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La scure dello spoils system di Guido Podestà s´abbatte sulla Pedemontana e sul suo presidente e amministratore delegato, Fabio Terragni. Il manager, che aveva condotto il progetto della Bergamo-Malpensa fuori dalle secche di vincoli e proteste di comitati, cade all´indomani della presentazione del primo bilancio sociale della società e alla vigilia del via libera del Cipe sull´opera. Paga, Terragni, la casacca di «uomo di Penati» ma la sua è una caduta annunciata da fine agosto, da quando cioè l´attuale presidente della Provincia aveva dato i primi colpi di forbice ai vertici delle società partecipate. Una mossa forte esercitata alla prima occasione utile, con cui il neopresidente provinciale potrebbe rafforzarsi nella partita delle nomine rispetto a Regione e Comune.

Non sembra un caso, maligna più di un osservatore della vicenda, che il cambio della guardia arrivi proprio durante il viaggio di Roberto Formigoni in California. È stato tutto il cda di Pedemontana a decadere, a causa delle dimissioni di quattro dei sette consiglieri: a quelle di Leonardo Carioni, presidente leghista della Provincia di Como, e di Luca Urzì, consigliere in quota Serravalle, si sono aggiunte quelle di Maurizio Pagani e Ferruccio Rocco, uomini del socio di minoranza Intesa Infrastrutture attraverso le controllate Biis ed Equiter. Una mossa, raccontano i dietro le quinte, che sarebbe stata chiesta da Podestà a Corrado Passera, l´amministratore delegato di Intesa San Paolo. Nelle cinque righe di comunicato che annunciano l´azzeramento dei vertici non viene menzionato alcun interim: Pedemontana ad oggi è ferma, la corsa alla successione ha tempi strettissimi - l´ultimo atto di Terragni è stata la convocazione dell´assemblea dei soci per la nomina del nuovo cda il 19 ottobre in prima convocazione, e il 21 in seconda - e nomi probabilmente già blindati. Così non fosse, l´inizio dei lavori della nuova autostrada, affidati a un consorzio con Impregilo in testa e previsti tra gennaio e marzo 2010, rischierebbe un robusto ritardo.

Preoccupazioni che animano opposizione e ambientalisti. «Mi auguro - sottolinea Matteo Mauri, capogruppo Pd in Provincia - che questa scelta non rallenti un progetto già in fase avanzata. Ringraziamo Terragni che è riuscito a portare la società ad un passo dalla realizzazione di questa opera, sviluppando un dialogo con il territorio che non ha eguali». Critico il responsabile trasporti di Legambiente Lombardia, Dario Balotta: «Il nuovo cda non deve azzerare le compensazioni ambientali già definite dalla passata gestione. Altrimenti si rischia di fare una strada inutile e dannosa per l´ambiente»

Le ultime ordinazioni sono state spedite di recente negli Emirati Arabi e in Brasile: 48 ve­livoli M-346 prodotti da Alenia Aermacchi e una commessa di elicotteri AgustaWestland. «Abbiamo piccole e grandi imprese all’avanguardia che destano l’interesse dei più grandi compratori internazionali», osserva il governatore Roberto Formigoni. Queste imprese, ora, chiedono alla Regione un cambio di passo: il riconoscimento normativo di distretto tecnologico aerospaziale. Un progetto sostenuto dal Pirellone. Il presidente Roberto Formigoni ha incontrato il ministro alle Attività produttive, Claudio Scajola, e sollecitato il governo. Obiettivo: mettere in «rete» imprese, centri di ricerca, Politecnico e università di Castellanza e dell’Insubria, investire su figure specializzate negli atenei ed «evitare la dispersione» dei fondi pubblici. Un distretto Milano-Varese con al centro Malpensa: nel 2010 partiranno i corsi del nuovo polo per la formazione dedicato al settore aeronautico, tra i Terminal 1 e 2. Così Formigoni: «La sfida del domani si vince su innovazione e formazione. Malpensa rinascerà anche come hub della conoscenza».

Il sistema aerospaziale lombardo conta 130 imprese, oltre 12 mila addetti e 180 brevetti depositati negli ultimi anni. Il 2008 s’è chiuso con un aumento del fatturato complessivo del 25 per cento rispetto al triennio precedente e l’export copre il 35 per cento del commercio internazionale di settore. La crisi c’è, ma qui si sente meno che altrove. Il Pirellone punta sull’industria aerospaziale e sulle nuove reti di traffico leggero (elicotteri). Ha stretto accordi con Paesi stranieri, firmato progetti di collaborazione e stanziato di recente un bando da 20 milioni di euro. Il distretto, per dirla con Formigoni, «è un valore aggiunto, che può affiancare il coordinamento con Campania, Lazio e Piemonte e ci consente di usare anche i fondi dell’Ue».

Il nodo è Malpensa. L’aeroporto, scaricato da Alitalia, fa volare 18 milioni di passeggeri l’anno ed è base della nuova Lufthansa Italia. «Oltre alla lotta dura per riportare l’aeroporto oltre gli splendori d’un tempo, e ce la faremo, diamo vita al polo della formazione e sfruttiamo la presenza nell’area di imprese aeronautiche e aerospaziali », sottolinea il governatore. Non solo: il distretto dovrà far decollare anche «i mezzi di trasporto di domani». Come l’elicottero supertecnologico, il convertiplano Agusta che vola come un aereo ma si alza e atterra in verticale. «Utilizzeremo sempre di più l’elicottero», anticipa Formigoni: «Può rispondere alle esigenze di trasporto velocissimo, da punto a punto, e alle richieste di uomini d’affari, viaggiatori d’alto livello».

Problema: gli eliporti non ci sono. Vanno costruiti. La Regione si sta confrontando con i produttori sulla mappa delle localizzazioni. Avrà una elisuperficie il tetto del Pirellone bis e si sta discutendo di una struttura sulla Stazione Centrale. Il numero uno di Agusta, Giuseppe Orsi, indica poi il centro congressi al Portello, l’area Fiera-Expo, le stazioni dell’Alta velocità: «Si può agevolare la mobilità del Paese con costi modesti, supportati dai privati. L’elicottero sarà sempre più un mezzo di trasporto comune, non solo di élite». In quindici minuti copre la distanza da Linate a Malpensa. «E costa meno di un taxi».

La voragine è lì, nascosta da montagne di terra: un cratere largo cento metri, lungo novanta e profondo quindici da cui emergono i camion che risalgono i tornanti come in una cava. Ti accorgi così che, al centro dei 255mila metri dove un tempo sorgevano i padiglioni della Fiera, sta nascendo quello che diventerà il grattacielo più alto d´Italia. Non hanno mai smesso di lavorare, gli operai che stanno costruendo Citylife: ora sono una cinquantina ma il numero salirà mano a mano che il progetto prenderà corpo. Anche nella settimana di Ferragosto, con il termometro di piazza Giulio Cesare che, alle tre del pomeriggio, segna 37 gradi. I rumori delle ruspe arrivano attutiti anche nel silenzio di via Spinola, una distesa di finestre sbarrate. Il quartiere che teme le ombre delle tre torri e che ha cercato di fermare il piano con proteste e ricorsi è ancora in vacanza. Eppure, oltre le palizzate alte otto metri che circondano il cantiere, il gigante progettato da Isozaki si sta preparando alla scalata: nel 2013 dominerà Milano da quota 222 metri. Dopo le demolizioni sono cominciati gli scavi preparatori e adesso tutto è pronto per la prima gettata di cemento.

Per vedere il cantiere di Citylife bisogna salire in alto. Ma anche così è impossibile scorgerlo fino in fondo, il cratere del grattacielo. Troppo profondo, troppo lontano e nascosto dalle montagne di terra di riporto. Da qui sorgerà la prima torre, quella più alta e che ha bisogno di un maggior tempo per venire su. Secondo il programma sarà terminata nel 2013. Gli scavi stanno preparando l´area anche per l´arrivo della fermata "Tre Torri" della metropolitana 5, al centro dei grattacieli, e di una "piazza" commerciale sotterranea. Lì accanto, sotto l´enorme gru che si erge al centro dell´area, spuntano, minuscoli, i caschi colorati degli operai e le ruspe rosse. Anche loro stanno lavorando sotto il livello del suolo, alle fondamenta dei primi edifici che verranno consegnati tra la fine del 2011 e l´inizio del 2012. In una distesa color sabbia, le uniche macchie grigie di cemento sono il segno concreto che lì stanno cominciando a prendere realmente forma le residenze disegnate da Zaha Hadid: sette palazzi che saliranno fino a 12 piani e che si affacceranno su via Senofonte. È da queste "case d´autore" che è partito non solo il piano di Citylife, ma anche la campagna vendite che vanta già prenotazioni per 60 milioni di euro.

La tabella di marcia è serrata. E anche in via Spinola sono visibili i segni dell´avanzamento dei lavori. Qui, sotto le finestre dell´hotel che fino a poco tempo fa doveva soltanto aspettare il ritmo cadenzato delle Fiere per riempirsi, è già stato scavato un altro buco. È l´inizio di un altro pezzo di cantiere che, presto, inizierà a crescere in altezza. Su questo lato Daniel Libeskind ha firmato il progetto di 380 appartamenti che verranno completati nel 2012: in media costeranno 8.500 euro al metro quadro con punte fino a 12mila per gli attici e saranno messi in vendita a partire da settembre.

E mentre gli operai hanno già iniziato a costruire sul lato più vicino a piazza Giulio Cesare, ci sono altre macerie da raccogliere. Basta percorrere il recinto del cantiere lungo viale Berengario e arrivare fino alla Porta Eginardo: ai confini di Citylife in questi giorni c´è un movimento intenso. Altri operai stanno infatti abbattendo le ultime palazzine destinate a scomparire per fare spazio al futuro Centro congressi della Fiera: con potenti getti d´acqua si cerca di non sollevare nuvole di polvere. Sembra una danza: la gru che sventra pareti e avanza all´interno di scheletri di ferro, i camion che si avvicinano in retromarcia per raccogliere i detriti e portarli lontano, uscendo da viale Duilio. Sotto gli occhi dei rari passanti che si fermano a guardare lo strano spettacolo d´agosto.

Dopo dodici anni di collaborazione Italia Nostra dice basta e restituisce il Parco delle Cave al Comune: «Non è più possibile lavorare senza l´appoggio dell´amministrazione». Con una lettera indirizzata al sindaco Letizia Moratti, l´associazione spiega che «sono venute meno le condizioni minime per la cura e lo sviluppo del parco». Un rapporto chiuso per l´assessore al Verde, Maurizio Cadeo, che dice: «Guardiamo avanti». Ma Pd e Verdi accusano: «Un pasticcio creato dal Comune. Il sindaco intervenga».

«Credo che al Parco delle cave si sia rotto un equilibrio: quello tra la domanda di fruizione del verde e un livello accettabile di qualità ambientale. Purtroppo a Milano la pressione dei fruitori del verde è diventata intollerabile perché gli spazi sono troppo ridotti». Parola di urbanista: Giuseppe Boatti, docente al Politecnico.

Ci sono delle responsabilità?

«Sta emergendo un modello di sviluppo urbano a macchia d´olio: la città che si espande in ogni direzione. Ed è la Milano che stanno immaginando a Palazzo Marino».

Macchia d´olio?

«Se si versa dell´olio sulla carta assorbente, non lascia spazi liberi. Sta già succedendo nell´area attorno a Rho-Pero, dove la penetrazione del verde anche in spazi scarsamente urbanizzati subisce attacchi feroci. Altro esempio negativo, San Siro».

E cioè?

«Parliamo di una porzione di Milano, che comprende anche una parte del Parco Sud, in cui l´inedificato - prati, per intenderci - arriva dentro il cuore della città. Questo è l´antidoto per combattere la macchia d´olio. Purtroppo però si sta facendo esattamente il contrario».

Con il trasferimento delle attività legate all´Ippodromo?

«L´ipotesi non è quella di distruggere l´Ippodromo, ma il suo retroterra, come le piste di allenamento. Il risultato è che non si percepiscono più né l´ippodromo né le piste come se fossero aree a verde a disposizione di tutta la città. Questi spazi devono invece diventare di uso prevalentemente collettivo, ma in modo che non si distrugga la loro funzione primaria».

Altri esempi che lei considera negativi?

«La zona del Parco Sud a fianco della Milano-Genova, interessata da progetti di edificazione: vale la pena ricordare che si tratta di una zona di penetrazione agricola, anche se non profonda come San Siro. Lo stesso discorso vale per il sistema degli scali dismessi. Non basta usare dei tenui raggi verdi per interrompere l´espansione a macchia d´olio di cui parlavo. C´è bisogno piuttosto di quadranti verdi che, entrando nella città, riducano il conflitto tra naturalità e fruizione del verde stesso».

In parole povere?

«Se lo spazio verde è consistente la convivenza tra le due esigenze ci può essere. Ma se mi limito a fare dei giardinetti, il verde lo uccido».

Lei critica il Comune, però il sindaco dice che farà piantare 500mila nuovi alberi...

«Un annuncio che sa di puro marketing».

E perché?

«Questo è un modo per mettere in contrapposizione il numero delle piante esistenti in città e la vastità delle aree. Non posso certo dire di aver fatto una politica del verde solo perché ho piantato migliaia di alberi. Sono due cose altrettanto importanti: la differenza è che piantumare adesso o tra cinque anni non cambia molto la situazione, mentre costituisce un danno irreparabile distruggere un grande cuneo di penetrazione del verde. Il problema vero sta a monte».

E qual è?

«Milano ha lanciato l´idea sbagliata della densificazione, un´idea insensata se solo ragionassimo in termini di area vasta. Se ci fosse l´area metropolitana, sarebbe indifferente costruire a Milano o a Rozzano, perché la penetrazione del verde verrebbe comunque garantita. Invece è già in atto una lotta feroce tra Milano e qualche Comune di cintura per portare su di sé quote sempre più importanti di sviluppo urbanistico, che dovrebbe riguardare l´intera area metropolitana: è l´esatto contrario di quello che stanno facendo nelle metropoli europee, da Parigi a Francoforte».

Villette mono e bifamiliari più grandi del 20 per cento, fino a un massimo di 300 metri cubi per ogni unità immobiliare e complessivamente fino a 1000 metri cubi. Palazzi residenziali demoliti e ricostruiti con un incremento del volume del 30 per cento, «anche in deroga ai regolamenti edilizi vigenti». Fuori dai centri storici, a patto che vi sia «una diminuzione certificata del fabbisogno annua per il riscaldamento dell’edificio». Oppure anche all’interno, se gli edifici esistenti «non sono coerenti con le caratteristiche storiche, architettoniche e paesaggistiche della zona». Più alti addirittura del 35 per cento, se il progetto prevede un incremento del verde «non inferiore al 25 per cento del lotto interessato». In cambio, i costruttori potranno godere di uno sconto del 30 per cento sugli oneri di urbanizzazione, che potrà salire fino al 50 se gli immobili saranno destinati a «edilizia residenziale pubblica in locazione».

Questo, in estrema sintesi, il testo del nuovo piano casa del Pirellone che oggi dovrebbe essere varato dalla giunta di Roberto Formigoni, dopo lo stop della scorsa settimana provocato dalle divisioni sorte all’interno della maggioranza di centrodestra. Un piano decisamente più spinto di quello del governo Berlusconi, che dopo il terremoto in Abruzzo è stato costretto a rivedere il suo progetto. Inserendo, ad esempio, alcune restrizioni come l’introduzione della certificazione del rispetto delle normative antisismiche come condizione indispensabile per approvare qualsiasi richiesta di ampliamento, demolizione o ricostruzione.

In Lombardia, invece, per realizzare gli interventi basterà presentare la denuncia di inizio attività o la richiesta di permesso di costruire entro diciotto mesi dal 16 settembre di quest’anno.

Inoltre, tutti gli interventi «potranno essere realizzati anche in deroga ai piani territoriali dei parchi regionali, esclusi quelli naturali, e in assenza di un piano urbanistico attuativo, sia previsto, vigente o eventualmente già adottato, salvo che sull’area ci sia un vincolo di inedificabilità o l’edificio sia considerato di particolare rilievo storico», così come recita il primo comma dell’articolo 5 della bozza della legge regionale «Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio e urbanistico della Lombardia», fortemente voluta dall’assessore regionale all’Urbanistica leghista Davide Boni, oggi all’esame della giunta del Pirellone. E proprio questo passaggio delle disposizioni generali per l’attuazione della legge sembra sia stato all’origine anche di alcune frizioni tra l’assessore e il gruppo del Carroccio in consiglio regionale.

Il piano casa lombardo riguarderà tutti gli edifici ultimati al 31 marzo del 2005 e esistenti prima del 13 giugno 1980 nel caso di aree destinate all’agricoltura. Entro il 15 settembre i comuni potranno comunque individuare all’interno del proprio territorio alcune aree che saranno escluse dalle nuove norme.

Lo spirito della legge è riassunto dall’articolo 1 che prende spunto dall’intesa raggiunta dalla Conferenza unificata tra Regioni e Comuni lo scorso primo aprile. Ovvero: «la promozione di un’azione straordinaria dei soggetti pubblici e privati per conseguire la massima valorizzazione e utilizzazione del patrimonio edilizio ed urbanistico presente nel territorio lombardo, attraverso la tempestiva e urgente riqualificazione dello stesso nel rispetto dei suoi caratteri identitari, e contestualmente contribuendo al rilancio del comparto economico interessato». Proprio questo passaggio sembra preoccupare non solo l’opposizione di centrosinistra, ma anche settori della maggioranza e in particolare della Lega, preoccupati dopo che l’assessore Boni ha recentemente definito l’obiettivo del regolamento della sua legge urbanistica, destinato ai Comuni in attesa dell’approvazione del nuovi piani regolatori, «un impulso per la ripresa del settore dell’edilizia»

Nuove regole anche per i parchi. La Lega: troppo cemento



Nuovo braccio di ferro nel centrodestra in Regione: proprio nel giorno in cui la giunta di Roberto Formigoni, salvo soprese dell’ultimo momento, dovrebbe approvare il piano casa. L’assessore regionale all’Urbanistica, il leghista Davide Boni, ha lavorato tutta la settimana per limare gli ultimi particolari, ma proprio il suo partito sembra nuovamente non gradire la bozza uscita dall’ultima riunione dei capigruppo della maggioranza dopo lo stop della scorsa settimana. «L’assessore Boni può dire quello che vuole - puntualizza il capogruppo del Carroccio in Regione, Stefano Galli - ma quello che conta alla fine è ciò che dice la Lega. E quando il piano arriverà in commissione lo modificheremo. Il nostro modello è il piano casa della Toscana, che non permette di intervenire nei centri storici e tanto meno permette di derogare ai piani territoriali dei parchi».

Boni preferisce non commentare, ma secondo l’opposizione di centrosinistra in palio c’è molto di più. Secondo il verde Carlo Monguzzi, ad esempio, «per incassare il via libera al piano casa da parte del Pdl, la Lega Nord darà l’ok a una norma sulle bonifiche che è un vero e proprio regalo inaccettabile ai privati. In particolare, quelli interessati alla bonifica sull’ex area Sisal di Rodano Pioltello, nel Milanese. Il tutto al solo fine di bloccare la multa di 20 milioni di euro inflitta al Pirellone dall’Unione europea sulla mancata bonifica dell’area». In commissione Ambiente, infatti, si sta discutendo del collegato ordinamentale che fra l’altro modifica una legge del 2003 sulle bonifiche, per incentivare l’intervento dei privati che non sono responsabili dell’inquinamento.

Ma in ballo ci sarebbe molto di più: il Pdl avrebbe chiesto anche di sbloccare la "legge parchi" che giace da mesi nella stessa commissione anche per il veto della Lega. «Quel progetto è troppo permissivo - ammette il capogruppo del Carroccio Stefano Galli - devono essere i sindaci, e non la Regione, a nominare i presidenti dei parchi. Poi bisognerà affrontare il nodo del conflitto di interesse tra chi approva un piano regolatore e chi deve tutelare un’area naturale». Controreplica del verde Carlo Monguzzi: «Sono in gioco i destini del territorio lombardo. Il piano casa regionale può cementificare i centri storici e, se non poniamo un argine con la legge parchi, si potrà costruire dappertutto. Speriamo che anche nella maggioranza qualcuno se ne renda conto».

Nella polemica interviene anche il capogruppo del Pdl in Regione, Paolo Valentini. «Il piano casa deve essere approvato entro fine mese per rispettare i tempi previsti dal decreto del governo - ammette - e, quanto alla norma sulle bonifiche, bisogna evitare il rischio di prendere una multa dall’Ue. Neppure la legge parchi può rimanere nel cassetto in eterno. Non c’è nessun accordo sottobanco, si tratta solo di una programmazione di provvedimenti che la maggioranza ritiene utile approvare da qui a fine luglio per dare attuazione al programma di governo».

Il voto per la Provincia di Milano vale più di due miliardi di euro. Tanto costano le opere ancora da appaltare per la realizzazione della Pedemontana, controllata al 100% dalla Serravalle, che a sua volta fa capo alla Provincia di Milano che ne detiene il 52,9%. Una «base d’asta» che in tempo di crisi non passa inosservata, mentre il primo lotto di lavori, per quasi 800 milioni, è già stato assegnato a un consorzio composto da Impregilo, Astaldi, Pizzarotti e dalla Argo Costruzioni del gruppo Gavio. E’ (anche) per questi due miliardi di euro che Guido Podestà e il Pdl sfidano il presidente uscente Filippo Penati. Ed è sempre per questo non indifferente gruzzolo che imprenditoria e banche guardano al voto di Milano con particolare interesse: di certo non inferiore a quello, politico e statistico, di chi attende il destino dell’unico potere istituzionale di Milano ancora nelle mani del centrosinistra.

Attorno a un tavolo



La delicata questione ha «obbligato» a diversi incontri più o meno informali Guido Podestà, che nella fitta matassa di partecipazioni autostradale costruita da Penati ambisce ad entrare dalla porta principale. L’11 maggio, come riportato dalla Cronaca di Milano del Corriere , il candidato Pdl, accompagnato dal ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, ha infatti visto Marcellino Gavio e il suo braccio destro Binasco. E sempre Gavio era in prima fila alla cena di finanziamento per la campagna elettorale provinciale, svoltasi la settimana scorsa alla presenza di Silvio Berlusconi.

Il ruolo dell’imprenditore piemontese nella partita dell’asfalto lombardo non inizia ora. Storicamente presente in forze nell’azionariato della Serravalle, è stato proprio Gavio nel 2005 a cederne il 15% alla Provincia di Milano, all’interno di un’operazione assai discussa. Gavio incassò allora una plusvalenza superiore ai 160 milioni, mentre l’ente guidato da Penati si indebitava per quasi 250 milioni con Intesa Sanpaolo a tassi reali prossimi al 5% ed otteneva la maggioranza assoluta di una società, Serravalle, prima cogestita col Comune. Penati poi affidava la partecipazione alla holding Asam e iniziava (faticosamente) a ridurre il debito, che con Intesa è stato estinto nei mesi scorsi dopo aver però negoziato nuove linee di credito con altre banche. In questi anni, la Provincia di Penati ha annunciato e rinviato più volte la quotazione in borsa, ricevuto i ricchi introiti dell’autostrada che porta da Milano al Mediterraneo ligure, e messo la provincia al centro della grande partita per lo sviluppo infrastrutturale: a partire dalla Pedemontana che, unendo Bergamo a Varese, è la grande arteria che manca al nord produttivo. Entro l’estate si attende la formalizzazione della cessione da parte di Serravalle di una prima tranche del 32% di Pedemontana ad una cordata di banche guidata proprio da Intesa Sanpaolo, che ne rileverà il 26%. Un secondo lotto del 33% sarà invece messo in vendita perché entrino nel capitale i costruttori, e tra questi si attende la candidatura di Gavio. Alla fine del processo, la Serravalle, e quindi la Provincia indipendentemente da chi la guiderà, controllerà direttamente circa un terzo del capitale di Pedemontana. Quanto alla holding Asam, dichiaratamente finalizzata a una riduzione del debito e alla gestione delle partecipazioni infrastrutturali, è rimasta un oggetto misterioso, anche se la cessione di una quota del 20% alla nascente provincia di Monza e Brianza ha consentito a Milano di non cedere direttamente partecipazioni di Serravalle: e questa decisione del centrosinistra difficilmente dispiacerà al Pdl del capoluogo, se si troverà a governare.

Una clinica a Binasco

Mentre la politica sembrava al centro della scacchiera, però, Gavio non è stato fermo: comprando quote vaganti di Serravalle a prezzi più convenienti di quelli pagati dalla Provincia a lui, ha iniziato a reclamare un posto in consiglio. A mettersi di traverso è stato il consiglio provinciale che, seguendo il più acceso e plateale critico della Provincia d’asfalto, il forzista Max Bruschi, e votando un suo emendamento, ha interdetto l’ingresso in consiglio di Serravalle di rappresentanti di società che abbiano contenziosi aperti con la concessionaria autostradale. In questo elenco per l’appunto rientra il gruppo Gavio che intanto ha ottenuto l’assegnazione degli appalti da parte della controllata Pedemontana.

In caso di elezione di Guido Podestà, c’è da credere che la Serravalle resterà al centro della scena anche perché, proprio nel sud-milanese, il candidato del Pdl ha uno dei suoi territori di maggior radicamento. A Binasco, poche centinaia di metri dallo svincolo di ingresso e uscita per la Serravalle, c’è ad esempio la clinica Heliopolis che proprio a Podestà fa capo e — come raccontato sul CorrierEconomia del 6 aprile scorso — era stata oggetto di una lunga contesa con la Regione di Formigoni che aveva negato l’accreditamento, cioè il finanziamento regionale. La contestazione tuttavia è rientrata, visto che con delibera di giunta dell’8 aprile la Regione ha accreditato tutte le cliniche autorizzate all’esercizio: tra queste risulta Heliopolis. Intanto, lo svincolo di Binasco deve essere modificato, le competenze sono della provincia e lo studio di fattibilità è stato affidato già l’anno scorso al Pim (Piano intercomunale per la mobilità) presieduto da Vittorio Algarotti, che è vicino al centrodestra milanese e potrebbe anche essere speso in incarichi importanti, in caso di vittoria. Chi invece, per il momento, sembra meno vicino al candidato del Pdl è Max Bruschi, il battagliero e polemico forzista che negli anni ha messo sotto tiro Penati (e Gavio): al momento di scoprire le liste si è trovato — con sorpresa di molti — nella periferia profonda di Quarto Oggiaro e ha rifiutato la candidatura.

«Perché perdere altro tempo per il rilancio edilizio...».



In che senso?

«Perché aspettare i ritardi del governo. È del 30 marzo l’intesa tra governo e Regioni. E tutto è ancora fermo».

Ma il piano casa è così ur gente?

«Per la Lombardia urgentissimo. La crisi sta mettendo in ginocchio il sistema edilizio. Ser ve un segnale forte».

E dunque?

«Abbiamo accelerato i tempi sul progetto di legge». Così Davi de Boni, assessore a Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia si prepara a portare in giunta, per discussione e approvazione, il piano casa regionale. «Mercoledì. La crisi del sistema edilizio rischia di demolire l’intero tessuto socio-economico».

Partiamo dai punti di fondo del nuovo piano casa.

«Prima di tutto va specificato che interveniamo sugli edifici, non sulle aree. L’intento è quel lo di sfruttare il minor territorio per puntare sulle massime volumetrie. Così si darà anche un nuovo volto alle città».

Il pdl segue le linee dell’intesa governo-Regioni?

«Le acquisisce e le integra».



Prego?

«Il progetto di legge prevede il recupero degli spazi edilizi inutilizzati, l’ampliamento degli edifici del 20% e la riqualificazione di edilizia residenziale pubblica ».

E in che modo le integra?

«Abbiamo introdotto un’importante novità. Sarà possibile sostituire gli edifici obsoleti, con un aumento volumetrico fi no al 30%. Il pdl però non si riferisce solo agli edifici residenziali, ma anche industriali».

Industriali?

«Certo. Se c’è l’esigenza di abbattere un vecchio capannone perché non farlo? Serviva una svolta anticrisi decisa, e così sarà. Anzi si potrà intervenire, con le dovute cautele, anche su edifici rurali».

E chi ne beneficerà?

«Tutti. Il comparto edilizio lombardo oggi in grande difficoltà, i proprietari di case, le piccole e medie imprese. Senza contare l’Expo».

Cosa c’entra l’Expo?

«Le grandi imprese potranno giocarsi partite interessanti in vista dell’evento 2015».

Previsioni economiche?

«Pur con le significative restrizioni è stato stimato un impatto economico di 5,12 miliardi. A cui va aggiunto il risparmio energetico».

Già, perché gli interventi sono legati anche all’aspetto del risparmio energetico.

«In campo residenziale sono previsti interventi con qualificati requisiti di risparmio energetico. In tal senso è stato preventivato un risparmio annuo complessivo di circa 14,9 milioni di euro».



E le significative restrizioni a cui faceva riferimento?

«L’applicazione della legge avrà una durata di 18 mesi. Poi c’è l’esclusione delle aree storiche o di rilievo naturalistico ambientale. Salvo alcuni interventi ».



Come? Sarà possibile intervenire in aree protette?

«Rimangono i soliti vincoli. Ma se esistono edifici, in queste aree, incompatibili con tali contesti sarà possibile chiedere interventi di sostituzione».

Ad esempio anche in un cen tro storico?

«Anche in un centro storico, purché non modifichi la fisionomia del centro stesso».

E le autorizzazioni?

«Spetterà alla Regione auto rizzare gli interventi».



Così si scavalcano le Soprintendenze...

«La burocrazia per le concessioni delle Soprintendenze chiede tempi troppo lunghi. E lo ripeto: la crisi non permette altri ritardi».



Resta l’edilizia sociale.

«È ora di dire basta ai quartieri ghetto. Perciò stiamo pensando alle quote».

Quote?

«Case a coppie giovani, ma anche ad anziani. E solo a immigrati regolari. Ma è ancora presto per questo discorso».

Ora c’è il piano casa: una bella sfida.

«E se funziona non è detto che alcuni punti non possano essere inseriti nella legge del terri torio ».

Un campo di San Siro in meno ogni ora, un parcheggio per una dozzina di auto che ogni dieci minuti svanisce e a scomparire è Piazza Duomo quando le ore diventano tre. Sono solo degli esempi per rendere quanto suolo la Lombardia ceda ogni giorno all´avanzata di asfalto e cemento. «Cento metri quadrati al minuto», denunciano Legambiente e Verdi nell´appello "Metti un freni al cemento". E insieme puntano il dito contro la mancanza di leggi regionali che tutelino il suolo pubblico e lo considerino «come un bene comune». La denuncia è rivolta in particolare alla proroga di un anno concessa a metà marzo dal Pirellone a tutti i comuni per l´approvazione del piano di governo del territorio, il Pgt, che oggi, su 1547 comuni lombardi, soltanto il 18 per cento ha approvato o adottato. Cemento che avanza per colpa di strumenti urbanistici come il piano integrato d´intervento (Pii), secondo i Verdi, a cui i comuni ricorrono per "fare cassa". «E finché i costruttori potranno proporre di approvare insediamenti con procedure semplificate, in deroga ai piani urbanistici - accusa Carlo Monguzzi, consigliere regionale dei Verdi - i Comuni continueranno a dire di sì, scarsi come sono di risorse economiche, e non avranno stimoli ad approvare i Pgt». In più i paletti alla "cementificazione" legge sarebbero facilmente aggirabili. «È sufficiente che un Pii preveda 100 metri di nuova strada perché possa essere approvato» accusa Monguzzi. Proprio a tutela del suolo, Legambiente sta raccogliendo firme per un progetto di legge: «Per introdurre la compensazione ecologica preventiva - commenta Damiano Di Simine, presidente lombardo degli ambientalisti - per ogni edificazione su suolo libero il privato deve concedere al comune il doppio della superficie occupata e farla "verde"». Non condivide l´"allarme cemento" Davide Boni, assessore al Territorio del Pirellone: «Molte aree su cui si sta costruendo sono dismesse e siamo stati noi a porre dei limiti sulle aree agricole. Abbiamo la legge migliore d´Italia sulla salvaguardia del suolo che attribuisce ai sindaci la completa responsabilità per gli interventi». Con una precisazione: «Il mercato edilizio è in grande crisi tra qualche tempo dovrò fare la legge di rilancio edilizio».

Allarme cemento nel Parco Sud

di Ilaria Carra

L’asfalto di superstrade che tagliano in due il parco e la minaccia del cemento dove c’era un campo. Dieci ettari di aree agricole lombarde mangiati ogni giorno, secondo uno studio del Politecnico, e diventate strade o edifici. Con il Parco Sud che non fa eccezione: a ogni tramonto perde 0,35 ettari di campi e paesaggi, con mille ettari di terreni sottratti negli ultimi anni. A difendere il ruolo insostituibile dell’agricoltura dall’avanzata del cemento al Parco Sud scende in campo il Fai, il Fondo ambiente italiano, che in un incontro a Villa Necchi approfitta della scadenza di mandato dell’Ente parco per fare un bilancio sulla gestione e attaccare le minacce di asfalto, in particolare della superstrada voluta da Anas e Regione tra la tangenziale ovest e Malpensa, e cemento nei 47mila ettari totali a sud di Milano, di cui oltre quattromila comunali. «Un anno fa il sindaco Letizia Moratti disse che l’Expo era votato all’agro-alimentare - ricorda il presidente del Fai, Giulia Maria Mozzoni Crespi - ma nessuno parla più di parco agricolo, che oggi è abbandonato: Ligresti ha acquistato molte cascine, per questo i produttori sono scoraggiati e hanno smesso di investire nel loro lavoro, spaventati dalla prospettiva di espansione di molti "cementieri"». Sensibile al consumo di suolo anche Diana Bracco: «Sono una sostenitrice del Parco Sud», ha detto il presidente della società che gestirà l’Expo, prima di specificare però la necessità di coniugare progresso e ambiente: «Il nostro territorio necessita con urgenza di un adeguamento infrastrutturale. Opere come la tangenziale est esterna e il prolungamento della Boffalora-Malpensa sono essenziali». Propositi di conciliabilità «bizzarri e incondivisibili», per il consigliere dei Verdi al Pirellone, Carlo Monguzzi, che attacca: «La Regione non pone alcun freno a strumenti deleteri come i programmi integrati d’intervento». A Diana Bracco ribatte anche Carlo Franciosi, presidente della Coldiretti di Milano e Lodi: «Non servono collegamenti nuovi ma allargare e mettere in sicurezza quelli esistenti». Convinta che solo la città metropolitana possa assicurare una governance adeguata, e contraria alla superstrada, il presidente in scadenza del parco Sud (l’unico gestito dalla Provincia), Bruna Brembilla: «Fino a cinque anni fa il parco era un "ferro vecchio" mentre oggi è oggetto di dibattiti ma occorre garantire un reddito agli agricoltori». All’appello del Fai si uniscono anche gli accademici: «I dati che abbiamo finora arrivano al 2007 - precisa Paolo Pileri docente di Architettura e pianificazione del Politecnico - ma dagli studi non ci sembra che le cose stiano migliorando». In più la beffa: «I dati dimostrano che il quattro per cento di aree agricole urbanizzate in nove anni, fino al 2007 - avverte Stefano Bocchi di Agraria - ha la classe di fertilità più elevata».

I predatori del suolo pericolo per il futuro

di Luca Mercalli

Milano ha dimenticato in fretta che per diventare cosa è diventata, deve dir grazie alla più fertile e ubertosa campagna del mondo, che nei secoli l’ha nutrita di cereali, ortaglie e foraggi, da cui un allevamento e un’industria casearia d’eccellenza. La ricchezza industriale è arrivata dopo, quando i trasporti a lunga gittata hanno portato gli alimenti da lontano, da dove il prezzo era più conveniente. E così la città ha voltato la schiena alla sua campagna, alla quale era unita in equilibrata simbiosi, anzi, come una grande metastasi si è avventata sul suolo e l’ha rapidamente trasformato in autostrade, ferrovie, centri logistici e commerciali, abitazioni. Ora il problema sta nella mancanza di visioni a lungo termine e di senso della misura.

Nel dopoguerra le infrastrutture ci volevano e certo hanno reso più facile la nostra vita, ma la mancanza di coscienza dei limiti fisici del territorio, rende oggi la continua predazione di una risorsa non rinnovabile come il suolo, insostenibile. È un classico problema del tipo "tragedia dei beni comuni" un meccanismo di abuso di un capitale naturale descritto dal biologo americano Garrett Hardin una quarantina d’anni fa: per massimizzare il profitto individuale tutti depredano il bene fino al suo collasso, per garantirne il mantenimento a lungo termine ci vuole un meccanismo collettivo di regolazione che dovrebbe essere svolto dalla politica. Ma se la politica asseconda chi sulla risorsa fa affari, camuffati da servizi al cittadino, allora la tragedia è assicurata. Spesso si sente dire che le opere vanno fatte, certo rispettando criteri ecologici, ma vanno fatte comunque perché utili. Ebbene, nel caso del suolo, questo è solo un esercizio lessicale, in quanto lo spazio è fisicamente determinato, ci è dato una sola volta e per sempre, e la popolazione già eccede la "capacità di carico" del territorio.

Quindi l’unica soluzione è fermarsi, quantificare con cura quanto suolo resta, verificare se sufficiente a darci da mangiare oggi e domani, nonché svolgere le altre indispensabili funzioni biogeochimiche (depurazione acque, degradazione rifiuti organici, assorbimento e stoccaggio di anidride carbonica) e ludiche, e solo alla fine di un delicato processo conoscitivo e sociale, decidere di sacrificarne oculatamente ancora pochissimi lembi. Ci stiamo dimenticando che il suolo è più utile di qualsivoglia grande opera, in quanto unico sistema complesso in grado di darci da mangiare. Chi sbaglia oggi cementificandolo per un pugno di euro condanna a subire il proprio errore le generazioni dei prossimi millenni.

Edilizia, mani libere dalla Regione ai Comuni. La giunta del Pirellone ha approvato ieri i criteri per il via libera ai progetti per riqualificare le aree dismesse o abbandonate anche nei centri storici. Per costruire basterà una dichiarazione firmata dal progettista. Protesta l´opposizione di centrosinistra: «È una presa in giro. Solo il via libera a una nuova colata di cemento». Replica l´assessore regionale all´Urbanistica leghista Davide Boni: «Non è vero, è un piano per rilanciare il settore dell´edilizia in crisi». Soddisfatto l´assessore comunale Carlo Masseroli: «I criteri sono assolutamente ragionevoli e assomigliano a quelli approvati dal consiglio comunale»

Basterà una semplice dichiarazione di «congruenza» firmata da un tecnico progettista del piano integrato di intervento che garantisca che si tratta di infrastrutture di interesse pubblico, e da ora in poi i Comuni potranno avere mani libere nella riqualificazione delle aree degradate con nuovi quartieri. Per l´assessore regionale all´Urbanistica leghista Davide Boni l´obiettivo del provvedimento approvato ieri dalla giunta del Pirellone è solo quello di «rilanciare il settore dell´edilizia, che subisce come altri gli effetti della crisi». Per l´opposizione di centrosinistra, al contrario, è un via libera a una nuova colata di cemento sulla Lombardia.

Si tratta dei criteri e delle modalità per l´approvazione, in assenza dei Piani di governo del territorio che dovranno sostituire i vecchi Piani regolatore, di «Programmi integrati di intervento in variante non aventi rilevanza regionale». In pratica, qualsiasi nuovo quartiere, qualsiasi operazione immobiliare che i privati vogliano fare in un Comune. La circolare che la Regione doveva emanare entro sessanta giorni dall´ultima modifica alla legge urbanistica del 10 marzo scorso, per chiarire quali opere possono essere considerate «infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico di carattere strategico ed essenziali per la riqualificazione del territorio» e come tali sfuggire al divieto imposto ai Comuni «di dar corso ai programmi integrati di intervento in variante, meglio noti come Pii». Una norma di grande portata visto che tanti piani sono ancora bloccati, che solo 107 Comuni lombardi hanno già approvato i Piani di governo del territorio, 172 li hanno già adottati, ma ben 758 hanno appena avviato la procedura o stanno per farlo.

Nel testo della delibera si precisa genericamente che «il termine infrastruttura comprende quell´insieme di opere, servizi e attrezzature necessarie alla vita di relazione e alla struttura economico-produttiva di un territorio». In particolare si stabilisce che i progetti dovranno riguardare «prioristicamente le aree degradate o dismesse, soprattutto se collocate all´interno di centri abitati» e il loro recupero. O interventi «volti a riqualificare e migliorare l´immagine urbana e la creazione di infrastrutture per l´accoglienza e la sosta nelle principali "porte" di accesso delle città».

Oltre ai progetti per l´edilizia residenziale pubblica, per avere il via libera ad altre opere edilizie, basterà inserire nel progetto «la realizzazione di parchi urbani attrezzati e naturali, anche esterni al comparto d´intervento».

Protesta il consigliere regionale del Pd Franco Mirabelli: «Alla fine è stato un imbroglio, si è passati da proibire tutto a consentire tutto. Solo poche settimane fa sembrava che la Regione volesse usare grande rigore con i Comuni. Ma ora, con i criteri applicativi, tutto torna esattamente come prima tranne una norma, palesemente illegittima, che permette a Milano di approvare i propri progetti direttamente in giunta, senza la discussione pubblica in Consiglio. In un momento in cui si decide non solo sull´Expo, la giunta di Milano si trova nella condizione di approvare tutto nelle segrete stanze».

L´assessore comunale all´Urbanistica Carlo Masseroli commenta soddisfatto: «I criteri approvati dalla Regione sono assolutamente ragionevoli e assomigliano molto ai criteri che il consiglio comunale ha già approvato a dicembre con il Documento di inquadramento urbanistico». L´assessore Boni chiude: «La nostra legge è più restrittiva di quanto voleva Milano. Con questo provvedimento abbiamo tempestivamente individuato i casi in cui c´è la possibilità di approvare i piani contribuendo anche a rilanciare il settore dell´edilizia».

Monguzzi: " È una presa in giro i progettisti controllano se stessi"

Carlo Monguzzi, capogruppo dei Verdi in consiglio regionale, perché non vi piace il regolamento approvato ieri dalla giunta del Pirellone?

«Formigoni incentiva i "Pii", i programmi integrati di intervento, anziché frenarli, smentendo come al solito promesse e impegni: altro cemento potrà continuare a colare su tutta la Lombardia, tra le regioni italiane che detengono il triste primato nel consumo di suolo».

Perché?

«Invece di porre un freno ai Pii, come richiesto nella modifica della legge urbanistica votata dal Consiglio nel marzo scorso, la delibera produrrà l´esatto effetto opposto».

Cioè?

«Non ci sarà alcun freno a una delle scorciatoie urbanistiche più utilizzate in questi anni per realizzare case, capannoni, centri commerciali. Si tratta di una presa in giro».

In che senso?

«I costruttori utilizzeranno ampiamente le nuove disposizioni approvate ieri dalla giunta per continuare a edificare, tenendo in scacco i Comuni che, privati di fondi per i servizi ai cittadini da Berlusconi e Tremonti, continueranno ad avallare i Pii per fare cassa con gli oneri di urbanizzazione».

L´assessore regionale all´Urbanistica Davide Boni, però, sostiene che le nuove prescrizioni, in realtà, sono più restrittive. E che il provvedimento ha l´obiettivo anche di rilanciare il settore dell´edilizia messo in ginocchio dalla crisi economica.

«Nella delibera preparata dalla giunta si sfiora il ridicolo».

Faccia qualche esempio.

«Per dare il via libera a un Pii basterà inserire nel progetto la realizzazione di un giardinetto attrezzato, oppure "servizi e attrezzature necessarie alla vita di relazione", oppure ancora "strutture per la sicurezza dei cittadini".

A patto di riqualificare aree abbandonate o dismesse.

«Al rispetto dei "criteri" stabiliti dalla giunta penserà infine il progettista, cioè colui che preparerà il Pii».

LASCIA stupiti il fervore autostradale della sinistra milanese. Il centrodestra continua la sua marcia proponendo e promuovendo opere infrastrutturali come uno schiacciasassi, convinto che l'opinione pubblica lo seguirà ciecamente. COME un ingenuo torello segue il drappo rosso: ne conosciamo la sorte, lui no. Difficile farlo ragionare e lorsignori lo sanno: non per niente il toro è simbolo folle della Borsa in rialzo. Convincere dunque il torello che si sta per infilzarlo è un compito troppo arduo per questa sinistra ondivaga. Che delle strade, tutte le strade, ci si debba occupare è vero com’ è altrettanto vero che un’ amministrazione incapace di progetti di viabilità per interi bacini si riduce a pensare alle autostrade come unico mezzo per snellire il traffico che deve principalmente alla sua lentezza il carico d’ inquinamento che dissemina lungo i suoi percorsi. Le autostrade sono un ripiego in un’ area già fortemente infrastrutturata con viabilità ordinaria. Ripiego ma anche affari e questa è la molla che fa pendere la bilancia. Autostrade dunque, sembra ineluttabile, ma come? Intanto dovrebbero essere accompagnate da una norma esattamente contraria a quella varata dalla Regione Lombardia con la legge obiettivo n° 226 del 2008 che dà mano libera all’ edificazione lungo i bordi autostradali. In secondo luogo, con questo provvedimento si sancisce anche ogni rinuncia a una pianificazione del territorio lasciando andare verso uno sbrodolamento edilizio. Non si vuol certo dire di rinunciare a finanziare le infrastrutture, le autostrade in particolare, con il recupero di oneri di urbanizzazione delle aree rese edificabili e divenute di pregio per la presenza di queste nuove infrastrutture. Le piattaforme intermodali, i centri commerciali, le stazioni di servizio, gli alberghi servono, inutile dirlo, ma servono ancora di più se non devastano a caso il Paese inseguendo solo i margini di profitto di chi ha già alcune aree o se le sta procurando. Non ne abbiamo avuto abbastanza di finanziarizzazioni? Vogliamo finanziarizzare anche tutto il territorio con la politica dei pedaggi? Perché di questo si tratta alla fine: fare investimenti privati nel settore dei monopoli naturali - le autostrade- garantendo redditi, spesso indebiti, mancando una vera regolazione. Un’ autostrada diventa indispensabile per un utente che non ha alternative rispetto a una viabilità ordinaria su strade dissestate e pericolose. Un continuo conflitto d’ interesse tra pubblico e privato: un pubblico curiosamente inattivo a favore di un privato dinamico e berlusconianamente provvidenziale. Brutta empasse per la sinistra. Ma siamo sicuri che inseguire il drappo rosso del toreador porti voti? Se lo si vuol fare, almeno lo si faccia con argomenti seri, dichiarando il gioco e sapendo di correre il rischio dei convertiti dell’ ultimo minuto: un’ irridente accoglienza

Il responsabile per l’urbanistica del Comune di Monza, nonché sottosegretario alle telecomunicazioni, onorevole Paolo Romani, ha deciso di puntare sulla partecipazione dei cittadini alla definizione delle grandi scelte che attendono il neocapoluogo brianzolo.

Dopo aver a suo tempo dichiarato di aver accettato l’incarico di assessore “per risolvere un problema che è una spina nel fianco della famiglia Berlusconi”, è passato dalle parole ai fatti, risolvendo una vicenda che si trascina dal 1980: l’edificazione di un’area di 500.000 mq agricoli in località Cascinazza.

È da quell’anno infatti che i Berlusconi, entrati in possesso dei terreni, tentano di costruirvi sopra una sessantina di edifici residenziali, una sorta di Milano 4, essendo nel Dna di famiglia operare nell’esclusivo interesse del bene pubblico.

Finalmente l’intervento risolutivo del neoassessore ha sbloccato l’iter, organizzando, per la modica cifra di 40 milioni, la vendita da parte di Paolo Berlusconi all’immobiliare Brioschi della famiglia Cabassi. Presentando una variante generale al PGT, ha eliminato il vincolo di assoluta inedificabilità, destinando l’area a un “primo utilizzo” per l’Expo 2015, cui seguirà la creazione di una cittadella del divertimento e dei servizi con ingenti cubature.

Inoltre, dimostrando notevole solerzia, non ha mancato di prevedere un “indennizzo” per i precedenti proprietari, cui i Cabassi corrisponderanno in seconda battuta un’integrazione pari al doppio o al triplo della cifra iniziale, quando dopo il 2015 il programma di “valorizzazione” sarà portato a termine.

Ed ecco che la tanto vituperata distanza fra cittadini e politici può essere facilmente superata: basta avere un assessore “partecipe” che non perde il contatto con la realtà, fondatore di Telelivorno e Telelombardia, avvocato di Paolo, ministro di Silvio.

Quando si dice “urbanistica partecipata”.

Nota: QUI un breve articolo con galleria fotografica sulla Cascinazza; nella stessa cartella altri testi raccontano l'intricata quanto miserabile vicenda (f.b.)

Alla chetichella, sono cominciate le procedure di espropriazione delle aree su cui passerà la contestata superstrada che connetterà la Statale 11 e la Tangenziale Ovest, completando l’anello di collegamento con Malpensa. L’Anas ha approvato il progetto definitivo un mese e mezzo fa e si è già portato avanti, malgrado l’ultimo semaforo verde debba essere acceso dal Cipe, una volta raccolti e vagliati i pareri di tutti enti interessati. Con una notifica a mezzo stampa, il 4 marzo scorso, l’Anas ha infatti dato conto dell’inizio dell’iter di espropriazione dei terreni. Tutti agricoli, dato che la superstrada attraversa il Parco Sud e il Parco del Ticino, compresa una "riserva Mab" (Man and biosphere), come l’Unesco definisce le zone di particolare pregio ambientale. Una qualifica, il Mab, che in Italia l’Unesco riserva solo a sei siti.

La notifica a mezzo stampa dell’espropriazione sostituisce quella individuale. La legge Obiettivo lo consente. «Io l’ho saputo pochi giorni fa grazie a un’amica del comitato No Tangenziale - spiega Renata Lovati di cascina Isola Maria ad Albairate - e poiché i proprietari hanno 60 giorni per presentare le proprie osservazioni, mi domando come faranno ad adempiere centinaia di persone interessate».

La superstrada, divisa in tre tratte, sarà lunga una trentina di km e costerà 420 milioni, dei quali solo 281 sono già finanziati. Insiste Renata Lovati: «L’impatto ambientale sul Magentino sarà enorme, con svincoli sopraelevati, viadotti e ponti. Penso a quello che si costruirà sul Naviglio di Leonardo a Cascina Bruciata. Un ponte che toglierà la visuale della Darsena e di Abbiategrasso là dove si spende in ristrutturazioni dei palazzi storici del Naviglio».

Oltre all’ambiente e alla storia, c’è l’agricoltura. La richiesta di prodotti biologici e a filiera corta è aumentata del 92% negli ultimi 5 anni, secondo i dati di Bio Bank, la banca dati del mondo eco e bio. Quanto alle necessità di trasporto, la soluzione del comitato e di alcuni Comuni è il raddoppio della ferrovia Milano-Mortara. I lavori sono in corso.

Il sindaco di Cassinetta "Faremo ricorso al Tar"

Se quel progetto passasse distruggerebbe un’agricoltura emergente

Domenico Finiguerra, sindaco di centrosinistra di Cassinetta di Lugagnano, vi aspettavate l’avvio della procedura di espropriazione a mezzo stampa?

«La legge Obiettivo permette questa procedura poco trasparente. Stiamo preparando i manifesti per avvertire la popolazione e chiameremo tutti i contadini».

È rimasto meno di un mese per presentare le osservazioni.

«La scadenza è il 4 maggio. Terremo un’assemblea pubblica per decidere come procedere, probabilmente il 28 aprile».

Come Comune prenderete iniziative contro la superstrada?

«Un nuovo ricorso al Tar, non appena il progetto sarà approvato dal Cipe. L’opera è sproporzionata».

Voi siete gli avversari più irriducibili della superstrada.

«Cassinetta, Albairate e Cisliano sono contrari da sempre, ma anche Cusago e Robecco ora hanno delle perplessità, visto il progetto definitivo dell’Anas. Ci sono raccordi e svincoli mostruosi, cavalcavia da 800 metri. Sarebbe distrutta un’agricoltura emergente, legata al biologico e alla filiera corta».

postilla

Come sempre si è colti da inevitabile stanchezza, di fronte all’ineluttabile banalizzazione che la stampa non specializzato di solito fa (senza nessuna colpa particolare, va detto) di problemi assai più gravi e complessi. Si legge di una superstrada, e dell’opposizione praticamente fisiologica di uno sparuto manipolo di simpatici campagnoli, ovviamente attenti a campi, cascine, natura e qualità locale della vita. E invece il piccolo tappo dell’opposizione di Domenico Finiguerra e Renata Lovati (nomi che non a caso poi compaiono spesso in altri più ampi contesti di dibattito) va inquadrato, un po’ come il villaggio di Asterix e Obelix, in un problema MOLTO più vasto: che dalla regione metropolitana milanese in senso allargato, si estende poi per questioni di metodo e merito alla “filosofia dello sviluppo” urbano e regionale del nostro paese. I “gallici” Finiguerra e Lovati, così come i loro più famosi colleghi a fumetti e i meno famosi ambientalisti e amministratori che li affiancano in un’idea diversa di sviluppo, non esprimono semplicemente avversione per qualche svincolo che deturpa il paesaggio agricolo, o per cantieri e opere che taglieranno a fettine le grandi campiture dell’insediamento tradizionale padano ai confini fra la (ex?) greenbelt milanese e la valle del Ticino. Hanno solo capito che i sedicenti oppositori strenui della pianificazione territoriale al governo regionale e nazionale un “piano” ce l’hanno, chiarissimo: trasformare la fascia di interposizione a spazi aperti verso il corso del Po in un equivalente insediativo della fascia pedemontana, e facendolo sperimentare nel nostro paese in forma massiccia tutte le idee di sprawl autodipendente che ancora ci siamo risparmiati.

Detto in altre parole e concludendo: l’attraversamento del piccolo territorio locale interessato dalla nuova superstrada altro non è che la demolizione di uno degli ultimi ostacoli al dilagare della Zia T.O.M. del cui braccio asfaltato settentrionale si sono da poco definiti tutti i particolari con l’avvio operativo della cosiddetta Pedemontana, riverniciata per il momento di verde fra opere di compatibilizzazione e presidente gradito al centrosinistra. Poi si esporterà altrove il know-how (f.b.)

MILANO — La data di apertura al traffico, 2015, la fa da protagonista all’ultimo piano del grattacielo Pirelli, impressa in verde sul cartellone che è il piatto forte della scenografia di presentazione: viene alla ribalta il proget­to definitivo della Pedemontana — 87 chilometri tra autostrada e tangenziali «rispettose dell’ambiente» da Cassa­no Magnago a Brembate at traverso 5 province e 85 comuni — la «strada per la città infinita» che aprirà i suoi primi cantieri entro il marzo 2010 per il tratto Cassano-Lomazzo. Della Pedemontana si parla dagli Anni Sessanta: e infatti, nel 1984, ilCorriereannunciava che «il collega mento Varese-Como-Bergamo,uno dei vecchi sogni del la viabilità lombarda, finalmente è risolto». Allora 750 miliardi di lire rappresenta vano l’80% dei finanziamenti, ora la spesa sarà di 4,7 miliardi di euro, suddivisi tra il progetto di finanziamenti privati in cambio di concessioni (3,5 miliardi) e fondi pubblici.

Nel salotto buono del Pirellone, per la festa alla sospirata autostrada (che, tra le opere di mitigazione prevede 90 chilometri di percorso ciclabile e pedonale dalla provincia di Varese a quella di Bergamo) si sono riuniti tutti i protagonisti dei capitoli più recenti della storia di questo progetto: il presidente della Regione Roberto Formigoni,l'assessore alle Infrastrutture Raffaele Cattaneo, il presi dente della Commissione Lavori pubblici del Senato Luigi Grillo, i presidenti delle Province di Milano, Filippo Penati, e di Como, Leonardo Carioni, e il presidente di Pe­demontana, Fabio Terragni, oltre ai progettisti che hannolavorato a tempo di record (dal giugno al dicembre 2008) ai 15.700 elaborati del la versione definitiva.

Otto-nove mila posti di lavoro per cinque anni («sarà il più grande cantiere italiano anche rispetto alle opere destinate all’Expo» ha detto Fabio Terragni, presidente diPedemontana Lombarda spa); 62 mila veicoli al giorno in viaggio più veloci («abbiamo evitato che in Lombardia nei prossimi anni si arri vi al traffico marmellata, ri­sparmiando 45 milioni di ore all’anno altrimenti passa te in coda, e diminuendo di oltre 380 mila Kg/anno il carico di inquinanti» ha sottolineato Formigoni) sono alcuni dei numeri della Pedemontana. A far accelerare il pro getto due elementi: l’accordo di programma, con «centinaia di incontri» per il confronto fra gli enti coinvolti, e la nascita della Cal — Concessioni Autostradali Lombarde —, società mista Anas-Regione «che ha accorciato gli iter procedurali». «Un metodo fondamentale per il nuovo sistema viabilistico lombardo fondato principalmente sul le tre grandi opere Brebemi, Tem e Pedemontana. E tutte e tre saranno pronte per il 2014» ha assicurato Formigoni.

Postilla

Significativo, che l’annuncio dell’apertura dei cantieri della Pedemontana avvenga parallelamente alla dismissione del Piano Territoriale della Provincia di Milano, ovvero di uno dei rari e ultimi tentativi di opposizione al modello di crescita/sprawl lombardo. Di cui queste autostrade (con buona pace delle pur ottime opere di mitigazione studiate da Arturo Lanzani e Antonio Longo) sono la struttura portante, nel classico e sperimentato modello internazionale che attraverso le grandi arterie si alimenta, riproduce ed estende. Pur nelle limitate possibilità concesse dalla legislazione lombarda alla pianificazione di area vasta, a tutto “vantaggio” delle scelte comunali, il PTP milanese tentava, se non altro, di arginare gli effetti più deleteri dell’insediamento diffuso “auto-oriented” , imponendo proprio nelle aree di interposizione fra la fascia pedemontana interessata dall’autostrada e il nucleo urbanizzato centrale compatto attorno al capoluogo, un minimo di reti aperte ed ecologiche. La trasversalità dell’entusiasmo incondizionato (almeno come raccontata dalla stampa) alla Grande Opera, conferma la rinuncia anche da parte del centrosinistra ad elaborare orientamenti diversi in materia di ambiente e territorio. Sperando in qualche smentita. (f.b.)

È UN’IMMAGINE che bisognerà abituarsi a vedere sempre di più: capannoni nuovi di zecca con cartelli che recano la scritta "Vendesi" o "Affittasi". Le fabbriche chiudono e le zone industriali si riempiono, in maniera crescente, di fantasmi. Per capire l’entità del fenomeno non bisogna attenersi tanto ai dati ufficiali, che registrano ancora poco. La Fiaip segnala, per esempio, un calo superiore al sette per cento per quanto riguarda le compravendite di capannoni.

Nomisma dice che anche i canoni sono in discesa, meno 1,1 per cento nel secondo semestre 2008, con un punte del meno 4,4 in provincia di Bergamo. Parlando con gli operatori del settore, però, si raccoglie molto più pessimismo. Valerio Uboldi sta tentando di vendere un capannone da 13mila metri quadrati, ultimato nel 2005, a Bariana, frazione di Garbagnate. «I prezzi sono calati del dieci per cento e in alcune aree si sono anche dimezzati. Siamo tornati ai valori del 2000. Io sto mettendo su un’azienda agricola per dare un futuro ai miei figli».

Per Legambiente è anche colpa della deregulation voluta dalla Regione. «In Lombardia nel decennio 1997-2006 - spiega Damiano Di Simine basandosi su dati Istat - si sono costruiti quasi 32.000 capannoni: una media di due all’anno in ogni Comune della nostra regione. Ora rischiano di diventare un tipico segno del nostro paesaggio, dove si costruiscono moltissimi contenitori, spesso in mezzo alla campagna, preoccupandosi molto poco del contenuto». È l’eredità, continua Di Simine, di una legislazione generosa: «Programmi integrati di intervento, piani attuativi in variante, sportelli unici, varianti ex-legge 23/97... E poi anche la legge Tremonti. Tutto va bene per realizzare insediamenti produttivi senza criterio».

Ma è anche nelle città che ora rischiano di aggiungersi nuovi strati di archeologia industriale. A Bollate, a due passi dal cimitero e di fronte alla Lidl, c’è la Syntess, industria tessile che gli operai avevano tentato eroicamente di salvare dalla chiusura provando ad acquisirla e a gestirla in proprio. Non ce l’hanno fatta e ora nel cortile dell’azienda un coniglio la fa da padrone. «È il mio - racconta la signora Lucia, la custode di origini campane - lo tengo qui, mi fa compagnia». A Garbagnate, invece, è in vendita lo stabilimento della Tc sistema servizi, azienda del settore hi-tech che a luglio ha licenziato 27 dipendenti. Le fabbriche sono transeunti e in ogni angolo della Lombardia ne restano le tracce. Come a Vimercate, dove campeggiano ancora le insegne della S. A., industria di lino e canapa, memoria di un’industria tessile che non c’è più. A Carpiano, invece, quel che resta di un grande allevamento intensivo gestito da un consorzio sono quattro enormi capannoni sulla Binaschese, quattro ecomostri in piena campagna. Quelli che un tempo erano gli uffici ora sono il ritrovo delle prostitute e dei loro clienti, come dimostrano i divani e i materassi sistemati qua e là. «Quei capannoni si vendono con tutti i terreni - dice il benzinaio della Q8 - quindici milioni di euro e te li compri tutti». Più avanti c’è la zona industriale del paese. Edifici appena ultimati, alcuni con le porte ancora imballate. I cartelli con la scritta vendesi, però, ormai non si notano quasi più: sono finiti per terra, piegati dal vento e dalla pioggia.

Da Magenta ad Arcore, da Zingonia ad Arese, nei nuovi insediamenti logistici del Lodigiano, ad Agrate e a Burago, in Brianza, la crisi lascia alle società immobiliari un grande patrimonio da vendere. Ma prima di trovare un acquirente o un affittuario si aspettano mesi e mesi, e il prezzo intanto scende. E più sono grandi gli insediamenti, più è difficile piazzarli. «Il dato su cui riflettere è questo - attacca Mario Agostinelli, capogruppo di Rifondazione in Regione - in Lombardia ci sono ormai 27 milioni di metri quadrati di aree dismesse». Maurizio Martina, segretario lombardo del Pd, punta l’indice contro la legge Tremonti, che ha consentito di costruire aree industriali con meno vincoli ma senza programmazione. «Gli effetti di questa incapacità di governare il territorio ora sono visibili. Basta andare, per esempio, in alcune zone della provincia di Bergamo, per vedere quanto si sia sacrificato l’ambiente senza creare ricchezza. Non è così che si incentiva il sistema produttivo: una riflessione su alcuni errori del passato va compiuta. E per il futuro, prima di andare a toccare il verde, si riqualifichino le aree ex industriali». L’assessore regionale all’Urbanistica, il leghista Davide Boni, ammette: «In passato il problema c’è stato, non l’ho mai nascosto. Si è costruito troppo sfruttando tutte le agevolazioni esistenti sul manifatturiero. Per il futuro rivedremo tutto, ci saranno controlli maggiori: bisogna ricominciare a utilizzare i capannoni che già ci sono e ridurre le semplificazioni che hanno consentito uno sviluppo disordinato».

postilla

Altro che “da Magenta a Arcore …” eccetera, come recita l’articolo: anche scavalcando il Po, gli Appennini, e addirittura Tirreno o Stretto di Messina, salta all’occhio la criminale idiozia delle ineluttabili zone produttive che servono quasi esclusivamente a “produrre” sé stesse. Basta farci un giretto in certe mattine per capire che il valore aggiunto della cementificazione e sbancamento di terreni non sta nei posti di lavoro o nella trasformazione di materie prime in prodotti finiti o semilavorati, ma nel solito “sviluppo del territorio”. Che ora con la crisi mostra più impudiche che mai le chiappe scoperte della foia trasformatrice di certi nostrani “policy makers ”, di amministrazioni abituate a reagire in automatico a qualunque proposta di questo tipo considerandola fonte di “ricchezza”. Come poi insegnano le crisi più “avanzate”, in testa quella americana, a svuotarsi ci sono poi anche i parchi per uffici, e dulcis in fundo anche le cattedrali del consumo, tirate su in fretta e furia contro ogni logica dentro a bacini di potenziali consumatori di fatto virtuali (ogni scatolone presenta i conti come se il bacino di utenza fosse suo in esclusiva), e che ora giocoforza consumeranno ancora di meno. È troppo tardi per aspettarsi un ripensamento, magari anche solo delle logiche più perverse come la concessione delle fasce autostradali per insediamenti produttivo-commerciali FUORI dai piani regolatori? Una pensata per ora solo lombarda, ma che visti i precedenti forse non mancherà di suscitare anche l’entusiasmo di altre regioni di vari colori (f.b.)

Con la sconfitta dell’emendamento “ammazzaparchi” pensavamo di aver respinto definitivamente l’assalto alla aree protette lombarde. Ma purtroppo non è proprio così. La Giunta Regionale ha infatti presentato un progetto di legge sui parchi (PDL 289 – dgr 05/12/2007) che è pessimo e che assesterà un duro colpo al sistema dei parchi lombardo, che invece è ricco, in salute e richiede norme chiare per proseguire lungo la strada di uno sviluppo sostenibile, integrato anche con le attività delle comunità che vi risiedono.

Dopo i primi passaggi in Commissione Ambiente del Consiglio regionale, l'ultimo oggi, abbiamo avuto modo di rilevare che tutta la legge desta molta preoccupazione e che la maggioranza e la stessa Giunta Regionale hanno idee molto confuse sull’intero provvedimento. Una confusione pericolosa, che rischia di indebolire il sistema delle aree protette lombarde e di rompere gli ultimi argini contro l'impetuoso consumo di suolo in Lombardia.

Il PDL prevede la nomina da parte della Regione dei direttori dei parchi, che indebolisce i Parchi stessi ed espone gli enti agli interessi che di volta in volta dovessero premere sui vertici dell’amministrazione regionale. Inoltre la modifica della forma giuridica al momento ipotizzata dalla Giunta rischia di determinare una forte riduzione dei finanziamenti e dell’utilizzo dei fondi a disposizione dei Parchi.

Ma non è tutto. C’è anche e soprattutto un forte rischio di riaprire le porte alle speculazioni edilizie: nel progetto di legge è previsto infatti che la Giunta regionale nella fase istruttoria del piano di coordinamento del parco o di sue varianti, su proposte specifiche degli enti locali (leggi nuove urbanizzazioni) garantisce il confronto tra l’ente gestore e il comune. In caso di conflitto tra parco ed ente locale, quasi evocato dalla attuale proposta della Regione,ci penserà la Regione a metterci un mattone sopra, è proprio il caso di dire.

Tutto ciò è inaccettabile: la Giunta regionale approfitta di ogni occasione per rilanciare strumenti legislativi che indeboliscono il sistema delle aree protette che invece va tutelato e promosso, anche con iniziative economiche sostenibili, come il turismo naturalistico e le produzioni agricole di qualità.

Con questo appello chiediamo anzitutto che si avvii un tavolo con i Presidenti dei Parchi, con le Associazioni e i Comuniper studiare e avviare alla discussione in Consiglio regionale una legge condivisa e organica che rafforzi le tutele dei Parchi e garantisca un vero sviluppo del patrimonio naturale e agricolo della Lombardia.

I Consiglieri regionali della Commissione Ambiente: Mario Agostinelli, Carlo Monguzzi, Giuseppe Civati, Francesco Prina, Arturo Squassina, Fortunato Pedrazzi, Dionigi Guindani. Milano, 11 febbraio 2009 -

«L'elemento che ci ha spinti a dare il nostro ok è l'aspetto occupazionale...». A Bastida Pancarana non hanno avuto dubbi nel dare il loro consenso all'insediamento nella vicina località di Bressana Bottarone di una poderosa struttura logistica il cui eventuale decollo costituisce, da tempo, una delle partite decisive in corso sul territorio provinciale.

Un po' di futuribili posti di lavoro a Bastida, dunque - promessi dalla proprietà della futura struttura, unitamente all'impegno a realizzare opere pubbliche di urbanizzazione per un importo di 245.000 euro - sono stati giudicati sufficienti dagli amministratori locali per far pendere la bilancia per un sì.

Non importa che non poche delle strutture logistiche già approdate in provincia di Pavia, registrando i severi contraccolpi della crisi in corso, abbiano già tagliato il numero degli addetti. E che dunque, almeno nell'arco dei prossimi anni, sia difficilmente ipotizzabile un'impennata occupazionale nel settore capace di riversarsi anche sui senza occupazione di Bastida, Bressana e dintorni.

D'altra parte, visti i tempi che corrono, è naturale che l'offerta occupazionale - guarda caso sempre assai generica, mai definita per ruoli, generi, competenze che dovrebbero essere poi selezionate dai proponenti - costituisca l'ariete di sfondamento manovrato dai registi dei nuovi insediamenti. Soprattutto quelli di più severo impatto sull'equilibrio territoriale della nostra provincia.

Ad esempio di posti di lavoro, in cambio dell'approdo a Borgarello del megacentro commerciale, hanno parlato tutti i sindaci che si sono succeduti nella località pavese a ridosso della Certosa. E, sempre dei possibili posti di lavoro che si renderebbero disponibili, si fanno scudo i pubblici amministratori che sul fronte delle località sparse tra il vigevanese e il mortarese sono alle prese con la discesa verso la campagna lomellina delle attività più invasive - logistica, distribuzione commerciale, discariche per trattamento rifiuti - della vicina metropoli milanese.

Che sia in corso una partita tra Milano e il nostro territorio, e non certo da oggi, è ormai visibile a tutti.

I confini della provincia di Pavia - sul suo bordo milanese - nel corso degli anni sono stati urbanisticamente segnati, e talvolta feriti in modo irreparabile, da modelli espansivi di cementificazione, celebrati secondo il rito ambrosiano «della cazzuola e del cemento». Modelli che dopo aver fatto scempio della Brianza si sono rivolti verso di noi. Verso il Pavese, la Lomellina e, seppure con modalità diverse, l'Oltrepo.

Chi vuole vedere le conseguenze di questo modello - solo in parte frenato dalla costituzione di quel parco sud Milano di cui ora si vogliono limare i confini - si faccia un giretto dalle parti di Siziano. Veda quello che in un ventennio ha depositato su quel territorio - non solo di cemento ma anche di problemi di sicurezza e vivibilità - l'espansione milanese secondo la versione «cazzuola e cemento, non me ne pento».

E' probabile che gli scenari che bussano alla porta della Lomellina, o di altri segmenti del Pavese, vogliano replicare questi fasti assai nefasti, inserendoli a tasselli sparsi e separati, comune per comune, progetto per progetto, mimetizzando con variegate specificità e generici vantaggi (i posti di lavoro, appunto), un'offensiva che nel suo insieme sta mutando gli assetti fondamentali del nostro territorio.

In gioco sono amplissime zone della nostra provincia, ambiti che rappresentano le terre da coltivare più pregiate di tutto il Paese e alle quali sono radicate potenzialità produttive e collegate vocazioni territoriali non riproducibili altrove. E tutto questo - accadendo nella disattenzione dei più - finisce con l'essere messo in gioco definitivamente. In cambio di contropartite miserabili e dall'impatto devastante. L'interrogativo a cui tutti dovremmo rispondere - adesso, non tra dieci anni - se la vivibilità delle nostre località può essere barattata per qualche incentivo vago, per promesse generiche che non solo non raddrizzano situazioni occupazionali e sociali ma che sicuramente bloccano svolte verso scenari di qualità non disgiunta dalla sostenibilità.

A questo punto sarebbe compito della politica, della cultura, della ricerca e delle professionalità, mettere a confronto i vari modelli con cui concretamente - nel corso degli anni - si è giocata la «guerra dei bordi» tra la metropoli milanese e il territorio pavese.

Perchè non sempre questa guerra è stata persa. E oltre ai modelli nefasti, da raccontare per luoghi e magari per nomi e cognomi, sarebbe tempo di fare emergere il contraltare degli scenari alternativi, delle sfide che sono in corso e che fanno ben sperare. Soprattutto quando vengono giocate sulla rinaturalizzazione del territorio come si sta tentando, ad esempio, attorno a Giussago.

O quando sono declinate sul restauro rigoroso e non brutalmente speculativo di insediamenti di grande caratterizzazione come si è registrato in certi borghi d'Oltrepo, in dimore storiche del Pavese e della Lomellina. O quando si procede nel riuso rispettoso delle cascine come sedi di nuove imprese alla ricerca di insediamenti di alta qualità ambientale (anche questo succede, in quel di Pavia).

Di questi modelli concreti - di insediamenti produttivi di qualità, di manutenzione dell'esistente, di restauro di ciò che è pregiato e radicato al nostro passato, di sicurezza legata al rinsaldarsi effettivo di comunità vivaci e dinamiche - si dovrebbe parlare ora. Perchè su questo terreno, con questi dossier aperti, che la crisi, squarciando i veli di scenari non più sostenibili, indica le opportunità. Quelle nascoste, e nuove, anche per il territorio di questa provincia.

Nota: quello che abbastanza esplicitamente Boatti racconta è solo l'avanguardia delle aspettative cementificatrici, da parte dei soliti interessi lombardi di "sviluppo del territorio". Per l'area pavese gli arieti di sfondamento finale saranno (ti spera di no, ma si teme di sì) l'inutile Broni-Mortara e per il cuscinetto del Parco Sud, naturalmente, la Zia T.O.M.; del resto basta guardare la tavola Regione Urbana del Piano di Governo del Territorio di Milano per capire (nella logica devastante degli interessi che comandano) cosa aspetta tutti quanti. Salvo che qualcuno ci ripensi, ma non pare proprio che sia così (f.b.)

Costata 208 milioni per 18,6 km di percorso con 16 gallerie, due viadotti e otto svincoli, la bretella Malpensa-Boffalora della statale 336 è percorsa oggi da poco più di 10mila veicoli al giorno contro una portata di 90mila. Effetto dell’incapacità della Regione, secondo le accuse degli ambientalisti, di programmare le strade dove servono. E anche quando servono, visto che la bretella, pensata per collegare l’aeroporto all’autostrada Milano-Torino, è stata completata dieci anni dopo l’apertura di Malpensa 2000 e addirittura inaugurata a fine marzo del 2008, in coincidenza con il taglio dei voli deciso da Alitalia. Di qui le preoccupazioni ecologiste per il programma di infrastrutture previste nella regione, otto progetti per un totale di quasi 470 km. «Polemiche strumentali», risponde dal Pirellone l’assessore alle Infrastrutture, Raffaele Cattaneo.

Le possibilità per la bretella di recuperare a breve redditività con un maggior utilizzo appaiono scarse. L’altro pezzo della 336, da Busto a Malpensa, percorso da 80mila veicoli al giorno quando lo scalo della brughiera andava a pieno regime, è sceso a 50mila. Il che, di per sé, non è un male, visto che era giunto praticamente alla saturazione. Tuttavia secondo Dario Balotta, per anni segretario regionale Cisl dei Trasporti e ora esperto per Legambiente, «occorre fare attenzione al consumo inutile di territorio. A cosa ci servono i 68 km della Broni-Mortara e i 67 della Cremona-Mantova, autorizzate dalla Regione? E la stessa Brebemi, altri 55 km, che a dieci km di distanza ha la A4, ormai decongestionata grazie alle quattro corsie fino a Bergamo?».

«Oggi la bretella Malpensa-Boffalora, che già è costata moltissimo, è del tutto sproporzionata rispetto alle esigenze - insiste Balotta - ci passa un’auto ogni tanto. Ricordo che il Malpensa-Express ha lo stesso problema: 54 treni al giorno che nemmeno nel periodo migliore sono andati oltre la metà dei seimila passeggeri previsti per convoglio. Con l’aeroporto nelle condizioni che sappiamo, non possiamo lasciare 54 treni vuoti. Apriamoli ai pendolari riducendo il biglietto e aumentando le fermate».

Il quadro delle infrastrutture promosse da Regione e Anas è completato dalla Pedemontana (87 km), dal tratto lombardo della Tibre, la Tirreno-Brennero (85), dalla Tangenziale est esterna (35), dall’autostrada della Valtrompia (35) e dalla Boffalora-Milano (35). Quest’ultima è la strada prevista nel parco del Ticino che prosegue la bretella, scendendo a sud da Boffalora verso Magenta, Robecchetto sul Naviglio e Cassinetta di Lugagnano e da Albairate a Milano si converte in riqualificazione della provinciale 114. «Inutile, anzi dannosa - la bolla il sindaco di Cassinetta, Domenico Finiguerra - il traffico dalla nostra zona a Malpensa non è mai stato eccezionale eppure la si vuole rendere praticabile a 120mila veicoli al giorno». Anche Albairate e Cisliano avevano fatto ricorso al Tar.

Tutte critiche «strumentali», per l’assessore Cattaneo: «A parte Cassinetta, gli altri Comuni sono tutti favorevoli. Il collegamento da Malpensa a Boffalora e la sua prosecuzione in funzione dello sbocco sulla tangenziale Ovest garantiscono un anello autostradale attorno a Malpensa, un secondo asse se l’Autolaghi è bloccata. Opere che hanno un valore in sé per un aeroporto che rimane il principale del Nord, nell’intendimento della Regione e nei numeri».

Nota: il riferimento, al solito (per chi non fosse ancora stremato dallo spettacolo) è al grande anello autostradale a servizio di auspicati (dalla maggioranza di centrodestra & altri) insediamenti diffusi o sprawl, che abbiamo soprannominato a suo tempo Zia T.O.M. (f.b.)

Se fossimo quel Paese civile che in molti sogniamo, se il buon senso delle persone ragionevoli guidasse l’analisi dei problemi per trovarne le soluzioni adatte non saremmo, da dieci anni ormai, tra alti e bassi incredibili, nel pantano di Malpensa.

Tranne i pochi con memoria storica, tranne qualche “addetto ai lavori” che però glissa, i più, condizionati dal battage pubblicitario del “Partito del Nord”, ignorano che Malpensa doveva essere semplicemente l’aeroporto point to point affiancato a Linate per assorbirne il traffico aereo in eccesso rispetto alla sua capacità operativa, crescendo fino al limite stabilito nel P.R.G.A. (Delibera del Consiglio Regionale Lombardo N. IV/274 del 03/06/86) di 100.000 voli/anno ossia, all’incirca, 12 milioni di passeggeri. Per un insieme di motivi che è più semplice definire “malgoverno” (del territorio, del sistema aereo, ecc.) i fatti si sono svolti diversamente e, già in data 19 novembre 2000, ben 87 sindaci delle province di Varese, Novara e Milano firmarono “Ticinia”, un manifesto “Contro illegalità e soprusi di Malpensa”. Ma siamo ormai a questi giorni di ira leghista e nordista per le scelte di C.A.I. in materia di aeroporti e slot. Vorremmo proporre una riflessione su Malpensa, ovvero sulle ragioni in base alle quali ne viene rivendicato, dal “Partito del Nord”, un particolare ruolo.

“Malpensa è il motore dello sviluppo del nord”, “E’ l’hub degli affari”, “E’ la madre di tutte le battaglie”: questi ed altri slogan sono e sono stati parole d’ordine che hanno affascinato gli elettori e prodotto effetti evidenti nei risultati elettorali dello scorso anno. La difesa di Malpensa premia!!!

Il primo tema che proponiamo è dunque: chi o che cosa stabilisce il ruolo, la capacità operativa, di un aeroporto? Quali destinazione collegare, quale numero di frequenze quotidiane e settimanali? Prescindendo dalle leggi in materia di Valutazioni di Impatto Ambientale e dal P.R.G.A. (cosa che è puntualmente avvenuta nel caso di Malpensa) la risposta è: il mercato. Dunque Malpensa, che nei suoi dieci anni ha vissuto alti e bassi sorprendenti, si è di volta in volta adeguata al mercato? Per quanto riguarda la crescita del traffico, avendo seguito con attenzione le vicende del decennio, troviamo una risposta negativa.

La crescita del traffico a Malpensa è derivata da trasferimenti forzati di voli da Linate, da Fiumicino e da altri aeroporti del centro nord nell’obiettivo di un sistema “malpensocentrico” asservito al business che la grande concentrazione di voli e passeggeri veniva a creare: operazioni contrarie al mercato. Dietro alle riduzioni di traffico a Malpensa troviamo invece sempre la scure impietosa del mercato: così è stato già nel 2000. In quell’anno il Ministro dei Trasporti Bersani, dopo aver autorizzato con un suo primo decreto il trasferimento di ulteriori 160 voli da Linate a Malpensa, forse capendo che qualcosa non andava per il verso giusto, rialzò con un successivo decreto il limite operativo di Linate, precedentemente abbassato da 30 a 10 movimenti/ora, e lo portò a 18. I 18 movimenti/ora furono immediatamente occupati da voli che... invertirono la rotta, lasciando Malpensa. E contro il mercato il “partito di Malpensa” riuscì persino a far scrivere, in una mozione approvata dal Consiglio regionale lombardo il 28/10/2006, la richiesta di tasse aeroportuali più alte a Linate e più basse a Malpensa, (testualmente: “la riarticolazione dei diritti di scalo tra Linate e Malpensa”), giusto per far capire cosa pensasse del mercato. Veniamo al Piano industriale di Alitalia firmato da Maurizio Prato nel 2007. Dopo il primo tentativo di vendita di Alitalia, andato a vuoto per i troppi “paletti”, tra cui il mantenimento di due hub, l’Azionista Padoa Schioppa capì che per raggiungere l’obiettivo serviva un Piano industriale secondo il mercato, cioè il ridimensionamento di Malpensa a favore di Fiumicino, ponendo fine alla catastrofe economica dei due hub, fonte solo di doppi costi. Il de-hubbing di Malpensa stava per produrre il risultato voluto ma poi, per i motivi che sappiamo, Air France lasciò la partita e così, invece di 2000 esuberi con i francesi, l’italianità di C.A.I. lascia a terra 10.600 disoccupati. Abbiamo poi visto cosa ha prodotto il mercato a Malpensa quando sono state tolte “protezioni” da paese d’oltrecortina. A proposito dell’occupazione abbiamo scritto da tempo: “ L’abnorme concentrazione di voli e di lavoratori (per il mancato rispetto dei limiti del PRGA) costituiva a Malpensa una bolla destinata scoppiare. E’ infatti scoppiata facendo pagare ai più deboli (i precari) o, nella migliore ipotesi, ai contribuenti (per chi va in CIG) gli errori, anzi gli orrori, di Politici, Amministratori e Sindacati” e tutti questi insistono nell’errore...

Tralasciando il fatto che noi, da anni, proponiamo che Malpensa venga inquadrato nel “sistema aeroportuale del Centro-Nord”, 18 aeroporti più comodi perchè più vicini all’utenza e con altre peculiarità come tante volte abbiamo già scritto, quale proposta di traffico formulare per Malpensa? Proprio per questo auspichiamo il buon senso delle persone ragionevoli di cui dicevamo. Con una semplice analisi origine/destinazione dei passeggeri si potrebbe calcolare quali e quanti voli servano a Malpensa. Ci chiediamo da anni, visto che l’hub italiano era ed è Fiumicino, perchè Milano ne dovesse avere anche uno suo, un tentativo di hub bocciato dal mercato.

Milano e la Lombardia avevano già raggiunto da anni un livello economico importante quando fu inaugurata Malpensa. Quindi Milano era Milano anche prima di Malpensa. Ora però il ruolo di Malpensa, sicuramente importante, sembra essere irrinunciabile. Servono dunque uno o più voli da Malpensa verso una o più destinazioni continentali o intercontinentali? Se l’indagine origine/destinazione dice che i passeggeri ci sono, si istituiscano i voli. Se i passeggeri esistono ma in un bacino molto ampio, vadano all’hub di Fiumicino. I voli che Alitalia riportò col de-hubbing a Fiumicino, oltre a costituire numerosi doppioni, cioè voli in doppio su Linate e Malpensa e su Malpensa e Fiumicino, cioè raddoppio dei costi, avevano spesso bassi coefficienti di riempimento: nei giorni del de-hubbing lo scrisse persino il Corriere della Sera (“Le rotte in perdita di Malpensa”, A. Baccaro). Sottolineo la sentenza del mercato: con due hub Alitalia non interessò a nessuno, con solo Fiumicino ad Air France interessò.

Un ricco, in quanto tale, non si limita ad una sola auto, una sola casa... ecc. Milano è così ricca da dover avere un aeroporto con tali e tanti collegamenti verso tutto il mondo (l’accessibilità aerea: ma cosa significa?) senza che ci sia reale giustificazione di traffico, cioè un vero motivo trasportistico? In questi tempi le Compagnie aeree operano in sinergia in alleanze che permettono di abbattere i costi, tagliano o riducono le frequenze dei voli sulle destinazioni meno remunerative ed hanno tutti gli occhi sui bilanci. Alitalia, per la dabbenaggine di pochi (o forse di molti?), ha continuato a rinviare la soluzione del proprio problema, continua a costare cifre enormi al contribuente ed è ancora in balia del dualismo Air France- Lufthansa, di chi parla di “multi-hub” (che è una cosa che non esiste) e di chi la vuole a Milano piuttosto che a Roma oppure sia a Milano che a Roma.

A Malpensa, ultimo ma non il meno importante, c’è il problema ambientale. Non ci stanchiamo di ricordare che l’aeroporto è interamente nel Parco lombardo della Valle del fiume Ticino, che si progetta di ampliarlo con una terza pista e con altri terminal per i passeggeri e che viene sistematicamente e colpevolmente coperto da silenzio che l’inquinamento, sia acustico che atmosferico, è oltre i limiti tollerabili. La recente sentenza Quintavalle, emessa dal Tribunale di Milano (che obbliga S.E.A. ed il Ministero dei Trasporti a versare un indennizzo di 5 milioni di Euro alla “Tenuta 3 Pini” che si trova a Somma Lombardo sotto una rotta di decollo) ha finalmente rotto il muro di omertà e silenzio e speriamo che altri procedimenti confermino questa tendenza. Sotto alle 5 rotte di decollo ci sono, nel raggio di 10 km, 38 Comuni, non certo sorti dopo Malpensa e, nel raggio di 15 km, i Comuni sono 88, gli abitanti 500.000. Contano solo gli affari e non la salute di mezzo milioni di persone? Possibile che ci sia un fronte bipartizan, tutti in sintonia con il “Partito (degli affari) di Malpensa? Possibile che anche il centrosinistra dica le stesse cose che dice Formigoni? Se il centrosinistra vuole proporsi come forza politica alternativa a Formigoni dovrà anche proporre un programma politico alternativo a quello di Formigoni: se dice le stesse cose perchè mai l’elettore dovrebbe cambiare?

L’attuale crociata in difesa di Malpensa ci conferma che c’è chi è determinato a sacrificare l’Ambiente allo sviluppo incontrollato ed immotivato di Malpensa: dilapidare un patrimonio come il Parco del Ticino, dichiarato dall’UNESCO “Riserva della Biosfera”, è un lusso che ci possiamo permettere? Gallarate, 7 gennaio 2009

UNI.CO.MAL. Lombardia

Il Presidente

Beppe Balzarini

Caro Giorgetti,

come sai ho avuto modo, conoscendoti, di considerarti persona valida, dotata di grande intelligenza.

Non nascondo quindi il mio stupore nel leggere ancora oggi, 28 dicembre, su “La Prealpina”, la tua determinazione nel difendere l’aeroporto di Malpensa che vorresti sempre più grande e sempre in crescita.

Ben saprai che, nel 1982, sul secondo numero di “Lombardia autonomista”, foglio della Lega Autonomista Lombarda (L.A.L., così si chiamava allora l’attuale Lega Nord), apparve un articolo in cui il capo leghista (Umberto Bossi) si scagliava contro l’ampliamento dell’aeroporto di Malpensa “ deciso dalla Regione Lombardia”:

“E’ un affare colossale che rischia di far precipitare la vivibilità della zona. A chi non interessa la qualità della vita del cittadino? La salvaguardia dell’ambiente? Il bene sociale? Non interessano a quei partiti che sanno che con Malpensa gonfieranno le loro casse intrallazzando con la speculazione. Nell’interesse del popolo lombardo la L.A.L. si impegna ad intervenire perchè i mega aeroporti imposti da questa vergognosa classe politica non possano più oltre degradare l’uomo.”

Gli anni passano. Il 27 dicembre 2007 la Padania titola: “Malpensa sarà la madre di tutte le battaglie”. E il 17 febbraio la Lega scende in piazza per difendere l’aeroporto. Lo slogan è: “Votate Lega e salverete Malpensa”. L’evidenza di questi 10 anni dall’inaugurazione del 25 ottobre 1998, cioè l’alternarsi di alti e bassi clamorosi, ci dice che a Malpensa qualcosa non gira per il verso giusto. Sono sicuro che tu ben conosci tutta la storia di questo aeroporto, a partire dal P.R.G.A. non rispettato che stabiliva limiti di traffico superati del 250%, alla mancata effettuazione della V.I.A. (Valutazione di Impatto Ambientale), all’attuale Piano industriale di S.E.A. (Gestore dell’aeroporto) che prevede la realizzazione della terza pista con l’obiettivo di quadruplicare il traffico stabilito come limite dal suddetto P.R.G.A. Sai bene che 87 Sindaci delle Province di Varese, Novara e Milano firmarono, il 19 novembre 2000, la dichiarazione di illegalità di Malpensa per mancato rispetto del Piano regolatore e delle norme in materia di Valutazione di Impatto ambientale. Sai anche che l’aeroporto è un’infrastruttura che ha il compito di assicurare un servizio e lo deve fare ponendosi al servizio del territorio e invece, con il “sistema malpensocentrico” cioè il mega aeroporto, si pone il territorio al servizio dell’aeroporto portando “l’utenza al servizio” anzichè “il servizio” all’utenza. Meglio sarebbe, non lo ignori certo, la giusta integrazione di Malpensa, entro i limiti del suo P.R.G.A., nel “sistema aeroportuale del Nord”, dove vi sono 13 aeroporti, con 15 piste, più comodi perchè vicini all’utenza. E le 15 piste esistenti hanno una capacità ben oltre 100 milioni di passeggeri/anno rispetto agli attuali 50 milioni o poco più e non serve certo fare un’altra pista a Malpensa, nel cuore del Parco del Ticino, riserva della Biosfera dell’UNESCO, vera ricchezza padana da tutelare. Ma l’occupazione... Malpensa, è ora in grande evidenza, non crea posti di lavoro ma disoccupati. Non è così? E’ così, perchè l’elevata, l’esagerata concentrazione di voli, di passeggeri e di lavoratori (per oltre il 65% precari) ha creato una bolla destinata a scoppiare, ed infatti è scoppiata, facendo pagare alle categorie più deboli gli errori (ma sarebbe più giusto dire orrori) di politici ed amministratori.

Questa, caro Giorgetti, è l’evidenza di Malpensa, grande e scomodo aeroporto di Milano, questa è, in sintesi, la conseguenza dell’intrallazzo speculativo che la preveggenza del tuo capo Bossi denunciava nell’82 ma poi... errare humanum est, perseverare diabolicum!

28 dicembre 2008

Beppe Balzarini

Presidente di UNI.CO.MAL. Lombardia (Unione Comitati del Comprensorio di Malpensa per la tutela dell’Ambiente e della Salute)

Strada nel parco per Malpensa e gli ambientalisti insorgono

di Ilaria Carra

L’Anas ha approvato ieri il progetto definitivo per il collegamento dell’aeroporto di Malpensa con la Tangenziale ovest. Una strada a due corsie per ogni senso di marcia, lunga 35 chilometri, che da Milano attraverserà nove comuni, tagliando in due il Parco del Ticino e il Parco agricolo sud Milano. Un’opera fortemente voluta da Regione e Anas, ma che manda su tutte le furie gli ambientalisti, che ne denunciano l’inutilità, e alcuni Comuni interessati, come Albairate e Cassinetta di Lugagnano che la vivono come « un tentativo di cementificare il territorio ancora integro a sud di Milano». Contraria anche Bruna Brembilla, presidente del Parco agricolo, che dice però di aver le mani legate: «Rientra nella Legge obiettivo e ha un interesse nazionale - spiega - non possiamo farci nulla se non chiedere il massimo delle compensazioni ambientali: è un’infrastruttura però che, diminuito il peso di Malpensa, rischia di essere inutile».

Il percorso per il via ai lavori è ancora lungo. Mancano parte dei fondi (la tangenziale costerà 420 milioni ma per ora ce ne sono solo 280) e il via libera del Cipe. «La strada migliorerà l’accessibilità all’hub varesino dal sud ovest milanese - spiega Pietro Ciucci, presidente Anas - con effetti di riequilibrio e decongestionamento della rete esistente».

In tutt’altro modo la vedono, invece, Verdi e ambientalisti. «È inutile e dannosa - denuncia Carlo Monguzzi, consigliere regionale dei Verdi - stravolge l’agricoltura lombarda doc e il sistema d’irrigazione che è un capolavoro». Decisamente contraria anche Legambiente, che oltre a denunciare i rischi per la campagna milanese (specie nella zona di Abbiategrasso piena di fontanili, rogge e aziende agricole), giudica l’opera del tutto inutile: «È un’infrastruttura eccessiva destinata non a togliere ma a generare traffico - spiega il presidente lombardo, Damiano Di Simine - il collegamento con Malpensa, peraltro, c’è già su più fronti, con la Milano-Laghi e la Boffalora-Malpensa».

Il progetto prevede, nel dettaglio, il raccordo tra Boffalora Ticino, già unita a Malpensa da una superstrada, e la tangenziale Ovest milanese all’altezza di via Zurigo. La nuova strada è suddivisa in tre tratte. La prima, da Magenta ad Albairate di circa 10 chilometri, toccherà Robecco sul Naviglio, Cassinetta di Lugagnano e Albairate. La seconda prosegue per Milano, coinvolgendo anche Cisliano e Cusago, è lunga circa 12 chilometri, e per più della metà del tracciato si sovrappone al tratto esistente della provinciale 114 di Baggio e termina in corrispondenza dello svincolo di Cusago-via Zurigo della Tangenziale ovest. La terza, da Albairate a Ozzero, lunga 10 chilometri, prevede la variante sud-est di Abbiategrasso e l’allargamento di parte della statale 494.

Per la costruzione sono previsti poco più di tre anni dall’avvio dei lavori. Se l’Unesco non si pronuncerà di nuovo contro il progetto, reo di attraversare il parco del Ticino riserva della Biosfera, e la strada si farà, già però si pensa a come compensarla: «Abbiamo chiesto un risarcimento economico per l’impatto ambientale e il vincolo di fare barriere verdi ai bordi della strada - spiega Bruna Brembilla - non pannelli solari ma filari di alberi che attutiscano il rumore e aiutino la riforestazione del parco».

"È un´opera necessaria per far vivere l´aeroporto"

Intervista all’assessore regionale Davide Boni,

di Franco Vanni

Davide Boni, assessore regionale al Territorio, l´approvazione definitiva del progetto per la nuova strada fra la Tangenziale Ovest e Malpensa ha sollevato le polemiche degli ambientalisti, del direttore del Parco Sud e di alcuni sindaci. Lei è favorevole all´opera?

«Ogni volta che si progetta una nuova strada arrivano le polemiche. La verità è che la Lombardia ha un´esigenza grandissima di infrastrutture e da qualche parte bisogna pur farle. La nostra regione da sola produce il 20 per cento del Pil nazionale e siamo al quattordicesimo posto in Italia nel rapporto fra chilometri di rete e numero di abitanti. È una situazione insostenibile, bisogna aiutare la nostra economia».

Le critiche riguardano soprattutto l´impatto ambientale, la strada attraverserà due parchi. È una preoccupazione giustificata?

«Una strada ha sempre un impatto sul territorio, ma in questo caso costruirla è un´esigenza. È nostro interesse primario garantire il rispetto dell´ambiente e lo poniamo come vincolo a chi costruisce, con controlli più rigidi rispetto a ogni altra regione italiana. Ma pensare di fermare l´opera non è accettabile, non possiamo più accettare il no per il no. Ho l´impressione che ci sia chi si oppone a ogni progetto viabilistico per ragioni che hanno poco a che fare con l´ambiente».

A chi si riferisce?

«Alla presidentessa del Parco agricolo Sud Bruna Brembilla, che è anche assessore nella giunta provinciale di centrosinistra con Penati. La sua critica è pregiudiziale: prima la Brembilla autorizza nel parco la costruzione di case e palazzi che non si capisce bene a cosa servano. Poi si oppone a una strada utilissima, sia per decongestionare il traffico su Milano, che si trova ancora a essere lo snodo viabilistico dell´intera regione, sia per rilanciare l´aeroporto di Malpensa».

La Brembilla, così come alcuni sindaci, sostengono invece che la nuova strada sia poco utile proprio perché Malpensa oramai ha ridotto il suo peso strategico.

«È un argomento inaccettabile. Malpensa è molto appetibile per le compagnie aeree internazionali. E poi si ricordi che quell´aeroporto è costato più di un miliardo di euro, e lasciarlo isolato significa buttare via l´investimento fatto. A spingere perché Malpensa sia meglio collegata, e la nuova strada serve proprio a questo, c´è anche l´Expo alle porte: chi nel 2015 arriverà in aereo dall´estero cosa farà, verrà a Milano a piedi?».

"Smog, auto e cemento di qui non passeranno"

Intervista al sindaco di Cassinetta di Lugagnano

di Ilaria Carra

Domenico Finiguerra, 37 anni, da sei sindaco di Cassinetta di Lugagnano, la cittadina di 1800 abitanti dentro il Parco del Ticino, che cosa farete ora che l´Anas ha dato il via libera al progetto?

«Ci sentiamo come il villaggio di Asterix: continueremo a opporci con ogni mezzo possibile. Questa infrastruttura è una vera e propria autostrada, un asse di penetrazione per urbanizzare zone ancora integre ed incontaminate. Uno scempio».

Lo vede come il primo passo verso la cementificazione selvaggia, quindi?

«È ovvio. Chi acconsente oggi non si rende conto delle responsabilità che si assume. Già piovono richieste di costruire autogrill, outlet e capannoni. Io sono molto preoccupato perché hanno ceduto tutti, tranne Albairate».

Che è anche il comune più colpito dalla congestione del traffico. Secondo Anas la tangenziale migliorerà la viabilità. È d´accordo?

«Per alleggerire il carico bisogna intervenire in altro modo, con circonvallazioni o rotonde. Non con un´autostrada che, con un milione di tonnellate di traffico all´anno, avrà l´effetto opposto: tutti passeranno di qui anziché andare a incastrarsi a Rho-Pero».

Il progetto che cosa comporta per il vostro territorio?

«La strada passerebbe a poche decine di metri da case e cascine. Il ministero dell´Ambiente aveva chiesto che passasse in superficie per non danneggiare il canale irriguo di Leonardo. I Beni culturali, invece, vogliono che sia interrata perché siamo a 200 metri dal Naviglio grande. Non si sa nulla».

I cittadini che ne pensano?

«Già nel 2003 abbiamo raccolto 14mila firme contrarie. E altre istituzioni si oppongono».

Per esempio?

«L´Unesco nel 2003 criticò fortemente il progetto al punto di minacciare il ritiro del titolo di riserva della Biosfera. Ci sono procedure aperte con Bruxelles per il mancato rispetto delle valutazioni d´impatto ambientale. E la Commissione europea ha minacciato di aprire una procedura d´infrazione».

Che cosa farete, dunque?

«Anzitutto riproporrò l´esposto all´Unesco. Esaminerò con la lente d´ingrandimento ogni cavillo legale per evitare il primo passo verso la fine. In più, per impedire procedure d´esproprio, stiamo valutando con alcuni comitati "no Tav" di acquistare lotti di terreno in proprietà indivisa. Così che serva il parere di tutti quanti per comprarli».

postilla

il dato nuovo di questi articoli, al di là dell’allarme che oggettivamente suscitano per l’approvazione di un progetto “minore” comunque insensato, è probabilmente la contrarietà dell’assessore provinciale responsabile per il grande parco di cintura metropolitana. Non era scontata, questa posizione: sia per decisioni precedenti che interessavano la greenbelt agricola in altre zone e aspetti, sia per l’idea generale di pianificazione del territorio che queste stesse decisioni potevano lasciar intuire. Meglio così: per quanto immersa in un contesto decisionale totalmente irresponsabile sul versante dell’ambiente e del buon senso in generale (vedi le incredibili quanto prevedibili sparate del solito assessore “amazzaparchi” Boni), pare che l’unica importante amministrazione di centrosinistra interessata voglia fare il suo mestiere, ovvero quello di pianificare il territorio a scala vasta. Ma non può. Glie lo impedisce il solito metodo decisionale che crea negli anni tutte le possibili condizioni per agire in “emergenza” (Malpensa, l’occupazione, lo “sviluppo” ecc.), oltre che l’essere in minoranza in un contesto solidamente controllato dal centrodestra arrogante e ignorante che ci ritroviamo. Unico sbocco, ormai, sembra davvero essere quello della crescita dal basso di un’opinione più informata e consapevole, in grado di capire (forse parte della stampa sta iniziando ad aiutare in questo senso, ma non basta) che la terra è una cosa che si mangia, si beve, si respira, e non una superficie per piantarci bandierine, tonnellate di cemento, canne d’organo con le percentuali elettorali. Contrariamente a quanto pontificano certi sociomanti a gettone, insomma, la città non è affatto infinita: siamo invece agli sgoccioli (f.b.)

Questa volta è toccato alla Corte costituzionale infliggere alla regione Lombardia un ulteriore duro colpo al “federalismo in salsa lombarda” dichiarando incostituzionale la legge regionale n 6 del 3 marzo 2006 avente per oggetto “Norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa” (sentenza n 350 del 24 ottobre 2008).

Si tratta di una legge voluta caparbiamente della Lega Nord e da AN con la quale si dettavano specifiche disposizioni urbanistiche per la localizzazione dei centri di telefonia in sede fissa (phon center) e si definivano specifici requisiti e prescrizioni igienico sanitarie per l’esercizio di tali attività, imponendo agli esercizi già aperti tempi brevissimi per l’adeguamento delle strutture (un anno), pena: multe salatissime e la loro chiusura.

Si trattava di una normativa speciale discriminatoria, già attaccata, oltre che dalle opposizioni in Consiglio regionale anche dal TAR di Brescia, che introduceva norme non applicate per le altre attività commerciali e che mirava a portare alla chiusura molti phon center esistenti, dei quali circa l’80% erano gestiti da immigrati ed impedirne l’apertura di nuovi.

La grande colpa dei phone center era semplicemente quella di essere gestiti e utilizzati soprattutto da cittadini immigrati. Insomma, una legge speciale, fuori dallo stato di diritto e contraria al principio di uguaglianza davanti alla legge e uno dei tanti casi, forse tra i più gravi in Lombardia, di xenofobia istituzionale

E così, a seguito di questa legge molti phon center vennero condannati con apposite ordinanze da diverse Amministrazioni comunali alla chiusura «per mancata conformazione ai nuovi requisiti (in prevalenza igienico-sanitari e di sicurezza dei locali) disposti dalla predetta legge regionale» dato che i proprietari dei locali si rifiutavano di effettuare gli adeguamenti imposti. Altri invece non poterono essere aperti perché i regolamenti locali di molti Comuni introducevano disposizioni urbanistiche, in particolare per quanto riguarda i parcheggi che dovevano essere disponibili nelle vicinanze dell’esercizio, da renderne impossibile l’autorizzazione. A tal proposito il TAR di Brescia nel suo ricorso evidenziava che nella legislazione vigente non si riscontrano “prescrizioni così restrittive neanche per i locali ove vi è maggiore concentrazione di persone per un tempo di permanenza maggiore, come teatri, cinema o nei locali ove viene svolta attività di somministrazione di alimenti e bevande”.

I danni prodotti da questa legge sono stati numerosi e vasti, dato che essa è stata ampiamente applicata sin dal marzo del 2007 da tanti Comuni lombardi, compreso quello di Milano: si è infatti registrata la massiccia chiusura di legittime attività che sono passate da 2.500 a 500 - e la rovina economica dei loro gestori

Ora la Corte costituzionale, svelando la forzatura operata dalla Regione che aveva introdotto tale norma assimilando le attività di telefonia fissa (di competenza statale) alle attività commerciali (di competenza regionale), riafferma che le attività dei phon center costituiscono a tutti gli effetti attività ricadenti nel Codice delle comunicazioni elettroniche: infatti “l’attività presa in considerazione dalla legge regionale sarebbe riconducibile alla materia di competenza concorrente dell’ordinamento delle comunicazioni e, più specificamente, al «servizio di comunicazione elettronica» di cui all’art. 2, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE, recepito dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche)”. E al riguardo la Corte afferma inoltre che “non è fondata la tesi difensiva regionale secondo cui non sarebbe applicabile la nozione di “servizi di comunicazione elettronica” in quanto i centri di telefonia si limitano, svolgendo una funzione di “intermediari”, a mettere a disposizione del pubblico personal computer o telefoni e usufruiscono a loro volta dei servizi di fornitura delle reti emanati dalle varie aziende”.

La sentenza, nel demolire le tesi difensive della Regione, afferma inoltre che nei centri di telefonia “lo scambio di un servizio verso la corresponsione di un prezzo afferisce a beni ed esigenze fondamentali della persona e, nel contempo, della comunità, coinvolgendo interessi individuali (correlati alla comunicazione con altre persone) e generali (difesa e sicurezza dello Stato; protezione civile; salute pubblica; tutela dell’ambiente; riservatezza e protezione dei dati personali), diversamente da quanto accade nelle ordinarie attività commerciali di cui all’art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59).”

Ed ecco la stoccata finale della Corte al federalismo in salsa lombarda “Confligge, dunque, con le scelte operate dal legislatore statale in tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica e di semplificazione procedimentale la introduzione, ad opera del legislatore regionale, di un vero e proprio autonomo procedimento autorizzatorio per lo svolgimento dell’attività dei centri di telefonia;ferma restando la possibilità per i Comuni, tramite la loro potestà regolamentare, e le Regioni, tramite la loro potestà legislativa, di disciplinare specifici profili incidenti anche su questo settore”.

Ora le opposizioni in Regione Lombardia porranno il problema del risarcimento dei danni subiti da quei tanti gestori che, a seguito della introduzione di questa legge incostituzionale, sono stati costretti a chiudere.

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Che si voglia cementificare il Parco Agricolo Sud Milano rischia di non essere più una notizia. Solo pochi mesi fa scrivevamo dei tentativi, autonomi e differenti, di Provincia e Regione di rivedere i confini del Parco. La Regione attraverso la modifica alla LR12/05 e la nuova legge sui parchi; la Provincia attraverso fantasiosi criteri di revisione del perimetro. Poi la modifica alla legge regionale si è arrestata in Consiglio, mentre il tentativo della Provincia è stato bocciato dalla stessa Regione Lombardia che non ha potuto far altro che prendere atto di come questi criteri fossero in palese contrasto gli obiettivi del Parco e con la normativa vigente.

Oggi il quadro è cambiato. Mentre in Regione è ferma la proposta di modifica alla legge regionale sui parchi (che avrebbe effetti su tutti i parchi, ma in particolare sul parco sud che sarebbe costretto a rivedere la propria legge istitutiva e quindi il proprio perimetro), l’Ente Parco Agricolo Sud Milano ha approvato dei nuovi criteri. Questi contengono un’importante novità. Per poter edificare le aree oggi incluse nei confini del Parco non è più necessaria una modifica del perimetro: si consente di costruirci direttamente dentro.

Proprio così. Martedì 9 dicembre, il Consiglio Direttivo del Parco Agricolo Sud Milano ha approvato i nuovi criteri per edificare all’interno dell’area protetta. Questi prevedono sostanzialmente una variante normativa al suo piano territoriale di coordinamento con l’individuazione di una nuova categoria di territori, le “Aree di ricomposizione dei margini urbani e di riqualificazione paesistica e ambientale, di interesse pubblico e di riassetto urbanistico”. In questo modo i 61 Comuni potranno individuare aree interne al parco, cambiarne la destinazione e quindi edificarle.

Così, mentre tutti si dichiarano contrari al consumo di suolo, il parco avvia un procedimento per edificare complessivamente 500 ettari (da sommare ai 360 dei Piani di Cintura Urbana, a quelli del Cerba e a quelli non ancora quantificati dai piani di fruizione). Questa naturalmente è solo una prima indicazione visto che nei passaggi successivi (a partire dal Consiglio Provinciale, cui spetta il compito di approvare definitivamente questa procedura) non è escluso che queste cifre possano aumentare, anche significativamente. La delibera è passata con 5 voti a favore (PD, Socialisti, Sinistra Democratica e “UDC”) e 4 contrari (Forza Italia, Verdi, agricoltori e ambientalisti).

Questa procedura ha poco senso per il Parco Agricolo Sud Milano. Infatti, se aree con una simile destinazione esistono in molti altri parchi regionali (es. quello del Ticino) e non esistono nel Parco Sud il motivo è semplice: quando è stato disegnato il perimetro del Parco, invece di includere aree poi da assegnare a pianificazione autonoma da parte dei Comuni (come per altri parchi), queste aree sono state direttamente escluse. Per farsi un’idea delle loro dimensioni, basta osservare la carta del Touring Club del parco: sono piuttosto evidenti le aree “bianche”, aree esterne al perimetro (quindi di esclusiva competenza dei Comuni), dove realizzare le espansioni urbanistiche. Dobbiamo credere che tutti i Comuni del Parco, in soli otto anni, abbiano esaurito le proprie previsioni di espansione urbanistica? Difficile crederlo; quello che certamente non si è esaurita è quella miope visione di sviluppo limitata allo sviluppo urbanistico, visione che evidentemente perdura anche in chi amministra il Parco Sud.

L’approvazione di questi nuovi criteri, infatti, non fa che confermare con evidenza (se ce ne fosse bisogno) come le priorità dell’azione di questa amministrazione del Parco non coincidano proprio con quelli previsti dalla sua legge istitutiva. Non si spiegherebbero altrimenti le risorse ed il tempo spesi per cercare di mettere a disposizione dei costruttori aree fino ad oggi protette, lasciando in secondo piano quelli che sono gli obiettivi del Parco, quelli stabiliti dalla sua legge istitutiva (che la Regione si è vista costretta a ricordare agli attuali amministratori nel bocciargli i vecchi criteri. Un episodio senza dubbio imbarazzante).

Se così non fosse, il tempo, le risorse e le energie spesi per rivedere i confini sarebbero stati investiti in modo più utile e coerente con le finalità del parco, magari anche per ascoltare i bisogni, le esigenze e le proposte dei cittadini da impiegare per la redazione dei piani della fruizione e dei percorsi, i piani per far vivere il parco. Nulla di tutto questo. Questi piani, facile prevederlo, saranno invece calati dall’alto proprio in prossimità delle elezioni, magari per cercare di far dimenticare la decisione di oggi.

Quella della revisione dei confini è una lunga storia, cominciata pochi mesi dopo l’approvazione del PTC del Parco, nel 2000. Una storia significativa di quello che è un approccio purtroppo diffuso al parco sud e, in genere, alle aree protette, viste come un enorme deposito di terreni da usare all’occorrenza per edificare e, nel frattempo, da riempire con variegate iniziative di comunicazione. Ce ne siamo già occupati nel primo numero di Gragra a cui si rimanda per approfondire i criteri bocciati, criteri, lo ricordiamo, fantasiosi, incoerenti con la normativa vigente e scritti esplicitamente per permettere l’edificazione delle aree del parco (quei criteri contenevano anche un tariffario con i prezzi delle aree da stralciare: così per la prima volta un parco regionale “metteva in vendita” le proprie aree). Mai approvati dal Consiglio Direttivo del Parco, bocciati dalla Regione Lombardia, sono stati però inviati ai Comuni (anche successivamente alla bocciatura regionale). L’effetto è stato quello di creare delle enormi aspettative di revisione e hanno di fatto sollecitato l’invio di richieste da parte dei Comuni. La decisione del Consiglio Direttivo di oggi non è che un ulteriore passo sbagliato di questo scriteriato, miope percorso.

Naturalmente torneremo sull’argomento.

É sottosegretario in carica allo Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni, ma non tutti sanno che è soprattutto assessore agli Affari di Famiglia (famiglia Berlusconi, of course). Si chiama Paolo Romani, si dichiara ex giornalista, fondatore di Telelivorno e di Telelombardia, e non ha remore nel confessare pubblicamente che ha accettato di fare l' assessore all' Urbanistica del Comune di Monza perché c' era "da risolvere un problema che è una spina nel fianco della famiglia Berlusconi". Da bravo soldatino, si è applicato ed è riuscito ad imbastire un' operazione che ha già portato nelle tasche di Paolo Berlusconi, fratello del capo, 40 milioni, che stanno per salire a 90 o 100. La "spina nel fianco" della famiglia presidenziale si chiama Cascinazza, un' area di 500 mila metri quadrati agricoli nel Comune di Monza che i Berlusconi comprarono nel 1980 dalla famiglia Ramazzotti, quella dell' amaro, per 7 miliardi di lire. Il progetto era di costruirci sopra una sessantina di palazzi residenziali, una specie di Milano4. Ma tra alterne vicende il progetto non decollò mai, nonostante l' affettuoso sostegno offerto negli ultimi anni dal presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Anche perché, situata tra il Lambro e il Lambretto, la Cascinazza ogni tanto va sott' acqua. E' vero che nel 2004 il Consiglio dei ministri approvò, in assenza del premier che si era correttamente ritirato nella sala accanto a sorbire il tè con Gianni Letta perché nessuno osasse sospettare conflitti d' interesse, la progettazione di un canale scolmatoio del costo di 168 milioni di euro. Ma la Cascinazza era diventata quasi un incubo per il premier, il cui fratello minore, come tutti sanno, non ne azzecca una. E poi perché costruire direttamente, se con gli opportuni interventi politici quei terreni si possono valorizzare clamorosamente? Così, vinte le elezioni a Monza, Romani viene spedito a fare l' assessore comunale all' Urbanistica. Ruolo nel quale si fa onore, perché organizza la vendita della Cascinazza alla Brioschi dei Cabassi, che pagano a Paolo Berlusconi 40 milioni, ma sottoscrivono una clausola che prevede una "integrazione" del prezzo al doppio o forse al triplo, nel caso di "valorizzazione" di quei terreni. L' assessore, diventato nel frattempo sottosegretario nel IV governo Berlusconi, si mette perciò di buzzo buono e presenta nei giorni scorsi una variante generale al PGT, il Piano di Governo del Territorio per valorizzare quell' appezzamento fin qui di assoluta inedificabilità. Quale migliore occasione dell' Expò del 2015? La variante Romani prevede infatti un "primo utilizzo" dell' area per l' Expò e poi un "riutilizzo dell' edificato con le seguenti destinazioni: direzionale, produttivo, residenza, edilizia residenziale convenzionata, artigianale espositivo, commerciale, intrattenimento, centro ricreativo bambini e ragazzi, centro anziani, centro per l' innovazione tecnologica nell' impresa, spazio espositivo per mostre continue, teatro, Spa e centro di medicina estetica, asilo nido, scuola materna, campo sportivo, sedi di Protezione Civile, Croce Rossa, Carabinieri, Banca d' Italia". E chi più ne ha ne metta. Il sottosegretarioassessore è un tipo immaginifico e aggiunge che lui vede svettare tra il Lambro e il Lambretto cinque magnifici grattacieli, una pista di sci coperta, perché non tutti possono andare in montagna a sciare, e una monorotaia che corre sul Canale Villoresi. Così, varata la variante, i Cabassi dovranno pagare a Paolo Berlusconi un altro pacco di milioni. E l' assessore agli Affari Familiari, a operazione compiuta, potrà dimettersi a Monza e andare a Roma a curare per il capo, dalla sua poltrona di sottosegretario alle Comunicazioni, il licenziamento di tutti quei comunisti nerovestiti (lodo Dell' Utri) che infestano la Rai.

Nota: il caso della Cascinazza di Monza è stato oggetto di una grande quantità di inteventi e documenti su eddyburg.it, soprattutto in questa stessa cartella SOS Padania (f.b.)

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