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Nel Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza, Jean Jacques Rousseau afferma: «il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire questo è mio...>>>

Nel Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza, Jean Jacques Rousseau afferma: «il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire questo è mio e trovò persone cosi ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile». A Venezia, questo vale anche per l’acqua, con l’avvertenza di sostituire alla categoria delle “persone ingenue” quei dirigenti del Magistrato alle Acque e quei pubblici amministratori che, negli ultimi anni, hanno trattato la laguna come una superficie da suddividere in lotti a disposizione degli investitori. Non sempre il risultato di tali operazioni è stato l’imbonimento, cioè la creazione di nuovo suolo calpestabile. Una volta recintato, però, lo spazio acqueo, teoricamente bene pubblico inalienabile, è, di fatto, sempre diventato proprietà privata.

MARINA SANTELENA, la darsena che offre “l’affascinante glamour della regina del mare”, è un esempio particolarmente significativo di questo processo, non solo per la dimensione, circa 4 ettari, ma perché la vicenda che ha portato alla sua realizzazione racchiude molti elementi emblematici della recente storia locale, tra i quali:

- una calamità naturale, cioè la tromba d’aria che nel 1970 ha distrutto il cantiere Celli situato a ridosso dello stadio e della chiesa di Sant’Elena;

- alcuni anni di disinteresse e abbandono da parte delle pubbliche amministrazioni, che hanno trasformato una zona storicamente adibita ad attività produttive in una cosiddetta “area sottoutilizzata sul bordo della laguna”;
-il gioco delle parti fra Comune, Regione, Demanio e Magistrato alle Acque, che si è concluso con una assai generosa concessione al privato e le cui tappe principali possono essere così riassunte:

Ora, all’interno della darsena, protetta da un gigantesco frangiflutti, possono essere ormeggiate 300 imbarcazioni dai 10 ai 30 metri, mentre all'esterno, ai bordi del grande canale di navigazione che porta dritto alla Bocca di Lido, potranno trovare posto 18 imbarcazioni dai 40 agli oltre 100 metri di lunghezza (qualcuno ha anche suggerito di spostare qui parte della stazione marittima per accogliere le grandi navi!).

La costruzione del frangiflutti, una lunga linea di cemento bianco, non ha sollevato contrarietà da parte delle autorità preposte alla tutela del paesaggio. Lungo 340 metri e largo 5, si prevede di “arredarlo” con una copertura che, riparandolo dal sole, lo trasformerà nel “salotto galleggiante privilegiato dall’high society mondiale” (detto in altri termini in uno splendido bar all’aperto di 1500 metri quadri, senza tassa di plateatico).

Nemmeno le istituzioni culturali e le università, che a Sant’Elena periodicamente organizzano workshop di progettazione, hanno trovato alcunché da ridire. Forse vedono il frangiflutto come un’installazione artistica, un felice esempio di “completamento” della città incompiuta,

L’unico con le idee chiare è l’amministratore delegato di Marina Fiorita, la società che oltre a Marina Santelena gestisce una darsena al Cavallino, secondo il quale «queste strutture rappresentano solo il primo passo di un più vasto programma di riconversione territoriale, fronte laguna, in posizione davvero strategica e altamente panoramica».

«PartecipArsenale. Arsenale di Venezia: Una nuova opportunità per produrre città». Così si chiama l’incontro pubblico promosso dal Comune di Venezia, per «presentare il "Documento Direttore dell’Arsenale" e proseguire il confronto....>>>

«PartecipArsenale. Arsenale di Venezia: Una nuova opportunità per produrre città». Così si chiama l’incontro pubblico promosso dal Comune di Venezia, il 2 dicembre 2014, per «presentare il "Documento Direttore dell’Arsenale" e proseguire il confronto sulle future trasformazioni del compendio»: cioè della sua completa cessione al Mercato.

Il sottotitolo dell’evento, curato dall’Ufficio appositamente istituito dal comune per "rilanciare 48 ettari che rappresentano uno straordinario potenziale per lo sviluppo economico e sociale della città e dell'area metropolitana", ben trasmette la scelta dei pubblici amministratori di considerare Venezia come una merce trattabile sul mercato e da mettere a disposizione della “comunità” degli investitori.

L’evocata partecipazione, invece, si riduce alla esposizione di una serie di dati e informazioni parziali, tendenti a presentare le azioni finalizzate ad incrementare la redditività degli investimenti privati come benefiche per tutte la collettività.

Il format adottato dagli organizzatori corrisponde ai dettami della cosiddetta «Carta della rigenerazione urbana» messa a punto da AUDIS, l’associazione delle aree dimesse, alla quale aderiscono imprese di costruzione, Comuni, amministrazioni provinciali e regionali, istituti di ricerca e università. Secondo AUDIS, non solo la contrapposizione tra pubblico e privato è vetusta, ma esistono due tipi di privato. Da un lato c’è il privato “economico”, composto dai proprietari delle aree, dalle imprese, dagli investitori, e dagli sviluppatori «che intervengono nei processi di trasformazione urbana con legittime finalità di profitto e la cui partecipazione deve essere incentivata garantendo tempi e procedure trasparenti e certi».

Dall’altro c’è il privato “collettivo”, rappresentato dai residenti ed in genere da coloro che a vario titolo usano la città e che devono essere bene informati per poter «condividere le decisioni» necessarie al suo rilancio.

Nella Carta si sostiene che tutti e tre i soggetti – il pubblico e i due privati – devono pariteticamente intervenire nel processo decisionale e, soprattutto, si ribadisce che compito specifico del pubblico è quello, oltre che, ovviamente, di fornire risorse e incentivi, di favorire la concertazione, perché il conflitto latente che «in presenza di problemi sociali non risolti rischia di contrapporre la cultura dell’innovazione a quella dei diritti è un freno per la rigenerazione urbana».

In altre parole, si potrebbe dire che a causa della programmata incompatibilità tra la città di successo ed i suoi abitanti, il ruolo attribuito al pubblico è quello di convincere i cittadini a lasciarsi depredare.

Ed in effetti, a PartecipArsenale il “privato collettivo” è stato oggetto di questo trattamento.

Nella prima parte dell’incontro, Marina Dragotto, responsabile dell’Ufficio Arsenale, nonché direttrice scientifica di Audis e coautrice di un volume dal titolo “La città da rottamare. Dal dismesso al dismettibile” ha presentato il Documento Direttore magnificando la riqualificazione, la revitalizzazione, la rigenerazione urbana con la stucchevole ripetizione di una serie di termini preceduti dal prefisso ri/re che dovrebbe convincerci che ci troviamo di fronte ad un evento che ha del miracoloso.

In realtà, il miracolo consiste nel fatto che, non appena ceduto ai privato e/o non appena viene sgombrato da abitanti e attività considerate di poco pregio, lo spazio pubblico, che era dato per morto, risorge.

Molto più interessante l’intervento di Giovanni Smaldone, presidente di NAI Global Italia, società di consulenza, intermediazione immobiliare e gestione i fondi immobiliari, incaricata dal commissario prefettizio (che dovrebbe occuparsi dell’amministrazione ordinaria in attesa di libere elezioni) di “testare la sensibilità degli investitori, identificare una forchetta di valori immobiliari e valutare l’ammontare dei finanziamenti necessari per il restauro degli edifici nei 28 lotti” indicati dal comune all’interno dell’Arsenale. Almeno ufficialmente, nessuna decisione sul futuro dell’Arsenale è stata presa. Ma concludendo l’evento, Michele Scognamiglio, sub commissario con delega al patrimonio e all’urbanistica, non solo ha ribadito la bontà del documento e delle opzioni individuate da Nai Global, ma ha ammonito che «bisogna far presto, se non vogliamo perdere i finanziamenti europei». I veneziani non vorranno mica rinunciare a un regalo?

Non è una novità che la conquista da parte dei privati delle porzioni più appetibili del territorio sia la soluzione finale di una successione di assalti condotti con la complicità delle istituzioni, quinte colonne disponibili a promuoverne, facilitarne, massimizzarne gli interessi. Fa parte del nuovo in arrivo, invece, che quando gli eletti non bastano, il lavoro sporco venga appaltato a un commissario che, come un governo tecnico, non deve nemmeno essere eletto. Poi torneranno le bande a larghe intese.

Grande fine settimana per Venezia: manifestazione per i beni comuni , posa del primo cassone del Mose alla bocca di porto del Lido sud, Letta al congresso dei socialisti e, last but not least... >>>


Grande fine settimana per Venezia: manifestazione peri beni comuni , posa del primo cassonedel Mose alla bocca di porto del Lido sud, Letta al congresso dei socialisti e,last but not least, presentazione al pubblico del masterplan Venezia Expo 2015.

Alla cerimonia tenutasi all’Ateneo Veneto e introdotta dal sindaco che havantato il valore del “giacimento” di risorse culturali e ambientali del suoterritorio, c’erano tutti i sempre vispi membri del vecchio entourage diGianni De Michelis (l'on. Laura Fincato, moglie del presidente della Fondazione Venezia Giuliano Segre, è presidentedelegato del Comitato Expo Venezia ed èstata applaudita in quanto "artefice della straordinaria iniziativa")che hanno messo a punto il piano per realizzare, con soli 15 anni diritardo, quanto a suo tempo non erano riusciti a fare con l’Expo2000.
Il cosiddetto masterplan preparato dal comitato scientifico di Expo Veneziacoordinato dall’architetto Marino Folin (già rettore della Università IUAV) è,infatti, la sostanziale riproposizione del vecchio progetto, di cui è utilericordare gli elementi fondamentali (vedi Giorgio Lombardi, L’Expo: un progettoglobale, in Venezia 2000. Idee e progetti, Marsilio 1995).
Il sistema “policentrico” dell’Expo2000 prevedeva un centro di accoglienza, denominato il Magnete,adiacente all’aeroporto e dal quale sarebbe partito “l’irraggiamento delleattività espositive”. Si trattava di una collina artificiale di circa un chilometro di diametro, altatrenta metri, progettata da Renzo Piano. Complementari a quelli sulla gronda lagunare sarebbero stati gliinterventi sull’Arsenale, tesi a revitalizzarela parte orientale della città “penalizzata dall’esclusione dal circuito delturismo”. Il collegamento tra aeroporto e Arsenale sarebbe stato potenziato e sarebbediventato “una nuova via di accesso al sistema insediativo lagunare” (possibilmentela sub lagunare) e uno strumento per rilanciare l’isola di Murano e la lagunanord.
Ora, gli interventi previsti riguardano tutta l'area vasta veneziana, masoprattutto la laguna nord (della laguna sud si occupano i padroni dellegrandi navi). C'è di tutto, inclusa una pista ciclabile da Venezia a Torino,denominata VenTo, ed ovviamente non mancano padiglioni e strutture ricettive galleggianti improntati ai principi dellasostenibilità.

Ma il cardine del piano è l'uso dell'Arsenale come porta d'ingressodell'Expo di Milano e la conseguente necessaria valorizzazione dell'asseAeroporto-Murano-Arsenale.
L'appetibilità della sosta all'Arsenale sarà garantita dallaBiennale, il cui presidente (che è anche cognato della presidente di MilanoExpo) ha già promesso di far coincidere la data di inaugurazione e la duratadelle due manifestazioni. L'obiettivo comune è quello di catturare milioni dituristi, soprattutto cinesi, farli "transitare" per Venezia,intrattenendoli a giocare con l'acqua e poi spedirli a Milano.
I promotori respingono sdegnati ogni ipotesi di speculazione immobiliare odi uso improprio di denaro pubblico. "Tutte balle", ha dettoil dottor Arditti, direttore delle relazioni esterne dell’Expo (e già portavocedel ministro dell'interno Scajola). Ha riconosciuto che finora l'Expo2015 ha avuto 1 miliardo di euro pubblici, ma si è dichiarato certo che cisaranno ricadute importanti sulle imprese, perché la "leadership mondialesi gioca anche attraverso le esposizioni" e la “legacy” dell’Expo sarà benefica per ilterritorio.

Sui soldi pubblici a disposizione del Comitato Expo Venezia nonsono stati forniti dettagli. Dal momento che i contribuenti veneziani giàdevono pagare i costi delle “sfortunate” candidature presentate dal Comune per le Olimpiadi e la Città dellacultura, non dispiacerebbe essere sicuri che la legacy non sia un’ereditàpassiva. “I conti sono a posto”, hanno detto i relatori che, hanno peròribadito il concetto che i "territori devono avere risorse per fare questeiniziative". Fra le richieste piùpressanti, quella già avanzata in più occasioni dall'onorevole Fincato,preoccupata che Torino essendo più vicina a Milano ci scippi i turisti, diavere treni "dedicati" ai visitatori dell'Expo. Forse è solouna coincidenza, ma il taglio operato in questi giorni di quattro treniregionali sulla tratta Venezia Milano sembra una requisizione preventiva deibinari da offrire agli amici dell'Expo.

La ventilata creazione a Venezia di un parco divertimenti denominato Veniceland ha dato la stura all’ennesimo finto dibattito tra i maggiorenti locali...>>>

La ventilata creazione a Venezia di un parco divertimenti denominato Veniceland ha dato la stura all’ennesimo finto dibattito tra i maggiorenti locali. In Regione sono entusiasti, mentre il sindaco si è detto non del tutto convinto. Troveranno sicuramente un’intesa, magari abbassando di qualche centimetro l’altezza delle giostre o affidando il disegno dei costumi dei figuranti impiegati nel parco a qualche stilista di fiducia. Non affronteranno, però, nessuno dei fenomeni dei quali il progetto di Veniceland è solo il logico e previsto risultato e sui quali sembra quindi opportuno attirare l’attenzione.

1. Il primo è il concetto di città al quale ci si riferisce, a tutti i livelli di governo e da tutte le parti politiche, quando si parla di città competitiva. Lo slogan ossessivamente ripetuto è che le città sono, o devono diventare, il motore della crescita, e quindi lottare per essere sempre più attrattive e catturare nuove quote di investitori e clienti. Ma, per rimanere nella metafora agonistica, si finge di non sapere che non tutti giocano nello stesso campionato. Nel mercato globale che i nostri intrepidi amministratori vorrebbero conquistare, esistono ben precise classifiche che individuano le città dove si prendono le decisioni finanziarie e politiche che contano, quelle dove i nuovi schiavi producono merci e beni di consumo, quelle dove devono ammassarsi i milioni di contadini ai quali viene sottratta la terra agricola, quelle dove si va a “spendere il tempo libero” e che comprendono sia le cosiddette città d’arte, di cui Venezia si vanta di essere l’epitome, che quelle appositamente progettate e costruite per il divertimento.

A questa divisione dei ruoli, che trova corrispondenza spaziale in una zonizzazione urbana globale, ogni città deve fare riferimento per trovare la giusta “arena” dove allenarsi e attrezzarsi nell’illusione di poter vincere. In quest’ottica, secondo la quale Venezia e Las Vegas, Carcassone e Celebration City sono destinazioni intercambiabili sulla mappa delle multinazionali che gestiscono il business del turismo di massa, l’idea di creare all’interno di Venezia - che è attualmente un parco giochi diffuso, disordinato,e in gran parte abusivo e esentasse - un vero e proprio theme park è perfettamente coerente con i dogmi economici imperanti.

2. Recinto nel recinto, copia contraffatta ma più autentica dell’originale perché più corrispondente alle aspettative dei clienti ai quali è destinata, Veniceland si dimostrerà un ottimo affare per gli investitori. Ma a quale costo per la collettività nel cui territorio si insedia?

All’imprenditore vicentino, che ha proposto il progetto, va riconosciuto il merito di non presentarsi come un mecenate che porge regali alla città, ma come un serio fabbricante di giostre la cui professionalità è riconosciuta a livello internazionale. I suoi prodotti sono apprezzati ed acquistati ovunque nel mondo, da Coney Island a Bagdad, dove ha di recente realizzato Sindbad Land. Secondo il Giornale di Vicenza, non solo quella nella capitale irachena è una “commessa memorabile (perché) le giostre vicentine diventano il simbolo del ritorno alla normalità e della fine della paura in Iraq”, ma “George W. Bush, prima di gridare al mondo Missione compiuta con la statua di Saddam nella polvere, avrebbe dovuto aspettare Zamperla!

Se dire che altrettanto memorabile è la commessa a Venezia – perché sancisce la fine della guerra persa dagli abitanti ormai deportati o passati dalla parte dei conquistatori di Venicestan - può sembrare una facile battuta, più serio è chiedersi, e pretendere di sapere dalle autorità responsabili, quale è il prezzo della resa.

L’isola di San Biagio è proprietà demaniale di competenza del Magistrato alle Acque, che ora l’ha data in concessione per 4 anni all’impresa Zamperla. La stampa locale, che ci delizia con le immagini accattivanti delle attrazioni che verranno realizzate, non fornisce informazioni circa i termini della concessione. Gratuita? Con quale beneficio per i pubblici proprietari, cioè tutti noi? L’impresa Zamperla ha già detto che se il progetto parte, chiederà il rinnovo della concessione per 40 anni. Ha un diritto di prelazione? E soprattutto, è stata fatta, e da chi e con quali criteri, una rigorosa valutazione economica del bene pubblico di cui, a nostra insaputa, ci stanno privando?

L’area si estende per oltre 40 ettari e si trova in una posizione strategica dal punto di vista degli sviluppatori del turismo di massa. Da ogni suo punto si possono “ammirare” le grandi navi ormeggiate nella stazione Marittima, le quali a volta godranno di vista mozzafiato sul parco giochi. E’ raggiungibile a piedi in pochi minuti dall’Hilton Stucky che ne potrà diventare l’hotel di riferimento. Solo un canale la separa dall’isola di Sacca Fisola, dove la valorizzazione del quartiere di edilizia popolare, costruito negli anni ’60 per i lavoratori veneziani, consentirà una gigantesca speculazione immobiliare e il completamento della ripulitura della città degli abitanti a basso reddito. La domanda alla quale lor signori non hanno finora risposto è dunque “quanto vale l’isola di san Biagio sul mercato globale (e non solo negli ambienti del Magistrato alle Acque), in termini attuali e potenziali”?

Nella valutazione economica dell’operazione dovrebbero essere dettagliatamente considerati anche i costi diretti e indiretti, legati alla costruzione delle necessarie reti infrastrutturali (trasporti, acqua, energia, smaltimento rifiuti). L’imprenditore Zamperla ha già detto che gli servirà un collegamento con il Tronchetto. Si tratterà di un vaporetto di linea che verrà distolto dal già disastroso sistema di trasporto pubblico? di un prolungamento del people mover, che del resto è già una giostra ? di un ponte tra san Basilio e san Biagio? di un tunnel sotto il canale della Giudecca? di tutte queste cose insieme che convergeranno verso l’arco di trionfo della grande giostra?

Queste informazioni dovrebbero essere fornite adesso, prima che costi “imprevisti” vengano scaricati sui residenti contribuenti (cioè quelli che pagano addizionali irpef affinché il comune posso sostenere il settore del turismo), come già avviene per il ponte di Calatrava e per il palazzo del cinema, per citare solo i casi più noti. L’inquietante affermazione del sindaco che”l’isola è inquinata ed il comune non ha i soldi per bonificarla e valorizzarla” non giustifica l’ennesima privatizzazione in perdita per la collettività. Se questo è lo scenario, molto più interessante è la proposta di Francesco Giavazzi di vendere, al giusto prezzo, tutta la città alla società Disney, ovviamente attuando prima un rigoroso piano esuberi che includa il licenziamento di sindaco&company.

3. Consapevole che l’idea di installare delle grandi giostre a Venezia avrebbe suscitato qualche perplessità, l’imprenditore Zamperla ha associato all’iniziativa l’Università di Cà Foscari, che ha fornito il supporto scientifico di una biologa e di un archeologo e la sede per la presentazione ufficiale del progetto. Nel corso dell’evento, dal titolo lungo e ambizioso: “L’isola di San Biagio: futuro polo dedicato a cultura, recupero di storia e antiche tradizioni lagunari, svago e tempo libero. Progetto di recupero e riqualificazione e valorizzazione”, lo stesso rettore ha illustrato i pregi del progetto. E' l'esempio di “cosa concretamente un ateneo può fare guardando al di fuori di sé e di come il mondo produttivo possa trovare nell'Università un partner capace di dare valore aggiunto a progetti imprenditoriali” ha detto, per sottolinearne il valore culturale oltre che di “volano occupazionale”.

Avendo ottenuto il beneplacito della pubblica amministrazione e l’attestato di qualità certificata rilasciato dalle istituzioni di alta cultura, il progetto verosimilmente verrà realizzato. Solo i tempi non sono certi. Per renderne più veloce l’iter, il consiglio (gratuito) per il signor Zamperla è di far produrre da una grande firma dell’architettura mondiale un’installazione da esporre nella prossima mostra internazionale di architettura della Biennale. E poi, finalmente, tutti in giostra.

Mentre si susseguono riunioni di ministri che fan finta di trovare soluzioni alternative...>>>

Mentre si susseguono riunioni di ministri che fan finta di trovare soluzioni alternative all’ingresso di grandi navi in laguna o discettano sul numero di turisti compatibile con la sopravvivenza della città e dei suoi ultimi abitanti, apprendiamo dalla stampa locale che “il sindaco è in volo per New York per promuovere Venezia”!

Secondo il comunicato ufficiale non si tratta della ennesima gita di piazzisti pataccari che girano il mondo per vendere beni che non sono di loro proprietà, secondo il modello bene spiegato da Tomaso Montanari nel suo articolo “Italia svendesi”, ma di una missione più ambiziosa.

Il sindaco di Venezia, infatti, accompagnato da una folta delegazione di cui fanno parte Confindustria, il comitato Expo 2015, il pluriindagato Consorzio Venezia Nuova ed altre glorie locali, intende presentare Venezia come “icona mondiale della resilienza, cioè l’arte di adattarsi ai cambiamenti mantenendo in equilibrio un sistema”. L’idea è che gli abitanti di New York, ed il sindaco uscente Bloomberg, siano preoccupati per il rischio di inondazioni e quindi, se gli mostriamo il sistema di difesa dalle acque cosiddetto Mose, ne trarranno insegnamenti e, soprattutto, compreranno qualcosa.

Oltre che di sostenibilità ambientale, infatti, si parlerà anche di affari e si illustreranno agli americani le “opportunità artistiche, culturali, imprenditoriali offerte da Venezia”. Forse si tratterà la vendita di qualche palazzo - e pazienza se qualche cittadino potrà pensare che il sindaco si comporta come fosse lo scaltro consigliere di amministrazione di un comitato d’affari che si è arbitrariamente intestato i beni comuni- quel che conta è che la città dimostri di essere attrattiva per gli investitori e che i potenziali compratori non facciano distinzione, come in qualunque traffico di merce rubata fra opere autentiche, falsi e contraffazioni. Venezia si è trasformata nella copia della sua immagine distorta e distinguere l’originale dalle copie non è agevole.

Vista da un satellite, piazza S. Marco potrebbe apparire immutata, perché le dimensioni del contenitore e la densità del contenuto sono le stesse, ma le tre immagini, >>>


1. Vista da un satellite, piazza S. Marco potrebbeapparire immutata, perché le dimensioni del contenitore e la densità delcontenuto sono le stesse, ma le tre immagini riportate qui sotto, scattate a quarant’anni di distanza l’unadall’altra parlano di tre città diverse.

Nella prima (1933), lo spazio pubblico è il palcoscenicodelle rappresentazioni del potere, un luogo che normalmente rimane vuoto e si riempie a comando per le adunate delregime.


La seconda (1973), sfuocatacome il mondo che evoca, suggerisce l’idea che la piazza, e quindi la città,appartenga ai cittadini che con il loro lavoro la mantengono viva e ai qualispetta il compito/diritto di progettarne e guidarne le trasformazioni.

Quella odierna conferma (2013) che il passaggio da città vetrina a città merce èormai compiuto ed è difficilmente reversibile.


2. La situazione attualeè oggetto di documentate inchieste e accorate denunce. Non sembra, però, sufficientementediffusa la consapevolezza che la dissoluzione della vita associata, che ha consentito la dissoluzione della/e città, non è solo il risultato della incapacità edisonestà di qualche amministratorelocale, bensì l’esito di un progetto di trasformazione economica e sociale sistematicamenteperseguito a ogni scala territoriale e livello di governo.
Da quando, nei primianni ’80 si è affermata la nozione che le città non sono altro che delle societàper azioni, che devono porsi sul mercato per competere e attrarre compratori,il mutamento del lessico con sui si parla delle città corrisponde ed èfunzionale allo stravolgimento della democrazia urbana.

I cittadini, inquanto tali, non hanno nessun diritto sulla città. Il diritto deriva dal valoredelle quote azionarie ( beni immobili, attività economiche, grandi eventi ) chesi possiedono o si gestiscono, ed è quindi slegato dal mero fatto di vivere inun luogo. Ne deriva che il compito dei sindaci e delle autoritàlocali non è di tutelare il bene della comunità che rappresentano, ma di agirecome amministratore delegato e consigli di amministrazione di una qualsiasimultinazionale, la cui “mission” è di farsi che la vendita del prodotto, cioè lastessa città, produca sempre maggiori utili e dividendi.

Un decreto da ritirare

Emilio Molinari, Rosario Lembo – il manifesto

Il Senato ha votato la conversione in legge del decreto art. 15 con il quale si privatizzano tutti i rubinetti d'Italia. L'acqua del sindaco, come per anni l'hanno chiamata i lombardi, non c'è più e di questo bisogna ringraziare la classe politica italiana. In particolare un ringraziamento va alla Lega, che con questo voto ha segnato il suo passaggio al sistema economico di potere e ha mostrato quanto il suo federalismo sia puro linguaggio, e altrettanto la decantata partecipazione dei cittadini.

La mobilitazione del movimento, le mail che hanno intasato i computer dei senatori, la presa di posizione di molti sindaci e della regione Puglia, che ha dichiarato di voler assumere la gestione del Servizio idrico integrato, hanno reso meno celebrativo il dibattito al Senato. Per la prima volta i nostri argomenti sono risuonati in quelle aule in modo chiaro e nel Pd si sono sentite voci discordanti da quelle sostenute da sempre in questo partito.

Ma tutto ciò non ha cambiato la sostanza del decreto.

Si è resa obbligatoria la gara, si sono praticamente liquidate le Spa a totale capitale pubblico, si sono generalizzate e affermate le società miste definendo il tetto alla partecipazione pubblica al trenta per cento, facendo cadere così anche l'ultima foglia di fico di qualche amministratore che nel passato ha sostenuto che con il 51% delle azioni il controllo maggioritario del pubblico era assicurato.

Si è introdotta una nuova mistificazione: la possibilità ai comuni di partecipare come «privati» alla prima gara. Si tratta di una cosa paradossale: i comuni sono obbligati a mettere a gara le proprie azioni ma poi possono gareggiare per riprendersele, magari attingendo a prestiti bancari... Incredibile schizofrenia: mentre si afferma definitivamente il primato del mercato, si permette l'estrema finzione di chi, in mala fede, può ancora dire che non privatizza. A ben vedere, questa ipocrita giustificazione è già in circolazione

E' un vizio tipico di una certa politica italiana: perseguire la privatizzazione e negare di averla fatta. Gli amministratori delle regioni - solo per fare due esempi, la Toscana e l'Emilia Romagna - sono stati maestri in tale arte.

Questo decreto segna un passaggio cruciale per la cultura civile del nostro paese e per la sua Costituzione. I Comuni e le Regioni vengono espropriati da funzioni proprie, con un vero attentato alla democrazia. Tutto questo fa dell'Italia l'unico paese europeo che si incammini su tale strada.

Per la stragrande maggioranza dei partiti, questo non è che l'epilogo di una lunga sbornia privatistica, dalla quale solo in Italia sembra non si voglia più uscire, nemmeno davanti all'attuale devastante crisi finanziaria, nemmeno davanti al palese fallimento del neoliberismo Per altri partiti prevale una storica indifferenza per il problema acqua, per i beni comuni e per la difesa delle risorse limitate: prevale l'abitudine, non il pensare.

Ora il decreto va alla Camera: la battaglia perciò non è chiusa.

Vorremmo tuttavia rivolgere un appello a tutti i partiti perché rivedano questo decreto: bisogna ritirarlo, o in ogni caso togliere dal decreto l'acqua per ciò che essa rappresenta. D'altro canto, si sono già tolti alcuni servizi come il gas e si è tolta la liberalizzazione delle farmacie. Vorremmo venisse tolto l'obbligo di privatizzare imposto ai comuni.

E un altro appello, speciale, ai partiti e ai parlamentari che hanno votato contro il decreto e hanno sostenuto i nostri argomenti.

Li ringraziamo, ma vogliamo dire loro che se si vuole fare veramente una battaglia, non basta votare contro in aula. Ci si pronuncia come partito attraverso il segretario nazionale, si dà mandato a tutto il partito di mobilitarsi, si va in televisione o sui media per denunciare ciò che avviene; si informa l'opinione pubblica.

E questo vale per chi sta in Parlamento e per chi è stato messo fuori.

Per i partiti che intendono mobilitarsi il 5 di dicembre contro la politica sociale di Berlusconi, chiediamo di mettere nella piattaforma la questione dei servizi idrici privatizzati.

E infine, un appello particolare va alle organizzazioni sindacali, affinché si pronuncino e si mobilitino non solo per il destino dei lavoratori del settore, ma al nostro fianco, contro quella che si chiama mercificazione dell'acqua, di cui il decreto italiano è un tassello determinante e un precedente gravissimo.

È in ballo la capacità della sinistra di rinnovare i propri paradigmi. Ne va della sua stessa esistenza.

*Sezione italiana del contratto mondiale dell'acqua

L'acqua che scotta

A. Pal. – il manifesto

C'è una questione semplice - ma con un valore culturale immenso - dietro il decreto legge approvato in Senato e che presto arriverà alla Camera. E' possibile oppure no generare profitto utilizzando il bene acqua? Non si tratta solo di capire se il servizio idrico è essenziale, perché su questo sono tutti d'accordo. E' così importante da diventare la frontiera più estrema della speculazione finanziaria, ben oltre i fondi sulle commodities. La questione della gestione delle risorse idriche è il vero punto focale oggi, forse più della proprietà delle reti.

Quello che il governo - e parte del Pd - vuole, è dare in mano alle società per azioni, nazionali o multinazionali, questo in realtà poco importa, la gestione e quindi lo sfruttamento economico della risorsa acqua. E' una questione che ritorna regolarmente sul tavolo della politica dai primi anni novanta in poi, da quando il governo di Giuliano Amato si lanciò sulla strada delle privatizzazioni. Il governo di Silvio Berlusconi tenta oggi di accelerare la stretta privatizzatrice, a colpi di decreto. Potrebbe essere il colpo finale. I comuni proprietari in tutto o in parte del capitale delle società di gestione dovranno vendere le loro azioni in borsa sacrificando gran parte dell'investimento. I soldi ricavati finiranno di nuovo in speculazioni finanziarie; questo almeno è l'intento della finanza internazionale: mettere le mani sull'acqua e nello stesso tempo sui comuni e sulla loro libertà.

La prima tappa è stata l'approvazione dell'articolo 23 bis del decreto Tremonti, lo scorso anno; poi nei giorni scorsi l'articolo 15 del disegno di legge 135 ha completato, almeno per ora, l'opera. L'articolo in sostanza affida la gestione dei «servizi pubblici locali di rilevanza economica» al mercato, pur mantenendo la proprietà pubblica delle reti. Il problema nasce dal fatto che per il governo anche l'acqua ha una «rilevanza economica».

Questa definizione - che implica di conseguenza l'applicazione delle regole della concorrenza e del libero mercato - è stata ben capita negli ultimi quattro anni dalle centinaia di comitati per l'acqua pubblica. E una resistenza silenziosa è nata in tantissime città, dove alcuni consigli comunali hanno inserito negli statuti la dichiarazione che l'acqua non può avere quella «rilevanza economica» che il governo vuole dare per decreto. Una risposta che è nata proprio in quelle città dove l'impatto dei gestori privati o pubblico-privati - come Acqualatina o Acea - ha fatto capire cosa significa la gestione speculativa dell'acqua. Un movimento, questo, che pochissimi giorni fa è stato abbracciato anche dal presidente della giunta regionale della Puglia Nichi Vendola. Con una delibera del 20 ottobre scorso la giunta pugliese ha stabilito due principi fondamentali: l'Acquedotto pugliese dovrà lasciare la forma di società per azioni diventando una azienda di diritto pubblico e dovrà essere preparata una legge regionale dove l'acqua verrà dichiarata un bene comune, senza rilevanza economica.

Il conflitto politico - e costituzionale, visto che si parla di competenze di stato e di regione - si è dunque aperto. Dalla Puglia Nichi Vendola fa sapere con chiarezza che questo punto sarà - come nel 2005 - la bandiera più importante della sua campagna elettorale. Lo scontro sull'acqua non sarà semplice e non avrà come controparte solo il governo e il centrodestra. Subito dopo la votazione della delibera della Regione Puglia per la ripubblicizzazione dell'acquedotto pugliese la componente del Pd che fa riferimento a Massimo D'Alema ha precisato che non è questa la posizione che sosterranno.

Anche l'altro ieri in Senato buona parte del partito democratico ha sostanzialmente accettato l'idea della gestione privata, nascondendosi dietro il principio della proprietà pubblica delle reti.

La risposta all'approvazione dell'articolo 15 da parte del Forum dei movimenti per l'acqua è arrivata più dura che mai. «Se la Camera dei Deputati - scrive il Forum - non ribalterà il misfatto del Senato, davanti agli occhi attenti del Paese si sarà celebrata la delegittimazione delle Istituzioni». Non è in gioco solo la gestione delle risorse idriche, ma, secondo il Forum, la stessa democrazia locale. Secondo diversi giuristi, infatti, la decisione sulla rilevanza economica di un servizio locale spetta costituzionalmente solo ed esclusivamente ai consigli comunali.

Lo scorso marzo la stessa Corte dei Conti della Lombardia, interpellata da alcuni comuni, ha riaffermato la validità di questo principio, rimandando alle autonomie la scelta sulle modalità di gestione del servizio idrico.

La risposta alle scelte del governo verrà prima di tutto dalle quotidiane battaglie per i diritti che le centinaia di comitati in tutta Italia hanno avviato da almeno quattro anni. Nelle due province dove la privatizzazione arrivò per prima - Arezzo e Latina - hanno già sperimentato direttamente l'impatto della gestione privata: tariffe che aumentano anche del 300% e una qualità dell'acqua che diventa insostenibile. La sfida in realtà è già partita da diverso tempo. A Torino a breve il consiglio comunale dovrà discutere la proposta d'iniziativa popolare per la dichiarazione dell'acqua come «bene senza rilevanza economica». Sarà il terreno per un confronto anche all'interno della sinistra, per capire che direzione prenderà il partito democratico guidato da Pierluigi Bersani.

Affari da bere

Vittorio Emiliani - l’Unità

L’acqua potabile è un diritto essenziale per la vita. Così recita la Dichiarazione Universale dei diritti umani. Ma la sua gestione - come quella di altri servizi pubblici – deve essere affidata, secondo il nostro governo di centrodestra, soltanto ai privati. Così si è espresso il Senato, pur essendo stato inserito in commissione un emendamento del Partito Democratico che mantiene ai Comuni la proprietà dell’acqua. In un certo numero di Enti locali le società private si sono già insediate al posto dei tradizionali gestori comunali o consortili e le tariffe dell’acqua potabile hanno registrato impennate vessatorie. L’acqua rischia di essere un business e non, invece, uno dei beni primari da garantire alle popolazioni. Va detto subito che la gestione pubblica dell’acqua non è stata nel nostro Paese esemplare: per demagogia le tariffe sono assai più basse di quelle dei Paesi europei sviluppati e i consumi, in parallelo, molto più alti. Contemporaneamente però consumiamo una quantità incredibile di acqua minerale la quale costa da 500 a 1000 volte di più e “produce” una montagna ingombrantissima di bottiglie di plastica.

Le tariffe pubbliche troppo basse, oltre a indurre gli italiani a consumi molto elevati (293 litri per abitante/giorno contro i 196 della Germania o i 211 della Francia), hanno impedito ai Comuni di investire in modo adeguato nella rete, ridotta, per lo più, ad un colabrodo, con perdite ingentissime.

Inoltre pochi Comuni si sono dotati di stoccaggi di acqua riciclata per le fabbriche e per l’irrigazione (che si prende il 60-70 per cento dei consumi). Lo hanno fatto i Comuni più seri e attenti all’ambiente i quali registrano infatti la virtuosa catena di tariffe non stracciate, consumi privati mediamente più bassi, buona efficienza della rete idrica e disponibilità di acque riciclate o comunque non potabili per usi produttivi. Per esempio a Forlì, a Ferrara, a Pistoia, a Livorno o a Reggio Emilia, dove nel 2005 vigevano le tariffe pubbliche dell’acqua più elevate si registravano consumi per abitante dimezzati nei confronti delle città dove all’epoca si praticavano le tariffe più basse.

Ebbene, col testo di legge approvato, i Comuni potranno d’ora in poi partecipare alle aziende idriche miste al massimo per il 40 per cento, ma senza più gestioni dirette: la privatizzazione della gestione dell’acqua punirà dunque nel modo più ingiusto i Comuni “virtuosi”, quelli che hanno sin qui assicurato servizi adeguati a tariffe non demagogiche, facendo così, in modo equo, l’interesse degli amministrati. Né consentirà una sana competizione, alla pari, fra pubblico e privato. E sì che le prime privatizzazioni hanno già provocato un caro-acqua assurdo. Questo governo è rimasto sordo ad ogni saggio richiamo. A Silvio Berlusconi, in qualunque campo, non importa nulla dell’interesse generale. Gli stanno a cuore i tanti interessi privati e corporativi. Ma i cittadini italiani quando apriranno gli occhi su questa elementare realtà?

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