Più o meno cent’anni fa, l’apprendista falegname Mario Bottini usciva tutte le mattine dalla sua casa di Cappella Picenardi, e dopo aver attraversato i campi in direzione sud incrociava la ferrovia, il relativo sentiero più comodo per “andare a bottega”, e poi se avanzava tempo anche a trovare la morosa Paola, a Torre Picenardi, un paio di chilometri a est. Il giovane Mario voleva fare qualcosa di diverso dalla maggioranza dei suoi compaesani contadini, e ci riuscì anche abbastanza bene, visto che la sua abilità di ebanista lo portò, dopo la
Grande Guerra e la crisi economica nelle campagne, a “riciclarsi” nella nascente industria aeronautica e a trasferirsi di un centinaio di chilometri: dalle campagne cremonesi all’allora selvaggio ovest delle brughiere di Malpensa. Non sapeva, mio nonno Mario, che molti anni dopo non solo la sua nuova casa e i campi attorno si sarebbero chiamati “Hub”, ma anche quella vecchia di Cappella De Picenardi, e il sentiero lungo i binari da Isolello verso Torre, avrebbero preso il nome di chilometro qualcosa di una assai poco futurista autostrada, destinata nientemeno che al futuro popolo “catalaino”, o a piacere “ucralano”: in altre parole quelli che percorreranno il Corridoio 5 Barcellona-Kiev. Forse ne sarebbe stato entusiasta di questa autostrada ucralana, nonno Mario, visto il suo pallino per le innovazioni tecniche, anche se fini a se stesse, ahimé. Un entusiasmo però non universalmente condiviso, come cercherò superficialmente di raccontare.
Veniamo, se non all’oggi, almeno all’altro ieri. Alla legge regionale lombarda n. 9 del 4 maggio 2001, Programmazione e sviluppo della rete viaria di interesse regionale, che recita all’articolo 6: “Si definiscono autostrade regionali le autostrade oggetto di concessione dall’entrata in vigore della presente legge, interamente ricomprese nel territorio regionale, che assolvano prevalentemente ad esigenze di mobilità di scala regionale, e che non siano oggetto di concessione nazionale”. Dunque mobilità regionale, diremmo quasi quasi locale in una prospettiva realistica di osservazione della mobilità e uso quotidiano dello spazio nella “megalopoli padana”. Ancora in altre
parole, comunicazioni viarie rapide ed efficienti, diciamo, fra Orzinuovi e Voghera, o fra Bormio e Casalpusterlengo. E invece, pare che la prima direttrice di tipo autostradale realizzata in questa logica si inserisca, come molti dicono e ripetono, dentro il Corridoio 5 Barcellona-Kiev, scivolato per l’occasione a ridosso del Po, ed esattamente fra Cremona e Mantova. Certo ogni parte si inserisce in un tutto, ma qui la cosa pare assai forzata, come sottolineano i critici.
Come ad esempio la parlamentare europea verde Monica Frassoni, che in una interrogazione alla Commissaria ai Trasporti, cita la delibera n. 7/9865 della giunta regionale lombarda (19 luglio 2002): “Il quadro programmatorio di livello europeo definisce tra gli obiettivi infrastrutturali prioritari la realizzazione del corridoio n. 5, altrimenti definito corridoio “del 45° parallelo” o “Barcellona-Kiev”“, il quale, nel transito italiano, corrisponde ad un attraversamento transpadano che deve verosimilmente essere risolto con passaggio a sud del nodo di Milano” (da: http://www.verdilombardi.org). Si chiedono, la Frassoni e gli altri dubbiosi, non è che questo corridoio si sta allargando un po’ troppo di qua e di là? È coerente con le strategie comunitarie, l’interpretazione lombarda? Macché, risponde nel luglio 2003 l’interessata Commissaria Loyola De Palacio: “il corridoio n. 5 non attraversa la Lombardia” (da: http://www.noautostrade.it). Ma a quanto pare l’opinione politica della Commissaria De Palacio non conta gran che per il puro pensiero scientifico, se all’inizio del 2004 la professoressa Anna Gervasoni, Direttore del Centro Trasporti, Università di Castellanza, afferma ancora perentoria: “un’importante opportunità per la Lombardia e per l’Italia nel suo complesso è
rappresentata dall’autostrada regionale Cremona-Mantova, poiché costituisce un tassello di quello che dovrebbe essere il grande asse di collegamento Barcellona-Kiev” (AL - Mensile di informazione degli architetti lombardi, gen-feb 2004, p. 6). Insomma, corridoio anticamera o tinello questa autostrada s’ha da fare a tutti i costi. Come commenta amaro un rappresentante dei comitati che si oppongono al progetto, non importa molto se la striscia d’asfalto porta a Barcellona, Kiev, oppure semplicemente alle spiagge adriatiche. L’importante è aprire cantieri (“Continuano a chiamarlo Corridoio 5 anche se finirà ad Albarella?”, Lettera di Ezio Corradi su Inprimapagina, settimanale di Crema, del 1 agosto 2003).
Tra l’autunno del 2002 e l’estate 2003, prima della convocazione della Conferenza dei Servizi, secondo l’assessore provinciale cremonese ai trasporti “si sono susseguiti molti incontri con i Comuni -, tra dicembre e gennaio si sono svolte audizioni frontali, sono state raccolte perplessità e osservazioni. Molte delle quali intercettate nel progetto di massima” (Da: http://www.welfarecremona.it). Ma, come di nuovo emerge dalle osservazioni dei critici, pare che il coinvolgimento dei comuni si sia attuato in una logica non correttissima di do ut des, dove i promotori dell’autostrada si impegnavano sostanzialmente a realizzare varie opere, che gli enti locali aspettavano invano da tempo, in cambio dell’assenso generale al progetto. Opere, specie quelle di miglioramento viabilistico, che in buona parte risolverebbero anche il non certo caotico flusso veicolare fra i due capoluoghi della bassa lombarda (Barcellona-Kiev permettendo, naturalmente).
Infine e per ora, la delibera di giunta regionale del 30 dicembre 2003 fa proprie “le determinazioni della Conferenza dei Servizi sul progetto preliminare relativo all’autostrada regionale «Integrazione del sistema traspadano direttrice Cremona-Mantova»”.
Insomma una faccenda contraddittoria a dir poco. E anche vagamente sinistra, a leggere un altro passo, di un’altra lettera spedita dall’animatore di comitati Ezio Corradi, secondo cui l’autostrada, improvvisa come una metastasi, “compare a luglio 2001 con una riga nera tra le due città all’interno del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale” (da: http://www.noautostrade.it). Ma tant’è: la delibera con cui la giunta regionale lombarda chiude l’anno 2003 approva il progetto preliminare di quei 67 chilometri.
La “riga nera tra le due città” come si può vedere nelle tavole allegate alla delibera, prodotte dalla Società Centropadane (leggibili sulla versione cartacea in vendita a circa 9 €, non certo nel microscopico PDF online), scorre entro un “corridoio” locale già infrastruturato, ma non certo nel nulla, e nemmeno in un ambiente che si possa definire in qualsiasi modo metropolitano.
Il tracciato di quella che, giocando sull’acronimo e citando i cartoni Warner, possiamo chiamare ACME, parte come articolazione della A21 Piacenza-Brescia, nella periferia orientale di Cremona, poco a nord della località San Felice, col casello A21 e l’incrocio della SS10 Padana Inferiore verso Mantova, che si è da poco staccata a sua volta dalla tangenzialina cremonese e relative rotatorie. ACME punta verso sud-est, superando quasi subito la SS10 (che punta invece leggermente a nord-est), e incanalandosi nel corridoio di campagna delimitato a nord dalla stessa Padana Inferiore, e a sud dalla ferrovia Cremona-Mantova, dal canale Offredi, e dalla via Postumia in uscita dalla città verso est.
Scavalcando e facendosi scavalcare, ACME prosegue serpeggiando ampia fino al chilometro 9 e al primo svincolo, in località Borgo san Giacomo, a incrociare una delle direttrici nord-sud, ovvero quella che dalla pianura bresciana dell’Oglio-Mella scende verso il ponte Giuseppe Verdi a San Daniele Po, e la zona del bussetano-parmense. Al km 13, all’altezza del comune di Cappella Picenardi, esattamente fra Vighizzolo e Isolello, ACME scavalca la ferrovia Cremona-Mantova, iniziando a scorrere a sud, anziché a nord del tracciato, più o meno dove camminava cent’anni fa nonno Mario Bottini, e dove ora c’è un passaggio a livello che consente di risalire dal tracciato della Postumia, attraverso il capoluogo di Cappella, fino alla SS10 Padana un paio di chilometri più a nord. L’autostrada prosegue formando quasi un corpo unico col tracciato ferroviario (salvo scostarsi leggermente per questioni tecniche di sovrappasso), fino al km 21, sui margini occidentali dell’abitato di Piadena, quando piega decisamente verso sud,
disegnando una specie di contraltare meridionale alla tangenzialina nord della SS10, e immettendo alle rampe del secondo casello, che incrocia la seconda direttrice nord-sud, ovvero la statale Brescia-Casalmaggiore, serve l’adiacente zona industriale di Piadena a meridione della ferrovia Cremona-Mantova, e al km 25 scavalca un’altra ferrovia: la Brescia-Parma. Dopo questo nodo piuttosto complesso e intricato, ACME geograficamente risale verso nord, mentre fisicamente scende per un tratto in trincea, fino al km 28 dove risale fino a scavalcare di nuovo la ferrovia Cr-Mn e a unificare dopo un altro chilometro il tracciato con quello di un’altra autostrada contestatissima: la Ti.Bre., ovvero Tirreno-Brennero, per cui si rinvia almeno ai materiali del sito dei Verdi già citato (e che affronta la questione Cremona-Mantova in stretto rapporto “sistemico”). Sul Ti.Bre. una sola, piccola e ironica annotazione. Una giornalista della Padania, decantando l’approccio “ambientalista” di entrambe le autostrade al territorio, si riferiva ripetutamente alla Tirreno-Brennero usando l’acronimo TRIBE - che vuol dire, come tutti sanno a partire dai giornalisti: tribù. Non è chiaro se, con il gustoso equivoco-neologismo, si riferisse più agli abitanti dei territori festosamente attraversati, o al gruppo dei promotori dell’infrastruttura ambientalista a due rami (Cfr. Lucia Colli, “Un’autostrada unirà Cremona e Mantova”, La Padania 21 febbraio 2003, p. 11).
Dopo lo svincolo Ti.Bre.-SS10, ACME sale verso nord est parallela alla ferrovia e alla statale, fra i territori comunali di Bozzolo e Marcaria, dove all’altezza del km 264 della Padana Inferiore tutti e tre i tracciati tagliano il Parco Oglio Sud, scavalcano con tre ponti paralleli il fiume a distanza di qualche centinaio di metri, dopodiché il Ti.Bre. si stacca e si invola solitario verso settentrione, il tracciato della Postumia romana e poi il veronese. Sotto tutto questo bendiddio in ferro cemento e asfalto, fra le anse dell’Oglio si deve adattare in qualche modo anche il parco regionale, con “la graduale successione delle specie vegetali mano a mano che ci si allontana dallo specchio d’acqua, indice di un loro sempre maggiore affrancamento da questo elemento: dal canneto, ai salici, agli ontani e pioppi bianchi, al querceto” (http://www.parks.it/parco.oglio.sud ).
Abbiamo superato da un po’ la metà strada dei complessivi 67 chilometri del percorso, e siamo entrati nella provincia di Mantova. Dopo il distacco dal Ti.Bre., al km 6 di questa terza tratta ACME ri-scavalca in corrispondenza di un casello-svincolo sia la SS10 Padana che la ferrovia Cr-Mn, per proseguire una decina di chilometri parallelo a sud dei due tracciati, fino al casello successivo in territorio comunale di Castellucchio. Siamo ormai piuttosto vicini all’area propriamente mantovana, ovvero di rapporto diretto col capoluogo, e per evitare (presumo) l’urbanizzazione più fitta il tracciato inizia da qui a percorrere un ampio arco di circumnavigazione che porterà ACME a incrociare le frazione meridionali del comune di Curtatone, e relative campagne, o la strada secondaria verso il ponte di Borgoforte in località Ponteventuno (curiosamente, siamo anche al km 21 della tratta autostradale: era destino) sul passaggio a livello della ferrovia Mantova-Verona, o infine la statale 62 della Cisa a sud dell’abitato di Virgilio, con relativo svincolo al km 25, e il percorso principale verso Borgoforte-Suzzara. Ancora cinque chilometri verso oriente, e in territorio di Bagnolo San Vito ACME si immette sul tracciato dell’A22 Autobrennero, qualche centinaio di metri a sud dello svincolo di cui si è già detto su eddyburg nel pezzo sui “Cugini di Campagna” dei factory outlet.
Dopo essere risalita lungo il tracciato della A22 fino all’altezza – più o meno – dell’attuale casello di Mantova Nord, ACME se ne stacca poco a sud del tracciato mantovano orientale della SS10 Padana Inferiore, e inizia l’ultima tratta, che in poco più di dieci chilometri arriverà in territorio di Castel d’Ario, capitale del riso alla pilotta e patria di Tazio Nuvolari (un altro che, come il nonno Mario, sarebbe entusiasta dell’autostrada). Ancora un chilometro a oriente, e la linea scura del tracciato si interrompe brusca, perché proprio un attimo prima di incrociare la fatidica linea della Statale 12, a Nogara, ACME perde la sua ragione sociale d’essere, ovvero la regione lombarda. Una troncatura che me ne ricorda un’altra, antichissima, a interrompere il futurista progetto di città lineare dal Duomo di Milano al Ticino, pubblicata dalla rivista Le case popolari e le città giardino nel 1910, che con sistemi di trasporto a rotaia su vari livelli e velocità avrebbe dovuto surclassare o complementare a scala interregionale lo storico asse del Sempione, sostituendo all’insediamento consolidato una versione italica dell’utopia di Arturo Soria y Mata. Anche quel disegno, che oltre ad accattivanti prospettive urbane riportava anche un “tracciato di massima” territoriale, si interrompeva brusco sull’arida sponda del Ticino, come ACME alla periferia di Nogara. Ovviamente ci sono ampie rassicurazioni sul raccordo e proseguimento (e l’ovvia risalita verso la sponda dell’alto Adriatico) del percorso oggi molto imperfettamente servito dalla SS10 e poi dalla Monselice-Mare, ma restano comunque le battute polemiche, di chi si chiede se il Corridoio 5 non finisca a Kiev, ma ad Albarella.
Tutta questa descrizione del tracciato, non aveva comunque come scopo quello di contrapporre l’idilliaca campagna al devastante impatto dell’automobile, dello stridore al cinguettio, ma solo di chiarire un po’ meglio il contesto in cui si colloca questa iniziativa di autostrada regionale, a quanto pare di capire la prima in Italia, e che sempre a parere dei critici non sembra inaugurare una stagione nuova, ma solo (come già indicato in altri settori) sostituire o affiancare al centralismo statale un neo-centralismo regionale, catapultando decisioni sul territorio secondo una logica politica e tecnica vetusta.
Si è ad esempio citato sinora il solo tema del Corridoio 5, e della sua non riconducibilità né al quadro delle comunicazioni interne regionali, né alla lettera della fascia internazionale di relazioni e infrastrutture così denominata, che secondo la massima autorità della Commissione, letteralmente “non tocca la Lombardia”. Ma c’è pure il tema del traffico, con cifre di flussi che secondo i critici sono gonfiate o irrealistiche, e che certo nell’esperienza quotidiana non sembrano toccarsi con mano.
Perché se è vero che il tracciato della Padana Inferiore fra i due capoluoghi (Barcellona-Kiev a parte) ha numerosi intoppi, punti pericolosi, nodi irrisolti, non si vede perché il toccasana dovrebbe essere un sinuoso serpentone che come tutti i suoi simili appoggia un universo a parte sul territorio, i cui rapporti con l’intorno vengono di norma stabiliti e gestiti ex-post.
L’argomento è ovviamente complesso e io non sono né specialista né dilettante. Posso però considerare se non altro coerente la relazione che la senatrice Anna Donati ha redatto sul tema del sistema Ti.Bre.Cremona-Mantova (disponibile integralmente al citato sito dei Verdi), per esempio quando afferma che è proprio la contraddizione fra infrastruttura locale e tratto di infrastruttura continentale a indicare una assenza di progetto, o meglio una assenza di sistema nell’idea di progetto. Da qui, il non pensare in termini di comunicazione, di flussi, di modalità, ma solo in termini di opere, da piazzare dove capita secondo le giustificazioni più varie, e poi in seguito perfezionare e adattare ai contesti a seconda della resistenza che questi via via offrono.
C’è in effetti qualcosa di tragico, e qualcosa di complementarmente comico, nell’immagine del progetto ACME che corre in quello che considera dal proprio punto di vista un deserto, ignorando i propri “simili” (la Padana, la ferrovia) salvo quando se li trova di fronte ed è costretta a saltare in alto, in basso, a destra e a sinistra.
Non potendo offrire ovviamente soluzioni, posso al massimo proporre, per quanto mi compete, alcune letture su temi “stradali”, che ho iniziato a sistemare da qualche giorno sul mio sito a partire da poche cose che già avevo sotto mano.
Spero contribuiscano a far riflettere. Su questo e altri temi connessi.
Una citazione canzonettara anni '80 che mi pare adeguata, un breve commento, un link. Per ora basta così.
Le Louvre (Diana Est)
Fuori dai musei
nuovi amici miei
si distruggerà
la civiltà delle banalità.
Su seguitemi
esibitevi
alta moda va
vincerà
chi si distinguerà.
Per molti secoli
quei nobili
sono rimasti esposti sempre immobili
con una voglia intensa di entrare nei bistrot.
Nuove letture con tecnologia
ce li rivelano
dorata prigionia
Tempi di convenzioni
di provincialità.
Fuori dai musei
nuovi amici miei
si distruggerà
la civiltà delle banalità.
Su seguitemi
esibitevi
alta moda va
vincerà
chi si distinguerà.
Computer dimmi se
di nuovo liberi
con la Gioconda
corrono nei vicoli
Tempi di mutamenti
nuove modernità
Fuori dai musei
nove amici miei
si distruggerà
la civiltà delle banalità.
Su seguitemi
esibitevi
alta moda va
vincerà chi si distinguerà.
Queste a modo loro memorabili strofe, dovevano risuonare potenti nel retropensiero della signora Marta Vicenzi l’altra sera, almeno a quanto risulta dai resoconti della stampa. La signora Vicenzi è il sindaco di Vicolungo, e la sera dello scorso giovedì 7 ottobre inaugurava in grande stile il controverso “Parco Commerciale”.
Ci informa il sito specializzato Parksmania, citando a sua volta un articolo sulla stampa locale, che il Sindaco ha colto l’occasione per annunciare l’avvio dei lavori anche per quanto riguarda un parco a tema, col primo lotto dal titolo “L’Isola che non c’è” ispirato alla nota favola di Peter Pan. Così, col parco a tema, sempre secondo il Sindaco, si “consentirà al paese di uscire dall’oblio”.
Fuori dai musei, appunto: vincerà chi si distinguerà.
In che cosa, non è chiarissimo.
Nota: qui l’articolo di Parksmania con i particolari (e la scheda tecnica, ecc.). Per le opinioni di Eddyburg si vedano gli altri pezzi su Vicolungo, compreso lo scambio di opinioni col progettista del Parco Commerciale, William Taylor (fb)
GRUMBLE è una bella parola, di quelle rotondamente onomatopeiche, che significa più o meno “brontolare”. L’abbiamo imparata dai fumetti, quando Paperino o chissà chi altro è inquadrato di spalle mentre si allontana piuttosto incazzato e frustrato, coi pugni stretti e sbuffi di fumo che salgono dalle orecchie. GRUMBLE.
Dopo gli articoli comparsi su Eddyburg a proposito dell’outlet di Vicolungo, l’architetto responsabile del progetto di “Parco Commerciale” mi ha scritto. Era interessato a discutere le critiche alla qualità degli spazi, purché non si finisse a parlare dei soliti “ political grumblings”, ma si potesse onestamente e concretamente stare coi piedi per terra, magari pure litigare, ma su differenti idee di forma urbana e territoriale. In fondo aveva pure ragione, e un ottimo punto di vista per sostenerla, visto che si tratta di professionista internazionale di alto livello, che ne ha viste di cotte e di crude in fatto di “brontolii” e sa di cosa sta parlando. Eppure ...
Eppure, sarà il vizio mediterraneo di baloccarsi coi grandi sistemi, ma non sono riuscito a seguire la vecchia ricetta che Jerome K. Jerome ci suggerisce sin dalle prime battute del suo Tre uomini in barca: fatti una bella passeggiata, vai a letto presto, e non farcirti il cervello di cose che non capisci.
Tra le cose che non capisco, vorrei elencare in ordine sparso: il comitragico affaire Buttiglione/culattoni, un convegno organizzato dalla Regione Veneto che chissà perché si tiene a Milano, il grave problema internazionale dello sci nautico in pianura padana, e il Signor V. E forse è meglio cominciare dal fondo. Dal Signor V.
Chi segue per amore o per forza le campagne pubblicitarie, probabilmente non ha potuto fare a meno nei giorni scorsi di vedere manifesti (e almeno un paio di pagine web) con una grossa “V” che cambiava leggermente forma, colori, contesto: nera su fondo giallo ricordava il logo di Batman, sotto una cascata di scaglie color mozzarella si trasformava in un trancio di pizza, a colori pastello e con l’aggiunta di un’oliva ti serviva un virtuale Martini Dry Cocktail. Come poco sotto spiegavano le scritte a caratteri più piccoli, quella “V” era non solo supereroi, non solo spuntini veloci, non solo cocktail parties, ma anche e soprattutto Vicolungo Outlets, inaugurato lo scorso 7 ottobre da una variante della solita compagnia di giro nazionalpopputa marca Mediaset.
Nel frattempo un’altra “V” molto più discretamente si piazzava in un altro manifesto-locandina: Il Corridoio V transeuropeo: attori, opere, opportunità. Si tratta di un convegno promosso dalla Regione Veneto, organizzato dall’INU, che vede tra i partners l’università di Ca’ Foscari, il Politecnico di Torino, la Provincia autonoma di Trento, il Centro Ricerche FIAT, e altri. Spicca curiosa, per un convegno milanese, l’assenza almeno ufficiale di qualunque soggetto “locale”. Un altro elemento di curiosità (oltre che ahimè di emergenza sociale, ma questa è un’altra storia) è che quasi contemporaneamente la FIAT annunci proprio a Milano l’intenzione di “sganciarsi” dal polo produttivo di Arese, dalle pur vaghe idee di riconversione alla “mobilità sostenibile”, e di puntare probabilmente ad una speculazione sull’area. Arese, come ben sanno gli automobilisti pendolari dell’ovest, sta in cima al triangolo infrastrutturale (un’altra “V”, a pensarci bene) definito dall’anello delle tangenziali, dalla Milano Laghi e dalla Milano-Torino. Appoggiato all’esterno di uno dei lati di questo triangolo, sta il polo esterno della Fiera, già “il più grande cantiere d’Europa”, di prossima inaugurazione.
Ma facciamo di nuovo dietrofront e con meno di mezz’ora in macchina torniamo nel bel mezzo della prima “V”, tra le ex risaie di Vicolungo. Qui, spazzate via le paillettes delle ballerine inaugurali, i negozi hanno cominciato a funzionare, anche se restano ancora parecchi spazi da riempire. E proprio tra questi varchi, dal percorso interno focalizzato sulle vetrine si intravede ancora qualche squarcio di ex campagna, con la lunga linea grigia del Corridoio Voltri-Sempione a tagliare l’orizzonte. Perché proprio qui, si realizza il miracolo visivo: i corridoi infrastrutturali vagheggiati dal “political grumbling” si possono vedere, e anche toccare nel loro effetto di autoalimentazione, che per semplicità chiamerò qui: grumbling-feedback (un po’ di inglese a sproposito non guasta mai). Se ne era già parlato, del quadrante autostradale, che qui vedeva incrociarsi l’asse Mi-To con uno dei canali di comunicazione Mediterraneo-Europa continentale, che non a caso vede da anni piazzato al primo angolo di corridoio, il primo outlet village italiano, giù a Serravalle.
Poniamo allora di usare questo tipo di (relativamente) piccola trasformazione spaziale coma cartina di tornasole, e di fare qualche ipotesi in libertà. Per esempio, subito dopo la lunga linea grigia dell’A26 e della intersezione con l’A4, sta il comune di Recetto. Come leggiamo sul sito web municipale “Il Consiglio Comunale di Recetto ha approvato il Progetto preliminare delle opere di accompagnamento ai Giochi Olimpici del 2006. Il progetto prevede nuove edificazioni e riqualificazioni nell’area del Parco Nautico e del vicino Centro Sportivo per un investimento totale di € 7.362.000, 00”. Un insieme di interventi che parte dalle strutture già attive dei bacini per lo sci nautico, ed esplicitamente si colloca a saldatura e consolidamento di quanto in corso di sviluppo nell’adiacente territorio comunale di Vicolungo, a costituire un elemento di attrazione a scala “almeno internazionale”. E del resto anche le varie ipotesi di poli di retailtainment concorrenti, come l’outlet di Santhià poco oltre il fiume (che inaugurerà la prossima primavera), o il piano di parco a tema Mediapolis Canavese (la cui esistenza ha modificato sensibilmente il progetto generale per l’area di Vicolungo), confermano un’immagine: la progressiva saldatura in un unico sistema, sempre più visibile, compatto, e ahimè pare piuttosto semplicione, del mitico Mi-To. Proprio quanto sbertucciato a fine anni Sessanta come ingenuo capitolo da “libro dei sogni”, magari dagli stessi che volevano sognarla da soli, quella roba, e poi fabbricarsela in casa, brick-and-mortar, senza i lacci e lacciuoli di programmi pubblici.
E vorrei concludere, brevemente, con l’ultima cosa che nonostante il sonno ristoratore suggerito da Jerome continua a farcirmi il cervello insieme alle varie “V” più o meno cementizie: l’ affaire Buttiglione/culattoni. Credo sia apparsa abbastanza lampante, a buona parte degli osservatori, la tranquilla determinazione con la quale l'ex filosofo di CL ha esposto di fronte ai suoi esterrefatti ascoltatori le proprie idee sulla famiglia e la società in generale. Basta sommare questo, agli scatti immediati di solidarietà del centrodestra (forse non solo nazionale), per sospettare che ci siano grandi manovre in corso parallele al rinnovo della Commissione. Il che letto in una certa prospettiva può anche significare: sinora una sciagurata maggioranza continentale ha spacciato come universali valori che non lo sono affatto, ma non andrà avanti sempre così. La famiglia tradizionale, certo, e il trionfo dello spazio privato, a tutte le scale. Per quello che interessa più da vicino i temi legati a queste note, il privato della casa, il privato della piazza pubblica privatizzata nello shopping mall, il privato delle grandi scelte concordate a livello strategico con gli interessi particolari, il cui ruolo per la collettività si misura “a prescindere”. Anche quel corridoio, che passa o non passa a sud della catena alpina, ad esempio: nuovi equilibri continentali, via i "culattoni", e lo faremo passare da dove vogliamo, il Corridoio. Chissà.
Per ora, la cosa visibile sono solo le più o meno sottili imperfezioni degli spazi realizzati, la vaga idea che ci sia qualcosa che non va, anche oltre il fastidio perché stanno chiudendo tutti i negozi della via, o l’insopportabile coda per andare tutti allo stesso centro commerciale a venti chilometri di distanza. Indispensabili fratture della modernizzazione, come si premurano di spiegarci alcuni nazionalsociosofi? GRUMBLE.
Dov’è
I segni hanno sempre un senso. Figuriamoci i monumenti, quelli veri, come una bella statua di bronzo in mezzo a un’aiuola circolare. Una cosa che a chiunque fa venire in mente l’idea di città.
Ed è esattamente a questo che pensa un chiunque passante, o meglio guidante, in rotta verso Milano dal settore orientale, quando sullo sfondo di una lunga prospettiva di pioppi e precompressi misti la vede. La statua di bronzo, di una figura umana seduta, alta un paio di metri e qualcosa sul cocuzzolo di una rotatoria. Incongrua per dimensioni e localizzazione, ma ineccepibile nel segnalare che la nuova dimensione metropolitana ha raggiunto anche il mondo dei segni, oltre a quello delle densità e delle correlazioni spaziali e sociali. Per gli aspetti politico-amministrativi, naturalmente, dovremo aspettare ancora qualche lustro, o secolo.
Siamo sulla strada Rivoltana, l’asse viario che inizia in Piazza San Babila, e poi cambia varie sezioni e nomi passando per esempio davanti alla Provincia, al quartiere razionalista “Fabio Filzi” di Franco Albini, al famigerato centro per immigrati di via Corelli, e poi assume natura e nome di grande arteria davanti al palazzo Mondadori di Oscar Niemeyer, dove si ricongiunge col viale dall’aeroporto ( el stradon per andare all’Idroscalo, di Jannacci). Alla fine del territorio comunale di Milano, la strada attraversa una porzione del territorio comunale di Segrate, dove si affacciano tra l’altro sia la citata Mondadori, sia una delle più note neo-cittadelle da utopia piccolo borghese anni Settanta: Milano San Felice. E proprio all’altezza di San Felice inizia il territorio del comune di Pioltello, frazione Limito, segnato da quella rotatoria con monumento cocuzzolare. Di fianco alla rotatoria, una strada sterrata inquadra un cartello. Sullo sfondo, lontano tra i pioppi radi di inizio pianura, qualche gru spunta dall’erba. Il cartello recita: Progetto Malaspina. Per maggiori informazioni consultare il sito web.
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Cos’è
Dato che chi scrive non è neppure un dilettante della comunicazione, lascio doverosamente un po’ di spazio ai professionisti: “SINTESI DI BENESSERE. Alle porte di Milano, sul lago Malaspina, nasce un grande progetto di Aedes, Banca Antonveneta, Pirelli Real Estate. Un’iniziativa immobiliare pensata attorno all’individuo, per vivere e lavorare meglio. Residenze e uffici armoniosamente immersi nella natura, in una delle più grandi aree verdi della Lombardia. 720.000 mq di cui 498.000 mq circa destinati a parco pubblico”. Ecco qui, in sintesi (di benessere), più o meno tutto. Compresa un’importante specificazione: si tratta di un progetto “attorno all’individuo”. Ecco cosa raffigurava quella statua in mezzo alla rotatoria: l’Individuo.
Il PDF da cui è tratta la citazione contiene naturalmente molti altri dati e informazioni. Per esempio che le residenze avranno una superficie lorda di pavimento complessiva di 44.000 metri quadrati, e che il Business Park offre 22.000 metri quadrati di superficie coperta, e circa 80.000 mq di superficie lorda di pavimento edificabile. Alle superfici edificabili, si aggiungono poi 78.000 mq “direzionali”, 3.000 mq commerciali, 11.000 mq accessori.
Se si osserva la planimetria generale del progetto, si nota un’organizzazione generale lungo l’asse nord-sud, perpendicolare e relativamente autonomo rispetto a quello della statale Rivoltana, col raggruppamento degli uffici a nord e, separata anche da uno spigolo del lago artificiale che da’ il nome al quartiere, la zona residenziale, inserita ai margini della grande area verde.
Un’area verde che, a parte gli standards ovviamente vantati dai promotori, è tutta farina di un altro sacco. Siamo infatti sui margini settentrionali del metropolitano Parco Sud (come si capisce anche da qualche stralcio di paesaggio), e soprattutto in una delle località dove la Regione Lombardia, settore Agricoltura, ha promosso l’iniziativa delle cosiddette “foreste di pianura”.
La Foresta
Il Bosco della Besozza (da nome della cascina) copre una superficie di 37 ettari, che sarà interessata da interventi di riforestazione e altre operazioni di ri-costruzione del paesaggio. Come ci spiega il sito del settore regionale competente, il progetto generale si articola in:
E scusate se è poco, a un chilometro a sud dei laghetti di cigni artefatti e minuscoli di Milano Due, e dai pezzi di Parco Lambro via via ritagliati dall’espansione edilizia. Una Milano Due bis, o ter, o quater, almeno negli effetti sull’intorno, che il progetto Malaspina poteva anche diventare, a suo tempo (e fino a non molto tempo fa).
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Cosa doveva essere
I circa settecentomila metri quadrati di questo terreno a Limito di Pioltello, al confine con San Felice di Segrate, sono conosciuti da queste parti col nome di Bica. Potrebbe sembrare il solito toponimo da cascina, o corso d’acqua, e invece è una sigla. Sta per Beni Immobili Civili e Agricoli, ovvero il fondo previdenziale dei dirigenti Montecatini (il buon Bianciardi ci scriverebbe un thriller, fosse ancora vivo). Gli immobili Bica sono acquisiti negli anni Ottanta, da nientepopodimeno che Edilnord, ovvero Berlusconi, che nello stile diventato poi noto alle cronache inizia a suo modo i processi di valorizzazione.
L’idea iniziale è di realizzare un complesso per uffici con 12.000 occupati complessivi, sviluppato - pare di capire - a nastro lungo la statale. Cresce l’opposizione locale a quello che si capisce essere un progetto ad alto impatto su un territorio di prima cintura ancora ricco di potenzialità ambientali, ma già sovraccarico in termini di congestione da traffico e insediamento industriale. Con intrecci (ovvio: qui siamo anche fisicamente a Tangentopoli) giudiziari vari, e rinvii nella realizzazione, finalmente si arriva alla metà degli anni Novanta a definire una possibile soluzione, anche se di compromesso. Una variante al PRG del 1999 si riassume per questa zona in:
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Conclusioni e saluti
Ecco, solo per fare un esempio, da dove viene quell’orientamento perpendicolare ereditato dagli attuali promotori (che hanno rilevato le proprietà Edilnord), inusuale e certo diverso dal solito sviluppo a nastro che soffoca tutte le statali per decine di chilometri a diradare in tutte le direzioni. Certo, come si riconosce anche ufficialmente all’interno dell’amministrazione, si poteva anche fare di meglio. E aggiungerei io anche di meno, e magari pure da un’altra parte, visto che qui a fare da cesura col polmone del Parco Sud c’è già la cittadella “introversa” di San Felice, che nonostante tutto il suo privatissimo verde sembra comunque un corpo estraneo piantato in mezzo al paesaggio. Poi ci sarebbe anche da dire sulla scelta della netta separazione anche planimetrica fra il business park e le residenze: buono in un manuale di zoning degli anni Venti, con la sua certezza dell’investimento ed efficienza gestionale interna, lontanissimo da qualunque idea di città non strampalata. Certo si tratta di piccole dimensioni relative, ma trattandosi di un insediamento nuovo forse anche un progettista americano new urbanism, abituato a ben altre scale, storcerebbe il naso davanti ad un’occasione persa di mixed use.
Comunque, a quanto pare ce l’abbiamo e ce lo dobbiamo tenere, questo progetto Malaspina, con tutte le sue probabili barriere, visive e non, rispetto al resto del territorio, e col suo bel Monumento all’Individuo Ignoto sul cocuzzolo della rotatoria. Una forma attenuata di quanto pensato nelle brume metropolitane di pre-Tangentopoli, ma tutto sommato un’eredità di un modo sballato di pensare il territorio.
Certo, visto da un altro punto di vista, un successone, se si pensa a quello che succede “a dieci minuti d’auto”, ovvero nella ex Fiera, nella futura Fiera, o in tanti altri casi. Ma queste sono storie che si raccontano altrove.
Nota: le informazioni pubblicitarie generali sul quartiere sono disponibili al sito Progetto Malaspina. Il quadro generale del programma per le Foreste di Pianura sta al sito della Regione Lombardia, Settore Agricoltura . Il riassunto delle tormentate vicende dell’urbanistica comunale di Pioltello è desunto dal sito di una formazione politica locale, Lista per Pioltello. L’atmosfera degli appetiti sul territorio che ha caratterizzato e caratterizza Milano, l’area metropolitana, e tutto il resto, purtroppo non ha bisogno di indicazioni. (fb)
Premessa a un link - di Fabrizio Bottini
Tra gli infiniti punti di vista che offre la valle del Po, forse le confluenze dei corsi d’acqua minori nel grande fiume sono i più significativi. Eugenio Turri, descrivendo la Megalopoli Padana, ci invitava a leggere una lezione di geografia direttamente sul testo del paesaggio, ad uno di questi nodi, dove le acque limpide e azzurre di un affluente di origine alpina formavano una netta “V” con quelle giallastre del Po, frutto degli affluenti limacciosi torrentizi del versante sud. Tra questi particolarissmi snodi, spicca certamente quello in cui nel giro di poche centinaia di metri mescolano le acque nel grande fiume il Terdoppio, sceso dalle alture novaresi attraverso la Lomellina, e lo Scrivia, che dall’Appennino Ligure scende, attraverso le province di Alessandria e Pavia, fino a un larghissimo tratto del Po, attraversato dal bel ponte ad arcate metalliche della strada Sannazzaro dei Burgundi-Casei Gerola.
L’area definita dal corso dello Scrivia, che comprende tre regioni e tre province diverse, non contiene grandi centri metropolitani (a meno che si vogliano considerare tali, che so, Voghera o Alessandria, che tra l’altro sono ai margini del bacino vero e proprio), ma fa storicamente parte sia del “triangolo industriale”, sia di due grandi corridoi di traffico padani: il Voltri-Sempione e la fascia di bassa pianura Torino-Adriatico, che a Piacenza si articola tra i percorsi pedecollinare (Emilia) e padano vero e proprio (Cremona-Mantova-bassa padovana). Ed è, quella del bacino Scrivia, una centralità relativa che si esprime soprattutto per difetto, ovvero nell’essere questa terra luogo di passaggio, scambio, deposito. Anche e soprattutto di schifezze, a quanto pare.
Niente di particolarissimo, visto che ogni territorio ha le sue belle gatte da pelare in termini di grandi progetti e grandi oggetti buttati qui e là senza badare molto a dove cascano, ma qui la varietà, dimensione media e concentrazione sembrano davvero rilevanti. Soprattutto se paragonate al contesto geografico, ambientale, socioeconomico, tutto sommato da territorio di campagna o poco più, con ricchezze paesistiche notevoli e diffuse, e dove la ragnatela di impianti, reti, buchi, tubi, montarozzi, cinture, bretelle eccetera, spicca davvero più del “normale”. E le poche cose della zona di cui ci siamo già occupati sulle pagine di Eddyburg, ovvero le strutture commerciali a Serravalle e Montebello della Battaglia, sono davvero poca cosa rispetto al panorama generale.
Una cosa particolare, è la forma assunta qui dai comitati per il territorio, e dal sito web che ne rappresenta l’espressione: niente di più lontano dall’idea di NIMBY. Il concetto di NIMBY va infatti ben oltre l’acronimo facile da ricordare. Not In My Back-Yard (fatelo altrove, ma non nel mio cortile) rinvia infatti, quasi sempre e a tutto vantaggio dei soliti noti, ad un’idea tutta localistica, passatista, di pura resistenza passiva alla modernizzazione. In questo caso come in altri, a ben vedere basta cercarle nella realtà (o solo nel sito web) quelle parole, per scoprire che proprio non ci sono. Manca il NOT perché i comitati esprimono idee e proposte, non barricate in difesa di un vago passato felice. Manca il MY perché l’identità espressa è articolata, culturalmente, socialmente, e sul piano geografico-amministrativo. Infine quel BACK-YARD, il “cortile”, beh: quello è abbastanza grande da far passare a chiunque la voglia di pensare a prospettive anguste. Basta guardare la cartina, e vedere che il cortile comprende molte realtà amministrative, insediamenti, sistemi infrastrutturali. Insomma un bel modello di complessità.
E se si entra nel sito si scopre la faccia comunicativa di questa complessità, tematica e territoriale. Innanzitutto l’indice è doppio, appunto tematico e territoriale, e così si può scorrere la serie dei guai derivanti, che so, dall’Alta Velocità ferroviaria, oppure la serie completa dei guai che affliggono l’area di Tortona. Ed è solo l’inizio, perché i testi che si aprono dagli indici sono molto più (e molto altro) che segnalazioni, polemiche, appelli. Pur lontano da qualunque velleità o scimmiottatura “professionale”, il sito offre un’ampia tipologia di contributi, che attraversano tutto lo spettro, dalla locandina di convegno, alla nota locale, alla notizia di carattere più generale/disciplinare, all’informazione tecnico-scientifica ecc.
Alla faccia di chi, anche in buona fede, è convinto che dai comitati non si possa cavare altro che una confusa forma di esagitata partecipazione, che poi lo specialista dovrà distillare ... Beh, il resto potete immaginarvelo.
Naturalmente il lettore può non essere d’accordo con la mia opinione. Ma non posso farci niente, salvo invitare chi non lo conosce a farci un salto, al sito dei Comitati Scrivia. Pro o contro, per metodo o merito, ne vale certamente la pena.
Link al sito a cura dei del Comitati Scrivia
(foto f.b.)
Era già emerso, solo per fare un esempio, dalla nostra garbata polemica urbanisti/Micromega che potremmo titolare “Scusi, dove sta il territorio?”: ai partiti la questione dello spazio, urbano, territoriale, del come quando e dove trasformare, non pare importare moltissimo. E questo vale anche per altri aspetti che col territorio sono strettamente legati, come le forme di partecipazione locale e meno locale, o più prosaicamente gli indirizzi di spesa e il loro ovvio rapporto con il sistema della fiscalità. Perché sembra troppo facile, per esempio, enunciare un insieme di valori di riferimento condivisi, e poi escluderne di fatto alcune declinazioni appena esse assumono la forma tangibile di un investimento orientato secondo una direzione piuttosto che l’altra, dalle grandi infrastrutture, alla ricerca, ai servizi.
Succede anche alla sinistra, o meglio centro-sinistra, o ancora meglio declinazioni locali del centro-sinistra: nel territorio, dove i valori condivisi o concordati dovrebbero “avvitarsi” e interagire con la società e l’ambiente, essi sembrano invece spesso volatilizzarsi, sostituiti da quanto viene presentato come “pragmatismo”, o opzione che nulla ha a che spartire con quei valori, e che dunque si evolve in modo ad essi estraneo. È successo, anche nel caso dell’intreccio padano di opere pubbliche, e connesso sistema di partecipazione e consenso, di cui abbiamo riferito nell’articolo sull’autostrada Cremona-Mantova. Un progetto contraddittorio, inserito entro un contesto di strategie e investimenti ancora più contraddittorio, sul quale però non si sono riprodotti (come spessissimo accade) gli schieramenti destra-sinistra, nemmeno con le fisiologiche o patologiche correzioni del caso.
Accade allora che comitati territoriali già impegnati per alcune battaglie sull’ambiente e i trasporti, si trovino (quasi loro malgrado, verrebbe da dire) a doversi far carico direttamente di un impegno politico in senso stretto, presentando una propria lista alle prossime elezioni provinciali cremonesi, alternativa sia al centrodestra che al centrosinistra, soprattutto anche se non solo su temi “territoriali” (come la revisione del PTCP, in testa al programma in questo senso).
Dato che SOS padania è un nodo di flussi, e non una vetrina elettorale, lasciamo naturalmente e completamente ai lettori il giudizio sul programma, la lista, il suo contesto, limitandoci a riportare il link al sito, così come ci è stato segnalato dai responsabili.
Nello stesso modo, “simpatico” ma allo stesso tempo neutro, riferiremo in futuro di altre iniziative simili e dei loro sviluppi (comunque positivi, come tutti i veri sviluppi).
Qui l'articolo sull'autostrada ACME
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