraverso il progetto dell’ambiente”. È infatti proprio assistendo al degrado prima, e alla demolizione poi, delle Pruitt-Igoe, che Oscar Newman inizia gli studi sistematici sugli Spazi di Autodifesa ( Defensible Spaces), che fino ai nostri giorni avranno varie declinazioni, più o meno ragionevoli o paranoiche, anche dalle nostre parti.

Newman, a modo suo e con parole meno enfatiche, ci racconta così la sua autopsia sul cadavere dell’architettura moderna: “Camminando attraverso le Pruitt-Igoe nei giorni in cui vandalismo pervasivo e criminalità avevano raggiunto il massimo, ci si poteva solo chiedere: ma che razza di gente abita, qui? Escludendo le aree pubbliche interne, c’erano occasionali sacche di pulizia, sicurezza, buona manutenzione. Dove due sole famiglie condividevano un pianerottolo, questo era pulito e in buono stato. Se si riusciva a farsi invitare in un appartamento, lo si scopriva pulito e in buono stato: ammobiliato in modo modesto, forse, ma con grande dignità. Perché tutta questa differenza fra l’interno dell’appartamento e gli spazi comuni all’esterno? Si poteva concludere, solo, che gli abitanti mantenevano e controllavano solo le zone che erano chiaramente definite come proprie”.

Proprie. Non della lontana St. Louis Housing Authority, o di Minoru Yamasaki, o chissà di chi altro. Sembra di riascoltare, oggi, gli slogan degli architetti new urbanism, quando si sbracciano a convincere palazzinari, bottegai e zoning boards, che senza sense of place dovranno spendere molto di più, molto di più, in sicurezza e servizi di manutenzione e pulizia. Questa, forse, simboli a parte, è la “morte dell’architettura moderna”, ovvero la più o meno estesa (totale mi pare un po’ troppo, anche in una logica retorica e polemica) difficoltà a costruire ambiti di identificazione sociale diffusa, o ad anticipare e/o orientare con successo questa identificazione.

Viene da chiedersi, invece, se l’architettura moderna sia mai stata “viva”, perlomeno nel senso in cui nel 1972/77 è stata dichiarata morta. Viva nel senso di interpretare pervasivamente e con ampio consenso la modernità, convogliandone entro i propri spazi desideri, ambizioni, sino al punto di contenere e riassumere anche quelli di approcci e discipline diverse. L’esempio dell’urbanistica è abbastanza significativo in questo senso: dal ruolo tutto sommato comprimario degli architetti del XIX secolo, cultori dell’arte e dell’estetica contro la brutalità della macchina e degli sventramenti, a quello di primo piano nei movimenti Garden City e City Beautiful, fino alla grande stagione fra le due guerre mondiali e all’apoteosi della ricostruzione postbellica. Le Corbusier, senza tema di smentita, nel 1947 spiega semplicemente così tutta la storia dell’urbanistica: “ l’architecture eut besoin d’étendre ses effets à l’entour”. Non è affatto così, come tentano all’inizio senza troppo successo di spiegare le nascenti discipline sociali applicate al territorio. Ma si tratta di discipline ancora poco prestigiose, e senza farci troppo caso Minoru Yamasaki e i suoi colleghi progetteranno per lustri i propri spazi CIAM-style, certi di una legittimazione sociale implicita nelle proprie forme.

Sembrano lontani, ora quei tempi. Ora che filosofi, guru della socioeconomia, teorici della città tanto infinita che non si sa bene da dove cominci, tutti giudicano, legittimano, approvano “rinascimenti urbani” il cui rigoglio sembra direttamente proporzionale ai metri cubi aggiunti. Ed è ovvio che le migliori teste pensanti nel campo dell’architettura si interroghino su “dove siamo andati mai a finire”.

Benvenuti (senza ironia) in questa valle di lacrime.

Suggerisce lo stesso tema (fb)

“Architetto? È lei che anni fa si è occupata di Sistiana? Mi piacerebbe vedere cosa diceva allora il WWF”. Così ci siamo incontrate e ho cominciato a conoscerla. Wilma Diviacchi, insegnante, laurea in filosofia. Frequentatrice abituale dello stabilimento balneare di Sistiana, era rimasta colpita dall’ultimo progetto per la baia e la cava, dalla sua assoluta negatività: per lo sfregio paesaggistico, la privatizzazione delle fruizioni, le funzioni squalificanti, la svendita dei terreni pubblici, l’incultura e la risibilità delle architetture. Se l’era studiato a fondo il progetto, ne conosceva i particolari e ne aveva capito la sostanza. E non riusciva a comprendere, lei che veniva da un altro mondo di studi, lavoro, impegni, come gli specialisti del territorio, della politica, dell’amministrazione pubblica si spendessero a decantarlo, a promuoverlo sulla base di slogan tanto superficiali e semplicistici. Sempre gli stessi: finalmente se pol, sviluppo, sviluppo, sviluppo. E non si capacitava, lei che l’italiano lo sapeva, del linguaggio oscuro e improprio con cui questi specialisti si esprimevano; termini pseudo-accademici o di pretesa modernità per fare colpo, frasi incoerenti e senza senso per nascondere, non dire niente, o semplicemente per ignoranza, e del progetto e della lingua.

Ha cercato tutti, ha parlato a chiunque, politico, amministratore, tecnico, avesse qualche ruolo a proposito, per capire le sue ragioni e per spiegare le proprie. Ho assistito ad alcuni di questi incontri. Ho visto la supponenza, l’ironia, l’irritazione di chi aveva l’obbligo ad occuparsene, mal lo faceva, ma non accettava domande e critiche legittimamente poste. Ci sono stati i politici di professione, grandi fautori del progetto, che, di fronte all’evidenza dei disegni, restavano stupiti, rivelando di non conoscere i contenuti, salvo scoppiare a ridere davanti al finto villaggio istro-veneto, e tuttavia poi ribadire il fermo appoggio a ciò che non conoscevano. E c’era chi, più candidamente, riconosceva che, pur avendo potere decisionale, non ne sapeva niente e che per avere delucidazioni doveva attingere alle informazioni fornite dal sito del WWF, nella nuova ricca versione, che proprio Wilma aveva messo a punto e continuava ad aggiornare.

La storia di Sistiana si sa com’è finita. Il WWF e Italia Nostra hanno presentato ricorso al TAR e hanno vinto. L’impegno di Wilma è stato decisivo: era lei, assieme a Dario Predonzan, ad occuparsi della documentazione, dei rapporti con il legale, della raccolta dei fondi a copertura delle spese.

Altre ancora sono le storie in cui Wilma si è impegnata e ha lasciato il segno: la variante cosiddetta “agricola” al piano regolatore di Duino Aurisina, il progetto regionale per la penetrazione Nord (il “bucone”) di Trieste, il piano territoriale regionale particolareggiato per l’intera costiera, il futuro del Porto Vecchio, la candidatura della città per l’EXPO 2008, il piano particolareggiato per il Parco del Timavo ….

Era ammalata da più di un anno. Non lo sapeva quasi nessuno. Aveva continuato a lavorare, studiando progetti, sempre capace di coglierne l’essenza e di capirne gli effetti, confrontandosi, partecipando agli incontri e alle conferenze stampa, tenendo costantemente aggiornato il sito, profondendo intelligenza e vitalità, insegnando agli specialisti del settore quale cura, conoscenza, attenzione siano necessarie per potersi occupare del territorio.

Si è spenta il 4 luglio. Il giorno prima aveva scritto per salutare. La sua è probabilmente la più bella lettera che abbia mai ricevuto.

E' la forza di persone come Wilma Diviacchi che rende migliore il mondo di oggi, e che offre qualche speranza per il mondo di domani. Gli abitanti dell'uno e dell'altro hanno verso Wilma (e tutte quelle come lei) un immenso debito di riconoscenza

Caro Eddy - dopo il voto penso di continuare e nonostante non sia facile le prime riunioni dei firmatari romani sembrano confermare questa possibilità . Non è facile però penso valga la pena tentare. In verità la mia idea è molto semplice vedere se è possibile costruire una " filiera " , " tessitura" chiamala come vuoi di persone o situazioni che si dialettizzano fra loro sia su questa intenzione " nuova sinistra " (molto intenzione e su cui molto ci sarà da lavorare - le incognite sono molte congresso DS - formazione della federazione Ulivista - aggregazioni o quello che sarà della sinistra dispersa o cespuglietti + Rifondazione - natura dell'allenza di centrosinistra ecc. ecc.) ma molto di più su idee sulle varie questioni aperte da mettere nel circolo (lavorando su una estensione dei reciproci contatti singoli o organizzati e individuando alcuni punti o mementi di eccellenza) . Ti mando intanto una nota informativa e il testo dell’appello.

I vostri propositi mi sembrano del tutto ragionevoli, e li condivido. Qui sotto gli appunti sulla riunione e il testo dell’appello, che ho sottoscritto anch’io.

Incontro dei firmatari romani dell'appello "un voto in prestito"

21 giugno presso Casa delle culture ( breve sintesi )



1 ) Si è discussa la bozza di documento : "Un processo costituente di una sinistra nuova e unita". per dare continuità e sviluppo coerente al "voto in prestito". Accolti i vari suggerimenti si è deciso di raccogliere le adesioni al nuovo documento verificando la conferma delle adesioni dei firmatari del " voto in prestito" ( conferma via email o telefonica ) e chiedere loro di contribuire , nelle forme singole o collettive che riterranno più opportune, all'estensione dei consensi al nuovo documento . Per conferma e nuove adesioni scrivere a :unvotoinprestito@tiscali.it



2 ) avviato il lavoro di adesioni sul nuovo testo - realizzare una riunione-incontro di presentazione (con gli stessi partecipanti dell'iniziativa 25 maggio ) entro la seconda metà di luglio per lanciare in quella sede una assemblea romana e valutare l'opportunità di una iniziativa nazionale di più ampio respiro.

3 ) Avviare un tavolo di lavoro sulle elezioni regionali ( progetto Lazio ) invitando a parteciparvi i firmatari che riterranno di volersi impegnare sul tema. ( si invita a dare la propria disponibilità per calendarizzare il primo incontro ) Il tavolo di lavoro dovrebbe istruire le ipotesi di lavoro ( progetto - iniziative - partecipazione alle scelte delle candidature ) per le prossima scadenza elettorale da proporre successivamente ai firmatari tutti configurando, così, un terreno concreto di costruzione-sperimentazione del processo costituente.

4) impegnare tutti a ricercare contatti con associazioni e movimenti per informarli del nostro lavoro, per scambiare esperienze e costruire un incontro per verificare la possibilità di un percorso comune

Gli altri punti all'ordine del giorno non sono stati esaminati e saranno oggeto di proposte specifiche da precisare.

Alleghiamo il testo nuovo documento

Tutti coloro che vogliono approfondire singoli aspetti del documento o dare un contributo generale possono inviare il loro contributo a casadelleculture@interfree.it i vari contributi saranno ospitati sul sito casa delle culture( www. casadelleculture.net ) dando periodicamente notizia a tutti i firmatari dei contributi pervenuti.

Certamente non dobbiamo cantare vittoria a gola spiegata come se le truppe nemiche fossero state tutte sterminate o fatte prigioniere. Il tema della futura politica nazionale, dell’eventuale governo “altro” deve fare i conti con il cambiamento avvenuto in questi anni nella popolazione, nella composizione sociale per classi/ceti, strati reddituali, ecc.ecc., nei relativi comportamenti culturali e consumistici. C’è stato un vero e proprio mutamento antropologico in una gran massa di persone, direi tutte quelle soggiogate da quei mezzi di informazione, televisione in testa, appunto destinati dai nuovi poteri a trapanare il cervello della “gente” per infilarvi dentro il nuovo pensiero tutt’altro che “debole”: il pensiero “unico” riproduzione di quello del grande capo carismatico (?) e dei suoi accoliti. Lo spostamento di voti nelle recenti elezioni può indicare una sfilatura permanente di quel pensiero da una certa, consistente parte di quei cervelli? Non lo posso sapere. Tuttavia ho scritto speranza; non fiducia in tutti i dirigenti del centrosinistra: questo tutti, poi, è essenziale perché l’eventuale governo degli attuali oppositori deve essere assolutamente coeso, se deve varare e far navigare sicuro un programma appunto opposto, con attuazioni in certi casi difficilissime anche solo a partire dalla distruzione delle “opere” che il berlusconismo imperante lascerà dietro di sé. Fassino non ha perso l’occasione di mostrare qualche giorno fa una sua presunta superiorità quando ha creduto di prendere in castagna Moretti: quei dirigenti da cambiare perché non avrebbero mai vinto nulla, al contrario, “sono tre anni che vincono!”. Cuor contento il ciel l’aiuta. Forse non sempre. Intanto, caro Fassino, pensa piuttosto alla prospettiva di una vittoria irraggiungibile senza costruire una coalizione onnicomprensiva, triciclo o non triciclo quale base di partenza. Pensa piuttosto a come si comporterà nel governo di centrosinistra un Rutelli spesso pronto ad accettare papalate o subdole offerte bipartisan dei nemici. I cattolici ex democristiani che ha nel suo gruppo sono molto più prudenti.

“Non gongoliamo troppo”

Caro Lodo,

ho letto con piacere le tue sempre combattive e condivisibilissime parole, nella misura in cui mi piacciono, come anche quelle di Eddy.

Mi pare però che il centro-sinistra, pur preoccupato del livello di decadenza al quale è stato condotto il Paese, si stia forse gongolando un po’ troppo, quasi che domani, anzi stasera, cadesse il governo di destra e di B. e tutto d'incanto arrivasse la fatina. Berlusconi è un pezzo duro, quello ha sette vite, la sua gang idem. Con intelligenza ma forse con prudenza, credo che quelli dureranno fino al termine della legislatura. Non hanno ancora portato a completamento il programma della P2. Quindi: calma e sangue freddo. E poi c'è ben poco di che essere contenti.

Se e quando B. se ne andrà resteranno tante macerie da ripulire: penso al danno immenso causato dal berlusconismo alle persone, alle intelligenze, anche alle persone di sinistra. E' un danno profondo, difficile da estirpare. Altro che campagna di "riafalbetizzazione". Ci vuole una rifondazione della comunità nazionale, se si vorrà fare. E sarà una lotta continua che solo un riequilibrio del potere mediatico potrà in parte, agevolare.

Penso ai danni enormi prodotti alle fondamenta della Repubblica costituzionale, alle profonde controriforme che hanno sfasciato, ma a volte purtroppo impresso velocità ed uno sfascio in atto e già avanzato, di alcuni settori e servizi pubblici fondamentali e politicamente strategici per una democrazia: il mercato del lavoro, la sanità e l'assistenza, l'istruzione, la previdenza, le politiche di tutela della classi pi deboli, la svendita di settori strategici per l'economia nazionale (energia, comunicazione, trasporti). Lo sappiamo.

Caro Eddy,

l'intervento di Nico Hirtt che hai riportato su eddyburg credo vada completato con alcune notizie e riflessioni, perchè la storia della II G.M. (e la storia in generale) va raccontata - per quanto possibile - tutta intera, onde evitare fraintendimenti, più o meno in buona fede.Le cifre citate da Hirtt, sul numero dei caduti dei vari Paesi coinvolti, rappresentano uno degli elementi da ricordare e senz'altro nell'ambito ricordo di quanti hanno portato il peso della durissima lotta anche i milioni di "soldati Ivan" devono essere onorati come meritano.Andrebbe però ricordato anche che lo "Staline" menzionato da Hirtt nel '39 stipulò un patto con Hitler (o meglio lo stipularono i rispettivi ministri degli esteri. Molotov e Ribbentrop), in base al quale nell'estate di quell'anno tedeschi da ovest e sovietici da est si spartirono (per la quarta volta, dopo le spartizioni del XVIII secolo) la Polonia "da buoni alleati". Alleanza di fatto che durò praticamente fino all'invasione tedesca dell'URSS nell'estate del '41.Per oltre un anno, quindi, dalla caduta della Francia nel giugno '40, all'attacco all'URSS il 1 settembre '41, fu in realtà la sola Inghilterra - tra le grandi potenze di allora - ad opporsi non soltanto alla Germania, ma anche all'Italia ed al Giappone, su tutti i teatri di guerra (Nord Africa, Estremo Oriente, Mediterraneo, Atlantico ...). L'attacco tedesco all'URSS produsse un'ecatombe fin dai primi mesi anche per le conseguenze delle epurazioni di "Staline" tra gli alti quadri dell'Armata Rossa nel periodo delle "purghe" del '37-'38 e per la conseguente impreparazione bellica.Non fosse stato per i massicci aiuti militari - e non solo - che gli inglesi prima e poi soprattutto gli USA (dopo il dicembre '41), per anni, verso l'URSS, è verosimile che i tedeschi sarebbero arrivati a Mosca già nell'inverno del '41 e non ci sarebbe stata la vigorosa che portò i sovietici fino a Berlino (da dove, com'è noto, stentarono un po' ad andarsene...).Ciò nulla toglie, naturalmente, al merito dei tantissimi Ivan che diedero la vita contro i nazisti, e tanto meno alle capacità dei generali sovietici (il maresciallo Zukhov su tutti) cui alla fine "Staline" si decise ad affidare la conduzione delle operazioni.Onore e gloria a loro per sempre, ma onore e gloria anche ai tanti oscuri "operai (e contribuenti) John" che lavorarono per lo stesso risultato, producendo carri, cannoni, navi e minuzioni e ci permettono ora di disquisire sulle loro immani fatiche.

Caro Dario, tu poni due questioni. La prima è legata alla contingenza, la seconda alla valutazione storica.

Sulla prima. Mi sembra che oggi non ci sia il rischio di una sottovalutazione di John, ma quello di una assoluta dimenticanza di tutti gli altri, e soprattutto del ruolo, storico (nel senso di accertato dalla storia), dell'URSS e dell'Armata rossa nella sconfitta del nazismo. Io mi preoccupo di chi è ignorato, non di chi è sugli altari.

Sulla seconda. Non è questa la sede di una valutazione storica complessiva di un periodo complesso. Ma chi conosce un po' la storia degli anni che vanno dal 1917 al 1950 sa che il patto Stalin-Ribbentrop fu un episodio (che certo gettò nello sconcerto i comunisti europei: basta aver letto i romanzi di Aragon) in una vicenda nata nel 1917, che vide le democrazie occidentali impegnate nello sforzo strategico di distruggere il tentativo di costruire un sistema sociale e politico antagonista al capitalismo: si cominciò con il "cordone sanitario" alla fine del 1917, si concluse con il Trattato di Monaco del settembre 1939, si ricominciò con il discorso di Fulton di Churchill, nel marzo 1946.

In questa vicenda, il patto Molotov-Ribbentrop fu, a mio parere, un episodio volto a scongiurare il tentativo di Chamberlin e Halifax di gettare Hitler verso l'Est, a distruggere l'URSS.

Ciò che a me preme comunque sottolineare è che, al di là dell'opposizione storica tra i due sistemi (l'opposizione è stata risolta, ma i problemi che l'hanno generata sono rimasti), al di là di questo, la sconfitta del nazismo e del destino mortifero che avrebbe comportato, è stata possibile solo grazie al fatto che gli USA, l'UK e l'URSS hanno trovato l'accordo, e che di questo accordo i pesi sono stati sopportati da tutte le sue componenti. Non solo dagli USA, come oggi i mass media vogliono far credere.

Sull'articolo di Nico Hirtt, cioè se sullo sbarco in Normandia si fa della commemorazione o della mistificazione. Forse solo propaganda, ben avendo a mente comunque che coloro i quali - britannici, cittadini in armi del Commonwealth, americani, polacchi, francesi, belgi e olandesi, oltre ai civili francesi - ci lasciarono le penne e non in numero insignificante, tra le coste rocciose di Utah e le spiagge di Omaha, Sword, Juno e Gold nel corso dell'operazione Overlord, avrebbero preferito il contrario. Forse la grandiosità di quello sbarco, però, sta nell'immane operazione logistica-organizzativa eseguita in quegli anni, coi mezzi disponibili allora, in condizioni climatiche che non resero agevole l'attraversata della Manica, di un quantitativo enorme di uomini, mezzi, materiali, che non mi pare si sia mai più (per fortuna) ripetuta in un solo colpo da allora, neppure in Iraq e nel Vietnam. E anche nell'idea, che non è però solo tale, che gli statunitensi attraversarono l'Oceano Atlantico per aiutare gli europei a liberarsi dai nazi-fascisti; in altri termini che morirono non propriamente per difendere casa loro. Ciò premesso, ben fa Hirtt - visto che si tratta di storia moderna, sarebbe mica male se nelle nostre scuole se ne parlasse con la dovuta precisione, ben comprendendo che alla televisione non è pensabile nel clima attuale -, va fortemente ricordato che di Ivan ce ne sono stati parecchi, eccome. E' che i numeri da soli non parlano se non gli si da voce e volume. Avevano tutti la unica, grande colpa di essere cittadini dell'Unione Sovietica, potenziali mangia bambini, incendiari di chiese e stupratori di monache. Chissà mai se un giorno qualche produttore cinematografico, magari statunitense, illuminato e indipendente (si dice così, ma non ho ben capito da chi si sarebbe liberato: dal mercato ?), scoprisse che esiste un enorme mercato fatto di tanti Ivan. Ma chi ha interesse a parlare di tutti quegli Ivan ? Gli americani non credo, presi come sono a ritenersi più che mai i salvatori del mondo dal male degli altri. Forse Putin ? Paura di Stalin, del comunismo, della Grande Russia ? Quando ero ragazzo mi ricordo che a Roma, al palazzetto dello sport dell'Eur, si faceva la fila per vedere due spettacoli: Holiday On Ice e Il Coro dell'Armata Rossa. Non ricordo a quale dei due spettacoli ci fosse più fila al botteghino. Ma a sentire quei canti e quei fischi che ti schioccavano nelle orecchie, mi venivano i brividi ed era un pò come sentire le pallottole del compagno Ivan dagli occhi azzurri ed i capelli a spazzola biondi, tra un caseggiato sventrato a Stalingrado e un villaggio contadino nell'estate torrida dell'Ukraina distrutto dai tedeschi. Bisognerebbe scrivere "Salvate il soldato Ivan". Qui è lo scritto di Nico Hirtt

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