Appia Antica, ruspe su villa Gaucci
Carlo Picozza – la Repubblica, ed. Roma, 12 agosto 2009
La vegetazione fitta non è bastata a coprire gli abusi edilizi nel cuore dell’Appia antica (al civico 56 di via Erode Attico), consumati nella proprietà di Luciano Gaucci. Così ieri mattina i guardaparco della Regione e gli uomini della task force contro gli abusi edilizi del Municipio XI, hanno abbattuto i due metri di sopraelevazione del fabbricato dell’ex presidente del Perugia calcio.
Tuie, cipressi, pini, alberi da frutta. Ma la vegetazione fitta della macchia mediterranea non è servita a coprire gli abusi edilizi nel cuore dell’Appia antica (al civico 56 di via Erode Attico), consumati nella proprietà di Luciano Gaucci, già patron del Perugia calcio, riparato nei villaggi turistici che a Santo Domingo ha concorso a edificare, per scansare la giustizia italiana.
Un taglio netto di cesoie alla catena che teneva serrato il vecchio cancello arrugginito e i guardaparco della Regione, gli uomini della task force contro gli abusi edilizi del Municipio XI guidati da Massimo Miglio, operai e mezzi, hanno fatto irruzione in quell’oasi verde macchiata di cemento. Trovando, con i due metri di elevazione abusiva del fabbricato centrale, pollai fatiscenti, baracche improbabili (adibite a ricovero di materiale edile pronto per la messa in opera), spciati nella domanda di sanatoria come residenze e pertinenze edilizie. «Cinque opere abusive che, senza il nostro intervento, sarebbero state condonate», commenta Miglio, che dirige in Regione l’ufficio contro gli abusi edilizi.
Ma sul blitz, è già polemica. «La demolizione nel parco dell’Appia antica», per il vicepresidente della giunta regionale, Esterino Montino, «prova che la collaborazione tra istituzioni dà risultati eccellenti in tempi rapidi. Anche sotto ferragosto». Lo dice lanciando un appello al Comune di Roma, grande assente dall’operazione di cancellazione degli scempi: «Questa collaborazione» argomenta, «potrebbe estendersi alla città tutta perché non c’è intento alcuno della Regione contro il Comune di Roma». Pronta la replica dell’assessore capitolino all’Urbanistica, Marco Corsini che, dopo i ringraziamenti di rito, critica: «Per la lotta all’abusivismo edilizio servono fondi: la Regione metta a disposizione maggiori stanziamenti per contribuire a combatterlo». «La giunta Alemanno», spiega Corsini, «è impegnata nell’azione di contrasto degli illeciti edilizi: ogni aiuto è ben accetto, nel rispetto delle competenze, ma senza puntare a riciclare qualcuno e a screditare l’Amministrazione capitolina».
Corsini si riferisce a Miglio, il supertecnico allontanato dal Comune e recuperato dalla Regione. Ma il suo intervento è giudicato «animoso» da Montino che invita a «stare ai fatti»: «Le risorse per la lotta all’abusivismo bisogna impegnarle prima di chiederne altre. Comunque, il costo finale degli abbattimenti è a carico di chi ha consumato l’abuso». Montino si sofferma sulla «qualità degli abusi edilizi»: «Spesso» dice, «germogliano nelle aree di maggiore pregio urbanistico-ambientale, per mano di cittadini che non hanno un fabbisogno abitativo primario. Si tratta di speculazioni belle e buone per lucrare sul patrimonio ambientale, e anche su quello archeologico, in barba al diritto degli altri di goderne. A Roma, come nelle aree più incantevoli della Regione ci sono grandi appetiti che devono essere contrastati senza indugi né polemiche».
"Una campagna sostenuta dai cittadini, contro gli sfregi alla Regina viarum"
Intervista a cura di Carlo Picozza – la Repubblica, ed. Roma, 12 agosto 2009
«Cancelliamo abusi edilizi nel cuore dell’Appia Antica scoprendone altri, mentre le ruspe sono al lavoro, ma con questa giunta del Comune ci sembra di combattere una guerra stellare con l’alabarda».
Andrea Catarci, presidente del Municipio XI, però non si rassegna.
Mentre gli operai stanno abbattendo la sopraelevazione di due metri della costruzione di proprietà di Luciano Gaucci, Catarci guarda alla «campagna di demolizioni di opere abusive lanciata dal Municipio con un sostegno vasto dei cittadini e delle loro associazioni ambientaliste, da Italia nostra a Legambiente». «Con risorse economiche negate dal Comune», scandisce deciso, « ci muoveremo con le nostre forze».
Perché, la giunta comunale vi ostacola?
«Sì, non ha riconosciuto al Municipio le risorse finanziarie per la lotta all’abusivismo e, quando l’abbiamo chiamata in causa segnalando illeciti come questo, ci ha risposto, con l’assessore all’Urbanistica Marco Corsini, che si trattava di episodi di "importanza trascurabile". D’altro canto la giunta Alemanno, di demolizioni ne ha già fatte di "importanti", prima tra tutte quella dell’ufficio contro gli abusi edilizi del Comune decapitandone, con il vertice, gli obiettivi e l’impronta. Siamo stati noi a servirci della competenza di Massimo Miglio, ex responsabile di quel Servizio, e a rimetterla in circolo, al servizio della città».
L’ufficio capitolino contro gli abusi edilizi, però, è rimasto.
«Certo, ma ha stretto i cordoni della borsa tenendo per sé tre milioni di euro e lasciando a secco i Municipi che combattono contro abusi devastanti con risorse e mezzi scarsi. Il Campidoglio si è prodigato più a intimidire i tecnici dei Municipi con la richiesta di improbabili motivazioni agli abbattimenti, che a sostenere la loro opera di governo del territorio per la tutela del suo patrimonio. L’intervento di oggi è stato eccezionale perché, mentre si abbatteva una sopraelevazione abusiva, abbiamo scoperto altri cinque manufatti clandestini, residenze sulla carta, pollai veri e propri, per di più fatiscenti per chi ha la possibilità di vederli. Anche per questi manufatti giaceva negli uffici comunali la domanda di condono contro la quale il Municipio ha già chiesto la bocciatura. Continueremo a perlustrare l’Appia antica e a difenderla da voracità e istinti di espansione».
Appia Antica, sorvegliata speciale. Operazioni anti-abusi: accordo tra Regione e soprintendenza
Carlo Alberto Bucci- la Repubblica, ed. Roma, 15 agosto 2009
Un patto tra Regione e Soprintendenza per fermare gli scempi sull’Appia antica, l’area più vincolata d’Italia dove però sono stati rilevati oltre 2.500 abusi edilizi. L’assessore regionale all´Urbanistica Esterino Montino nei giorni scorsi ha proposto al soprintendente Angelo Bottini un accordo per l’impiego sul territorio del Parco della sua squadra anti abusivismo. La firma del protocollo potrebbe arrivare già alla fine del mese. E nei prossimi giorni, annuncia Montino, «realizzeremo altre demolizioni come quella del piano abusivo nella villa di Gaucci».
Le forze di opposizione all’assalto del cemento all’Appia Antica hanno finalmente iniziato a fare quadrato. «Nei prossimi giorni realizzeremo altre demolizioni come quella nella villa di Gaucci appena eseguita» annuncia Esterino Montino, assessore regionale all’Urbanistica. Che aggiunge: «A settembre entrerà a far parte del nuovo sistema anti-abusi edilizi anche la Soprintendenza archeologica». Così, dopo le diversità d’opinione con il ministero Beni culturali che ha posto vincoli paesaggistici nell’Agro romano, la Regione ora stringe alleanze con lo Stato per difendere il parco dell’Appia Antica (l’area più vincolata d’Italia) da circa 2500 abusi edilizi.
Nei giorni scorsi Montino ha spedito agli uffici del soprintendente Angelo Bottini una proposta di accordo mettendo a disposizione - come ha già fatto nei confronti del I e dell’XI municipio con la firma dell’intesa di luglio - la squadra anti abusivismo regionale: 18 persone, guidate da Massimo Miglio, che grazie a una legge regionale del 2008, possono intervenire con le ruspe laddove i Comuni non lo fanno; oppure su richiesta esplicita delle amministrazioni locali.
Gli archeologi statali sono d’accordo e firmeranno presto il protocollo d’intesa. Entusiasta anche Adriano La Regina, presidente del Parco regionale dell’Appia Antica: il quinto "giocatore" del nuovo team anti scempio nella Regina viarum; e poiché l’ex soprintendente di Roma è anche consulente della Sovrintendenza comunale, c’è da sperare nei suoi buoni uffici per coinvolgere il Campidoglio nella partita. «Ho fatto un pubblico appello al sindaco Alemanno e all’assessore Corsini per estendere questi interventi in tutta la città» spiega Montino. Il vicepresidente della giunta è certo che «la collaborazione con le istituzioni è fruttuosa». E che a settembre «il consiglio voterà finalmente il "piano di assetto" del parco che porterà allo spostamento delle attività produttive oltre il Gra».
La task force che deve controllare 3500 ettari di parco è composta, tra l’altro, da 16 guardiaparco regionali, 5 archeologi statali, 2 dei 7 vigili urbani dell’XI gruppo addetti all’edilizia. Non è molto ma il coordinamento fa la forza. «Nell’ultimo anno - sostiene Montino – c’è stato un vuoto politico nella lotta all’abusivismo. L’aggressione ha fatto un salto di qualità: non abusivismo di necessità, ma lo scempio tra le mure di case lussuose e ville faraoniche e in zone di altissimo pregio come il centro storico, l’Appia, il Litorale».
Rita Paris l’archeologa responsabile della zona: "C’è il rischio Piano casa"
Intervista a cura di Carlo Alberto Bucci - la repubblica, ed. Roma, 15 agosto 2009
«La proposta di accordo della Regione è sul nostro tavolo, il soprintendente Bottini ne ha preso atto "con soddisfazione" e anche io sono contenta di questa intesa che coinvolge anche il I e l’XI municipio: a fine mese firmeremo il protocollo» dice Rita Paris, l’archeologo dello Stato responsabile della Regina viarum.
Voi continuerete a segnalare gli abusi, loro interverranno più rapidamente. Ma anche sugli scempi meno recenti?
«Su tutti, indipendentemente dalla data. Eccezion fatta per gli abusi per i quali è stato chiesto il condono edilizio».
Ora non ci sono altre sanatorie in vista. Eppure sembra che siano aumentati gli illeciti anche nell’area super vincolata dell’Appia antica. Le risulta? E perché?
«Purtroppo è vero. Ed è stato il "Piano casa" del governo che, sebbene non riguardi in nessun modo le aree protette, ha risvegliato molti appetiti».
I condoni, veri o presunti, sono il cancro dell’Appia antica.
«Sì, Roberto Cecchi (neo commissario per l’archeologia romana, ndr) si è detto letteralmente "sconcertato" dopo aver letto la nostra relazione: ci sono tutti i tipi di vincoli, però qui si continuano a fare abusi di ogni sorta».
Il parco è per il 95 per cento in mano ai privati.
«Sono molti i proprietari che rispettano le regole e che, con la buona manutenzione del verde, fanno un servizio prezioso per la collettività. Però lo Stato deve aumentare la percentuale di proprietà pubblica e investire nella conservazione e negli scavi archeologici».
Nei ricorsi spesso però il Tar vi dà torto. Perché?
«Perdiamo per cavilli burocratici impugnati dagli avvocati. I giudici amministrativi dovrebbero però capire che ci vuole una visione più ampia del problema. La posta in gioco è la salvaguardia di un bene pubblico di immenso valore: l’Appia».
Non basta il lavoro dei guardiaparco che vigilano nel parco della «Regina Viarum ». E non basta neanche il controllo dei tecnici del Municipio. Sono oltre duemilacinquecento gli abusi edilizi, quindi i fascicoli aperti negli uffici dell’XI municipio, sull’Appia Antica e che si dovrebbero sanare con l’abbattimento.
Una tendenza in continua crescita, visto che solo dal 2007 le opere illegali sulla «Regina Viarum» sono state oltre cento. «Situazioni che stiamo analizzando per capire la gravità e per decidere in che modo possiamo intervenire », racconta Andrea Catarci, presidente del Municipio. «Parliamo ovviamente di illegalità di vario tipo - spiega Massimo Miglio, dirigente dell'ufficio regionale sull’abusivismo edilizio - che vanno dai passi carrabili, alle ristrutturazioni, dalle sopraelevazioni ai cambi di destinazione d’uso». Abusi e microabusi che gravano su una delle strade più «pregiate» del mondo, nonostante i vincoli paesaggistici ed archeologici che dovrebbero proteggerla. Ma è proprio la sua storia millenaria a rendere più facile gli illeciti edilizi, nascosti dietro giardini alberati, monumenti funerari e pietre miliari.
«Proprio per la tipologia della zona - racconta Catarci - completamente all’interno di un parco, una grande area archeologica e paesaggistica dove è facile nascondere gli abusi. Una tendenza che secondo i nostri accertamenti è in continuo aumento, e che noi vogliamo contrastare attraverso una meticolosa operazione di controllo e prevenzione ». Per questo motivo, mentre la Capitale si godrà il silenzio e il riposo della settimana di Ferragosto, la task-force antiabusivismo guidata da Massimo Miglio (è stato il vicepresidente della Regione Lazio, Esterino Montino a dargli la delega a lavorare con i municipi), in collaborazione con Andrea Catarci e Orlando Corsetti (I municipio) si prepara a fare un lavoro di ricognizione completa sull’Appia Antica. E probabilmente proprio sotto il sole agostano qualche veranda abusiva o qualche ampliamento di metratura non consentito sarà demolito.
«Abbiamo duecento richieste di condono - continua Miglio - che impediscono controlli, ma anche eventuali demolizioni, anche su strutture per cui sarà impossibile alcuna sanatoria. Come ad esempio l’ex-Casa del Fascio, di via Appia Nuova, all’interno del Parco dell’Appia Antica, dove hanno ricavato 18 miniappartamenti. Un frazionamento illecito, un cambio di destinazione d’uso che ha provocato il sequestro da parte della Procura di Roma».
Oltre il 70% degli abusi all’interno del Parco e sull’Appia Antica pesano sull’XI municipio. «E la responsabilità penale della materia è tutta in capo ai Municipi - precisa Catarci - per questo abbiamo chiesto 50 mila euro al bilancio di assestamento capitolino: non abbiamo ricevuto nulla, ma in ogni caso dobbiamo continuare il nostro lavoro di controllo e prevenzione sul territorio. Fondamentale sia per ristabilire la legalità urbanistica e quindi il decoro di una zona di altissimo pregio. Sia per dissuadere in futuro altri dal commettere irregolarità».
Per intervenire nei confronti di un abuso edilizio il Municipio ha due strade: l’intervento diretto, oppure può rivolgersi all’ufficio regionale, ma solo dopo aver dimostrato l’eventuale inadempienza del Comune di Roma. «Per operare in questo delicatissimo settore - conclude Miglio - è molto importante conoscere l’urbanistica che è materia davvero complicata. La città di Roma è ormai fuori controllo urbanistico, ma manca una visione puntuale del territorio, bisogna tornare ad occuparsene ».
Appia Antica, ultimo sfregio due capannoni sulle antiche ville
Carlo Alberto Bucci – la Repubblica, ed. Roma
In quel campo che copre qualche villa agricola romana dell’Appia antica, senza permesso non si potrebbe piantare nemmeno un albero ad alto fusto. Invece nel verde di Torricola, tra la strada di basole e il Fosso delle Cornacchiole, sono spuntati da un giorno all’altro due capannoni. Industriali. In acciaio. E completamente illegali.
La scoperta l’hanno fatta i funzionari della Soprintendenza archeologica e i vigili urbani dell’XI Municipio. Che ieri non sono nemmeno potuti entrare nell’area vincolata. Semplicemente perché non gli hanno aperto. "Non si può più tollerare questo scempio" denuncia Rita Paris, l’archeologa della Soprintendenza responsabile dell´area. "Nel parco dell´Appia dall’88 c’è un vincolo archeologico che vieta costruzioni anche di carattere provvisorio. Quante ne abbiamo visti di tendoni o di serre che poi sono diventati supermercati o ville in muratura". Il carattere agricolo delle tenute Torricola e San Cesareo va rispettato, mantenuto, rilanciato. Esiste un piano del parco e uno paesaggistico che devono solo essere integrati, quindi applicati. In attesa, l’abusivismo dilaga.
COMUNICATO della SOPRINTENDENZA SPECIALE per i BENI ARCHEOLOGICI di ROMA
Appia Antica: segnalazione abusi in località Torricola di elevato interesse archeologico e all’interno del Parco Regionale.
La proprietà ex Borgia (Nicolò) ora in affitto alla Società SARV srl di Antonio Bucarelli è compresa in un vasto pianoro delimitato dalla via Appia Antica, dal Fosso delle Cornacchiole, costituito dal banco di selce della colata lavica di Capo di Bove che disegna la morfologia e l’assetto di tutto l’ambito territoriale dell’Appia.
La zona, con vincolo archeologico del 1988, riconosciuta dal PRG come zona N (parco pubblico di straordinario interesse archeologico, storico, ambientale, paesaggistico) conservava fino agli anni ’70 il suo carattere agricolo, occupata per la maggior parte dalle Tenute di Torricola e di San Cesareo; nel 1988 è stata ricompresa nel Parco Regionale dell’Appia Antica.
Le costruzioni a carattere abitativo attualmente esistenti sono dovute a trasformazioni di manufatti agricoli (stalle, ricoveri di vario genere per la conduzione di attività agricole e pastorali) ai quali si sono aggiunti nuovi edifici per ampliare la destinazione residenziale.
Le prescrizioni del vincolo di tipo "indiretto" fanno divieto di realizzare costruzioni anche a carattere provvisorio, di piantare alberature di alto fusto, in quanto incompatibili con le esigenze di luce, prospettive e godimento dei monumenti dell’area e del contesto ambientale , con l’obiettivo di conservare quei caratteri del territorio che, dall’antichità, sono rimasti immutati con la vocazione insediativa ad uso preminentemente agricolo e pastorale ripresa dai casali storici di San Cesareo e Casale Tittoni.
Alle già gravi trasformazioni e alterazioni che quest’area ha subito si aggiunge ora un nuovo sfregio: sono stati realizzati due grandi capannoni per centinaia di metri quadri, non precisamente quantificabili in quanto non è stato concesso l’accesso per la verifica né alla Soprintendenza, né ai Vigili del Gruppo Edilizia XI Municipio. Già da anni erano stati bloccati tentativi di edificazioni e recinzioni, piantumazioni e scavi per tubature di acqua. Tutto sempre senza chiedere la preventiva autorizzazione agli Enti di tutela.
Questo ennesimo tentativo di abusare di un territorio che dovrebbe essere un parco archeologico e ambientale, che ha visto decenni di impegno per la sua salvaguardia da parte di personaggi come Antonio Cederna, qualora non perseguito, costituirebbe un ennesimo gravissimo precedente per comportamenti contro il rispetto delle leggi. Tutto questo accade nel momento in cui le Istituzioni coinvolte stanno concludendo, con enorme impegno, i lavori per dotare il Parco dell’Appia di un Piano che costituisca il riferimento certo e definitivo per questo territorio tanto pregiato quanto tormentato.
ROMA - Era il grande sogno di Antonio Cederna, firma storica dell’ambientalismo italiano e in particolare del nostro Gruppo editoriale. Il super-parco dell’Appia Antica, cioè l’ampliamento del parco archeologico e paesaggistico più famoso del mondo, fu varato il 9 settembre 2005 dalla giunta regionale, presieduta allora come oggi da Piero Marrazzo. E la proposta dell’assessore all’Ambiente, Angelo Bonelli, venne approvata successivamente anche dal Comune e dalla Provincia, guidati rispettivamente da Walter Veltroni e da Enrico Gasbarra. Ma a distanza di oltre tre anni il progetto è ancora sulla carta, nei cassetti o negli archivi della Regione Lazio. Il sogno di Cederna rischia così di svanire nel dimenticatoio del Malpaese, sotto una colata di cemento che già s’annuncia alle porte. Se la proposta finalmente non diventerà legge, in mancanza o nel vuoto di un vincolo regionale, presto le amministrazioni comunali di tutta la zona potranno autorizzare l’edificazione di oltre un milione di metri cubi: e perciò i comitati popolari del Colle della Strega, dove ne sono previsti circa settantamila per costruire due palazzoni di sei piani ciascuno, sono tornati in strada per protestare contro questa minaccia incombente.
Con l’ampliamento di 1.600 ettari, dagli attuali 3.400 a 5.000, il polmone verde dell’Appia Antica è destinato a collegare il cuore imperiale di Roma con i Castelli Romani, dalle Terme di Caracalla fino al santuario del Divino Amore a Castel di Leva. Nei nuovi confini del parco, dovrebbe rientrare dunque anche il territorio di Tor Fiscale, attiguo all’area degli Acquedotti immortalata nei dipinti di tanti artisti italiani e stranieri nel corso dei secoli. Fu proprio dalle pagine di Repubblica che a suo tempo anche l’ex sovrintendente, Adriano La Regina, aveva chiesto di tutelare le preziose testimonianze archeologiche di epoca romana e preistorica, disseminate in un variegato sistema ecologico composto da bosco, sottobosco, pascolo brado, querceti, lecceti e olmi campestri: l’habitat naturale in cui trovano riparo 37 specie di uccelli, otto di mammiferi, quattro di rettili e tre di anfibi.
Sono sei le aree interessate al progetto di ampliamento: da Porta San Sebastiano, 33 ettari del centro storico di Roma, al Campo Barbarico con i sei acquedotti più importanti degli 11 che rifornivano Roma in età imperiale, convogliando gran parte delle 13 tonnellate d’acqua al secondo distribuite in città; dalle Capannelle, dove si trova l’Ippodromo, al fosso delle Cornacchiole particolarmente ricco di vegetazione; dalla Cecchignola e dal Colle della Strega fino al santuario della Madonna del Divino Amore, luogo di culto e méta di pellegrinaggio. «È un patrimonio storico e culturale, oltre che ambientale e paesaggistico, di straordinaria importanza anche dal punto di vista turistico», sottolinea ora con preoccupazione l’ex assessore Bonelli.
Nel settembre 2005, la sua proposta fu approvata all’unanimità. E a quell’epoca lo stesso presidente Marrazzo dichiarò trionfalmente: «È un altro passo verso la costruzione di un sistema integrato di parchi e riserve che dovrebbe avvolgere Roma come una cintura verde, garantendo quell’equilibrio tra zone urbanizzate, agricole e naturali che da sempre caratterizza la città e tutta la zona dell’antica campagna romana». Ma da allora a oggi sono passati ormai più di tre anni.
Nonostante il ritardo, e il pericolo che nel frattempo si lascino scappare i buoi prima di chiudere la stalla, alla Regione Lazio confermano tuttavia l’intenzione di andare avanti. «C’è un accordo politico - assicura l’attuale assessore all’Ambiente, Filiberto Zaratti - per procedere in tempi rapidi: il Parco dell’Appia Antica resta per noi una priorità». Lui stesso non nasconde però le difficoltà e le resistenze opposte soprattutto dai Comuni di Roma e di Marino, interessati a fare cassa con le licenze edilizie: per quanto riguarda la Capitale, si tratta di 72 mila metri cubi al Colle della Strega che potrebbero anche essere “delocalizzati”, concessi cioè altrove; nel secondo caso, invece, si parla addirittura di due milioni di metri cubi e la partita diventa perciò molto grossa. Dall’approvazione in giunta al voto definitivo del Consiglio regionale, il passo quindi non sarà né breve né facile.
Una Ztl speciale per l’Appia Antica. "Dopo porta San Sebastiano si crea un imbuto d’auto, i turisti non possono neanche camminare. Mettiamo anche nel Parco le telecamere della ztl consentendo l’ingresso solo ai visitatori, ai clienti dei ristoranti, a chi ci lavora, ai residenti e ai loro ospiti. Così elimineremo il 90 per cento del traffico di attraversamento, di chi usa il Parco per andare da Ciampino al centro. E restituiremo all’Appia i caratteri propri di un parco cittadino". È la proposta che ieri il presidente dell’Ente Parco, Adriano La Regina, ha messo sul piatto del tavolo sulla Regina viarum convocato dall’assessore comunale alla Cultura Umberto Croppi. Che giudica "ottima" l’ipotesi della Ztl: "La regolamentazione del traffico nei 3500 ettari del parco è uno dei punti che toccheremo nella Road map di rilancio dell’antica consolare". E il 30 gennaio Croppi si impegnerà "fortemente" per inserire la "questione Appia" tra le priorità del "tavolo su Roma" che il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro coordinerà tra Stato e Campidoglio: riconoscere l’unità esistente tra Appia e area archeologica centrale (la Regione vuole estendere il perimetro del Parco fino a porta Capena) significa estendere i finanziamenti straordinari anche oltre porta San Sebastiano.
È proprio nel primo tratto dell’Appia che si concentrano due dei molti problemi: il traffico asfissiante (circa 2000 auto l’ora nelle ore di punta) e il muro invisibile (come quello vero, ai Fori, tra Stato e Comune) tra i monumenti gestiti dai vari enti. "Dobbiamo mettere a sistema alcune risorse ignorate dal circuito turistico, a partire da Porta San Sebastiano dove c’è il Museo delle Mura Aureliane, che è comunale e sempre deserto" ha spiegato Croppi. L’assessore punta molto a rilanciare l’economia verde del parco, attraverso agriturismo nei casali e agricoltura ecologica. "Tutto ciò è già compreso nel "Piano di assetto", che è anche di gestione, redatto dal Parco e in attesa di approvazione, con quello paesaggistico, da parte della Regione", ha sottolineato la direttrice del Parco Alma Rossi.
All’incontro era presente anche la Fondazione Gerini, istituzione dei Gesuiti che possiede 400 ettari e 20 casali. E c’era, tra gli altri, la responsabile per l’Appia della Soprintendenza statale, Rita Paris. "Se potessimo finalmente smettere di occuparci dei continui abusi, potremmo tutti insieme pensare alla valorizzazione dell´area che passa anche, eliminato il traffico di attraversamento, per un migliore trasporto pubblico". L’archeologa ha un’idea per l’Appia antica, quella fatta di antiche basole e sampietrini. "Va restaurato innanzitutto il tratto rovinato dagli alberi caduti col maltempo. E va istituita una navetta bus che percorra ininterrottamente la strada portando i turisti da Cecilia Metella ai Quintili, agli agriturismo".
Hanno appena finito di parlare i rappresentanti del Ministero, il Direttore generale ed il Soprintendente e c’è un imbarazzo palpabile, nell’aria umida di questa mattina di mercoledì 12 novembre. Certamente molta contentezza. Nella Villa Capo di Bove, al numero duecentoventidue della via Appia Antica, tre piani con giardino impastati di storia (nel senso letterale del termine), si celebra la vittoria del pubblico sulle private esigenze. Quelle della Roma mattonara con la passione dell’antiquariato che in questa villa, una mattina d’agosto del 2002 prese le valige e sparì. Della misteriosa chiamata che avvertì le soprintendenze della compravendita in atto e consentì allo Stato italiano l’esercizio del diritto di prelazione. Il resto è lieto fine. Una vittoria da respirare a pieni polmoni, senza se, senza ma, e senza anche. Mi aggiro tra le stanze della villa tra colonne di spoglio, mattoni, fregi altomedievali: qui tutto proviene da sottrazioni illecite alla regina viarum e probabilmente anche da oltre. Un amico del nucleo tutela dei Carabinieri oggi sembra un bambino in un grande negozio di giocattoli. Mi addita un fregio dei Borgia incastonato in un muro della villa come una mandorla nel torrone di natale. Intorno è un tripudio di archeologia bricolage.
A far parlare i muri dei “ canili di lusso dell’Appia Antica” penseranno ora però gli articoli, i libri e gli scritti privati di Antonio Cederna che dopo tante peregrinazioni, trovano definitiva ospitalità in questa sede che regala ai visitatori l’unico cancello aperto nel raggio di decine di ville. Anche loro, le ville di questa immensa consolare, una dopo l’altra come grani di un rosario interminabile, sono lì a ricordarci la carrellata delle occasioni mancate per istituire quel che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dei padri fondatori, il Parco archeologico-naturalistico più grande ed importante d’Italia. Nulla di ciò. l’Appia Antica è ancora un parco regionale, con tutti le limitazioni e gli accidenti di una forma amministrativa forse troppo leggera per un territorio così grande e delicato. In molti tratti l’Appia ricorda una bel-hair nostrana perennemente in bilico tra tradizione e devastazione. Così, si procede ancora nel crepuscolo. Dispiaceri per chi aspettava dai rappresentanti del Ministero, nel giorno della revanche cedernista, parole come bronzo fuso per sigillare patti e promesse. Illuso chi fidava nell’evento come occasione per teorizzare una Bad Godesberg ambientalista della tutela. La musica del Ministero dei beni culturali suona da qualche tempo le stesse note: Stato leggero (diciamo in ritirata), mettere “a reddito”, valorizzare, coinvolgere i privati, Fondazioni, Regioni, comuni… e nel sempre più confuso lessico italiano della tutela, lo spauracchio ”esproprio pubblico” evocato come errore grammaticale grave, da matita blu. Dunque un impiastro di cose ed Entità così eterogenee e conflittuali da far invidia ai muri perimetrali delle ville dell’ Appia Antica.
Quando ti saresti aspettato la proposta più logica e più semplice (quanto di più appropriato all’illuminista Cederna, uomo della modernità), cioè finalmente il parco nazionale, ecco il Direttore Generale dei Beni archeologici d’Italia De Caro, invocare ora il Turco (“basta associare la tutela dell’Appia con lo Stato italiano, dobbiamo coinvolgere anche l’Europa e la Turchia in un grande parco europeo”), ora quella riedizione benculturalista della Società delle Nazioni chiamata Unesco (“Sarà difficile, poiché l’Italia ha già fatto il pieno di siti ma faremo di tutto per far inserire l’Appia Antica tra i siti Unesco”). Ignora il De Caro evidentemente, che in Italia la protezione Unesco ha la cogenza normativa di salvaguardia del bollino blu appiccicato alle note banane.
Non migliora la situazione quando a prender la parola tocca ad Umberto Broccoli, una vita a metà tra l’archeologia medievale e la Rai, ora nuovo Sovrintendente di Roma (a Roma, unica in Italia, c’è una Soprintendenza con la “v” nominata dal Sindaco).
Chi abbia sin qui seguito le prime uscite pubbliche del nuovo Sovrintendente avrà riconosciuto un canovaccio retorico chiaro: si comincia soft, si omaggia Cederna, si accarezza Italia nostra, e ci si irrigidisce pian piano… con finale rossiniano a colpi di piatti, grancassa e “ Bisogna mettere a reddito! Bisogna mettere a reddito i beni culturali, lo dico un’altra volta: Bisogna far rendere il nostro patrimonio!”. Forte e chiaro Maestro. C’è tempo per sentir paragonata la romana Tor dei Conti ad “ un grattacielo medievale”(sic!) con la proposta di creare nel suo ventre “ librerie specializzate su Roma ed all’ultimo piano un ristorante od un caffè letterario”..Telesogni. Abbasso lo sguardo come molti e mi occhieggia dalla pagina del giornale di oggi, una bella foto di Antonio Cederna. Sorride diritto in faccia alla camera, è una giornata di sole nella sua Appia antica, la figura magra, il volto affilato, tagliente come la sua penna, seduto pigramente sopra un “rudero” immerso in un mare d’erba. Sembra lui il genius loci dell’Appia ma forse, e sorrido anch’io nonostante Broccoli, somiglia più ad uno di quei piccoli e semplici volatili tanto cari agli antichi greci ed ai romani, capaci di vedere nell’oscurità e di indicare a tutti gli uomini di buona volontà il giusto sentiero che passa quasi sempre per Ragione e ragionevolezza. C’è ancora molto bisogno di Antonio Cederna, vedere per credere.
L'archeologa Rita Paris, responsabile per l'Appia antica della Soprintendenza di Roma, interviene sul caso della villa-scempio descritto ieri da Repubblica. Racconta di aver subito «pressioni di ogni genere» in seguito alla prelazione che ha esercitato sulla tenuta messa in vendita dai Salabè. «Premetto che lavoro sulle pratiche e non contro le persone. E che non ci stiamo accanendo contro i privati, poiché attuiamo la prelazione solo nei casi di vendita spontanea».
Così è stato per la Villa dei Quintili. E con i Salabè?
«Nel giugno 2001 la Frasa dei Salabè ci ha notificato - dato che tutta l'area è vincolata dal 1995 - che mettevano in vendita la proprietà. Ma la vendita è stata realizzata pochi giorni dopo a vantaggio della società Posta del Borgo, di Andrea Meschini, senza rispettare i 60 giorni di tempo previsti dalla prelazione. Da quel momento, è iniziata una vera battaglia».
Con quali armi?
«Le mie armi sono state ore e ore alla scrivania, nel rispondere a infondate e diffamanti dichiarazioni, per spiegare le ragioni delle azioni mirate esclusivamente a tutelare e acquisire al pubblico parti del parco dell'Appia. Loro, hanno prodotto una serie interminabile di ricorsi e sono intervenuti presso i miei superiori con i quali ho dovuto giustificare il mio operato. E ci sono state due interrogazioni parlamentari, del senatore della Margherita Giuseppe Vallone, relative a questa prelazione ma anche a quella di Capo di Bove, di proprietà fino al 2002 della famiglia Streccioni».
Cosa volevano sapere?
«Mi hanno chiesto perché lo Stato fosse interessato a queste proprietà. Perché? Siamo nella tenuta della Farnesiana, che il Piano di assetto del Parco regionale dell´Appia Antica prevede diventi tutto di proprietà pubblica. E a Capo di Bove a fine ottobre apriremo completamente al pubblico, gratuitamente, la villa grande, e renderemo consultabile l´Archivio di Antonio Cederna».
C'è un errore nel vincolo della proprietà già dei Salabé?
«Il vincolo fu notificato alla Frasa su tutte le particelle catastali. Ma all'Ufficio del registro fu fatto un errore materiale per cui, su alcune particelle, il vincolo è stato riportato alla vecchia proprietà, la Farnesiana srl».
Poi ci sono gli abusi edilizi, inizialmente condonati. Perché?
«Un mese prima dell'atto di vendita, L'Ufficio condono edilizio del Comune ha rilasciato concessioni edilizie in sanatoria ma senza consultare il parere delle due Soprintendenze, l'archeologica e la monumentale. Dopo varie mie segnalazioni, e riscontrato l'errore, le concessioni in sanatoria sono state ritirate».
Cosa chiede al Demanio?
«Di acquisire rapidamente l'area utilizzando i 425mila euro pronti dal 2001. Non verranno spesi tutti, perché su alcune particelle catastali c'è stato l'errore di registrazione. Ma quando entreremo in possesso di quelle vincolate, potremo provvedere alla demolizione degli abusi che vi si trovano».
Appia, la villa-scempio degli 007
Alberto Custodero – la Repubblica, ed. Roma, 30 agosto 2008
È da sette anni che la Soprintendenza archeologica tenta di acquistare dalla società Frasa di Adolfo Salabè (l’architetto balzato agli onori delle cronache negli anni 90 perché coinvolto nello scandalo dei fondi neri del Sisde), una tenuta nel cuore dell’Appia Antica. È il pezzo mancante del puzzle per fare di quell’area del Parco fra la colata lavica di Capo di Bove e il sepolcro di Cecilia Metella un unico luogo aperto al turismo in cui storia e natura si sposano felicemente. Gli uffici del ministero dei Beni Culturali ci stanno provando, ma non ci sono ancora riusciti perché i proprietari le hanno tentate di tutte pur di non cedere il complesso immobiliare allo Stato che vanta il diritto di prelazione.
Quella tenuta del contendere di 30 mila metri di terreno con edifici al suo interno quasi tutti abusivi (negli anni Cinquanta c´era una cava di basalto), si trova in via Ardeatina 285. Là, in quei locali lontani da occhi indiscreti, negli anni Novanta furono ospitati gli archivi degli 007, in attesa che la sede dei servizi segreti di Monte Oppio venisse ristrutturata dalla Frasa dei fratelli Salabè.
La contesa fra i Beni Culturali e i Salabè è la più lunga del genere. Senza contare che la direttrice della Soprintendenza, Rita Paris, è stata in questo tempo sottoposta a pressioni di ogni genere. E’ la stessa Paris a denunciarlo a Repubblica: «In tutti i modi - ha dichiarato - hanno tentato di impedirmi di acquisire quell’area nella disponibilità del Parco. Ho subìto pressioni di ogni genere. Due interrogazioni parlamentari hanno messo in cattiva luce la mia iniziativa. E c’è chi ha provato - senza ovviamente riuscirci - a corrompermi».
Questa strana storia ha inizio l’11 giugno del 2001 con un giallo, quando, nell’ufficio del notaio Giancarlo Mazza (il professionista arrestato quest´anno per una serie di truffe), vengono redatti, a distanza di 4 giorni, 2 misteriosi passaggi di proprietà. Nel primo, la Frasa dei Salabè vende il complesso immobiliare di via Ardeatina ad un’altra società di famiglia, la Cober. I Salabè vendono a se stessi. Nel secondo, la Cober cede il tutto alla società locataria, la Posta del Borgo dell’immobiliarista Andrea Meschini. Ma quei due atti contengono una stranezza, e una irregolarità. È strano, infatti, che nello stesso rogito siano stati dichiarati 2 prezzi di vendita differenti. «Il prezzo convenuto - si legge negli atti - è di 425 mila euro, ma il valore dichiarato dalle parti, ai soli fini fiscali, è di un milione e 380 mila». Perché questa differenza di valore? Per legge l’imponibile fiscale è solo la somma di denaro transitata fra le parti. Perché dichiararne un altro, è per di più di un ammontare superiore? Dopo questa stranezza, l’irregolarità.
Nonostante nello stesso rogito si concedano 2 mesi di tempo ai Beni Culturali per esercitare il diritto di prelazione grazie al vincolo archeologico, lo stesso notaio Mazza sigla la seconda vendita appena 4 giorni dopo la prima, senza aspettare i 60 previsti dalla legge, triplicando l’imponibile fiscale. Perché i Salabè hanno tutta questa fretta di vendere la proprietà al loro inquilino? Quest’ultimo atto notarile viene nascosto alla Soprintendenza, che fa scattare la prelazione sulla prima società venditrice, la Frasa, scatenando il ricorso al Tar della Cober. Cioè dei Salabè. L’interminabile schermaglia giudiziaria passata per i 2 gradi della giustizia amministrativa e un parere dell’Avvocatura generale dello Stato, si è conclusa a favore dei Beni Culturali. Ad eccezione di alcune particelle della proprietà sfuggite alla prelazione per un vizio di forma, la Soprintendenza può diventare proprietaria di una cospicua parte del complesso immobiliare che s´incunea nell’Appia Antica. Può. Anzi, potrebbe.
Nonostante la Soprintendenza fin dal 2001 abbia a disposizione i 425 mila euro per l’acquisto, il Demanio – l’ente che deve procedere alla transazione per conto degli uffici ministeriali - non ha ancora proceduto, inspiegabilmente, a prendere possesso della proprietà. Perché? Nei giorni scorsi, nei confronti dell’agenzia demaniale è scattata la diffida della Soprintendenza. In quell’aut aut, al Demanio è stato imposto di acquisire l’area e, in caso di rifiuto da parte del Meschini di cederla, di procedere allo sfratto amministrativo.
Ma c’è un altro capitolo di questa storia che vede sempre protagonisti i Salabè e Andrea Meschini: è quello degli abusi edilizi e dei falsi condoni. Gran parte del complesso edilizio, infatti, è stato costruito dai Salabè prima, e da Meschini poi, senza licenze, trasformando gli originali magazzini dell´ex cava in una lussuosa villa. La Frasa aveva chiesto un condono generale, il Comune in un primo tempo gliel’aveva concesso, salvo poi fare una precipitosa retromarcia perché - e questo è un altro mistero - non aveva chiesto il parere, che è stato poi negativo, alla Soprintendenza, titolare dei vincoli. A quel punto sono scattate due indagini dei guardiaparco coordinate dal pm Maria Cristina Palaia. La prima, sulle opere abusive, s’è conclusa con la condanna in primo grado di Andrea Meschini a un anno di arresto per reati edilizi. La seconda, invece, è relativa a un condono, risultato inveritiero, presentato in comune dai fratelli Mario e Adolfo Salabè, entrambi indagati per falso in un’inchiesta tuttora pendente dal gip. È il caso di una torretta nella quale, secondo una dichiarazione della Frasa, avrebbero dovuto esserci alcuni uffici. In quell’antico manufatto, invece, i guardiaparco, anziché uffici, hanno scoperto una cabina elettrica dell´Acea, in funzione, ininterrottamente, dal 1935.
Il casale degli abusi edilizi nel parco delle meraviglie
Carlo Alberto Bucci -la Repubblica, ed. Roma, 30 agosto 2008
Se non fosse per la tramoggia della vecchia cava trasformata illegalmente in salottino o per la centralina dell’Enel tinta di rosa e fatta passare abusivamente per palazzina di uffici, il casale nel verde venduto dai Salabè ad Andrea Meschini sarebbe uguale alle altre preesistenze della Farnesiana: intatto. Infatti, la tenuta di 25 ettari circa, vincolata alla metà degli anni Novanta e inserita nel Parco regionale dell’Appia antica, presenta quel continuum tra natura e archeologia, economia rurale e architettura medievale, che costituisce per Salvatore Settis la peculiarità del patrimonio italiano, il marchio distintivo «dell’identità nazionale».
Si tratta di un pianoro, costituito dalla colata lavica che dall’Appia declina sino all’Ardeatina, che il Piano di assetto del parco (pronto da anni ma ancora in attesa del via libera della Regione) prevede diventi di proprietà pubblica. La Soprintendenza statale è pronta ad entrare in possesso del casale già Salabè. Mentre l’ente Parco ha avviato i lavori di restauro delle Vignacce: il casale settecentesco ospiterà un centro studi, per documentare l’attività agricola dall’età romana (vi coltivavano anche le rose) a quella medievale (soprattutto vigne), fino all’Ottocento; ma anche alcune stanze da letto, modello per quella tipologia di attività ricettive "leggere" - stazioni di riposo per cicloturisti o per i podisti del trekking - che la tenuta, venduta nel 1810 dai Farnese ai Torlonia, e oggi per lo più di proprietà della Farnesiana srl, potrà ospitare in un quadro di predominante conservazione del paesaggio rurale e dell’economia agricola.
La Farnesiana, visitabile solo grazie alle passeggiate organizzate dalle guide del Parco, è parte del pianoro denominato Zampa di Bove, estremità di quella colata che ha nella tomba di Cecilia Metella il Capo di Bove. È fiancheggiata dalle antiche Appia e Ardeatina ma era percorsa in antico da una fitta rete viaria, tra cui la via Asinaria, di collegamento tra le varie ville romane, ancora tutte da scavare seguendo i resti affioranti. Ad esempio, le strutture d’epoca romana sepolte sotto la diruta torre di Zampa di Bove, alta 15 metri e appartenente a un castelletto medievale, affiancata dalla rovina di un edificio detto "ninfeo" per la presenza di una piccola abside.
La tenuta delle meraviglie conserva inoltre il più grande bosco di querce del parco: lecci, roverelle, e sughere. Ed è nel sottobosco di biancospini e marruche che i guardiaparco, coordinati da Guido Cubeddu, tendono le reti per la cattura di upupe, civette e picchi verdi che, ricevuto l’anello intorno a una zampa, vengono poi liberati. E tornano così a volare intorno ai resti delle 5 torri medievali di vedetta, innalzate sfruttando al meglio i dieci metri di altezza, sul livello della campagna, del pianoro lavico costruito dall´ultima fase di attività del Vulcano Laziale, 190mila anni fa. Da lassù, è assicurato il belvedere sulla Città Eterna, dal Colosseo alla cupola di San Pietro. Ed è possibile zoomare sull’integrità di natura e cultura di questo lembo di campagna romana faticosamente sottratto all’avanzata dei palazzi moderni.
Occhio all'Appia. Da qualche settimana quella che è stata definita come una tra le più belle vie del mondo va subendo una serie di impressionanti attacchi e violazioni. Il primo caso, circa un mese fa, ha riguardato l'installazione di una piscina da 25 metri per 20 e profonda 4. Viene spontaneo domandarsi: che fine ha fatto tutta la terra sbancata? Un sito archeologico, infatti, non è solamente uno scrigno, bensì un inestimabile archivio di dati. Le scavatrici che ne devastano i tesori, distruggono al contempo informazioni di inestimabile valore per gli studiosi. Malgrado i divieti del Parco regionale e della Sovrintendenza archeologica, il circolo del tennis all'Acquasanta e lo Sporting Palace hanno scavato, costruito, elevato muri in cemento armato e sopraelevazioni. Ma non è tutto. Qualche giorno fa, a 200 metri dall'Acquedotto dei Quintili è stata costruita una struttura in ferro destinata alla ristorazione e dotata di alcuni banchi da supermarket.
Potete immaginare un abuso simile in mezzo alle Piramidi o ai monumenti aztechi? Ebbene, ciò che nessuno oserebbe fare in Egitto o in Messico, è invece realizzabile in Italia, nel cuore stesso della Capitale. La gravità dell'accaduto appare evidente, se paragonata alla situazione di nazioni che dovrebbero possedere una cultura civica teoricamente più esile della nostra. Ma ormai non dobbiamo più paragonarci al nord Europa o agli Stati Uniti (nazioni dove è diffuso un elevato senso dello Stato), bensì all'Africa o all'America Latina. Riusciamo ancora a afferrare l'enormità di un fatto simile, o dobbiamo rassegnarci a scivolare nella «gomorrizzazione» del nostro territorio?
«È la zona più vincolata del mondo», ha dichiarato la direttrice del Parco dell'Appia Antica, Alma Rossi, «ma senza l'approvazione del piano e del regolamento del parco, si tratta di una lotta impari ». Non resta che plaudire al lavoro di chi ha portato al sequestro dei cantieri illegali, e sperare che la battaglia per la conservazione del patrimonio venga vinta. Ma cosa importa questo ad un privato, di fronte alla prospettiva di aumentare il suo giro d'affari? Bisognerà comprendere la necessità di bloccare le licenze commerciali. Solo così potremo arrestare la continua erosione del bene comune. L'Appia Antica è di tutti: difendiamola.
È guerra senza quartiere agli abusivi che attaccano con ferro e cemento l'Appia Antica. Campo di battaglia, per l'ennesima volta, è quel lembo di parco archeologico a ridosso del Grande raccordo anulare e, soprattutto, dell'acquedotto dei Quintili. A meno di 200 metri dalle eleganti arcate romane, all'interno dell'azienda agricola Cavicchi, è stata costruita una struttura in ferro per ospitare decine di tavoli per i viandanti delle gite fuori porta. E numerosi banchi di un supermarket. Ma nei giorni scorsi i guardaparco, coordinati da Guido Cubeddu, hanno sequestrato questa ennesima superfetazione all'interno dell'area di via Appia Nuova 1280, dove si trova il contestatissimo ristorante "Pappa e ciccia".
Gli uomini dell'ente Parco Appia Antica stavolta si sono mossi insieme con i carabinieri dei Nas. I militari dell'Arma hanno apposto i propri sigilli perché hanno riscontrato numerose violazioni delle norme di igiene: l'acqua della rivendita di pane e porchetta, ad esempio, veniva da un pozzo abusivo.
"Pappa e ciccia" è tornato alla ribalta della cronaca perché inserito dalla trasmissione Report di Rai Tre, dedicata il 4 maggio scorso all'urbanistica a Roma, nell'elenco degli illegali presenti nel parco. Ma si tratta di una vecchia conoscenza della procura romana. Massimo Miglio e gli uomini dell'Ufficio antibusivismo del Comune hanno già lavorato, e per ben tre giorni, all'abbattimento di una nuova ala del ristorante. «Agli albori di questa triste vicenda, c'era solo una serra, fatta di pali e teloni, peraltro abusiva. Poi la Cavicchi è diventata una delle pratiche più voluminose della Soprintendenza archeologica» racconta Rita Paris, responsabile per l'Appia. «Dalla fine degli anni ‘90 - aggiunge l'archeologa - sono spuntate le coperture, i saloni, il cartello sulla strada. Vorremmo occuparci solo della tutela e degli scavi archeologici. Siamo stanchi dei continui attacchi dei "gangster dell'Appia Antica", come li chiamava Antonio Cederna. È ora che il Comune blocchi qualsiasi tipo di licenze commerciali all'interno del Parco».
Nuovo, devastante attacco dell'abusivismo al parco dell'Appia antica. Il Circolo del tennis all'Acquasanta e lo Sporting Palace sono stati dotati di altrettante piscine, e di annessi muri in cemento armato, nonostante sia il Parco regionale sia la Soprintendenza archeologica statale avessero negato le autorizzazioni. Ma i lavori illegali sono stati scoperti prima della fine. E, nel giro di una decina di giorni, sono stati sequestrati il cantiere del circolo tennistico di via dell'Almone 49 e, l'altro ieri, quello del complesso di via Appia Nuova 700 che, come reclamizzano i poster in tutta la città, sarà inaugurato il 18 giugno.
Durante la ricognizione per il piano anticendio, i guardiaparco coordinati da Guido Cubeddu hanno scoperto che all'Acquasanta era stato realizzato un colossale sbancamento per una piscina da 25 metri per 20 e profonda 4, come l'altezza dei locali. «Non avevano il nostro nulla osta - spiega la direttrice del Parco, Alma Rossi - . Hanno presentato una dichiarazione d'inizio attività al IX Municipio. Ecco il risultato: un cantiere di 70 metri per 50. E siamo nella zona più vincolata al mondo. Ma senza l'approvazione del piano e del regolamento del Parco, è una lotta impari».
Incalza Rita Paris, responsabile dell'Appia per la Soprintendenza. «Già nel 1994 ci esprimemmo contro il condono dell'intero impianto. .. e sono tre anni che riceviamo pressioni per autorizzare questa piscina. Abbiamo detto sempre no. Poi hanno presentato una perizia geologica per pericolo di frana. Abbiamo dato l'ok a una vasca per l'acqua piovana. Serviva per l'irrigazione e in caso di incendi. Invece hanno fatto tutt´altro. È una zona archeologica, piena di reperti: che fine ha fatto tutta quella terra sbancata?».
L'archeologa è indignata anche lo Sporting Palace: «Si trova nella valle della Caffarella. Nacque nel 1956 come impianto per l'imbottigliamento dell'acqua. Io avevo già proposto la demolizione. E ora torno a chiederla dopo questo ulteriore abuso. Mi chiedo: quale istituzione ha autorizzato un tale scempio?». L'anno scorso l'ente Parco non è stato neanche invitato alla conferenza dei servizi sullo Sporting. A maggio 2007 aveva rilasciato un nulla osta solo per lavori di manutenzione ordinaria. Il 3 ottobre ha negato il permesso al cambio di destinazione d'uso e alla piscina interrata. Invece, una l'hanno realizzata sul tetto. Sopraelevando l'edificio: due metri in più di cemento armato che si frappone tra le meraviglie di Cecilia Metella e delle Tombe Latine.
Roma, 17 ottobre 1995
Al Sindaco del Comune di Roma
p.c.
Al Ministero Beni Culturali e Ambientali, Gabinetto dell'On. Ministro ROMA
Al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale Beni AAA e S Div. N - Archeologia ROMA
Al Ministero Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale Beni Ambientali ROMA
Alla Regione Lazio Assessorato del Territorio ROMA
Alla Regione Lazio Assessorato Ambiente ROMA
Al Presidente della Provincia di Roma
Al Comune di Roma Assessore alle Politiche del Territorio, ROMA
Al Comune di Roma, Ufficio Speciale Piano Regolatore ROMA
Al Comune di Roma, Ufficio Speciale Condono Edilizio ROMA
Al Comune di Roma Ripartizione XV ROMA
Alla Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici di Roma
Alla Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale, ROMA
Alla Soprintendenza Archeologica di Ostia, ROMA
OGGETTO: Condono edilizio
La Soprintendenza Archeologica di Roma ha appreso, da organi di informazione, che il Comune di Roma, di recente, ha istituito l'Ufficio Speciale Condono Edilizio, al fine di procedere celermente all'esame di una considerevole quantità di richieste di sanatoria per abusi edilizi.
Questo Ufficio, nell'ambito dei territorio di sua competenza, fa presente di essere interessato: 1- a tutte le richieste di sanatoria per abusi che abbiano comportato nuova occupazione di suoli 2- a quegli abusi che, indipendentemente dalla nuova occupazione di suoli, quali sopraelevazioni, giardini pensili schermati e quant'altro, interferiscano con le visuali di complessi archeologici monumentali, per i quali ci si riserva di inviare quanto prima la perimetrazione dei singoli ambiti di influenza.
Fermo restando quanto le vigenti Leggi prevedono relativamente ai pareri su abusi realizzati in aree demaniali o soggette a vincoli di tutela, giova ricordare quanto segue.
La rilevanza del patrimonio archeologico-monumentale e storico-artistico di Roma, che continuamente si arricchisce di nuovi apporti a seguito di importantissime scoperte nel corso delle trasformazioni territoriali o a seguito di ricerche finalizzate, ha comportato la necessità , nel tempo, di promuovere la tutela di tale patrimonio in concorso con gli Enti locali - Comune di Roma e Regione Lazio - con normative, accordi e studi (ad es. Carta storica archeologica monumentale e paesistica dell'Agro Romano) che hanno consentito, anche in assenza di vincoli emessi ai sensi delle Leggi 1089/39, 1497/39 e 431/85, di operare a fini di tutela.
Per non vanificare i risultati faticosamente fino ad oggi conseguiti, si pone l'attenzione in particolare su quelle aree che, se pur degradate dall'abusivismo, sono tuttavia ancora recuperabili e valorizzabili a seguito di oculate valutazioni e progettazioni finalizzate. Si pensi, ad esempio, alle aree indicate dal P.R.G. di Roma come soggette a vincoli archeologici-paesistici di P.R., nelle tavole 1:10.000 del P.R.G. del 1965, alle fasce di rispetto degli Acquedotti, agli ambiti di pertinenza delle antiche vie consolari, ai cunei di abusivismo sorti in aree soggette ai sopracitati vincoli archeologici e paesistici di Piano Regolatore.
Comunque, in seguito alle Osservazioni della Direzione Generale Antichità e Belle Arti dei Ministero della Pubblica Istruzione, recepite nel DPR del 16.12.1965 di approvazione del P.R.G. di Roma, il Comune di Roma ha predisposto in collaborazione con la Soprintendenza, come già detto, la Carta storico-archeologica monumentale e paesistica dell'Agro Romano che, approvata, ma mai adottata, ha pur costituito un punto di partenza per la tutela operativa in connessione con le attuazioni di Piano Regolatore.
Nel predisporre, in seguito, le osservazioni alla Variante Generale di P.R. del 1967 la Soprintendenza archeologica di Roma sottolineava l'esigenza di assumere un controllo più puntuale del sottosuolo archeologico, esigenza recepita nel D.M. 6.12.1971, che ha permesso alle Soprintendenze di intervenire preliminarmente sulle aree interessate dalle trasformazioni di P.R. AI fine di poter esercitare una ancor più capillare azione di tutela, la Soprintendenza chiese ed ottenne, in seguito al D.M. 6.12.1971, di presiedere alle operazioni di sterro ovunque eseguite nell'ambito del territorio di competenza, imponendo agli operatori di comunicare l'inizio di qualsiasi lavoro interessasse il sottosuolo.
Le Norme Tecniche di Attuazione di P.R., comportano l'obbligo di sottoporre al preventivo benestare delle competenti Soprintendenze archeologiche tutti i progetti di costruzione, ampliamento o trasformazione da effettuarsi in località individuate con il simbolo di avanzi archeologici o di costruzione di interesse storico, monumentale, panoramico o ambientale, con riferimento alla Carta dell'Agro e a tutti i dati archeologici acquisiti successivamente all'ultimo aggiornamento della Carta stessa. In particolare le Soprintendenze archeologiche possono disporre (art. 16 punto 7) che "vengano preventivamente effettuati saggi di ricognizione e rilevamenti a carico del proprietario", ove lo ritengano necessario.
Pertanto i competenti Uffici comunali sono tenuti ad inviare, per il parere, alle Soprintendenze le richieste di sanatoria per realizzazioni abusive in tutti quei casi - previsti, come sopra detto, dalle Leggi e normative vigenti - in cui sarebbe stato d'obbligo la comunicazione di inizio lavori, e nei casi in cui le Soprintendenze avrebbero potuto richiedere ai proprietari indagini e rilevamenti (N.T.A. art.16 punto 7).
Questo Ufficio rimane a disposizione per ogni eventuale ulteriore chiarimento.
Il Soprintendente
Adriano La Regina
Postilla
Il documento che pubblichiamo rappresenta una testimonianza di prima mano sul problema dei condoni edilizi e della gestione che ne è stata fatta dalle amministrazioni comunali, approssimativa e unilateralmente disponibile alle richieste dei privati e assai poco collaborativa nei confronti delle pubbliche istituzioni preposte alla tutela del patrimonio culturale, e quindi dell'interesse dell''insieme dei cittadini.
Con questa lettera la Soprintendenza Archeologica di Roma, al momento della istituzione dell’Ufficio Speciale Condono Edilizio del Comune di Roma, prese tempestivamente una iniziativa concreta nei confronti del problema delle sanatorie edilizie che, come annunciavano gli organi di informazione, si presentava di ampia portata e stava per essere affrontato dall’ufficio di nuova costituzione. Il senso della lettera, scritta dal responsabile del patrimonio archeologico più importante del mondo, all’epoca Adriano La Regina, era di fornire informazioni e regole affinché, nel rispetto delle leggi sui condoni, si tenesse nel debito conto la rilevanza del patrimonio storico, archeologico, monumentale di Roma. Nella lettera, dell'ottobre 1995, e nelle molte altre che sono seguite, il Soprintendente rappresenta, con circostanziate argomentazioni, la necessità di non vanificare i risultati faticosamente raggiunti nella tutela archeologica e paesaggistica della città e delle zone di campagna che ne sono parte integrante. Il Piano Regolatore Generale approvato nel 1965 aveva recepito le osservazioni delle Istituzioni statali competenti per la tutela e nelle Norme Tecniche di Attuazione a tale piano (D.M. 6.12.1971) fu riconosciuto l’obbligo di sottoporre al parere della Soprintendenza ogni progetto di trasformazione localizzato in aree riconosciute d’interesse dalla Carta storica archeologica monumentale e paesistica dell’Agro Romano e di richiedere scavi preventivi ogni volta che fosse ritenuto necessario. La richiesta è ben definita: in ognuna delle circostanze menzionate, gli Uffici comunali erano tenuti a chiedere il parere preventivo alle Soprintendenze (Roma, Ostia, Etruria Meridionale).
Negli anni successivi questa e le successive richieste con le quali gli uffici preposti alla tutela chiedevano di essere messi in condizione di operare nell’interesse della salvaguardia del patrimonio culturale, sono state totalmente ignorate. La giungla degli abusi nelle aree di maggiore pregio della compagna romana ha trovato piena legittimazione dalle concessioni rilasciate che, pur se irregolari, non possono essere ignorate dagli uffici della Soprintendenza, resi impotenti di fronte alla quantità di sanatorie concesse senza la minima valutazione di compatibilità con alcuno degli strumenti urbanistici, in spregio alle norme di tutela archeologica e paesaggistica. Sconcertanti , a questo proposito, le repliche succedutesi in questi anni da parte dell’amministrazione comunale che evidenziano l’assoluta indifferenza nei confronti dei valori più peculiari di Roma, rifugiandosi in una conduzione del problema esclusivamente, e spesso erroneamente, burocratica. Il caso del Parco dell’Appia illustrato nella trasmissione Report è in tal senso esemplare: non si è saputo controllare l’edilizia abusiva nel territorio e la si è legittimata, forse senza alcuna consapevolezza che la campagna romana con rovine, condizione essenziale per la vera esistenza del Parco, si è trasformata in un suburbio residenziale a sviluppo spontaneo non regolato se non dall'interesse e dalla speculazione privati. (m.p.g.)
Appia antica, un parco fino in Centro
di Adriano La Regina
Il proposito di provvedere con una legge della Regione Lazio all'ampliamento del Parco dell'Appia antica, su cui la Giunta si era in passato impegnata e di cui vi è grande attesa, viene ora ripreso negli uffici regionali, e la nuova attività istruttoria dovrebbe giungere a compimento in tempi brevi. Il progetto prevede l'estensione dell'area inclusa nel perimetro del parco, che passerebbe dagli attuali 3500 a ben oltre 5000 ettari di superficie. Si verrà così a costituire un comprensorio territoriale di ragguardevoli dimensioni, tutelato non solo dallo Stato per la conservazione del patrimonio archeologico e paesaggistico, ma anche dalle norme regionali sulla protezione dei caratteri naturalistici e ambientali.
Sulla base delle intese da tempo istituite con l'assessore all'ambiente della Regione, Filiberto Zaratti, si sono avuti al riguardo due incontri del presidente del Parco con il vice presidente della giunta regionale, Esterino Montino. Si sono esaminate le concrete possibilità di far pervenire celermente il progetto di legge all'esame del Consiglio regionale con i ritocchi necessari per incrementarne l'efficacia. Si è tra l'altro convenuto sull'opportunità di procedere all'approvazione del piano d'assetto del Parco solamente dopo l'approvazione della legge di ampliamento, in modo da adeguarlo alla nuova dimensione e di rivederlo in alcuni aspetti risultati carenti a seguito di verifiche eseguite nel tempo intercorso dalla sua predisposizione. Sarà inoltre necessario raccordare il piano stesso, lo strumento che renderà pienamente efficace l'azione dell'Ente, con le norme di tutela paesistica approntate dalla Regione.
Sono confermati i propositi di inserire nel perimetro del parco le aree di grande pregio ambientale sulle quali il Comune di Marino sta predisponendo massicci programmi di urbanizzazione, dal peso di quelli a suo tempo previsti per Tormarancia e scongiurati con il vincolo archeologico e con l'attribuzione di quella tenuta al parco. Sempre riguardo al territorio di Marino sarà necessario riconsiderare il perimetro dell'ampliamento per includervi l'area di una città antica, comunemente identificata con Mugilla, anch'essa esposta a gravi trasformazioni e tuttavia ancora priva di tutela archeologica. È parimenti confermata la previsione di inserire nell'ambito del parco il fosso della Cecchignola con il colle della Strega.
La maggiore novità è costituita dalla previsione di ampliare l'area del parco all'interno delle mura aureliane non solo ai lati della via Appia fino a piazzale Numa Pompilio, com´è nel progetto di legge già formulato, ma anche al di là della via Latina fino a Porta Metronia, e di includervi inoltre il primo tratto della strada, a partire dal punto in cui si trovava l'antica porta Capena, ossia subito prima del Circo Massimo. Il parco della via Appia verrà così effettivamente a saldarsi con l'area archeologica centrale, e vi rientreranno le Terme di Caracalla con le aree retrostanti fino alle mura, e quelle alle pendici del Celio verso la passeggiata archeologica. Questi spazi all'interno delle mura, che si potevano immaginare sufficientemente tutelati, alla prova dei fatti si sono rivelati esposti a gravissime trasformazioni. Una, la più devastante, è stata provocata con il riempimento della vallecola a ridosso del bastione del Sangallo, avvenuto nel 2004, che ha comportato la perdita di un paesaggio affascinante nel contesto monumentale. Altre trasformazioni perniciose incombono sul parco S. Sebastiano e sulle aree limitrofe, ove si vorrebbe costruire un teatro per l'associazione Angelo Mai, e dove baracche abusive condonate starebbero per essere trasformate in ville. Per non dire del decadimento d´immagine a cui viene periodicamente esposto l'ingresso all'area centrale di Roma per la ripresa abitudine di ubicare feste e manifestazioni poco consone al carattere dei luoghi lungo il tratto iniziale della via Appia, di fronte alla FAO e alle terme di Caracalla.
Condonate due mega ville tra le rovine
di Carlo Alberto Bucci
La lunga battaglia per la difesa dell'Appia antica dall'assalto dell'abusivismo registra la vittoria dei proprietari di due mega ville costruite in zona e su resti archeologici. A denunciarlo è Rita Paris, responsabile della Regina Viarum per la Soprintendenza archeologica di Roma, l'indomani l'inchiesta di Repubblica sul paradossale caso del concessionario Hyundai (che, privo di permessi, lavora nel parco occupandosi, tra l'altro, della manutenzione delle auto della Provincia e del Viminale) e della villa della famiglia Anzalone costruita sopra e dentro il sepolcro di Sant'Urbano. «È di questi giorni la sentenza del Tar e del Consiglio di Stato - racconta l'archeologa - che rigetta il ricorso del Comune di Roma che, dopo l'opinione della nostra Soprintendenza, si era espresso contro la costruzione di due ville di circa 500 metri quadri l'una».
Non una veranda né un barbecue in muratura. Ma un grande abuso, uno dei centinaia che funestano il parco. Una distesa di stanze e cemento per due principesche dimore, a proposito delle quali i giudici hanno sentenziato che il vincolo archeologico era stato posto solo dopo la loro costruzione nel parco composto da 3500 ettari in mano (soprattutto) ai privati. «Si sono attaccati a un cavillo» esplode la studiosa. «Perché, prima ancora della tutela archeologica, sull'area vige da mezzo secolo il vincolo di assoluta inedificabilità sancita dal Piano regolatore del 1965 e da quello paesaggistico del 1953». I proprietari delle ville, costruite negli anni Settanta, hanno puntato sui condoni edilizi dell'85 e del ‘97. E l'hanno avuta vinta. Almeno per il momento. «Noi ora abbiamo le mani legate e, dopo il danno anche la beffa, siamo stati condannati a pagare 4000 euro per le spese del processo» aggiunge Rita Paris «ma rimane aperta la questione dei vincoli urbanistici e paesaggistici che il Campidoglio può, e deve, far valere».
Nei prossimi giorni si terrà al Ministero Beni Culturali un incontro tra i direttori generali dell'archeologia (De Caro) e del paesaggio (Di Francesco) con i dirigenti dell'ufficio condoni (Murra) del Campidoglio. Mentre a occuparsi, tra l'altro, dell'Appia Antica, sarà oggi il programma televisivo di Rai Tre Report focalizzato, stasera, sull'urbanistica di Roma.
ROMA Traffico soffocante, vandalismo sui monumenti, abusivismo edilizio selvaggio incentivato da tre condoni: cinquantacinque anni dopo le accuse che Antonio Cederna scagliava ai “Gangster dell’Appia Antica”, nulla è cambiato. Anzi. Come denunciato l’estate scorsa da Repubblica, le ville dei vip sono diventati centri di catering senza licenze commerciali per feste con tanto di fuochi artificiali. Il degrado della regina viarum, e l’impotenza dello Stato nel perseguirne lo scempio, proseguono fra l’indifferenza generale che fa sì che una concessionaria automobilistica occupi da anni, abusivamente, un pezzo del parco accanto alla tomba di Priscilla. Ma mezzo secolo di denunce non hanno prodotto ancora gli effetti necessari al recupero di questo immenso patrimonio culturale e ambientale.
Proprio nei giorni scorsi il degrado dell’Appia Antica è stato denunciato dal “New York Times”, che ha addirittura evocato la violenza dei “vandali” per descrivere lo stato di abbandono in cui versa la queen of roads. Simbolo dell’incapacità della pubblica amministrazione laziale di affrontare efficacemente il fenomeno dell’abusivismo, in una delle aree di più alto interesse archeologico e storico al mondo è, oggi, il “Centro motoristico Appia Antica snc” ricavato nell’ex essiccatoio Tabacchi.
Mentre perfino i quotidiani Usa denunciano il degrado dell’Appia Antica, nessuno - politici, poliziotti, autisti, funzionari ministeriali e della Provincia, magistrati - sembra essersi mai accorto di questo piccolo-grande scandalo ambientale e storico: il parco dell’Appia Antica deturpato da una concessionaria Hyundai che occupa senza titolo — non avendo mai firmato un contratto di affitto — un immobile del Comune. Che espone le auto su un’area di diecimila metri espropriata dal municipio, nel marzo scorso, perché utilizzata abusivamente. E che non ha mai ottenuto l’autorizzazione di inizio attività perché ha sempre avuto i pareri negativi dall’Ente Parco, dalla Soprintendenza archeologica e dai vari uffici comunali. Con in mezzo due sentenze, del Tar e poi del Consiglio di Stato, che le hanno sempre dato torto.
In una situazione igienico-ambientale del tutto fuorilegge: manca il permesso della Provincia per gli scarichi e l’emissione fumi, mentre l’allacciamento all’acqua è “di fortuna”, grazie al parroco della chiesetta del Domine Quo Vadis. Eppure, da 10 anni, il centro motoristico di Salvatore Bonanno, fra il sepolcro di Geta e la sede del Parco, nel cuore della valle della Caffarella sulle rive dell’Almone e a breve distanza dalle catacombe di San Sebastiano, non solo è sempre là, ma incredibilmente, nell’aprile scorso, ha ottenuto dalla Provincia e senza bando pubblico (grazie a una scrittura privata), l’appalto della manutenzione delle auto della polizia provinciale.
La polizia della Provincia che dovrebbe perseguire «le violazioni urbanistiche edilizie» e provvedere alla «tutela dei vincoli archeologici e paesaggistici», invece di inviare i propri agenti a far rispettare al centro le leggi in materia ambientale e commerciale, si è convenzionata con quella concessionaria con un contratto esclusivo per riparare le proprie jeep.
Non solo: in quello stesso centro motoristico, nel cui perimetro una villetta a un piano completamente abusiva non può essere demolita, come previsto da un’ordinanza comunale, perché ci abita un’anziana parente del Bonanno (e dove perfino l’insegna blu della Hyundai, che s’affaccia sui selci della Regina Viarum da un pilone del cancello verde zozzo, è priva di autorizzazione), viene riparata anche parte del parco auto del Viminale. I vigili della Capitale nel 2003 hanno denunciato Bonanno per vari reati edilizi. Il comune di Roma nell’aprile del 2007 gli ha espropriato il terreno (sul quale prosegue, come se nulla fosse, l’attività commerciale abusiva), e ha tentato, invano, di demolire la villetta abusiva. A indagare sulla scrittura privata fra Provincia e la concessionaria di Bonanno è stato solo l’ex consigliere provinciale di sinistra critica Nando Simeone. «Voglio sapere — ha dichiarato Simeone — come sia stato possibile che, all’interno della stessa amministrazione provinciale, l’assessorato alla Sicurezza abbia stipulato una scrittura privata con la concessionaria Hyundai alla quale l’assessorato all’Ambiente non ha rilasciato le necessarie autorizzazioni per gli scarichi».
Per Rita Paris, direttore archeologo della Soprintendenza, «si tratta di un caso emblematico della totale disattenzione, se non ignoranza, del valore del complesso monumentale del Parco. È, questa, la conferma che l’Appia Antica non evoca più nulla, neanche a un ente pubblico come la Provincia, se non la sede di una concessionaria di motori».
Ma la concessionaria non è certo l’unico caso di abusi edilizi e commerciali visto che Adriano La Regina, presidente del Parco dell’Appia Antica, nella relazione del bilancio di previsione 2008, ha dovuto porre l’obiettivo di «sollecitare le amministrazioni competenti per chiudere definitivamente tutte le pratiche relative agli abusi edilizi giacenti dal 1985 in poi».
A questo proposito, il contenzioso più antico fra pubblico e privato è quello degli abusi edilizi nel complesso del sepolcro di Sant’Urbano con annessa Villa Marmenia, un sito storico di straordinaria importanza scavato nell’Ottocento da Lugari — che ha dato il nome alla via — e venduto negli anni Sessanta, non si sa ancora oggi come, ad alcuni privati. Già nel 1965, “Paese Sera”, a proposito di quelle speculazioni edilizie, titolava così: «Stanno costruendo una casa nel rudere».
Da allora, però, gli abusi sono proseguiti pressoché indisturbati, nonostante dal 1970 la pubblica amministrazione tenti di fermarli. L’area storica che comprende il sepolcro, sulle cui mura romane è addossato un barbecue, è diventata un giardino privato: all’interno della cella funeraria è stato ricavato un piccolo spazio per feste, con tanto di tinello moquettato e cucinetta. Per costruire una piccola piscina sono stati rimossi preziosi pezzi da basolato. Per quegli abusi, il proprietario dell’epoca, Gianfranco Anzalone, fu denunciato in procura dai carabinieri. Il processo però — l’accusa fu sostenuta dall’allora pm Giovanni Ferrara — finì con un nulla di fatto: il pretore Roberto Mendoza, nel 1987, assolse Anzalone: una parte dei reati si estinse grazie a un condono, un’altra per un’amnistia. E così il contenzioso con la Soprintendenza è arrivato ai giorni nostri con un nulla di fatto.
«È assurdo — commenta Rita Paris — che si possa presentare un condono per abusi fatti dentro un monumento ». Gli eredi ora vorrebbero alienare l’immobile storico allo Stato, ma le trattative con la Soprintendenza sono appena all’inizio. «L’assoluzione del pretore — ha spiegato Paris — ha impedito di perseguire nel tempo quegli abusi. Un eventuale nostro acquisto ora deve tener conto che la situazione antica del bene è stata stravolta, la strada è scomparsa, e per riportare il monumento allo stato originale ci vuole un notevole impegno finanziario».
Accanto al sepolcro, un’altra storia di abusi che riguarda altri proprietari. Uno spezzone dell’antica villa romana di Marmenia fu trasformata, trentotto anni fa, in un villino che ha stravolto completamente il manufatto archeologico. L’allora proprietario, Camillo Micarelli, fu denunciato nel 1970 dai carabinieri, ma nel tempo la struttura abusiva fu rilevata dalla società Sant’Urbano che, oggi, ha come amministratore unico la signora Antonella Meduri. Inutili, dagli anni Settanta a oggi, gli interventi di Soprintendenze, le ordinanze del Comune e altri enti pubblici per tentare di porre fine a tanto scempio. Vani anche i tentativi della Soprintendenza di acquistare l’area: il diritto di prelazione dell’ente è stato aggirato dalla Sant’Urbano evitando di ricorrere ad atti pubblici di compravendita, ma ricorrendo a riservati passaggi di proprietà delle azioni societarie.
Oggi la situazione è a un punto morto: il Comune, dopo il parere negativo della Soprintendenza Archeologica, ha rigettato l’istanza di condono presentato dalla signora Meduri. Quella villa edificata abusivamente nel ’70 è, di fatto, priva di licenza edilizia. Sulle carte catastali del 2008, pur essendoci da quasi 40 anni, ufficialmente non esiste. «Ciò che non si capisce — dichiara Rita Paris — ora che il Comune ha respinto il condono, è come si possa procedere all’acquisizione pubblica del bene e a chi competa l’eventuale demolizione e il ripristino dello stato storico dei luoghi. Sono state fatte numerose riunioni, senza capire se debba intervenire la Prefettura, il Ministero o il Comune». La morale della storia dell’abusivismo edilizio nel Parco dell’Appia Antica denunciato anche oltreoceano non è affatto rincuorante: lo Stato s’è rivelato impotente a tutelare il patrimonio archeologico che il mondo ci invidia.
"Traffico e condoni, colpa del Comune"
intervista al Presidente dell'Ente Parco
«Non esiste da nessuna parte un parco che abbia il volume di traffico automobilistico come quello che attraversa l´Appia Antica. È questo uno dei punti più importanti sul quale il Comune deve intervenire». Adriano La Regina, presidente dell´Ente Parco, punta l´indice sull´amministrazione comunale, responsabile, a suo dire, di «applicare in modo singolare gli strumenti che ha per far rispettare le leggi» nei 3500 ettari di parco che il mondo ci invidia.
Professor La Regina, cosa dovrebbe fare il Comune di Gianni Alemanno per restituire dignità alle bellezze storiche e archeologiche della regina viarum?
«Il Comune di Roma è sempre stato molto prodigo di condoni e su questo c´è sempre stato un contenzioso con la Sovrintendenza. È un fenomeno che ha attraversato tutte le amministrazioni precedenti. Il punto debole è sempre stato quello comunale».
Lei è presidente dell´Ente Parco: che strumenti avete voi per contrastare, ad esempio, l´abusivismo?
«Per gli strumenti che ha, l´Ente Parco si sta prodigando in modo esemplare. Peccato, però, che non abbia molti mezzi per affrontare questo tipo di problemi».
Cosa state facendo per risolvere il caso dell´abusivismo commerciale ed edilizio dell´officina Hyundai, che paradossalmente si trova proprio di fronte alla vostra sede legale?
«È una vicenda che si dovrebbe concludere, sono lì senza titolo, quindi si tratta di provvedere allo sfratto, cosa di cui dovrebbe occuparsi il Comune, essendo il proprietario dell´immobile».
Qual è il futuro del Parco?
«Il futuro è nel suo ampliamento: siamo in attesa di includere nel territorio dell´Appia Antica altri 1500 ettari, parte sul territorio di Roma, parte su quello di Marino».
Nei tempi antichi la via Appia, che collega Roma alla città meridionale di Brindisi, era conosciuta come la regina viarum, la regina delle strade. Ma ai giorni nostri la sua corona appare appannata da cronica congestione del traffico, vandalismo e, come si lamentano i suoi custodi, abusivismo.
“Guardi questo!” esclama Rita Paris, la direttrice del Ministero italiano, responsabile per la via Appia, scrutando attraverso uno schermo di bambù stagionato che fiancheggia la strada, mentre manovra la sua auto sobbalzante su un tratto di antiche pietre irregolari. “Può scommettere che questa era una tettoia che è stata murata e trasformata in un’abitazione.” Un poco più oltre si infervora contro un vivaio che è stato trasformato in ristorante (senza permesso edilizio), una cisterna rimodellata in piscina e le ville moderne attaccate ai monumenti antichi. Numerose sono affittate per ricevimenti nuziali o balli di società, e il fatto incrementa il flusso del traffico – e occasionalmente, “fuochi d’artificio”, ci racconta Rita Paris, con un fremito. Considerata fondamentalmente zona di proprietà immobiliari nei tempi antichi, allorchè i Romani seppellivano i loro morti nelle tombe allineate lungo le strade al di fuori delle mura della città, la via Appia ha conosciuto un rinascimento in età contemporanea negli anni ’60, quando Roma era conosciuta come la Hollywood sul Tevere. Le stars del cinema italiano vi si trasferirono in massa, mentre oggi è soprattutto abitata da danarosi proprietari. Ma ai giorni nostri i residenti sembrano indifferenti al ricco passato archeologico della strada, ci ha detto Livia Giammichele, un’archeologa che, come Rita Paris, sta conducendo una campagna contro quegli abitanti che descrive come “nuovi barbari”. “Non si rendono sempre conto che vivono in condizioni privilegiate”, afferma.
Ciò che irrita particolarmente gli archeologi che controllano la strada principale, che fu iniziata nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco, è il fatto che numerose leggi governino l’Appia, almeno sulla carta. Benchè l’idea di creare un parco pubblico lungo il percorso risalga ai tempi napoleonici, fu solo nel 1965 che un’area di 6000 acri fu assegnata a tale finalità. Nel 1988 la regione Lazio istituì il Parco Regionale dell’Appia Antica, un serpentone verde che si allarga nel suburbio a sud est di Roma. Tecnicamente ciò significa che l’area è protetta da leggi severe per la conservazione dell’habitat naturale. L’abbondanza di monumenti antichi, sia visitabili (come la tomba di Cecilia Metella o le catacombe) che non accessibili (perché all’interno di proprietà private), dovrebbe inoltre precludere ogni sviluppo irregolare secondo la legge italiana. La realtà è più complessa. L’area del parco è ampia e difficile da controllare (in alcuni tratti al di fuori della città “ci sono atti di vandalismo quasi ogni notte”, ci ha detto Rita Paris). E oltre il 90% del Parco è ancora proprietà privata. A complicare la situazione, tre condoni edilizi sono stati approvati dai governi nazionali, fin dai primi anni ’80. I critici evidenziano come il condono degli abusi passati incoraggia ancora di più le costruzioni abusive. “Non si può costruire un muro di Berlino qui attorno – non è la soluzione più moderna,” ha dichiarato Adriano La Regina, il presidente del parco regionale, che è stato il Soprintendente archeologo di Roma. Se anche potesse essere costruito, ciò non risolverebbe la questione. “C’è un tale groviglio di amministrazioni e istituzioni coinvolte a livello municipale, regionale e statale da rendere la vita molto complicata perché ciascuna di esse agisce su alcuni aspetti della gestione del parco,” afferma Adriano La Regina. Deve ancora essere definito un assetto unitario. Se gli archeologi potessero governare la strada antica, ha dichiarato, questa tornerebbe al suo stato di “straordinario monumento storico”.
Durante gli ultimi anni gli ispettori archeologi sono riusciti a far sì che il Ministero italiano della Cultura acquisisse allo Stato alcune delle proprietà che sono state messe in vendita sull’Appia. Nel 2002 lo Stato ha acquistato un’ampia villa in un’area conosciuta come Capo di Bove. Gli scavi nei giardini hanno portato alla luce le fondazioni di un complesso termale di 54 ambienti. La villa stessa fu costruita negli anni ’50, e i muri esterni sono tappezzati di manufatti archeologici come coperchi d’anfora, iscrizioni marmoree e tegole di terracotta. “Non avrebbero potuto farlo, ma se ne sono infischiati”, ci dice Rita Paris. La villa presto ospiterà l’archivio di Antonio Cederna, un giornalista ed intellettuale che promosse campagne stampa per tutelare il patrimonio culturale italiano e fu uno strenuo difensore del parco dell’Appia Antica.
Più recentemente, il Ministero della Cultura ha acquistato e sta ora restaurando la chiesa di Santa Maria Nova, che confina con la spettacolare Villa dei Quintili del II sec. d.C., a circa cinque miglia dal centro di Roma. Vicino alla chiesa sono stati rinvenuti dei mosaici che raffigurano gladiatori. Ma gli scavi sul sito sono cessati presto quest’anno, poichè i fondi sono finiti. Il bilancio finanziario per l’Appia è di circa un milione mezzo di dollari annui, e non dura mai molto, ci ha detto Livia Giammichele. La vita sull’Appia non è sempre semplice neanche per i residenti. Paolo Magnanimi, che gestisce il ristorante Hostaria Antica Roma, che dichiara aperto, sull’Appia, nel 1796, suggerisce che gli ispettori ministeriali pur avendo ragione a tutelare la zona, dovrebbero essere più accomodanti. “Non possono sempre guardare a tutto con gli occhi del gendarme”, dichiara. Quando suo padre comprò il ristorante nel 1982, afferma Magnanimi, diede nuova vita ad un posto che era stato abbandonato. “i controlli sono giusti, ma tenete presente che noi acquisimmo un monumento che era divenuto un’abitazione privata e lo riaprimmo al pubblico”, dice. “Tutti possono entrare e guardare: non si deve per forza mangiare un piatto di pasta.”
(traduzione di Maria Pia Guermandi, qui il testo originale)
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Magnifiche rovine avvolte in prati verdi a perdita d´occhio, questa è oggi Villa dei Quintili. Ma ai tempi degli imperatori era un'altra Roma: una distesa infinita di colonne e marmi bianchi, intonaci tinti di rosso "morellone", mosaici policromi, riquadri fatti da pietre preziose e lapislazzuli color del cielo, ma anche giardini disegnati come fossero architetture tutt'intorno a quelle vere che comprendevano saloni di rappresentanza e spazi per i giochi gladiatori. E l'estensione architettonica di questo luogo degli ozi - voluto dalla famiglia dei Quintili e talmente desiderato da Commodo da indurlo a sterminare i padroni di casa pur di avere il loro paradiso affacciato sull'Appia - sta venendo chiaramente alla luce grazie alle novità degli scavi iniziati l'11 ottobre 2007. Ma la felicità per la scoperta è guastata dalla notizia che sono finiti i 250mila euro stanziati. Così, ieri, gli operai hanno spento le ruspe e fatto le valige.
Con gli archeologi Riccardo Frontoni e Giuliana Galli - che, diretti da Rita Paris, hanno scavato per conto della Soprintendenza archeologica - in appena quattro mesi di lavoro gli uomini hanno trovato i muri e il perimetro di 52 stanze (che s'affacciano su una grande esedra del diametro di 40 metri, utilizzata probabilmente per gli allenamenti) che servivano per i massaggi degli atleti o per irrobustirli attraverso i pesi; un porticato lungo mezzo chilometro: che permetteva ai pensatori di filosofare camminando e ai podisti di allenarsi correndo; oppure, ancora, un tappeto musivo colorato da minuscoli fiori geometrici; e, all'interno di una rotonda dal raggio di 5 metri, un vecchio, arrugginito, piccolo pezzo di ferro: ma di fondamentale importanza perché appartenne a uno scultore romano. «Fuori da Pompei, è rarissimo il ritrovamento di uno scalpello. L'abbiamo rinvenuto nello strato più basso di questo ambiente circolare e appartiene probabilmente al tempo di Commodo, quando gli scalpellini smontarono i pannelli marmorei per crearne di nuovi», spiega Frontoni.
Per i giovani archeologi che da più di dieci anni lavorano alla villa costruita sull'altopiano lavico di Capo di Bove - belvedere da cui i padroni di casa potevano contemplare il paesaggio fino a Tivoli e gareggiare in bellezza con la villa di Adriano - la frustrazione di questi giorni è come quella di un cercatore d´oro che ha trovato un filone ma non può scavarlo. Del mosaico floreale che rivestiva il corridoio collegato al frigidarium, è stata portata alla luce solo la parte iniziale. I restanti 20 metri sono sotto il cumulo di terra depositata per secoli sulle vestigia sepolte. Dalla parte pulita, sono venuti fuori lo zoccolo di marmo in "greco scritto", l´intonaco rosso, molte tesserine di pasta vitrea della volta tinta d'azzurro e collassata sul pavimento. Ma, oltre a questo caleidoscopio, è comparso «anche il muro di un forno usato in epoca altomedievale per riciclare il vetro, e decine sono i frammenti di vetro antico squagliato che abbiamo trovato nella terra» spiega la Galli.
Gli archeologi avrebbero potuto limitarsi a scavare solo questo corridoio delle meraviglie. Oppure riportare alla luce esclusivamente la rotonda che, nel saggio di scavo, ha restituito decine di frammenti di marmi giunti dall'Asia e dall'Africa: fior di pesco, serpentino, rosa e giallo antico, prezioso alabastro. E avrebbero aggiunto così altre attrazioni al sito aperto al pubblico dal 2000. Ai piaceri dell'occhio, la Soprintendenza ha preferito però la sostanza delle forme. E ha riportato alla luce tutto il perimetro degli edifici scoperti dove si pensava ci fossero giardini. Per sapere se la rotonda era coperta con una volta come il Pantheon e se c'erano colonne sulla fronte dell´esedra, c'è solo da trovare altri fondi. E rimuovere quel paio di metri di terra che soffocano marmi, mosaici e storia.
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Cercavano tracce di fuochi, un altare, echi di antichi riti in favore del divino Ercole. E invece hanno riportato alla luce pezzi di grosse giare, dodici stanze intonacate che si affacciano su un quadriportico, canalette per l'acqua, ricordi di viandanti che si fermarono a riposare e a fare qualche acquisto nel più antico "centro commerciale" dell'Appia antica: un emporio all'ottavo miglio della Regina Viarum. Trovato allontanando, con garbo, le prostitute che stazionano accanto e dentro i sepolcreti. E mettendo mano allo scavo che va di pari passo con il restauro di un nuovo tratto della consolare salvata da Antonio Cederna.
Non solo di aulici, mitici lupercali è fatta la cronaca delle scoperte archeologiche. Ma anche di lupanari, taverne, stazioni di posta: architetture semplici, potenti. Romane. Come i frammenti di colonne di peperino adagiate da secoli davanti all'ingresso di villa Fiorano, tra via degli Armentieri e via di Fioranello. A cavallo di quei rocchi, i fotografi di Alinari avevano immortalato pastori con i loro cani scrivendo nella didascalia "Tempio di Ercole" poiché Marziale lo ricorda all'ottavo miglio. Invece si tratta di un luogo di sosta con accesso diretto sull'Appia, come dimostra la deviazione del manto di basole che conduce alle mazzette dove si impostava il portone di questo "autogrill" del primo secolo avanti Cristo: una delle architetture più antiche dell'Appia.
«Sì, l'impianto principale è di tarda età repubblicana, come dimostrano i bolli rettangolari impressi nelle tegole. Ma, accanto ai bei muri in opera reticolata venuti fuori scavando, abbiamo evidenziato testimonianze di età imperiale. Segno che l'emporio ebbe una vita molto lunga. A un certo punto, le porte che s'affacciavano sul cortile colonnato vennero chiuse poiché, probabilmente, furono create nuove aperture all'esterno. Ma questo lo scopriremo solo mettendo mano alla collinetta che ha ricoperto l'edificio» racconta Giorgio Gatta che, per conto della Soprintendenza, sta eseguendo gli scavi con Antonella Rotondi e secondo il progetto di Massimo De Vico e Rita Paris.
Dopo sette-otto miglia, i romani costruivano luoghi di sosta perché questi erano i "chilometri" che il viaggiatore percorreva a piedi. La conferma che si tratti di uno spazio commerciale viene dalla pianta dell'edificio, dai molti frammenti dei doli (i grandi vasi per le derrate alimentari), dalle stanze dagli alti muri (si sono conservati alzati fino a tre metri: una rarità) e dal perfetto impianto di smaltimento dell'acqua. Ma da dove prendevano tutta quell'acqua?
Gli archeologi sono ora a caccia di una fonte. E guardano con "cupidigia" allo spiazzo di terreno lì accanto, tra le colonne in peperino e i resti di una gigantesca tomba. Anche questa area è stata salvaguardata dalla linea delle "macere", i muretti alzati nell'Ottocento da Luigi Canina per delimitare le zone di pregio dell'Appia antica. Lo scavo dell'emporio è stato finanziato risparmiando 300mila euro dal restauro del tratto di consolare che si sta contemporaneamente portando avanti, dal civico 200 al 400. Ma ora si spera in nuovi fondi per finire l'indagine, proteggere le rovine, innalzare le colonne cadute a terra. E andare a vedere se lì accanto sgorga una fonte con, annesso, un tempio. Magari proprio quello dedicato a Ercole. Dio bello, forte e protettore dei traffici e dei mercati.
L'archeologa Rita Paris: "No ai cancelli"
«Non solo tombe monumentali. Ma anche terme, stazioni di posta e ora anche un bellissimo emporio. Avete visto quanti tesori restituisce ancora questa strada, nonostante le distruzioni, l'abusivismo edilizio, la mancanza di fondi?» dice Rita Paris responsabile per la Soprintendenza archeologica dell'Appia Antica.
Avete un milione l'anno. Non basta?
«Sono destinati, e sufficienti, per la manutenzione ordinaria. Ma abbiamo bisogno di interventi straordinari per acquistare altre aree da destinare al pubblico e per continuare le campagne di scavo. Eppure i fondi della legge Roma-Capitale, quelli del Lotto e il progetto Arcus non contemplano l'Appia Antica».
Come proteggerete l'emporio? Con una recinzione come quella del mausoleo di Gallieno?
«Cederna diceva: "I cancelli sono la gabbia dei monumenti". E poi la recinzione a Gallieno viene spesso divelta e quelle rovine - che sono a grave rischio crolli - diventano teatro di prostituzione maschile. Vorremmo lasciare liberi i monumenti dell'Appia Antica. Ma per far questo abbiamo bisogno dell'erogazione continua di fondi e di un maggiore controllo del territorio».
Lastre di eternit abbandonate nel cuore del parco dell’Appia Antica. Rovinate, scheggiate e usurate. Questo materiale altamente dannoso per la salute e inquinante per l’ambiente è stato scaricato in diversi angoli dell’area protetta. Ma non solo. Tubature, sacchetti d’immondizia e batterie delle auto. Tutto è gettato nel parco come in una discarica. Alcuni rifiuti stanno lì da settimane, altri da anni.
Cinquanta e più blocchi d’amianto sono ammassati uno sopra all’altro in mezzo al verde all’altezza di via Lucio Volumnio. Proprio lungo il viottolo dove bambini e adulti passeggiano a piedi o con la bicicletta. Materiale tossico che deve essere chiuso in imballaggi non deteriorabili e incapsulato con estrema attenzione per non far liberare nessuna fibra di amianto, cancerogena per la salute, è invece buttato sul ciglio della strada. Sparse a terra ci sono centinaia di lattine e bottiglie di birra, cartacce, tubi di cemento e sacchetti stracolmi d´immondizia. Tra gli pneumatici delle auto, lasciati nel parco da anni, sono cresciuti anche degli arbusti. Montagne di calcinacci sono stati gettati sull’erba.
«Arrivano dentro quest’area protetta con dei camioncini, poi buttano tutto a terra e se ne vanno. Io che abito qui da anni non ho mai visto nessun controllo, nessuno che venisse a fare manutenzione o pulizia nel parco. E noi, come le migliaia di persone che vengono a passeggiare nell’Appia Antica, ci ritroviamo in un discarica, non in mezzo alla natura», si arrabbia Francesco Papa, che da anni risiede in una casa nel parco dell’Appia Antica. A due passi da un tumulo funerario ci sono delle vere e proprie aree ricoperte di rifiuti. Mobili, travi di legno, sacchetti di calcinacci, vestiti, scarpe e fusti di detersivi. Una zona verde è recintata, il cartello spiega che è sottoposta a sequestro per una bonifica. Oltrepassata la transenna si apre allo sguardo un’immensa discarica a cielo aperto.
Un parco di carta, un parco inesistente. Per Antonio Cederna, negli anni Sessanta, l'Appia Antica era un territorio in balia degli speculatori, che subiva l'aggressione del cemento, dove si consumava ogni sorta di abuso edilizio, continuamente al centro di indecenti progetti che venivano presentati nel silenzio delle istituzioni. Nel 1988 una legge regionale istituisce il Parco dell'Appia Antica e nel 1997 la zona viene inclusa tra le aree naturali protette. Ma non basta. Nonostante gli ultimi sequestri, la situazione è ancora piuttosto degradata. Il grido d'allarme parte, questa volta, da Paestum, dove si è conclusa ieri la decima edizione della Borsa mediterranea del turismo archeologico. «La realtà attuale - lamenta Rita Paris, direttore della Soprintendenza archeologica di Roma - ha superato ogni possibile immaginazione per la rovina e l'offesa al patrimonio archeologico, ambientale e paesaggistico del comprensorio dell'Appia, tra abusi vecchi e recenti, abusi macroscopici condonati, attività improprie impiantate in modo stabile, monumenti trasformati in alcove per la prostituzione che da sempre qui è stata di casa, la strada e le sue fasce con i monumenti invasi dal parcheggio di auto gratuito vicino all'aeroporto di Ciampino. Un suburbio residenziale al centro di interessi che allontanano ogni giorno di più ogni tentativo per la creazione di un vero Parco».
Un parco che diventa un arcipelago dentro il degrado, una porzione di territorio avulso dal contesto, mentre, come hanno sottolineato a Paestum i vari relatori (da Antonia Pasqua Recchia, direttore generale per l'innovazione tecnologica del ministero, a Giovanna Rita Bellini, direttore della Soprintendenza dei Beni archeologici del Lazio) serve una visione complessiva del paesaggio storico per assicurare il massimo della tutela.
L'Appia Antica sconta certamente il ritardo che nei decenni ha caratterizzato gli interventi di salvaguardia. Esistono numerosi vincoli archeologici «ma la maggior parte del territorio - insiste nella sua relazione Rita Paris - è di proprietà privata, compresi i monumenti che sono presenti in quasi tutte le ville, i casali, i ristoranti, i circoli sportivi. Rispetto alle previsioni del Piano Regolatore del 1965, si sono fatti enormi passi indietro, sia nel riconoscimento dell'interesse storico, archeologico, monumentale del comprensorio - ciò che non si è ancora vincolato con vincolo archeologico specifico non si riesce a vincolare o con enormi difficoltà, - sia nelle previsioni di acquisizione pubblica delle aree e dei monumenti».
«Il Parco Regionale e l'ente di gestione, nel quale non sono rappresentate le Soprintendenze e il ministero, da soli non bastano - prosegue la Paris - a garantire una corretta pianificazione e la gestione di una zona che contiene uno dei più ricchi patrimoni archeologici del mondo. Per assurdo, nelle norme del Piano d'assetto del Parco, i futuri scavi archeologici da parte della Soprintendenza di Stato dovrebbero essere sottoposti all'autorizzazione dell'ente di gestione ».
Non basta, dunque, salvare i «ruderi». Bisogna intervenire con più forza sul territorio. «Le altre istituzioni - dice ancora la Paris - alle quali sarebbe demandato il compito della tutela paesaggistica (Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici e per il paesaggio, Regione, Comune) si sono ad oggi limitate ad applicare le leggi nel senso peggiore per la tutela, senza conoscere il territorio, senza mai effettuare controlli, esprimendosi sulla compatibilità della singola situazione (la villa schermata dal verde o l'impianto sportivo o il vivaio) e perdendo completamente di vista la graduale, drammatica trasformazione che tali situazioni, moltiplicate per centinaia, migliaia di casi, avrebbe procurato». Che cosa fare? Per la Paris quattro i punti principali e più urgenti: acquisire al pubblico le aree e i monumenti più importanti; incrementare gli scavi e i restauri; creare un sistema complessivo di difesa del territorio. E infine, e non ultimo, limitare il traffico che attraversa il parco.
Non posso tralasciare anche questa occasione di incontro e confronto per ripetere alcune osservazioni e preoccupazioni per il territorio dell’Appia, in particolare per l’ambito romano di cui mi occupo (ma senza perdere di vista l’interesse della totalità del percorso fino a Brindisi).
Premesso che l’Appia è considerata da sempre da un lato un “parco archeologico”, dall’altro il simbolo dell’abusivismo e delle ville famose per eccellenza (vi hanno abitato e vi abitano ancora alcuni tra i più famosi personaggi del cinema, della moda, più recentemente dell’imprenditoria) e che si continua a operare in una condizione di equivoco (noto, noto solo in parte, noto e comodo così com’è), è necessario ripartire dall’inizio facendo chiarezza sullo stato normativo e sullo stato di fatto.
Nel 1965 nel PRG della città fu introdotto un decreto che destinava l'intero comprensorio dell'Appia, allora di circa 2500 ettari, a Parco Pubblico, per la tutela integrale degli straordinari valori archeologici, storici, paesaggistici. Già nel 1953 la legge di tutela statale sulle bellezze paesaggistiche aveva vincolato l'intero territorio riconoscendo una stretta connessione tra i monumenti e il paesaggio. In quell’arco di tempo Antonio Cederna non ha mai smesso di scrivere sull’argomento denunciando gli abusi, gli scempi, gli indecenti progetti che venivano presentati, il silenzio delle Istituzioni, le gravi omissioni che allontanavano sempre più la soluzione urbanistica adeguata per l’Appia.
La legge regionale del 1988 ha istituito il Parco Regionale dell'Appia Antica e nel 1997 la zona è stata inclusa tra le aree naturali protette tra le cui principali finalità sono la tutela degli habitat naturali e la valorizzare delle attività produttive compatibili con le esigenze di tutela dell’ambiente, favorendo nuove forme di occupazione.
Per quanto riguarda la tutela archeologica da parte dello Stato vi sono numerosi vincoli archeologici per ampie aree (i vincoli archeologici di settori, diretti e indiretti, apposti negli anni 80/90 sono estesi centinaia di ettari ciascuno), vincoli per specifici monumenti e il vincolo già legge Galasso 431/85 lettera m (oggi DL.vo 42/2004 art. 142 lettera m) che copre l’intero territorio. La strada, con le fasce ai lati, è demaniale dagli interventi ottocenteschi del Canina, ma questo è stato dimenticato.
Le proprietà pubbliche sono irrilevanti rispetto alla vastità del territorio e soprattutto inadeguate rispetto alla presenza di monumenti (sono pubbliche parte dell’area della Caffarella, il complesso di Massenzio, la Villa dei Quintili con la proprietà acquistata di recente di S. Maria Nova, i monumenti lungo la strada, il complesso di Cecilia Metella con il Castrum Caetani, Capo di Bove, anche questa di acquisto recente, piccole porzioni di campagna, una bella proprietà con casale ad uso agricolo acquistata dall’Ente Parco recentemente).
La maggior parte del territorio è quindi in proprietà privata, compresi i monumenti che sono presenti in quasi tutte le ville, i casali, i ristoranti, i circoli sportivi.
Rispetto alle previsioni del Piano Regolatore del 1965, si sono fatti enormi passi indietro, sia nel riconoscimento dell’interesse storico, archeologico, monumentale del comprensorio – ciò che non si è ancora vincolato con vincolo archeologico specifico non si riesce a vincolare o con enormi difficoltà, d’altro canto per ciò che ha solo il vincolo di 431/85 lettera m, ossia paesaggistico, si tende ad allontanare sempre più la competenza e la titolarità della tutela alla Soprintendenza Archeologica – sia nelle previsioni di acquisizione pubblica delle aree e dei monumenti.
L'esistenza del Parco Regionale e di un ente di gestione, nel quale non sono rappresentate le Soprintendenze e il Ministero, contribuisce senza dubbio a limitare alcuni danni ma è strumento inadeguato a garantire una corretta pianificazione e la gestione di una zona che contiene uno dei più ricchi patrimoni archeologici al mondo.
Il Piano d’assetto del Parco che sostituisce il Piano Regolatore, in un rapporto ancora poco chiaro con il Piano Territoriale Paesistico, non tiene conto di tutto il patrimonio monumentale, archeologico e storico intorno al quale e per il quale si sono creati l’ambiente naturale e il paesaggio, non prevede alcuna iniziativa per la conservazione dei monumenti, per l’incremento della conoscenza del patrimonio archeologico di cui il Parco tuttavia beneficia nella promozione della propria immagine. Per assurdo, anzi, nelle norme del Piano d’assetto, i futuri scavi archeologici da parte della Soprintendenza di Stato dovrebbero essere sottoposti all’autorizzazione dell’Ente di gestione!
Questo è lo stato di fatto; passando a considerare le necessità reali di questo territorio - Parco Archeologico, o come si voglia definire - , è opportuno riferirsi alla situazione specifica e non applicare modelli predeterminati, se vi è l’intenzione di voler ancora provvedere ad attuare un programma di tutela e valorizzazione di questo patrimonio, nel senso indicato da Antonio Cederna e altri.
L'Appia rappresenta in modo emblematico il fatto che la tutela archeologica non può essere rivolta alla conservazione dei "ruderi" in senso stretto, come purtroppo si tende a considerare. Inoltre si deve prendere atto che se qualcosa ad oggi si è salvato di quell’insieme inscindibile che la Via Appia forma con la campagna romana, si deve all’attività, e non solo recente come attestano i documenti d’archivio, della Soprintendenza competente per l’archeologia. Si deve inoltre prendere atto che le altre istituzioni alle quale sarebbe demandato il compito della tutela paesaggistica (Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e per il paesaggio, Regione, Comune) si sono ad oggi limitate ad applicare le leggi nel senso peggiore per la tutela, senza conoscere il territorio, senza mai effettuare controlli, esprimendosi sulla compatibilità della singola situazione (la villa schermata dal verde o l’impianto sportivo o il vivaio) e perdendo completamente di vista la graduale, drammatica trasformazione che tali situazioni, moltiplicate per centinaia, migliaia di casi, avrebbe procurato.
Quello che a me appare chiarissimo e che vorrei fosse acquisito da tutti colori che hanno la responsabilità della pianificazione e della gestione di un ambito come questo - competenze estranea alla Soprintendenza Archeologica, che tuttavia dovrebbe svolgere il ruolo di “consulente” per le specifiche competenze dalle quali non si può prescindere – è che la situazione dell’Appia richiede effettivamente un programma coordinato tra i vari Enti, da attuare d’intesa, gradualmente e che costituisca un “testamento” per il futuro.
Mi limito a citare i punti essenziali senza entrare nel dettaglio.
Si è già avuto occasione di denunciare come la realtà attuale abbia superato ogni possibile immaginazione per la rovina e l’offesa al patrimonio archeologico, ambientale e paesaggistico del comprensorio dell’Appia, tra abusi vecchi e recenti, abusi macroscopici condonati, attività improprie impiantate in modo stabile, monumenti trasformati in alcove per la prostituzione che da sempre qui è stata di casa, la strada e le sue fasce con i monumenti invasi dal parcheggio di auto gratuito vicino all’areoporto di Ciampino.
Un “Parco inesistente”, un “Parco di carta” come è stato definito da Cederna nel 1960 e nel 1994, la realtà è che il “il più straordinario comprensorio archeologico e paesistico di Roma”, in spregio ai vincoli, alle leggi, al Piano regolatore, era e resta il “suburbio residenziale” della città ancora al centro di interessi di vario genere che allontanano ogni giorno di più ogni tentativo per la creazione di un vero Parco.
Credo fermamente che lo straordinario valore storico, archeologico oltre che ambientale e naturalistico, di questo territorio debba essere riconosciuto senza riserve con un atto legislativo che superi le lungaggini burocratiche dei vincoli e gli ostacoli dei tribunali amministrativi e la sua cura debba essere affidata a istituzioni in grado di rimanere estranee ad ogni forma di compromesso.
Per questo è necessario e non più procrastinabile che Ministero, Regione e Comune individuino la forma più corretta e completa per la pianificazione e la gestione di questo incommensurabile patrimonio.
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Finisce il manto regale delle antiche pietre laviche. E, all´altezza della traversa di via degli Armentieri, quando l´Appia diventa d´asfalto e buche, due turisti stranieri vengono avvicinati da una prostituta. Si è staccata dal gruppetto di donne sedute sotto un albero, tra tracce di fuochi e rifiuti. E li invita: «Annamo? Let´s go, Let´s go!». L´offerta non è a salire in macchina. Ma in un´antica tomba romana che dà sulla strada. È un tugurio, con dentro una branda lercia. La vista dell´interno è protetta da una tendina. Una giovane prostituta la scosta ed esce. Le è accanto il cliente con cui si prende a parolacce perché non le vuole dare i 15 euro pattuiti.
Sembra di essere nella Roma di Fellini. E invece siamo nel parco archeologico dell´Appia antica. Non il lungo ed efficiente viale carico di storia dove - prima e anche subito dopo il Gra - passeggiano turisti e guide. Ma il tratto dove non sono mai arrivati gli operai che, per il Giubileo, grazie a un corposo finanziamento del Comune e della Soprintendenza statale, nel tratto restaurato riportarono alla luce l´antico basolato e misero in posa, se le pietre romane non c´erano più, i sampietrini ottocenteschi. Via degli Armentieri è perciò un limite: dove finisce la strada curata, inizia il degrado. Soprattutto sociale.
Davanti alla tomba successiva, altre due donne siedono davanti a un focherello. E alcuni ceppi fumanti, poco oltre, stanno a dire che la prostituta s´è allontanata da poco. Eppure il cartello del "Parco regionale Appia Antica" recita che è «vietato accendere fuochi all´aperto»; tanto che la Soprintendenza vieta ai padroni delle ville che si trovano nel parco di accendere persino le fiaccole perché la cera rovina le antiche pietre e il fuoco mette in pericolo la vegetazione.
Ma non è certo questa la violazione più macroscopica. C´è un cippo funerario sul quale ignoti hanno scritto con la vernice spray. E c´è - nonostante il cartello dica che «è vietato circolare e sostare con auto e moto al di fuori della strada carrabile» - un continuo via-vai di uomini soli. Entrano con l´auto in gigantesche pozzanghere, dalle quali c´è il rischio di non uscire tanto sono profonde, alla ricerca di amanti da adescare. O di un ragazzo da pagare. Lo scambio di avance e di soldi diventa macroscopico superata la traversa di via Fioranello. E i luoghi degli incontri diventano gli alberi e i cespugli ai lati dell´Appia Antica. Dodici miglia nel Comune di Roma sulle quali sono competenti Campidoglio, Soprintendenza e Regione. E che oggi sono una strada percorribile dalle auto, con i pneumatici che ricalcano il segno lasciato sui lastroni dagli antichi carri romani diretti a Sud.
«Ma questo non è niente. Venga di notte e vedrà il traffico e la prostituzione che c´è» denuncia Franco Pelizon, che abita in una villa. «Fino a tre-quattro anni fa venivano, se sollecitati, a tappare le buche. Ma negli ultimi tempi non s´è visto più nessuno». Il cartello regionale dice anche che è vietato abbandonare i rifiuti. Tra le colonne e i rocchi stesi nell´erba del tempio di Ercole Silvano, ci sono invece cartacce, bottiglie, plastiche. «Recentemente sono venuti a portare via frigo arrugginiti, vecchie tv, water e materassi: le discariche abusive che spuntano spesso lungo i lati della strada», racconta Isabella Gorini, presidente della società che nella villa di Fiorano, dei Boncompagni-Ludovisi, organizza eventi e affitta i saloni per cerimonie e set cinematografici. La dimora novecentesca ospita anche un´Accademia di cultura gastronomica mentre poco più in là c´è il Circolo della caccia alla volpe. «Soci e clienti - spiega la Gorini - hanno problemi a raggiungerci con questa strada dissestata. Ed è capitato che qualcuno sia stato aggredito da chi gli offriva servizi sessuali».
Un´anziana prostituta - una delle poche ultra settantenni romane che continuano a battere sull´Appia - esercita di fronte alla Berretta del Prete. Il monumento è stato restaurato con i, pochi, fondi a disposizione della Soprintendenza. Ed è difeso a da una cancellata verde che impedisce di trasformare il sepolcro in lupanare. È un avamposto che segna una strada da percorrere per sottrarre la Regina viarum al degrado: restauri e cancelli.
Cecilia Metella, guerra intorno a un vincolo archeologico. L'offensiva contro il «vincolo » di tutela posto intorno all'area di Cecilia Metella ha ricevuto un primo contraccolpo ieri nel Comitato di settore dei Beni archeologici del ministero. Il ricorso amministrativo intentato dalla famiglia Greco, Roberto e Gabriella, titolari di una grande proprietà interna all'area posto sotto vincolo, è stato respinto. L'organo consultivo del ministero ha inviato infatti parere negativo alla direttrice generale dell'archeologia, Anna Maria Reggiani. Sullo sfondo si profila un nuovo pericolo, il ricorso che gli stessi Greco stanno promuovendo al Tar.
Sembra incredibile, ma è così: il vincolo su una delle aree più prestigiose dell'Appia Antica, il suo cuore costituito da una quindicina di ettari intorno al famoso mausoleo di Cecilia Metella, non esisteva fino a poco tempo fa. A chiedere di vincolare la prestigiosa area è stata la sovrintendenza archeologica e in particolare la struttura che si occupa del patrimonio dell'Appia, diretta da Rita Paris. E così nel dicembre scorso il direttore regionale dei Beni culturali, Luciano Marchetti, ha finalmente firmato un decreto di vincolo. Il vincolo però è stato subito impugnato dalla proprietà coinvolta, quella dei Greco. «Sotto vincolo - spiega Rita Paris - è l'area che corrisponde al Triopio di Erode Attico, una vasta proprietà che inglobava la Caffarella e i cui limiti a sud ci sono stati confermati dai recenti ritrovamenti a Capo di Bove. La linea è di completare la copertura dell'intero parco dell'Appia col vincolo archeologico».».
A essere tutelato è il quadrilatero che ha come confini il Circo di Massenzio, l'Appia Antica, l'Appia Pignatelli e via di Cecilia Metella. Insomma 15 ettari di altissimo valore archeologico che contengono la parte più spettacolare di Cecilia Metella, le mura del Castrum Caetani, un acquedotto sotterraneo e varie altre meraviglie. L'offensiva anti- vincolo non risparmia però colpi: il primo è stato il ricorso amministrativo bocciato ora dal comitato di settore in cui siedono autorità accademiche come l'archeologo Claudio Sassatelli o il professor Mario Torelli. La battaglia si sposta al Tar.
In occasione della presentazione del volume “Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna”, a cura di Maria Pia Guermandi e Valeria Cicala, 2007 Bononia University Press, si è svolto a Roma, nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme, il 6 giugno 2007, un convegno dal titolo: “Politiche culturali e tutela: dieci anni dopo Antonio Cederna”. Dell'iniziativa che è stata occasione di ricordo di Antonio Cederna, ma anche di discussione sugli attuali problemi della difesa del patrimonio culturale e paesaggistico e sulla situazione dell'urbanistica italiana ed in particolare romana, pubblicheremo in eddyburg alcuni interventi a partire da quello di Rita Paris dedicato all'Appia Antica, per la cui tutela Cederna si battè per più di quarant'anni. (m.p.g.)
Dell’Appia mi occupo dall’inizio del 1996; pochissime sono state le occasioni di incontri ufficiali in cui era presente anche Antonio Cederna, presidente dell’Azienda Consortile del Parco dell’Appia, ancora non operativa all’epoca.
Grata per la fiducia che Adriano La Regina aveva voluto riporre in me e che Angelo Bottini ha confermato, mi sono resa conto ben presto che l’insieme delle leggi a tutela dell’Appia non era tuttavia sufficiente a garantirne la salvaguardia; sebbene negli uffici della Soprintendenza Archeologica di Roma pervenissero da sempre numerosissime richieste di pareri per ogni tipo di intervento da realizzare e nonostante sembrasse universalmente acclarato che l’Appia riveste elevatissimo interesse archeologico e monumentale.
Nel 1998 siamo riusciti a far approvare il decreto ai sensi della legge 431/85 (legge Galasso) art. 1, lettera m) sulle zone di interesse archeologico che si sovrapponeva alla precedente L. 1497/39 e a estesi settori di vincolo archeologico per buona parte del territorio (ma non la totalità) che riperimetrava tutto il comprensorio dell’Appia (dall’Ardeatina all’Appia Nuova), con aggiunta di aree di grande pregio come la tenuta di Tor Marancia, che Cederna aveva individuato tra le priorità per la salvaguardia di tutto il sistema. Nell’impegno per Tor Marancia ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare a strettissimo contatto con Italo Insolera, Vezio De Lucia e Carlo Blasi, illuminanti per questo e altre problematiche a seguire, sempre ancora oggi, insieme a Vittoria Calzolari, punti di riferimento insostituibili.
Mi sentivo più tranquilla con la copertura della L.431/85, lettera m) ma mi sbagliavo, perché, a parte la procedura indicata nell’art.13 della Legge Regionale 24/98 sulla tutela e pianificazione paesaggistica in merito alla necessità anche dei pareri della Soprintendenza Archeologica, la tendenza era ed è, anche in ambito ministeriale, di non riconoscere alla Soprintendenza Archeologica che ha proposto il provvedimento di vincolo non solo la titolarità del procedimento ma alcuna competenza, trattandosi di un vincolo paesaggistico.
Anche l’avvio dell’operatività dell’Ente Parco - nel frattempo la legge istitutiva aveva lasciato il posto alla legge sulle aree naturali protette, con modifiche nello statuto e nella composizione della CdA dell’Ente da cui era scomparsa ogni rappresentanza del Ministero, con cui ho sperato di poter condividere, pur nelle distinte competenze, il peso di un impegno così oneroso - incominciò a creare qualche problema di conflittualità per il ruolo preminente e totalizzante che si voleva riconoscere all’Ente. All’Ente spettano compiti di pianificazione, gestione, tutela, promozione e altro su un territorio il cui preminente valore è archeologico storico monumentale paesaggistico, senza alcuna partecipazione delle Soprintendenze.
Quindi ho dovuto combattere non poco con tutti gli uffici dell’amministrazione comunale per poter continuare, almeno come prima, a svolgere i controlli e esprimere i pareri per ogni intervento. D’altro canto cosa non riveste interesse archeologico in un tale contesto?
Mentre faticosamente si cercava di andare avanti nella tutela quotidiana, con le pochissime ma affiatate persone che compongono il poco attrezzato ufficietto dell’Appia in Soprintendenza, le uniche con me a conoscere effettivamente lo stato delle cose, si è tentato di far passare qualche altro vincolo specifico (con scarsissimi risultati), si è arricchito il patrimonio con scavi, restauri, si sono aperte al pubblico la Villa dei Quintili, il complesso di Cecilia Metella con il Palazzo Caetani, si è ridata dignità alla strada e ai monumenti che la fiancheggiano, si è acquisita qualche proprietà tra polemiche inimmaginabili come quella suscitata per la prelazione di Capo di Bove, rivelatasi area archeologica di primario interesse, dove verrà a brevissimo ospitato l’archivio che la Famiglia Cederna ha voluto donare allo Stato, secondo un piano di ricerca e di studi che sarà ampiamente condiviso.
Ecco, contemporaneamente, manifestarsi travolgente il fenomeno dei condoni edilizi che dalla fine degli anni ‘90 a migliaia si stavano rilasciando per questo territorio, come per altri di pregio della città, senza la minima considerazione dell’esistenza di vincoli.
Riunioni da far venire il mal di fegato dove tra violente manifestazioni di arroganza e incompetenza dovevo cercare di dimostrare che, nell’insieme delle leggi esistenti, il nostro parere era necessario e che si stava trattando dell’Appia per la cui difesa Cederna aveva speso una vita. In questi contesti non ho mai trovato una sola persona a cui stesse a cuore il destino di questo territorio. A nulla sono valsi i tentativi di trovare un sostegno presso il Ministero a vari livelli, le denunce alla Procura e presso gli organi della stampa che sono parsi in questi anni i più interessati al problema e non solo per uno scoop giornalistico.
E’ per questo che chiederei di selezionare attentamente le figure che possano parlare o scrivere o promuovere iniziative per Antonio Cederna, il cui nome, a mio avviso, è stato usato da molti senza consapevolezza e dunque indegnamente.
Potrei parlare ore, far vedere immagini, citare esempi eclatanti. Non riuscirei comunque a rendere l’idea del reale stato delle cose, dell’intrigo dei problemi di competenze, di interessi privati.
Di fatto il piano regolatore dell’Appia è stato l’abusivismo o come si dice lo sviluppo edilizio spontaneo che ha portato a stralciare la zona di Cava Pace dai perimetri del Parco e presto porterà, secondo anche le previsioni di alcuni punti del Piano di Assetto del Parco, a riconoscere di fatto le trasformazioni per gli abusi, distinguendo le zone con una gerarchia che non doveva esistere, perché già 50 anni fa se ne era riconosciuta la continuità e l’omogeneità e quindi prescritta l’integrità della conservazione.
I diritti dei privati sono sempre sostenuti da licenze per commercio o attività del tutto improprie rilasciate da uffici della stessa amministrazione che dovrebbe conoscere le limitazioni imposte dalle proprie leggi. Ci ritroviamo così di fronte, quando va bene, a vivai spontanei cresciuti a dismisura che si attrezzano ovviamente con uffici e ristoranti, a impianti sportivi completamente abusivi con campi, club house, ristoranti, piscine, sempre molto ambite dai poveri sfortunati che non sono riusciti a farle passare nei condoni precedenti e che si presentano travestite da riserve idriche o cose del genere, con tanto di pressioni di personaggi politici. Ma non mancano i rimessaggi di grossi veicoli, di roulottes, di materiale per edilizia, i capannoni industriali e la recente intensa attività edilizia, con una variegata gamma di tipologie, che ha completamente occupato le aree preziose della campagna romana, con continue esigenze di crescita, raramente mascherate da attività agricola. I casali più belli ospitano cerimonie e feste, gareggiando con fuochi d’artificio dove dovrebbe dominare il silenzio, allontanando sempre più la presenza dell’intermittenza luminosa delle lucciole.
E non parliamo degli intoccabili a cui è stato consentito di acquistare importanti proprietà con monumenti universalmente noti e che non hanno voluto o saputo avere il rispetto per il luogo scelto esagerando nelle trasformazioni e negli usi.
Da anni vado ripetendo che almeno dall’approvazione del PRG nel 1965 il decreto introdotto direttamente dal Ministro Mancini a tutela di tutto il comprensorio dell’Appia per i suoi straordinari valori archeologici, storici, paesaggistici, ne aveva prescritto la assoluta inedificabilità e la destinazione a parco pubblico ma tutti sembrano ignorare questo atto fondamentale che solo sarebbe bastato a salvare almeno l’integrità delle aree se non ad acquisirle tutte al pubblico.
La lettura e la periodica rilettura di tutti gli articoli di Cederna sull’argomento fa sembrare tutto più incredibile: ciò che lui ha denunciato dal 1953 e che appariva intollerabile già allora è stato superato da migliaia di altre illegalità portate avanti con arroganza e tenacemente difese da grandi studi legali, spesso sostenute dai pareri dei tribunali, a danno del patrimonio e dell’interesse pubblico.
Rispetto a quel decreto e all’illuminato appello rivolto al Governo nel 1954 da parte di importanti personaggi del mondo politico e culturale (pubblicato da Cederna su il Mondo) che mette in relazione i ruderi, i monumenti, le statue con la campagna romana come un tutto inscindibile e come “monumento da conservare religiosamente intatto, quale patrimonio comune dell’umanità”, si assiste oggi a un vergognoso arretramento nel senso della tutela in particolare archeologica che si vuole circoscrivere sempre più alla testimonianza emergente, neutralizzando ogni tentativo di una visione più ampia.
Spesso credo che dovrei lasciare questo incarico esprimendo pubblicamente l’impossibilità e l’inutilità di andare avanti, se non accade qualcosa, in quanto tutto sembra finire nelle stanze del mio ufficio…., per lo più dovendosi difendere anche da quelle persone o istituzioni dalle quali ci si aspetterebbe aiuto, condivisione, forza.
E questo mentre al di fuori si crede che l’Appia sia un Parco, mentre una cartellonistica ne segna il perimetro, mentre i turisti disorientati si domandano dove sia questo Parco, come può essere visitato, al di là di quel poco di pubblico che esiste (Caffarella, Massenzio, Quintili, la strada stessa).
Non è frequente l’occasione di un incontro così in cui con tante persone amiche e competenti si è nella felice circostanza della presentazione di un volume come questo: oltre al merito degli elevati contenuti sembra sia arrivato, come per magia, un nuovo impulso ai temi trattati e si è accesa, almeno in me, una speranza nuova. Desidero ringraziare per questo splendido dono tutti quelli che vi hanno contribuito e in prima linea le curatrici del volume.
Tra lucciole e auto pirata l'assedio dell'Appia Antica
Corriere della Sera, ed. Roma, 26 aprile 2007
Appia Antica, all'angolo con via degli Armentieri. Giorni scorsi, un'archeologa e una prostituta. «Mi scusi, potrebbe scansarsi?». «Ahò, ma io sto' a lavorà...». «Anch'io...». «E che dovresti fa'?». «Devo guardare l'epigrafe su cui è seduta». «L'epì...che?» Disastri dell'Appia Antica. Auto che vanno su e giù indisturbate rallentando tutt'al più un po' all'altezza dei tratti in basolato. Prostituzione femminile e soprattutto maschile, all'altezza di via di Fioranello dove le auto comodamente parcheggiate sulla strada consolare appartengono indistintamente ai frequentatori gay e agli utilizzatori del vicino aeroporto di Ciampino.
E soprattutto, proprio all'altezza degli Armentieri, ecco il gran ritorno a ridosso della strada di capannoni industriali e commerciali, vendite al minuto e all'ingrosso, rimessaggi estesissimi di roulotte, caravan e perfino gommoni. Capannoni e rimessaggi interamente abusivi. «Certo, noi non abbiamo dato mai nessun assenso - spiega Livia Giammichele della Sovrintendenza archeologica di Roma, reduce da un sopralluogo - . E in passato a più riprese abbiamo segnalato agli organi dello stato questo scempio che deve essere arrestato».
Siamo nel tratto dell'Appia Antica che dal Raccordo Anulare va a sud in direzione di via di Fioranello, la strada che l'attraversa sbucando di fronte ai parcheggi dell'aeroporto di Ciampino. Una gara di appalto è stata appena conclusa e sono stati assegnati i prossimi lavori di risistemazione della grande strada consolare, grazie allo stanziamento di un milione di euro. C'è da rimettere a posto un chilometro circa dell'Appia. L'intervento segue la risistemazione dei tratti a monte dell'Appia Antica che hanno raggiunto e superato il punto in cui grazie al nuovo tunnel del Raccordo Anulare è stato ricongiunto il percorso interrotto negli anni '60 dalla costruzione del Gra.
Un primo tratto, da via di Porta San Sebastiano fino al Gra, è stato restaurato grazie ai fondi del Giubileo. Successivamente il restauro è sta protratto dal Gra a via degli Armentieri. Ora si vorrebbe andare avanti. Ma in quale scenario?
Basta guardare via degli Armentieri, prima traversa a destra sull'Appia Nuova uscendo da Roma dopo il Raccordo, per rendersi conto del nuovo assalto all'Appia in pieno corso. Un'officina meccanica sulla destra, una rivendita di attrezzi da giardino sulla sinistra, il tutto con grandi capannoni e spazi usati per macchine ed attrezzi. Poi ecco il rimessaggio con uno spazio per centinaia di metri ingombro di caravan e mezzi nautici. È un assedio che lascia fuori per fortuna ancora spazi verdi di campagna romana, la povera Appia vivacchia ai limiti subendo la presenza di chi la usano per i propri comodi, scorrazzando con auto e moto di notte e anche di giorno. «È uno scandalo che sembra non interessare a nessuno - spiega Rita Paris, l'archeologa della Sovrintendenza responsabile della zona - . Ma le autorità e gli enti che hanno il potere di decidere sul destino dell'Appia conoscono questa realtà? Mi pare di no, perché la situazione è talmente vergognosa e indecorosa...Senza rendersene conto, però, c'è chi gioca al massacro continuando a dare concessioni che non dovrebbero essere date, ma che procurano insediamenti di attività e innescano nuovo degrado. Qualcuno si riconosce come responsabile di tutto ciò?». Messaggio inviato al Comune di Roma e alla Regione Lazio: si devono svegliare perché quella che potrebbe essere una delle porte del Parco dell'Appia giace in uno stato miserevole.
La Regina: «Colle della Strega, stop al cemento»
Corriere della Sera, ed. Roma, 27 aprile 2007
Appia Antica, si apre una nuova stagione. Insediato finalmente ieri mattina, dopo venti lunghi mesi di parentesi commissariale, il nuovo consiglio di amministrazione del Parco dell'Appia con in testa il suo presidente, il professor Adriano La Regina. Ne fanno parte Toni De Amicis, vicepresidente (rappresentante della Coldiretti), Ivana Della Portella (Zetema), Oreste Rutigliano (Italia Nostra), Romolo Guasco (Provincia), Alessio Amodio (Comune), Sandro Lorenzatti (Regione).
E subito, dopo mesi e mesi di ristagno, costellati da assalti e incursioni, ecco arrivare al pettine i primi nodi. Il primo si chiama Colle della Strega, appartiene al territorio adiacente all'attuale territorio del Parco. La proposta di ampliamento giacente alla Regione dovrebbe tutelare anche questi terreni. Ma lì invece sta per scattare una colata di cemento osteggiata da parte della giunta (con gli assessori Zaratti e Nieri in testa), uno sciopero della fame è in corso davanti alla Regione da parte dei residenti della zona che si battono contro questo nuovo insediamento, a suo tempo osteggiato dallo stesso La Regina quando era ancora sovrintendente archeologico di Roma. E ora?
«Questa colata di cemento al Colle della Strega - dice subito fuori dai diplomatismi Adriano La Regina prendendo la parola come primo atto del suo insediamento - è assolutamente da evitare e questa rimane per me una condizione determinante per restare a presiedere l'ente». Stop. Forse, anche prevedendo queste parole che aggiungono «grana» a grana tra le tante che dirompono dentro la maggioranza alla Pisana, il presidente della Regione Piero Marrazzo ha dato ieri forfait e non ha presenziato così come annunciato e previsto all'insediamento dell'uomo che pure ha scelto. Doveva esserci, un improvviso impegno l'ha dirottato altrove. Al suo posto è rimasto ieri Filiberto Zaratti, verde e assessore all'ambiente, che ha affrontato il tema delle «criticità» che angustiano il Parco. «C'è intorno all'Appia un'eccessiva presenza di capannoni abusivi - ha ricordato Zaratti - . È una vergogna non solo per Roma ma per tutto il Paese». «Quando gli stranieri si chiedono cosa sia un Parco - aggiunbge la regina - non possono certo ritrovarsi in questa situazione dove trionfa il traffico». Zaratti ha anche ricordato che il consiglio regionale deve affrontare la proposta di legge adottata dalla Giunta per il raddoppio del Parco dell'Appia, con l'estensione alle aree in cui dovrebbero sorgere insediamenti abitativi come quello del Colle della Strega o l'altro del Divino Amore dove il comune di Marino vorrebbe costruire 800 mila metri cubi di immobili.
E proprio questi due insediamenti sono stati messi all'ordine del giorno, come prioritari, della prima riunione del Cda del Parco dell'Appia. «Abbiamo deciso di acquisire tutte le carte in materia - spiega De Amicis - . E inoltre abbiamo subito sollecitato una consilenza legale che contiamo di avere per la riunione della prossima settimana».
Lancia in resta, dunque, sul fronte dei problemi che angustiano il grande Parco dell'Appia. Ieri, nel corso dell'insediamento, è stato affrontato anche il problema degli abusi che incombono su varie aree adiacenti all'Appia Antica. Sul problema, l'assessore Zaratti ha proposto «un incontro urgente tra Parco, Regione e Comune per vedere nel concreto che cosa fare». L'assessore all'ambiente del Comune, Luigi Esposito, intervenuto subito dopo ha offerto la propria disponibilità. «Vedremo di che si tratta - ha detto - . Gli insediamenti abusivi vanno aboliti. Bisogna anche appurare se ci siano incongruenze tra i rilasci delle licenze e le zone protette. Per le delocalizzazioni bisogna poi seguire le procedure». Il problema, comunque, è rinviato a un'apposita riunione.
Vandali devastano il mosaico di Montanus
Corriere della Sera, ed. Roma, 28 aprile 2007
Il mosaico del gladiatore Montanus, scoperto pochi giorni fa dagli archeologi nel complesso di Santa Maria Nova sull'Appia antica, notizia che al ritrovamento avevamo subito segnalato per la sua importanza scientifica, è stato devastato la scorsa notte nel corso di un'irruzione vandalica. Nel piccolo complesso termale è stato dissestato anche un pavimento in peperino di un ambiente adiacente al «calidarium» ed è stato scavato un grosso buco sotto un'ipocausto del forno usato per riscaldare l'acqua della struttura termale. Abbattuto infine un muretto a secco residuo degli scavi ottocenteschi nella villa.
Il ministero dei Beni culturali ha espresso «indignazione per l'atto vandalico e viva preoccupazione per l'ipotesi che si tratti di un gesto mirato, come lascerebbero intendere - dice il comunicato del Mibac - la scarsa notorietà dello scavo e la lontananza dalla viabilità di maggior traffico». «Non più tardi di ieri del resto - aggiunge il Mibac - da parte della Soprintendenza erano stati lamentati sulla stampa il degrado e l'indecorosa situazione della zona circostante il Parco dell'Appia Antica».
Più fattivo l'intervento a caldo del Parco dell'Appia che ieri, appresa la brutta novità, ha proposto attraverso il professor Adriano La Regina, suo nuovo presidente appena insediato, un piano di telecamere sull'Appia Antica. «Proporremo al Comune la installazione di telecamere ai principali varchi della strada - spiega La Regina - . Se non altro sapremo chi entra ed esce. Varrà almeno come deterrenza...». L'assessore ai Lavori pubblici Giancarlo D'Alessandro, appresa la proposta, ha sposato l'idea: «Buona proposta, appena ce la formuleranno, la valuteremo molto volentieri».
Ad accorgersi dell'irruzione notturna sono stati ieri mattina gli operai della Socore, la ditta impegnata nei lavori di scavo e di restauro dentro Santa Maria Nova. «Appena arrivati abbiamo visto che i teloni posti sui mosaico erano stati manomessi - spiegano gli operai - . E sotto c'era quel disastro...». Sul posto sono accorsi di lì a poco gli archeologi della sovrintendenza, guidati da Rita Paris. Poi sono arrivati i carabinieri della stazione locale, Quarto Miglio, col comandante Vincenzo Senatore. Un giovane pastore che dorme in una roulotte nelle vicinanze ha avvertito latrati dei cani intorno all'una di notte. Forse l'irruzione è avvenuta allora.
Cosa cercare in un'impianto termale? Era forse un sopralluogo per un intervento futuro? Oppure è stata una pura e semplice intimidazione, portata a termine con facilità in un complesso dove non è difficile superare le barriere esterne? Viva è la preoccupazione degli archeologi per la limitrofa Villa dei Quintili, sorvegliata dai vigilantes dell'Ales, con cui è in corso una rinegoziazione dell'impegno che ora forse verrà esteso anche a Santa Maria Nova. Ma è tutta l'Appia a restare bersaglio di predoni e vandali. Nel piccolo museo dei Quintili c'è da poco la statua di un «togato» che fino allo scorso novembre era sull'Appia, in un mausoleo all'altezza del Gra. Ma un giorno alcuni podisti che facevano jogging chiamarono trafelati alla Villa: qualcuno stava cercando di asportarla. Il togato è stato salvato grazie solo a quella telefonata.