Titolo originale: Venice Turns to Future to Rescue Its Past – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
VENEZIA – Quando Jane da Mosto si arrampica dal motoscafo taxi fino ai gradini di ingresso dell’antico palazzo di famiglia sul Canal Grande, il suo sguardo si tinge di tristezza. Quella che era un tempo la gloriosa Casa da Mosto ora è poco più di un guscio vuoto in decadenza, con l’acqua salata di Venezia che lambisce la porta e consuma le pareti.
”Un giorno o l’altro finirà per scivolare nel canale” ci dice da Mosto, ricercatore per il Corila, un consorzio di gruppi che studia la laguna di Venezia nella speranza di salvarla.
Ora, un audace progetto di costruzione multimiliardario sponsorizzato dal governo italiano sta per iniziare, tentando di raggiungere questo obiettivo. Ma molti, compresa la signorina da Mosto, sono scettici sul fatto che sia sufficiente. “Preferisco non pensare a dove sarà Venezia fra cento anni” dice. “È opprimente, e triste. Magari sarà chiusa, come un lago. Magari sarà sott’acqua, e i turisti potranno vederla da una barca col fondo di vetro”.
La Laguna di Venezia è uno degli ecosistemi più delicati e instabili del mondo, uno spazio unico dove la salvezza dell’ambiente naturale che scompare è fondamentale per la tutela della storia e cultura umana: secoli di arte e architettura se ne stanno in mezzo alla riserva naturale, e andranno persi se la laguna muore. Tutto questo ha stimolato un appassionato dibattito sui drastici progetti ora in corso per salvarla: progetti che stanno ai confini delle conoscenze scientifiche e delle capacità ingegneristiche. Il cuore della contesa sono i contrasti fra chi crede nel potere della tecnica umana di piegare le forze della natura, e chi teme che i principali ingegneri italiani, con la loro presunzione, possano solo complicare i problemi di Venezia.
Il punto centrale dell’ambizioso progetto governativo italiano – chiamato MOSE, dalla separazione delle acque del Mar Rosso – è una serie di 78 gigantesche dighe subacquee mobili che riposano sul fondo del Mare Adriatico, imponenti barriere pronte ad alzarsi meccanicamente in superficie quando sorge il bisogno di fermare maree di altezza straordinaria. Queste maree, che generalmente si verificano qualche volta l’anno, provocano rapidamente danni a Venezia, a volte disastrosi come nell’alluvione del 1966. Come uno dei progetti prioritari del primo ministro Silvio Berlusconi, le barriere high-tech hanno un peso politico del tutto paragonabile a quello fisico, di 300 tonnellate ciascuna, e al loro costo, che è di 4,5 miliardi di dollari.
“Queste barriere sono un enorme intervento ambientale, di una dimensione mai tentata prima” dice Alberto Scotti, ingegnere a capo del progetto, tanto fiducioso e concreto quanto altri sono emotivi.
I critici sono preoccupati dal fatto che questi enormi sbarramenti possano modificare ulteriormente il delicato equilibrio naturale. Sottolineano che le barriere non fanno nulla per alleviare il degrado quotidiano della città, effetto di forze molto più sottili che operano nella laguna morente, e che richiedono soluzioni meno fascinose.
L’acqua che lentamente si alza e si abbassa, lascia molte pareti degli edifici costantemente sotto il livello. La quantità di sale in aumento nelle acque dei canali minaccia le fondamenta. La scomparsa della vita vegetale sul fondo della laguna ha trasformato quelli che un tempo erano canali dalla vita complessa in condotti che riversano acqua in città ad ogni burrasca.
”Al momento, si concentra tutto sugli sbarramenti: che spaventano parecchio perché si tratta di una soluzione rigida e non sperimentata” dice la signorina da Mosto, coautrice di The Science of Saving Venice, libro sponsorizzato da “Venice in Peril”, un’organizzazione non governativa britannica. ”Molti scienziati pensano che risolverà il problema, e molti pensano di no” aggiunge. “Non posso dire quale sia la soluzione, ma occorre anche stabilizzare l’ambiente. Quello che so, è che la laguna è immensamente complicata, e quanto più ci si basa su soluzioni diversificate e reversibili, tanto meglio è”.
Alberto Scotti sostiene il suo progetto con modelli complessi computerizzati e studi di fattibilità. “Abbiamo verificato tutto attraverso modelli” dice con una punta di esasperazione. “Abbiamo modelli di morfologia della laguna. Possiamo riprodurre i venti, il tempo atmosferico e le maree. E i nostri modelli ci dicono che funzionerà, e che non ci saranno impatti ambientali negativi”. Rappezzare costantemente le ferite di Venezia è diventata un’ossessione, e un’occupazione a tempo pieno per il comune e gli abitanti.
Recentemente allo Squero di San Trovaso, sede dei famosi laboratori veneziani per le gondole, i canali sono stati prosciugati per manutenzioni. Dozzine di operai della Insula, struttura pubblico-privata di manutenzione dei canali, osservano ogni centimetro delle sponde, riparando le superfici danneggiate e pompando schiuma da tubi verdi dentro le pareti, per rinforzarle. ”Venezia deve essere mantenuta in efficienza come un barca: si tira in secco e si ripara”, dice Giorgio Barbarini, conducente di motoscafo taxi. ”Venezia sta cadendo a pezzi perché è difficile mantenere in efficienza un’intera città”.
Dal punto di vista strettamente evolutivo, il declino di Venezia forse è inevitabile. Le lagune, con i loro acquitrini e le acque salmastre, sono ecosistemi costieri di transizione, che tendono nel tempo a diventare laghi d’acqua dolce o a mescolarsi alle acque marine. È un processo che viene accelerato quando l’uomo abita entro questi pezzetti instabili di natura, come è accaduto qui per oltre mille anni. I veneziani hanno a lungo amministrato le acque per proteggere la propria città, deviando fiumi nel XIV secolo.
Ma le rapide trasformazioni dell’ecosistema sono avvenute col XX secolo. A partire dagli anni ’30 sono state create una zona industriale e altre superfici pompando via acqua, e accelerando drammaticamente la subsidenza. La navigazione e l’inquinamento che ne sono seguiti hanno eroso le principali caratteristiche difensive della laguna, che per secoli avevano aiutato a tenere a bada il mare. Per esempio, quello che una volta era il complesso fondale della laguna oggi è per la gran parte piatto e privo di vegetazione, e lascia che l’acqua venga spinta dalle burrasche in città senza incontrare ostacoli.
Come conseguenza il livello medio dell’acqua a Venezia è di quasi 30 centimentri più alto di quanto non fosse un secolo fa, e probabilmente un metro più di 250 anni fa, secondo i ricercatori del Corila. L’acqua, un tempo salmastra, ora è salata come quella del mare.
Il riscaldamento globale, qui non ha ancora contribuito in modo sostanziale all’innalzamento del livello, dice la signorina da Mosto. Le previsione sugli effetti finali per l’Adriatico variano di molto: alcuni scienziati stimano un innalzamento di soli sette centimetri, e altri che possa avvicinarsi al metro. L’acqua già ora riempie le piazze e filtra nelle chiese. Sale nelle case attraverso gli scarichi. Corrode le pareti dei edifici che non erano stati pensati per stare sommersi. Se le fondamenta dei palazzi veneziani sono state costruite con materiali che resistono all’acqua, i muri sono di mattoni, porosi. ”È stato speso molto denaro per rifare gli intonaci e sostituire le pareti mattone su mattone. Lo chiamiamo strato sacrificale”, dice da Mosto. “Ma dopo qualche anno si sbriciola”.
Al contrario, i progettisti del MOSE sembrano piuttosto perplessi di fronte alla resistenza, nella città che si sono impegnati a salvare.Ci sono stati anni di negoziati con rappresentanti locali e gruppi ecologisti prima che iniziassero i lavori, nel maggio 2003. Scotti sottolinea che il progetto non comprende solo le barriere, che saranno portate a termine nel 2010, ma anche piani di consolidamento per le pareti degli edifici, per proteggerli dalle maree minori, e progetti per ripristinare le zone umide. I critici contestano che si tratta solo di ripensamenti poco studiati.
”La gente, qui, accetta gli allagamenti e gli stivali come parte della vita” dice Scotti. “Ma vivere in queste condizioni li pone in una situazione di svantaggio rispetto agli abitanti di Milano o Roma. Questo significherà un cambiamento nella loro vita”. La sfida ingegneristica di Scotti è enorme, sia dal punto di vista della forza delle maree, sia per la richiesta da parte del governo che gli sbarramenti siano invisibili (al largo sul mare) quando non utilizzati, una decisione che molti ritengono non necessaria, e che ha aggiunto milioni di costi al progetto.
Le squadre di lavoro stanno ora costruendo frangiflutti artificiali per rallentare le maree. Col tempo, verranno inserite migliaia di pali d’acciaio nel fondale lagunare. Sul fondo del mare, per sistemare le barriere, saranno sistemati blocchi di cemento di 60x40x10 metri.
È la semplice dimensione del progetto a terrorizzare gli scettici, che temono un enorme sforzo che disturberà ancora di più la Laguna.
La Laguna di Venezia è stata ampiamente studiata dagli scienziati, ma molto del lavoro è stato svolto localmente, e mai coordinato o presentato sulla stampa scientifica, dice da Mosto. Di conseguenza, si comprende ancora poco del complesso ecosistema.
Ma i progettisti sostengono che costruiranno lentamente e con eccezionale cura, per creare un ambiente protetto ai veneziani – anche se non corrisponde alla forma naturale della laguna. “Vede, non c’è più ambiente naturale da recuperare, qui a Venezia” dice Scotti. “È stato modificato dall’uomo per centinaia di anni”.
”Quello che è importante è creare una laguna con molte possibilità di vita” continua. La forma non sarà naturale. La vegetazione non sarà la stessa. Ci saranno materiali artificiali. Non esistono manuali su come si costruisce una laguna”. ”Siamo umani, e ovviamente non siamo in grado di rifare quello che Dio ha già fatto”.
Non c'è bisogno di "rifare quello che Dio ha già fatto”.Chiederemmo solo di fare come faceva la Repubblica Serenissima: interventi sperimentali, flessibil, reversibili. Che cosa c'è di sperimentale, flessibile e soprattutto reversibile in una serie di "palazzi", di 60x40x10 metri, posti a separare sott'acqua la Laguna dal mare? Che cosa c'è di reversibile nella distruzione di ettari di fondali alle bocche di porto? Non servono nuovi manuali, ingegner Scotti, basta saper leggere il manuale che la storia e la natura hanno costruito insieme.
Cinque "barene" per proteggere il canale dei petroli
Anche l'iter del progetto riguardante la protezione del canale dei Petroli nel tratto - di poco inferiore ai 4.5 chilometri - che va da Porto San Leonardo a Marghera, canale industriale, è arrivato alla conclusione. A breve termine l'apertura del cantiere. È ben da dire che l'interesse che ha accompagnato prima l'esame e poi l'esito in commissione di salvaguardia della votazione sul progetto «definitivo» riguardante l'intervento alle bocche di porto, ha finito con il far passare sotto silenzio l'approvazione finale, da parte della stessa commissione, di questo disegno. Anche solo 20 anni fa tale proposito avrebbe scatenato in città scontri omerici. Sarebbe stato interpretato come realizzazione propedeutica alla attuazione di un operato finale blasfemo: la divisione in due della laguna: a nord Venezia, a sud grandi aree barenose e la bocca di Malamocco, entrambe a disposizione delle industrie e del porto. A tanto oggi non si pensa più: non ci si può pensare più. Molti protagonisti delle battaglie succedute all'«aqua granda» del '66, dell'uno e dell'altro fronte sono invecchiati. Alcuni, anzi parecchi, se ne sono andati. C'è, poi, la legge speciale che proibisce quell'intendimento. Si vuole che il nemico ora sia un altro.
Lo scopo del progetto, di cui si dice, è, dunque, di impedire l'interrimento di quella grande, discussa via d'acqua aperta negli anni fra il '60 e il '70 e con i cui fanghi sono state costruite le casse di colmata B, D-E. Lo provocano, l'interrimento, le stesse navi che con il loro passaggio trascinano i sedimenti in cunetta. E lo provocano, altresì, le correnti trasversali che dominano gli adiacenti fondali i quali, pertanto, sempre più appiattiscono. Il progetto prevede, dunque, la realizzazione di cinque «strutture morfologiche» che qualcuno potrebbe anche benignamente chiamare «barene», lungo il bordo est del canale. A completamento vengono anche programmate protezioni lungo i bordi ovest del medesimo canale i quali poi altro non sono che i cigli delle casse di colmata pur essi in erosione. Queste «strutture morfologiche» saranno costituite da riporti di sabbia che potrà essere prelevata dalla bocca di porto di Malamocco o dalla Val di Rio (ne indicano l'estensione la quantità prevista: 380 mila metri cubi). Avranno i bordi protetti da «burghe» che sono sacconi riempiti di pietrame posati su materassi di geotessuto.
Fra «barena» e «barena» - si assicura - verranno mantenuti aperti varchi in corrispondenza alle incisioni dei canali preesistenti: il Lussariol e il Rischio. L'intervento - si assicura pure - sarà eseguito per stralci al fine di constatarne e studiarne le conseguenze. Inizialmente il progetto prevedeva una protezione sassosa dal canale dei Petroli, elevata sul medio laguna, una sessantina di centimetri. Poco diversa dunque dalle due già in esercizio costruite in passato al tempo dello scavo del canale. Il disegno è stato modificato per l'intervento della Sovrintendenza.C'è chi assicura che queste opere contrasteranno gli effetti, in termini di appiattimento della laguna, della riduzione dei ricambi quale dovrebbe conseguire alla realizzazione degli interventi «complementari» per intenderci i «digoni» fuori in mare. Appare un poco tirata. Il tema di un possibile appiattimento della laguna ovvero della scomparsa dei canali interni viene comunque agitato con particolare insistenza in questi ultimi anni. Il moto ondoso e le correnti mettono in sospensione i sedimenti che - si sottolinea - trasmigrano poi nei canali. È questo, anzi, uno dei motivi per i quali studiosi della laguna, anche in Magistrato alle Acque, mostrano ostilità ad un possibile innalzamento dei fondali alle bocche di porto oltre i -14 metri. Ne conseguirebbe, viene detto, una diminuzione della energia delle correnti che favorirebbe appunto il fenomeno.
A.P.
Mose, è scoppiata la guerra "vera"
Il Magistrato alle Acque avvia il progetto, gli ambientalisti scatenano i ricorsi, il Comune sta a guardare
Per quegli strani scherzi del destino, l'uno all'insaputa delle altre, il Magistrato alle Acque ha avviato ieri la costruzione del Mose, quello vero e non le "prime pietre" di opere di contorno, e le associazioni ambientaliste veneziane, capitanate da Italia Nostra e dal Wwf, hanno notificato agli "avversari" un nuovo ricorso al Tar che si aggiunge a quello già depositato circa un anno fa contro le opere complementari.La differenza, però, è sostanziale: se un anno fa nel mirino c'erano solo le lunate a mare approvate con una Valutazione di impatto ambientale regionale, giudicata illegittima, ora il Comitato Salviamo Venezia con la laguna ha sparato ad alzo zero contro la stessa delibera del Comitatone che un anno fa autorizzò il passaggio alla progettazione esecutiva del Mose e contro tutti gli atti che da allora si sono susseguiti, fino all'ultimo voto della Commissione di Salvaguardia.Insomma, parte il Mose (vedi servizio sotto), e partono le carte bollate: la guerra è scoppiata! Ma Comune e Provincia stanno ancora a guardare, perché mentre le giunte si cincischiano tra 11 punti e attese di Comitatoni, Magistrato e Consorzio Venezia Nuova vanno avanti a rullo compressore, e tra due mesi si apriranno i cantieri della conca di navigazione: quella che nei disegni del Comune avrebbe dovuto innescare una radicale modifica del progetto delle chiuse mobili; quella che nei progetti del Consorzio sarà invece la "prima pietra" tombale di ogni ipotesi alternativa!
Ieri, intanto, ha annunciato la sua mobilitazione generale contro il Mose anche la "Sinistra Ecologista", un'associazione ambientalista di area Ds, con oltre 8 mila iscritti e presente in 80 città italiane, nella quale militano molti parlamentari della Quercia. Tra questi, Michele Vianello, che ha illustrato la strategia di guerra. «Per prima cosa - ha spiegato - stiamo studiando ulteriori ricorsi per invalidare la delibera del Comitatone del 3 aprile dell'anno scorso. È la madre di tutte le battaglie - ha sottolineato - perché quella delibera autorizza il passaggio alla progettazione esecutiva del Mose e alla sua realizzazione».
Insomma, si mira al cuore del "nemico", denunciando almeno 3 violazioni di legge: il passaggio all'esecutivo senza tutti i pareri sul progetto definitivo; l'aggiramento dell'art. 3 della 139 del '92 che consentiva il passaggio alla progettazione esecutiva solo in presenza di un "adeguato avanzamento" di tutti gli interventi di ripristino morfologico della laguna; la mancanza della Valutazione di impatto ambientale sul progetto.
«Che la più importante opera di ingegneria ambientale d'Europa avvenga senza la Via è una forzatura inaccettabile», ha sostenuto Vianello, annunciando la seconda iniziativa. «La prossima settimana - ha detto - cominceremo una raccolta di firme in Parlamento per chiedere alla Commissione Europea che il Mose sia sottoposto alla Via». Con Vianello, l'on. Fabrizio Vigni, responsabile nazionale Infrastrutture dei Ds, ha denunciato il fallimento delle promesse del Governo sul piano delle grandi opere. «Il Mose - ha spiegato - è una delle 276 opere della legge obiettivo, il cui costo complessivo è di 125,8 miliardi di euro. Oggi, dopo 3 anni, sono stati stanziati 5,3 miliardi di euro, circa il 4 per cento. Miracoli all'orizzonte non se ne vedono - ha concluso -, e con questa tabella di marcia le opere annunciate verranno realizzate nel 2079»!
Il presidente nazionale di Sinistra Ecologista, Sergio Gentili, ha spiegato che la raccolta di firme in Parlamento è una risposta eccezionale rispetto a un'emergenza connotata da ripetute violazioni di un corretto iter decisionale. «Qui siamo di fronte - ha concluso - alla cultura politica dei condoni, dell'abusivismo, della vendita del patrimonio culturale: non si aprono cantieri senza avere la certezza del finanziamento per chiudere, se non nel vecchio sistema affaristico».
Silvio Testa
Ieri mattina il Comitato tecnico di magistratura che è sezione del Consiglio superiore del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha preso in esame i primi progetti esecutivi riguardanti parti essenziali dell'intervento alle bocche di porto. È avvenimento di primaria rilevanza. È preludio all'apertura dei cantieri. Chi ha seguito la telenovela-Salvaguardia che dura, di puntata in puntata, da oltre trent'anni può anche stentare a credere che si sia arrivati in dirittura. Pensiamo che qualche incredulità l'abbiano provata anche diversi degli ingegneri e docenti che erano ieri, per l'ennesima volta, attorno al grande tavolo nella sala d'onore del Magistrato alle Acque dove si sono riuniti, nel lunghissimo periodo di gestazione del Mose, i primi ministri di una decina di governi, colà a giudicare le cose soprattutto dal punto di vista politico.
Quelle proposte ieri sono davvero le opere alle bocche non le «complementari». E la discussione è stata puramente tecnica. Non per questo meno impegnata. Il Mose è idea nuova, senza precedenti e, per questo, con alcune incognite anche, o soprattutto, tecniche. I progetti in discussione ieri sono stralci della grande impresa destinata a salvaguardare Venezia dalle acque alte. Riguardano il porto - rifugio alla bocca del Lido, in zona Punta Sabbioni, la radice del molo sud di Lido, la conca di navigazione alla bocca di Malamocco, il porto - rifugio di Chioggia. Sono stati tutti approvati con raccomandazioni, prescrizioni, esortazioni. Come a dire che ci si è imbarcati. Ma che occorrerà stare bene allerta. La navigazione non sarà delle più facili. La rotta è comunque segnata.
Il progetto più importante riguardava la conca di navigazione alla bocca di Malamocco. È opera ciclopica negli scavi e nelle edificazioni delle spalle che proteggeranno le navi in attesa di entrare od uscire. A Treporti va preparata la «tura» con il quale termine si intende il grande scavo per il porto rifugio che servirà alle imbarcazioni che dovessero trovarsi in mare al momento della chiusura delle paratoie. Il rinforzo della diga sud di Lido viene invece previsto per la semplice ragione che l'opera attuale è soggetta ad infiltrazioni. Si costruirà un tratto di diga parallela a quella esistente e si riempirà lo spazio con materiale adeguato. A Chioggia si incomincerà con una dighetta trasversale protettiva al porto rifugio. Le imprese scalpitano. Così come sono le cose si va all'apertura dei cantieri fra non più di due mesi, con i primi venticelli di primavera.È già all'apertura (fra due settimane) il «campo prove» alla radice della diga di Lido e a Treporti (di fronte al camping) per la sperimentazione dei sistemi operativi previsti per il consolidamento dei fondali, per l'esecuzione di prove di laboratorio relative alla compattazione dei materiali e la lavorazione del fondo dei cassoni di alloggiamento delle paratoie. Si incomincia con indagini archeologiche e di bonifica. Riferiamo anche che, fra una ventina di giorni si apre il cantiere in Lazzaretto Vecchio, l'isola sita davanti al Lido già conosciuta come «isola dei cani» (che resteranno in loco). Si procederà al restauro statico ed architettonico dei fabbricati e delle mura perimetrali della parte est dell'isola. Si fermeranno i crolli, E si ricostruirà. Nella memoria del passato.
Augusto Pulliero
Anche il Mose ha un peccato originale. Una scelta progettuale che a cascata ha imposto enormi appesantimenti e irrigidimenti dell'intera struttura, facendo lievitare a dismisura costi e tempi di realizzazione e costringendo a complicare, e dunque a rendere meno affidabile, l'architettura dell'intera macchina che dovrebbe difendere Venezia dalle acque alte eccezionali.
«Il risultato sarà un impatto devastante per l'ambiente lagunare», ha denunciato ieri l'ing. Vincenzo Di Tella, che a 4 anni dall'ideazione ha potuto illustrare alla commissione Legge speciale del Comune il suo progetto alternativo, sviluppato allo stadio di preliminare in collaborazione con gli ingegneri Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani: una sorta di Mose riveduto e corretto, che Di Tella ha brevettato.
«Il Mose è nato 30 anni fa e non tiene assolutamente conto dell'evoluzione dell'ingegneria off shore», ha sostenuto Vielmo, ricordando di essere stato incaricato dalla Fiat Impregilo, quand'essa faceva ancora parte della compagine societaria del Consorzio Venezia Nuova, dell'analisi critica del progetto. «Ma tutti i suggerimenti per la sua ottimizzazione - ha ricordato - più che un muro di gomma hanno trovato un muro di cemento armato».
Peccato che le opposizioni abbiano disertato in massa l'audizione: Di Tella, Sebastiani e Vielmo, infatti, non sono scatenati ambientalisti, né tre persone qualunque, ma probabilmente i tre massimi esperti italiani in progettazioni off shore, una vita professionale spesa nella Tecnomare a realizzare piattaforme oceaniche e le più diverse tecnologie marine in giro per il mondo, sopra e sotto l'acqua.
«Il Mose emerge contro corrente», ha spiegato Di Tella, evidenziando come la risultante tra la spinta netta di galleggiamento sulle paratoie, che si innalzano svuotandosi con pompe di aria compressa dei quasi 2 mila metri cubi d'acqua che le tengono a riposo sul fondo, e la spinta del battente di marea si traduca in una inversione dei carichi sui giunti che fissano i portelloni ai loro alloggiamenti. «La paratoia - ha insomma tradotto Di Tella - tende a strappare le sue cerniere, e sono pronto a discuterlo a tutti i livelli».
C'è, insomma, la possibilità di ribaltamento delle paratoie, e ciò ha imposto al progettista, Alberto Scotti, di prevedere delle strutture a collasso determinato che possano rompersi prima che cedano le paratoie, allagando tutto il tunnel di servizio e mettendo in crisi l'intero sistema. «Se Scotti ci facesse avere un suo curriculum - ha polemizzato Di Tella - dimostrandoci quante strutture off shore ha progettato in vita sua, forse capiremmo qualcosa di più».
Secondo Di Tella, il peso delle paratoie, sovradimensionate per evitare problemi di risonanza con le onde del mare, la necessità di enormi e non sperimentati connettori meccanici, il fatto che la loro gestione richieda un continuo e controllato pompaggio d'aria, hanno imposto il tunnel, 12 mila pali in cemento per le fondazioni per evitare cedimenti, ciclopiche spalle di sostegno, l'isola davanti al Bacàn, una centrale elettrica da 10 mila megawatt, i cantieri di costruzione a Malamocco, la conca di navigazione, il dragaggio di milioni di metri cubi di fondali, la demolizione delle dighe foranee. «Tutto - ha sottolineato Di Tella - tranne che graduale, sperimentale, reversibile come richiesto dalla legge».
Nel progetto Di Tella, invece, le paratoie a gravità si innalzano con la marea, restando zavorrate tranne una piccola camera di manovra che, svuotata di appena 50 tonnellate d'acqua con banali compressori, mette il sistema in movimento. «È il livello dell'acqua che fa salire le paratoie - ha spiegato il progettista -, il sistema è intrinsecamente stabile, non serve alcun controllo perché non dobbiamo lottare con la corrente, anche nel peggior dislivello di marea non c'è inversione di carico sulle cerniere». Dunque, tutto più leggero, più agile, adattabile ai fondali esistenti, realizzabile in un normale cantiere navale con tecnologie sperimentate e affidabili, installabile a pezzi.
A materiali e costi unitari analoghi, il Mose2 richiederebbe 2 anni di lavori contro 8 del Mose e costerebbe 1382 milioni di euro contro 2296 (2070 ha precisato Di Tella contro 3440 se venissero applicati i «mai visti» corrispettivi e gli oneri aggiuntivi del 50 per cento calcolati dal Consorzio), ma in acciaio e a gara d'appalto costerebbe 402,5 milioni di euro contro i 753,6 dei lavori in concessione unitaria al Consorzio. «Il Comune chiederà un confronto pubblico tra i due progetti nelle massime sedi», ha concluso la Commissione, ed è curioso che il Magistrato alle Acque, a cui Di Tella ha chiesto a luglio e a dicembre del 2003 di presentare il suo progetto, non abbia mai neppure risposto.
Critiche anche al Terminal petrolifero
(S.T.) All'ing. Alberto Scotti, progettista del Mose, ieri devono essere fischiate le orecchie. Gli ingegneri Vincenzo Di Tella e Paolo Vielmo, infatti, non hanno solo attaccato la sua creatura (vedi servizio qui sopra ), ma hanno anche pesantemente criticato con una nota il suo progetto per la realizzazione di un terminal petrolifero in mare. «Un progetto - hanno scritto - che si basa su soluzioni inusuali rispetto a tecnologie sperimentate e consolidate senza motivarne la scelta, carente per quanto riguarda le procedure operative per la gestione del terminale e la realizzazione delle condotte sia nella parte in laguna che in mare».
I due tecnici ex Tecnomare hanno sostenuto che non sono state esaminate soluzioni flessibili negli obiettivi, nei tempi di realizzazione e nei costi, e che dai dati meteo e dalle elaborazioni presentate si evince una discutibile determinazione delle condizioni estreme di progetto per le opere civili. «Il progetto - hanno sottolineato - esamina solo condizioni estreme per le opere civili, e non prende in considerazione le condizioni ambientali limite per le manovre di entrata nel porto e accosto agli attracchi».
La soluzione progettuale, hanno poi aggiunto Di Tella e Vielmo, non è mai messa in discussione e data come la migliore possibile. «Una soluzione del tutto inusuale di un megaporto off shore - hanno sostenuto -, e condotte in un tunnel a pressione atmosferica, con i costi di investimento così elevati e senza un'analisi dei rischi e una stima dei costi di gestione, richiede per legge un confronto tecnico/economico con soluzioni classiche di ormeggio a punto singolo, per il terminale off shore, e di condotte sottomarine interrate o protette in ambiente bagnato ("Wet") anche per la parte lagunare».
I due ingegneri hanno illustrato brevemente le più classiche soluzioni alternative suggerendo, per il terminal, di chiedere referenze alle tre ditte più conosciute al mondo, la Sbm di Monaco, la Bluewater olandese, la Sofec americana, e per le condotte ai leader mondiali che sono invece le italiane Saipem e Snamprogetti.
Raccolta firme in Parlamento per chiedere l’intervento dell’Ue
VENEZIA. Due cannonate contro il Mose. Un appello all’Europa e la richiesta - senza precedenti - di annullare una delibera del Comitatone. Il deputato veneziano dei Ds Michele Vianello alza il tiro. E annuncia iniziative clamorose per fermare una procedura definita «illegittima».
Vianello, ex vicesindaco silurato dal sindaco Paolo Costa - con la «non opposizione» del suo partito - ora si prende la rivincita. E vuole dimostrare che gli allarmi lanciati erano fondati. La scelta del luogo, il Municipio, ha anche un valore simbolico, dal momento che il Comune un anno fa aveva votato a favore della delibera che dava il via libera al Mose. Ieri Vianello si è presentato con il portavoce nazionale della Sinistra ecologista Sergio Gentili e con il responsabile nazionale Infrastrutture dei Ds, capogruppo in commissione Ambiente, Fabrizio Vigni.
La clamorosa novità consiste nell’intenzione, annunciata ieri da Vianello e appoggiata da Vigni e Gentili, di presentare un ricorso per impugnare la delibera del Comitatone del 3 aprile 2003. «Sono state commesse tre pesanti violazioni di legge», accusa il parlamentare. La prima, quella di aver autorizzato quel giorno il passaggio alla fase esecutiva del Mose e la sua realizzazione senza che ci fossero tutti i pareri di legge. La dimostrazione, secondo il deputato Ds, è che l’ultimo, contestato via libera, è arrivato pochi giorni fa dalla Salvaguardia. «Adesso chiederò di acquisire i verbali del Cipe», spiega, «il Comitato per la programmazione economica presieduto dal ministro Lunardi che ha autorizzato i finanziamenti al Mose. Come ha potuto se il Cipe delibera solo a procedura conclusa?» La seconda violazione, spiega Vianello, riguarda l’articolo 3 della legge 139 del 1992. Quello inserito con emendamento del veneziano Sergio Vazzoler che subordinava l’uso dei fondi per il progetto Mose a «un adeguato avanzamento degli altri interventi di riequilibrio». «Anche questo non è stato fatto», accusa Vianello, «hanno guardato solo quanti soldi sono stati spesi, ed è un precedente gravissimo». Terza violazione di legge, la Valutazione di Impatto ambientale. «La più importante opera di ingegneria ambientale d’Europa viene approvata senza la Via, è una forzatura inaccettabile». Per questo Vianello intende ora con l’appoggio delle associazioni «invalidare» la seduta del Comitatone. Non basta. «Abbiamo raccolto già molte firme di colleghi parlamentari di tutti i partiti», dice Vianello, «e chiederemo ufficialmente alla commissaria europea Walstrom di aprire una procedura, e di approfondire le questioni già sollevate dal Wwf».
«Questo governo gioca la sua immagine sulle grandi opere», dice Fabrizio Vigni, responsabile nazionale dei Ds per le Infrastrutture «ma con questo flusso di finanziamenti le 276 opere promesse saranno concluse nel 2079. dei 126 miliardi di euro necessari ne sono stati stanziati solo 5,3. Non si possono aprire cantieri senza avere i soldi per finire l’opera. Questa è una politica improntata all’affarismo e non al rispetto dell’ambiente». Un concetto ripreso da Sergio Gentili, portavoce della Sinistra ecologista. «Per noi il Mose è un’opera sbagliata, che non risolve i problemi dell’acqua alta», dice, «per risolvere il problema non si può intervenire solo in ternmini idraulici, bisogna affrontare le cause del dissesto lagunare. Ma questo non fa parte della cultura di questo governo che usa il patrimonio ambientale in termini mercantili, come il condono e la svendita del patrimonio culturale». Nei prossimi giorni, gli avvocati della Sinistra ecologista metteranno a punto il ricorso. E la richiesta dei parlamentari di bloccare l’iter sarà inviata in Europa.
ALBERTO VITUCCI
VENEZIA. «La procedura adottata per dare il via libera al Mose è illegittima». La prima segnalazione, scritta, era arrivata al Magistrato alle Acque dal direttore generale del ministero per l’Ambiente Bruno Agricola. Alla fine del 2002, alla vigilia del Comitatone che avrebbe approvato il progetto Mose, Agricola aveva inviato una lettera che certificava l’obbligo, previsto dalla legge, di concludere la Valutazione di Impatto ambientale nazionale. Il Comitatone aveva deciso diversamente, affidando per la prima volta la Via alla Regione. Anche all’Ambiente c’erano state valutazioni differenti. Il ministro Altero Matteoli, che pure aveva criticato il progetto, aveva poi votato il via libera al Mose e dichiarato di «non riconoscersi» nelle posizioni espresse in Salvaguardia dal suo rappresentante, il docente Iuav Stefano Boato. «Ho fatto il mio dovere», ha risposto Boato, «sottoponendo alla commissione documenti che dovevano essere valutati per dare un giudizio di merito. Ma si è deciso di passare subito al voto, senza neanche una proposta di parere. Anche il presidente Galan mi ha dato atto della mia correttezza». (a.v.)
E' sperimentale, graduale, reversibile
22 gennaio 2005
È sperimentale, graduale, reversibile, come vuole la legge, ma soprattutto è "stagionale": si mette d'inverno, quando serve, e d'estate si toglie. Costa dieci volte meno del Mose (450 milioni di euro contro 4700 milioni), e si realizza in due anni e non in otto, mettendo da subito Venezia al riparo dall'acqua alta; non abbisogna di milioni di metri cubi di cemento, né di migliaia di pali infissi nel fondale, né di sbancamenti delle bocche di porto, ma solamente di spalle autoaffondanti in calcestruzzo (removibili), e della posa di un materasso antierosione di georete; infine può fronteggiare qualsiasi innalzamento del livello medio del mare che i lidi e la costa possano reggere, semplicemente aumentando lo spessore del materasso antierosione.
Stiamo parlando di Arca (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta), l'anti Mose che stamane verrà presentato anche con animazioni dalle 10 nella Sala del Piovego di Palazzo Ducale, con interventi di Paolo Pirazzoli (ricercatore del Cnr francese) sugli scenari futuri dell'eustatismo e di George Umgiesser (Cnr Venezia) sui problemi idrodinamici. Seguirà un dibattito moderato dal prof. Bruno Rosada.
Arca è stato ideato da Antonio Ieno, un Carneade, accusano gli oppositori, ma dalla grande e lucida determinazione, la cui intuizione è stata poi tradotta in un progetto dall'aria assai solida dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere Marittime all'Università di Padova e componente dello staff che realizzò Voltabarozzo, e dagli ingegneri Giorgio La Valle (Strutture navali) e Filippo Valenti (Relazioni tecniche), con la collaborazione di Pirazzoli e Umgiesser. La progettazione delle automazioni è della Siemens Spa.
«In sostanza - ha spiegato ieri De Santis - si tratta di vere e proprie navi autoaffondanti di 120 metri, trainabili, in acciaio al carbonio». Esse andranno portate alle bocche di porto, il cui fondale dovrà essere preventivamente regolato portandolo a 9.50 metri al Lido, a 12 metri a Malamocco, a 8.50 a Chioggia, e lì verranno allineate tra di loro e incernierate su piloni che altro non sono che scafi autoaffondanti più piccoli. In condizioni normali, le navi stanno alla fonda lasciando ad esempio al Lido tre varchi di 190 metri ciascuno, poi al crescere della marea vengono ruotate di 90 gradi grazie a due eliche intubate trasversali ciascuna, e affondate con acqua, come i sommergibili. Una volta posate sul fondale, sul quale saranno state sagomate, le navi diverranno delle vere dighe contro la marea (vedi foto), potendo servire per acque alte fino a 2.50 metri. «E le eliche trasversali, pompando fuori ciascuna 30 metri cubi al secondo, possono ridurre di 6 millimetri all'ora il livello dell'acqua in laguna, tanta quanta ne piovve il 4 novembre del '66», ha sottolineato Pirazzoli.
«Il sistema - ha spiegato Ieno - consente chiusure parzializzate, a seconda dei livelli di marea». La navigazione resta garantita su tutte le bocche fino a 125 centimetri, chiudendo solo alcuni varchi, poi oltre i 125 centimetri resta garantita solo a Malamocco, mentre a 128 centimetri si chiudono tutte le bocche. «Sulla base delle statistiche di marea dal 1983 al 2002 - ha sottolineato Ieno - le chiusure totali sarebbero state solo 9»
Il progetto è stato presentato anche al Magistrato alle Acque. «Nessuna risposta - ha polemizzato Ieno, e scarsa attenzione è venuta anche dal Comune».
Davide contro Golia
23 gennaio 2004
Davide contro Golia. Ovvero Arca contro il Mose. Potrebbe riassumersi così il senso della presentazione alla città, ieri nella sala del Piovego di Palazzo Ducale, del progetto di chiusure mobili alle bocche di porto alternativo al Mose, ideato da Antonio Ieno e tradotto in forma progettuale da uno staff coordinato dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere marittime all'Università di Padova. Del tutto assenti le istituzioni, anche se Gianfranco Bettin e Flavio Dal Corso (Verdi) hanno poi chiesto di fermare il Mose e di sperimentare Arca .
Arca 2005 (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta) è l'evoluzione del progetto già presentato quattro anni fa, raffinato e perfezionato. L'idea di fondo è sempre la stessa: l'utilizzo per chiudere le bocche di porto di cassoni autoaffondanti, che nell'ipotesi originaria erano in calcestruzzo, ma che nelle successive stesure del progetto sono diventati delle vere navi in acciaio al carbonio, trainabili. D'estate se ne stanno da qualche parte alla fonda, in manutenzione, ma d'inverno vengono collocate al loro posto, per fermare l'acqua alta.
Non richiedono strutture fisse, milioni di metri cubi di cemento, migliaia di pali di fondazione, ma solo delle spalle di ancoraggio fatte però anch'esse di scafi autoaffondanti, e la stesura di un materasso antierosione dello spessore di circa 30 centimetri sul fondale delle bocche di porto, che può essere sagomato alla profondità che si crede. «Noi abbiamo scelto i limiti attualmente necessari alla navigazione», ha spiegato De Santis, ovvero 9.50 metri al Lido, 12 a Malamocco, 8.50 a Chioggia.
Le navi, alte dai 6 ai 15 metri, vengono trainate al loro posto, e incernierate su dei piloni (anch'essi scafi autoaffondanti, più piccoli) in modo da lasciare dei varchi di 190 metri: 3 al Lido; uno a Chioggia e a Malamocco più un secondo varco da 90 metri. In ogni bocca di porto, sempre con scafi autoaffondanti, vengono realizzate delle conche di navigazione per il naviglio minore. Al crescere della marea, le navi vengono ruotate di 90 gradi (come porte sui cardini) grazie a eliche trasversali intubate, e affondate come i sommergibili, imbarca ndo acqua, fino a posarsi sul fondo, diventando delle dighe. Il sistema è modulare, perché permette anche chiusure parziali. «Il tutto - ha sottolineato Ieno - entra in esercizio in 15 minuti». Il progetto, è stato spiegato, può essere realizzato in due anni, e non in 8 come il Mose, mettendo da subito al sicuro Venezia dall'acqua alta, e costa "solo" 450 milioni di euro, cioé dieci volte meno del progetto ufficiale.
Arca e Mose sono stati messi a confronto da Paolo Pirazzoli, direttore di ricerca del Cnr francese, e da George Umgiesser, modellista del Cnr veneziano. Pirazzoli ha paragonato i risultati dei due sistemi nello scenario del 4 novembre 1966, corretto secondo le previsioni degli esperti dell'Ipcc (Intergovernamental panel on Cimate change) per i quali il livello del mare potrebbe crescere di 30 cm entro il 2050, e di mezzo metro entro il 2100.
Nel '66, ha ricordato Pirazzoli la marea toccò i 194 cm, rimase per 22 ore sopra i 110, la laguna crebbe di 7 millimetri all'ora solo per la pioggia. «Col Mose - ha sostenuto ricordando la tracimazione dell'acqua tra i portelloni -, si sarebbero superati i 110 cm in laguna, con Arca non si sarebbero toccati i 90». Addirittura i 60 se con le eliche si fosse pompata l'acqua fuori dalla laguna. Col mare cresciuto di 30 cm il Mose non avrebbe garantito i 140 cm, Arca sarebbe rimasto sotto il metro; col mare cresciuto di mezzo metro, il Mose non avrebbe impedito una marea di 170 cm, Arca avrebbe tenuto a 110.
Umgiesser ha invece paragonato gli effetti dissipativi di Arca rispetto a quelli proposti nel '99 dal Comune, e poi dal Consorzio Venezia Nuova, da De Piccoli (progetto Perla), dagli 11 punti. «Tranne le lunate del Consorzio - ha detto - assolutamente inutili, tutte le proposte sono efficaci per ridurre i picchi di marea tra i 10 e i 30 centimetri, ma con Arca si può scegliere la riduzione, continuando a permettere la navigazione. Arca - ha concluso - è l'unico progetto che unisce la possibilità della chiusura totale con le opere alternative».
A proposito di quest’ultima notizia, pochi sanno che esiste un progetto, più volte presentato al Consorzio Venezia Nuova e al Magistrato alle acque, molto più morbido del MoSE e capace di raggiungere i medesimi risultati, in grado di soddisfare, a differenza del MoSE, i tre prescritti requisiti di “gradualità, flessibilità e reversibilità”, e infine molto meno costoso sia in fase di costruzione (si parla di risparmi di opere e di materiali tra il 50% e il 70%) sia, e ancor di più, in fase di gestione.
«Ricorsi? Non è il momento»
Il sindaco Costa gela le richieste degli alleati: «Le procedure vanno bene». Ma adesso potrebbe muoversi la Provincia - Bettin: «Per la Variante al Prg non sono stati così rapidi»
VENEZIA. «Il ricorso? E’ un’arma che abbiamo, la useremo nel momento più opportuno. Ma sulle procedure di questi giorni non ho niente da dire, l’accordo che abbiamo firmato a Roma è quello». E’ una vera doccia fredda quella che il sindaco Paolo Costa apre sugli alleati - in testa Ds e Verdi - che avevano chiesto di «bloccare la procedura del progetto Mose». «Io la verifica la chiederò al Comitatone», dice.
Lo «schiaffo» della Regione, che ha provocato l’uscita dall’aula al momento del voto dei rappresentanti di tutti i comuni di gronda e della Provincia, minacce di ricorsi e accuse di illegittimità, non scandalizza il sindaco. «Non ne voglio fare un uso strumentale», dice, «se qualcuno ha dubbi fondati, li avanzi». Quanto all’accordo tradito, Costa ammette che in un anno nulla si è mosso. E che i finanziamenti - a parte quelli del Mose - sono stati tagliati. «Ma la verifica si fa nell’unica sede titolata, il Comitatone», insiste Costa, «lì voglio arrivare con delle proposte». E precisa: «Non sta scritto da nessuna parte che le nostre erano condizioni vincolanti. Noi abbiamo approvato una strategia complessiva. Quel poco che abbiamo ottenuto lo porteremo a casa. Ma il progetto Mose deve andare avanti, era questo l’accordo».
Una linea che stride con le richieste pressanti da parte degli alleati di «assumere un’iniziativa per bloccare le ennesime forzature attuate sul progetto Mose da parte del presidente della Regione Giancarlo Galan. Il prosindaco Gianfranco Bettin ha presentato una interrogazione a Galan in cui chiede quali siano i motivi di una «evidente disparità di trattamento nell’esame di due pratiche in Salvaguardia». Se il Mose è stato approvato in tempo di record, senza nemmeno il tempo di esaminare il metro cubo di carte dei progetti, la Variante al Prg di Mestre ci ha messo un mese per essere trasmessa, un altro mese per fare un piano di scale ed essere protocollata. «Vorrei sapere», dice Bettin, «se Galan non ritenga di avviare un’inchiesta per verificare se vi siano state pressioni, violazioni di leggi o regolamenti e se si sia violato il principio di buona amministrazione, dato che la Variante interessa migliaia di cittadini». Una polemica per niente placata, quella sull’approvazione del progetto del Mose. Restano in piedi le minacce di ricorsi (anche sul «difetto di istruttoria» segnalato dall’avvocato Perulli, rappresentante del Comune). E ora potrebbe arrivare la richiesta di sospendere i lavori. Se non la farà il Comune, potrebbe farla la Provincia, che rappresenta tutti gli enti locali eslcusi dal voto. «Ne parleremo in giunta», dice l’assessore Ezio Da Villa. «Venezia è stata vittima di una forzatura politica», dice il vicepresidente Zoggia, «e di vendetta di chi non è riuscito a trovare ascolto in città. Ci attiveremo perché siano assunte tutte le iniziative a tutela del bene laguna».
«Perché insistere sulle dighe mobili senza valutare in modo approfondito soluzioni alternative al Mose?» Italia Nostra, l’associazione per la tutela del territorio, ha scritto un appello a Comune e Provincia, invitandoli a riflettere bene prima di dare il via a un progetto di quella portata. Il presidente della sezione veneziana Alvise Benedetti si dice «sempre più preoccupato per le decisioni assunte in questi giorni sul cosiddetto sistema Mose». Ricorda che esistono interventi alternativi (come i rialzi dei fondali, i pennelli, l’apertura delle valli, che possono proteggere per i prossimi venti-trent’anni la città dal 95 per cento delle acque medio alte.
Ma anche in tema di acque alte eccezionali - quelle sopra i 110 centimetri mai viste nel 2003 per cui il Mose è stato progettato - esistono soluzioni diverse da quelle proposte dal Consozio Venezia Nuova. Italia Nostra precisa che «non si tratta di sponsorizzare un progetto o l’altro», ma è dovere dell’associazione quello di sottoporre a chi ha la responsabilità di decisioni «il massimo delle conoscenze tecnico scientifiche, fino ad oggi puntate su un unico progetto».
Il progetto da esaminare con attenzione, secondo Italia Nostra, è quello illustrato qualche tempo fa dall’ingegner Vincenzo Di Tella, esperto di costruzioni marine. Che prevede in sostanza una chiusura parziale (ma reversibile, a differenza del Mose) delle bocche di porto, e il rialzo dei fondali nella parte rimanente della bocca. Vi sono anche altri progetti alternativi sul tavolo, fino ad oggi mai esaminati. «Questo», conclude Benedetti, «risponde alle condizioni di legge che prevedono opere sperimentali, graduali e reversibili». (a.v.)
VENEZIA. Non solo dighe. Il Mose prevede anche spalle in cemento e sbancamenti di milioni di metri cubi di materiale, tagli ai moli foranei ottocenteschi, grandi isole artificiali ed edifici costruiti in mezzo alle bocche di porto. Un impatto ambientale notevole, tra le osservazioni negative fatte dalla commissione Via che aveva bocciato il progetto nel 1999. Ma adesso il Mose va avanti. E l’unica osservazione di tipo «ambientale» arrivata dal ministero dei Beni culturali è stata quella di «porre attenzione nella tipologia dei nuovi edifici».
Per questo il Consorzio Venezia Nuova ha già dato incarico all’Iuav, la facoltà di architettura, di progettare gli edifici che dovranno sorgere in mezzo alla laguna. «Un incarico che abbiamo accettato», spiega il rettore dell’Iuav Marino Folin, «perché io sono convinto che se il Mose si farà almeno conviene farlo nel modo migliore possibile». L’Ufficio studi e progetti dell’Iuav ha già messo al lavoro i suoi esperti, ingegneri e architetti, per poter dare una risposta afeguata.
Nel progetto definitivo approvato in tempo di record dalla commissione di Salvaguardia sono previsti tra l’altro gli interventi di supporto alle paratoie. E’ il caso della grande isola artificiale davanti al bacàn di Sant’Erasmo, alta quattro metri, che dovrà agganciare le due file di paratoie da una parte e dall’altra della bocca di Lido. E ospitare i nuovi «edifici di controllo», le torrette di regia da dove dovrebbero in futuro essere azionate e controllate le paratoie. Ci sono anche i cantieri a terra, con le costruzioni «provvisorie» (dureranno però per i circa dieci anni di lavori) e gli altri edifici. Costruzioni che modificheranno radicalmente lo sky-line delle bocche di porto. E che il Consorzio Venezia Nuova vuole ora «mitigare» affidando il progetto alla facoltà di architettura. (a.v.)
Mose, il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar
Il Consiglio di Stato ha dato ragione al Consorzio Venezia Nuova (un consorzio di imprese di costruzione cui lo Stato ha delegato lo studio, la sperimentazione, la progettazione e l’esecuzione di tutte le opere per la salvaguardia della Laguna di Venezia): il vero Potere che, nell’assenza o nella complicità di quelli istituzionali, governa la città più bella del mondo. Le informazioni sono da la Nuova Venezia del 21 e 22 dicembre 2004
(21 dicembre) Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar Veneto sul Mose. L’iter delle apporvazioni, secondo i giudici romani, sarebbe stato regolare. Ma il Codacons, l’associazione in difesa dei Consumetori, annuncia un nuovo ricorso all’Europa. «E’ un’opera inutile, che non risolverà il problema delle acque alte, stravolgerà l’ambiente e peserà sulle casse dello Stato», dice il presidente nazionale del Codacons, avvocato Carlo Rienzi.
Una storia che non è finita, quella della grande opera. Sabato il congresso provinciale dei Ds ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che invita il Comune a fare marcia indietro sulla salvaguardia, e a recuperare un ruolo da protagonista nella vicenda. E i dubbi sulla grande opera aumentano. Intanto però i cantieri proseguono spediti, A Punta Sabbioni è nato un nuovo comitato («I danni del Mose») che chiede di sapere cosa succederà al loro territorio. A Ca’ Roman gli ambientalisti della Lipu protestano perché l’oasi naturalistica sarà presto invasa dai cantieri. A Santa Maria del Mare è previsto il taglio della diga ottocentesca per realizzare l’enorme conca di navigazione. A Sant’Erasmo già si lavora ai fondali dell’isola artificiale da 7 ettari e mezzo che sorgerà davanti al bacàn. I progetti già in parte approvati prevedono lavori per 4 miliardi di euro e alle tre bocche una colata di milioni di metri cubi di cemento. Così il Codacons, come già le associazioni ambientaliste, hanno fatto ricorso all’Europa. (a.v.)
«Sul Mose ricorso alla Corte europea»
(22 dicembre) «Siamo stupefatti da questa sentenza che dà il via libera al Consorzio Venezia Nuova senza nemmeno considerare le normative europee e le alternative possibili». All’indomani della sentenza del Consiglio di Stato, che ha respinto in blocco i ricorsi contro le procedure di approvazione del progetto Mose, ambientalisti e Codacons annunciano un ricorso alla Corte europea. «Rischiano di stravolgere l’intero ecosistema lagunare senza risolvere il problema delle acque alte», protesta il responsabile nazionale del Wwf Stefano Lenzi, «c’erano soluzioni più economiche e reversibili che avrebbero permesso di affrontare il problema senza distruggere la laguna».
Di segno opposto il commento del presidente del Veneto Giancarlo Galan. «Il sindaco Costa ora dovrebbe chiedere i danni ai suoi assessori che lo hanno costretto a fare un ricorso assurdo», dice Galan, «la grande opera è partita e Venezia tra qualche anno sarà al riparo dalle acque alte eccezionali».
Una battaglia che continua in sede politica. I Ds hanno approvato al loro congresso un ordine del giorno che impegna la prossima amministrazione a «cambiare registro sulla salvaguardIa». «Il Mose è la madre di tutti gli sprechi», commenta la deputata dei Verdi Luana Zanella, «non risolverà il problema delle acque alte ma in compneso comprometterà l’attività del porto e provocherà seri problemi alla laguna».
Intanto l’iter del grande progetto va avanti. Sono decine i Grandi cantieri approvati in questi giorni dal Comitato tecnico di magistratura e dalla commissione di Impatto ambientale della Regione. Saranno installati dal Consorzio Venezia alle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Alberoni. Si comincia con le dighe foranee (già ultimate a Malamocco) e con i porti rifugio, in costruzione a Chioggia e a Punta Sabbioni. Nel litorale intanto si è costituito un nuovo comitato che si chiama «I danni del Mose», ed è intenzionato a battersi per cercare di ridurre al minimo il devastante impatto delle opere sul territorio. Un’opera che il governo ha inserito nella Legge Obiettivo, saltando così le procedure previste dalla Legge Speciale e affidando la Valutazione di Impatto alla Regione. (a.v.)
La necessità istituzionale di dare un parere su una delle opere del Sistema MoSE (la “lunata”, una gigantesca diga in pietrame, lunga un chilometro e alta 4 metri sul livello del medio mare, da realizzare davanti alla Bocca di Lido) ha indotto il Consiglio comunale di Venezia a riesaminare la sua posizione sul MoSE. Nonostante i compromessi dovuti alla presenza, nella stessa maggioranza di centro-sinistra, di esponenti non contrari al MoSE, il documento votato dal Consiglio testimonia la volontà di prendere atto della debolezza della posizione assunta in precedenza (vedi i documenti dell’aprile 2003, in questa stessa cartella). E di passare da un “si condizionato” al MoSE a un netto No.
Il Gazzettino, 5 dicembre 2003
La nuova lunata è arrivata all'esame di Ca' Farsetti
Il progettista, Alberto Scotti, e i tecnici del Consorzio Venezia Nuova hanno illustrato ieri a Ca' Farsetti, in Commissione Ambiente (presidente il verde Flavio Dal Corso), la seconda versione dell'intervento di dissipazione della marea alla bocca di porto del Lido, nell'ambito del processo di Valutazione di impatto ambientale nel quale anche il Comune è tenuto a dare il suo parere.
Si tratta, come si ricorderà, di una grande "lunata ", di una diga in pietrame davanti alla bocca di San Nicolò, che la Commissione Via della Regione l'anno scorso aveva bocciato, e che il Consorzio ha recentemente ripresentato, modificando le prime ipotesi. La diga, inizialmente progettata di 1400 metri e con una particolare inclinazione rispetto alla costa, è stata ridotta a 1000 metri, e diversamente orientata, senza che ne vengano mutati gli effetti di riduzione della marea.«Il nodo - ha spiegato Scotti indicando il manufatto in pianta - è tutto nella testata Ovest». Quella è rimasta esattamente come era nel progetto originario, e non la si è spostata neppure di pochi metri, a differenza del resto della diga che attorno a questo caposaldo è ruotata come un compasso, e i modelli avrebbero dimostrato che così, anche accorciando la lunata , i risultati di dissipazione di marea non cambiavano.
La diga verrà eretta su un fondale tra gli 8 e i 10 metri, e sarà alta sull'acqua 4 metri. Costerà oltre 25 milioni di euro. Ridotto, secondo i tecnici del Consorzio, il possibile danno sulla qualità delle acque lungo i litorali, anche grazie a due interventi di fitodepurazione nel canale Silone e in aree barenose della laguna, che dovrebbero ciascuno ridurre l'apporto di fosforo di 80 tonnellate l'anno.
Andreina Zitelli, già componente della Commissione Via nazionale, ha ricordato che la delibera del Comitatone sugli 11 punti del Comune imponesse lo sviluppo progettuale di "tutti" gli interventi chiesti alla bocca di Lido dal consiglio comunale. «Questo è solo lo sviluppo di un progetto avvenuto prima - ha detto -. Dov'è il resto»? «Non ci sono altri interventi», hanno replicato i tecnici del Consorzio, rimandando ad altre trattative col Comune.
A Ca' Farsetti sono poi rimasti sì e no una ventina di giorni per dare un parere sul progetto di terminale petrolifero in mare, di cui Magistrato alle Acque & Consorzio hanno avviato la procedura di Via nazionale, visto che Venezia è stata considerata come un qualsiasi altro interlocutore non istituzionale. Al riguardo, il parlamentare diessino Michele Vianello ha chiesto al ministro Pietro Lunardi come intenda coinvolgere il Comune nella procedura, e con quali fondi intenda realizzare il terminale, dato che per la Salvaguardia la Finanziaria non prevede poste di bilancio.
Da ultimo, il Governo con un decreto sta cercando di porre rimedio alla bocciatura, subita al Tar, per il siluramento dei vecchi componenti della Commissione Via nazionale, tra cui le veneziane Zitelli e Maria Rosa Vittadini, ma al Senato è già battaglia.
Il Gazzettino, 5 dicembre 2003
«Si torni in Comitatone». È questo il grido di dolore
«Si torni in Comitatone». È questo il grido di dolore lanciato ieri dal consiglio comunale con un ordine del giorno, votato ovviamente a maggioranza, in cui si sottolinea «il perdurante inadempimento dello Stato agli impegni asssunti in sede di Comitatone, per il mancato assolvimento delle richieste già dettate dal consiglio comunale nell'ordine del giorno del 1. aprile 2003 come condizioni preliminari alla realizzazione delle opere mobili».
Tradotto: il consiglio comunale ha "scoperto" che dei famosi 11 punti con i quali il suo no al Mose si era magicamente tramutato ad aprile in un sì, 11 sono stati finora disattesi, mentre la "lunata " davanti a Malamocco sta ormai affiorando dal mare e il ricorso del Comune al Tar contro la Valutazione di impatto ambientale della Regione sul progetto della diga, non accompagnato a suo tempo da una richiesta di sospensiva, dorme da qualche parte.
«Si torni dunque in Comitatone», ha votato ieri il consiglio, dopo che la mozione stesa originariamente dall'assessore alla Legge speciale, Giampaolo Sprocati, aveva subìto limature e modifiche a più mani, e soprattutto una sostanziale cancellatura, proposta dall'assessore ai Lavori pubblici, Marco Corsini, e accettata dalla maggioranza. La versione originale, infatti, sosteneva che poiché degli 11 punti il Governo se n'era fatto un baffo, il sì al Mose tornava no, e si chiedeva che non venisse più autorizzato il passaggio alla progettazione esecutiva.
«Questo - ha poi spiegato il presidente della commissione Legge speciale, Flavio Dal Corso (Verdi) - lo faremo appunto in Comitatone». Per questa ragione, il Comune stilerà ora un corposo documento col quale, forte anche dei pareri e delle relazioni del consulenti del gruppo di lavoro, verrà dimostrato come e qualmente gli 11 punti siano stati disattesi. Il tema degli 11 punti è stato introdotto nell'articolata mozione con la quale il consiglio comunale ha bocciato, nell'ambito della procedura di Via regionale, il progetto della "lunata " a mare davanti alla bocca di porto del Lido che il Consorzio ha recentemente ripresentato in sostituzione di quello già respinto anche dalla Regione l'anno scorso. Si tratta di un'opera che dovrebbe dare effetti dissipativi della marea, cioé abbatterne i picchi, «ma il risultato - ha polemizzato Sprocati - è ridicolo, calcolabile in pochi millimetricon grande spreco di risorse pubbliche per un intervento che, così com'è, non ha senso di essere realizzato».
Sprocati, e con lui tutta la maggioranza, ha rilanciato invece l'approccio sistemico ai problemi della laguna. «Bisogna sperimentare le opere removibili, mobili» ha sostenuto Sandro Bergantin (Città nuova) rilanciando il principale degli 11 punti. «Qui ci prendono in giro», ha concluso Gianni Gusso (Ds), e la maggioranza ha votato compatta (24 sì, 12 no) anche se Saverio Centenaro (Fi) aveva irriso ai consulenti del Comune, arrivando a parlare di spese illegittime. Renato Darsié (Ci) ha duramente polemizzato per l'assenza del sindaco al momento del voto. Con 23 sì, 1 astenuto e soli 3 no (l'opposizione non ha votato) è stato bocciato anche il progetto del terminale petroli davanti a Malamocco, poi tutti a casa perché il Gruppo Misto ha lasciato l'aula, polemizzando per come era finito il voto sulla cartolarizzazione (vedi sopra), e la minoranza ha fatto saltare il numero legale.
La Nuova Venezia, 23 dicembre 2003
Bocciata la diga al largo del Lido
VENEZIA. Lo Stato è inadempiente sulla salvaguardia e non ha mantenuto gli impegni. La diga al Lido è inutile, e potrà provocare danni ambientali. Il Consiglio comunale rompe gli indugi e boccia a larga maggioranza i progetti delle nuove dighe al largo del Lido.
Un messaggio chiaro al governo, dopo quasi un anno di indugi. E una presa di posizione che potrebbe cambiare il corso della salvaguardia. Il via libera al progetto esecutivo del Mose era stato dato, nel dicembre 2002, con 11 condizioni «preliminari». Invece le richieste non sono state accolte. Così il Comune chiede ora di riconvocare il Comitatone per «verificare lo stato di attuazione delle attività del Magistrato alle Acque rispetto agli adempimenti fissati dal Comitatone in base alle richieste del Consiglio». Parere negativo anche sulla soluzione proposta dal Consorzio Venezia Nuova per le dighe al largo del Lido. Un chilometro di massi e una barriera alta quattro metri che avrebbe dovuto ostacolare l’ingresso dell’acqua in laguna. Ma il Consiglio ha ieri fatto proprio il giudizio espresso dalla commissione tecnica di Ca’ Farsetti. «Risulta totalmente insufficiente», si legge nel documento apoprovato ieri sera dall’assemblea, «e inoltre non risolve adeguatamente le problematiche ambientali».
Un documento duro, anche se la versione originale redatta dall’assessore alla Legge Speciale Paolo Sprocati è stata in parte limata. L’assessore Marco Corsini ha voluto aggiungere un passaggio che ricordava il ricorso al Tar sulle procedure dell’anno scorso (peraltro mai esaminato dal Tar perché il Comune non ha mai presentato la sospensiva). Ma ha modificato la parte che chiedeva di fermare la progettazione esecutiva fino alla messa in atto delle sperimentazioni chieste dal Comune. Cioè il «restringimento delle bocche con opere rimovibili e l’innalzamento dei fondali, senza creare problemi alla navigazione». Interventi di cui, secondo il Comune, bisognerebbe verificare i risultati prima di passare alla progettazione del Mose. «Il concetto è lo stesso», hanno garantito Ds e rossoverdi. Un ulteriore attacco al governo è stato votato sulla parte finanziaria, dopo il taglio dei fondi per la manutenzione ordinaria attuato - per la prima volta - dalla legge Finanziaria 2003.
Approvata ieri sera dal Consiglio comunale anche la delibera sulla cartolarizzazione. 25 milioni di euro di incassi previsti, a fronte della vendita di case, magazzini e palazzi di pregio (Ca’ Zaguri, Ca’ Nani, palazzo Costa) da affidare a una agenzia olandese che li metta sul mercato.
Proteste in aula da parte dei genitori dei bambini in attesa di un posto agli asili nido. E da parte di Zona bandita, un centro sociale che ha sede nella palestra della scuola. Il presidente del Consiglio di quartiere 1 Enzo Castelli ha preso la parola per esprimere «preoccupazione su una scelta sbagliata». «Prendo atto», dice, «che si è deciso di sottrarre spazi alle scuole». Qualche protesta anche da Rifondazione, che poi si è accontentata di un ordine del giorno che promette nuovi spazi. Pietrangelo Pettenò e Andreina Corso non hanno votato la delibera. «Un disguido tecnico» ha detto Pettenò. Alla fine, il provvedimento è passato con 22 voti a favore, 7 no e un astenuto (Bonafé).
La giunta ha deciso contro il parere del sindaco. E’ la prima volta in cinque anni, e su una questione non proprio secondaria come il progetto Mose. Il ricorso al Consiglio di Stato si farà, anche se Paolo Costa non avrebbe voluto. Uno schiaffo che non modifica la rotta del primo cittadino. «Il siluro si è infranto sulla corazzata», scherza Costa, «il ricorso è un atto irrilevante, e anche inutile. Non sposta di un ette la politica del Comune sulla salvaguardia e la coerenza di quanto abbiamo fatto finora».
Una sicurezza che però non modifica la situazione di grande tensione all’interno del centrosinistra sulla questone Mose. I prossimi giorni saranno decisivi. Perché il governo Berlusconi ha convocato per il 22 ottobre il Comitatone a Roma. E venerdì il Consiglio comunale dovrà dare il suo parere sulla questione dei cantieri per la costruzione dei cassoni del Mose, che il Consorzio Venezia Nuova vuole aprire a Santa Maria del Mare e Ca’ Roman. Ma due anni dopo il Comitatone che diede il via libera al Mose (nonostante il parere contrario del Consiglio comunale) gli unici interventi che procedono spediti sono quelli delle grandi dighe. Per il resto non ci sono progetti né finanziamenti. Ma sulla prossima riunione del 22 ottobre Costa ripone buone speranze.
«Mi aspetto che il governo dimostri la stessa leale collabotrazione che abbiamo dimostrato noi», dice. Basteranno un po’ di soldi tolti al progetto Mose (che ha avuto 709 milioni di euro dal Cipe, mentre la Finanziaria non ha stanziato nemmeno una lira per la città) ad accontentare il Comune?
Costa prende fiato. «Ci aspettiamo anche risposte sulle sperimentazioni promesse sui fondali. Ma è bene chiarire che quelle sperimentazioni sono inserite nel Mose. Nessuno può pensare che siano alternative. Sono interventi complementari che ridurranno l’impiego del Mose. Quello è il patto che abbiamo sottoscritto». Eccola la divisione, sempre più profonda, tra Costa e la sua maggioranza. Mentre sono sempre di più coloro che nel centrosinistra chiedono la «revisione del progetto Mose», il sindaco non nasconde di essere a favore delle grandi dighe. Una posizione che a dispetto degli alleati porta avanti con coerenza, da quando era ministro dei Lavori pubblici con il governo Prodi. Ecco il motivo della resistenza a presentare il ricorso al Tar, e della soddisfazione con cui lo stesso Costa aveva accolto la discussa bocciatura da parte dei giudici amministrativi veneti di tutti i ricorsi presentati dalle associazioni, dalla Provincia e dallo stesso Comune. Così il Comune ha tirato in lungo. Mentre Ca’ Corner, Italia Nostra e Wwf hanno depositato da tempo il loro ricorso, la giunta comunale è arrivata a discuterne l’altro ieri, a tre giorni dalla scadenza dei termini. Decisione presa a maggioranza, su proposta dell’assessore alla Legge Speciale Paolo Sprocati, del viccesindaco Mognato e dell’assessore all’Ambiente Paolo Cacciari. Il sindaco ha dichiarato il suo parere contrario, poi si è astenuto, insieme a Ugo Campaner e Loredana Celegato, assenti Marco Corsini e Giorgio Orsoni.
«Decisione inutile», ripete, «invece di perdere tutto questo tempo a mettere ostacoli si facciano proposte. Non vedo proposte che non siano per ritardare l’avvio del Mose». Una tesi che pochi, nella sua maggioranza condividono. C’è anche chi (Ds, Verdi, Rifondazione, Gruppo Misto), propone la linea dura. Cioè di rimettere in discussione la delibera del 3 aprile. perché attuata «senza rispettare le condizioni poste dal Comune». Un atto già impugnato alla Corte dell’Aja da 150 parlamentari del centrosinistra, su iniziativa del deputato Ds Michele Vianello. Clima che si riscalda, mentre la legittimità del Mose torna sotto i riflettori. Poteva un’opera così enorme essere approvata prima di ottenere il via libera della Salvaguardia, senza la Valutazione di impatto ambientale nazionale? Lo decideranno adesso i giudici del Consiglio di Stato.
Chi è serio si dimetta,
Ufficio di piano sotto tiro
VENEZIA. Un Ufficio di piano alternativo. Una sorta di governo ombra, composto di tecnici indipendenti, che possano fornire indicazioni tecniche sui progetti della salvaguardia. E’ la proposta provocatoria, avanzata dal capogruppo di Rifondazione a Ca’ Farsetti Pietrangelo Pettenò. «Hanno tradito i patti, quello è un gruppo di tifosi del Mose, in larga parte consulenti del Consorzio Venezia Nuova», accusa Pettenò. Che invita «le persone serie» nominate dal governo nell’Ufficio di Piano a dimettersi. «Hanno lasciato fuori il rettore di Ca’ Foscari», tuona Pettenò, «per mettere quello che è stato sconfitto nella corsa al rettorato, hanno messo i consulenti del Consorzio e non gli esperti di idraulica come D’Alpaos».
Monta la polemica sul fronte della salvaguardia. Oggi pomeriggio a Ca’ Farsetti si svolgerà l’atteso vertice di maggioranza con il sindaco Costa. Rifondazione, ma anche Ds, verdi, Gruppo Misto e Sdi, chiedono al sindaco di chiarire gli aspetti «poco chiari» della vicenda. Una delle richieste avanzate al Comitatone dell’anno scorso era quello di istituire l’Ufficio di Piano. «Adesso aspettiamo che siano mantenuti gli altri due punti», dice il sindaco, «cioè i finanziamenti alla città e l’avvio delle sperimentazioni alle bocche di porto. Solo così potremo vedere se è sono stati mantenuti i patti. Noi abbiamo sempre dato al governo una leale collaborazione».
Ma il problema sembra sempre più complicato. Mentre gli ambientalisti attendono l’esito del ricorso al Tar contro il progetto Mose (udienza fissata per il 6 maggio) in Parlamento il deputato Michele Vianello ha presentato un’interrogazione di fuoco denunciando un probabile «conflitto di interessi» tra tutti gli studiosi nominati nell’Ufficio di Piano che hanno svolto «attività di consulenza per il Consorzio progettista delle opere».
Una battaglia aperta su più fronti. E oggi la commissione Legge Speciale presieduta da Flavio Dal Corso ha in programma l’audizione dei rappresentanti del omune in seno alla commissione di Salvaguardia. L’architetto Cristiano Gasparetto e l’avvocato Gianfranco Perulli dovranno illustrare alla commissione l’andamento della seduta della commissione di Salvaguardia che aveva approvato il progetto definitivo del Mose tra accese polemiche. (a.v.)
MOSE Comune in fibrillazione
La maggioranza "convoca" Costa
I Ds pretendono un chiarimento
(S.T.) Il deputato diessino Michele Vianello ha mandato ieri un'interrogazione ai ministri Lunardi (Infrastrutture) e Matteoli (Ambiente) sulla costituzione dell'Ufficio di Piano, ricordando l'assoluta necessità della sua neutralità, dato che tra le sue funzioni c'è la verifica tra gli indirizzi del Comitatone e l'operato del Consorzio Venezia Nuova, e dunque chiedendo «se i singoli membri dell'Ufficio di Piano abbiano svolto attività, retribuite o non retribuite, direttamente o tramite società, Istituti universitari o altri Enti, per conto del concessionario Venezia Nuova o di società appartenenti al succitato Consorzio».
Una domanda retorica, perché tra i 13 componenti dell'Ufficio nominati da Berlusconi vi è certamente chi ha avuto rapporti anche professionali col Consorzio, e comunque destinata ad avere effetti non solo a Roma, ma anche a Venezia. «Eh sì - ammette Vianello -, ho fatto l'interrogazione anche perché ora i miei devono venire allo scoperto». I Ds, infatti, sul tema generale della Salvaguardia sono stati finora tra il timido e il diviso, ma l'ultimo schiaffo dell'Ufficio di Piano - un ufficio che Gianfranco Bettin (Verdi) non ha esitato a chiamare"Del Mose" per la sua composizione - sembra avere provocato una scossa. La Quercia alla fine si è data una linea unitaria incentrata su alcuni capisaldi: sostegno ai ricorsi al Tar contro il Mose; battaglia anche nazionale a favore degli 11 punti; accelerazione sugli interventi alternativi alle bocche di porto.
E ieri il capogruppo della Quercia in consiglio comunale, Livio Marini, ha convocato al volo una riunione di maggioranza, che si è conclusa con un documento che sarà la base di un incontro a 360 gradi col sindaco sulla Salvaguardia. «L'intento - ha spiegato Sandro Bergantin (Città nuova) - è mettere Costa alle strette». Nel mirino, infatti, c'è anche il sindaco, accusato senza mezzi termini di slealtà da Rifondazione, anche per la presenza di Ignazio Musu nell'Ufficio di Piano. Una candidatura sostenuta da Costa anche dopo che il professore s'era dimesso da consigliere comunale in polemica col il documento degli 11 punti, e nonostante il no sul suo nome di Ds e Polo rossoverde per l'incompatibilità che così si era creata.
Il documenro siglato ieri avverte che l'Ufficio di Piano, anche se richiesto da sempre dal Comune, «non può prescindere da regole di rigore istituzionale», a afferma che se i suoi componenti saranno quelli anticipati dalla stampa (il decreto, infatti, non è ancora pubblicato) «ci troveremmo in presenza di soggetti che avendo svolto compiti di consulenza per enti privati sulle opere, sarebbero ora chiamati a controllare le medesime e il proprio operato». Su Musu c'è un accenno senza far nomi, e il documento si conclude indicando che il chiarimento col sindaco dovrà comprendere, in vista del Comitatone, i temi dell'integrale applicazione degli 11 punti del Comune «a partire dall'indispensabile criterio della sperimentazione alle bocche di porto».
VENEZIA — Spetta al ministro Lunardi abbattere il Mose fuorilegge. A sostenerlo è il Comune di Venezia, secondo il quale rompete al ministro delle Infrastrutture ordinare la sospensione dei lavori del sistema di barriere mobili contro l'acqua alta che lui stesso ha fatto iniziare, e disporre la demolizione delle opere costruite finora perché «difformi» rispetto a tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, comunali e regionali, oggi vigenti.
La «diffida» a Pietro Lunardi è contenuta nel dossier che il Sindaco di Venezia Massimo Cacciari ha inviato al ministro e al governatore della Regione Veneto Giancarlo Galan, sulla base di una relazione dell'architetto Giovanni Tornato, dirigente dell'ufficio comunale «Controllo del territorio». In essa si sostiene che, secondo la legge, l'articolo 28 del titolo IV del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (il Dpr 6-6-2001 n. 380), impone al Comune che riscontra degli abusi edilizi nelle opere realizzate da amministrazioni statali, come nel caso del Mose, di informare «immediatamente» il ministro delle infrastrutture e il presidente della Regione. A questi, dice la legge, rompete la «adozione dei provvedimenti previsti». In caso di abusi commessi da privati tocca invece ai Comuni intervenire. E i «provvedi-
menti previsti», in questi casi, sono drastici: sospensione «immediata» dei lavori, e demolizione delle opere abusive con «ripristino dello stato dei luoghi» entro 45 giorni dalla sospensione. Le violazioni alle leggi in vigore riscontrate dai tecnici comunali nei cantieri del Mo-
se, dove verranno installate le barriere mobili, sono 17: sette sulla «bocca di porto» di Malamocco, sei su quella di Chioggia, quattro su quella del lido. Sono le «bocche» che mettono in comunicazione il mare con la laguna.
Sulla «bocca» di Malamocco sarebbero abusive, secondo il Comune, la costruzione di una conca di . navigazione per le grandi navi e della relativa «spalla» di sostegno, i rinforzi al molo nord, l'eliminazione di una parte del molo sud, la realizzazione di un sostegno alle barriere mobili, il rafforzamento del muro del forte di San Pietro, e lo scavo di un canale per le opere di cantiere. Su quella di Chioggia sarebbero fuorilegge la realizzazione di un porto-rifugio peri pescherecci e dei relativi moli di sponda, la demolizione di parte del molo esistente, lo scavo di una porzione della battigia, la costruzione di un nuovo molo di contenimento dell'isola di Pellestrina e la formazione di una nuova isola vicino al forte Barbarigo. Sulla «bocca» del Lido, gli abusi riguarderebbero la realizzazione di un porto-rifugio per le barche, la costruzione di una nuova isola davanti a Sant'Erasmo, il rafforzamento del molo sud e lo scavo di un canale per il cantiere.
Se ministero e Regione non interverranno, il Comune di Venezia, insieme a quelli di Chioggia e Cavallino, si rivolgerà alla magistratura. E la battaglia del Mose si trasferirà nelle aule giudiziarie. Anche perché il Sindaco di Cavallino, Erminio Vanin, intende chiedere il risarcimento dei danni subiti per i lavori del Mose sia da privati cittadini che da aziende che dalla stessa amministrazione. «Chi ha deturpato una delle aree più belle • del nostro litorale — dice — dovrà anche farsi carico della sua ricomposizione complessiva».
«Noi non possiamo intimare nulla allo Stato — spiega Cacciari — però abbiamo segnalato le violazioni che abbiamo riscontrato, e abbiamo chiesto al ministero e alla Regione che cosa hanno intenzione di fare a questo punto». Maria Giovanna Piva, presidente del Magistrato alle acque, che è il braccio operativo del ministero delle infrastrutture, da cui dipende la costruzione del Mose, sostiene invece che tutti i lavori in corso sono «pienamente legittimi», perché l'approvazione del progetto Mose da parte della commissione perla salvaguardia di Venezia avrebbe «sanato» le violazioni urbanistiche riscontrate dal Comune. Le associazioni ambientaliste contrarie alla grande opera si sono costituite in una «Assemblea permanente No Mose». Simbolo uno squalo e lo slogan: «II Mose fa bene solo a chi lo fa».
In laguna arriveranno 38 cassoni
Una specie di Lego di ferro e cemento da montare sott’acqua
Alberto Vitucci, 28 agosto
Trentotto enormi cassoni in ferro e cemento da costruire in mezzo alla laguna. Il progetto Mose va avanti, e ieri il Consorzio Venezia Nuova ha spiegato cosa succederà nei prossimi anni al litorale, destinato a diventare un grande cantiere a cielo aperto. Primo atto della procedura di Impatto ambientale sui lavori della grande opera. «Sarà una specie di Lego», spiega soddisfatto il progettista del Mose Alberto Scotti, «i pezzi li faremo a fianco delle bocche di porto poi li monteremo sott’acqua». Le aree che saranno trasformate in cantiere sono Santa Maria del Mare a Malamocco (dove saranno costruite le grandi basi in cemento anche per San Nicolò), Chioggia e Treporti. Tutto per venire incontro, ha spiegato Scotti, «alla richiesta della commissione di Salvaguardia che ha voluto la produzione in loco, per incentivare l’occupazione e alla Regione che ci ha chiesto di delimitare le aree di lavoro». I cassoni saranno costruiti all’interno del porto rifugio, previsto al Lido e a Chioggia, mentre a Malamocco i lavori saranno compiuti su una collina artificiale a fianco della conca. Conseguenza sarà lo sbancamento di molte zone anche pregiate. «Vorrei sapere quali sono le misure di compensazione previste dal punto di vista ambientale», ha chiesto Federico Antinori, responsabile dell’oasi Lipu di Ca’ Roman, destinata in parte a scomparire, «e se avete avvisato l’Unione europea, secondo le procedure previste dalla direttiva Habitat». «No», è stata la secca risposta di Andrea Rinaldo, docente a Padova e consulente del Consorzio Venezia Nuova per lo Studio di Impatto ambientale. «La Valutazione di impatto ambientale ha superato queste analisi», ha precisato Scotti. «Ma quale Valutazione, se non è nemmeno stata fatta», sbotta Stefano Boato, che da anni segue la questione per il ministero dell’Ambiente. Anche per il nuovo progetto la procedura di Via sarà inviata alla Regione e non al ministero. Presenti in sala numerosi componenti dei comitati antiMose, che annunciano nuove manifestazioni di protesta dopo lo sbarco in bacàn di domenica scorsa. Il Wwf ha pronto il ricorso al Consiglio di Stato contro le sentenze del Tar Veneto che ha respinto in blocco tutti i ricorsi presentati sulle procedure, accogliendo completamente le tesi degli avvocati del Magistrato alle Acque e del Consorzio Venezia Nuova. Una battaglia destinata a infiammarsi a settembre, alla ripresa dell’attività politica. In Comune sono tante le forze politiche che chiedono alla giunta un «atto forte» dopo che l’ordine del giorno del Consiglio comunale che chiedeva di sospendere i lavori non è stato nemmeno preso in considerazione. Ma la procedura delle grandi opere va avanti spedita, e mentre il governo taglia anche le spese della carta igienica ai comuni, i fondi per le grandi opere non sono in discussione. Il ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi ha infatti ribadito che non ci saranno problemi, e la programmazione può proseguire. Il Mose è stato inserito tra le opere «intoccabili», insieme al ponte sullo Stretto, Frejus, Salerno-Reggio Calabria e passante di Mestre. Ma le perplessità in città sono molte. L’opposizione alla grande opera passa trasversalmente ai partiti, e interessa molti semplici cittadini che hanno aderito ai comitati. «Daremo battaglia», promette Salvatore Lihard, della Cgil, «e ci dovranno ascoltare». Intanto il progetto dei megacantieri è partito. Per le osservazioni ci sono 50 giorni di tempo.
Dopo lo sbarco in bacàn ricomincia la battaglia
Mose, pronti nuovi ricorsi,
28 agosto 2004
LIDO. Ricorso al Consiglio di Stato contro le procedure adottate per approvare il Mose. Il Comune tentenna, e l’iniziativa la prendono gli ambientalisti. Sinistra ecologista, il movimento fondato da Edo Ronchi e Fulvia Bandoli, ha già pronto il ricorso che sarà presentato nei prossimi giorni. Le associazioni contestano la decisione del Tar del Veneto (presidente Stefano Baccarini) che ha respinto in blocco i ricorsi presentati. Molte delle osservazioni riportate nelle motivazioni della sentenza, osservano gli ambientalisti, sono discutibili. Dunque gli estremi per un ricorso in secondo grado esistono. Ne sembra convinta anche la Provincia, che ha presentato due mesi fa un ricorso alla Corte europea dell’Aja. Il presidente Davide Zoggia ha annunciato la presentazione del ricorso al Consiglio di Stato. Diverso il caso del Comune, dove com’è noto il sindaco Costa è un sostenitore della grande opera fin dai tempi in cui era ministro dei Lavori pubblici. Costa ha annunciato di non voler presentare ricorsi, proprio mentre gran parte della sua maggioranza (Ds, Verdi, Rifondazione, Gruppo Misto) si sono espressi in modo esplicito contro i lavori alle bocche. Una manifestazione molto partecipata si è svolta domenica scorsa sulla spiaggia del bacàn di Sant’Erasmo, destinato a scomparire per far posto alla grande isola artificiale di sette ettari. Dopo la pausa estiva riprende dunque la battaglia contro il Mose. I comitati annunciano iniziative a raffica. «Per far capire alla gente», dicono, «quali saranno le conseguenze della costruzione delle dighe». Solo al Lido saranno scavati cinque milioni di metri cubi di fondali, sostituiti con il cemento, piantati migliaia di pali in ferro lunghi trenta metri. Un cantiere che durerà dieci anni e cambierà per sempre il volto della laguna, fissando i fondali alla quota di dieci metri per ospitare gli enormi cassoni. Molti, non soltanto tra gli ambientalisti, si chiedono se sia proprio necessario. E la campagna di autunno, anche in vista dell’elezione del nuovo sindaco, è già cominciata. (a.v.)
Gasparetto (Salvaguardia) polemizza con il sindaco Costa
GRANDI OPERE «Io voto seguendo la mia coscienza»
19 agosto 2004
Una bacchettata respinta al mittente. Con gli interessi. Una lettera durissima, quella inviata ieri dal rappresentante del Comune in commissione di Salvaguardia, l’architetto Cristiano Gasparetto, al sindaco Paolo Costa. Che qualche giorno fa aveva invitato i rappresentanti eletti dal Comune a «collaborare di più per far apoprovare i progetti presentati dalla giunta». «Non è concepibile», aveva scritto tra l’altro il sindaco, «che i rappresentanti del Comune non partecipino ai lavori o se vi partecipano non tengano in nessuna considerazione la volontà degli organi di governo della città». Un atteggiamento reiterato che secondo Costa avrebbe addirittura «danneggiato l’imagine dell’amministrazione, ritenendo poco credibili i progetti presentati». Ma secondo Gasparetto quelli del sindaco sono «rilievi errati e pretestuosi». «Per quanto riguarda le presenze basta guardare i verbali», scrive l’architetto, «il sottoscritto è tra i più presenti». «Per quanto riguarda l’allineamento alle scelte politiche dell’amministrazione», continua Gasparetto, «ella non può ignorare le leggi che costituiscono la commissione, né tantomeno il pronunciamento della Corte costituzionale del 1998». Secondo Gasparetto insomma, la commissione non è certo parificabile a una conferenza di servizi tra i vari enti, come sostenuto dal sindaco. E dunque ogni membro eletto (due dalla maggioranza e uno dalla minoranza in Consiglio comunale) ha «l’obbligo e il diritto ad agire in piena autonomia, secondo scienza e conoscenza». Gasparetto continua invitando il Comune ad adeguare invece tutti gli strumenti urbanistici alle norme del Palav (la legge speciale lo prevede da nove anni, e in quel caso la commissione sarebbe abolita, ndr), e citando due grandi progetti su cui lui stesso - e buona parte della maggioranza - non la pensano come Costa: Mose e sublagunare. «Il primo è inutile, pericoloso e costosissimo, la seconda un pericolo anche sociale per la città». «Mi pare che queste posizioni di Costa», conclude Gasparetto, «siano infondate, pretestuose e strumentali, «e forse la reprimenda scaturisce dall’impossibilità di accettare, su nodi di così grande rilievo, diversità non riducibili al solo piano politico, ma che rappresentano strutture culturali profonde. Ognuno, fortunatamente, ha la sua cultura». (a.v.)
Il sindaco bacchetta i consiglieri
8 agosto 2004
I consiglieri della Commissione di Salvaguardia nominati dal Comune di Venezia devono avere un occhio di riguardo per i progetti sottoposti al suo esame da Ca’ Farsetti. Non è una preghiera, ma una richiesta formale del sindaco Paolo Costa inviato agli architetti Cristiano Gasparetto e Antonio Gatto e all’avvocato Gianfranco Perulli, rappresentanti del Comune in Salvaguardia. «In più di un’occasione in merito a questioni le più diverse, ma tutte di grande interesse della città - scrive il sindaco ai tre consiglieri”tirando” loro le orecchie - ho dovuto, mio malgrado, rilevare come i componenti della Commissione per la Salvaguardia di Venezia espressi dall’Amministrazione Comunale abbiano brillato per le loro assenze nelle sedute della Commissione stessa e, se presenti, per la scarsa collaborazione rispetto ai progetti presentati dal Comune. Tale atteggiamento, reiterato, ha danneggiato l’immagine dell’Amministrazione Comunale nei confronti delle altre Amministrazioni rendendo poco credibili i progetti e i piani presentati nel Comune di Venezia». Costa ricorda che - se formalmente i tre consiglieri non sono legati a un esplicito vincolo di mandato - nello spirito della Legge Speciale che ha costrituito la Commissione di Salvaguardia, essi sono comunque tenuti a rappresentare la posizione del Comune e a tenere in considerazione la volontà di Giunta e Consiglio comunale. Visto che «nelle prossime settimane la Commissione di Salvaguardia sarà chiamata ad esaminare degli importantissimi provvedimenti di grande interesse per l’Amministrazione comunale - scrive ancora Costa - i tre consiglieri si regolino di conseguenza e non facciano scherzi. (e.t.)
VENEZIA. «Il Mose è tecnicamente superato e culturalmente datato. Il Comune lo deve dire forte, e rilanciare il suo ruolo di guida nella salvaguardia. Altrimenti le grandi scelte sul futuro di questa città saranno prese in sedi esterne alla politica e all’interesse dei cittadini».
Cesare De Piccoli, ex vicesindaco e segretario regionale dei Ds, raccoglie la sfida lanciata da Michele Vianello. E rilancia.
Autore di una proposta alternativa al Mose per la difesa delle acque alte, De Piccoli punzecchia il presidente Galan e invita il centrosinistra a «riprendere la politica». «Il trionfalismo di Galan è fuori luogo», attacca, «non c’è stato nulla di storico nella decisione della Salvaguardia. Semmai una forzatura delle procedure, in un meccanismo farraginoso sempre più separato dall’opinione pubblica. Puntano a prendere la gente per stanchezza»
Un deputato del suo partito, l’ex vicesindaco Michele Vianello, ha lanciato accuse gravi. Invitando i Ds a «non far finta di nulla».
«Non ne farei una questione interna a un partito. Vianello ha posto degli interrogativi di merito, che non possono essere liquidati con la solita polemica. Sono quesiti posti da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni.
Esempio?
«Non è pensabile che la più grande opera europea sia realizzata senza la Via».
Questione di procedure e di diverse interpretazioni.
«Eh no. Non è un problema solo di cavilli giuridici ma di sostanza progettuale, se si possa realizzare un’opera così impattante per l’ambiente quando la Valutazione di impatto ambientale è stata negativa. E’ ovvio che restando questi gravi punti interrogativi si legittimano tutti i dubbi possibili e si dà la stura a contenziosi infiniti. Non è accettabile, perché non si tratta solo di dubbi ambientalisti, ma del futuro di questa città».
Secondo i progettisti sarà il Mose a salvare Venezia.
«Invece si è persa un’occasione irripetibile per voltar pagina e perseguire un’idea di modernità di Venezia senza rotture con la sua storia com’è invece avvenuto nel secolo scorso».
Insomma il Mose è già vecchio?
«Sì, perché rimane all’interno del vecchio paradigma industrialista. Non è vetusto il funzionamento delle paratoie, che possono anche funzionare, ma la logica progettuale. Oltre al fatto che si tratta di un progetto rigido. Nel 2003 non sarebbe mai servito, nel 2002, alzando troppe volte, si sarebbe paralizzato il porto».
Allora è un progetto da buttare?
«Avevamo proposto al Consorzio Venezia Nuova di avviare una revisione progettuale. Purtroppo dobbiamo prendere atto che sono prevalse le logiche aziendali».
Il progetto definitivo è stato approvato anche dal Comune.
«Negli anni scorsi, anche quando in Regione e al governo vi erano amministrazioni politicamente ostili, il Comune aveva una funzione di dominus dei processi di salvaguardia. Oggi questo ruolo si è offuscato, Galan e Lunardi possono usare il bastone e la carota a loro piacimento».
Vuol dire che il Comune non conta più nulla?
«Dico che anche il punto di equilibrio trovato dal sindaco Costa e dal Consiglio doveva rappresentare una condizione per approvare il Mose. Così non è stato. E il rischio è che la città ora sia fuori gioco e le scelte siano fatte altrove.
Non a Venezia?
«Se si continua con questo balletto di tatticismi e di forzature puntando sulla stanchezza dei cittadini, della politica resta poco. Forse dovremo affidarci a Beppe Grillo».
Il Consorzio Venezia Nuova, potente pool di imprese che ha proposto, elaborato e ora realizzato un particolare tipo di progetto per dividere il mare dalla laguna di Venezia, ha pure per trent'anni distorta l'informazione nazionale ed internazionale. Anche se ora risulta difficile comunicare una realtà assai complessa, la necessità di altre soluzioni realizzative lo impone. A Venezia le stesse forze politiche della sinistra hanno faticato a lungo per arrivare a capire ed ora finalmente a schierarsi tutte di conseguenza, che il MoSE «serve solo a chi lo fa» come recita un recente manifesto dell'Assemblea permanente contro il MoSE costituita da tutte le Associazioni che da anni lottano per la salvaguardia della laguna. Il progetto è un'opera ingegneresca, segnata tecnologicamente già dal tempo (scherzosamente detto il ferro vecchio), che da sola dovrebbe bloccare le acque alte nella laguna e gli allagamenti di Venezia e delle isole che avvengono con sempre maggiore frequenza ed intensità. Una mega opera salvifica che non interviene sulle cause del fenomeno (interramenti e canali devastanti la laguna) ma vorrebbe risolverlo operando solo sugli effetti. Esistono precise leggi speciali per Venezia che regolamentano cosa dovrebbe essere un'opera di salvaguardia lagunare: il MoSE non rispetta questi dettati, ma - cosa ancor più grave - è inefficiente e pericolosa proprio rispetto all'obiettivo che si propone. Inefficiente perché, ad esempio, delle 94 acque alte che nel 2003 hanno allagato piazza san Marco, se già costruito ne avrebbe evitate 7. Inutile perché se, nei prossimi anni, ci fosse un innalzamento del livello marino legato all'effetto serra come ampiamente previsto dagli scienziati, sarebbe del tutto inutilizzabile. Pericoloso fisicamente poiché non dà sufficienti garanzie di tenuta per certe particolari mareggiate (il cosiddetto «fenomeno della risonanza»). Non solo, il danno è anche sociale in quanto penalizza fortemente tutti i traffici commerciali marittimi che possono permettere una riconversione ecocompatibile dell'ex polo industriale di Marghera. Pericoloso perché modifica in maniera irreversibile l'ambiente lagunare devastandolo con una nuova isola, nel centro della bocca di porto, di 9 ettari; 9.000.000 di mc. di pietre; 8.000.000 mc. e 12.000 pali di cemento; 5.960 palancole d'acciaio; 157 enormi cassoni di cemento in parte sommersi; 560.000 mq. di pietrame ed infine 79 paratoie mobili per un totale, preventivato per la sola costruzione, di più di 8.000 miliardi di vecchie lire. Ma se il MoSE è tutto questo, come effettivamente è, e se non ci fossero alternative, sarebbe opportuno prenderlo in considerazione magari cercando di migliorarlo e mitigarne l'impatto. La situazione però non è questa: anni di studi, ricerche, opere e sperimentazioni hanno costruito le alternative.
Si possono: costruire sistemi che riducano la portata dell'acqua in entrata alle bocche, disinquinare la laguna ed aprire alla circolazione delle acque le valli da pesca aumentando così la dimensione dell'invaso lagunare, verificare la possibilità di innalzamento dei suoli con insufflazioni nel profondo. Oppure diversificare le bocche di porto in relazione al tipo di traffico (turistico, commerciale) e estromettere il traffico petrolifero in laguna con un terminal off-shore. Si può impedire anche l'attraversamento del bacino di San Marco alle enormi navi crociera con la costruzione di un terminal in prossimità della bocca di porto e quindi innalzare i fondali alle tre bocche con riduzioni dei varchi d'entrata.
L'insieme di queste opere sistemiche, nessuna sufficiente da sola ma virtuose nell'insieme, il cui scopo è essenzialmente diminuire in quantità e forza lo scambio acqueo col mare, può ridurre, come verificato dal C.N.R., di 22-27 cm. l'altezza di tutte le maree e non solo di quelle più alte, come dovrebbe fare il MoSE.
Questo significa tornare ad una situazione simile a quella della prima metà dell'800 (1 o 1,5 acque alte in media l'anno con valori ridotti per tutte di 27 cm. rispetto alle attuali) e attendere maggiore precisione nella previsione dell'innalzamento dei mari per l'effetto serra. Su queste basi si dovrebbero decidere eventuali interventi, se necessario ancor più radicali ma con tecnologie innovative appropriate e realmente efficienti anche per il futuro.
Comunque si voglia valutare, tutti i cantieri già iniziati da un anno sono illegittimi. Su questo sta operando l'amministrazione comunale per chiedere al ministero il fermo dei lavori. Sono illegittimi perché non conformi in ben 14 punti con i piani urbanistici di Venezia, 3 per i Comuni vicini, 8 col Piano Regionale della laguna e 4 con procedure obbligatorie europee per aree protette. Su questa realtà si basa il nuovo conflitto che sta montando. Conflitto particolarmente complesso perché coinvolge i movimenti, le istituzioni (anche al loro interno) e le omertà dei poteri forti capaci di trasversalità politica; l'informazione gioca un ruolo particolarmente attivo che i movimenti hanno ben compreso facendosi carico unitariamente dell'allargamento del fronte di lotta, anche a livello europeo, con controinformazioni e presidi attivi sul territorio. Il sindaco Cacciari è stato esplicito nel rilevare l'irregolarità dei lavori: a breve si vedrà come si comporterà la maggioranza, in gran parte Margherita, che lo ha eletto. La sinistra tutta che ha raggiunto processualmente una difficile unità, dovrà rafforzarla per imporre, con i movimenti, il blocco immediato di tutti i lavori. Un blocco che rimanderebbe tutto al dopo elezioni, quando un governo rinnovato dovrebbe uscire dalle ambiguità che nel passato hanno permesso di portare il progetto all'inizio dei lavori.
Un'illustrazione più ampia delle alternative al MoSE negli articoli sul progetto Di Tillo e altri e sull'ARCA.
Non ci sono i soldi, ma i lavori del Mose accelerano. Il giorno dopo l’avvio ufficiale del cantiere, con l’occupazione da parte della ditta Mantovani (Consorzio Venezia Nuova) dello spazio acqueo davanti a Punta Sabbioni, la polemica non si placa.
«Si fanno forzature proprio quando il Comune chiede con un ordine del giorno di sospendere i lavori e il Cipe taglia i finanziamenti statali», accusa il deputato dei Ds Michele Vianello. Intanto il Magistrato alle Acque ha stanziato un milione di euro per una polizza che garantisca le future dighe da «attacchi terroristici». Da innocuo braccio di laguna, le tre bocche di porto potrebbero diventare una centrale appetibile per azioni terroristiche con macchinari, edifici e cabine di regia per il sollevamento delle paratoie. Un cantiere che durerà dieci anni e bloccherà in buona parte la navigazione e gli spostamenti dei mezzi in laguna.
Intanto da ieri l’area vicina a Punta Sabbioni è stata consegnata (per tre anni) alle imprese del Consorzio. Che la occuperanno con una trentina di draghe, motopontoni, rimorchiatori. Secondo il progetto dovranno costruire nel canale di Treporti, a ridosso della diga di Punta Sabbioni, due porti rifugio per consentire alle imbarcazioni di entrare in caso di maltempo con le paratoie sollevate. Un’opera che non era prevista nel progetto definitivo, aggiunta al Comitatone dello scorso anno. Perché cominciare dalla fine? «E’ chiaro che è partita una corsa per vedere chi fa prima», dice Pietrangelo Pettenò, capogruppo di Rifondazione, «credo che sia il momento di fare qualcosa. Il sindaco adesso deve andare a Roma e non muoversi di là finché il governo non convoca il Comitatone e accoglie le richieste del Comune». Richieste inascoltate da un anno e mezzo, che secondo il Consiglio comunale dovevano costituire «condizioni vincolanti per l’approvazione del progetto». Il Comitatone (con il voto favorevole del sindaco Costa) ha approvato non soltanto il progetto ma anche l’avvio dei lavori di costruzione del Mose, nonostante la progettazione non sia ancora ultimata, siano pendenti ricorsi sulla mancanza di Valutazione di impatto ambientale, e non siano certi i finanziamenti. «Il pre-Cipe ha bloccato una serie di grandi opere», spiega Vianello, «perché il governo di centrodestra non è in grado di garantire i flussi finanziari. Alcune opere potrebbero essere sbloccate, se arrivano finanziamenti privati. Ma non è il caso del Mose. Rischiamo di trovarci con i cantieri aperti di un’opera che non sarà mai ultimata».
Mentre il Magistrato alle Acque accelera, le perplessità aumentano. Uno studio dell’Università di Padova ha messo in luce le difficoltà per i basamenti in calcestruzzo di sostenere il peso delle enormi paratoie, dubbi espressi anche da Vincenzo Di Tella, ingegnere della Tecnomare che aveva collaborato con il Consorzio e che ha presentato un progetto alternativo di chiusure. Un’altra alternativa è quella del progetto Arca, per sperimentare con cassoni autoaffondanti la riduzione della sezione delle bocche che dovrebbe ridurre le acque alte senza opere fisse. Infine, il progetto De Piccoli, per portare il porto fuori della laguna. La grande opera è partita, gli appalti assegnati (al Lido lavorerà l’impresa Mantovani, capofila dal Consorzio e titolare di buona parte dei grandi lavori lavori in area veneziana).
«Non si può dare la colpa di tutto al Comune», dice il prosindaco Gianfranco Bettin, «adesso dobbiamo sperare che questo governo che ci ha portato la guerra, i tagli al sociale e le grandi opere cada al più presto. Il Mose distruggerà l’ecosistema lagunare e colpirà a morte la stessa economia portuale e risorse fondamentali della città. Il Comune di Venezia deve reagire a questo atto di prepotenza impugnando ogni strumento a sua disposizione. Intorno a questo nodo va costruita la nuova coalizione che si candiderà a guidare Venezia nei prossimi 5 anni».
VENEZIA. Centocinquanta firme di parlamentari in poche ore. Ha riscosso un grande successo l’iniziativa avviata dal deputato veneziano dei Ds Michele Vianello e dalla Sinistra ecologista per impugnare davanti all’Unione europea le «procedure irregolari» del progetto Mose.
Il risultato ha pochi precedenti nella storia della salvaguardia, e anche dell’attività parlamentare. Centocinquanta deputati del centrosinistra hanno sottoscritto l’appello che sarà ora inviato alla commissaria europea all’Ambiente Margot Wallstrom. La richiesta è quella di avviare le opportune verifiche sulla legittimità del percorso seguito. E, soprattutto, di sottoporre a Valutazione di Impatto ambientale la grande opera, le dighe per sbarrare le bocche di porto, nel frattempo già approvata e in parte finanziata dal governo.
Molte le firme illustri, con i Ds quasi al completo (il capogruppo Luciano Violante, il vicepresidente della Camera Fabio Mussi, Anna Finocchiaro, Livia Turco, Giovanna Melandri, Pietro Folena e Vannino Chiti, i veneti Andrea Martella, Bruno Cazzaro e Piero Ruzzante), il capogruppo di Rifondazione Franco Giordano e del Gruppo Misto Marco Boato, Ermete Realacci, Giulio Santagata e il vicecapogruppo Giacchetti per la Margherita, Luana Zanella e Paolo Cento per i Verdi. Una pattuglia folta, che Vianello conta di ingrossare ulteriormente nei prossimi giorni.
«Di fronte alla richiesta di una parte del Parlamento italiano», dice, «l’Europa non potrà non intervenire. L’appello è fatto di due pagine, dove sono riassunti i principali contestati passaggi di approvazione del progetto Mose e vengono sintetizzate le obiezioni.
La prima riguarda la mancanza di una Valutazione di Impatto ambientale. «Gli esperti del ministero avevano depositato il loro lavoro e la Valutazione era stata negativa», dice Vianello, «poi il Tar aveva annullato il decreto del governo per vizio formale, ma non il giudizio tecnico. Da allora l’esame non è stato più fatto. E’ possibile che la più grande opera di ingegneria ambientale d’Europa sia approvata senza la Via, come previsto dalle normative europee?» Altrettanto illegittimi, secondo la petizione firmata dai 150 parlamentari, sono i finanziamenti concessi dal Cipe, il Comitato per la programmazione delle grandi opere che fa capo al ministro Lunardi.
«450 milioni di euro», si legge nella lettera inviata alla Wallstrom, «sono stati stanziati per il Mose senza che l’iter fosse stato completato». «Palesi irregolarità» secondo i deputati, sono da registrare anche nella seduta del Comitatone del 3 aprile 2003, che aveva autorizzato il progetto esecutivo e la realizzazione della grande opera senza che la procedura fosse conclusa.
Una iniziativa che potrebbe rallentare la corsa intrapresa dal progetto Mose, di cui il premier Berlusconi ha già posato nella primavera scorsa, la «prima pietra». «Ma il sistema Mose è un’invenzione, non è contemplato dalle leggi», conclude l’appello dei deputati, «esiste soltanto un sistema laguna, nel quale è inserita una città unica al mondo che va tutelata. E contrariamente a quanto si pensa il problema di Venezia non è riconducibile esclusivamente alla difesa dalle acque alte».
«Com’è possibile pensare», conclude la lettera, «che non si debba valutare la compatibilità ambientale di un’opera da inserire in un ambiente così delicato?».
Mose, la mega-opera che salverebbe Venezia dall'acqua alta, affonda ancora. Questa volta affiorano cantieri «fuorilegge», lavori «fantasma», violazioni delle norme ambientali. Insomma, il progetto del Consorzio Venezia Nuova (inaugurato in pompa magna da Silvio Berlusconi e cullato dal ministro Lunardi, insieme al governatore Galan) sta scivolando sul piano inclinato della regolarità urbanistica. E non solo. Sulla graticola, il presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva che firma i contratti e quindi risponde davanti alla Corte dei conti. All'attacco, i sindaci interessati: Massimo Cacciari a Venezia, Erminio Vanin a Cavallino e Fortunato Guarnirei a Chioggia. In difesa, arroccati all'appalto, gli industriali capitanati dal presidente Antonio Favrin che hanno perso il loro naturale punto di riferimento, l'ex sindaco della Margherita Paolo Costa. Esultano, invece, gli ambientalisti che continuano a spulciare ogni atto, procedura, voto e autorizzazione che riguarda il Mose. «La difesa di Venezia non è di destra né di sinistra. Ma bisogna scegliere la soluzione migliore senza pregiudizi. Finalmente, il Comune fa sentire forte la sua voce. Ci sono contestazioni tecniche, tuttavia la questione Mose resta sostanzialmente politica. E' arrivato il momento di una discussione pubblica. Sulle modifiche che non vogliono solo gli ambientalisti, ma anche sulla difesa della città a prezzi più bassi e sulle sperimentazioni mai avviate come sui progetti alternativi al Mose» spiega Alberto Viticci, cronista della Nuova Venezia che da vent'anni segue la vicenda.
L'ultimo capitolo risale a primavera, quando il Consorzio lavora fra mare e laguna lasciando intravedere dall'alto il disegno delle paratie mobili. A fine giugno, piomba a Venezia in incognito il ministro Lunardi e i Disobbedienti gli danno il benvenuto occupando gli uffici del Magistrato alle Acque. Nessuno lo sa, ma è già cominciato un sotterraneo braccio di ferro sulle verifiche dei cantieri. E ora, a polemica esplosa, spuntano perfino segnalazioni su lavori in corso a Ca' Roman e San Nicolò che rappresenterebbero inquietanti «novità», forse perfino inedite per la burocrazia. Fino a ieri, Maria Giovanna Piva ha preferito abbozzare. Ma il sindaco-filosofo di Venezia non molla: aspetta una risposta ufficiale alla lettera firmata insieme ai due colleghi dei Comuni interessati dai cantieri del Consorzio Venezia Nuova.
Tutto è nato in base ai controlli degli atti amministrativi da parte degli ambientalisti. A Ca' Farsetti, sono in primavera le segnalazioni firmate dall'Ecoistituto Alex Langer, Italia Nostra e Lipu. Una copia era indirizzata, per altro, anche alla Procura, ai Ministeri delle Infrastrutture e dell'Ambiente e al Consorzio Venezia Nuova. Il documento degli ambientalisti evidenziava il mancato rispetto della legge. Ma non c'è stata nessuna risposta. Di qui, la diffida vera e propria che invece ha scosso i sindaci. Racconta Michele Boato, ex assessore regionale dei Verdi e ora responsabile dell'Ecoistituto Langer: «Ci siamo accorti che i cantieri aperti erano tutti non previsti da strumenti urbanistici comunali e regionali. Di conseguenza, non rientrando nel Palav erano tutti fuori legge. Inoltre fuori dalle direttive europee per quanto riguarda i diversi siti di importanza comunitaria dal punto di vista ambientale interessati loro malgrado dai lavori, come la zona di Ca' Roman. Dopo un mese ci siamo resi conto che tutto tardava e siamo partiti con una seconda diffida, visti i danni che rischiavano di essere irreparabili, in particolare alla diga di Malamocco, tutelata da uno specifico vincolo della sopraintendenza, ignorato: ora il Comune di Venezia si è mosso come la città aspettava». Così si è messa in moto la giunta Cacciari: la Direzione centrale sviluppo del territorio e mobilità del Comune ha elencato 19 presunte violazioni alle norme ambientali all'interno dei cantieri nelle bocche di porto. Ma sono Ministero e Regione a decidere sull'immediata sospensione dei lavori. Quindi è scattata l'iniziativa dei sindaci: lettera ufficiale al Magistrato alle Acque con sollecitazione a fermare il Mose per «difformità urbanistica delle opere».
Cacciari, dunque, rilancia la sfida. E fa contenti i Verdi, per altro esclusi dalla nuova giunta dopo il «ballottaggio fratricida» nell'Ulivo. Luana Zanella, deputato del Sole che ride, sottolinea: «Dopo l'intervento del sindaco, il ministro Lunardi non può restare silente: i lavori del Mose devono essere bloccati. Ormai esistono le condizioni per fermare i cantieri che sono illegittimi rispetto alle norme di pianificazione dei comuni della Laguna e a quelle stabilite dall'Ue. La Commissione di Salvaguardia, inoltre, come chiarisce bene la sentenza della Corte Costituzionale 375/98, non ha affatto i poteri per derogare le norme urbanistiche stabilite dai comuni stessi perché non è una conferenza dei servizi». Il cerchio si chiude. La storica approvazione del Mose da parte della Commissione di Salvaguardia non si rivela più così inossidabile. Anzi, c'è chi segnala l'istruttoria tutt'altro che completa. Ma soprattutto quell'approvazione non «cancella» di certo le difformità fra progetto e urbanistica dei tre Comuni. Lo ribadisce l'avvocato Gianfranco Perulli, rappresentante del Comune di Venezia in Commissione: «Al momento del voto sono uscito dall'aula con altri cinque commissari, dopo aver verbalizzato che la commissione non aveva potuto completare l'indagine sul progetto e sugli allegati, esaminati solo in parte. Certo, il numero legale restava. Ma il parere resta viziato».
Come era di facile previsione il Sindaco Costa, non ha avuto difficoltà a firmare il documento della maggioranza del Consiglio Comunale che negli auspici dovrebbe fermare i lavori del Mose. Un documento di carattere puramente ordinatorio dei lavori, nel quale avremmo auspicato una premessa di impegno politico.
Timeo Danaos et dona ferentes: può essere la più pura delle speranze a guidare questa maggioranza e nel caso di Costa dobbiamo essere anche disposti a pensare ad una conversione sulla via di Damasco di Strasburgo!
Spieghiamoci:
1. In tutti i ruoli che ha rivestito da ministro dei LL.PP.( Presidente del Consiglio Prodi), a Sindaco, a europarlamentare, Costa (demiurgo anche in Europa del Ponte di Messina!) è stato ed è, del Mose, il massimo propugnatore pubblico.
2. Ne fa fede lo stesso Prodi, leader degli Uniti nell'Ulivo, (candidato alla prossima Presidenza del Consiglio), che venuto pochi giorni fa qui in laguna, non si è trattenuto dall'auspicare, coerente con le azioni e convinzioni comuni, che i lavori del Mose procedano spediti!
3. Le deliberazioni di cui, infatti, entrambi si sono fatti promotori, dal 1998, sono state all'origine del più colossale pasticcio di procedura amministrativa per un' opera pubblica. Tutti i Governi, che da allora si sono succeduti, sono rimasti più o meno consapevolmente invischiati e ne hanno vieppiù complicato la macchinosità: dai cosiddetti Esperti Internazionali, all'accettazione inusuale dell'annullamento del Tar del Veneto del Decreto di VIA negativa, all'annientamento di un autentico controllo scientifico, alla negazione di una interdisciplinarietà nelle decisioni, all'inserimento del Mose tra le infrastrutture della Legge Obiettivo, al susseguirsi di mere approvazioni burocratiche delle sostanziali modifiche inserite sul Progetto originario, da parte di Uffici periferici regionali e statali, normalmente coinvolti nelle fasi sub-procedimentali.
4. L' Ufficio di Piano, istituzione sussidiaria alla VIA (!) che doveva presiedere all'aggiornamento del Progetto ed alla sua revisione è rimasto fantomatico per anni, coinvolto in un defadigante quanto inutilelavoro preparatorio
5. L'Ufficio di Piano vede solo ora la luce, a decisioni prese, e sua la composizione, seppure di nomina del Governo Berlusconi, è di netta impronta "costiana",con qualche rara eccezzione.
6. Nel frattempo spropositate proposizioni e contraddittorie decisioni sono state assunte.
7. Ben oltre 1 anno fa, il 1 aprile del 2003, la maggioranza vota del Consiglio Comunale di Venezia votò quell'odg di 11 punti che, il 3 aprile 2003, il Comitatone, presente il Sindaco, ha tempestivamente assunto quale viatico per deliberare "di passare alla progettazione esecutiva ed alla realizzazione delle opere di regolazione delle maree alle bocche di porto ('progetto Mo.S.E.') e contemporaneamente alla realizzazione della struttura di accesso permanente alla bocca di Malamocco".
8. Comunque vada l'elezione in Europa, per l'anno che gli resterebbe da governare a Venezia, Costa, risulta già ora e risulterà più che mai completamente svincolato da qualsiasi rapporto fiduciario sia con la sua maggioranza e con il proprio gruppo politico, la Margherita ("con cui farò i conti al momento opportuno",si legge!) .
Oggi il Sindaco e la sua maggioranza ritornano a firmare un ordine del giorno (una paginetta) da esibire ad un prossimo, peraltro, non previsto Comitatone. È vero che Davide fermò Golia con un sasso: ma la mano di Davide era armata dalla purezza! Davvero questo è un atto sincero? Davvero il Sindaco e la sua maggioranza credono che si fermeranno i cantieri, davvero vi crede il verde Bettin?
Non si vuole precludere ogni via alla provvidenza, ma in nome del realismo politico e per conto della Lista Verde Boato Zitelli si chiede che:
- La maggioranza ulivista e rosso verde del Consiglio Comunale di Venezia, con un nuovo ordine del giorno, inviti Prodi, Presidente della Commissione Europea e leader dell'Ulivo di vincolarsi a fermare il Mose e a iniziare un diverso progetto di interventi. - in questo senso Prodi si obblighi già ora a vigilare sulla procedura di infrazione intentata dalla Commissione all'Italia, e riattivi l'azione della Commissione Europea sulla procedura di infrazione riprendendo le indagini, qualunque sia stata la risposta dello Stato italiano,
- il leader dell' Ulivo si vincoli da subito con dichiarazione esplicita, che qualora rinominato Presidente del Consiglio, Egli e i suoi Ministri riconosceranno le conseguenze legittime della Valutazione di Impatto Ambientale negativa sul Mose, quella valutazione che fu tanto avversata, ma che deve essere ripresa e aggiornata in sede nazionale,
- che si impegni a dare esecutività alle sentenze che reinseriscono nelle funzioni la Commissione per le Valutazioni dell'Impatto Ambientale che il Governo Berlusconi, con il Ministro Matteoli, ha dimesso. Solo così potranno essere dissipate le naturali perplessità sulla buona fede dei nostri rappresentanti politici.
Intanto ancora ieri si sono potute osservare attività di un consistente scavo all'interno del Canale di Malamocco, lato di Pellestrina a ridosso del piede della diga di Santa Maria del Mare: non erano "gusci di conchiglie", come pare abbia dichiarato il Consorzio Venezia Nuova, ma parecchie tonnellate di sabbia, nulla poi a che vedere "con il miglioramento della navigazione" come sembra abbia dichiarato il presidente dell'Autorità portuale, dal momento che le navi tengono rotta al centro del canale e non a ridosso del molo.
Intanto, i membri della Commissione di salvaguardia di obbedienza politica Forza Italia dichiarano che, per vincere le resistenze degli ambientalisti, voteranno con la maggioranza tutti gli interventi vavorevole al MoSE e alle altre opere di impatto devastante per la città storica, come la metropolitana sublagunare (da La Nuova Venezia del 22 giugno 2004)
Premesso che la grande opera di chiusura con dighe mobili alle bocche di porto per regolazione dei flussi di marea denominata Mo.S.E. è stata inserita tra le infrastrutture della Legge Obiettivo ed il Governo ha approvato la sua realizzazione
ritenuto
che tale opera, eseguita da un pool di imprese private in regime di monopolio e praticamente prive di controllo:
- elude il principale e prioritario problema del riequilibrio ambientale dell’ecosistema lagunare;
destinata a giacere sul fondo marino per almeno 100 anni per emergere in autunno con ritmicità anche quotidiana è circondata da fondati forti dubbi sulla sua efficacia;
- non risponde a quelle caratteristiche di sperimentalità, gradualità e reversibilità previste dalle leggi speciali per Venezia vigenti;
- è priva di un giudizio positivo di impatto ambientale;
in previsione di un presumibile fenomeno di sostenuto eustatismo si rivelerebbe presto obsoleta, penalizzante per l’attività portuale e dannosa per l’ecosistema lagunare;
- con i suoi altissimi costi di investimento e gestione dragherà tutte quelle risorse necessarie invece per il proseguimento di quegli interventi altrettanto fondamentali per la manutenzione urbana e per la rivitalizzazione socio-economica, per il riequilibrio idraulico, morfologico ed ambientale della laguna e per il risanamento del bacino scolante.
considerato
che già da tempo esistono soluzioni progettuali alternative meno costose, di scarso impatto ambientale, continuamente negate ed oscurate dal governo e dalle istituzioni, capaci di fornire efficaci risultati in termini di abbattimento delle acque alte salvaguardando contemporaneamente lo sviluppo portuale ed il riequilibrio lagunare nonché meglio rispondenti all’applicazione del principio di precauzione sull’eustatismo.
Invita
i Ds, le forze della sinistra e le associazioni ambientaliste ad attivarsi affinchè:
- la lotta contro la realizzazione del Mo.S.E. assuma rilevanza nazionale ed internazionale
- sia data voce a quelle proposte alternative volte al riequilibrio della laguna, all’arresto ed inversione del processo di degrado del bacino lagunare ed all’eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all’attenuazione dei livelli di marea in laguna con interventi che risolvono i nodi strutturali del problema, soprattutto la portualità lagunare e le compatibilità ambientali, ed affronti con soluzioni graduali e reversibili la regolazione delle maree alle bocche di porto.
esprime
infine un netto disaccordo verso tutte quelle posizioni, che hanno attraversato anche la sinistra veneziana, che hanno consentito all’ultimo Comitatone di poter deliberare la redazione del progetto esecutivo e la realizzazione del Mo.S.E.
Alberto Viticci,
Mose, il progetto è definitivo
Ma in Commissione di Salvaguardia un mare di polemiche
Il Comitatone lo aveva già approvato il 3 aprile scorso, il premier Berlusconi aveva posato la prima pietra. Ma al Mose mancavano ancora alcuni pareri. Ieri la commissione di Salvaguardia ha dato il via libera al «progetto definitivo» delle dighe mobili tra aspre polemiche.
Un parere approvato con 15 voti favorevoli, mentre i sei rappresentanti degli enti locali sono usciti dall’aula per protesta. «Ci potrebbero essere dei risvolti penali», spiega l’avvocato Gianfranco Perulli, rappresentante del Comune di Venezia, «perché i membri eletti non sono stati messi in condizione di valutare tecnicamente il progetto». Un metro cubo di carte arrivato poco prima di Natale e approvato senza dibattito. Secondo il legale ci potrebbe essere una violazione dell’articolo 97 della Costituzione, che richiede «il buon andamento dell’amministrazione pubblica». Ma la commissione non ha sentito ragioni. Presieduta per la prima volta dal presidente della Ragione Giancarlo Galan, ha espresso il parere favorevole. Per l’occasione si sono visti al gran completo anche i rappresentanti dei ministeri.
Stefano Boato, per il ministero dell’Ambiente, ha elencato una lunga serie di dubbi sull’opera, tra cui gli effetti negativi che questa avrà sul traffico delle navi, l’impatto ambientale provocato dai circa 8 milioni di metri cubi di materiale che sarà scavato, l’irreversibilità dei nuovi fondali, cementati a quote superiori a quelle di oggi. Il ministro Matteoli ha fatto sapere in serata di «non riconoscersi nella posizione del professore».
«Un vero blitz», lo hanno definito i componenti degli enti locali, «per il più grande progetto mai esaminato la commissione ha impiegato un mese e due sedute, meno della metà di quanto occorre per un’altana».
Michele Vianello, deputato veneziano dei Ds, ha depositato ieri una durissima interrogazione al ministro dei Trasporti Lunardi. Ricorda che il Comitatone aveva deliberato il 3 aprile scorso di passare all’esecuzione del Mose «in mancanza della prescritta Valutazione di Impatto ambientale, per cui l’Ue ha chiesto spiegazioni al governo, e in mancanza del parere della Salvaguardia». «Vorrei sapere», scrive Vianello, «se la realizzazione del sistema Mose stia procedendo in prsenza di palesi irregolarità nella procedura».
E un nuovo ricorso al Tar minacciano gli ambientalisti. Stavolta chiedendo anche la «sospensione dei lavori». «Il Comune deve avanzare la sospensiva», dice il presidente della commissione Legge Speciale Flavio Dal Corso. Aprendo formalmente un fronte nella maggioranza di Ca’ Farsetti che nonostante la decisione di un anno fa non ha mai inteso fermare i lavori. «Questa della commissione di Salvaguardia è l’ennesima forzatura nelle procedure», dice l’assessore Paolo Sprocati, «convocheremo i nostri tecnici e poi decideremo il da farsi». «Per Venezia non potevamo aspettarci di peggio», gli fa eco la parlamentare verde Luana Zanella, «il business del Mose ha dirottato su di sè tutte le risorse». Intanto il Mose fa un altro passo avanti. «Per noi il progetto è quello», sorrideva ieri l’ingegnere Alberto Scotti, progettista del Mose, «ora possiamo andare avanti con l’esecutivo come chiesto dal Comitatone».
VENEZIA. Il primo ad andarsene sbattendo la porta è il rappresentante dei comuni della gronda (Chioggia, Mira, Codevigo, Campagna Lupia) Guido Moressa. «Non intendo votare», scandisce, «perché la commissione non è stata messa in grado di valutare il progetto, e soprattutto le conseguenze che avrà sul nostro territorio». «Abbiamo ricevuto le carte pochi giorni prima di Natale e oggi ci costringono a votare. Un atteggiamento che può avere soltanto spiegazioni politiche». Giuseppe Ambrosio, direttore generale del ministero dell’Agricoltura, scalpita e impreca contro chi parla troppo ed «entra nel merito di un progetto di cui si parla da anni» e rischia di fargli perdere l’aereo. «Quando arriveranno le pratiche edilizie dei comuni farò anch’io così, tirerò in lungo», si lascia sfuggire, «il parere l’hanno già dato, è ora di votare». Il Mose non è questione un tantino più compless? «Ne vogliono fare una questione politica», dice. E’ proprio l’accusa che muovono compatti alla maggioranza della commissione i rappresentanti di Comune, Provincia e comuni di gronda. E, a sorpresa, il rappresentante della Regione Ubaldo De Bei. «Non è serio», dice, guardato con diffidenza dai funzionari di palazzo Balbi, «non me la sento proprio di votare per un progetto che non ho fatto in tempo a leggere». Andrea Ballin, a nome della Provincia, esprime «rammarico». «Avevamo chiesto un rinvio per leggere le carte», dice, «non ci hanno ascoltato». Cristiano Gasparetto, rappresentante del Comune, sottolinea che si tratta di «scelta illegittima»: «Quel progetto è stato approvato senza Valutazione di impatto ambientale, come previsto dalla normativa europea e il voto della Salvaguardia arriva a cose fatte, con i dubbi procedurali espressi dagli enti locali. Daremo battaglia». (a.v.)
VENEZIA. «Forzature? Le uniche forzature le fanno da anni quelli che vogliono bloccare l’opera. Il Comune che ha fatto il Ponzio Pilato, l’assessore Sprocati che con una lettera un po’ vergognosa voleva sollevare i suoi rappresentanti in commissione. Venezia può essere sicura. Da oggi finisce il suo secolare martirio di acque alte». Non si cura delle plemiche il presidente della Regione Giancarlo Galan. E annuncia trionfale l’avvio «definitivo» del Mose.
Il presidente della Regione non si era mai visto in quest’aula.
«Sono venuto per l’insediamento. E oggi per l’importanza dell’argomento trattato e per rispetto nei confronti di chi ha assunto le decisioni precedenti».
Una decisione assunta in contrasto con gli enti locali, i comuni di gronda e la Provincia.
«Avevano già votato a favore, La delibera che dà il via al Mose è stata approvata dal Comitatone del 3 aprile all’unanimità».
Ma il Comune aveva posto 11 condizioni preliminari.
«Nel verbale del Comitatone è scritto con estrema chiarezza che si trattava di una problematica distinta, non ostativa alla realizzazione del progetto. Se qualcuno ha avuto interesse a raccontare verità diverse, mi dispiace per lui, ma le indicazioni del Comitatone sono chiarissime»
Al progetto manca ancora la Valutazione di impatto ambientale.
«La Via l’ha fatta la Regione. Ognuno adesso può fare ricorsi, aprire indagini. Ma l’opera è partita. Il governo ha mantenuto le promesse». (a.v.)
Una grande opera di cui si discute da un quarto di secolo. Risale infatti ai primi anni Ottanta il progetto di massima del ministero dei Lavori pubblici sulle chiusure alle bocche di porto. Nel 1984 la progettazione è stata affidata al Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per le opere di salvaguardia creato con la seconda Legge Speciale.
Del 1988 è il progetto preliminare, con l’inaugurazione fatta dall’allora vicepresidente del Consiglio Gianni de Michelis del prototipo Mose. Nel 1992 arriva il progetto di massima, nel 2002 quello definitivo. Il sistema Mose prevede la chiusura delle tre bocche di porto con una serie di enormi paratoie (82) cementate sul fondo, che si alzano riempite d’aria in caso di marea superiore ai 110 centimetri. Costo stimato, circa 3 miliardi di euro. Sulla grande opera i pareri anche scientifici sono contrastanti. Promosso dai cinque esperti nominati dal ministero, il Mose è stato bocciato dalla Valutazione di impatto ambientale nel 1999. Nei primi mesi del 2003 è cominciata la costruzione della diga foranea di Malamocco, «opera preliminare» che servirà per proteggere la conca di navigazione. (a.v.)
Il comune boccia il Mose
il manifesto
C'è ora anche il comune di Venezia tra coloro che si oppongono al Mose, il sistema di dighe mobili in corso di realizzazione a Venezia, una delle grandi opere del governo Berlusconi. Il comune ha infatti disposto un'informativa su 19 presunte violazioni alle norme comunali, regionali e comunitarie in materia ambientale, riscontrare nei cantieri alle bocche di porto. Mentre il sindaco Cacciari, sostenuto dai pareri dei primi cittadini di Cavallino e Chioggia, ha inviato una relazione dell'ufficio urbanistica al Magistrato delle acque sulle presunte violazioni, chiedendo di fermare i nuovi progetti esecutivi. Il comune si sarebbe convinto a intervenire dopo due diffide inviate dagli ambientalisti dell'Ecoistituto Alex Langer, da Italia nostra e dalla Lipu. Ma il magistrato avrebbe comunque deciso di dare il via libera a sei progetti, sostenuto dal ministro Lunardi. Mentre gli industriali di Venezia sostengono che il progetto deve andare avanti.
Mose, polemiche sulla Salvaguardia
la Nuova Venezia
Mose, stop ora o mai più: nel senso che o si fermano i lavori da qui all’inverno oppure, a fondamenta posate, saranno arrivati ad uno stadio troppo avanzato per essere bloccati. Così il confronto tra i due schieramenti si fa serrato, con il fronte del «No» che tenta l’ultimo affondo.
Il sindaco Massimo Cacciari - perizia tecnica alla mano, che ha rilevato ben 19 violazioni amministrative ed urbanistiche al mega-progetto - ha invitato il Magistrato alle acque (ma il sapore è quello della diffida) a non procedere con nuove approvazioni in attesa di chiarire i punti dubbi. Ufficialmente la presidente Giovanna Piva ieri non ha replicato, ma in sede di Comitato tecnico ha spiegato che i nuovi progetti esecutivi avranno un iter sufficiente lungo per permettere gli approfondimenti richiesti. Nel frattempo è però stato dato, tra l’altro, il via libera allo scavo di un nuovo canale a San Nicolò. «Solo uno sbuffo di china sul progetto, del quale non si è mai parlato prima: incredibile», commenta l’urbanista Stefano Boato.
Quando al Mose, si sa, la posizione di Magistrato e ministero delle Infrastrutture è sempre stata: il benestare è giunto dalla Commissione di Salvaguardia che, in sede di conferenza di servizio, ha sanato ogni pendenza. Equiparazione contestata da ambientalisti e amministrazione, che ricordano come la Corte Costituzionale abbia chiarito (375/98) che la Commissione non ha i poteri per derogare alle norme urbanistiche.
Di più, ora si apre un nuovo contenzioso, perché l’avvocato Gianfranco Perulli - rappresentante del Comune in seno alla commissione - ha messo nero su bianco come la decisione fu assunta pressoché a scatola chiusa. «Al momento del voto», spiega Perulli, «io e altri 5 commissari, come Stefano Boato e Cristiano Gasparetto, siamo usciti dall’aula, dopo aver fatto verbalizzare che la commissione non aveva potuto completare l’indagine sul progetto e gli allegati, esaminati solo in piccola parte. Un fatto del tutto pacifico, che rende viziato il parere e travolge l’intero procedimento amministrativo».
A spingere il sindaco Cacciari ad intervenire sono state due diffide, presentate dagli ambientalisti dell’Ecoistituto Alex Langer, Italia Nostra e Lipu. Ne è derivata un’indagine amministrativa della Direzione centrale sviluppo del territorio e mobilità, che ha evidenziato 19 presunte violazioni alle norme comunali, regionali e comunitarie in materia ambientale, inviata al ministero delle Infrastrutture e alla Regione Veneto, competenti sui provvedimenti di immediata sospensione delle opere abusive.
Il dibattito impazza. Se il presidente degli industriali di Venezia, Antonio Favrin, chiede che i lavori proseguano - «E’ un’idea che riteniamo valida» - la deputata verde Luana Zanella chiede invece al ministro Lunardi di bloccare i cantieri «assolutamente illegittimi rispetto alle norme di pianificazione dei comuni della laguna e a quelle dell’Ue per i siti Sic». Intanto, a Ca’ Farsetti si aspettano risposte ufficiali del ministro e del Magistrato alle acque. Nell’attesa, ieri, seduta balneare per l’intera giunta, riunita in conclave per tutto il giorno alla Colonia Morosini, con l’unica sosta per il pranzo insieme ai bambini del centro degli Alberoni: risotto di mare e pesce arrosto per tutti. Ogni assessore ha fatto il punto della situazione ed è stata stesa la scaletta del da farsi. Alla fine, sorrisi, ma bocche cucite. (r.d.r.)
Per comprendere perchè il MoSE non va bene si veda, per cominciare, questo articolo
4 giugno 2004 - Romano Prodi, in visita a Venezia per promuovere la lista unitaria dell'Ulivo, ha sostanzialmente approvato il progetto delle dighe mobili. Dopo aver apprezzato il lavoro di ricostruzione fatto alla Fenice, dopo essere rimasto incantato soprattutto dall'oro degli ornamenti, il presidente dell'Unione europea ha fatto una breve passeggiata in piazza San Marco. Curiosamente, lungo Calle larga XXII marzo, prima del passaggio del corteo gli ambulanti extracomunitari, che di solito affollano la calle, erano stati fatti allontanare.
Affiancato dal fratello Vittorio, dal sindaco Paolo Costa (che gli ha brevemente illustrato anche i progetti del rialzo della pavimentazione in piazza San Marco) e dal candidato alla presidenza della Provincia Davide Zoggia, Prodi ha così detto la sua sul Mose. «Non conosco nel dettaglio il ricorso contro il Mose, ma posso affermare che il progetto è comunque un punto di riferimento per la sicurezza di questa città, lo ho seguito per anni e spero che vada avanti. Da quello che ho potuto capire Venezia ha davvero bisogno di sicurezza». Dopo aver affermato di essere rimasto colpito dall'attentato all'ambasciata in Iraq, Prodi ha parlato al telefono da un tavolino del caffé Todaro con il primo ministro russo Michail Fradkov per sbloccare un problema relativo all'esportazione di carne tra l'Europa e il Paese dell'est. Incuriosite dalla piccola folla radunata al bar vicino all'illustre ospite, due turiste americane hanno chiesto ed ottenuto di farsi fotografare con il presidente. Anche in campo San Fantin i turisti erano rimasti a sbirciare, c'è anche chi, vedendo guardie del corpo e fotografi all'opera, lo ha confuso nientemeno che con Berlusconi. A San Marco Prodi, Costa, Zoggia e i giornalisti sono poi saliti a bordo di un battello elettrico dell'Actv.
Per il sindaco, visibilmente soddisfatto dell'incontro contrariamente a molti cronisti immobilizzati nel battello per tentare di sentire la debolissima voce del preside europeo sovrastata dal rumore del motore, è necessario insistere sul progetto di conversione dell'alimentazione dei vaporetti. Costa ha parlato del piano che prevede l'alimentazione ad idrogeno, una scelta costosa e soprattutto poco inquinante (è augurabile che sia anche meno rumorosa).
Il sindaco punta così ad ottenere la relativa approvazione, anche in chiave europea, nonchè i fondi necessari. «Ho sempre pensato che l'idrogeno fosse l'ideale per questa città - ha aggiunto Prodi - la sperimentazione a Venezia mi sembra la cosa più giusta, deve essere affrettata. Mi pare una combinazione ideale, tra Venezia e l'idrogeno, che mantiene anche la città più pulita».Ne hanno avute davvero tante
di Silvio Testa
5 giugno 2004 - Ne hanno avute davvero per tutti: per Costa, per Prodi, ma soprattutto per il Polo Rossoverde. Le dichiarazioni di Prodi sul Mose (vedi riquadro sotto) hanno scatenato Michele Boato (Verdi colomba) e Andreina Zitelli (Pri), candidati alla Provincia con la lista che porta il loro nome, che ieri hanno denunciato le contraddizioni del Centrosinistra e hanno chiesto che il sindaco sia mandato a casa con un anno d'anticipo. «Gianfranco Bettin, Beppe Caccia, Paolo Cacciari - ha scandito Boato - sono lì per i loro interessi, i loro fili rossi realmente attivi sono le alleanze strategiche con il mondo dei violenti d'Italia, ed è meglio un commissario per gli ultimi mesi dell'amministrazione che Costa svincolato da tutto».
L'analisi dei due è netta: il Mose è invasivo, dannoso, irreversibile, illegittimo, ma se siamo arrivati alla fase dei cantieri è anche perché il Centrosinistra nel merito si regge sull'ambiguità, e si arriva al paradosso che il sindaco è lieto che il Tar bocci il ricorso del Comune. «O è cosa da Corte dei Conti, perché si pagano gli avvocati per perdere, o è un manicomio» ha scandito Boato, affermando che le parole di Prodi hanno solamente messo una volta di più l'equivoco in rilievo.
«Costa farà appassire la Margherita», ha concluso Boato, sostenendo che anche in quel partito vi sono tante persone contrarie alle grandi opere stravolgenti e chiedendo se vi siano imprese del Consorzio Venezia Nuova che abbiano finanziato questa o la precedente campagna elettorale del sindaco per le europee.
«In sede locale - ha sostenuto la Zitelli - rimane innegabile il dato che il Polo Rossoverde ha condiviso tutte le decisioni del governo Costa, senza mai mettere in discussione la presenza dei suoi assessori nella giunta comunale. Le dichiarazioni di Prodi sul Mose - ha aggiunto - rappresentano per loro una batosta, e affossano l'ordine del giorno post elettorale annunciato da Pettenò, Bettin e Dal Corso».
Ergo? «Invitiamo tutto l'associazionismo, le remiere, le persone di buon senso, tutti coloro che hanno a cuore la laguna e la salute dei veneziani - ha concluso la Zitelli - a sostenere alle provinciali la nostra lista: non scendiamo né scenderemo a compromessi, siamo l'unica vera novità nel panorama politico locale, persone con vite chiare sempre nell'ambientalismo».La collocazione, hanno precisato entrambi, sarà nel Centrosinistra, anche se condizionata ai temi ambientali. «Vogliamo che la maggioranza di adesso vinca, ma nella chiarezza», ha affermato Boato, mentre la Zitelli ha sottolineato che la posizione storica e maggioritaria del Pri, ancorché oggi schierato col Polo, è contro il Mose. Lo conferma anche il segretario Pierre Zanin. «E mai nessuno - ha concluso - potrà impedirmi di fare in sede locale un'alleanza sui programmi».
Nel Polo Rossoverde, comunque, non si disconoscono le difficoltà della coalizione sui temi ambientali, soprattutto dopo le affermazioni di Prodi. «Sono state uno spot per Costa, ed è chiaro che sul piano politico sono un problema», ha sostenuto il capogruppo di Rifondazione Comunista, Pietrangelo Pettenò. Del resto, ha aggiunto, nessuna sorpresa, perché si tratta di una linea di piena continuità nel Centrosinistra.«Sia il Governo Prodi che il Governo Amato, con dentro i verdi di Boato e i repubblicani della Zitelli - ha sostenuto - l'hanno perseguita, e dunque non è mandando a casa Costa che non si fa più il Mose. Ronchi e la Melandri - ha aggiunto Pettenò - l'hanno forse fermato? La battaglia politica varrebbe la giunta, ma credere che in questo clima ciò basti a fermare il progetto significa essere degli illusi, fuori della storia».
La scelta giusta, ha dunque sostenuto Pettenò, sono gli 11 punti, e la mozione che ne chiederà la sperimentazione e, in attesa dei risultati, lo stop ai lavori propedeutici del Mose. «È però chiaro - ha concluso - che su questo si arriva alla resa dei conti: non gli chiediamo di abiurare al Mose, ma Costa deve impegnarsi su questa posizione. Niente forzature, altrimenti si rompe e nei mesi che mancano Rifondazione non parteciperà più al governo della città».
Sconcerto anche tra Verdi e Ds. «Adesso, oltre a Costa, c'è Prodi a dire 'avanti col Mose': si può sapere - ha chiesto il capogruppo dei Verdi, Flavio Dal Corso-, giusto perché gli elettori ne abbiano un'idea, come si comporterà il listone in Europa a proposito del Mose? Per ora ha aggiunto -, la verità è solo una: il solo voto anti Mose dato alle prossime europee sarà quello dato a chi non ha nessuna ambiguità su questo punto. Esattamente come i Verdi». E nella Quercia ieri Mara Rumiz si è affrettata a segnalare ai giornali che Giovanni Berlinguer, candidato nel listone alle europee, si è subito affrettato a subordinare ogni decisione sul Mose «a una attenta e meticolosa valutazione dell'impatto ambientale».
4 giugno 2004 - . Una visita alla Fenice, una passeggiata in piazza San Marco. E un sostegno, anche se prudente, al progetto Mose: «E’ sempre stato un punto di riferimento sulla sicurezza, spero che vada avanti». E’ durata meno di due ore la visita veneziana del presidente della commissione europea Romano Prodi. A fargli da guida il sindaco Paolo Costa, che lo ha accompagnato insieme al candidato presidente dell’Ulivo per la Provincia, Davide Zoggia.
Prodi è parso molto affaticato, e non ha risposto a domande su Berlusconi e Bush. Limitandosi a esprimere la sua «crescente preoccupazione» per le notizie che arrivano dall’Iraq. «Sono molto colpito», ha detto Prodi, «dall’attentato alla nostra ambasciata. Spero non ci siano state vittime».
Il presidente è arrivato da Padova nel pomeriggio, e a bordo del motoscafo della Prefettura ha raggiunto Santa Maria del Giglio. Prima tappa, la Fenice. «Non era potuto venire all’inaugurazione», spiega Costa, «gli avevo promesso di aprire il teatro solo per lui». Prodi, Costa e Zoggia salgono le scale del teatro illuminato a festa. Nel gruppo c’è anche il fratello di Prodi Vittorio, presidente della Provincia di Bologna e candidato all’Europarlamento nel Nord Est. Entrano a decine. Il solerte cerimoniale di Ca’ Farsetti decide di lasciar fuori soltanto i giornalisti.
Prodi ammira i restauri. Si fa spiegare dai progettisti le tecniche per la doratura dei decori e dei soffitti. «Ma è oro sul serio?», chiede. Gli spiegano che sotto i pavimenti ci sono tonnellate d’acqua per garantire la sicurezza in caso di incendi. Qualcuno, non visto, fa gli scongiuri. Si va alla sala Rossi, gioiellino in legno aggiunto al teatro «dov’era e com’era». «Bella, bella», commenta il presidente.
Tutti di corsa verso piazza San Marco. I vigili urbani e la Digos fanno strada. Qualche commerciante di via XXII marzo non perde l’occasione: «Ci vorrebbe tutti i giorni, Prodi, non abbiamo mai visto la strada così ordinata». Gli ambulanti senegalesi, abusivi e autorizzati, sono spariti come d’incanto.
A San Marco si posa per la foto. I professionisti dell’immagine tirano il collo per riuscire a venire immortalati «proprio accanto al presidente». A un certo punto qualcuno del cerimoniale ci prova: «Una foto del presidente con il sindaco, loro due da soli». Fatica sprecata, perché il gruppo non molla. Scattata la foto di rito davanti alla Basilica si fa rotta verso il Molo. Il cantiere metallico del Consorzio Venezia Nuova oscura l’isola di San Giorgio. Prodi si informa: «Cosa stanno facendo?». «Mettono a posto la pavimentazione, poi isolano il sottosuolo», risponde Costa, «qui sotto è pieno di cunicoli. Quanto tempo ci vorrà? Qualche anno».
Sotto le colonne di Marco e Todaro squilla il cellulare. Il capoufficio stampa Nino Rizzo Nervo, già direttore del Tg3 Rai, prende Prodi e lo fa sedere a un tavolino del Caffè Todaro. Dall’altro capo del filo c’è il primo ministro russo Mikhail Fradkov. La telefonata dura un buon quarto d’ora. «Abbiamo parlato del problema dell’improvviso blocco di esportazioni di carne dai Paesi dell’Unione alla Russia», spiegherà Prodi più tardi, «un problema che preoccupa gli allevatori di molti Paesi europei e che vale un miliardo e trecento milioni di euro. Abbiamo cercato di risolvere questo problema». Alla fine della telefonata, foto ricordo richiesta da una studentessa americana. «Mi chiamo Taylor», ha detto, «e ho fatto un master in Europa, volevo conoscere il presidente Prodi».
Tutti in battello. Si parla dell’energia pulita, ma anche dei lavori del Mose, che hanno subìto un’accelerazione. «Non ho seguito le ultime fasi di questo progetto», scandisce Prodi, «ma credo che il Mose sia uno dei punti di riferimento per la sicurezza della città. Io ho un certo passato, perché per anni ho assistito alle sperimentazioni e ai progetti nell’ambito del Consorzio, e quindi spero che possa andare avanti». Presidente, lei lo sa che in Europa ci sono due ricorsi, di cui uno firmato da 150 parlamentari dell’Ulivo?, gli chiedono. «Non sono un esperto di procedure, non ne sono al corrente», taglia corto Prodi. «Ma non è vero che manca la Via», corregge Costa, «e comunque le responsabilità sono tutte mie».
5 giugno 2004 - . Uniti nell’Ulivo, ma non sul Mose. Non è piaciuta ai Ds l’esternazione del presidente della commissione europea Romano Prodi in favore del progetto. «Non si può prescidnere da un’attenta valutazione di impatto ambientale», corregge il tiro Giovanni Berlinguer. Michele Vianello, deputato veneziano, è più duro: «Il presidente Prodi forse non è aggiornato o è stato male informato», dice.
Vianello era stato tra i promotori della raccolta di firme che aveva portato 150 parlamentari dell’Ulivo a presentare un ricorso all’Europa contro le procedure utilizzate dal governo per approvare l’opera. «Non ne so nulla», aveva detto Prodi. «Si informi dalla commissaria all’Ambiente Margot Wallstrom». E nel merito: «Noi che viviamo in questa città e non ci veniamo una volta ogni tanto, sappiamo che questa è un’opera inutile per garantire la sicurezza della città». Era stata proprio questa l’espressione usata da Prodi nel suo tour insieme a Paolo Costa, da sempre sostenitore della grande opera.
«La sicurezza della città certo va perseguita, ma i parlamentari Ds hanno contestano l’attualità dell’opera e la forzatura delle procedure attuata dal governo Belusconi», specifica Andrea Martella, parlamentare della Quercia.
Mara Rumiz, presidente del Consiglio comunale, invita a «rispettare la volontà della città e quello che ha deciso il Consiglio comunale». Da sempre molto critico sulla bontà del progetto e autore dei famosi 11 punti, ignorati dal governo e definiti da Costa «non ostativi all’avvio del Mose». I lavori intanto vanno avanti, con i primi interventi «pesanti» che che secondo gli ambientalisti stravolgeranno per sempre gli Alberoni, Punta Sabbioni il paesaggio delle bocche di porto.
«Il Mose è invasivo e dannoso, perché scavando i fondali le acque alte aumenteranno», attacca Michele Boato, candidato presidente alla Provincia, «non è reversibile, e questo è contro la legge, ed è stato approvato senza Valutazione di impatto ambientale». Poi attacca frontalmente il sindaco Costa: «Il Tar ha respinto un ricorso presentato dal Comune», dice, «e il sindaco se n’è detto lieto. E’ un caso da Corte dei Conti oppure da manicomio». Quanto a Prodi, Boato solleva il «conflitto di interessi» del presidente che con Nomisma sarebbe stato in passato «consulente» del Consorzio Venezia Nuova. «Vorremmo sapere dal sindaco Costa», continua, «se è vero che imprese del Consorzio gli hanno finanziato la campagna elettorale». «Vogliono cancellare Ca’ Roman e il paesaggio lagunare», gli fa eco la docente Iuav Andreina Zitelli, «Costa in questo modo farà appassire la Margherita».
Qualche imbarazzo nei Verdi. Che invitano a scegliere chi «ha sempre detto no al Mose». «Il listone sciolga le sue ambiguità», dice il capogruppo in Comune Flavio Dal Corso. L’atteggiamento di Prodi viene definito «ridicolo» dal leghista Alberto Mazzonetto. «Prodi ha detto quelle cose per far contento il suo pupillo che sostiene il Mose», dice, «ecco un buon motivo per non votare i due poli ma votare per noi».