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Un sottile strato di cemento e mattoni, una ringhiera e delle panchine sono stati sufficienti a trasformare il robustissimo Pontile Nord di Bagnoli, da cui sono transitati milioni di tonnellate di materiale destinato all’Italsider, in una spettacolare passeggiata sospesa sul mare: quasi un chilometro di panorama puro, reso per la prima volta accessibile al pubblico a dicembre. Invece di correre parallelo alla costa, come le banchine dei porti, il pontile si proietta perpendicolarmente verso il centro del golfo di Pozzuoli, con una vista a 360° da Capri ai Camaldoli, da Capo Miseno a Nisida, fino agli edifici dell’ex industria siderurgica che si è scelto di conservare: le ciminiere, l’altoforno, la torre di spegnimento e l’acciaieria.


L’intervento di Luigi Lopez, l’architetto del Comune di Napoli incaricato del progetto, è stato realizzato con tempi e fondi talmente esigui che la sproporzione tra la sua sobrietà e la qualità del risultato ha un che d’irreale. Paragonata all’ossessivo ricorso allo star-system dell’architettura da parte delle amministrazioni delle grandi città, questa scelta sembra quasi una provocazione.


Ma l’elemento autenticamente rivoluzionario del pontile è l’assenza di attrezzature: è uno spazio completamente pubblico, senza bar, ristoranti, giochi o servizi, che offre soltanto la possibilità di camminare e guardare, e nonostante questo – o meglio proprio per questo – è pieno di gente. Di rado un luogo, soprattutto se urbano, mostra altrettanto chiaramente il legame di interdipendenza che si può instaurare tra queste due attività: chi va sul molo prova un’irresistibile impulso a passeggiare per godere del continuo cambiamento di quello scenario eccezionale, delle variazioni del punto di vista e della luce; ma è proprio la libertà di muoversi senza prestare attenzione alle vetrine, alla strada, agli ostacoli, a consentirgli di guardare il panorama.


In assoluta controtendenza rispetto all’horror vacui che impone di stipare stazioni, moli, piazze e parchi di chioschi e tendoni, di recintare tutto, di rendere ogni vuoto funzionale al commercio, Napoli ha aperto questo spazio libero e gratuito agli abitanti di una delle città più congestionate d’Europa, e subito questi l’hanno riempito con i loro corpi, così come avevano popolato Piazza Dante. Ma uno spazio vuoto è un territorio di conquista, sempre esposto agli assalti di chi vuole in un modo o nell’altro metterlo a frutto, e il solo entusiasmo popolare non basta a difenderlo: un’idea così radicale di spazio pubblico ha bisogno, per non essere ridotta a un momento di felicità transitoria, di essere compresa nel suo significato culturale e politico.

Certo il Prg non è intangibile, può essere perfezionato e prevede tra l'altro (articolo 11) l'integrazione a scala metropolitana del sistema urbano di Napoli. È assurdo invece che dopo anni di dibattito politico e culturale nelle sedi appropriate e di battaglie per raggiungere l'approvazione da parte del Consiglio comunale, lo si voglia subito revisionare in peggio invece di perseguirne l'attuazione. Peraltro gli attacchi al Prg non vengono dai costruttori, ma da alcune forze politiche, anche del centrosinistra, e soprattutto da alcuni architetti, che pur esprimendo legittime opinioni non si avvedono di incorrere nel conflitto di interesse per la presenza degli interessi professionali nelle proposte di costruzione di nuova edilizia nel centro storico e di conseguenti varianti urbanistiche, che devono invece essere dettate dall'interesse pubblico. L'ultimo attacco frontale al Prg, apparso su "Repubblica" di domenica scorsa, proviene dall'architetto Giulio Pane, dal quale ci si attendeva posizioni rispettose dei valori naturalistici, paesaggistici e ambientali. Invece, mentre critica la realizzazione del porto canale a Bagnoli — avversato anche da Italia Nostra e da altre associazioni ambientaliste — propone alternative all'attuale destinazione penitenziaria di Nisida che finora ha salvaguardato l'isola dalla cementificazione (Alessandra Mussolini, candidata sindaco nel 1993, prometteva la costruzione di un casinò). In altri suoi interventi Pane ha sostenuto che anche il porto turistico va realizzato a Nisida, vanificando così con l'inquinamento marino e atmosferico la riappropriazione del mare da parte dei napoletani. Sempre a proposito del Prg egli esprime poi l'accusa di una "camicia di Nesso"o dell'"ingessamento" più volte ripetuta da certi politici. È bene chiarire per i non addetti ai lavori che tali definizioni si riferiscono ai vincoli del Prg, soprattutto per quanto concerne il centro storico, dove alcuni architetti auspicano, invece del sancito restauro conservativo,la sostituzione del tessuto edilizio storico. Insomma la speculazione edilizia. Non a caso Pane si riferisce spesso al "centro antico" invece che al centro storico: ciò sottende la nota, anacronistica posizione che prevedeva una qualche tutela per il nucleo più antico della città, mentre era consentita la demolizione e sostituzione edilizia nella Napoli costruita dal Cinquecento in poi determinando l'alterazione e il deturpamento irreversibile dell'unità ambientale e architettonica del centro storico.

La novità in assoluto del dibattito in corso è costituita invece dalla consapevolezza degli ambienti imprenditoriali cittadini più seri e moderni (un tempo attestati su posizioni opposte a quelle di Italia Nostra) della validità delle scelte urbanistiche e specificamente della strategia del Prg, di cui la città è riuscita a dotarsi. Tale strategia è basata sul fermo equilibrio tra due esigenze: quella di arricchire la dotazione cittadina di beni pubblici (ad esempio il sistema di aree verdi), di tutelare rigorosamente il centro storico (patrimonio dell'umanità nella mappa dei siti protetti dall'Unesco), e nel contempo l'esigenza di promuovere regole e procedure trasparenti e certe. È significativa al riguardo la dichiarazione, rilasciata su "Repubblica" del 5 marzo, dell'imprenditrice Marilù Faraone Mennella (e sulle stesse posizione sono anche i vertici dell'Acen), che così definisce il Prg: «Lo strumento che gli imprenditori napoletani aspettavano. Non una piattaforma ad personam o per interessi precostituiti, ma che crea davvero pari opportunità e le mette a disposizione di chi ha voglia di rimboccarsi le maniche e investire».

L’approvazione definitiva del piano regolatore è uno dei risultati più importanti conseguiti dall’amministrazione in carica. Dopo l’entrata in vigore della legge sull’elezione diretta dei sindaci, Napoli è a scala nazionale l’unico grande capoluogo che è riuscita a dotarsi di un nuovo piano regolatore generale. Un piano basato su una strategia che è un buon punto di equilibrio tra due esigenze: da un lato quella di arricchire la dotazione cittadina di beni comuni, di spazi e funzioni pubbliche; dall’altro quella di favorire l’iniziativa privata nei processi di rigenerazione urbana, con regole e procedure trasparenti e certe.

Napoli è una città povera di beni comuni, di spazi pubblici qualificati che sono poi quelli che consentono alla gente di vivere insieme, sono quelli che “fanno città”, costituendo anche un fattore di attrazione proprio per le aziende che operano nei settori più avanzati e innovativi

Un grande bene comune è, ad esempio, il sistema di aree verdi miracolosamente scampate alla speculazione, gelosamente tutelato dal piano regolatore, e a partire dal quale è nato il Parco delle colline, un esperimento unico in Europa, un nuovo grande quartiere verde che occupa un quinto della città. E’ uno dei pochi casi in Italia in cui una nuova area protetta non nasce in opposizione alla pianificazione ordinaria ma in attuazione di essa.

Beni pubblici sono la linea di costa nella sua interezza; il centro storico (“patrimonio dell’umanità” secondo l’UNESCO), le piazze e le strade, sempre più liberate dalle auto; i parchi di quartiere e i due nuovi grandi parchi territoriali a oriente e a occidente della città.

Tutto questo, messo in comunicazione e innervato capillarmente dalla grande rete di trasporto su ferro, che rappresenta un’alternativa sempre più competitiva all’auto privata.

Dicevamo che il piano di Napoli si regge su un equilibrio tra produzione di beni pubblici e promozione dell’iniziativa privata. Proprio in questi giorni l’Acen (Associazione costruttori edili napoletani) presenta il documentario dal titolo “Un salto nel futuro”. Il video illustra i 20 grandi progetti di infrastrutturazione e riqualificazione in corso di attuazione nell’area napoletana “resi possibili - cito testualmente - grazie all’attuazione del Piano regolatore”, con investimenti pubblici e privati pari a complessivi 3 miliardi di euro. Insomma, come ha osservato nei giorni scorsi il presidente Squame, contrariamente alle preoccupazioni di quanti affermano che il prg avrebbe “ingessato” la città, sembra invece che l’imprenditoria e gli investitori gradiscano di operare in un ambiente regolato, nel quale sia possibile contare su scenari di azione certi, su norme e procedure trasparenti.

Una strada differente da quella scelta per esempio a Salerno, dove si è scelto di procedere caso per caso con varianti ad hoc, con risultati e problemi che sono sotto gli occhi di tutti.

Tutto bene dunque? No, perché nonostante la rilevanza dei progetti in fase di realizzazione, ci sono ancora troppe resistenze, difficoltà e lentezze che devono essere superate.

C’è innanzitutto un problema politico: anche in questi giorni, leggendo alcune dichiarazioni dissonanti di esponenti della maggioranza, si avverte l’esigenza che l’amministrazione dia all’esterno segnali più chiari ed univoci. E’ assolutamente necessario che nelle parole e negli atti di tutti gli esponenti dell’amministrazione, seguendo l’esempio del sindaco, i cittadini e gli operatori possano cogliere un atteggiamento di fiducia e di sincera condivisione nei confronti delle strategie e delle regole che la città si è data, che non sono un’inutile zavorra ma un patrimonio di tutti. Senza riserve mentali, e restituendo all’istituto dell’accordo di programma la sua vera funzione: che è quella di strumento utile per accelerare l’attuazione della strategia, piuttosto che di grimaldello derogatorio per disfare nottetempo la tela faticosamente tessuta alla luce del giorno.

Un segnale forte e univoco è necessario anche per migliorare il gioco di squadra tra l’amministrazione da un lato e gli enti, le agenzie e le società strumentali dall’altro – mi riferisco alle società di trasformazione urbana, all’autorità portuale, le grandi concessionarie ecc. Un gioco di squadra nel quale i ruoli sono chiari: dove sono il sindaco con i suoi assessori e il consiglio a definire con chiarezza le strategie, fornendo l’indispensabile impulso politico per la loro attuazione: e dove sono gli enti di settore ad attuarle, con lealtà, prontezza, efficacia, evitando sia incertezze che protagonismi difficilmente comprensibili.

Signor Sindaco, la richiesta di porre saldamente al centro del suo programma per la prossima consiliatura l’attuazione spedita e convinta della strategia che la città si è data, non si basa sulla difesa di questa o quella tendenza o impostazione urbanistica (tutte cose che al cittadino giustamente non interessano affatto), ma su una certa idea di cittadinanza, di rappresentanza politica, in definitiva di democrazia.

Le recenti esternazioni che propongono la realizzazione di un campo da golf nel parco di Bagnoli sono soltanto l’ultima di una serie di preoccupanti esternazioni che denotano - a dir poco - un misto di improvvisazione, leggerezza e autolesionismo di una parte della classe dirigente di questa città. Provo a spiegare perché. Il progetto di riconversione dell’area ex siderurgica di Bagnoli è stata l’iniziativa di punta della manovra urbanistica delle amministrazioni di centro sinistra dell’ultimo decennio. Bagnoli è stata presentata come il simbolo del riscatto, del rinascimento della città.

Qual è il succo della proposta urbanistica? Un grande parco pubblico nell’area una volta occupata da acciaieria e altiforni; un parco che insieme alla spiaggia ricostituita deve rappresentare il riscatto del quartiere di Bagnoli, che ha patito cento anni di inquinamento e costituisce, al tempo stesso, una grande attrezzatura ambientale per l’intera area metropolitana. Un parco intorno al quale realizzare un nuovo insediamento, a bassa intensità edilizia, fatto di alberghi, case e moderne attività produttive. Parco e spiaggia miglioreranno la qualità della vita degli abitanti e faranno crescere il valore immobiliare delle nuove costruzioni. I guadagni procurati dalla vendita a prezzi di mercato di case, alberghi e volumi per la produzione - così valorizzati - possono compensare - ci ha detto il Comune fin dall’inizio - i costi per la realizzazione di parco, spiaggia e altre attrezzature pubbliche. Ricordo che Bassolino sindaco definì a suo tempo - con una felice espressione - questo equilibrio economico virtuoso come economia della bellezza. La gestione di questo complesso e ambizioso processo è stato affidato a una società appositamente costituita, la Bagnolifutura spa. Un prestigioso istituito come il Cresme e una rinomata società come Rothschild hanno successivamente confermato questa ipotesi, senza che nessuno li abbia fino a ora smentiti, per quanto mi risulta: il bilancio economico-finanziario del piano urbanistico attuativo di Bagnoli, come approvato dal consiglio comunale, può essere vantaggioso per i potenziali investitori e quindi pienamente realizzabile, anche in questo periodo di crisi della finanza pubblica.

Chi ha vissuto quel periodo, anche dall’esterno, ma con passione civile e politica, con le lunghe discussioni in consiglio comunale e nei quartieri, non può non ricordare con quanta attenzione e serietà sono state ponderate innumerevoli soluzioni alternative, compresa quella del campo da golf, prima di assumere la decisione finale, ritenuta meglio corrispondente all’interesse generale. Chi oggi vuole mettere in discussione quella decisione è forse in possesso di valutazioni economico-finanziarie che contraddicono gli autorevoli studi che ho ricordato, tanto da privare il quartiere di Bagnoli e l’intera città di quel risarcimento ambientale che il parco pubblico rappresenta? Oppure, come a me pare, si esprime con preoccupante improvvisazione? In questi anni abbiamo imparato che la realizzazione di Bagnoli avviene sotto i riflettori di tutta Italia e forse del mondo intero. Questo è un bene, non fosse altro perché attira molti investitori che sono indispensabili. Ma essere al centro di questa attenzione ci carica anche di responsabilità, perché chi valuta l’opportunità di investire nella nostra città teme soprattutto l’instabilità, la volatilità direi, delle decisioni politico - amministrative. Ecco perché questo continuo mettere in discussione, senza validi motivi, le decisioni appena assunte è un atteggiamento irresponsabile che sfiora l’autolesionismo. Crea sfiducia negli investitori, indebolisce l’azione di Bagnolifutura spa, già messa a dura prova dall’atteggiamento di strisciante e spesso palese ostilità del governo. In democrazia c’è un tempo della discussione - a cui tutti devono partecipare con serietà e possibilmente con passione - e c’è un tempo per realizzare le decisioni democraticamente assunte. Una società che non è capace di rispettare questa regola elementare è una società litigiosa e senza prospettive di progresso. Napoli sta correndo il rischio di cadere in questo terribile errore.

Alcuni documenti sul PRG di Napoli e sui rischi che già si paventavano all'approvazione

Sulla vicenda del piano di Bagnoli anche l'appello del marzo 2004

Ancora una volta si propone di utilizzare l’emergenza per favorire operazioni immobiliari, contro gli interessi collettivi. A Napoli, con il pretesto della candidatura a ospitare la Coppa America, c’è chi propone di modificare il piano urbanistico di Bagnoli, da tempo approvato dal consiglio comunale, grazie al quale è possibile restituire ai napoletani - in sostituzione dello stabilimento Italsider in abbandono da oltre dieci anni - una magnifica spiaggia e un grande parco pubblico. Questa soluzione fu assunta dopo un appassionato dibattito, che coinvolse l’intera città, e dopo aver respinto uno scellerato disegno di speculazione fondiaria, ispirato al modello di Montecarlo.

I sottoscritti, allarmati dalle notizie che circolano in proposito, chiedono al Sindaco di Napoli al Presidente della Regione Campania di impegnarsi a non avallare interventi che mettano in discussione le scelte già democraticamente assunte. In particolare, i sottoscritti chiedono:

- di non consentire il ricorso a strumenti impropri (accordi di programma e simili), funzionali allo stravolgimento delle regole e delle responsabilità istituzionali;

- di non ammettere alcuna ipotesi di conservazione della piattaforma industriale di 20 ettari e dei molti fabbricati che intasano la fascia costiera - di cui va invece confermata la demolizione - per riconfigurare la linea di costa e restituire una spiaggia di un chilometro e mezzo ai cittadini;

- di evitare che, per sistemare alberghi e case di lusso in riva al mare, si possa rinunciare al grande e compatto parco costiero che – insieme alla spiaggia - è la vera grande risorsa per lo sviluppo della nuova Bagnoli;

- di respingere, insomma, il miraggio della “grande occasione” che potrebbe causare a Napoli incalcolabili danni ambientali e un arretramento della coscienza civile e morale.

Napoli, 19 giugno 2003

Edo Ronchi; Salvatore Settis; Alda Croce; Desideria Pasolini dall'Onda, presidente Italia Nostra; Gaia Pallottino, segretario Italia Nostra; Vittorio Emiliani, presidente comitato per la bellezza; Bernardo Rossi Doria, urbanista; Pier Luigi Cervellati urbanista; Vezio De Lucia, urbanista; Edoardo Salzano, urbanista; Aldo Masullo, professore emerito di filosofia morale “Federico II”; Piero Craveri, preside della Facoltà di L ettere del Suor Orsola Benincasa; Guido Donatone, presidente Italia Nostra Napoli; Aldo De Chiara, magistrato; Luigi Scano, segretario Associazione POLIS; Marco Parini, consigliere nazionale Italia Nostra; Francesco Canestrini, consigliere nazionale Italia Nostra; Paolo Ferloni, consigliere nazionale Italia Nostra; Menuccia Fontana, consigliere nazionale Italia Nostra; Mirella Belvisi consigliere nazionale Italia Nostra; Maurizio Sebastiani; Gaetano Palumbo; Sandra Pinto; Maria Antonietta Di Bene; Antonio Verlato,; Elvira D'Amicone (direttore egittologo Museo Egizio Torino); Maria Rosaria Iacono, Italia Nostra; Graziella Beni, urbanista; Mauro Baioni, urbanista; Claudio Bertolini, urbanista,; Pier Giorgio Lucco Borlera, architetto; Teresa Cannarozzo, urbanista; Giovanni Caudo, urbanista; Antonio di Gennaro, agronomo; Carlo Iannello, fondazione per la tutela del paesaggio; Dario Franchini, urbanista; Tommaso Giura Longo, architetto; Marco Guerzoni, urbanista; Massimo Ferrini, ingegnere; Raffaele Radicioni, urbanista; Rodolfo Sabelli, architetto; Dusana Valecich, urbanista; Maria Rosa Vittadini, architetto; Maurizio Sebastiani; Gaetano Palumbo; Sandra Pinto; Maria Antonietta Di Bene; Antonio Verlato



Il fatto nell’articolo di Craveri

Il piano nel sito del Comune di Napoli (Casa della città):

http://www.comune.napoli.it/urbanistica/Notiziario/html/pue_bagnoli/doc_puebagn/relazione_puebagnoli/immagini_rel_puebagn/album_pue.htm

Napoli è un grande cantiere. Si scava in piazza Municipio, in piazza della Borsa, in piazza Nicola Amore, si scaverà in piazza Garibaldi e altrove. Vede la luce una rete di metropolitana che dovrebbe condurre la città simbolo di un traffico paralizzante verso un futuro diverso, fatto di meno macchine e di più spazi pedonali. Una metropolitana vuol dire anche stazioni: perché limitarsi a soluzioni puramente ingegneristiche e non trasformare questi luoghi in oggetti architettonici di pregio, con sistemazioni urbane di qualità e che invoglino a usare sempre di più il mezzo pubblico su ferro eliminando il profilo dimesso, punitivo che spesso comunicano tunnel, scale mobili e piattaforme? Perché non arricchire di valori estetici un grande servizio pubblico, coniugando funzionalità e cordialità? Sono state queste le domande che, più si andava avanti con la pianificazione della rete di trasporti, ci si è posti negli uffici dell’amministrazione comunale. Ed è così che sono nate le stazioni dell’arte che sono il perno di un’esposizione allestita in un padiglione della Mostra d’Oltremare. La rassegna si intitola Al futuro. Architetture e infrastrutture per lo sviluppo a Napoli e in Campania, è promossa da Regione e Comune ed è curata dalla Fondazione Annali dell’Architettura, da Benedetto Gravagnuolo, Alberto Ferlenga e Fiammetta Adriani (il catalogo è un allegato del numero di ottobre di Casabella).

La buona architettura non può prescindere mai da una buona urbanistica, si è spesso detto, e si è talvolta praticato (a Bilbao, per esempio). E in effetti immaginare la trama profonda di una pianificazione avviata nel 1994 con la prima giunta di Antonio Bassolino, assessore Vezio De Lucia, è indispensabile per capire il senso di questi progetti, commissionati dal Comune (responsabile del piano dei trasporti è Elena Camerlingo) e affidati ad architetti italiani e stranieri (da Gae Aulenti a Michele Capobianco, da Alessandro Mendini a Domenico Orlacchio, fino ad Alvaro Siza e Dominique Perrault). Occorre innanzitutto guardare cosa corre sotto terra (un reticolo che, a progetto ultimato, prevede quasi 90 chilometri di binari, 98 stazioni, 18 nodi di interscambio) per afferrare il valore di architetture che lasciano un segno in contesti difficili (Materdei o Salvator Rosa) oppure si innestano su scenari già spettacolari, come piazza Dante o il Museo Nazionale. Ovunque sbuchino, le stazioni hanno anche il compito di offrire spazi pubblici, luoghi di incontro e di socialità in quartieri che ne soffrono l’assenza. A Monte Sant’Angelo, ai bordi del Rione Traiano, storica periferia disagiata, sorgerà non una stazione dell’arte, ma una vera stazione d’arte: una grande struttura d’acciaio a forma di bocca, realizzata dallo scultore Anish Kapoor. La rete metropolitana si incarica dunque anche di ricucire il tessuto della città, dal centro alle periferie, quelle dell’abusivismo di Pianura e quelle degli insediamenti pubblici di Scampìa, allargandosi poi a tutto il territorio provinciale e quindi dilatandosi verso quello regionale. Sono tutti elementi di una "cura del ferro" senza la quale le stazioni non avrebbero avuto il significato che hanno.

La mostra si concentra però esclusivamente sulle architetture, affiancando a quelle della metropolitana, altre stazioni, a cominciare da quella della Tav, firmata da Zaha Hadid, la cui ultimazione è prevista per il 2008. L’architetta anglo-irachena sigla anche la nuova stazione marittima di Salerno, mentre a David Chipperfield è affidato il palazzo di Giustizia della stessa città: entrambi questi progetti sono esposti, mentre tuttora prosegue il dibattito sul piano regolatore della città, opera di Oriol Bohigas, un piano ispirato a principi di spinta deregulation, eppure accettato con tante riserve dalla stessa amministrazione comunale, che avrebbe voluto consentire molte operazioni giudicate di pura valorizzazione immobiliare.

Fra gli altri progetti esposti anche alcuni non legati a infrastrutture, come quello di Renzo Piano per il Cis di Nola (in corso di realizzazione) e quello di Vittorio Gregotti per il Centro Nazionale di Protezione Civile che dovrebbe sorgere a Scampìa (ma per questo insediamento non ci sono previsioni). Figurano poi il restauro del Tempio Duomo al Rione Terra di Pozzuoli (opera di Marco Dezzi Bardeschi), o gli allestimenti del Madre, il Museo d’arte a Donnaregina (Alvaro Siza) e del Pan, il Palazzo delle Arti in via dei Mille (Di Stefano, Defez, Guida). Un singolare effetto, poi verificabile dal vivo, producono i plastici di strutture presenti nella Mostra d’Oltremare - la Piscina olimpionica, l’Arena Flegrea e l’immensa Fontana dell’Esedra - che furono opera della migliore architettura napoletana dei primi anni Quaranta (Carlo Cocchia, Giulio De Luca e Luigi Piccinato) e che sono stati sottoposti a un prezioso restauro, coordinato da Marisa Zuccaro (De Luca ha progettato il recupero della "sua" Arena).

Le cinque stazioni dell’arte sono state realizzate fra il 2001 e il 2003 e sono state esposte alla Biennale di Venezia. Alcune di esse, a via Salvator Rosa, a Materdei e in via Cilea, si sono trasformate in contenitori d’arte contemporanea, sotto la regia di Achille Bonito Oliva, e ora ospitano opere, fra gli altri, di Renato Barisani, Enzo Cucchi, Sergio Fermariello, Nino Longobardi, Mimmo Paladino, Gianni Pisani, Mimmo Rotella ed Ernesto Tatafiore.

Al Museo Nazionale ha lavorato Gae Aulenti, riempiendo gli spazi con sculture e calchi provenienti dalla collezione archeologica. Assolutamente innovativa è in genere la collaborazione con la Soprintendenza archeologica. Le opere pubbliche, e in particolare gli scavi per le metropolitane, hanno sempre vissuto l’indagine sui reperti antichi come un fastidioso ostacolo. Nel caso napoletano le due competenze si sono intrecciate ed hanno prodotto fondamentali conoscenze storiche sulle dimensioni della città greco-romana, per esempio in piazza Municipio, dove il progetto di Alvaro Siza produrrà, scrive Benedetto Gravagnuolo, un «irripetibile connubio tra antichità e contemporaneità».

Chiude il catalogo l’assai discusso progetto di Auditorium a Ravello, firmato da Oscar Niemeyer, ma poi portato a termine dagli uffici del Comune amalfitano. L’intervento ha diviso architetti e urbanisti ed è stato duramente contestato da alcune associazioni ambientaliste (altre lo hanno difeso), che hanno ottenuto dal Tar il suo annullamento, perché in contrasto con il piano paesistico della Costiera. Poi il Consiglio di Stato, per un vizio di procedura, ha dato il via libera al progetto. L’Auditorium figura nel catalogo, ma non nella mostra. «Non ci sono arrivati i disegni», è la spiegazione ufficiale.

Che cos'è il piano dei trasporti di Napoli

Un articolato dibattito internazionale e nazionale sui meccanismi che presiedono l’adozione delle politiche pubbliche per il territorio reclama una partecipazione della società civile nell’elaborazione dei processi decisionali maggiore rispetto a quella prevista e consentita dalle politiche urbanistiche di tipo tradizionale. Si auspica in altre parole la ricerca di forme di elaborazione politica bottom up attraverso pratiche negoziali e di contrattazione, da integrare con quelle top down criticate come scarsamente partecipative e fortemente centraliste e dirigiste.

Ma se questa letteratura si fa portatrice di istanze volte a legittimare nella configurazione e nel governo degli spazi e dei luoghi gli interessi di coloro che vi risiedono (la comunità, lo sviluppo locale etc.), sembra tuttavia sottovalutare la funzione sociale e collettiva del territorio urbano nella sua componente eminentemente naturale. Una funzione che non può essere soddisfatta attraverso la sommatoria di interessi compositi anche se legittimi e rilevanti. Le esigenze che tale carattere implica – per esempio non si può negoziare su alcuni interventi di tipo ambientale - ha in qualche modo sotteso ed ispirato l’intera tradizione urbanistica europea fin dalle sue origini. E, d’altra parte, l’esigenza di un funzionamento corretto e non distruttivo dei meccanismi che regolano la città come realtà ecosistemica complessa è implicita nella materia urbanistica, e ciò è vero anche prima dell’affermazione dei movimenti e delle associazioni ambientaliste così come le conosciamo oggi.

Il sorgere di una serie di atteggiamenti critici nei confronti delle politiche urbanistiche di tipo tradizionale, d’altra parte, nasce in gran parte dalle forme che esse hanno assunto nelle principali città italiane nel corso degli ultimi decenni. Vezio De Lucia ha a questo proposito introdotto la definizione di urbanistica sostenibile ed urbanistica non sostenibile, intendendo con la prima espressione il controllo pubblico delle trasformazioni territoriali attraverso la pianificazione ordinaria, e con la seconda, invece, la pratica diffusamente accettata in alcune amministrazione comunali – Milano e Roma ad esempio - di adattare o modificare il piano a seconda delle istanze e dei progetti privati attraverso norme in deroga. Il contributo che l’analisi storica può fornire a questo dibattito è quello di inidividuare quando e come le politiche urbanistiche hanno garantito i meccanismi di riproducibilità delle risorse naturali producendo ricadute positive su un’intera realtà urbana.

Nonostante il ruolo marginale che le tematiche ambientali hanno svolto in Italia all’interno della pratica urbanistica almeno fino ai primi anni ottanta - anche quando gli urbanisti italiani hanno frequentato scuole ed autori stranieri maggiormente sensibili ad esse, hanno assunto prevalentemente aspetti diversi da quelli ecologici - non sono mancati esempi che risalgono agli anni sessanta e settanta che mostrano una attenzione da parte della cultura urbanistica alla qualità del territorio, sebbene limitata ad alcuni elementi: i centri storici, le adiacenze dei centri storici, le colline e il paesaggio agrario. A tale proposito basti qui ricordare: le battaglie culturali e politiche in difesa per impedire gli sventramenti dei centri storici, la pianificazione del centro storico di Siena e delle sue pendici naturali ad opera di Ranuccio Bandinelli e Luigi Piccinato; la difesa delle colline di Firenze e Bologna con i piani, rispettivamente, di Edoardo Detti, urbanista e assessore, e di Giuseppe Campos Venuti; il piano regolatore di Assisi di Giovanni Astengo; il piano per il centro storico di Bologna di Pier Luigi Cervellati. A ciò si aggiungano il piano di recupero del centro storico di Matera, il piano comprensoriale di Venezia, il progetto Fori a Roma.

Ma la di là del ruolo e dell’importanza che la tutela ambientale ha assunto nell’ambito di piani e di progetti, occorre capire in che misura le politiche urbanistiche hanno prodotto effetti concreti positivi sul piano ambientale e cioè in termini di riduzione del consumo del suolo, di miglioramento della qualità dell’aria e dell’acqua, di interruzione di processi abusivi di uso delle risorse e di salvaguardia del verde. Certo nessuno è in grado oggi di mostrare che cosa sarebbe accaduto al nostro territorio se anche i vincoli e le norme definiti dalle politiche pubbliche fossero stati rimossi. Non esistono dati calcolati sulla base di indicatori precisi per valutare la loro ricaduta reale. E’ possibile, tuttavia, individuare attraverso una disamina più approssimativa alcuni effetti concreti di tutela ambientale di lungo periodo che tuttora sopravvivono. A tale proposito il caso di Napoli si è venuto configurando come caso di successo e come tale è ritenuto da una parte autorevole della letteratura territorialista italiana.

In controtendenza con i casi di altre grandi città italiane, Napoli vede l’approvazione nel luglio del 2004 di un piano regolatore che lungi dall’ispirarsi ad un principio di espansione regolata della città, si fonda invece sulla tutela dell’integrità fisica del territorio. Il piano rappresenta l’esito finale di un processo più lungo e complesso che prende avvio nei decenni precedenti dall’adozione di un modello di pianificazione fondato su una concezione della città che attribuiva una grande importanza al carattere produttivo della natura ed alla sua intima e profonda attività sinergica con la società. E, d’altra parte, a Napoli la questione ambientale si era venuta configurando fin dagli anni settanta in una maniera più drammatica rispetto ad altre città italiane per l’alto livello di inquinamento atmosferico e marino, per la scarsa quantità di aree verdi, per la quasi totale copertura e cementificazione del territorio comunale, per i frequenti fenomeni di dissesto idrogeologico etc. In quest’area la questione ambientale si era venuta ponendo come una questione di sviluppo equilibrato tra attività umane e risorse naturali.

Articolata in momenti diversi la fase storica che ha condotto all’adozione del piano regolatore si riconnette all’elaborazione del “piano delle periferie” (1978-1980) che trovava attuazione durante i primi anni della ricostruzione seguita al terremoto del novembre del 1980. La continuità che caratterizza il percorso che dalla fine degli anni settanta giunge fino ad oggi è essenzialmente una continuità di gruppo: molti sono i protagonisti dei precedenti interventi ancora presenti nel pool degli urbanisti che prestano la loro opera per il Comune. Nel corso degli anni ottanta furono dunque ricostruiti e riqualificati più di 13.000 alloggi situati in dieci comuni dell’hinterland napoletano secondo una serie di intervento volti a fornire una soluzione non solo al problema della casa in senso stretto, ma ad una più generale esigenza di miglioramento delle condizioni abitative e della qualità della vita. L’operazione urbanistica consisteva sia nella ristrutturazione dei centri storici e nel mantenimento delle comunità preesistenti nei luoghi di nascita, che nell’istituzione di parchi, asili e scuole.

Ma se durante la seconda metà degli anni ottanta si assisteva ad un restringimento degli spazi politici che avevano consentito la realizzazione del piano delle periferie, essi si riaprivano durante i primi anni del decennio successivo. I valori ed i principi che avevao ispirato il piano delle periferie e la sua attuazione vengono ripresi e rafforzati in una modello di intervento urbanistico che trovava la sua compiuta espressione negli Indirizzi di pianificazione redatti nel 1993 dall’allora assessore all’Urbanistica Vezio De Lucia nella fase iniziale della prima giunta diretta dal sindaco Antonio Bassolino. Nel loro complesso gli Indirizzi predisponevano una riorganizzazione ecologica della città che si proponeva di affrontare non solamente il problema della riabilitazione e della riqualificazione urbana, ma anche più in generale, quello della qualità dell’ambiente e dell’integrità fisica del territorio: l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei suoli, la gestione delle risorse, il trattamento dei rifiuti, il controllo del dissesto idrogeologico.

Gli Indirizzi trovavano nel corso degli anni successivi due concrete realizzazioni con l’adozione della Variante di Salvaguardia e della Variante alla zona nord-occidentale (o variante per Bagnoli) al piano regolatore del 1972. Per ciò che riguarda gli aspetti più propriamente ambientali ambedue le politiche predisponevano l’adozione di provvedimenti volti da una parte a ridurre il consumo del suolo e la cementificazione del territorio comunale, e dall’altra a favorire la mobilità interna per abbassare il tasso di motorizzazione e l’uso del trasporto urbano.

La vera innovazione consisteva nel vincolare sine die i residui del territorio rimasti inedificati: 4000 ettari di aree agricole, incolte a naturali. Per la prima volta nella storia dell’urbanistica italiana si progettava di migliorare le qualità abitative senza ricorrere a progetti di accrescimento e di espansione della parte edificata della città. Nel vincolare queste aree si prevedeva la costituzione di una serie di parchi. Tra i principali si ricordi qui l’istituzione del parco metropolitano delle colline di Napoli che copre un’area di 2.215 ettari e costituisce il 20% del territorio cittadino. Le finalità dell’istituzione del parco non sono solo volte a preservare i valori ambientali, naturalistici e paesaggistici di queste zone, ma anche a garantire un regolare funzionamento dei meccanismi ecologici per l’intera area metropolitana. Nell’ambito di una concezione di riabilitazione della città diretta a garantire le condizioni di sostenibilità urbana senza accrescere le parti costruite rientra anche quanto predisposto per le sue zone più antiche.

Per il centro storico infatti non si sono previsti sventramenti e spostamenti della popolazione, bensì una serie di interventi (anche immediati qualora i privati lo avessero voluto) di restauro volti a recuperare e conservare le sue parti sia materiali che sociali, e cioè abitazioni, monumenti, spazi pubblici, tradizioni commerciali ed artigianali. Nell’area deindustrializzata di Bagnoli nella zona nord-occidentale, inoltre, ex sede di uno dei principali complessi siderurgici italiani, il territorio viene vincolato alla istituzione di due parchi che corrispondono a circa i due terzi del territorio interessato dalla variante ed alla restituzione alla fascia di territorio bagnata dal mare delle sue condizioni normali di balneabilità.

Per ciò che riguarda, invece, gli interventi sulla mobilità nel 1997 fu adottato il Piano comunale dei trasporti come era previsto e predisposto dalla Variante di Salvaguardia volto a incrementare un sistema di trasporti su ferro basato su 5 interscanbi ad uno formato da 18 luoghi di interscambio e 16 nodi intermodali tra strade e ferro. Già negli Indirizzi di pianificazione i problemi della mobilità a Napoli sono concepiti come un problema fondamentalmente urbanistico. Lo sono nella misura in cui riguardano le insufficienze strutturali relative alla dotazione delle reti di trasporto pubblico con particolare riguardo a quelle su ferro. E’ stato infatti calcolato che nel corso degli anni novanta il 70% dell’inquinamento atmosferico in ambito urbano era provocato dal traffico veicolare.

I caratteri specifici delle politiche pubbliche per la città adottate a Napoli dalla fine degli anni settanta ad oggi derivano dalla presenza di una combinazione di fattori che ha consentito il configurarsi di un contesto favorevole all’adozione di interventi per il territorio che si possono definire sostenibili: l’esistenza di un gruppo di professionisti legati a quel pezzo della cultura nazionale che fin dagli anni sessanta si era andata opponendo ad una concezione della crescita urbana ad oltranza, un movimento di lotta per la casa che fondava le proprie istanze sulla qualità della vità e del territorio, la nascita nell’ambito del dibattito culturale e politico nazionale di una “questione ambientale” a Napoli, l’apertura di spazi politici all’interno dei quali trovare sostegno nella realizzazione di un controllo pubblico delle trasformazioni territoriali.

Barbanente Angela, Sviluppo locale, nuova programmazione e pianificazione territoriale, in corso di stampa per “Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali”, n.50, 2004;

De Lucia Vezio, Urbanistica e ambientalism, in “I frutti di demetra. Bollettino di storia e ambiente, n.1, 2004;

De Lucia Vezio, Urbanistica sostenibile e non sostenibile. Un confronto tra città, in “Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali”, n.42, 2001, pp.45-52;

Corona Gabriella, La sostenibilità urbana a Napoli. Caratteri strutturali e dinamiche storiche, in “Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali”, n.42, 2001, pp.45-52;

Dispoto Giovanni, Il parco metropolitano delle colline di Napoli, in “I frutti di demetra. Bollettino di storia e ambiente”, n.3, 2004, pp.59-62;

Sullo P.(a cura di), La democrazia possibile. Il Cantiere del Nuovo Municipio e le nuove forme di partecipazione da Porto Alegre al Vecchio Continente, Intra Moenia, Napoli 2002;

Salzano Edoardo, Fondamenti di Urbanistica, Editori Laterza, Roma-Bari, 1998.

La disciplina per il centro storico nell’ambito del nuovo PRG di Napoli

Convegno fondazione Michelucci, Fiesole, 18 febbraio 1999

Intervento di Roberto Giannì,

Il nuovo PRG di Napoli, recentemente adottato dalla giunta comunale, è il frutto di un intenso lavoro iniziato con la prima amministrazione Bassolino, quando assessore all’urbanistica era Vezio De Lucia e portato a termine, nei giorni scorsi, con la delibera di giunta su proposta dell’attuale assessore Rocco Papa. Ora la parola passa al consiglio comunale. Elaborato interamente dagli uffici comunali, il piano è stato inizialmente concepito come somma di cinque varianti parziali che avrebbero dovuto coprire l’intero territorio comunale. Questa procedura è stata rivista parzialmente nel corso dei lavori. In definitiva la procedura adottata è stata la seguente.

Due di queste varianti sono state approvate. Si tratta della variante per la zona occidentale, avente per oggetto la riconversione industriale dell'area di Bagnoli, e della variante di salvaguardia, che si occupa principalmente della tutela delle aree verdi sopravvissute all'ondata di speculazione edilizia che nel dopoguerra ha funestato la città, cambiando i connotati alle bellissime colline napoletane.

Le altre tre varianti, quella per il centro storico, quella per la zona orientale, la più grande zona industriale della città, e quella per le zone nord-occidentale (la grande periferia della città) sono state invece unificate e, insieme con i territori originariamente compresi nella variante di salvaguardia, costituiscono un’unica grande variante. Tale variante, sommata all’altra variante per Bagnoli, concepite secondo una metodologia e uno schema di classificazione unitario, formano, di fatto, il nuovo PRG della città. Nella nuova disciplina urbanistica per Napoli il piano per il centro storico, come vedremo si tratta per la gran parte di regole direttamente operative, fa parte del piano regolatore generale della città, non costituisce un documento a parte, come in molte altre esperienze di pianificazione, soprattutto di grandi città.

Prima di soffermarci sul tema specifico di quest’incontro, le scelte di pianificazione per il centro storico, è indispensabile pertanto riassumere gli elementi salienti del nuovo Prg, che si propone l’obiettivo prioritario di migliorare la qualità urbana, ritenuta una pre-condizione allo stesso sviluppo economico. Il nostro piano, che esclude tassativamente ulteriori espansioni edilizie, è basato sulla combinazione di interventi di conservazione e interventi di trasformazione. I primi riguardano l’ancora consistente patrimonio di aree verdi e il centro storico. I secondi concernono l’espansione del secondo dopoguerra e, in particolare, le aree industriali dismesse: il legame verso il passato, da un lato e la proiezione verso il futuro, dall’altro, nella consapevolezza che un forte radicamento nella storia è una condizione imprescindibile per tutelare l’integrità fisica del territorio, e la stessa identità culturale della città e per determinare vantaggiose condizioni di sviluppo. La combinazione tra rispetto e restauro delle parti più pregiate e definizione di grandi progetti di sviluppo è possibile ed è necessaria perché è possibile trovare gli spazi di trasformazione e di modernizzazione occorrenti per portare la città a competere con le grandi metropoli del mondo.

Mobilità

L'elemento di coesione, quello che deve tenere insieme queste differenti iniziative e che rende plausibile l’obiettivo della riqualificazione è la riforma della mobilità cittadina, consistente in primo luogo in un fortissimo potenziamento della rete su ferro e nel contemporaneo alleggerimento del grovigli sovrabbondanti di superstrade che soffoca la città senza servirla. Questo è uno dei lavori più impegnativi ai quali il comune di Napoli si è dedicato negli ultimi cinque anni, al fine di migliorare l’accessibilità nel centro storico, impedirne l'invasione da parte delle auto, consentire collegamenti tra centro storico e grandi aree verdi della periferia, eccetera. Alla riforma della mobilità è affidato inoltre il compito di rompere la marginalità delle aree periferiche e metterle in condizione di recepire le manovre di riqualificazione che il piano propone per essa.

Un problema comune a molte altre città italiane, e che anche Napoli vive in termini che ritengo particolarmente gravi, è lo squilibrio tra la scala dello strumento di pianificazione amministrativamente praticabile e l'estensione concreta dei problemi. Mentre le trasformazioni urbanistiche avvengono cioè alla scala metropolitana, lo strumento di pianificazione utile per governarle, è costretto a operare nell’ambito del confine comunale, con evidentissimi limiti (ricordo a questo proposito che la provincia di Napoli è più piccola del comune di Roma e l'area comunale occupa un decimo di questo territorio). Nel corso della preparazione di questo piano abbiamo fatto il possibile per adottare soluzioni ispirate a una potenziale e possibile proiezione alla scala metropolitana, almeno su alcuni problemi importanti, come quello della mobilità e delle politiche ambientali.

Verde

L’altro tema è quello del verde. A Napoli esistono 3.500 ettari, sugli 11.000 dell’intero territorio cittadino, che si sono salvati miracolosamente dalla speculazione edilizia del dopoguerra. Sono ambienti di straordinaria bellezza, comprendenti i parchi storici tradizionali della città, come il parco di Capodimonte, quelli di nuova formazione, come il parco dei Camaldoli, nonché le aree agricole, e che sono stati oggetto della tutela prevista dalla variante di salvaguardia. Dei 3.500 ettari, ben 2.000 sono ancora coltivati (pensate: 2.000 ettari di agricoltura che penetrano fin dentro il centro storico). La manovra sull’agricoltura costituisce uno dei più ambiziosi e significativi contenuti del piano. È anche attraverso il sostegno e il rilancio dell’agricoltura, infatti, che il comune si propone di tutelare il territorio e di ricostruire l’immagine del paesaggio napoletano, un paesaggio rappresentato, a volte anche idealizzato, in molte pitture, soprattutto dell’'800, che noi consideriamo un patrimonio da restaurare e da conservare. Ne è un esempio la collina di S.Martino, in pieno centro storico, sulla quale è ritornata l’agricoltura, sono stati reimpiantati i vigneti: la fermezza con cui l’amministrazione napoletana, dalla variante di salvaguardia in poi, ha posto questo problema, sta portando a primi risultati concreti.

Rimane l'interrogativo di cosa fare dei 3.500 ettari di verde superstite. La proposta avanzata dal piano è di farne un grande parco regionale, anzi due grandi parchi regionali, che dovranno costituire il cuore verde dell’area napoletana: un elemento intorno al quale ricostruire la pianificazione dell’intera area metropolitana, costituita da oggetti molto diversi tra loro, nei quali occorre inserire un luogo per il godimento della natura, per lo spazio e il tempo libero e anche per l’accoglienza dei turisti. Sostanzialmente, si intende costituire un’attrezzatura metropolitana per lo sport e il tempo libero; un’alternativa al lungomare di Napoli e alle attrezzature che si dovranno formare nell’area dismessa di Bagnoli.

Aree dismesse

E veniamo così all’altro tema portante del piano, quello delle. A Bagnoli sono iniziati i lavori di bonifica e sta procedendo di pari passo – dopo l’approvazione della variante urbanistica - il piano urbanistico esecutivo. Qui si prevede di ricostituire la spiaggia, formare un grande parco attrezzato di circa 190 ettari, arricchito dalle più significative architetture industriali, restaurate per ospitare nuove funzioni e, infine un nuovo insediamento edilizio a bassa densità con residenze, produzione avanzata e attrezzature per il turismo di cui Napoli è carente pur in presenza di una domanda di accoglienza turistica in forte crescita.

L’altro polo di trasformazione è l’area industriale orientale della città. Anche qui, per quanto l'intento del comune sia quello di farne principalmente un nuovo insediamento produttivo, la manovra sugli aspetti ambientali è determinante. La delocalizzazione di tutte le attività petrolifere è uno degli elementi basilari del piano. La ricerca della qualità si persegue con la riforma del sistema delle urbanizzazioni e del disegno urbano. Una nuova maglia stradale riconnetterà le attività produttive ancora operanti e quelle che sostituiranno le fabbriche dismesse. Gli elementi del nuovo impianto sono: un boulevard – in realtà un lungo viale pedonale e ciclabile - che congiunge, anche simbolicamente, il centro con l’estrema periferia orientale; il grande parco di Napoli orientale, che congiunge il mare con la piana agricola dell’entroterra. il tracciato di un corso d’acqua che riprende il percorso del mitico fiume Sebeto, che scorreva dalla piana agricola di Volla fino al mare. Il restauro di questo bacino, sostanzialmente una riproposizione dello stesso, ha al tempo stesso una funzione di riordino idraulico di una zona che soffre dell’urbanizzazione incontrollata degli ultimi decenni, ma anche di restauro paesaggistico di questo territorio.

Centro storico

Passiamo ora all’illustrazione delle scelte che il piano opera per il centro storico. E’ utile a questo fine ricordare una specificità del centro storico di Napoli, che lo differenzia dai centri storici di altre grandi città. A differenza del centro storico di Firenze, ad esempio, o da quello di Milano e di Roma, il nostro centro storico non presenta fenomeni consistenti di terziarizzazione ma, al tempo stesso, non vi si riscontrano quei fenomeni di spopolamento e abbandono che si verificano in altre aree centrali, in Italia l’esempio più evidente è Palermo. Esso è ancora abitato dalla popolazione e dalle attività tradizionali, che hanno conservato in vasti quartieri di quest’area un apprezzabile circuito di sussistenza. Si tratta di una condizione che, per un verso, rende difficile l’opera di restauro, che si deve svolgere in un’area densamente popolata, ma per un altro verso l’avvantaggia, se è vero che l’essenza del centro storico non sono solo le pietre, i fabbricati, ma anche la popolazione e le attività che tradizionalmente li hanno occupati.

La mancanza di estese trasformazioni fisiche e sociali di quest’area si è accompagnata tuttavia – e non poteva essere diversamente – a un lento declino delle sue condizioni fisiche e sociali. E’ per questa ragione che l’amministrazione comunale ha inteso avviare nel centro storico un procedimento di pianificazione a due velocità: nel tempo breve, con la già citata variante di salvaguardia, sono stati estesi i confini del centro storico, introducendo al tempo stesso una normativa transitoria che consentisse una ripresa dell’attività edilizia finalizzata agli interventi di conservazione (l’attuale Prg che risale al 1972, rinvia invece tutti gli interventi all’approvazione di piani particolareggiati, che non sono stati mai redatti); nel tempo medio, l’approntamento della disciplina definitiva, con una normativa di Prg direttamente operativa per gran parte del territorio: insomma, da circa cinque anni è in corso un avvicinamento progressivo all’obbiettivo della riqualificazione.

L’estensione dei confini del centro storico, introdotta dalla variante di salvaguardia, è una misura che noi consideriamo di significativo rilievo. Il perimetro del centro storico nel Prg del 1972 includeva sostanzialmente la città preindustriale. La nuova delimitazione si spinge ben oltre, fino a comprendere gli insediamenti ottocenteschi e novecenteschi, fino alla seconda guerra mondiale, e i centri periferici di origine agricola. La sua estensione passa così da circa 700 ettari, ai 1.700 ettari della variante di salvaguardia (il confine definitivo, delimitato nell’ultima variante misura circa 1.900 ettari). Il documento usato per definire il nuovo perimetro è un rilievo fotografico militare del 1942.

Lo scopo che ci siamo proposto è stato quello di segnare un confine tra città storica e città moderna, che separa essenzialmente il complesso degli organismi cresciuti sulla base di una pianificazione o di una regola riconoscibile dalla informe espansione edilizia del dopoguerra. Si tratta di organismi fortemente dissimili tra di loro, anche nelle quantità: a Napoli, come in tutte le grandi città italiane, lo spazio occupato dalla città sorta dal dopoguerra è fino a dieci volte più grande di quello occupato dalla città fino al 1945.

Le modalità d’intervento in quest’area così estesa sono, per la gran parte del territorio, direttamente fissate nella normativa di Prg: quando l’obiettivo è la conservazione servono poco i piani particolareggiati. Solo dove l’impianto esistente richiede, per ragioni diverse, un intervento, sia pure limitato, di trasformazione il piano prevede un rinvio all’elaborazione di strumenti urbanistici esecutivi.

Per la disciplina degli interventi diretti, il piano ha adottato il metodo della classificazione tipologica. L’intero organismo storico, ovviamente classificato come zona A, è stato sottoposto a un lavoro meticoloso di classificazione che ha portato alla individuazione di oltre 16.000 unità di spazio, raggruppate in più di 50 tipi edilizi. Per unità di spazio si intende tanto il singolo fabbricato, quanto lo spazio aperto che viene trattato allo stesso modo, dato che allo stesso modo contribuisce alla costituzione dell’organismo storico che è l’oggetto della tutela.

Sostanzialmente la classificazione degli edifici è stata fatta distinguendo le due grandi famiglie: l’edilizia di base, nata per finalità abitative, e l’edilizia speciale, costituita soprattutto dai grandi edifici religiosi o civili. Distinti secondo l’epoca di costruzione, preottocentesca, ottocentesca, otto-novecentesca e così via, gli edifici, integrati dalle schede relative agli spazi aperti, vengono suddivisi ancora in base alle varie tipologie: a blocco, a corte, eccetera.

Il sistema viene poi perfezionato con ulteriori articolazioni della classificazione. E’ così che, per esempio, il tipo dell’unità edilizia di base preottocentesca originaria con struttura a corte, si articola ulteriormente nella corte pre-ottocentesca rurale, o nella corte pre-ottocentesca semplice o di corte pre-ottocentesca complessa. Questo sistema di classificazione è formulato non sulla base del valore dell’edificio ma delle sue caratteristiche strutturali. Ciò consente, di volta in volta, una valutazione più attenta e oggettiva del tipo di intervento possibile.

Il materiale di base per la formulazione di questo apparato normativo è costituito da una ricca serie di documenti fotografici e cartografici di cui è stato fatto un uso comparato: la carta del Lafrery, o quella del Duca di Noja, o ancora quella redatta dallo Schiavoni, che fu realizzata per predisporre piano per il risanamento della città alla fine del secolo scorso e fu elaborata negli uffici comunali. Questi documenti sono stati messi a confronto prima fra loro stessi, sia in modo sincronico che diacronico, e poi con il rilievo della situazione attuale, riguardante tutti i piani terra dei 1.900 ettari che compongono il centro storico: un rilievo ottenuto mettendo insieme vari documenti esistenti (principalmente il rilievo elaborato da un gruppo di lavoro diretto dal prof Italo Ferraro, ma anche rilievi della società per il risanamento, dello Iacp e altri documenti sparsi) ma anche effettuando numerosissime battute sul campo. Ogni unità edilizia è stata osservata per lo meno tre volte prima di decidere la sua classificazione.

La classificazione consiste, sostanzialmente, nel selezionare in ogni tipologia gli elementi ricorrenti tipici, strutturalmente caratterizzanti l’organismo edilizio. Questi stessi elementi essenziali sono anche quelli da porre sotto vincolo di tutela e che, per converso, consentono i necessari margini di libertà sugli altri elementi, quelli che invece possono essere oggetto di manovra per l’operazione di modernizzazione sul fabbricato, che pure è necessaria. Si tratta di un’operazione complessa, che in molti casi deve consentire anche il frazionamento dell'unità edilizia, poiché il centro storico di Napoli annovera un numero assai elevato di palazzi, secondo la classica definizione tipologica, organismi edilizi nati per ospitare una sola famiglia; palazzi che oggi devono essere convertiti ad un uso residenziale diverso, dal momento che resta necessario consolidare anche la funzione residenziale del centro storico.

Questo tema del rafforzamento della funzione residenziale nel centro storico è uno dei –contenuti forti del piano: il diffuso recupero, che riteniamo indispensabile, della funzione residenziale nel centro storico, richiede di studiare le modalità per attribuire l’utilizzazione residenziale non solo all’edilizia di base, l’edilizia ordinaria, che per tipologia si presta ancora a questo uso, ma anche a molti edifici monumentali, i palazzi aristocratici per esempio, che nel tempo hanno perso questa funzione. Essi hanno caratteristiche tipologiche e dimensioni che non ci consentono di utilizzarli per abitazioni, con gli standard attuali, senza modificazioni consistenti. E’ per questo che di solito si preferisce utilizzarli per attrezzature pubbliche e rilevanti funzioni sociali e culturali. Ma questi edifici hanno una sorprendente diffusione nel centro storico di Napoli e non si può certo pensare di trasformarli tutti in musei o in altre simili attrezzature. E’ stato indispensabile quindi individuare una normativa che ci consenta di riportarci dentro la gente, gli abitanti, lasciando inalterati i caratteri più significativi della loro tipologia. E’ nata da quest’esigenza la norma che consente il frazionamento.

Nel complesso, è naturalmente dalla definizione degli elementi strutturali, caratteristici della tipologia, che è possibile stabilire quali siano gli interventi edilizi che è possibile consentire e quali le utilizzazioni compatibili. Quest’operazione è stata svolta con un sufficiente grado di dettaglio, d’intesa con le soprintendenze, il che dovrebbe facilitare, tra l’altro, la successiva fase della gestione. Questo tipo di classificazione consente soprattutto di operare con grandi margini di libertà, superando i vincoli posti dalla legge 457/1978 con la sua definizione dei tipi di intervento, e di determinare invece, per ogni singola tipologia, quali siano precisamente gli interventi possibili e quali no, andando anche molto al di là della definizione tradizionale di restauro e di risanamento conservativo.

L’effetto sorprendente di questo lavoro è stato il sostegno da parte dell'Associazione dei costruttori di Napoli, che ha assunto le difese del piano, benché esso non consenta nemmeno un metro quadrato di espansione edilizia, cogliendo l’importanza che regole così concepite per il centro storico possono avere anche per un rilancio del settore edilizio: ipotesi peraltro confermata dalle prime rilevazioni dell’attività edilizia dopo il varo della variante di salvaguardia.

Non tutto il centro storico è disciplinato, come abbiamo detto, per intervento diretto. Ci sono alcune parti per le quali abbiamo invece ritenuto indispensabile subordinare l’intervento alla preventiva redazione di piani urbanistici esecutivi. Questa modalità si rende necessaria per circostanze diverse tra le quali merita un rilievo particolare quella relativa alle aree di rilevanza archeologica. Si tratta di pezzi del centro storico dove vi è una forte compenetrazione tra edilizia storica, nata dall’epoca medievale in poi, e preesistenze archeologiche, elementi appartenenti alla città antica. Quale dei due periodi deve prevalere sull’altro? O sono possibili soluzioni capaci di preservare questa ricchezza di stratificazioni, come quella che la soprintendenza archeologica di Napoli sta, proprio in questi mesi, sperimentando in un’area del centro greco-romano? E’ evidente che la configurazione definitiva del progetto di restauro non può essere determinata in questo caso con una norma astratta, ma va affidata a un progetto urbanistico esecutivo.

Altro aspetto che merita un rinvio alla pianificazione urbanistica esecutiva è quello delle mura della città antica e storica. Obiettivo del piano è di far riemergere queste mura, quando è possibile, ma anche in questo caso è necessaria la redazione di specifici piani urbanistici esecutivi.

Tutto questo lavoro è stato effettuato con strumenti informatici e l’informatizzazione si sta ulteriormente perfezionando. Nel momento in cui la nuova disciplina sarà approvata, soprattutto quella che riguarda gli interventi diretti, noi ci auguriamo di poterla tradurre in un congegno informatizzato, capace di semplificare i procedimenti di gestione. L’informatizzazione presenta numerosi vantaggi, tra i quali mi limito a ricordarne due: il primo è che consente di trattare temi complessi come questo - perché la classificazione tipologica, la descrizione delle caratteristiche dei fabbricati, la disciplina per gli interventi, sono argomenti molto complessi - con un atteggiamento amichevole e trasparente nei confronti dei cittadini. Insomma, tanto per capirci, il nostro obiettivo e di far sì che il Sig. X, che vuole chiedere una concessione per operare sul suo fabbricato, possa avere a disposizione uno strumento informativo che non solo gli dia tutte le informazioni sull’oggetto fisico che lui intende conservare, ma che lo informi anche sulla disciplina, cioè sulle cose che deve fare per ottenere la concessione edilizia, senza complicate interpretazioni delle norme, ma ottenendo un risultato immediatamente. Noi pensiamo di poter spingere questo lavoro fino ai dettagli, con la collaborazione, naturalmente, delle amministrazioni dello Stato che sono preposte a questo livello di tutela, a cominciare dalla soprintendenza per i Beni Architettonici. Dovrebbe essere possibile poter dire ai cittadini: ”guarda che se utilizzi questa tecnica per restaurare il pavimento, ti sarà consentito automaticamente il diritto di ottenere la concessione e il permesso della soprintendenza”.

Insomma - è questo il secondo punto - poter fare in modo che, progressivamente, questa disciplina, anche informatizzata, si configuri come uno strumento definitivo per il restauro e la manutenzione del centro storico. Uno strumento che potrebbe essere oggetto di miglioramento, di perfezionamento, ma non dovrebbe richiedere sostanziali revisioni. D’altra parte, salvo che non cambi l’orientamento generale, che cioè non prevalga a un certo punto un orientamento che, per il centro storico, ritenga prevalente la trasformazione piuttosto che la conservazione (ma quest’eventualità non mi sembra francamente possibile): salvo che non si verifichi quest’improbabile mutamento di orientamenti, che bisogno ci sarebbe di cambiare uno strumento che è basato sulla conoscenza dell’oggetto da conservare?

Nota di aggiornamento del 17 settembre 2004

All’epoca del convegno il piano era stato appena completato in sede tecnica e la giunta comunale aveva assunta la delibera che ne proponeva l’adozione in consiglio. Se si considera che fino alla primavera dell’anno precedente il dipartimento urbanistica, che ha curato la progettazione del piano, era stato impegnato nella formazione due varianti citate in questo testo ( per Bagnoli e di Salvaguardia, approvate entrambe nelle primavera del 1998) e nel seguire le relative procedure di approvazione, si può dedurre che l’elaborazione tecnica del documento definitivo ha richiesto circa un anno di tempo. Il percorso di approvazione è stato lungo e travagliato: si è concluso solo nel giugno di quest’anno con l’approvazione regionale. Le modificazioni che sono state apportate al testo originario, specie per effetto delle circa 300 osservazioni, non sono tali da modificare l’illustrazione che del piano si fa in questa nota.

Anche il piano urbanistico esecutivo per Bagnoli, cui la nota fa cenno, è stato intanto adottato dal consiglio (anche in questo caso l’elaborazione è a cura del dipartimento urbanistica) ed è pronta la delibera di controdeduzioni. Sempre per Bagnoli il comune ha acquisito le aree ex industriali e ha costituito una società di trasformazione urbana (Bagnolifutura Spa) per la gestione degli interventi.

Che la Coppa America sia un'occasione che Napoli non deve perdere è opinione su cui davvero pochi possono dissentire. Altro è il modo con cui arrivarci. L'amministrazione comunale sta provvedendo a rispondere alle 81 domande poste dagli organizzatori della competizione. Tre sembrano essere le carte di Napoli. Il golfo garantisce condizioni di gara che sono simili a quelle di Auckland su cui è stata tarata la barca vincitrice della precedente competizione. In secondo luogo Napoli è fornita di tutti i requisiti sufficienti a reggere le trasmissioni del grande fenomeno medianico che la Coppa America determina. Ultimo, ma non secondario elemento, c'è una grande area disponibile, quella di Bagnoli, come base logistica.

Di quest'area si conoscono gli incresciosi ritardi con cui è proceduta l'opera di risanamento, e come essi potevano essere già iscritti nelle iniziali previsioni, dati i vincoli espliciti ed impliciti con cui fu costituita la società che doveva operare il disinquinamento. Sono stati spesi molti soldi, molti altri debbono essere spesi. C'è stato su ciò un contrasto tra gli enti locali e il governo che pare ora superato in una comune prospettiva di rilancio della città. Il modo con cui sigillare questa sorta di nuovo patto politico per Napoli sarebbe il cosiddetto «accordo di programma». Uno strumento amministrativo che semplifica le procedure, consente di procedere in deroga ai vincoli esistenti, abbrevia i tempi, dovrebbe comportare una maggiore efficacia nell'esecuzione dei progetti.

Sui poteri di deroga che un tale strumento comporta si sono elevate giustificate riserve. Deroga a che? Al piano urbanistico di Bagnoli approvato quattro anni fa dal Consiglio Comunale di Napoli, dopo un serio dibattito che è approdato ad una destinazione di quell'area largamente condivisa? E perché? Il piano urbanistico di Bagnoli contiene in se tutti gli elementi che possono soddisfare i problemi organizzativi della Coppa America.

L'idea, che è serpeggiata anche su qualche giornale, che gli organizzatori della manifestazione sono interessati ai possibili affari edilizi che potrebbero realizzarsi a Bagnoli, fuori da qualsiasi regola, è un'idea molto napoletana, che, per atavica arretratezza, non vede altra forma di profitto che la speculazione edilizia, anche dinnanzi ad un evento che, tra sponsorizzazioni, diritti mediatici e quant'altro, eleva su queste voci cifre a cui nessun guadagno di costruttore edile può sognare di raggiungere.

Il piano urbanistico di Bagnoli, senza essere speculativo, prevede una struttura alberghiera di 1500 posti letto, che non è poco, e un'edilizia abitativa per trecento mila mc, pari a mille alloggi. Il piano particolareggiato, ora all'approvazione del Comune, formalizza questo comparto con una vasta area di case a soli tre piani, che ricorda molto il Villaggio Olimpico di Roma, trasformato, subito dopo le Olimpiadi del 1960, in quartiere residenziale, ora uno dei più ambiti della capitale. Non si vede perché analogamente a Bagnoli non si avvii subito la realizzazione di questo comparto, per destinarlo durante la competizione ai team, alle trouppe televisive, ai servizi organizzativi e giornalistici, etc. Si aggiunga che la struttura alberghiera sempre nel piano, è collocata a ridosso della piattaforma a mare e l'area dell'edilizia abitativa poco distante. Polemiche inutili anche sulla piattaforma, che il piano prevede giustamente di smantellare, ma il termine può essere differito a dopo la competizione, con previe garanzie per tutti. Meglio ancora sarebbe realizzare il porto turistico previsto dal piano urbanistico di Bagnoli e garantire eventualmente la necessità di costruzione delle rimesse delle barche in competizione su di una parte residuale della piattaforma. Come si vede non c'è sostanziale incompatibilità tra il piano urbanistico di Bagnoli e le necessità della Coppa America. Se ritocchi funzionali e provvisori sono necessari, l'accordo di programma può provvedervi con indicazione motivata e specifica degli interventi.

Napoli ha una storia urbanistica che parla chiaro, le poche volte che ci si è mossi su una direttiva urbanistica, come fu il piano delle periferie, per l'azione del Commissariato post terremoto, si è fatto bene. Le molte altre volte che ci si è mossi su esigenze prevalentemente speculative si è determinato il grande disastro urbanistico della città.

Proceda subito il Consiglio Comunale a varare il piano particolareggiato di Bagnoli. L'eventuale accordo di programma potrà così procedere proficuamente con riferimento ad esso. Tutto ciò è possibile, mentre, con questa amministrazione, non dovrebbe essere neppure plausibile ricalcare il più cieco malcostume urbanistico della città.

Le previsioni urbanistiche per Bagnoli

Una immagine del PP di Bagnoli

Ora difendete Bagnoli dalle speculazioni L’articolo di Pasquale Coppola

La maratona consiliare che ha consentito l´approvazione definitiva del piano regolatore segna un passo consistente di Napoli verso la normalità. Un passo tanto più importante in quanto viene in una fase surriscaldata della vita cittadina, che ha fatto ipotizzare in più di una circostanza una caduta della tensione innovatrice avviata con la prima giunta Bassolino.

L´adozione del documento segna anzitutto un successo di Vezio De Lucia, che ne ha disegnato l´impostazione e si è dovuto sorbire non poche critiche per aver rinunciato a strumenti, come il piano strategico, considerati più agili e moderni, in favore di un saldo e articolato quadro di legalità: la vera grande innovazione in una città che delle regole stracciate o inapplicabili aveva fatto a lungo la sua principale cifra urbanistica. Altro protagonista del successo è Rocco Papa, che ha gestito la ponderosa eredità di De Lucia con diplomatica e tranquilla determinazione. Né va dimenticata la capacità collettiva esibita dall´ufficio urbanistico comunale, che ha svolto con grande cura ed eccellenti risultati un´impressionante mole di lavoro.

Ma, se questi meriti si colorano in parte di tinte professionali, vi è un indubbio merito politico da attribuire al consiglio nel suo insieme. Perché, al di là delle lentezze e degli scontri esibiti, ha finalmente espresso il segno di una volontà di decidere nell´interesse comune della città. Un sussulto di dignità, applicato per di più a un buon documento.

Il piano uscito dal consiglio mostra solo ritocchi marginali rispetto alla stesura originaria. E´ stato opportunamente respinto un tentativo dell´ultima ora di lasciare aperta la porta a un futuro intervento di ristrutturazione di qualche ambito del centro storico; il vecchio edificato potrà invece, grazie alla minuta classificazione tipologica, essere oggetto degli interventi consentiti senza i ritardi e i rischi di ulteriori passaggi. E´ stato, intanto, sollecitato il piano esecutivo già previsto che dovrà concretizzare le condizioni per il risanamento e l´attrattività di Napoli Est.

E sono stati correttamente rinviati alla scala regionale e alla negoziazione con altri protagonisti territoriali la delocalizzazione dello scalo aeroportuale e quella dei depositi petroliferi. Sullo sfondo di queste ultime decisioni, del resto, si muovono alcune apprezzabili iniziative già assunte da Provincia e Regione: studi e documenti ai quali l´area metropolitana fa da spazio pertinente di riferimento.

Il governo cittadino, comunque, non può affatto riposarsi sugli allori delle decisioni appena assunte. Incombe la severa scommessa del progetto esecutivo di Bagnoli, con le quotidiane tentazioni di aprire nell´urbanistica per i cittadini e per la quotidianità qualche breccia speculativa motivata da occasioni più o meno "straordinarie". Del resto, ora che il piano c´è, la sfida più seria è proprio quella di farne una serena normalissima gestione, cogliendone le opportunità e suscitando interlocutori validi per trasformarlo in un efficace strumento di vaglio e promozione. Cominciano già a manifestarsi i segni di interessi rilevanti, anche a livello internazionale, e non ci sono più alibi per non affrontarli, verificandone la compatibilità.

PASQUALE COPPOLA

Mille case in piùLa cronaca di Ottavio Lucarelli

Mille case in più e meno servizi nel Centro direzionale, incentivi per i costruttori che investono in aree degradate del centro storico, una Società di trasformazione urbana (Stu) come a Bagnoli per rilanciare l´economia nell´area Est. Sull´aeroporto di Capodichino deciderà la Regione, che sarà coinvolta anche in un accordo di programma per delocalizzare i depositi petroliferi dalla zona orientale.

«Hanno vinto la città e il Consiglio» urla di gioia il sindaco Rosa Russo Iervolino. Passa alle 8 del mattino in consiglio comunale il nuovo piano regolatore che completa il ridisegno della città (la variante per Bagnoli risale al 1996). Passa il piano in seconda lettura e ora manca solo il visto del presidente della Regione per renderlo efficace. Un piano avviato negli anni '90 dall´ex assessore Vezio De Lucia, condotto in porto dal vicesindaco Rocco Papa («siamo l´unica grande città a varare il Prg») e accompagnato in ogni sua fase da Roberto Giannì, coordinatore del Dipartimento urbanistica. Dopo una maratona di dieci anni e ventuno ore (tanto è durata l´ultima seduta) vota a favore il centrosinistra, dicono no Forza Italia e il consigliere Mario Esposito (unità delle sinistre) mentre An esce dalla Sala dei Baroni. Un piano che si divide in due blocchi: una parte normativa e una mozione di indirizzi (favorevoli centrosinistra e Polo, contrario solo Esposito) che è un concentrato di compromessi.

Capodichino - Nella parte normativa il Comune conferma la delocalizzazione, ma in un emendamento votato assieme da Ulivo e Polo si legge tutt´altro: «Le scelte devono tener conto del piano aeroportuale campano». La scorsa settimana, singolare coincidenza, la giunta della Regione ha presentato assieme a Forza Italia lo studio di fattibilità in cui è previsto un city airport.

Centro storico - Ulteriormente ampliato a 1900 ettari comprendendo quanto edificato fino al '43, il centro storico è sottoposto alla normativa dell´analisi tipologica degli edifici. Una normativa quasi esclusivamente per intervento diretto. Fin qui tutto confermato. Ma segue la mozione che rende felici i costruttori: «Il Comune provvederà alla redazione di piani integrati concentrando nelle aree degradate le risorse disponibili».

Centro direzionale - Un ribaltone. Nell´area da completare era previsto il 70 per cento per i servizi e il 30 per le residenze. Ora il rapporto è fifty-fifty.

Napoli Est - La novità è nella mozione che «impegna il sindaco a presentare un piano esecutivo per l´area Est da portare all´approvazione del Consiglio nel più breve tempo possibile».

Depositi petroliferi - La parte normativa conferma la delocalizzazione. Altro discorso negli indirizzi: «Il trasferimento comporta un piano con la Regione e i Comuni che ospiteranno i nuovi impianti». E ancora: «Saranno definite forme transitorie di prosecuzione delle attività di stoccaggio» accogliendo una richiesta degli industriali.

Ponticelli - Lievitano da 0.1 a 0.5 metri cubi per metro quadrato le cubature per realizzare una megastruttura commerciale. Su questo punto ha votato contro il presidente del Consiglio, il diessino Giovanni Squame. Proprietaria dei suoli è la società Vignale.

I francesi - Un piano che a pieno regime, in uno studio del Politecnico di Milano, prevede sedicimila posti l´anno nell´edilizia. Ieri il vicesindaco Papa ha ricevuto una delegazione dell´ambasciata francese interessata a realizzare alberghi, porti, insediamenti industriali e sistemi di trasporto.

Bagnoli - Il ministro Tremonti ha firmato il decreto che sblocca 75 milioni di euro per completare la bonifica dell´ex Italsider. Ora l´atto passa alle Camere. La Iervolino ha parlato ieri con Pera e Casini e domani sarà in Parlamento.

Le vicende e i materiali sulla pianificazione a Napoli nel sito della Casa della città

NAPOLI — Partono i lavori di riqualificazione dei porti campani. In totale saranno 980 i nuovi posti barca mentre ne verranno riqualificati altri 3850 per una spesa complessiva di 165 milioni di euro.

Questa volta però, è certa anche la data di apertura dei cantieri: entro il 2005 anche se già dalla prossima estate iniziano i lavori di messa in sicurezza. Anticipazioni che l’assessore regionale ai trasporti, Ennio Cascetta ha illustrato, ieri mattina, nel corso di una tavola rotonda sulla portualità al “ Nauticsud”. « In particolare — spiega l’esponente di Palazzo Santa Lucia — sono stati approvati otto studi di fattibilità tra quelli presentati alla prima fase di selezione prevista dal nostro bando. Ma oltre a questi, presso i nostri uffici sono sotto esame i progetti presentati entro il dicembre del 2003. Lavori che prevedono un investimento di 165 milioni di euro, di cui 32 provenienti dal Por Campania » .

Per i prossimi mesi però, partiranno i lavori per i porti di Casamicciola, Forio d’Ischia, Piano di Sorrento, Sapri, Serrara Fontana, Torre del Greco, Vico Equense e Salerno. Ma sono previsti ancora, cantieri per l'adeguamento dei porti di Acciaroli, Monte di Procida, Pisciotta, Casalvelino, Montecorice, Cetara, Riva Fiorita, Marechiaro, Gaiola, Serrara Fontana e per la riqualificazione di Capri e Agropoli, e si aprirà la darsena di Marina di Stabia.

« Ma entro la prossima estate — precisa ancora Cascetta — partiranno i lavori di messa in sicurezza dei porti di Palinuro e Sapri, di riqualificazione degli approdi di Positano, Villa Favorita- Ercolano e Pozzuoli- molo caligoliano e dei porti di Sorrento e Procida » .

Ma se la portualità turistica prende il largo si progettano nuove soluzioni anche per Napoli dove si sente la penuria di posti barca per il diporto. « Attualmente la disponibilità — spiega Pietro Capogreco, segretario generale dell'Autorità portuale di Napoli — è di appena 2500 posti barca mentre la richiesta è doppia. Per questo stiamo accelerando i tempi ed abbiamo approvato i progetti di ammodernamento per gli approdi turistici di Riva Fiorita, Gaiola e Marechiaro mentre, a breve, partiranno i lavori per l’area di Vigliena dove contiamo di ormeggiare almeno 800 barche » .

Adolfo Pappalardo

La voragine apertasi a Capodichino sotto il carrello di un Fokker è certo un evento grave, che poteva anche sfociare in tragedia. Speriamo, peraltro, che non sia un´ulteriore occasione per disperdere nei fossi della pista anche il buonsenso e per dare la stura a ulteriori sterili polemiche sulla localizzazione dell´aeroporto. Il sito, infatti, con la manutenzione e la capacità di carico del manto d´asfalto non c´entra niente. O quasi...

Comunque, per prevenire nuovi impellenti bisogni di esternazione e di stravolgimento circa le scelte del piano regolatore, sarà bene proporre una breve messa a punto sulla vicenda aeroportuale.

Un paragrafo del documento di piano approvato in sede municipale riprende la prospettiva di delocalizzazione già assunta dal precedente schema del 1972 e conforme ai vincoli vigenti a livello nazionale circa la sicurezza degli impianti aeroportuali.

Anche se si volesse prescindere dalla legittima domanda di spazi verdi avanzata da questa parte di città, finché la legislazione in materia non cambia, l´indirizzo di abbandonare alla lunga Capodichino appare un´opzione obbligata. Al tempo stesso, il peso dei collegamenti aerei nell´economia è destinato a crescere in modo quasi esponenziale, sicché Napoli e la sua area di gravitazione avranno al più presto bisogno di un nuovo grande scalo, capace di soddisfare un movimento in rapida ascesa, di accogliere aerei di stazza adeguata e d´incentivare una fitta trama di connessioni internazionali. La disponibilità di una tale infrastruttura è premessa essenziale per il desiderio di promozione nella gerarchia delle città, in particolare sotto l´aspetto della funzione turistica. Ed è una condizione che le strutture di Capodichino, per quanto ammodernate, non potranno mai soddisfare. Il futuro allora non può che collocarsi a Grazzanise, come viene indicato in sede regionale: in un aeroporto che disponga di grandi spazi, con piste di adeguata lunghezza e resistenza, sul modello di Caselle, Malpensa e Fiumicino; e che venga raccordato alla città con una linea veloce su ferro.

Solo che l´opzione Grazzanise si misura su tempi tutt´altro che brevi. E´ evidente che nel frattempo non si può lasciare Napoli senza uno scalo aereo decoroso: il che comporta continuare a investire a Capodichino per attrezzature e servizi che saranno del tutto ammortizzati per quando si completeranno le nuove piste tra le bufale dell´Agro Campano. Del resto, la possibilità di compiere gli interventi necessari a Capodichino non è affatto esclusa dal piano adottato e consentirà agli inglesi della società di gestione di trarre, come già avviene, gli attesi ricavi. Tra una decina di anni si verificherà poi se Grazzanise sarà davvero pronto e avviato, se i cambiamenti nella legislazione sulla sicurezza dei city airport apriranno nuove compatibilità, se la sete di verde del quartiere sarà ancora ampiamente insoddisfatta. E si tireranno le somme, scegliendo in via definitiva l´utilizzo socialmente più congruo per l´area di Capodichino. Intanto, amministratori oculati, invece di consumarsi in confronti polemici, non potranno che concordare sul principio della gradualità: mettendo al più presto in cantiere il nuovo scalo ed evitando che quello che c´è già affondi tra buche e disservizi.

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