La chiamano già «ferrovecchio», anche se dovrebbe entrare in funzione soltanto tra otto-dieci anni (per ben che vada). E’ che del sistema Mose si parla ormai da un trentennio. Non so se «fero vecio» sia il termine più indicato. Fatto sta che nell’epoca attuale, tecnologicamente così frenetica, qualsiasi macchinario che abbia una progettazione così datata viene pacificamente ritenuto obsoleto. Mi viene da pensare a certi impianti industriali di Porto Marghera, che pur coetanei del Mose sono già ritenuti pericolosi, oltre che fuori mercato. Ma ho l’impressione che la vicenda-Mose assomigli sempre di più ad un dialogo tra sordi. E con qualche sgradevole sensazione in più.
Se da un lato infatti si continua a invocare almeno un attimo di ripensamento e di approfondimento soprattutto di fronte alle profonde e irreversibili modifiche del territorio cagionate dagli affannosi lavori in corso, dall’altro lato (Consorzio Venezia Nuova e Magistrato alle acque) si procede imperterriti, sempre più a spron battuto e in barba a qualsiasi anche minima richiesta di chiarimenti, di trasparenza e di verifica.
Proprio in questo ultimo periodo, il sindaco di Venezia ha provveduto alla nomina di un nuovo gruppo di esperti, con l’incarico di riesaminare l’iter delle procedure e dei lavori relativi alla attuale fase propedeutica al sistema di chiusura delle bocche di porto. L’intento (persino ovvio) è quello di riportare il Comune al centro di ogni decisione concernente le politiche di salvaguardia di Venezia, riappropriandosi un ruolo che gli è stato sottratto, soprattutto negli ultimi anni, a seguito di tendenze assolutistiche e accentratrici, di cui la «normativa Lunardi» si è resa chiara interprete.
Ma questa nuova richiesta di «altolà» è oggi ancor più pressante e rilevante rispetto alle richieste del passato, proprio perché si colloca in un momento storico ben preciso, che costituisce per così dire il punto di non ritorno. Chi abbia avuto occasione o voglia di recarsi in quest’ultimo periodo all’isola del bacàn o al porto di Malamocco, o sui Murazzi, ha potuto riscontrare personalmente lo stravolgimento ambientale in corso. Ma, pur grave, il problema non è soltanto di tipo estetico o ambientalistico. Il fatto ancor più grave è che i lavori sono giunti a un punto di non ritorno, perché si stanno per iniziare dei lavori di cementificazione e di costruzione di barriere e fondali non più reversibili. E ciò, ancora una volta, in barba alla normativa generale di salvaguardia e di tutela dalle acque medio-alte, ma soprattutto senza tener conto di alcune novità, tecnologiche e scientifiche, che sono emerse negli ultimi anni.
Da un lato, infatti, le nuove emergenze sulle mutazioni climatiche e sulla situazione delle acque marine e dei fondali consiglierebbero (sarebbe meglio dire imporrebbero) la rivisitazione di un’opera concepita ormai qualche decennio fa. D’altro canto, sono stati presentati negli ultimi anni alcuni progetti tecnologici alternativi al Mose, che hanno sicuramente il pregio della reversibilità, che sono molto meno «impattanti» e che danno la possibilità di verificarne efficacia ed efficienza sul campo rapidamente ed in modo definitivo; ma hanno forse un grave difetto: quello di costare troppo poco rispetto al sistema Mose, anche dieci o venti volte di meno.
Ma su questi progetti alternativi, per il momento, nulla di specifico concreto e serio è dato di sapere da parte del Magistrato alle acque (e da parte del suo concessionario unico): caso esemplare di totale mancanza di trasparenza e di correttezza nei confronti non solo dei proponenti, ma della stessa città. Né il Comune di Venezia o altri sembrano per il momento in grado di interloquire o di imporre alcunché, tanto meno una rapida sperimentazione.
A meno che, nei prossimi giorni non venga dato contenuto concreto alle critiche di irregolarità amministrative e di violazioni della normativa statale e comunale formulate da più parti (Legge speciale per Venezia, norme urbanistiche come il Piano regolatore e le sue Varianti, norme paesaggistico-territoriali come il Palav ed i suoi vincoli, norme europee di tutela ambientale). E in tal caso si imporrebbe allora, da parte comunale, un forte e deciso intervento per il blocco dei lavori, da richiedere però e purtroppo in sede nazionale.
Non mi nascondo le difficoltà di tale percorso, soprattutto di fronte ad una maggioranza regionale e governativa nazionale, che anche del Mose sembra aver fatto quasi una bandiera di efficienza. Il guaio è che dei guasti e degli sperperi dovuti a tale sistema si potranno rendere conto anche tutti coloro che finora, per ragion di «partito», si sono comportati da ciechi e sordi solo quando sarà ormai troppo tardi.
Lo squadrone di persone (tecnici e dirigenti, pubblici e privati) messo in campo dagli aficionados del Mose (e dei suoi rilevantissimi benefit, presenti e futuri) si è sempre guardato bene dall’incorrere in qualsiasi pur minimo vizio formale o giuridico. Non so quindi se sarà possibile cogliere costoro «in flagranza» di qualsiasi svista o irregolarità, pur banali. Ritengo però che la questione vada affrontata principalmente da un altro punto di vista, che è quello della politica: fatti e non parole.
Ed è sotto questo punto di vista che si dovrà giocare la partita, da una parte imponendo un ruolo di centralità decisionale per l’amministrazione comunale, dall’altra pretendendo con la massima urgenza una convocazione del cosiddetto Comitatone, all’interno del quale far pesare politicamente la volontà espressa dai cittadini in occasione delle elezioni di questa primavera. Volontà espressa con l’approvazione dei programmi di tutti i partiti del centrosinistra da una maggioranza ampiamente contraria alla prosecuzione di questi lavori. Sulle orme delle prescrizioni e dei giudizi formulati dal precedente Consiglio comunale, che aveva unanimemente deliberato che «il parere al progetto definitivo non può essere che negativo». Per di più in presenza di sistemi alternativi meno impattanti, sicuramente reversibili e molto meno costosi.
Un'ampia descrizione della Laguna e degli interventi che la stanno distruggendo negli scritti di E. Salzano La Laguna di Venezia e gli interventi proposti (2003) e Venezia: un presepio vuoto per i turisti (2005). Numerosi altri articoli e documenti nella cartella Venezia e la sua Laguna
Silvio Testa,
«La composizione dell'Ufficio di Piano non incoraggia…”
«La composizione dell'Ufficio di Piano non incoraggia una visione super partes». Anche per il sindaco, Paolo Costa, l'Ufficio di Piano così come risulta per decisione del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è troppo fortemente sbilanciato pro Mose, e ieri lo ha detto alla fine della riunione di maggioranza pretesa dai Ds, dai Verdi e da Rifondazione sui temi della Salvaguardia, dopo l'ennesimo schiaffo subìto da Roma.
Che lo pensi davvero, chissà, ma sta di fatto che alla fine di una riunione tesissima, col sindaco messo in stato d'accusa soprattutto da Rifondazione, la presa di distanza ufficiale di Costa è venuta. Il sindaco forse sperava di uscirne indenne, con la notizia che un decreto del Governo consentirà al Comitatone di stornare per la città quota parte dei fondi stanziati per il Mose, come l'anno scorso, ma non è bastato. «Non si svende la Salvaguardia per quattro palanche», lo ha attaccato il capogruppo di Rifondazione, Pietrangelo Pettenò, e dunque sullo sfondo resta sempre in piedi lo spettro di una crisi e l'opzione del referendum sul Mose.Su proposta di Sprocati, un gruppo di lavoro ristretto preparerà un documento da portare in consiglio comunale per ribadire la sperimentabilità di interventi alternativi alle bocche di porto e per rilanciare gli 11 punti, e soprattutto per bollare a fuoco le forzature e i tranelli del Governo nell'anno trascorso. «E la mozione - ha spiegato Pettenò - dovrà essere approvata prima del Bilancio e essere vincolante per il sindaco, quando andrà in Comitatone. Costa dovrà sbugiardare Berlusconi, e dirgli chiaro che ci ha imbrogliati».
Quanto al referendum, «se continuerà a mancare l'interlocutore - ha aggiunto Gianfranco Bettin (Verdi) - più di qualcuno, e non solo tra noi che l'abbiamo proposto, si è espresso per chiedere il giudizio dei cittadini. Anche il sindaco ha detto di non averne paura». Ma il referendum, ha proposto Pettenò, non dovrà essere "Mose sì, Mose no". «Dovrà indirlo la giunta - ha spiegato - e il quesito dovrà riguardare l'approccio sistemico alla Salvaguardia, in modo che sia l'intera città a schierarsi sugli 11 punti».
Per il Comune, che ha voluto l'Ufficio di Piano tanto da inserirne l'istituzione tra i famosi 11 punti, il nuovo organismo doveva diventare la plancia di comando tecnica per la revisione del Piano generale degli interventi in laguna, con tempistica e finanziamenti tali da garantire la visione sistemica che Venezia chiede e l'avvio della sperimentazione di vere e reversibili opere dissipative alle bocche di porto, tali da imporre anche modifiche al progetto esecutivo del Mose.
Secondo il Comune, invece, ciò non è ora più garantito per la presenza nell'ufficio di Piano di persone come Aldo Rinaldo, che ha collaborato alla stesura dello Studio di impatto ambientale del Mose, o di Philippe Bourdeau e Pierre Vellinga, che col collegio dei 5 saggi internazionali rovesciarono la Valutazione di impatto ambientale negativa sul progetto, o del direttore del Ministero dei Beni culturali, Roberto Cecchi, che in Salvaguardia ha "commissariato" sul Mose la Soprintendenza veneziana, per non parlare dei rappresentanti dei ministeri e della Regione.
«L'unico aspetto positivo - ha sottolineato il sindaco - è che l'Ufficio sarà un momento di trasparenza nelle procedure, e proprio per questo il Comune dovrà creare al suo interno una struttura tecnica in grado di interloquire a tutti i livelli». Una sorta di "Contro Ufficio di Piano", ha spiegato Costa, che avrà il compito di predisporre una sorta di "interpretazione autentica" degli 11 punti e costringere il Comitatone a fare i conti su ciò che davvero il Comune vuole.
Sulla presenza nell'Ufficio di Piano, quale rappresentante del Comune, di Ignazio Musu, già tra i saggi internazionali, già consigliere comunale dimessosi in polemica con gli 11 punti, in maggioranza non ci sono stati bracci di ferro. «Non c'è nessun caso Musu - ha almeno detto Costa -. La nomina è avvenuta in base ad accordi tra più enti, e anzi credo che la presenza di Musu sarà assai utile in un organismo così sbilanciato».Nè vi saranno diffide verso il Magistrato alle Acque e il Consorzio a tener le bocce ferme in attesa del Comitatone e della sentenza del Tar sui ricorsi contro il Mose. Pareva che i Ds le pretendessero, «ma nessuno ne ha parlato», ha ricordato Costa. «È ben vero - ha però spiegato l'assessore alla Legge speciale, Giampaolo Sprocati - che se Magistrato & Consorzio avvieranno contratti o opere dimostreranno di non voler ottemperare agli 11 punti, e allora il Comune trarrà le sue conseguenze».
Alberto Vitucci
«Sospendere l’iter del Mose»
La maggioranza propone un Ufficio di Piano «alternativo»
VENEZIA. Un Ufficio di Piano «alternativo» e la richiesta al Comitatone di sospendere l’iter del progetto Mose in attesa dei risultati delle sperimentazioni. E’ questo l’esito della riunione dei capigruppo di maggioranza con il sindaco Paolo Costa sull’emergenza salvaguardia.
Una riunione convulsa, con qualche momento di tensione e urla tra il capogruppo di Rifondazione Pietrangelo Pettenò e il sindaco Costa. «Ci hanno preso in giro per un anno», gridava Pettenò, «i nostri 11 punti non li hanno mai considerati, invece sono andati avanti con il Mose a tutta forza, incassando il sì del Comune. Abbiamo di fronte gente che bara, non ci possiamo più fidare». Se il Comune non prenderà una posizione chiara entro febbraio, annuncia Pettenò, Rifondazione non voterà il bilancio e uscirà dalla giunta. «Non ci stiamo a fare la foglia di fico di scelte che non condividiamo», dice.
Un anno dopo, Rifondazione ammette dunque di essersi sbagliata. Era partita proprio dall’assessore all’Ambiente Paolo Cacciari l’idea di «mischiare le carte della salvaguardia», chiedendo di inserire nel progetto «una struttura di accesso permanente» per le navi e altri undici punti come condizione per dire di «sì» al progetto. Ma i punti non sono mai stati accolti. Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio ha nominato l’Ufficio di Piano. Ed è nato un altro putiferio. «Sono tutti tifosi del Mose», avevano protestato Rifondazione, Verdi e Ds. Ieri la maggioranza che governa Ca’ Farsetti ha approvato la proposta di Pettenò, di dar vita a un organismo tecnicio parallelo da affiancare all’Ufficio di Piano. «Mettiamoci dentro D’Alpaos, il rettore di Ca’ Foscari, Umgiesser», dice Pettenò, «studiosi indipendenti che possano dare valutazioni super partes».
Su alcuni dei membri nominati da Berlusconi, secondo il deputato dei Ds Michele Vianello, pende invece il sospetto di conflitto interessi. «Voglio sapere», ha scritto Vianello in una interrogazione al ministro Lunardi, «quanti di quei membri hanno svolto attività di consulenza per il Consorzio Venezia Nuova».
Secondo il Comune l’Ufficio di Piano chiesto da anni come «organismo tecnico di garanzia e indirizzo per gli interventi di salvaguardia» è stata l’ennesima presa in giro. Poco conta che la «terna» proposta dal sindaco Costa in accordo con il sindaco di Chioggia e la Provincia (Ignazio Musu, Maurizio Rispoli e Maurizio Calligaro) sia stata accolta dalla Presidenza del Consiglio. Il problema, hanno detto ieri a una voce i rappresentanti della maggioranza, che il Comune torni a svolgere un ruolo di leader nella salvaguardia, com’era fino a pochi anni fa.
Entro febbraio dunque l Consiglio comunale dovrà approvare un documento da affidare al sindaco Paolo Costa per la prossima riunione del Comitatone. Dove si dovrà richiedere al governo di tener conto delle richieste del Comune (a cominciare dai finanziamenti, dalla sperimentazione per ridurre le acque alte senza Mose) e si esprimerà appoggio al ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste. La crisi politica per il momento è rientrata. Resta i piedi la polemica sul futuro della salvaguardia. E soprattutto, il dibattito su come difendersi dalle acque alte senza ricorrere alle dighe.
E’ un Massimo Cacciari corrucciato ma con le idee chiare quello che - di ritorno dal viaggio in Iran - si trova alle prese con i molti problemi di Ca’ Farsetti. Ma per lui la strada è segnata. Sul Mose, il Comune segnalerà a Regione e Ministero delle Infrastrutture le difformità urbanistiche con i piani comunali degli interventi in corso, pronto a sostenere sino in fondo le sue tesi. Cacciari pretende anche il rifinanziamento della Legge Speciale - sulla base dell’impegno del ministro Lunardi - e intanto recupererà i circa 50 milioni di euro che mancano in bilancio, con la probabile vendita di quote Save. Conferma l’ormai imminente vendita del Casinò di Malta e l’impegno a costruire il nuovo stadio, nonostante il fallimento del Venezia.
Sindaco Cacciari, il Comune si prepara a chiudere l’istruttoria sui lavori del Mose certificando la presenza di difformità degli interventi con i piani urbanistici comunali?
«I tecnici stanno stendendo la loro relazione, che poi invieremo a Regione e Ministero delle Infrastrutture, ma che le difformità urbanistiche di quei lavori con i piani comunali esistano, non ci sono dubbi. Starà poi a Regione e Ministero dimostrare in modo convincente che quei lavori sono legittimi, ma non certo sostenendo che sia stato il sì della Commissione di Salvaguardia a sanare i vizi urbanistici. Immagino che dovremo riunirci tutti insieme e discuterne, ma nella massima trasparenza e anzi, su questo tema, io chiederà un ampio dibattito in Consiglio comunale».
C’è dunque un contenzioso in arrivo tra Comune da una parte e Regione e Ministero delle Infrastrutture dall’altra?
«Al momento è impossibile dirlo, anche perché non sta a me immaginare i comportamenti, ad esempio, della magistratura».
Il parlamentare e consigliere di Forza Italia Michele Zuin le lancia un appello, invitandola a evitare lo scontro e sulle valutazioni dei tecnici sui lavori del Mose ipotizza possibili pressioni politiche.
«Pur stimando Zuin, devo dire che le sue dichiarazioni mi hanno irritato, perché non ho mai fatto alcun tipo di pressione sui tecnici, a differenza, forse, di quanto avvenuto in un recente passato. I tecnici faranno il loro lavoro e i risultati di esso saranno opportunamente pubblicizzati. Sarà il Consiglio comunale a dover dire se è d’accordo con le loro conclusioni».
E sui progetti alternativi al Mose?
«Devono essere messi a confronto pubblicamente con esso, come mi si dice non sia mai avvenuto sino ad oggi. Ho già invitato il Magistrato alle Acque e il Consorzio Venezia Nuova a predisporre per settembre-ottobre il confronto pubblico tra i vari progetti. A Rotterdam, ad esempio, prima di realizzare le dighe attuali, hanno confrontato almeno quattro proposte progettuali».
Cosa pensa del progetto del Magistrato alle Acque di portare all’Arsenale il centro di manutenzione e gestione del Mose e degli elementi delle dighe mobili?
«Mi sembra logico che le lavorazioni che riguardano il Mose vengano svolte nell’area veneziana e non con lunghi viaggi per trasportare i vari elementi. Per quanto riguarda l’Arsenale, l’importante è che tutto sia in linea con il masterplan dell’area».
Nella sua lettera a Lunardi lei ha chiesto il rifinanziamento della Legge Speciale dal 2006 e la convocazione del Comitatone.
«Indipendentemente dagli sviluppi della vicenda Mose, il rifinanziamento della Legge Speciale è indispensabile; so che Lunardi si è già impegnato in questo senso e ho chiesto la rapida convocazione del Comitatone per ripristinare dal 2006 i normali canali di finanziamento degli interventi di salvaguardia della città».
Intanto mancano, per il 2005, 35 milioni di euro per quegli interventi. Come li troverà il Comune?
«Il fabbisogno effettivo è più alto, tra i 45 e 50 milioni di euro. Inutile pensare di sforbiciare per anni il bilancio comunale o di strozzarsi con i nuovi mutui. Dobbiamo azzerare subito - entro luglio - la situazione, per poi ripartire il prossimo anno con una situazione diversa, con il rifinanziamento della Legge Speciale. Pertanto è giocoforza pensare a vendite mobiliari e immobiliari e una strada possibile è quella di un accordo complessivo con la Save per la cessione di quote».
Sembra la volta buona per la cessione del Casinò di Malta. Il direttore generale del Casinò Armando Favaretto avrebbe trovato un compratore disposto a rilevare la casa da gioco dell’isola.
«Sì, ormai sembra ci siamo, la vendita è imminente e credo che ne usciremo in modo più che decoroso, senza rimetterci nemmeno un euro».
Quelli che invece continua a perdere, rispetto al 2004, il Casinò di Venezia. Come va l’operazione rinnovamento?
«Tutti i consiglieri attuali hanno dato la loro disponibilità a farsi da parte e entro il 5 luglio raccoglieremo le nuove candidature. Poi bisognerà lavorare pancia a terra, con il nuovo consiglio e il nuovo staff per rimettere in sesto la casa da gioco, tornando a pensare solo a quella».
C’è anche un problema di uomini, e sarà anche nominato un amministratore delegato?
«C’è certamente anche un problema di uomini, ma penso piuttosto a una ridistribuzione delle deleghe tra presidente e direttore generale».
Per la nuova presidenza si fa il nome di Mauro Pizzigati.
«Le candidature sono diverse, e le stiamo raccogliendo per poi scegliere».
La nuova ordinanza sul moto ondoso è appena scattata e già fioccano le proteste, a cominciare da quelle dei trasportatori.
«Non le capisco. Non hanno firmato anche loro l’accordo sui nuovi criteri nella circolazione acquea introdotti dall’ordinanza?»
Il Venezia Calcio è fallito: il nuovo stadio si farà lo stesso?
«E’ un motivo in più per costruirlo: altrimenti non troveremo mai un imprenditore disposto a rilevare la società. In questa città mancano impianti per lo sport ad alto livello e dobbiamo provvedere».
VENEZIA. La Provincia chiede che sia la Corte europea a decidere. Gli ambientalisti che si dichiari «l’illegittimità» delle autorizzazioni date dal Comitatone al Mose per la mancanza della Valutazione di Impatto ambientale. Il Consorzio Venezia Nuova che si respingano tutti i ricorsi perché «infondati». La battaglia sul Mose approda al Tar del Veneto. E ieri mattina nella nuova aula di palazzo Gussoni si è tenuta l’udienza finale dedicata ai ricorsi presentati contro la grande opera.
Il collegio giudicante - presidente Stefano Baccarini, relatore Mario Buricelli - ha ascoltato per oltre tre ore le ultime arringhe degli avvocati e si è ritirato in Camera di Consiglio. Sentenza prevista per i primi giorni della settimana prossima.
A tirar fuori dal cappello l’inaspettato cavillo è stato a fine udienza il legale del Consorzio Alfredo Biagini. «Fin qui ci siamo sbagliati», ha esordito, «perché ci siamo dimenticati di un Dpcm del 1988». Cosa dice quel decreto? Che le opere in concessione sono «esonerate dal rispetto della Direttiva comunitaria. E che spetta al ministro dell’Ambiente decidere la «conclusione della procedura di Via dopo aver esaminato il progetto esecutivo». Le dighe a mare, in ogni caso, ha detto Biagini, «sono opere del tutto distinte dal Mose». Tesi opposta a quanto da sempre sostenuto anche dal governo, che lo scorso anno aveva inaugurato «la pirma pietra del Mose» intesa come diga foranea di Malamocco.
Opposta naturalmente la tesi degli avvocati delle associazioni e della Provincia. Il professor Picozza, legale di Ca’ Corner, ha citato una sentenza del Tar del 2000. Che prescriveva la «necessità di una Valutazione di impatto ambientale nazionale». E non basta, dice l’avvocato, «che il Consiglio dei Ministri (governo Amato) abbia poi considerato chiusa la vicenda»: «La componente tecnica non può cessare ed essere assorbita dalla valutazione politica», ha argomentato il legale, «così come nessuna opera può essere scorporata per sottrarla alla Valutazione». Dunque, quell’istruttoria non c’era. E il progetto non si poteva approvare. Picozzi ha anche ricordato che la Serenissima applicava la pena di morte a chi manometteva il regime delle acque.
La linea del Consorzio e dell’Avvocatiura dello Stato è stata quella di chiedere il rigetto del ricorso perché i ricorrenti (associazioni ambientaliste e Provincia) non avrebbero avuto titolo per farlo.
«Non si può chiedere il contrario di quello che è previsto dalla legge, cioè la salvezza di Venezia», ha argomentato l’Avvocato dello Stato Raffaello Martelli, ex segretario generale della Biennale. Così anche l’avvocato della Regione Lorigiola, che ha sottolineato la diversità tra Mose e opere complementari. Che dunque non andavano soggette alla procedura di Valutazione statale. L’avvocato Alfredo Bianchini (Consorzio) ha ribadito che il discorso sulle responsabilità può essere rovesciato. «Senza il Mose Venezia rischia», ha ripetuto.
Le associazioni ambientaliste hanno diffuso in serata un comunicato. «Si vogliono forzare le procedure per realizzare solo il Mose e non la salvaguardia di Venezia e della laguna, come prescritto dalla Legge Speciale», scrivono Wwf, Lipu, Italia Nostra, Ecoistituto, Codacons, Movimento consumatori, Sinistra ecologista, Vas. E ricordsano come i nodi giuridici «irrisolti» riguardino la mancata Valutazione di impatto ambientale nazionale (l’unica fatta nel 1998 aveva dato esito negativo), e che la commissione di Salvaguardia presieduta da Galan ha approvato «illegittimamente» l’opera esaminando solo 9 dei 63 volumi che costituiscono il progetto. Un progetto che, insistono i ricorrenti, potrebbe causare alla laguna gravi danni irreversibili, con interventi impattanti come la nuova isola in bacàn e la demolizione della diga di Malamocco.
La Laguna: un mosaico vivente
L’equilibrio tra mare e Laguna, tra terra e acqua e tra acque salmastre e dulcicole, come recita il Parere della Commissione VIA, "non è semplicemente uno stato morfologico ed idrodinamico, ma è la ragione della sopravvivenza del mosaico ambientale ed antropico che definisce la natura stessa della Laguna".
Tale equilibrio non può che "essere ottenuto con un insieme articolato di opere ed interventi nel rispetto delle caratteristiche della sperimentalità, reversibilità e gradualità", caratteristiche prescritte per legge.
Sempre la Commissione "ritiene che il complesso degli interventi diffusi previsti dalla legislazione speciale costituisca la base indispensabile per il riequilibrio morfologico della Laguna".
Per "interventi diffusi" si intende quel complesso di opere capaci di riequilibrare la Laguna e di contrastare l’aumentata frequenza e aggressività delle acque alte. Come si può intuire sono antitetici al progetto MoSE: al posto di un unico intervento, la legislazione speciale prevede una pluralità di azioni capaci di una risposta specifica aciascun problema della Laguna.
Nel 1999 il Piano generale degli interventi, sottratto al Consorzio Venezia Nuova e affidato al nuovo Gruppo di lavoro per l’Ufficio di Piano (coordinato dal Ministero dell’Ambiente), ha rovesciato le tesi del Consorzio, dimostrando che se si riduce la portata delle bocche di porto (e cioè la quantità d’acqua che entra in Laguna dai porti) diminuiscono, e significativamente, le punte delle acque alte. Dopo aven negato tale assunto per anni, anche il Consorzio recentemente ha dovuto ammettere tale evidenza.
Tutti gli studi più recenti in materia di salvaguardia, nonché le prescrizioni ineludibili delle leggi speciali, sono confluiti in un piano generale, le cui proposte sono di seguito sinteticamente raccolte per punti:
1) proibizione di estrarre sia gas naturali (metano) dal sottosuolo dell’intero arco Adriatico settentrionale sia acqua dalla falda acquifera. L’emungimento artesiano (cioè il prelievo di acqua sotterranea) da parte dell’industria di Marghera ha determinato un abbassamento totale del suolo di Venezia di 12 cm. Se l’estrazione di idrocarburi (metano) è oggetto di un’aspra battaglia che vede alleate molte forze politiche, l’estrazione di acqua dal sottosuolo per l’industria agricola e turistica è purtroppo ancora praticata in Laguna e zone contermini grazie a deroghe alle leggi vigenti;
2) riapertura alle maree delle valli da pesca (prescritta dalla legge 139/1992 e non ancora attuata) in modo comunque da non impedire l’attività di pescicultura. Le relazione finale del Gruppo di lavoro per l’Ufficio di Piano, presentata nel 2002 al Ministero dell’Ambiente, ha dimostrato che a Burano il solo provvedimento di riapertura delle vicine valli produrrebbe una riduzione delle acque alte di 10 cm;
3) riapertura alle maree delle casse di colmata (prescritta dalla legge 139/1992 e non ancora attuata), cioè di quelle vaste aree lagunari già interrate ma non utilizzate dall’industria;
4) predisposizione di governi speciali delle acque dei fiumi contermini alla Laguna. Il rischio idraulico, in caso di eventi eccezionali come quello occorso nel ’66, è ancora elevatissimo: basti ricordare che le piene del Sile scaricano ancor oggi in Laguna;
5) controllo e irregimentazione degli apporti della rete idraulica di bonifica di terraferma;
6) estromissione dalla Laguna del traffico petrolifero (prescritta dalla legge 139/1992 e non ancora attuata);
7) estromissione dalla Laguna del traffico passeggeri e delle grandi navi da crocera con la creazione di un avamporto, come già avviene a Monaco, al fine di poter rialzare i fondali delle bocche di porto e di eliminare il danno prodotto dal passaggio delle navi stesse. La massa d’acqua spostata è infatti pari al dislocamento delle navi stesse: fino a 60.000 tonnellate. Le moderne navi da crociera sono inoltre dotate di enormi eliche trasversali che generano violenti getti subacquei. Lo spostamento di queste grandi masse d’acqua provoca, nel fragile ambiente veneziano, erosione dei fondali lagunari, delle fondazione delle rive e degli edifici prospicienti i rii che sboccano in Bacino;
8) restringimento della sezione delle bocche di porto e rialzo dei fondali (consentito dall’estromissione del traffico petrolifero e passeggeri): -6 m al Lido, -12 a Malamocco, -8 a Chioggia. Il rialzo verrebbe attuato con tecnologie flessibili e reversibili, servendosi di limi e sabbie incapsulati e vegetati con alghe. La riduzione della profondità dei fondali e dell’ampiezza delle bocche ridurrebbe la marea di -24 cm (come attestano i recenti studi di Umgiesser e Matticchio, CNR);
9) aumento della scabrezza dei fondali al fine sia di intercettare efficacemente e rompere la forza dell’onda montante della marea, sia di trattenere i sedimenti in uscita dalla Laguna o in entrata dal mare;
10) costruzione di "lunate" cioè di scogliere a mare, a forma appunto di semi-luna, presso le tre bocche di porto, per ridurre l’onda montante del vento di scirocco che spinge in Laguna la marea;
11) costruzione di pennelli trasversali alle tre bocche di porto al fine di smorzare l’onda della marea;
12) modifica della forma delle dighe foranee, che si protendono in mare, parimenti al fine di ridurre la forza della marea;
13) riduzione della profondità dei canali industriali, Malamocco-Marghera o dei Petroli, Vittorio Emanuele etc., concausa del fenomeno erosivo e dell’appiattimento della Laguna;
14) reimmissione, in modo controllato e reversibile, di una parte delle piene del Brenta nel bacino lagunare, al fine di arrestare il processo erosivo con l’apporti di sedimenti;
15) protezione e recupero delle barene, erose dal moto ondoso e dalla aumentata idrodinamica del bacino lagunare, avvalendosi di tecniche di ingegneria naturalistica. Gli interventi di "recupero morfologico" di barene già attuati dal Consorzio presso Burano e Le Giare impiegano una brutale conterminazione con pali in legno e pietrame che di fatto rende queste pseudo-barene una struttura morfologica ben diversa dalle barene naturali, e cioè delle specie di casse di colmata non accessibili alle alte maree. Si possono invece utilizzare materiali più compatibile con l’ambiente naturale (quali burghe e buzzoni, moduli cilindrici in tessuto degradabile riempiti con materiali naturali etc.) come prevede il "Progetto life natura 1999 - Barene, cofinanziato dalla Comununità europea;
16) abbattimento del moto ondoso provocato dai natanti a motore che transitano a velocità elevate in Laguna; si stima che in un ambiente così fragile le imbarcazioni a motore siano raddoppiate negli ultimi 20 anni; con conseguente vertiginoso aumento dell’inquinamento idrodinamico;
17) disinquinamento della Laguna e del bacino scolante, in vista di un minore ricambio idrico conseguente alla riduzione della officiosità delle bocche (cioè della massa d’acqua che entra in Laguna);
18) avvio di studi per garantire una miglior circolazione dell’acque lagunari: D’Alpaos sotiene infatti che si possono ridurre le portate della bocche anche del 40 % senza pregiudicare la qualità ambientale: infatti "a minori volumi può corrispondere una miglior circolazione";
19) difesa locale degli abitati insulari (prevista dalla legge 139/1992): cioè rialzo della pavimentazione veneziana alla quota di +110/+120; questo genere di interventi è già iniziato;
20) difesa locale dell’isola di S. Marco, area particolarmente bassa (+80 cm) con un sistema complesso di impermeabilizzazioni in verticale; il progetto presentato dal Consorzio in Salvaguardia, è per ora fermo perché ritenuto troppo invasivo e distruttivo;
21) difesa dei litorali dall’aggressione marina (prevista dalla legge 139/1992), intervento in fase di completamento;
22) attivazione di una politica di monitoraggio e controllo del livello marino nell’Adriatico e anche nell’intero bacino del Mediterraneo, come suggerito dalla Commissione VIA, "in modo da riconoscere per tempo eventuali effettivi trend di crescita eustatica e da prendere al tempo giusto le decisioni più appropriate del caso";
23) ripresa degli studi e sperimentazioni, già avviati e testati dal CNR a Poveglia, "di tecnologie consolidate o sperimentali, per il sollevamento territoriale" come raccomandato dalla Commissione VIA;
24) approfondimento progettuale di interventi di chiusura delle bocche portuali alternativi e più moderni del MoSE. E’ stato recentemente proposto in Consiglio comunale un nuovo sistema di chiusura, il progetto ARCA: "Apparecchiature Rimovibili Contro l’Acqua alta. Si tratta di un sistema flessibile di sbarramenti, composto da cassoni affondati alle bocche, dal costo esiguo rispetto al MoSE (350 miliardi di lire), dai tempi di posa in opera ridotti (2 soli anni), di contenuto impatto ambientale, in quanto non necessitano di sottofondazioni ciclopiche né di isole artificiali, posizionati a soli -8 m di fondale e facilmente rimovibili. Il progetto di fatto aderisce ai requisiti di "sperimentabilità, reversibilità e gradualità" prescritti dalla legislazione speciale per Venezia;
25) avvio di uno studio progettuale di chiusura delle bocche di porto con strutture fisse qualora i livelli marini dovessero crescere in modo considerevole. Si sarebbe così pronti ad affrontare un trend eustatico sfavorevole ma in una situazione completamente mutata: la Laguna risanata, in equilibrio con le bocche, sottratta ai fenomeni erosivi sarebbe in grado di reggere gli impatti e le sollecitazioni di un sistema di chiusura più compatibile con l’ambiente lagunare, "un progetto - come conclude la Commisione VIA - che non presenti le gravi carenze di quello attuale".
Per saperne di più:
La salvaguardia di venezia dalle acque alte. Un piano di azione strategico alternativo al Mo.S.E., a cura della Sezione di Venezia di Italia Nostra e del Comitato Salvare Venezia e la Laguna, gennaio 2003.
Stefano Boato, Venezia e la Laguna. Un riequilirio possibile, «Italia nostra. Bollettino» 376 (luglio/agosto 2001), p. 20-22
Cristiano Gasparetto, Sbarramenti alle bocche di porto, una storia di 35 anni, «Italia nostra. Bollettino» 376 (luglio/agosto 2001), p. 23-25
Silvio Testa, D’Alpaos: il MoSE non basta, bisogna alzare la città, «Il Gazzettino» 14 febbraio 2003
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Italia Nostra: Lo squilibrio della Laguna
Italia Nostra VE: Perché no
Italia Nostra VE: le alternative
Una sintetica illustrazione del Sistema MoSE
Dialogo tra E. Salzano e Piero Bevilacqua
La VIA sul MoSE, le conclusioni della Commissionee
La VIA sul MoSE, il decreto del Ministero dell’ambiente
La VIA sul MoSE, articolo di E. Salzano
Contraria al MoSE nel passato, la maggiore formazione della sinistra aveva annacquato la sua opposizione negli anni delle giunte Cacciari e Costa. Ora le ragioni dell’opposizione sono riemerse con chiarezza, mentre il sindaco (secondo le parole del segretario del suo partito) mantiene un equivoco «equilibrio tra i vari interventi».
Silvio Testa
”O MoSE o Centrosinistra”
Il tema per la prossima campagna elettorale è servito: via il Mose, discriminante per la riconferma dell'attuale Centrosinistra nel dopo Costa. Il segretario regionale dei Ds, Cesare De Piccoli, ha rotto gli indugi, e ieri in un convegno organizzato dal partito ha lanciato un chiaro messaggio agli alleati: la coalizione sta in piedi se si toglie di mezzo il Mose.«No so quali saranno le scelte del sindaco Costa - ha sostenuto De Piccoli riferendosi al tormentone "o sindaco o parlamentare europeo" -. So con certezza che l'alleanza del Centrosinistra che si ricandiderà a governare la città dovrà rinegoziare il patto programmatico sulle questioni fondamentali della Salvaguardia e della riorganizzazione di Marghera. Non ho dubbi - ha scandito De Piccoli - che questo accordo è possibile se si supera il Mose e si punta con decisione a una revisione progettuale degli interventi più rispondente alle compatibilità ambientali».
Se l'assessore alla Legge speciale, Giampaolo Sprocati, ha puntato il dito contro il Governo, sostenendo che per rilanciare una visione sistemica della Salvaguardia «l'interlocutore deve cambiare», De Piccoli ha replicato che anche il Centrosinistra deve fare mea culpa per avere offerto il destro, con le sue divisioni, alle forzature romane. «Ora bisogna uscire dalle ambiguità - ha concluso - e il patto di governo della città va rinegoziato».
In un crescendo rossiniano, l'assessore diessino alla Legge speciale, Paolo Sprocati, ha ricordato che il centrosinistra veneziano si è formato ed è cresciuto sui temi della Salvaguardia; il segretario provinciale della Margherita, Rodolfo Viola, ha sostenuto che la sintesi di tante posizioni e di anni di lavoro sono le 11 condizioni poste dal Comune per passare alla progettazione esecutiva del Mose; il segretario regionale della Quercia, Cesare De Piccoli, ha garantito che se non si sbarazzerà il campo dal Mose, sui temi della Salvaguardia il Centrosinistra salterà! O meglio, nell'eventuale dopo Costa, in estate o l'anno prossimo, l'attuale coalizione non si potrà riformare se qualcuno punterà ancora i piedi sul progetto delle chiuse mobili alle bocche di porto. «Dopo 30 anni - ha sostenuto De Piccoli - tutti i progetti invecchiano, compreso il Mose».
Messaggio più chiaro ai partner della coalizione De Piccoli non poteva mandare, e l'accelerazione è avvenuta all'iniziativa pubblica "Difesa dalle acque alte" organizzata dai Ds (Unione comunale, Unità di base, Gruppo consiliare) ieri pomeriggio a Ca' Zenobio, durante la quale, stante la composizione del tavolo dei relatori, si è sparato a zero sul Governo e sui progetti del Consorzio Venezia Nuova. Cose già viste e già sentite, e sempre mediate nelle trattative tra i partiti. Ieri, però, De Piccoli è andato oltre, e ha posto la sua conditio sine qua non per il futuro Centrosinistra: basta Mose!
«Ormai - ha sostenuto De Piccoli - non si tratta più di un progetto che coagula un fronte di interessi che spingono per la sua realizzazione, ma di una questione politica e istituzionale». Il progetto, ha aggiunto, chiama in causa l'idea stessa di città, i poteri del governo locale, il ruolo del Comune.«No so - ha sostenuto il segretario regionale della Quercia alludendo al tormentone "o sindaco o parlamentare europeo" - quali saranno le scelte del sindaco Costa, so con certezza che l'alleanza di Centrosinistra che si ricandiderà a governare la città dovrà rinegoziare il patto programmatico sulle questioni fondamentali della Salvaguardia e della riorganizzazione di Marghera. Non ho dubbi - ha scandito - che questo accordo è possibile se si supera il Mose». Il tema della futura campagna elettorale è servito: per i Ds bisogna «puntare con decisione a una revisione progettuale degli interventi più rispondente alle compatibilità ambientali».
La valenza tutta politica dell'intervento di De Piccoli ha fatto passare quasi in secondo piano le tesi degli altri relatori, che pure hanno sostenuto la necessità di passare da una visione della salvaguardia tutta incentrata sulla grande opera a una visione sistemica. Lo ha fatto il socialista Sergio Vazzoler («Nel passaggio dal definitivo all'esecutivo bisogna introdurre "prima" la sperimentazione di approcci alternativi»), lo ha fatto Paolo Perlasca per il Wwf, lo ha fatto Michele Vianello, denunciando come l'intero impianto istituzionale e finanziario della Salvaguardia sia stato stravolto, lo ha fatto Sprocati denunciando «il dato dirompente» dell'eversione e dello stravolgimento di ogni regola attuata dal Governo.
Un tema, questo, su cui hanno battuto anche il segretario provinciale della Quercia, Delia Murer, e la parlamentare verde Luana Zanella, che ha ricordato il ricorso nel merito presentato alla Commissione Europea. La parlamentare ha attaccato duramente l'Ansa, nel cui sito esiste uno "speciale Mose". «Invece che fare informazione - ha accusato - sembra uno spot che perpetua la convinzione, che si ha fuori Venezia, che l'unica risposta all'acqua alta sia il Mose».
Un convegno dei Ds sulle alternative per fermare l’acqua alta.
VENEZIA. Il Mose non piace, e le alternative ci sono. Ma il centrosinistra non ha la forza di opporsi alla grande opera che va avanti, spinta dal governo e sostenuta dal sindaco Paolo Costa. E’ questo il senso del dibattito su «Acque alte, le alternative al Mose», svoltosi ieri pomeriggio a Ca’ Zenobio su iniziativa dei Ds. Per la prima volta dietro il tavolo i rappresentanti dell’intera coalizione al governo in Comune. Da tutti, con sfumature diverse, sono venute critiche al grande progetto. «Un’opera datata», ha esordito il segretario regionale della Quercia Cesare De Piccoli, «la città deve battersi perché siano attuate le alternative. fermare le acque alte è possibile, senza Mose». Un problema anche politico: «Dovrà essere uno dei punti programmatici irrinuciabili», ha detto de Piccoli, «per la nuova coalizione che si candida a governare la città».
Toni critici anche da Luana Zanella, deputata dei Verdi, che ha invitato i veneziani a esprimersi su un’opera «inutile e di grande impatto sull’ambiente lagunare». «Opera di regime, e per giunta illegittima», ha detto secco il parlamentare della Quercia Michele Vianello, autore dell’esposto a Bruxelles contro il Mose firmato da 150 parlamentari del centrosinistra. Molto critico sulle dighe mobili anche Sergio Vazzoler, capogruppo dello Sdi a Ca’ Farsetti. «Basterebbe far rispettare quell’articolo della legge 139», ha esordito, «prima di spendere soldi per il Mose si doveva verificare l’adeguato avanzamento degli altri interventi previsti dalla legge». Un emendamento alla Legge Speciale proposto all’epoca dallo stesso Vazzoler. «Dovrebbe intervenire la Corte dei Conti», dice Vazzoler. E poi con il Mose il porto sarà penalizzato, e piazza San Marco andrà sotto lo stesso».
Paolo Perlasca, a nome del Wwf, ha spiegato i motivi che hanno portato le associazioni ambientaliste a impugnare al Tribunale amministrativo la delibera del Comitatone che aveva dato il via libera al Comitatone. Delibera illegittima, perché avrebbe autorizzato la realizzazione di un’opera che non ha superato l’esame della Valutazione di impatto ambientale, prevista dalla legge europea. Rodolfo Viola, segretario della Margherita, ha difeso la posizione assunta dal sindaco di «equilibrio tra i vari interventi», addossando le responsabilità delle forzature procedurali al governo. Paolo Cacciari, assessore all’Ambiente, ha assicurato che la battaglia contro la grande opera va avanti nonostante l’accelerazione imposta dal governo al Mose. (a.v.).
Il centrosinistra vuole cambiare rotta
VENEZIA — « Quello del Mose è un progetto vecchio di 30 anni, basato su una fotografia di una Venezia che non esiste più. E’ il momento di passare dal generico no al Mose ad una piattaforma progettuale alternativa che comprenda tutto il governo della città, superando le contraddizioni interne alla coalizione » . Battaglie per la salvaguardia e amministrazione comunale: il centrosinistra vuole virare due volte. L’aria di stravolgimento delle strategie si è respirata ieri al dibattito su « La difesa dalle acque alte » organizzato dai Ds a Palazzo Zenobio. Tra gli altri, a dare il senso della necessità di una sferzata politica decisa ci ha pensato l’assessore comunale all’ambiente Paolo Cacciari: « Vorrei che facessimo un patto: per tre mesi non parliamo più di Mose, bensì di laguna. Che laguna vuole la sinistra? La distruzione dell’ecosistema lagunare non è colpa solo di Berlusconi e del Mose, ma anche di chi, dai motoscafisti ai vongolari, non vuole limiti che tocchino interessi particolari. Questa è la nostra debolezza » . Mettere dunque in atto le basi « per passare dalla città delle acque alte, immagine attraverso la quale Berlusconi può vendersi in tv la sua opera di regime – ha detto il ds Michele Vianello – alla città dell’ecocompatibilità. Questo senza commettere l’errore storico di separare la questione della salvaguardia lagunare da quella della riconversione di Porto Marghera. Servono studiosi e ricercatori liberi, non lacchè come li sceglie il centrodestra » . Molti degli interventi hanno messo in luce proprio un’assenza di competenze e di autonomia. « Troppi yes- man all’interno del Comitatone » ha detto Sergio Vazzoler dello Sdi. Parlando del Mose, l’assessore alla Legge Speciale, Gianpaolo Sprocati ha evidenziato una « deriva eversiva delle regole, un loro stravolgimento. Ormai il legame tra Stato e concessionario dell’opera è sempre più stretto, cancellando ogni competenza di cui gli enti locali sono in possesso » . Ma la deputata dei Verdi, Luana Zanella attacca Costa: « Se il Comune non è così autorevole nel Comitatone è anche perché il sindaco la pensa diversamente da noi sul Mose. Dobbiamo continuare a far finta di niente? » . E il segretario regionale dei Ds, Cesare De Piccoli: « La maggioranza, oltre alla coesione politica deve avere coesione programmatica, con un sindaco che garantisce tale unità senza far prevalere il suo potere di interdizione » . In difesa di Costa il segretario provinciale della Margherita, Rodolfo Viola: « Credo che la sintesi attorno alla salvaguardia sia già stata fatta delineando le 11 condizioni: da lì bisogna ripartire » .
S. Ci.
VENEZIA - Là dove il mare va sposo alla laguna, al centro di un deserto che prima era solo d’acqua, sta spuntando un’isola di pietre e sassi. Un’isola nuova, anzi «Novissima», come si chiamerà, lunga quasi mezzo chilometro e alta tre metri e mezzo dalla parte del mare. Una gru, che galleggia su una chiatta, ammucchia, proprio nel mezzo della «bocca di porto» dell’isola del Lido, grandi massi di pietra d’Istria. Un’altra gru, poco lontano, sulla sponda di Treporti, sta costruendo un porto-rifugio per le barche. Un altro porto sta nascendo sulla «bocca» di Chioggia, e su quella di Malamocco ha preso forma una conca di navigazione lunga 370 metri per le grandi navi. Davanti a Malamocco e a Chioggia sono spuntate dal mare due nuove scogliere a forma di mezzaluna, la prima è lunga più di un chilometro, la seconda mezzo. I lavori del Mose, il sistema di paratoie mobili contro l’acqua alta, stanno cambiando volto alla laguna. «L’hanno stravolta - protestano gli ambientalisti - creando danni immensi, irreversibili».
Dopo decenni di polemiche furiose, tiraemolla, marce avanti e indietro, a partire dall’alluvione del 4 novembre 1966, pochi si aspettavano di veder davvero cominciare i lavori della più grande opera idraulica mai progettata al mondo: un sistema di 78 paratoie mobili, larghe ciascuna venti metri, sulle tre «bocche di porto», che staranno a dormire sul fondo per alzarsi quando arriva l’acqua alta e proteggere Venezia da una marea alta fino a due metri.
Un’opera ciclopica, che costerà 3,7 miliardi di euro e sarà finita, se non vi saranno intoppi, nel 2011. I lavori, per un po’ a rilento, hanno avuto una vigorosa accelerata negli ultimi tempi, con 11 cantieri aperti che adesso lavorano a pieno ritmo, a dispetto dei dubbi, delle denunce, delle richieste di moratoria. I veneziani in questi giorni si stanno accorgendo, stupiti, delle isole artificiali, delle scogliere, dei porticcioli e delle conche che stanno spuntando dal nulla, e come sempre è successo la città si divide tra chi dice «finalmente» e chi teme guasti e profetizza sciagure.
Gli ambientalisti parlano di 8 milioni di metri cubi di cemento e di 12 mila pali di ferro, infilati a sostenere i fondali, che «distruggeranno la laguna». Lamentano il taglio della diga ottocentesca di Malamocco, lo «scippo» di un pezzo dell’oasi naturalistica di Cà Roman e gli accessi sbarrati ai bagnanti per le dighe. Per l’ambientalista Andreina Zitelli «è inconcepibile che i lavori vadano avanti in mancanza del progetto esecutivo e della valutazione di impatto ambientale». Anche il Sindaco Massimo Cacciari, che parla di «inadeguatezza» del progetto, non è entusiasta: «Le opere di regolazione delle maree sono subordinate a un adeguato avanzamento degli altri interventi di risanamento, che è ben lungi dall’essere conseguito. Inoltre la totalità delle risorse statali viene riversata sull’intervento alle bocche, penalizzando l’opera di salvaguardia fisica e morfologica». Di qui la necessità di «ripristinare una visione unitaria e sistemica delle opere di salvaguardia sulla base di un unico programma degli interventi».
Il Magistrato alle Acque, braccio operativo del Ministero delle infrastrutture, che è il responsabile dei lavori affidati al consorzio di imprese «Venezia Nuova», è invece ottimista. «Non c’è progetto al mondo che sia stato più studiato e più discusso di questo» dice l’ingegner Giampietro Mayerle del Magistrato, certo che l’opera, «ad altissima tecnologia», sarà «assolutamente sicura», non provocherà alcun danno ed avrà un impatto visivo e ambientale «praticamente nullo». «Non si vedrà niente a pelo d’acqua - racconta - anche le dighe rimarranno basse, così come sono, e ridisegneremo la laguna fortificandola e migliorandola.
Spunteranno nuove spiaggette e nuovi porticcioli, e attorno alle nuove scogliere si potranno pescare anche le aragoste. Non solo.
Stiamo facendo tutti i lavori con i metodi tradizionali, pietra d’Istria che facciamo venire apposta dall’ex Jugoslavia, e solo pali, come si faceva una volta, per consolidare i fondali. Non asfalteremo proprio nulla».
Sarà tutto bello, tutto sicuro, tutto piacevole, assicurano i tecnici. Come la nuova spiaggia che sorgerà dal lato laguna dell’isoletta «Novissima», sulla bocca di porto del Lido, proprio davanti al «bacàn», la spiaggetta dei veneziani della domenica che, assicurano, «non verrà toccata». La nuova isola sarà strategica su questa che, con un’ampiezza di 800 metri, è la più grande delle tre bocche. Perché qui verrà attaccata la maggior parte delle paratoie mobili, 21 dal lato di Treporti, 20 da quello di San Nicolò, incernierate a dei cassoni sistemati sul fondo, e qui verrà installato il «cervello» del Mose, quello che deciderà quando alzarle in previsione di una marea superiore al metro e dieci centimetri. Le paratoie si alzeranno dal fondo per la spinta dell’aria compressa che le svuoterà dell’acqua di cui sono riempite quando stanno a riposo, e si solleveranno fino a emergere e a bloccare il flusso delle marea in ingresso nella laguna. Si prevede, stando ai livelli attuali della marea, che verranno utilizzate da 3 a 5 volte l’anno, e per non più di 4-5 ore alla volta. Su questa bocca, dal lato di Treporti, si sta realizzando anche un porticciolo, piuttosto grande, dove le barche potranno andare a ripararsi mentre le paratoie saranno in funzione.
Saranno 19 invece le paratoie schierate a difesa della città sull’altra bocca di porto, quella di Malamocco (400 metri di larghezza), dove è nata in mare aperto la nuova scogliera di 1280 metri, e dove si sta realizzando la conca di navigazione che consentirà, a paratoie chiuse, il passaggio delle grandi navi, lunghe fino a 280 metri. Per questo hanno installato, in un ufficio a terra, un simulatore della navigazione, un gioiellino virtuale da due milioni di euro comprato dai danesi, che si chiama «Simflex navigator», dove il capo dei piloti del porto, Lauro Celentano, ha cominciato a insegnare ai suoi colleghi a destreggiarsi nelle manovre. Sul ponte di comando, a grandezza naturale, dove si sente persino il rollio della nave, sembra di stare dentro un videogioco. Ma qui, a Malamocco, hanno rischiato di sospendere i lavori, perché accanto alla «diga lunata», come chiamano la nuova scogliera, hanno trovato un relitto importante, quello di una nave dell’800, sembra francese, con tanto di cannoni, e la sovrintendenza ha subito circondato la zona. Così hanno dovuto lasciare la scogliera interrotta in due punti.
L’ultima bocca, la più lontana dal centro storico, è quella di Chioggia (380 metri), dove verranno installate le ultime 18 paratoie. Anche qui i lavori procedono spediti, la nuova scogliera da mezzo chilometro è quasi ultimata e il porto-rifugio in costruzione. «Finora abbiamo realizzato il 18 per cento delle opere previste - dice l’architetto Flavia Faccioli del Consorzio Venezia Nuova - e se continueremo di questo ritmo penso che rispetteremo i tempi». Non sarà tanto il 18 per cento, ma quello che si vede oggi sulla laguna, dopo 39 anni di chiacchiere, è molto. Dighe, scogliere, isole artificiali, porticcioli, conche di navigazione. E navi, bettoline, chiatte e gru che vanno e vengono sull’acqua, camion che corrono a terra. Tra mare e laguna, il paesaggio è cambiato. Mica dighe giganti da Vajont, per carità. Ma quanto basta per mettere paura agli uni e far gridare «evviva» agli altri. Poco ma sicuro che il Mose, prima di salvare dalle acque, farà ancora litigare.
Andrea Zanzotto: "Una grande opera
ma temo che sia già vecchia"
MILANO - Andrea Zanzotto, come vive l’inizio dei lavori per il Mose?
«Per principio, non sono contrario alle innovazioni, ma come altri provo molta apprensione».
Perché?
«L’idea di gettare in mare dodicimila pali di cemento mi lascia perplesso. In passato, ci sono stati altri interventi, che hanno persino reso più fantastica l’immagine della nostra laguna. Hanno persino cambiato il corso di diversi fiumi. Ancora oggi sui Murazzi, che sono stati costruiti del Settecento si legge questa scritta: ausu romano aere veneto, ovvero volontà romana, soldi veneti. Ma il mio timore è un altro».
Quale?
«Che questa grande opera nasca già vecchia. E alla fine si dimostri insufficiente per affrontare un problema, che secondo gli esperti potrebbe rivelarsi più grave del previsto».
In che senso?
«Il Mose è stato progettato per salvare Venezia dall’alta marea. Ma resta una domanda senza risposta: se il livello del mare continuerà ad alzarsi per lo scioglimento dei ghiacciai cosa succederà alla laguna?»
Cambierà il fascino di Venezia?
«Certo la laguna non sarà più la stessa. Con quelle immagini indimenticabili che ho raccontato non solo nelle poesie, ma anche nel libro Laguna, che contiene anche uno scritto di Herman Hesse».
Ha un ricordo particolare?
«Tanti. Dagli interventi del passato sono scaturite persino delle imprevedibili bellezze, che hanno minimizzato le manomissioni fatte. Ma ora succederà la stessa cosa? Io non sono un tecnico, ho più semplicemente paura delle conseguenze estetiche sul paesaggio».
(andrea montanari)
I miglior alleato del Mo.S.E. è la scarsa conoscenza della storia. Ultima testimonianza il recente intervento dell’on. Campa sulla stampa locale. Campa scrive: “Che fine avrebbe‹ro› fatto la laguna e il centro storico – leggi: Venezia- se all’epoca in cui si deviarono i fiumi e si costruirono le ciclopiche opere di difesa a mare avessero operato i verdi?” si domanda l’onorevole. Come associazione culturale che fra le prime ha riconosciuto la pericolosità del Mo.S.E., rispondiamo: all’epoca della Repubblica Veneta non ci sarebbe stato bisogno né di ambientalisti né di associazioni come la nostra perché i criteri che ispiravano le parti e terminazioni delle magistrature e dei collegi via via competenti in materia di acque erano perfettamente coincidenti con quelli invocati da noi (e, ricordiamolo, dalla legislazione speciale) per la gestione della salvaguardia della Laguna: gradualità, sperimentalità, reversibilità. Se si leggono le migliaia di documenti prodotti dalle magistrature veneziane ci si rende conto che anche in materia di regolazione delle acque ciò che guidava le scelte era la pubblica prudenza. Ogni opera deliberata dopo lungo dibattito con esperti, ingegneri, ‘politici’ nonché pratici (“hominibus maris, pedotis, piscatoribus”) era sperimentata per lungo tempo: “et examinatis signis acceptis transacto anno post aperitionem dictae buchae … venire debeat ad istum consilium et terminari”; “teneantur ... singulis sex mensibus revidere signa predicta ... et … referre Dominio”. Sovente, dopo aver osservato con attenzione e a lungo gli effetti prodotti da un’opera, si decideva di ripristinare la situazione precedente. Ciò era sempre possibile perché tutti gli interventi erano reversibili: questo modo di agire, e non altro, ha garantito la sopravvivenza della Laguna e di Venezia. Chi sostiene invece che la continuità e salvezza della Laguna fossero dipese dal coraggio dimostrato nell’imporre e portare a compimento opere ciclopiche evidentemente non conosce bene la storia né il tratto dominante della classe politica Veneta. I veneziani erano tutto tranne che coraggiosi, nel senso banale del termine. Lo si può provare anche per le due opere idrauliche e marittime che più spesso sono strumentalmente invocate dai sostenitori del Mo.S.E.: la diversione dei fiumi e l’erezione dei Murazzi. Com’è noto la prima diversione del Brenta (per fini idraulici e non politici) ha luogo nel 1324, con la costruzione dell’Argine Nuovo. Ho trovato tracce, archeologiche e documentarie, di un altro argine, il “Vecchio”, eretto con il medesimo scopo agli inizi del Trecento. La sistemazione definitiva dello stesso fiume per via alta, dopo la conquista della terraferma, risale al 1488-1540 (Brenta Nuova) e 1610 (taglio Novissimo) ed è nel fatidico anno 1797 che si approva il nuovo taglio della Cunetta, attuato nel 1816. Per non parlare della foce definitiva a Brondolo, risalente al 1896. Dagli inizi del Trecento alla caduta della Repubblica i veneziani hanno instancabilmente lavorato, dibattuto, sperimentato progetti per la regolamentazione del fiume, ma è gia dalla diversione attuata dai padovani nel 1142/3 che se ne parlava. Sei secoli e mezzo di discussioni e sperimentazioni. Così per i fiumi, così per i Murazzi. Nel caso delle difese a mare tuttavia, era da sperimentare il modo, ma non il tipo di intervento: narrano le cronache che già nell’811 si istituì una magistratura per fortificare i lidi, ma l’uso di consolidare i margini spondali delle terre emerse deriva direttamente dall’epoca cassiodoriana, con i famosissimi “viminibus flexibilibus illigatis” di cui si ha evidenza in molti scavi archeologici recenti (teatro Malibran, ad esempio). Una delle prime difese a mare di cui si ha notizia documentaria è il molo “ad modum forficum” progettato dal tecnico Maximianus nel 1285. Dal XIII secolo le fonti sono ricchissime nel restituirci descrizioni di interventi e progetti atti a conservare a Venezia le proprie mura naturali, fino all’introduzione della pozzolana o calce idraulica che rese possibili i Murazzi, calce, si noti, sperimentata fin dagli inizi del XVII ma adottata solo alla fine del XVIII secolo.
Un’altra cosa ci distingue, ahimè, dai nostri progenitori: la prudenza nel realizzare: qualsiasi opera pubblica (anche la manutenzione di un singolo passo d’argine!) era affidata a gara d’appalto. Ai nostri giorni invece, in spregio alla normativa europea, qualsiasi lavoro in merito alla salvaguardia è demandato a un consorzio di ditte private, senza gara. E questo consorzio non solo realizza, ma studia e propone le opere da esso ritenute “necessarie”. In regime di monopolio.
Dopo una storia millenaria di prudenza e saggezza ora siamo pronti a rinnegare l’eredità del passato per gettarci in un’impresa ritenuta, dal mondo scientifico non allineato, esiziale per Venezia (ma certo molto lucrosa per i proponenti). Gli studi del CNR hanno invece definitivamente acclarato che rialzando i fondali lagunari e aprendo alle maree le valli da pesca si ridurrebbero i fenomeni di alta marea di ca. 29 cm! E con una spesa risibile rispetto al Mo.S.E., e con opere sperimentali e reversibili, come avrebbero fatto gli avi. La devastazione alle bocche di porto, al Baccan, alle dighe (vincolate!), a Ca’ Roman, propedeutica al Mo.S.E., sta per partire: siamo ancora in tempo tuttavia per salvare Venezia, siamo ancora in tempo, purchè i veneziani e i loro rappresentanti lo vogliano, per salvare la Laguna, “mura, fortezza e giardin di Venetia”.
Due concezioni di interventi opposte
Il nostro no è facilmente spiegabile: se l’aumentata frequenza delle acque alte dipende dallo squilibro idrogeologico della Laguna bisogna rimuovere tale squilibrio e non pensare a un’opera faraonica che lo aggravi.
Il Mo.S.E. potrebbe agire sugli effetti (ma anche questo, come vedremo, non è per nulla assicurato) tuttavia non risanerebbe la Laguna di Venezia, problema "di prevalente interesse nazionale" (come recita la legge speciale 171/1973). Nessuno, quando piove, apre l’ombrello in casa invece di pensare a riparare il tetto!
Accanto alla obiezione fondamentale, riequilibrio invece di artificializzazione ingegneristica, vi sono altre motivazioni altrettanto importanti per dire NO, che si ritrovano ampiamente nel Parere della Commissione Ministeriale VIA e che riassumiamo stringatamente per punti:
1) al fine di riequilibrare la Laguna si dovrebbe ridurre la quantità d’acqua che entra dalle bocche di porto rialzandone i fondali. Per incernierare il Mo.S.E. alle bocche bisogna al contrario approfondire gli stessi fondali e portarli a -17,5 m. Verranno dragati e scavati oltre 3 milioni di metri cubi di sedimenti (fra i quali il ‘caranto’, argilla fossile su cui poggia Venezia);
2) nel materiale propagandistico del Consorzio sembra che il Mo.S.E. non abbia alcuna incidenza ambientale: si tratterebbe di paratoie invisibili, perché sommerse, che all’occorrenza si sollevano. In realtà l’impatto è devastante. Per fissare il sistema al fondale sarà necessario infiggere o collocare: 12.055 pali di cemento lunghi dai 10 ai 19 metri e fino a una profondità di -42,5 metri; 5.960 palancole metalliche lunghe da 10 a 28 metri; 157 enormi cassoni di calcestruzzo armato, 560.000 metri quadri di pietrame; 79 paratoie di acciaio;
3) per preparare il cantiere e alloggiare provvisoriamente gli enormi cassoni e altro materiale, sarà scavata alla profondità di -11,50 m una zona lagunare, presso il canale Spignon, di 10 ettari di superficie, devastando irreparabilmente il fragile ambiente lagunare;
4) l’insieme del materiale escavato, demolito o di nuovo impiego ammonta in totale a ca. 5.000.000 di metri cubi di materiale: per trasportarlo sarà necessario l’impiego di una ingentissima flotta di navigli;
5) il paesaggio alla bocca di Lido verrà totalmente sconvolto: davanti all’isola del Bacan, tanto amata dai veneziani e di pregio naturalistico, il Consorzio dovrà costruire un’isola artificiale di 135.000 metri quadri, lunga 500 metri e larga 100-200, di 9 ettari cioè (e altri 4,5 sommersi), per alloggiarvi edifici, serbatoi e officine necessari al funzionamento delle paratie, alti da 4 a 10 metri e una ciminiera alta 20 metri per sfiatare il metano, presente nel sottosuolo;
6) verranno devastati e distrutti anche i cordoni litorali presso Ca’ Roman, luogo di grande pregio ambientale e naturalistico;
7) prima di vedere così mortificata e devastata la Laguna i veneziani dovranno sopportare 8 anni ininterrotti di cantiere (ma anche a opera realizzata il cantiere secondo la VIA potrebbe restare aperto e attivo per altri anni). L’impatto ambientale sarà notevolissimo: i lavori provocheranno, ad esempio, un’aumento della torbidità dell’acqua con danni per le coltivazioni di molluschi, la fauna e la flora subacquea;
8) le paratoie di acciaio saranno fonte di inquinamento, in quanto contro la corrosione avranno una protezione elettrolitica con anodi di zinco (9130 kg), materiale tossico per la fauna ma anche per l’uomo, e proibito da recenti normative europee;
9) la costruzione delle paratoie è prevista ammontare a 3700 milioni di euro (più milioni all’anno per la manutenzione), il riequilibrio della Laguna costerebbe in comparazione pochissimo;
10) ai costi di costruzione del sistema, come si può intuire elevatissimi, si dovranno aggiungere quelli assai maggiori della gestione e manutenzione: su un metro quadro di paratoia, per fare un solo esempio, si depositano all’anno 10-35 kg. di incrostazioni biologiche, solo in parte eliminabili con pulizia subacquea. Ogni 5 anni bisognerà rimuovere i portelloni. La Laguna dunque sarà per sempre un cantiere aperto;
11) il sistema Mo.S.E., opera colossale e dalle fondazioni ciclopiche, renderà definitivo per anni (secoli?) lo squilibrio geo-idrodinamico della Laguna. Si tratta infatti di un intervento invasivo e irreversibile che condizionerà il futuro di Venezia e del suo ambiente naturale;
12) le previsioni di innalzamento del livello medio marino, quantificato (dall’Intergovernamental Panel of Climate Change) per il prossimo secolo in +50 cm, consentono a gran parte della comunità scientifica di ritenere il Mo.S.E. obsoleto (per Pirazzoli diverrebbe inefficace con un aumento del livello marino di +30 cm). Se effettivamente, come i maggiori esperti di climatologia ritengono, il mare si dovesse alzare di mezzo metro sarebbero necessarie delle dighe fisse. Si porrebbe inoltre il problema, probabilmente irrisolvibile, della demolizione delle ciclopiche sottofondazioni del Mo.S.E.;
13) Il Mose proteggerebbe Venezia solo da alte mare superiori a 110 cm. Cioè lo si metterebbe in funzione quando la mare superarasse i 110 cm sul livello medio del mare. Quindi le mareee medio-alte continuerebbero a sommergere la città. Delle 111 volte che l’area marciana è andata sott’acqua nel 2002 con il Mo.S.E. attivo a +110 cm si sarebbero evitati pochi allagamenti;
14) potrebbe non essere efficace neppure per le alte maree eccezionali. Le 79 paratie non sono fra loro stagne, ma per poter oscillare con le onde sono separate da spazi di ca. 15 cm (chiamati ‘traferri’); Quindi Il Mo.S.E. non è una barriera impermeabile ma l’acqua continua a penetrare in Laguna anche con le paratie chiuse. Il "Collegio di esperti di livello internazionale" ha infatti stabilito che il livello dell’acqua in Laguna potrebbe aumentare di ben 23 cm in 11 ore se le paratie (chiuse) oscillassero di 15o;
15) il livello dell’acqua in Laguna con la paratoie chiuse potrebbe aumentare non solo per via dei traferri e dell’oscillazione delle stesse paratoie con le onde, ma anche per altri motivi: a causa di precipitazioni atmosferiche di rilevante intensità, degli apporti della rete idraulica di bonifica di terraferma e soprattutto dello straripamento dei fiumi. Com’è noto nel ‘66 non si trattò semplicemente di un’acqua alta eccezionale ma anche di un’alluvione da terra. Secondo Rusconi (Autorità di bacino dei fiumi dell’Alto Adriatico) se oggi si verificassero piene anche più modeste di quelle del ‘66 gli effetti in Laguna sarebbero più disastrosi. Il Mo.S.E. nulla potrebbe contro le alluvioni dei fiumi, anzi, secondo Pirazzoli, aggraverebbe la situazione, impedendo all’acqua fluviale di uscire dalla Laguna;
16) dunque Il Mo.S.E., che verrebbe costruito per fronteggiare solo le maree eccezionali (e non le medio-alte che continuerebbero a invadere la città), in condizioni atmosferiche particolarmente avverse (ma gli eventi di marea eccezionali spesso sono causati da condizioni metereologiche estreme) non garantirebbe la protezione a +110 (Pirazzoli), fallendo totalmente il suo scopo;
17) sempre la Commisione VIA rileva che uno degli elementi più critici del progetto MoSE sia la manutenzione; al di là degli ingentissimi costi previsti dal Consorzio, "non esistono al momento strutture che, sommerse per lunga durata, possano essere difese dal deterioramento fisico e chimico e dal biodeterioramento. Il MoSE è inaffidabile anche da questo punto di vista;
18) ma c’è un’ultima obiezione tecnica, che più spaventa la comunità scientifica: la possibilità della "risonanza fuori fase" delle paratoie, purtroppo ammessa anche dal "Collegio di esperti internazionali", e cioè la possibilità che tutte le paratoie entrino in risonanza a causa delle onde, fino al collasso del sistema. Potremmo trovarci un portellone (o più) in Piazza San Marco. E’ tollerabile mettere Venezia a rischio di un nuovo Vajont?
19) la realizzazione immediata del sistema Mo.S.E. è illegale. La legge speciale per Venezia 139/1992 prescrive che prima di avviare la costruzione del Mo.S.E. si debba provvedere al riequilibrio idraulico della Laguna, all’estromissione del traffico petrolifero e alla apertura delle valli da pesca. Tutto ciò non è stato fatto e quindi il MoS.E. non può partire;
20) nel marzo del 2001 il Consiglio dei ministri ha ribadito tali priorità: prima il riequilibrio (con estromissione delle petroliere e apertura delle valli da pesca) poi, verificando i risultati ottenuti, si adegui il Mo.S.E. alla nuova situazione;
21) la legge speciale 798/1984 prescrive che gli interventi alla bocche di porto abbiano caratteristiche di sperimentalità, reversibilità e gradualità; è sperimentabile, reversibile e graduale il Mo.S.E.? Ovviamente no, è un sistema rigido, che cementifica per sempre i fondali con 800.000 metri cubi di cemento. Inoltre non è sperimentabile e, se non funzionasse o se il livello del mare crescesse, non potremmo che tenercelo, perchè, a causa delle sue gigantesche sottofondazioni, non è reversibile;
22) anche il voto espresso dal Consiglio superiore dei llavori pubblici n. 209/1982 prevede per qualsiasi intervento nel sistema lagunare le stesse caratteristiche di sperimentalità, reversibilità e gradualità;
23) tutte le grandi opere vengono sottoposte a una valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) per impedire l’esecuzione di quei manufatti o interventi che avessero conseguenze negative sull’ambiente e sulla qualità della vita dell’uomo. Il parere della Commissione VIA per il Mose è stato negativo (1998). Alla relazione scientifica della Commissione è seguito un decreto congiunto dei Ministeri dell’ambiente e per i Beni Culturali, poi annullato per vizi di forma dal TAR del Veneto. La sentenza del tribunale, ovviamente, annulla solamente il decreto amministrativo dei due ministeri ma non la relazione tecnica della Commissione, ancora valida. La regione Veneto, per sbarazzarsi del parere negativo della VIA, ha sottoposto il Mo.S.E. a una nuova V.I.A., ‘regionale’. Tale procedura è illegale perché l’organo giudicante per legge deve essere una Commissione istituita dal Ministero dell’Ambiente (Commissione Nazionale V.I.A.);
24) bisogna ricordare infine che il Consorzio Venezia nuova, progettista in regime di monopolio del Mo.S.E., è un gruppo imprese che ha tutto l’interesse, com’è legittimo e normale, di piazzare il proprio prodotto, tanto più essendo assai remunerativo. Lo fa infatti con un dispendio di mezzi incredibile. Un po’ meno normale è che siano stati affidati allo stesso Consorzio (ancora in regime di monopolio) tutti gli studi relativi al risanamento e riequilibrio della Laguna (solo nel 2001 per l’ammontare di 17 miliardi di lire), e cioè tutti quegli studi e progetti che dovrebbero essere alternativi al Mo.S.E.;
25) la gestione monopolistica dell’affare Salvaguardia si manifesta anche nell’informazione: il Consorzio Venezia Nuova per propagandare il suo costosissimo prodotto ha da anni avviato una campagna di informazione, o meglio dire una campagna pubblicitaria, capillare e dispendiosissima: un punto informativo fisso, un’ufficio stampa attivissimo, filmati patinati, pagine intere su rotocalchi con immagini accattivanti che non danno la reale dimensione delle mastodontiche operazioni connesse all’opera e delle reali devastazioni che il Mo.S.E. apporterà in Laguna. La comunità scientifica, che nel Mo.S.E. vede una minaccia esiziale alla vita e al futuro della Laguna, non ha i mezzi né tantomeno il compito istituzionale per contrastare tale battage pubblicitario. I veneziani dunque non sono stati messi in condizione di capire e di scegliere liberamente;
26) La Commissione VIA ha rilevato gravi mancanze nella valutazione e nello studio di molti aspetti relativi al progetto MoSE, riguardanti : a) il sistema di previsioni delle maree, indispensabile per l’efficacia operativa del sistema; b) gli impatti ambientali, sottostimati; c) le indagini dirette del sottosuolo, carenti; d) i sovralzi (cioè l’aumento del livello dell’acqua) il Laguna con il MoSE chiuso a causa della pioggia diretta, del vento, delle reti idrauliche etc., sottostimati; e) il cambiamenti nella dinamica lagunare che il MoSE determinerebbe, non valutati; f) la risonanza fuori fase, studiata superficialmente e non nelle situazioni più favorevoli al suo verificarsi;
27) per ultimo, conseguenza diretta di quanto sopra esposto, si deve ribadire quanto preliminarmente esposto dalla Commissione ministeriale VIA: la salvaguardia di Venezia non è perseguibile "senza il governo complessivo del sistema lagunare". I componenti di tale ecosistema altamente complesso, formato dalla città, dal territorio connesso e dalla Laguna (compresi il bacino scolante e i fiumi contermini, nonché l’arco di costa e il corrispondente settore marino) interagiscono fra di loro "in modo complesso e non lineare". L’equilibrio fra i vari elementi, secondo la Commissione, "non può che essere ottenuto con un insieme articolato di opere ed interventi nel rispetto delle caratteristiche della sperimentalità, reversibilità e gradualità". Il progetto MoSE, invece, risulta inadeguato e semplicistico "raccogliendo in un’unica azione e tipologia gli interventi relativi all’attenuazione delle maree in Laguna";
28) da sempre l’agire dei veneziani in Laguna si è conformato a un criterio di estrema prudenza, per cui una qualsiasi opera proposta da tecnici o magistrature competenti doveva venire lungamente sperimentata prima di essere assunta. Si può obiettare che gli antichi non disponessero delle cognizioni scientifiche ora in nostro possesso. Cosa indiscussa, anche se è ben vero che qualsiasi dato scientifico può essere utilizzato in modi diversi a seconda degli scopi da perseguire. Un agire prudente, rispettoso della complessità di questo ecosistema eccezionale, "unico nella sua struttura e nelle sue regole funzionali", pare comunque anche oggi indispensabile per garantire la salvezza di Venezia e della sua Laguna.
Per saperne di più:
-Cristiano Gasparetto, Troppo alto il prezzo per il MoSE, «Il Gazzettino» 8 novembre 2002
-Rosanna Serandrei Barbero, Il "MoSE" ha un’altra faccia che bisogna rendere pubblica, «Il Gazzettino» 4 giugno 2002
-Paolo Antonio Pirazzoli, E se il MoSE fosse già obsoleto? Una risposta a due obiezioni, «Il Gazzettino», 6 febbraio 2003
-Sintesi delle conclusioni del parere della Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale relativa al progetto di massima degli interventi alle bocche lagunari per la gegolazione dei flussi di marea, (parere della Commissione VIA consegnato al Ministro per l’ambiente nel dicembre 1998)
-Edoardo Salzano, La VIA sul MoSE, 1998
-Paolo Lanapoppi, Metropolitana sublagunare, tra perplessità e indecisioni, «Il Gazzettino» 18 aprile 2003 (in realtà tratta del problema della correttezza dell’informazione in materia di salvaguardia).
go to the english translation
Italia Nostra: Lo squilibrio della Laguna
Italia Nostra VE: Perché no
Italia Nostra VE: le alternative
Una sintetica illustrazione del Sistema MoSE
Dialogo tra E. Salzano e Piero Bevilacqua
La VIA sul MoSE, le conclusioni della Commissione
La VIA sul MoSE, il decreto del Ministero dell’ambiente
La VIA sul MoSE, articolo di E. Salzano
Le ruspe sono arrivate dappertutto. A Punta Sabbioni si vedono montagne di pietrame dalla Croazia e la spiaggetta è diventata un assordante cantiere. A Ca’ Roman in pochi giorni il Consorzio Venezia Nuova ha sbarrato l’accesso all’oasi con palancole, reti metalliche e passerelle di ferro. A Santa Maria del Mare è già stato distrutto un pezzo di diga ed enormi gru scaricano pietre e cemento. Il Mose accelera, e mentre le proteste aumentano i lavori vanno avanti imperterriti. Mentre i Comuni cominciano a muoversi per verificare eventuali «abusi», cioè interventi attuati senza la compatibilità urbanistica, necessaria per legge anche alle grandi opere. Carlo Ripa di Meana, ex commissario europeo all’Ambiente e ora candidato sindaco per i Verdi non violenti, racconta di «permessi inesistenti, rumori assordanti e danni provocati al patrimonio e alle attività economiche dei residenti oltre che alla laguna». «I permessi li ha il Magistrato alle Acque», ha risposto il capocantiere. E con il via libera avuto dal Comitatone, il Consorzio e il Magistrato alle Acque vanno avanti comunque, e preparano anche i cantieri per la costruzione dei cassoni in aree protette dalla normativa comunitaria (Sic), nonostante il parere contrario di Comune e Provincia.
Intanto l’impresa Mantovani, autorizzata dalla Capitaneria di Porto, ha già messo i picchetti al bacàn di Sant’Erasmo, che sarà ora chiuso per un anno e mezzo. La spiaggetta dei veneziani, uno dei punti di grande pregio ambientale della laguna, sta per scomparire per sempre. Al suo posto un’enorme isola artificiale di pietre e cemento, grande 130 mila metri quadrati, di cui 90 mila emersi. I veneziani cominciano ad accorgersi del pesante impatto che i cantieri avranno sull’equilibrio lagunare. A Punta Sabbioni si sono organizzati in comitato, mentre le associazioni ambientaliste pensano a nuove clamorose iniziative e hanno lanciato un appello a tutti i candidati sindaci. Domenica mattina è previsto uno «sbarco» in bacàn della flotta ambientalista con Felice Casson, mentre un sopralluogo in laguna lo ha promesso anche Massimo Cacciari con Ermete Realacci.
Una situazione esplosiva. Perché più passano i giorni più la gente si rende conto che la grande opera ha bisogno di lavori invasivi, di grande impatto. Nelle tre bocche dovranno essere scavati 8 milioni di metri cubi di fondali, sostituiti con pietrame e cemento. Saranno costruiti 157 cassoni di calcestruzzo, di cui una trentina di dimensioni colossali (50 metri per 40, alti tre). Sui fondali, per sostenere l’immane peso dei cassoni e delle 82 paratoie metalliche, saranno impiantati 12 mila pali lunghi 19 metri, 5960 palancole lunghe fino a 28 metri. E poi cantieri, spiagge trasformate in depositi, ruspe e rumori. A Punta Sabbioni i lavori per il «porto rifugio» sono già in stato avanzato, e sulla riva è ben visibile una grande montagna di pietre.
Un esposto alla Corte dei Conti per fermare i lavori del Mose, autorizzati dal Comitatone senza Valutazione di impatto ambientale.
E soprattutto in attesa del giudizio di legittimità del Tar. Lo hanno presentato ieri le associazioni ambientaliste e i comitati riuniti nel Comitato salvare Venezia e la sua laguna. «La preoccupazione», dicono i firmatari dell’esposto, «è quella che si possa dare avvio a opere senza Valutazione di impatto ambientale, con possibili danni all’ambiente, ai beni vincolati e al patrimonio pubblico. E dall’altra si possa spendere denaro pubblico per opere sottoposte a giudizio di legittimità».
Gli ambientalisti accusano anche il pool di imprese di «aver tenuto in scarsa considerazione gli accordi sul mantenimento dello status quo ambientale sottoscritto tra le parti in attesa della sentenza del 6 maggio». «Invece il Consorzio ha annunciato che inizierà i lavori entro la fine del mese», obiettano le associazioni. A sottoscrivere l’esposto alla Corte dei Conti sono stati Italia Nostra, Wwf, Sinistra ecologista, Codacons e Movimento Consumatori, Ecoistituto, Salvare Venezia.
Intanto un nuovo ricorso «ad adiuvandum», a supporto di quello già presentato dalla Provincia, è stato depositato dall’associazione Vas (Verdi, Ambiente e società), dopo la decisione votata dal congresso nazionale. Il ricorso si rivolge al Tar e alla Corte di giustizia europea, chiede l’annullamento della delibera della Regione dell’8 novembre 2002 e contesta la legittimità della delibera di Comitatone del 3 aprile 2003 che dava il via libera al progetto esecutivo e alla realizzazione del Mose. Un’autorizzazione ritenuta «illegittima» anche da 150 parlamentari del centrosinistra - primo firmatario Michele Vianello - che hanno inviato un esposto al commissario europeo per l’Ambiente Margaret Wallstrom. Una pioggia di ricorsi per contestare la legittimità delle autorizzazioni che hanno dato il via libera al Mose. Intanto si attende la convocazione del Comitatone, chiesta dal sindaco Paolo Costa. A un anno dalla «inaugurazione» del Mose fatta da Silvio Berlusconi non si ha ancora notizia degli interventi sperimentali alternativi contro le acque alte, chiesti dal Comune e mai avviati dal Magistrato alle Acque.
Nell'articolo di Franco Giliberto "Una conferenza sul Mose attira i bagnanti veneziani più della spiaggia", invero molto efficace, si parlava dello zinco rilasciato nell'ambiente dal sistema di protezione anodica delle paratoie. Dodici tonnellate/anno di questo metallo sono una quantità molto rilevante di inquinante, se si considera, come scritto dall'esperto dell'IRSA (Istituto Ricerca sulle Acque del CNR), che questa quantità rappresenterebbe da sola il 50% del carico massimo annuo consentito in Laguna di Venezia dall'intero bacino scolante previste dal nuovo Piano Direttore.
Si possono quindi comprendere le valutazioni negative circa la compatibilità ambientale di un tale rilascio di zinco nell'ambiente idrico che dovrebbe perpetuarsi per decenni, considerato che la vita utile del Mose che si sviluppa sommerso per una complessiva lunghezza di 1572 metri, è annunciata, pur nell'incertezza dello stesso Proponente, di 50 o di 100 anni.
Lo zinco rilasciato dai pani di protezione anodica è un inquinante persitente nell'ambiente idrico e nei sedimenti e suscettibile di bioaccumulo lungo la catena trofica, tanto che in sede UE è stato proposto di bandirne l'impiego negli anodi sacrificali.
Specialmente in considerazione delle vaste aree di molluschicoltura e di aree di raccolta di altri bivalvi presenti nella Laguna di Venezia, il dato relativo allo zinco dovrebbe indurre una riflessione relativa all'uso delle risorse e da mettere, nel tempo, fuori gioco una delle voci importanti dell'economia lagunare, appunto la molluschicoltura, e di accentuare in prospettiva le già note difficoltà di controllo della qualità dei molluschi destinati alla tavola.
Le paratoie previste dal progetto sono complessivamente 79: 21 a Treporti, 20 a San Nicolò e Malamocco, 18 a Chioggia. La superficie (mediamente calcolata) di ogni paratoia si aggira attorno ai 1000 metri quadrati. Per cui si può considerare una superficie (esterna) complessiva di 75.000 metri quadrati di acciaio sulle quali si dovrebbe intervenire per tentare di limitarne con le sostanze tossiche, la crescita dei molluschi e della biocenosi associata.
Nel SIA la crescita del "fouling" è comunque stimata a circa 30kg/anno per metro quadrato di superficie delle paratoie, con una produzione totale di incrostazioni le cui quantità e il cui peso sono facilmente calcolabili.C'è da ricordare che se il Decreto di Valutazione di Impatto Ambientale è stato annullato, non è stata annullata la relazione tecnica della Commissione VIA. Quella relazione esiste, costituisce un parere articolato e fondato, che affronta tutti gli aspetti critici dell'opera e della sua costruzione. Oggi che ci si appresta a costituire l'Ufficio di Piano, forse sarebbe non inutile continuare ad ignorare quel parere, nella considerazione che a tutte le valutazioni lì contenute ed esposte chiaramente, nessuno ha mai opposto una puntuale , fondata ed esplicita controdeduzione.
prof. Andreina Zitelli
IUAV - Università degli Studi
Convegno
LE ALTERNATIVE AL MOSE
26 Febbraio 2005 Aula Magna Universitá IUAV di Venezia
Intervento di CARLO RIPA DI MEANA
Sono passati trentadue anni dalla prima legge speciale del 1973 e invece delle opere per il "riequilibrio idrogeologico" e la "riduzione dei livelli marini in laguna si sta iniziando la realizzazione di un grandissimo sistema di dighe mobili denominato Mo.SE. criticato giá dal 1982 perché profondamente sbagliato fin dall'impostazione ambientale. Invece di "riequilibrare" si sta per stravolgere l'ambiente delle bocche di porto, del "Bacan", travolgendo i piú importanti valori storico - paesaggistici del Cavallino del Lido a S.Nicoló e agli Alberoni e di Pellestrina.
Si é arrivati a questo punto perché ancora oggi, unico caso in Europa, lo Stato italiano delega un concessionario che ha il monopolio di studi progetti e realizzazioni e che, con la forza coinvolgente degli enormi finanziamenti pubblici, ha condizionato da vent'anni le strutture pubbliche, buona parte delle forze politiche, delle imprese e dei professionisti e. persino delle Universitá.
Con connivenze molto estese, di fatto anche da parte di chi si dichiara contrario a tutto ció, si sono fatte forzature di norme e di procedure.
Unico caso in Europa di questa gravitá, si sta realizzando un'opera che ha avuto la Valutazione di Impatto Ambientale da parte degli organi dello Stato negativa, valutazione superata con decisioni politiche (come a suo tempo nel 1990 era stato superato anche il parere negativo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici). Realizzazione che avviene in contrasto con le leggi speciali che prescrivono la realizzazione di opere "sperimentali, graduali e reversibili", con grandi interventi e sbancamenti di fondali e demolizioni, ed inoltre in contrasto con le norme ambientali Europee e con lo stesso Piano Regolatore vigente.
Si é arrivati al punto che il Consiglio Comunale vota un "no" a questo progetto e che il Sindaco, nell'ambito del Comitatone, lo rovesci in un "sí" al progetto esecutivo (peraltro ancora da fare) e alla sua realizzazione (coprendosi con alcune equivoche condizioni mai realizzate). Per molto meno, sugli stessi temi, nel 1987 si arrivó ad una drammatica crisi comunale.
E' nostra opinione che la politica, specialmente quando sono in gioco le sorti della cittá e della laguna con interventi le cui conseguenze pagheremo per secoli, deve riconquistare altra dignitá e ben altra capacitá di governare l'economia almeno quella degli investimenti e delle opere pubbliche.
Negli ultimi dieci anni gli studi sul tema sono stati molto approfonditi. Dal 1995 al 1998, l'approfondimento ha portato al giudizio negativo sul progetto Mose della Commissione Nazionale di Valutazione dell'Impatto Ambientale.
Titolo originale: Venice Turns to Future to Rescue Its Past – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
VENEZIA – Quando Jane da Mosto si arrampica dal motoscafo taxi fino ai gradini di ingresso dell’antico palazzo di famiglia sul Canal Grande, il suo sguardo si tinge di tristezza. Quella che era un tempo la gloriosa Casa da Mosto ora è poco più di un guscio vuoto in decadenza, con l’acqua salata di Venezia che lambisce la porta e consuma le pareti.
”Un giorno o l’altro finirà per scivolare nel canale” ci dice da Mosto, ricercatore per il Corila, un consorzio di gruppi che studia la laguna di Venezia nella speranza di salvarla.
Ora, un audace progetto di costruzione multimiliardario sponsorizzato dal governo italiano sta per iniziare, tentando di raggiungere questo obiettivo. Ma molti, compresa la signorina da Mosto, sono scettici sul fatto che sia sufficiente. “Preferisco non pensare a dove sarà Venezia fra cento anni” dice. “È opprimente, e triste. Magari sarà chiusa, come un lago. Magari sarà sott’acqua, e i turisti potranno vederla da una barca col fondo di vetro”.
La Laguna di Venezia è uno degli ecosistemi più delicati e instabili del mondo, uno spazio unico dove la salvezza dell’ambiente naturale che scompare è fondamentale per la tutela della storia e cultura umana: secoli di arte e architettura se ne stanno in mezzo alla riserva naturale, e andranno persi se la laguna muore. Tutto questo ha stimolato un appassionato dibattito sui drastici progetti ora in corso per salvarla: progetti che stanno ai confini delle conoscenze scientifiche e delle capacità ingegneristiche. Il cuore della contesa sono i contrasti fra chi crede nel potere della tecnica umana di piegare le forze della natura, e chi teme che i principali ingegneri italiani, con la loro presunzione, possano solo complicare i problemi di Venezia.
Il punto centrale dell’ambizioso progetto governativo italiano – chiamato MOSE, dalla separazione delle acque del Mar Rosso – è una serie di 78 gigantesche dighe subacquee mobili che riposano sul fondo del Mare Adriatico, imponenti barriere pronte ad alzarsi meccanicamente in superficie quando sorge il bisogno di fermare maree di altezza straordinaria. Queste maree, che generalmente si verificano qualche volta l’anno, provocano rapidamente danni a Venezia, a volte disastrosi come nell’alluvione del 1966. Come uno dei progetti prioritari del primo ministro Silvio Berlusconi, le barriere high-tech hanno un peso politico del tutto paragonabile a quello fisico, di 300 tonnellate ciascuna, e al loro costo, che è di 4,5 miliardi di dollari.
“Queste barriere sono un enorme intervento ambientale, di una dimensione mai tentata prima” dice Alberto Scotti, ingegnere a capo del progetto, tanto fiducioso e concreto quanto altri sono emotivi.
I critici sono preoccupati dal fatto che questi enormi sbarramenti possano modificare ulteriormente il delicato equilibrio naturale. Sottolineano che le barriere non fanno nulla per alleviare il degrado quotidiano della città, effetto di forze molto più sottili che operano nella laguna morente, e che richiedono soluzioni meno fascinose.
L’acqua che lentamente si alza e si abbassa, lascia molte pareti degli edifici costantemente sotto il livello. La quantità di sale in aumento nelle acque dei canali minaccia le fondamenta. La scomparsa della vita vegetale sul fondo della laguna ha trasformato quelli che un tempo erano canali dalla vita complessa in condotti che riversano acqua in città ad ogni burrasca.
”Al momento, si concentra tutto sugli sbarramenti: che spaventano parecchio perché si tratta di una soluzione rigida e non sperimentata” dice la signorina da Mosto, coautrice di The Science of Saving Venice, libro sponsorizzato da “Venice in Peril”, un’organizzazione non governativa britannica. ”Molti scienziati pensano che risolverà il problema, e molti pensano di no” aggiunge. “Non posso dire quale sia la soluzione, ma occorre anche stabilizzare l’ambiente. Quello che so, è che la laguna è immensamente complicata, e quanto più ci si basa su soluzioni diversificate e reversibili, tanto meglio è”.
Alberto Scotti sostiene il suo progetto con modelli complessi computerizzati e studi di fattibilità. “Abbiamo verificato tutto attraverso modelli” dice con una punta di esasperazione. “Abbiamo modelli di morfologia della laguna. Possiamo riprodurre i venti, il tempo atmosferico e le maree. E i nostri modelli ci dicono che funzionerà, e che non ci saranno impatti ambientali negativi”. Rappezzare costantemente le ferite di Venezia è diventata un’ossessione, e un’occupazione a tempo pieno per il comune e gli abitanti.
Recentemente allo Squero di San Trovaso, sede dei famosi laboratori veneziani per le gondole, i canali sono stati prosciugati per manutenzioni. Dozzine di operai della Insula, struttura pubblico-privata di manutenzione dei canali, osservano ogni centimetro delle sponde, riparando le superfici danneggiate e pompando schiuma da tubi verdi dentro le pareti, per rinforzarle. ”Venezia deve essere mantenuta in efficienza come un barca: si tira in secco e si ripara”, dice Giorgio Barbarini, conducente di motoscafo taxi. ”Venezia sta cadendo a pezzi perché è difficile mantenere in efficienza un’intera città”.
Dal punto di vista strettamente evolutivo, il declino di Venezia forse è inevitabile. Le lagune, con i loro acquitrini e le acque salmastre, sono ecosistemi costieri di transizione, che tendono nel tempo a diventare laghi d’acqua dolce o a mescolarsi alle acque marine. È un processo che viene accelerato quando l’uomo abita entro questi pezzetti instabili di natura, come è accaduto qui per oltre mille anni. I veneziani hanno a lungo amministrato le acque per proteggere la propria città, deviando fiumi nel XIV secolo.
Ma le rapide trasformazioni dell’ecosistema sono avvenute col XX secolo. A partire dagli anni ’30 sono state create una zona industriale e altre superfici pompando via acqua, e accelerando drammaticamente la subsidenza. La navigazione e l’inquinamento che ne sono seguiti hanno eroso le principali caratteristiche difensive della laguna, che per secoli avevano aiutato a tenere a bada il mare. Per esempio, quello che una volta era il complesso fondale della laguna oggi è per la gran parte piatto e privo di vegetazione, e lascia che l’acqua venga spinta dalle burrasche in città senza incontrare ostacoli.
Come conseguenza il livello medio dell’acqua a Venezia è di quasi 30 centimentri più alto di quanto non fosse un secolo fa, e probabilmente un metro più di 250 anni fa, secondo i ricercatori del Corila. L’acqua, un tempo salmastra, ora è salata come quella del mare.
Il riscaldamento globale, qui non ha ancora contribuito in modo sostanziale all’innalzamento del livello, dice la signorina da Mosto. Le previsione sugli effetti finali per l’Adriatico variano di molto: alcuni scienziati stimano un innalzamento di soli sette centimetri, e altri che possa avvicinarsi al metro. L’acqua già ora riempie le piazze e filtra nelle chiese. Sale nelle case attraverso gli scarichi. Corrode le pareti dei edifici che non erano stati pensati per stare sommersi. Se le fondamenta dei palazzi veneziani sono state costruite con materiali che resistono all’acqua, i muri sono di mattoni, porosi. ”È stato speso molto denaro per rifare gli intonaci e sostituire le pareti mattone su mattone. Lo chiamiamo strato sacrificale”, dice da Mosto. “Ma dopo qualche anno si sbriciola”.
Al contrario, i progettisti del MOSE sembrano piuttosto perplessi di fronte alla resistenza, nella città che si sono impegnati a salvare.Ci sono stati anni di negoziati con rappresentanti locali e gruppi ecologisti prima che iniziassero i lavori, nel maggio 2003. Scotti sottolinea che il progetto non comprende solo le barriere, che saranno portate a termine nel 2010, ma anche piani di consolidamento per le pareti degli edifici, per proteggerli dalle maree minori, e progetti per ripristinare le zone umide. I critici contestano che si tratta solo di ripensamenti poco studiati.
”La gente, qui, accetta gli allagamenti e gli stivali come parte della vita” dice Scotti. “Ma vivere in queste condizioni li pone in una situazione di svantaggio rispetto agli abitanti di Milano o Roma. Questo significherà un cambiamento nella loro vita”. La sfida ingegneristica di Scotti è enorme, sia dal punto di vista della forza delle maree, sia per la richiesta da parte del governo che gli sbarramenti siano invisibili (al largo sul mare) quando non utilizzati, una decisione che molti ritengono non necessaria, e che ha aggiunto milioni di costi al progetto.
Le squadre di lavoro stanno ora costruendo frangiflutti artificiali per rallentare le maree. Col tempo, verranno inserite migliaia di pali d’acciaio nel fondale lagunare. Sul fondo del mare, per sistemare le barriere, saranno sistemati blocchi di cemento di 60x40x10 metri.
È la semplice dimensione del progetto a terrorizzare gli scettici, che temono un enorme sforzo che disturberà ancora di più la Laguna.
La Laguna di Venezia è stata ampiamente studiata dagli scienziati, ma molto del lavoro è stato svolto localmente, e mai coordinato o presentato sulla stampa scientifica, dice da Mosto. Di conseguenza, si comprende ancora poco del complesso ecosistema.
Ma i progettisti sostengono che costruiranno lentamente e con eccezionale cura, per creare un ambiente protetto ai veneziani – anche se non corrisponde alla forma naturale della laguna. “Vede, non c’è più ambiente naturale da recuperare, qui a Venezia” dice Scotti. “È stato modificato dall’uomo per centinaia di anni”.
”Quello che è importante è creare una laguna con molte possibilità di vita” continua. La forma non sarà naturale. La vegetazione non sarà la stessa. Ci saranno materiali artificiali. Non esistono manuali su come si costruisce una laguna”. ”Siamo umani, e ovviamente non siamo in grado di rifare quello che Dio ha già fatto”.
Non c'è bisogno di "rifare quello che Dio ha già fatto”.Chiederemmo solo di fare come faceva la Repubblica Serenissima: interventi sperimentali, flessibil, reversibili. Che cosa c'è di sperimentale, flessibile e soprattutto reversibile in una serie di "palazzi", di 60x40x10 metri, posti a separare sott'acqua la Laguna dal mare? Che cosa c'è di reversibile nella distruzione di ettari di fondali alle bocche di porto? Non servono nuovi manuali, ingegner Scotti, basta saper leggere il manuale che la storia e la natura hanno costruito insieme.
VENEZIA. Sentenza rinviata al 6 maggio. Il verdetto sulla legittimità del Mose arriverà fra tre mesi. Così hanno stabilito ieri i giudici della prima sezione del Tar, dopo aver esaminato il ricorso e la richiesta di sospensiva sui lavori del Mose presentato dagli ambientalisti. Una decisione che accontenta tutti, anche se Wwf, Italia Nostra ed Ecoistituto si dicono preoccupati che i lavori non si fermino.
Un accordo di massima (non scritto) è stato comunque raggiunto ieri mattina. In questi tre mesi proseguiranno soltanto i lavori già avviati della lunata di Malamocco. Iter per ora sospeso è quello della conca di Malamocco (con la prevista demolizione della diga ottocentesca) e delle spalle del Mose alla bocca di Lido. «Siamo soddisfatti», commenta il legale delle associazioni Paolo Seno, «sono sicuro che riusciremo a dimostrare la fondatezza delle nostre obiezioni». Secondo il plotone di avvocati che tutelano gli interessi del Consorzio Venezia Nuova (coordinati dagli avvocati Alfredo Bianchini e Alfredo Biagini) si tratta invece di provvedimenti «del tutto legittimi». I giudici del Tar (presidente Baccarini, relatori Di Piero e Franco) hanno applicato un articolo della Legge Obiettivo,- proprio quella contestata nel ricorso - che obbliga a emettere la sentenza per temi che riguardano le grandi opere dopo 45 giorni dal deposito. Il 6 maggio si deciderà anche sulla sospensiva, cioè se fermare o no i lavori. I giudici hanno tempo fino ad allora per studiare i documenti prodotti dalle parti. Le associazioni (Wwf, Italia Nostra, Ecoistituto, Movimento dei consumatori e Comitato Salvare Venezia) chiedono l’annullamento di una serie di provvedimenti ritenuti illegittimi che hanno autorizzato il progetto Mose. La delibera del comitatone dell’aprile 2003, che ha dato il via libera a un progetto senza Valutazione di Impatto ambientale. E’ questo il punto più controverso. Secondo il Comitatone (ma anche per la Regione e il Magistrato alle Acque) la Valutazione negativa del 1998 era da considerarsi annullata dal Tar e dal Consiglio dei ministri. Per questo era stata sostituita dalla Via regionale, per la prima volta applicata nella storia della salvaguardia. Illegittima, secondo le associazioni, anche la delibera del Cipe che assegnava i fondi alle grandi opere senza che la procedura fosse conclusa. E, infine, la delibera della commissione di Salvaguardia, che ha approvato in sole tre sedute, tra le proteste di Provincia e Comuni interessati, 72 volumi di progetto definitivo.
Gli ambientalisti insistono sui «danni irreversibili» che la grande opera potrà portare all’ecosistema lagunare. E chiedono che il progetto sia sottoposto a una seria Valutazione di Impatto ambientale, come del resto previsto dalle norme europee.
«Anche il Comune e la Provincia devono prendere posizione, pretendere il rispetto della legalità per evitare colpi di mano irreversibili», denuncia la deputata dei Verdi Luana Zanella. E attacca i colleghi della Casa delle Libertà, che in risposta all’iniziativa del deputato Michele Vianello (150 firme di parlamentari per chiedere all’Europa di fermare il Mose e il suo iter illegittimo), avevano scritto al commissario Mario Monti difendendo la «bontà dell’opera». «Si assumono una grave responsabilità», scrive la Zanella, «quella di dirottare i pochi fondi disponibili per la salvaguardia su un progetto inutile e dannoso».
Anche il Mose ha un peccato originale. Una scelta progettuale che a cascata ha imposto enormi appesantimenti e irrigidimenti dell'intera struttura, facendo lievitare a dismisura costi e tempi di realizzazione e costringendo a complicare, e dunque a rendere meno affidabile, l'architettura dell'intera macchina che dovrebbe difendere Venezia dalle acque alte eccezionali.
«Il risultato sarà un impatto devastante per l'ambiente lagunare», ha denunciato ieri l'ing. Vincenzo Di Tella, che a 4 anni dall'ideazione ha potuto illustrare alla commissione Legge speciale del Comune il suo progetto alternativo, sviluppato allo stadio di preliminare in collaborazione con gli ingegneri Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani: una sorta di Mose riveduto e corretto, che Di Tella ha brevettato.
«Il Mose è nato 30 anni fa e non tiene assolutamente conto dell'evoluzione dell'ingegneria off shore», ha sostenuto Vielmo, ricordando di essere stato incaricato dalla Fiat Impregilo, quand'essa faceva ancora parte della compagine societaria del Consorzio Venezia Nuova, dell'analisi critica del progetto. «Ma tutti i suggerimenti per la sua ottimizzazione - ha ricordato - più che un muro di gomma hanno trovato un muro di cemento armato».
Peccato che le opposizioni abbiano disertato in massa l'audizione: Di Tella, Sebastiani e Vielmo, infatti, non sono scatenati ambientalisti, né tre persone qualunque, ma probabilmente i tre massimi esperti italiani in progettazioni off shore, una vita professionale spesa nella Tecnomare a realizzare piattaforme oceaniche e le più diverse tecnologie marine in giro per il mondo, sopra e sotto l'acqua.
«Il Mose emerge contro corrente», ha spiegato Di Tella, evidenziando come la risultante tra la spinta netta di galleggiamento sulle paratoie, che si innalzano svuotandosi con pompe di aria compressa dei quasi 2 mila metri cubi d'acqua che le tengono a riposo sul fondo, e la spinta del battente di marea si traduca in una inversione dei carichi sui giunti che fissano i portelloni ai loro alloggiamenti. «La paratoia - ha insomma tradotto Di Tella - tende a strappare le sue cerniere, e sono pronto a discuterlo a tutti i livelli».
C'è, insomma, la possibilità di ribaltamento delle paratoie, e ciò ha imposto al progettista, Alberto Scotti, di prevedere delle strutture a collasso determinato che possano rompersi prima che cedano le paratoie, allagando tutto il tunnel di servizio e mettendo in crisi l'intero sistema. «Se Scotti ci facesse avere un suo curriculum - ha polemizzato Di Tella - dimostrandoci quante strutture off shore ha progettato in vita sua, forse capiremmo qualcosa di più».
Secondo Di Tella, il peso delle paratoie, sovradimensionate per evitare problemi di risonanza con le onde del mare, la necessità di enormi e non sperimentati connettori meccanici, il fatto che la loro gestione richieda un continuo e controllato pompaggio d'aria, hanno imposto il tunnel, 12 mila pali in cemento per le fondazioni per evitare cedimenti, ciclopiche spalle di sostegno, l'isola davanti al Bacàn, una centrale elettrica da 10 mila megawatt, i cantieri di costruzione a Malamocco, la conca di navigazione, il dragaggio di milioni di metri cubi di fondali, la demolizione delle dighe foranee. «Tutto - ha sottolineato Di Tella - tranne che graduale, sperimentale, reversibile come richiesto dalla legge».
Nel progetto Di Tella, invece, le paratoie a gravità si innalzano con la marea, restando zavorrate tranne una piccola camera di manovra che, svuotata di appena 50 tonnellate d'acqua con banali compressori, mette il sistema in movimento. «È il livello dell'acqua che fa salire le paratoie - ha spiegato il progettista -, il sistema è intrinsecamente stabile, non serve alcun controllo perché non dobbiamo lottare con la corrente, anche nel peggior dislivello di marea non c'è inversione di carico sulle cerniere». Dunque, tutto più leggero, più agile, adattabile ai fondali esistenti, realizzabile in un normale cantiere navale con tecnologie sperimentate e affidabili, installabile a pezzi.
A materiali e costi unitari analoghi, il Mose2 richiederebbe 2 anni di lavori contro 8 del Mose e costerebbe 1382 milioni di euro contro 2296 (2070 ha precisato Di Tella contro 3440 se venissero applicati i «mai visti» corrispettivi e gli oneri aggiuntivi del 50 per cento calcolati dal Consorzio), ma in acciaio e a gara d'appalto costerebbe 402,5 milioni di euro contro i 753,6 dei lavori in concessione unitaria al Consorzio. «Il Comune chiederà un confronto pubblico tra i due progetti nelle massime sedi», ha concluso la Commissione, ed è curioso che il Magistrato alle Acque, a cui Di Tella ha chiesto a luglio e a dicembre del 2003 di presentare il suo progetto, non abbia mai neppure risposto.
Critiche anche al Terminal petrolifero
(S.T.) All'ing. Alberto Scotti, progettista del Mose, ieri devono essere fischiate le orecchie. Gli ingegneri Vincenzo Di Tella e Paolo Vielmo, infatti, non hanno solo attaccato la sua creatura (vedi servizio qui sopra ), ma hanno anche pesantemente criticato con una nota il suo progetto per la realizzazione di un terminal petrolifero in mare. «Un progetto - hanno scritto - che si basa su soluzioni inusuali rispetto a tecnologie sperimentate e consolidate senza motivarne la scelta, carente per quanto riguarda le procedure operative per la gestione del terminale e la realizzazione delle condotte sia nella parte in laguna che in mare».
I due tecnici ex Tecnomare hanno sostenuto che non sono state esaminate soluzioni flessibili negli obiettivi, nei tempi di realizzazione e nei costi, e che dai dati meteo e dalle elaborazioni presentate si evince una discutibile determinazione delle condizioni estreme di progetto per le opere civili. «Il progetto - hanno sottolineato - esamina solo condizioni estreme per le opere civili, e non prende in considerazione le condizioni ambientali limite per le manovre di entrata nel porto e accosto agli attracchi».
La soluzione progettuale, hanno poi aggiunto Di Tella e Vielmo, non è mai messa in discussione e data come la migliore possibile. «Una soluzione del tutto inusuale di un megaporto off shore - hanno sostenuto -, e condotte in un tunnel a pressione atmosferica, con i costi di investimento così elevati e senza un'analisi dei rischi e una stima dei costi di gestione, richiede per legge un confronto tecnico/economico con soluzioni classiche di ormeggio a punto singolo, per il terminale off shore, e di condotte sottomarine interrate o protette in ambiente bagnato ("Wet") anche per la parte lagunare».
I due ingegneri hanno illustrato brevemente le più classiche soluzioni alternative suggerendo, per il terminal, di chiedere referenze alle tre ditte più conosciute al mondo, la Sbm di Monaco, la Bluewater olandese, la Sofec americana, e per le condotte ai leader mondiali che sono invece le italiane Saipem e Snamprogetti.
Cinque "barene" per proteggere il canale dei petroli
Anche l'iter del progetto riguardante la protezione del canale dei Petroli nel tratto - di poco inferiore ai 4.5 chilometri - che va da Porto San Leonardo a Marghera, canale industriale, è arrivato alla conclusione. A breve termine l'apertura del cantiere. È ben da dire che l'interesse che ha accompagnato prima l'esame e poi l'esito in commissione di salvaguardia della votazione sul progetto «definitivo» riguardante l'intervento alle bocche di porto, ha finito con il far passare sotto silenzio l'approvazione finale, da parte della stessa commissione, di questo disegno. Anche solo 20 anni fa tale proposito avrebbe scatenato in città scontri omerici. Sarebbe stato interpretato come realizzazione propedeutica alla attuazione di un operato finale blasfemo: la divisione in due della laguna: a nord Venezia, a sud grandi aree barenose e la bocca di Malamocco, entrambe a disposizione delle industrie e del porto. A tanto oggi non si pensa più: non ci si può pensare più. Molti protagonisti delle battaglie succedute all'«aqua granda» del '66, dell'uno e dell'altro fronte sono invecchiati. Alcuni, anzi parecchi, se ne sono andati. C'è, poi, la legge speciale che proibisce quell'intendimento. Si vuole che il nemico ora sia un altro.
Lo scopo del progetto, di cui si dice, è, dunque, di impedire l'interrimento di quella grande, discussa via d'acqua aperta negli anni fra il '60 e il '70 e con i cui fanghi sono state costruite le casse di colmata B, D-E. Lo provocano, l'interrimento, le stesse navi che con il loro passaggio trascinano i sedimenti in cunetta. E lo provocano, altresì, le correnti trasversali che dominano gli adiacenti fondali i quali, pertanto, sempre più appiattiscono. Il progetto prevede, dunque, la realizzazione di cinque «strutture morfologiche» che qualcuno potrebbe anche benignamente chiamare «barene», lungo il bordo est del canale. A completamento vengono anche programmate protezioni lungo i bordi ovest del medesimo canale i quali poi altro non sono che i cigli delle casse di colmata pur essi in erosione. Queste «strutture morfologiche» saranno costituite da riporti di sabbia che potrà essere prelevata dalla bocca di porto di Malamocco o dalla Val di Rio (ne indicano l'estensione la quantità prevista: 380 mila metri cubi). Avranno i bordi protetti da «burghe» che sono sacconi riempiti di pietrame posati su materassi di geotessuto.
Fra «barena» e «barena» - si assicura - verranno mantenuti aperti varchi in corrispondenza alle incisioni dei canali preesistenti: il Lussariol e il Rischio. L'intervento - si assicura pure - sarà eseguito per stralci al fine di constatarne e studiarne le conseguenze. Inizialmente il progetto prevedeva una protezione sassosa dal canale dei Petroli, elevata sul medio laguna, una sessantina di centimetri. Poco diversa dunque dalle due già in esercizio costruite in passato al tempo dello scavo del canale. Il disegno è stato modificato per l'intervento della Sovrintendenza.C'è chi assicura che queste opere contrasteranno gli effetti, in termini di appiattimento della laguna, della riduzione dei ricambi quale dovrebbe conseguire alla realizzazione degli interventi «complementari» per intenderci i «digoni» fuori in mare. Appare un poco tirata. Il tema di un possibile appiattimento della laguna ovvero della scomparsa dei canali interni viene comunque agitato con particolare insistenza in questi ultimi anni. Il moto ondoso e le correnti mettono in sospensione i sedimenti che - si sottolinea - trasmigrano poi nei canali. È questo, anzi, uno dei motivi per i quali studiosi della laguna, anche in Magistrato alle Acque, mostrano ostilità ad un possibile innalzamento dei fondali alle bocche di porto oltre i -14 metri. Ne conseguirebbe, viene detto, una diminuzione della energia delle correnti che favorirebbe appunto il fenomeno.
A.P.
Mose, è scoppiata la guerra "vera"
Il Magistrato alle Acque avvia il progetto, gli ambientalisti scatenano i ricorsi, il Comune sta a guardare
Per quegli strani scherzi del destino, l'uno all'insaputa delle altre, il Magistrato alle Acque ha avviato ieri la costruzione del Mose, quello vero e non le "prime pietre" di opere di contorno, e le associazioni ambientaliste veneziane, capitanate da Italia Nostra e dal Wwf, hanno notificato agli "avversari" un nuovo ricorso al Tar che si aggiunge a quello già depositato circa un anno fa contro le opere complementari.La differenza, però, è sostanziale: se un anno fa nel mirino c'erano solo le lunate a mare approvate con una Valutazione di impatto ambientale regionale, giudicata illegittima, ora il Comitato Salviamo Venezia con la laguna ha sparato ad alzo zero contro la stessa delibera del Comitatone che un anno fa autorizzò il passaggio alla progettazione esecutiva del Mose e contro tutti gli atti che da allora si sono susseguiti, fino all'ultimo voto della Commissione di Salvaguardia.Insomma, parte il Mose (vedi servizio sotto), e partono le carte bollate: la guerra è scoppiata! Ma Comune e Provincia stanno ancora a guardare, perché mentre le giunte si cincischiano tra 11 punti e attese di Comitatoni, Magistrato e Consorzio Venezia Nuova vanno avanti a rullo compressore, e tra due mesi si apriranno i cantieri della conca di navigazione: quella che nei disegni del Comune avrebbe dovuto innescare una radicale modifica del progetto delle chiuse mobili; quella che nei progetti del Consorzio sarà invece la "prima pietra" tombale di ogni ipotesi alternativa!
Ieri, intanto, ha annunciato la sua mobilitazione generale contro il Mose anche la "Sinistra Ecologista", un'associazione ambientalista di area Ds, con oltre 8 mila iscritti e presente in 80 città italiane, nella quale militano molti parlamentari della Quercia. Tra questi, Michele Vianello, che ha illustrato la strategia di guerra. «Per prima cosa - ha spiegato - stiamo studiando ulteriori ricorsi per invalidare la delibera del Comitatone del 3 aprile dell'anno scorso. È la madre di tutte le battaglie - ha sottolineato - perché quella delibera autorizza il passaggio alla progettazione esecutiva del Mose e alla sua realizzazione».
Insomma, si mira al cuore del "nemico", denunciando almeno 3 violazioni di legge: il passaggio all'esecutivo senza tutti i pareri sul progetto definitivo; l'aggiramento dell'art. 3 della 139 del '92 che consentiva il passaggio alla progettazione esecutiva solo in presenza di un "adeguato avanzamento" di tutti gli interventi di ripristino morfologico della laguna; la mancanza della Valutazione di impatto ambientale sul progetto.
«Che la più importante opera di ingegneria ambientale d'Europa avvenga senza la Via è una forzatura inaccettabile», ha sostenuto Vianello, annunciando la seconda iniziativa. «La prossima settimana - ha detto - cominceremo una raccolta di firme in Parlamento per chiedere alla Commissione Europea che il Mose sia sottoposto alla Via». Con Vianello, l'on. Fabrizio Vigni, responsabile nazionale Infrastrutture dei Ds, ha denunciato il fallimento delle promesse del Governo sul piano delle grandi opere. «Il Mose - ha spiegato - è una delle 276 opere della legge obiettivo, il cui costo complessivo è di 125,8 miliardi di euro. Oggi, dopo 3 anni, sono stati stanziati 5,3 miliardi di euro, circa il 4 per cento. Miracoli all'orizzonte non se ne vedono - ha concluso -, e con questa tabella di marcia le opere annunciate verranno realizzate nel 2079»!
Il presidente nazionale di Sinistra Ecologista, Sergio Gentili, ha spiegato che la raccolta di firme in Parlamento è una risposta eccezionale rispetto a un'emergenza connotata da ripetute violazioni di un corretto iter decisionale. «Qui siamo di fronte - ha concluso - alla cultura politica dei condoni, dell'abusivismo, della vendita del patrimonio culturale: non si aprono cantieri senza avere la certezza del finanziamento per chiudere, se non nel vecchio sistema affaristico».
Silvio Testa
Ieri mattina il Comitato tecnico di magistratura che è sezione del Consiglio superiore del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha preso in esame i primi progetti esecutivi riguardanti parti essenziali dell'intervento alle bocche di porto. È avvenimento di primaria rilevanza. È preludio all'apertura dei cantieri. Chi ha seguito la telenovela-Salvaguardia che dura, di puntata in puntata, da oltre trent'anni può anche stentare a credere che si sia arrivati in dirittura. Pensiamo che qualche incredulità l'abbiano provata anche diversi degli ingegneri e docenti che erano ieri, per l'ennesima volta, attorno al grande tavolo nella sala d'onore del Magistrato alle Acque dove si sono riuniti, nel lunghissimo periodo di gestazione del Mose, i primi ministri di una decina di governi, colà a giudicare le cose soprattutto dal punto di vista politico.
Quelle proposte ieri sono davvero le opere alle bocche non le «complementari». E la discussione è stata puramente tecnica. Non per questo meno impegnata. Il Mose è idea nuova, senza precedenti e, per questo, con alcune incognite anche, o soprattutto, tecniche. I progetti in discussione ieri sono stralci della grande impresa destinata a salvaguardare Venezia dalle acque alte. Riguardano il porto - rifugio alla bocca del Lido, in zona Punta Sabbioni, la radice del molo sud di Lido, la conca di navigazione alla bocca di Malamocco, il porto - rifugio di Chioggia. Sono stati tutti approvati con raccomandazioni, prescrizioni, esortazioni. Come a dire che ci si è imbarcati. Ma che occorrerà stare bene allerta. La navigazione non sarà delle più facili. La rotta è comunque segnata.
Il progetto più importante riguardava la conca di navigazione alla bocca di Malamocco. È opera ciclopica negli scavi e nelle edificazioni delle spalle che proteggeranno le navi in attesa di entrare od uscire. A Treporti va preparata la «tura» con il quale termine si intende il grande scavo per il porto rifugio che servirà alle imbarcazioni che dovessero trovarsi in mare al momento della chiusura delle paratoie. Il rinforzo della diga sud di Lido viene invece previsto per la semplice ragione che l'opera attuale è soggetta ad infiltrazioni. Si costruirà un tratto di diga parallela a quella esistente e si riempirà lo spazio con materiale adeguato. A Chioggia si incomincerà con una dighetta trasversale protettiva al porto rifugio. Le imprese scalpitano. Così come sono le cose si va all'apertura dei cantieri fra non più di due mesi, con i primi venticelli di primavera.È già all'apertura (fra due settimane) il «campo prove» alla radice della diga di Lido e a Treporti (di fronte al camping) per la sperimentazione dei sistemi operativi previsti per il consolidamento dei fondali, per l'esecuzione di prove di laboratorio relative alla compattazione dei materiali e la lavorazione del fondo dei cassoni di alloggiamento delle paratoie. Si incomincia con indagini archeologiche e di bonifica. Riferiamo anche che, fra una ventina di giorni si apre il cantiere in Lazzaretto Vecchio, l'isola sita davanti al Lido già conosciuta come «isola dei cani» (che resteranno in loco). Si procederà al restauro statico ed architettonico dei fabbricati e delle mura perimetrali della parte est dell'isola. Si fermeranno i crolli, E si ricostruirà. Nella memoria del passato.
Augusto Pulliero
E' sperimentale, graduale, reversibile
22 gennaio 2005
È sperimentale, graduale, reversibile, come vuole la legge, ma soprattutto è "stagionale": si mette d'inverno, quando serve, e d'estate si toglie. Costa dieci volte meno del Mose (450 milioni di euro contro 4700 milioni), e si realizza in due anni e non in otto, mettendo da subito Venezia al riparo dall'acqua alta; non abbisogna di milioni di metri cubi di cemento, né di migliaia di pali infissi nel fondale, né di sbancamenti delle bocche di porto, ma solamente di spalle autoaffondanti in calcestruzzo (removibili), e della posa di un materasso antierosione di georete; infine può fronteggiare qualsiasi innalzamento del livello medio del mare che i lidi e la costa possano reggere, semplicemente aumentando lo spessore del materasso antierosione.
Stiamo parlando di Arca (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta), l'anti Mose che stamane verrà presentato anche con animazioni dalle 10 nella Sala del Piovego di Palazzo Ducale, con interventi di Paolo Pirazzoli (ricercatore del Cnr francese) sugli scenari futuri dell'eustatismo e di George Umgiesser (Cnr Venezia) sui problemi idrodinamici. Seguirà un dibattito moderato dal prof. Bruno Rosada.
Arca è stato ideato da Antonio Ieno, un Carneade, accusano gli oppositori, ma dalla grande e lucida determinazione, la cui intuizione è stata poi tradotta in un progetto dall'aria assai solida dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere Marittime all'Università di Padova e componente dello staff che realizzò Voltabarozzo, e dagli ingegneri Giorgio La Valle (Strutture navali) e Filippo Valenti (Relazioni tecniche), con la collaborazione di Pirazzoli e Umgiesser. La progettazione delle automazioni è della Siemens Spa.
«In sostanza - ha spiegato ieri De Santis - si tratta di vere e proprie navi autoaffondanti di 120 metri, trainabili, in acciaio al carbonio». Esse andranno portate alle bocche di porto, il cui fondale dovrà essere preventivamente regolato portandolo a 9.50 metri al Lido, a 12 metri a Malamocco, a 8.50 a Chioggia, e lì verranno allineate tra di loro e incernierate su piloni che altro non sono che scafi autoaffondanti più piccoli. In condizioni normali, le navi stanno alla fonda lasciando ad esempio al Lido tre varchi di 190 metri ciascuno, poi al crescere della marea vengono ruotate di 90 gradi grazie a due eliche intubate trasversali ciascuna, e affondate con acqua, come i sommergibili. Una volta posate sul fondale, sul quale saranno state sagomate, le navi diverranno delle vere dighe contro la marea (vedi foto), potendo servire per acque alte fino a 2.50 metri. «E le eliche trasversali, pompando fuori ciascuna 30 metri cubi al secondo, possono ridurre di 6 millimetri all'ora il livello dell'acqua in laguna, tanta quanta ne piovve il 4 novembre del '66», ha sottolineato Pirazzoli.
«Il sistema - ha spiegato Ieno - consente chiusure parzializzate, a seconda dei livelli di marea». La navigazione resta garantita su tutte le bocche fino a 125 centimetri, chiudendo solo alcuni varchi, poi oltre i 125 centimetri resta garantita solo a Malamocco, mentre a 128 centimetri si chiudono tutte le bocche. «Sulla base delle statistiche di marea dal 1983 al 2002 - ha sottolineato Ieno - le chiusure totali sarebbero state solo 9»
Il progetto è stato presentato anche al Magistrato alle Acque. «Nessuna risposta - ha polemizzato Ieno, e scarsa attenzione è venuta anche dal Comune».
Davide contro Golia
23 gennaio 2004
Davide contro Golia. Ovvero Arca contro il Mose. Potrebbe riassumersi così il senso della presentazione alla città, ieri nella sala del Piovego di Palazzo Ducale, del progetto di chiusure mobili alle bocche di porto alternativo al Mose, ideato da Antonio Ieno e tradotto in forma progettuale da uno staff coordinato dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere marittime all'Università di Padova. Del tutto assenti le istituzioni, anche se Gianfranco Bettin e Flavio Dal Corso (Verdi) hanno poi chiesto di fermare il Mose e di sperimentare Arca .
Arca 2005 (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta) è l'evoluzione del progetto già presentato quattro anni fa, raffinato e perfezionato. L'idea di fondo è sempre la stessa: l'utilizzo per chiudere le bocche di porto di cassoni autoaffondanti, che nell'ipotesi originaria erano in calcestruzzo, ma che nelle successive stesure del progetto sono diventati delle vere navi in acciaio al carbonio, trainabili. D'estate se ne stanno da qualche parte alla fonda, in manutenzione, ma d'inverno vengono collocate al loro posto, per fermare l'acqua alta.
Non richiedono strutture fisse, milioni di metri cubi di cemento, migliaia di pali di fondazione, ma solo delle spalle di ancoraggio fatte però anch'esse di scafi autoaffondanti, e la stesura di un materasso antierosione dello spessore di circa 30 centimetri sul fondale delle bocche di porto, che può essere sagomato alla profondità che si crede. «Noi abbiamo scelto i limiti attualmente necessari alla navigazione», ha spiegato De Santis, ovvero 9.50 metri al Lido, 12 a Malamocco, 8.50 a Chioggia.
Le navi, alte dai 6 ai 15 metri, vengono trainate al loro posto, e incernierate su dei piloni (anch'essi scafi autoaffondanti, più piccoli) in modo da lasciare dei varchi di 190 metri: 3 al Lido; uno a Chioggia e a Malamocco più un secondo varco da 90 metri. In ogni bocca di porto, sempre con scafi autoaffondanti, vengono realizzate delle conche di navigazione per il naviglio minore. Al crescere della marea, le navi vengono ruotate di 90 gradi (come porte sui cardini) grazie a eliche trasversali intubate, e affondate come i sommergibili, imbarca ndo acqua, fino a posarsi sul fondo, diventando delle dighe. Il sistema è modulare, perché permette anche chiusure parziali. «Il tutto - ha sottolineato Ieno - entra in esercizio in 15 minuti». Il progetto, è stato spiegato, può essere realizzato in due anni, e non in 8 come il Mose, mettendo da subito al sicuro Venezia dall'acqua alta, e costa "solo" 450 milioni di euro, cioé dieci volte meno del progetto ufficiale.
Arca e Mose sono stati messi a confronto da Paolo Pirazzoli, direttore di ricerca del Cnr francese, e da George Umgiesser, modellista del Cnr veneziano. Pirazzoli ha paragonato i risultati dei due sistemi nello scenario del 4 novembre 1966, corretto secondo le previsioni degli esperti dell'Ipcc (Intergovernamental panel on Cimate change) per i quali il livello del mare potrebbe crescere di 30 cm entro il 2050, e di mezzo metro entro il 2100.
Nel '66, ha ricordato Pirazzoli la marea toccò i 194 cm, rimase per 22 ore sopra i 110, la laguna crebbe di 7 millimetri all'ora solo per la pioggia. «Col Mose - ha sostenuto ricordando la tracimazione dell'acqua tra i portelloni -, si sarebbero superati i 110 cm in laguna, con Arca non si sarebbero toccati i 90». Addirittura i 60 se con le eliche si fosse pompata l'acqua fuori dalla laguna. Col mare cresciuto di 30 cm il Mose non avrebbe garantito i 140 cm, Arca sarebbe rimasto sotto il metro; col mare cresciuto di mezzo metro, il Mose non avrebbe impedito una marea di 170 cm, Arca avrebbe tenuto a 110.
Umgiesser ha invece paragonato gli effetti dissipativi di Arca rispetto a quelli proposti nel '99 dal Comune, e poi dal Consorzio Venezia Nuova, da De Piccoli (progetto Perla), dagli 11 punti. «Tranne le lunate del Consorzio - ha detto - assolutamente inutili, tutte le proposte sono efficaci per ridurre i picchi di marea tra i 10 e i 30 centimetri, ma con Arca si può scegliere la riduzione, continuando a permettere la navigazione. Arca - ha concluso - è l'unico progetto che unisce la possibilità della chiusura totale con le opere alternative».
Raccolta firme in Parlamento per chiedere l’intervento dell’Ue
VENEZIA. Due cannonate contro il Mose. Un appello all’Europa e la richiesta - senza precedenti - di annullare una delibera del Comitatone. Il deputato veneziano dei Ds Michele Vianello alza il tiro. E annuncia iniziative clamorose per fermare una procedura definita «illegittima».
Vianello, ex vicesindaco silurato dal sindaco Paolo Costa - con la «non opposizione» del suo partito - ora si prende la rivincita. E vuole dimostrare che gli allarmi lanciati erano fondati. La scelta del luogo, il Municipio, ha anche un valore simbolico, dal momento che il Comune un anno fa aveva votato a favore della delibera che dava il via libera al Mose. Ieri Vianello si è presentato con il portavoce nazionale della Sinistra ecologista Sergio Gentili e con il responsabile nazionale Infrastrutture dei Ds, capogruppo in commissione Ambiente, Fabrizio Vigni.
La clamorosa novità consiste nell’intenzione, annunciata ieri da Vianello e appoggiata da Vigni e Gentili, di presentare un ricorso per impugnare la delibera del Comitatone del 3 aprile 2003. «Sono state commesse tre pesanti violazioni di legge», accusa il parlamentare. La prima, quella di aver autorizzato quel giorno il passaggio alla fase esecutiva del Mose e la sua realizzazione senza che ci fossero tutti i pareri di legge. La dimostrazione, secondo il deputato Ds, è che l’ultimo, contestato via libera, è arrivato pochi giorni fa dalla Salvaguardia. «Adesso chiederò di acquisire i verbali del Cipe», spiega, «il Comitato per la programmazione economica presieduto dal ministro Lunardi che ha autorizzato i finanziamenti al Mose. Come ha potuto se il Cipe delibera solo a procedura conclusa?» La seconda violazione, spiega Vianello, riguarda l’articolo 3 della legge 139 del 1992. Quello inserito con emendamento del veneziano Sergio Vazzoler che subordinava l’uso dei fondi per il progetto Mose a «un adeguato avanzamento degli altri interventi di riequilibrio». «Anche questo non è stato fatto», accusa Vianello, «hanno guardato solo quanti soldi sono stati spesi, ed è un precedente gravissimo». Terza violazione di legge, la Valutazione di Impatto ambientale. «La più importante opera di ingegneria ambientale d’Europa viene approvata senza la Via, è una forzatura inaccettabile». Per questo Vianello intende ora con l’appoggio delle associazioni «invalidare» la seduta del Comitatone. Non basta. «Abbiamo raccolto già molte firme di colleghi parlamentari di tutti i partiti», dice Vianello, «e chiederemo ufficialmente alla commissaria europea Walstrom di aprire una procedura, e di approfondire le questioni già sollevate dal Wwf».
«Questo governo gioca la sua immagine sulle grandi opere», dice Fabrizio Vigni, responsabile nazionale dei Ds per le Infrastrutture «ma con questo flusso di finanziamenti le 276 opere promesse saranno concluse nel 2079. dei 126 miliardi di euro necessari ne sono stati stanziati solo 5,3. Non si possono aprire cantieri senza avere i soldi per finire l’opera. Questa è una politica improntata all’affarismo e non al rispetto dell’ambiente». Un concetto ripreso da Sergio Gentili, portavoce della Sinistra ecologista. «Per noi il Mose è un’opera sbagliata, che non risolve i problemi dell’acqua alta», dice, «per risolvere il problema non si può intervenire solo in ternmini idraulici, bisogna affrontare le cause del dissesto lagunare. Ma questo non fa parte della cultura di questo governo che usa il patrimonio ambientale in termini mercantili, come il condono e la svendita del patrimonio culturale». Nei prossimi giorni, gli avvocati della Sinistra ecologista metteranno a punto il ricorso. E la richiesta dei parlamentari di bloccare l’iter sarà inviata in Europa.
ALBERTO VITUCCI
VENEZIA. «La procedura adottata per dare il via libera al Mose è illegittima». La prima segnalazione, scritta, era arrivata al Magistrato alle Acque dal direttore generale del ministero per l’Ambiente Bruno Agricola. Alla fine del 2002, alla vigilia del Comitatone che avrebbe approvato il progetto Mose, Agricola aveva inviato una lettera che certificava l’obbligo, previsto dalla legge, di concludere la Valutazione di Impatto ambientale nazionale. Il Comitatone aveva deciso diversamente, affidando per la prima volta la Via alla Regione. Anche all’Ambiente c’erano state valutazioni differenti. Il ministro Altero Matteoli, che pure aveva criticato il progetto, aveva poi votato il via libera al Mose e dichiarato di «non riconoscersi» nelle posizioni espresse in Salvaguardia dal suo rappresentante, il docente Iuav Stefano Boato. «Ho fatto il mio dovere», ha risposto Boato, «sottoponendo alla commissione documenti che dovevano essere valutati per dare un giudizio di merito. Ma si è deciso di passare subito al voto, senza neanche una proposta di parere. Anche il presidente Galan mi ha dato atto della mia correttezza». (a.v.)
Mose, il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar
Il Consiglio di Stato ha dato ragione al Consorzio Venezia Nuova (un consorzio di imprese di costruzione cui lo Stato ha delegato lo studio, la sperimentazione, la progettazione e l’esecuzione di tutte le opere per la salvaguardia della Laguna di Venezia): il vero Potere che, nell’assenza o nella complicità di quelli istituzionali, governa la città più bella del mondo. Le informazioni sono da la Nuova Venezia del 21 e 22 dicembre 2004
(21 dicembre) Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar Veneto sul Mose. L’iter delle apporvazioni, secondo i giudici romani, sarebbe stato regolare. Ma il Codacons, l’associazione in difesa dei Consumetori, annuncia un nuovo ricorso all’Europa. «E’ un’opera inutile, che non risolverà il problema delle acque alte, stravolgerà l’ambiente e peserà sulle casse dello Stato», dice il presidente nazionale del Codacons, avvocato Carlo Rienzi.
Una storia che non è finita, quella della grande opera. Sabato il congresso provinciale dei Ds ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che invita il Comune a fare marcia indietro sulla salvaguardia, e a recuperare un ruolo da protagonista nella vicenda. E i dubbi sulla grande opera aumentano. Intanto però i cantieri proseguono spediti, A Punta Sabbioni è nato un nuovo comitato («I danni del Mose») che chiede di sapere cosa succederà al loro territorio. A Ca’ Roman gli ambientalisti della Lipu protestano perché l’oasi naturalistica sarà presto invasa dai cantieri. A Santa Maria del Mare è previsto il taglio della diga ottocentesca per realizzare l’enorme conca di navigazione. A Sant’Erasmo già si lavora ai fondali dell’isola artificiale da 7 ettari e mezzo che sorgerà davanti al bacàn. I progetti già in parte approvati prevedono lavori per 4 miliardi di euro e alle tre bocche una colata di milioni di metri cubi di cemento. Così il Codacons, come già le associazioni ambientaliste, hanno fatto ricorso all’Europa. (a.v.)
«Sul Mose ricorso alla Corte europea»
(22 dicembre) «Siamo stupefatti da questa sentenza che dà il via libera al Consorzio Venezia Nuova senza nemmeno considerare le normative europee e le alternative possibili». All’indomani della sentenza del Consiglio di Stato, che ha respinto in blocco i ricorsi contro le procedure di approvazione del progetto Mose, ambientalisti e Codacons annunciano un ricorso alla Corte europea. «Rischiano di stravolgere l’intero ecosistema lagunare senza risolvere il problema delle acque alte», protesta il responsabile nazionale del Wwf Stefano Lenzi, «c’erano soluzioni più economiche e reversibili che avrebbero permesso di affrontare il problema senza distruggere la laguna».
Di segno opposto il commento del presidente del Veneto Giancarlo Galan. «Il sindaco Costa ora dovrebbe chiedere i danni ai suoi assessori che lo hanno costretto a fare un ricorso assurdo», dice Galan, «la grande opera è partita e Venezia tra qualche anno sarà al riparo dalle acque alte eccezionali».
Una battaglia che continua in sede politica. I Ds hanno approvato al loro congresso un ordine del giorno che impegna la prossima amministrazione a «cambiare registro sulla salvaguardIa». «Il Mose è la madre di tutti gli sprechi», commenta la deputata dei Verdi Luana Zanella, «non risolverà il problema delle acque alte ma in compneso comprometterà l’attività del porto e provocherà seri problemi alla laguna».
Intanto l’iter del grande progetto va avanti. Sono decine i Grandi cantieri approvati in questi giorni dal Comitato tecnico di magistratura e dalla commissione di Impatto ambientale della Regione. Saranno installati dal Consorzio Venezia alle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Alberoni. Si comincia con le dighe foranee (già ultimate a Malamocco) e con i porti rifugio, in costruzione a Chioggia e a Punta Sabbioni. Nel litorale intanto si è costituito un nuovo comitato che si chiama «I danni del Mose», ed è intenzionato a battersi per cercare di ridurre al minimo il devastante impatto delle opere sul territorio. Un’opera che il governo ha inserito nella Legge Obiettivo, saltando così le procedure previste dalla Legge Speciale e affidando la Valutazione di Impatto alla Regione. (a.v.)
A proposito di quest’ultima notizia, pochi sanno che esiste un progetto, più volte presentato al Consorzio Venezia Nuova e al Magistrato alle acque, molto più morbido del MoSE e capace di raggiungere i medesimi risultati, in grado di soddisfare, a differenza del MoSE, i tre prescritti requisiti di “gradualità, flessibilità e reversibilità”, e infine molto meno costoso sia in fase di costruzione (si parla di risparmi di opere e di materiali tra il 50% e il 70%) sia, e ancor di più, in fase di gestione.
«Ricorsi? Non è il momento»
Il sindaco Costa gela le richieste degli alleati: «Le procedure vanno bene». Ma adesso potrebbe muoversi la Provincia - Bettin: «Per la Variante al Prg non sono stati così rapidi»
VENEZIA. «Il ricorso? E’ un’arma che abbiamo, la useremo nel momento più opportuno. Ma sulle procedure di questi giorni non ho niente da dire, l’accordo che abbiamo firmato a Roma è quello». E’ una vera doccia fredda quella che il sindaco Paolo Costa apre sugli alleati - in testa Ds e Verdi - che avevano chiesto di «bloccare la procedura del progetto Mose». «Io la verifica la chiederò al Comitatone», dice.
Lo «schiaffo» della Regione, che ha provocato l’uscita dall’aula al momento del voto dei rappresentanti di tutti i comuni di gronda e della Provincia, minacce di ricorsi e accuse di illegittimità, non scandalizza il sindaco. «Non ne voglio fare un uso strumentale», dice, «se qualcuno ha dubbi fondati, li avanzi». Quanto all’accordo tradito, Costa ammette che in un anno nulla si è mosso. E che i finanziamenti - a parte quelli del Mose - sono stati tagliati. «Ma la verifica si fa nell’unica sede titolata, il Comitatone», insiste Costa, «lì voglio arrivare con delle proposte». E precisa: «Non sta scritto da nessuna parte che le nostre erano condizioni vincolanti. Noi abbiamo approvato una strategia complessiva. Quel poco che abbiamo ottenuto lo porteremo a casa. Ma il progetto Mose deve andare avanti, era questo l’accordo».
Una linea che stride con le richieste pressanti da parte degli alleati di «assumere un’iniziativa per bloccare le ennesime forzature attuate sul progetto Mose da parte del presidente della Regione Giancarlo Galan. Il prosindaco Gianfranco Bettin ha presentato una interrogazione a Galan in cui chiede quali siano i motivi di una «evidente disparità di trattamento nell’esame di due pratiche in Salvaguardia». Se il Mose è stato approvato in tempo di record, senza nemmeno il tempo di esaminare il metro cubo di carte dei progetti, la Variante al Prg di Mestre ci ha messo un mese per essere trasmessa, un altro mese per fare un piano di scale ed essere protocollata. «Vorrei sapere», dice Bettin, «se Galan non ritenga di avviare un’inchiesta per verificare se vi siano state pressioni, violazioni di leggi o regolamenti e se si sia violato il principio di buona amministrazione, dato che la Variante interessa migliaia di cittadini». Una polemica per niente placata, quella sull’approvazione del progetto del Mose. Restano in piedi le minacce di ricorsi (anche sul «difetto di istruttoria» segnalato dall’avvocato Perulli, rappresentante del Comune). E ora potrebbe arrivare la richiesta di sospendere i lavori. Se non la farà il Comune, potrebbe farla la Provincia, che rappresenta tutti gli enti locali eslcusi dal voto. «Ne parleremo in giunta», dice l’assessore Ezio Da Villa. «Venezia è stata vittima di una forzatura politica», dice il vicepresidente Zoggia, «e di vendetta di chi non è riuscito a trovare ascolto in città. Ci attiveremo perché siano assunte tutte le iniziative a tutela del bene laguna».
«Perché insistere sulle dighe mobili senza valutare in modo approfondito soluzioni alternative al Mose?» Italia Nostra, l’associazione per la tutela del territorio, ha scritto un appello a Comune e Provincia, invitandoli a riflettere bene prima di dare il via a un progetto di quella portata. Il presidente della sezione veneziana Alvise Benedetti si dice «sempre più preoccupato per le decisioni assunte in questi giorni sul cosiddetto sistema Mose». Ricorda che esistono interventi alternativi (come i rialzi dei fondali, i pennelli, l’apertura delle valli, che possono proteggere per i prossimi venti-trent’anni la città dal 95 per cento delle acque medio alte.
Ma anche in tema di acque alte eccezionali - quelle sopra i 110 centimetri mai viste nel 2003 per cui il Mose è stato progettato - esistono soluzioni diverse da quelle proposte dal Consozio Venezia Nuova. Italia Nostra precisa che «non si tratta di sponsorizzare un progetto o l’altro», ma è dovere dell’associazione quello di sottoporre a chi ha la responsabilità di decisioni «il massimo delle conoscenze tecnico scientifiche, fino ad oggi puntate su un unico progetto».
Il progetto da esaminare con attenzione, secondo Italia Nostra, è quello illustrato qualche tempo fa dall’ingegner Vincenzo Di Tella, esperto di costruzioni marine. Che prevede in sostanza una chiusura parziale (ma reversibile, a differenza del Mose) delle bocche di porto, e il rialzo dei fondali nella parte rimanente della bocca. Vi sono anche altri progetti alternativi sul tavolo, fino ad oggi mai esaminati. «Questo», conclude Benedetti, «risponde alle condizioni di legge che prevedono opere sperimentali, graduali e reversibili». (a.v.)
VENEZIA. Non solo dighe. Il Mose prevede anche spalle in cemento e sbancamenti di milioni di metri cubi di materiale, tagli ai moli foranei ottocenteschi, grandi isole artificiali ed edifici costruiti in mezzo alle bocche di porto. Un impatto ambientale notevole, tra le osservazioni negative fatte dalla commissione Via che aveva bocciato il progetto nel 1999. Ma adesso il Mose va avanti. E l’unica osservazione di tipo «ambientale» arrivata dal ministero dei Beni culturali è stata quella di «porre attenzione nella tipologia dei nuovi edifici».
Per questo il Consorzio Venezia Nuova ha già dato incarico all’Iuav, la facoltà di architettura, di progettare gli edifici che dovranno sorgere in mezzo alla laguna. «Un incarico che abbiamo accettato», spiega il rettore dell’Iuav Marino Folin, «perché io sono convinto che se il Mose si farà almeno conviene farlo nel modo migliore possibile». L’Ufficio studi e progetti dell’Iuav ha già messo al lavoro i suoi esperti, ingegneri e architetti, per poter dare una risposta afeguata.
Nel progetto definitivo approvato in tempo di record dalla commissione di Salvaguardia sono previsti tra l’altro gli interventi di supporto alle paratoie. E’ il caso della grande isola artificiale davanti al bacàn di Sant’Erasmo, alta quattro metri, che dovrà agganciare le due file di paratoie da una parte e dall’altra della bocca di Lido. E ospitare i nuovi «edifici di controllo», le torrette di regia da dove dovrebbero in futuro essere azionate e controllate le paratoie. Ci sono anche i cantieri a terra, con le costruzioni «provvisorie» (dureranno però per i circa dieci anni di lavori) e gli altri edifici. Costruzioni che modificheranno radicalmente lo sky-line delle bocche di porto. E che il Consorzio Venezia Nuova vuole ora «mitigare» affidando il progetto alla facoltà di architettura. (a.v.)
La necessità istituzionale di dare un parere su una delle opere del Sistema MoSE (la “lunata”, una gigantesca diga in pietrame, lunga un chilometro e alta 4 metri sul livello del medio mare, da realizzare davanti alla Bocca di Lido) ha indotto il Consiglio comunale di Venezia a riesaminare la sua posizione sul MoSE. Nonostante i compromessi dovuti alla presenza, nella stessa maggioranza di centro-sinistra, di esponenti non contrari al MoSE, il documento votato dal Consiglio testimonia la volontà di prendere atto della debolezza della posizione assunta in precedenza (vedi i documenti dell’aprile 2003, in questa stessa cartella). E di passare da un “si condizionato” al MoSE a un netto No.
Il Gazzettino, 5 dicembre 2003
La nuova lunata è arrivata all'esame di Ca' Farsetti
Il progettista, Alberto Scotti, e i tecnici del Consorzio Venezia Nuova hanno illustrato ieri a Ca' Farsetti, in Commissione Ambiente (presidente il verde Flavio Dal Corso), la seconda versione dell'intervento di dissipazione della marea alla bocca di porto del Lido, nell'ambito del processo di Valutazione di impatto ambientale nel quale anche il Comune è tenuto a dare il suo parere.
Si tratta, come si ricorderà, di una grande "lunata ", di una diga in pietrame davanti alla bocca di San Nicolò, che la Commissione Via della Regione l'anno scorso aveva bocciato, e che il Consorzio ha recentemente ripresentato, modificando le prime ipotesi. La diga, inizialmente progettata di 1400 metri e con una particolare inclinazione rispetto alla costa, è stata ridotta a 1000 metri, e diversamente orientata, senza che ne vengano mutati gli effetti di riduzione della marea.«Il nodo - ha spiegato Scotti indicando il manufatto in pianta - è tutto nella testata Ovest». Quella è rimasta esattamente come era nel progetto originario, e non la si è spostata neppure di pochi metri, a differenza del resto della diga che attorno a questo caposaldo è ruotata come un compasso, e i modelli avrebbero dimostrato che così, anche accorciando la lunata , i risultati di dissipazione di marea non cambiavano.
La diga verrà eretta su un fondale tra gli 8 e i 10 metri, e sarà alta sull'acqua 4 metri. Costerà oltre 25 milioni di euro. Ridotto, secondo i tecnici del Consorzio, il possibile danno sulla qualità delle acque lungo i litorali, anche grazie a due interventi di fitodepurazione nel canale Silone e in aree barenose della laguna, che dovrebbero ciascuno ridurre l'apporto di fosforo di 80 tonnellate l'anno.
Andreina Zitelli, già componente della Commissione Via nazionale, ha ricordato che la delibera del Comitatone sugli 11 punti del Comune imponesse lo sviluppo progettuale di "tutti" gli interventi chiesti alla bocca di Lido dal consiglio comunale. «Questo è solo lo sviluppo di un progetto avvenuto prima - ha detto -. Dov'è il resto»? «Non ci sono altri interventi», hanno replicato i tecnici del Consorzio, rimandando ad altre trattative col Comune.
A Ca' Farsetti sono poi rimasti sì e no una ventina di giorni per dare un parere sul progetto di terminale petrolifero in mare, di cui Magistrato alle Acque & Consorzio hanno avviato la procedura di Via nazionale, visto che Venezia è stata considerata come un qualsiasi altro interlocutore non istituzionale. Al riguardo, il parlamentare diessino Michele Vianello ha chiesto al ministro Pietro Lunardi come intenda coinvolgere il Comune nella procedura, e con quali fondi intenda realizzare il terminale, dato che per la Salvaguardia la Finanziaria non prevede poste di bilancio.
Da ultimo, il Governo con un decreto sta cercando di porre rimedio alla bocciatura, subita al Tar, per il siluramento dei vecchi componenti della Commissione Via nazionale, tra cui le veneziane Zitelli e Maria Rosa Vittadini, ma al Senato è già battaglia.
Il Gazzettino, 5 dicembre 2003
«Si torni in Comitatone». È questo il grido di dolore
«Si torni in Comitatone». È questo il grido di dolore lanciato ieri dal consiglio comunale con un ordine del giorno, votato ovviamente a maggioranza, in cui si sottolinea «il perdurante inadempimento dello Stato agli impegni asssunti in sede di Comitatone, per il mancato assolvimento delle richieste già dettate dal consiglio comunale nell'ordine del giorno del 1. aprile 2003 come condizioni preliminari alla realizzazione delle opere mobili».
Tradotto: il consiglio comunale ha "scoperto" che dei famosi 11 punti con i quali il suo no al Mose si era magicamente tramutato ad aprile in un sì, 11 sono stati finora disattesi, mentre la "lunata " davanti a Malamocco sta ormai affiorando dal mare e il ricorso del Comune al Tar contro la Valutazione di impatto ambientale della Regione sul progetto della diga, non accompagnato a suo tempo da una richiesta di sospensiva, dorme da qualche parte.
«Si torni dunque in Comitatone», ha votato ieri il consiglio, dopo che la mozione stesa originariamente dall'assessore alla Legge speciale, Giampaolo Sprocati, aveva subìto limature e modifiche a più mani, e soprattutto una sostanziale cancellatura, proposta dall'assessore ai Lavori pubblici, Marco Corsini, e accettata dalla maggioranza. La versione originale, infatti, sosteneva che poiché degli 11 punti il Governo se n'era fatto un baffo, il sì al Mose tornava no, e si chiedeva che non venisse più autorizzato il passaggio alla progettazione esecutiva.
«Questo - ha poi spiegato il presidente della commissione Legge speciale, Flavio Dal Corso (Verdi) - lo faremo appunto in Comitatone». Per questa ragione, il Comune stilerà ora un corposo documento col quale, forte anche dei pareri e delle relazioni del consulenti del gruppo di lavoro, verrà dimostrato come e qualmente gli 11 punti siano stati disattesi. Il tema degli 11 punti è stato introdotto nell'articolata mozione con la quale il consiglio comunale ha bocciato, nell'ambito della procedura di Via regionale, il progetto della "lunata " a mare davanti alla bocca di porto del Lido che il Consorzio ha recentemente ripresentato in sostituzione di quello già respinto anche dalla Regione l'anno scorso. Si tratta di un'opera che dovrebbe dare effetti dissipativi della marea, cioé abbatterne i picchi, «ma il risultato - ha polemizzato Sprocati - è ridicolo, calcolabile in pochi millimetricon grande spreco di risorse pubbliche per un intervento che, così com'è, non ha senso di essere realizzato».
Sprocati, e con lui tutta la maggioranza, ha rilanciato invece l'approccio sistemico ai problemi della laguna. «Bisogna sperimentare le opere removibili, mobili» ha sostenuto Sandro Bergantin (Città nuova) rilanciando il principale degli 11 punti. «Qui ci prendono in giro», ha concluso Gianni Gusso (Ds), e la maggioranza ha votato compatta (24 sì, 12 no) anche se Saverio Centenaro (Fi) aveva irriso ai consulenti del Comune, arrivando a parlare di spese illegittime. Renato Darsié (Ci) ha duramente polemizzato per l'assenza del sindaco al momento del voto. Con 23 sì, 1 astenuto e soli 3 no (l'opposizione non ha votato) è stato bocciato anche il progetto del terminale petroli davanti a Malamocco, poi tutti a casa perché il Gruppo Misto ha lasciato l'aula, polemizzando per come era finito il voto sulla cartolarizzazione (vedi sopra), e la minoranza ha fatto saltare il numero legale.
La Nuova Venezia, 23 dicembre 2003
Bocciata la diga al largo del Lido
VENEZIA. Lo Stato è inadempiente sulla salvaguardia e non ha mantenuto gli impegni. La diga al Lido è inutile, e potrà provocare danni ambientali. Il Consiglio comunale rompe gli indugi e boccia a larga maggioranza i progetti delle nuove dighe al largo del Lido.
Un messaggio chiaro al governo, dopo quasi un anno di indugi. E una presa di posizione che potrebbe cambiare il corso della salvaguardia. Il via libera al progetto esecutivo del Mose era stato dato, nel dicembre 2002, con 11 condizioni «preliminari». Invece le richieste non sono state accolte. Così il Comune chiede ora di riconvocare il Comitatone per «verificare lo stato di attuazione delle attività del Magistrato alle Acque rispetto agli adempimenti fissati dal Comitatone in base alle richieste del Consiglio». Parere negativo anche sulla soluzione proposta dal Consorzio Venezia Nuova per le dighe al largo del Lido. Un chilometro di massi e una barriera alta quattro metri che avrebbe dovuto ostacolare l’ingresso dell’acqua in laguna. Ma il Consiglio ha ieri fatto proprio il giudizio espresso dalla commissione tecnica di Ca’ Farsetti. «Risulta totalmente insufficiente», si legge nel documento apoprovato ieri sera dall’assemblea, «e inoltre non risolve adeguatamente le problematiche ambientali».
Un documento duro, anche se la versione originale redatta dall’assessore alla Legge Speciale Paolo Sprocati è stata in parte limata. L’assessore Marco Corsini ha voluto aggiungere un passaggio che ricordava il ricorso al Tar sulle procedure dell’anno scorso (peraltro mai esaminato dal Tar perché il Comune non ha mai presentato la sospensiva). Ma ha modificato la parte che chiedeva di fermare la progettazione esecutiva fino alla messa in atto delle sperimentazioni chieste dal Comune. Cioè il «restringimento delle bocche con opere rimovibili e l’innalzamento dei fondali, senza creare problemi alla navigazione». Interventi di cui, secondo il Comune, bisognerebbe verificare i risultati prima di passare alla progettazione del Mose. «Il concetto è lo stesso», hanno garantito Ds e rossoverdi. Un ulteriore attacco al governo è stato votato sulla parte finanziaria, dopo il taglio dei fondi per la manutenzione ordinaria attuato - per la prima volta - dalla legge Finanziaria 2003.
Approvata ieri sera dal Consiglio comunale anche la delibera sulla cartolarizzazione. 25 milioni di euro di incassi previsti, a fronte della vendita di case, magazzini e palazzi di pregio (Ca’ Zaguri, Ca’ Nani, palazzo Costa) da affidare a una agenzia olandese che li metta sul mercato.
Proteste in aula da parte dei genitori dei bambini in attesa di un posto agli asili nido. E da parte di Zona bandita, un centro sociale che ha sede nella palestra della scuola. Il presidente del Consiglio di quartiere 1 Enzo Castelli ha preso la parola per esprimere «preoccupazione su una scelta sbagliata». «Prendo atto», dice, «che si è deciso di sottrarre spazi alle scuole». Qualche protesta anche da Rifondazione, che poi si è accontentata di un ordine del giorno che promette nuovi spazi. Pietrangelo Pettenò e Andreina Corso non hanno votato la delibera. «Un disguido tecnico» ha detto Pettenò. Alla fine, il provvedimento è passato con 22 voti a favore, 7 no e un astenuto (Bonafé).