18 aprile 2007
Stop della Salvaguardia al villaggio Mose
di Enrico Tantucci
PELLESTRINA. La Commissione di Salvaguardia blocca il progetto di realizzazione di un villaggio per 400 persone a Santa Maria del Mare, destinato agli operai chiamati a lavorare sui cantieri di prefabbricazione dei cassoni del Mose. Il progetto inviato in Commissione dal Magistrato alle Acque è stato immediatamente fermato - senza neppure passare al suo esame dettagliato - perché si riferisce a un intervento su cui alla Salvaguardia non è mai stata chiesta alcuna autorizzazione. Una questione particolarmente sofferta, questa, che aveva indotto anche il sovrintendente ai Beni Ambientali e Architettonici Renata Codello a scrivere di recente al sindaco di Venezia Massimo Cacciari e agli altri due sindaci dei Comuni di gronda, invitandoli in pratica a verificare la legittimità di quei cantieri visto che le autorizzazioni in materia paesaggistica sono di competenza della Commissione di Salvaguardia. Ma alla Commissione, il presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva, i progetti sui cantieri del Mose non li ha mai inviati, sostenendo, in pratica, che si tratta di cantieri provvisori che hanno già avuto sia la Valutazione di impatto ambientale, soa quella di incidenza ambientale. Tuttavia, un qualche effetto l’iniziativa della Soprintendenza l’aveva subito prodotto, perché il Magistrato alle Acque aveva deciso di inviare i progetti, ma non alla Salvaguardia, ma alla Direzione Urbanistica e Beni ambientali della Regione per un parere paesaggistico. E’ prevista, tra l’altro, la realizzazione di una piattaforma di calcestruzzo di circa mezzo chilometro in mare, di fronte alla spiaggia di Pellestrina, in area Sic, di pregio ambientale, per la realizzazione dei 79 cassoni, di 150 metri per trenta ognuno. Ma per la realizzazione del villaggio degli operai dei cantieri - inizialmente previsto in Sardegna - il Magistrato alle Acque non ha potuto fare a meno di inviare il progetto alla Salvaguardia, che l’ha subito fermato, proprio perché relativo a interventi che non ha mai autorizzato. Sui cantieri «spostati» dalla Sardegna alle aree protette di Santa Maria del Mare sono stati presentati alla Procura quattro esposti, due dell’Ecoistituto, uno della Lipu e uno del Wwf. Come risulta dalle contestazioni del ministero, ma anche del Comune e della Soprintendenza, il progetto dei cantieri risulta infatti «difforme» da quello approvato tra grandi polemiche dalla commissione di Salvaguardia nella seduta del 20 gennaio 2004.
Anche il villaggio verrebbe a sorgere in un’area di pregio ambientale e prevede in una spianata a Santa Maria del Mare la realizzazione di prefabbricati dove andrebbero a vivere per alcuni anni gli operai del Mose, sino a lavori conclusi. Un villaggio che dovrebbe anche essere dotato di acquedotto, sistema fognario e impianto di depurazione. Ma ora il progetto è stato fermato e la palla torna al Magistrato alle Acque che dovrà decidere cosa fare. Il parere paesaggistico sui progetti dei cantieri da parte della Regione è di dubbia legittimità e per avere quello sul villaggio dalla Salvaguardia, il Magistrato dovrebbe tornare sui suoi passi, a cantieri già aperti.
19 aprile 2007
Iniziati i lavori per la «betoniera gigante»
Produrrà milioni di tonnellate di cemento per le dighe mobili
di Alberto Vitucci
I lavori per fabbricare «il mostro» come lo chiamano pescatori e ambientalisti, sono già cominciati. E Ca’ Roman e Santa Maria del Mare hanno cambiato volto.
Il «mostro» è la più grande betoniera d’Europa che dovrà produrre milioni di tonnellate di calcestruzzo per fabbricare i cosiddetti «cassoNI», cioè le basi in cemento del Mose da mettere sul fondo delle tre bocche di porto. Enormi blocchi in calcestruzzo di 150 metri per 30, alti venti metri che secondo Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova devono essere fabbricate sulla spiaggia di Ca’ Roman e di Santa Maria del Mare, luoghi di interesse ambientale tutelati dalla normativa europea. E i lavori sono già partiti, nonostante le accese polemiche sulla mancanza di autorizzazioni per i cantieri, inizialmente previsti a Cagliari.
Polemiche rilanciate ora dalla commissione di salvaguardia che ha bloccato l’altro giorno un nuovo progetto presentato dal Magistrato alle Acque che prevede la costruzione a Santa Maria del Mare - nell’area dove sorgeva la comunità della Caritas - di un vero e proprio villaggio con depuratori, fognature, servizi, acquedotto, capace di ospitare 400 operai. La Salvaguardia non l’ha nemmeno esaminato, perché si riferiva a un progetto che non ha avuto mai alcuna autorizzazione dalla stessa Salvaguardia. Proprio su questo punto sono incentrate le polemiche, e i numerosi esposti presentati dalle associazioni ambientaliste che hanno provocato l’apertura di un’inchiesta, peraltro ferma da due anni. Nei giorni scorsi Soprintendenza e Comune hanno convenuto sullo stato dei fatti. Cioè che i cantieri siano «sprovvisti» di autorizzazione paesistica, che doveva essere rilasciata dalla Salvaguardia. Ma non è ancora chiaro chi debbe intervenire. Accuse di illegittimità sono state lanciate anche dal ministero per l’Ambiente, ma nulla è successo. «Si tratta di opere provvisorie», dice la presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva, «non c’è bisogno di autorizzazione ma comunque la manderemo alla Regione». Un groviglio che si complica. Intanto, anche senza autorizzazioni, i lavori del «mostro» procedono veloci. E la polemica continua. Anche sulla congruità del progetto. «Le previsioni fatte da organi terzi e internazionali sull’aumento del livello dei mari», scrivono gli ingegneri Vincenzo Di Tella, Gaetano sebastiani e Paolo Vielmo in una lettera aperta al ministro Di Pietro, «dimostrano che le previsioni fatte per il Mose erano completamente errate. E il progetto non rispetta i requisiti di legge della reversibilità». Un dibattito che gli studiosi considerano non concluso. Invitando il ministro Di Pietro a studiare i loro progetti alternativi, «troppo frettolosamente accantonati» come ha detto il ministro per l’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio.
Braccio di ferro sul terminal per i cereali
Dopo i cantieri del Mose, un altro fronte caldo rischia di essere riaperto in commissione di Salvaguardia. Il ministero per l’Ambiente ha infatti annunciato azioni legali contro il provvedimento che autorizza il nuovo terminal cerealicolo per le grandi navi, progettato a San Leonardo. Banchine giganti, pensate per accogliere navi lunghe 300 metri e con oltre 150 mila tonnellate di stazza, più grandi della superpetroliere. La diffida inviata alla commissione di salvaguardia dal direttore generale Bruno Agricola non è stata nemmeno considerata, e la commissione ha approvato un mese fa, a stretta maggioranza (9 voti favorevoli, 4 contrari, 3 astenuti) il progetto dell’Autorità portuale. Ma adesso la vicenda rischia di essere riaperta. secondo il ministero era necessaria infatti la Valutazione di Impatto ambientale nazionale, che in questa caso è stata saltata a pie’ pari. Al suo posto, in calce al parere, è stata consigliata la Vinca, Valutazione di Incidenza ambientale. E’ la atsessa cosa? «Proprio no», dice il rappresentante del ministero in commissione, l’urbanista Stefano Boato, «perché la Via è pubblica e tutti ne possono prendere visione e presentare osservazioni, la Vinca la fanno gli uffici in via riservata». E in ogni caso, ribadiscono dal ministero, la normativa prevede un’altra cosa e quel progetto contrasta con il palav. Una versione che l’Avvocatura regionale non condivide. E la vicenda rischia ora di approdare davanti a un Tar, se il ministero non deciderà, com’è nelle sue facoltà, di bloccare il progetto e far intervenire i Noe, i carabinieri del Nucleo ecologico. (a.v.)
20 aprile 2007
Mose, è scontro sui controlli
L’Ambiente: «La vigilanza tocca a noi per legge»
di Alberto Vitucci
Chi controlla i controllati? Un nuovo fronte si apre sulla vicenda Mose. Riguarda la vigilanza sui lavori e sui loro effetti sul delicato equilibrio lagunare. Ieri il direttore generale del ministero per l’Ambiente Gianfranco Mascazzini ha rotto gli indugi: «Il monitoraggio spetta a noi», dice, «lo facciamo su tutto il Mediterraneo per l’Unione europea, perché non dovremmo farlo in laguna?»
Si riapre dunque la polemica, peraltro mai sopita, sul «monitoraggio» dei ciclopici interventi in corso in laguna per realizzare il Mose. Il Comune aveva chiesto e ottenuto, all’ultimo Comitatone di novembre, il varo di un «organismo terzo e indipendente» per il monitoraggio dei cantieri. Ma in sei mesi non è successo nulla. Il sindaco Massimo Cacciari ha scritto l’ennesima lettera al ministro per la Ricerca scientifica Fabio Mussi. Che ha passato la palla al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta. «Non spetta a noi», ha detto in sostanza Mussi. Dunque, si rimette in discussione il ruolo del Corila, il Consorzio Ricerca laguna che dipende proprio dal ministero di Mussi, a cui sono stati affidati dal Consorzio Venezia Nuova gli studi del Mose e ora il controllo dei cantieri. Chi controlla? Secondo il Magistrato alle Acque dovrebbe essere l’Ufficio di Piano a esprimere un parere. Un organismo creato due anni fa dal governo Berlusconi, dove la maggioranza è favorevole al Mose, e le uniche voci dissidenti sono quelle del Comune e del ministero per l’Ambiente. Che adesso ha deciso di passare all’azione. Un’offensiva che potrebbe avere presto clamorosi sviluppi. «Abbiamo fatto fatica anche a leggere le carte del Mose», ha ammesso il ministro Alfonso Pecoraro Scanio in un’intervista televisiva, «per vedere i progetti abbiamo dovuto mandare i carabinieri del Noe. Ma intendiamo far valere il ruolo che la legge ci affida». Un ruolo di vigilanza, ribadisce il direttore Mascazzini, «con il controllo preventivo dei cantieri». Vale per tutti i lavori in laguna. Dovrebbe valere a maggior ragione per la più grande opera in corso nel paese. Quattro miliardi e trecento milioni di investimenti, di cui un miliardo e mezzo già affidati al Consorzio Venezia Nuova. decine di cantieri aperti - alcuni molto impattanti, altri senza autorizzazione come quelli di Santa Maria del Mare e Ca’ Roman - rapporti che girano da un ufficio all’altro. Ma nessuno interviene. I lavori in sostanza procedono senza controlli, che non siano quelli delle imprese e del Magistrato alle Acque, cioè il committente. Una situazione che ora Comune e ministero per l’Ambiente sono intenzionati a chiarire. Occasione potrebbe essere il Comitatone che Letta e Cacciari hanno concordato di convocare entro i primi giorni di maggio a Roma. Si dovrà parlòare di soldi, e della divisione dei fondi messi a disposizione dalla Finanziaria 2007. Ma si dovrà anche prlare dei mancati adempimenti dell’ultimo Comitatone. Che aveva votato una delibera - quella sui controlli - mai attuata. In sei mesi intanto i lavori sono andati avanti, e il Consorzio si prepara ad avviare la seconda fase, quella dello scavo e della produzione dei cassoni. Bestioni in calcestruzzo da 150 metri per 30, alti 20, che dovrebbero essere fabbricati sulla spiaggia di Santa Maria del Mare, addirittura con un nuovo villaggio per ospitare i 400 operai. Un cantiere che non ha mai avuto le autorizzazioni né dalla Soprintendenza né dalla Salvaguardia. Una situazione di «illegittimità» segnalata anche per iscritto dalla Soprintendenza, dal Comune e dal ministero per l’Ambiente. Che fino ad oggi nessuno ha raccolto. Secondo il Magistrato alle Acque, non c’è bisogno di nulla perché si tratta di «interventi provvisori» e dunque basta il via libera della Regione.
PELLESTRINA. La Commissione di Salvaguardia blocca il progetto di realizzazione di un villaggio per 400 persone a Santa Maria del Mare, destinato agli operai chiamati a lavorare sui cantieri di prefabbricazione dei cassoni del Mose. Il progetto inviato in Commissione dal Magistrato alle Acque è stato immediatamente fermato - senza neppure passare al suo esame dettagliato - perché si riferisce a un intervento su cui alla Salvaguardia non è mai stata chiesta alcuna autorizzazione. Una questione particolarmente sofferta, questa, che aveva indotto anche il sovrintendente ai Beni Ambiwentali e Architettonici Renata Codello a scrivere di recente al sindaco di Venezia Massimo Cacciari e agli altri due sindaci dei Comuni di gronda, invitandoli in pratica a verificare la legittimità di quei cantieri visto che le autorizzazioni in materia paesaggistica sono di competenza della Commissione di Salvaguardia. Ma alla Commissione, il presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva, i progetti sui cantieri del Mose non li ha mai inviati, sostenendo, in pratica, che si tratta di cantieri provvisori che hanno già avuto sia la Valutazione di impatto ambientale, soa quella di incidenza ambientale. Tuttavia, un qualche effetto l’iniziativa della Soprintendenza l’aveva subito prodotto, perché il Magistrato alle Acque aveva deciso di inviare i progetti, ma non alla Salvaguardia, ma alla Direzione Urbanistica e Beni ambientali della Regione per un parere paesaggistico. E’ prevista, tra l’altro, la realizzazione di una piattaforma di calcestruzzo di circa mezzo chilometro in mare, di fronte alla spiaggia di Pellestrina, in area Sic, di pregio ambientale, per la realizzazione dei 79 cassoni, di 150 metri per trenta ognuno. Ma per la realizzazione del villaggio degli operai dei cantieri - inizialmente previsto in Sardegna - il Magistrato alle Acque non ha potuto fare a meno di inviare il progetto alla Salvaguardia, che l’ha subito fermato, proprio perché relativo a interventi che non ha mai autorizzato. Sui cantieri «spostati» dalla Sardegna alle aree protette di Santa Maria del Mare sono stati presentati alla Procura quattro esposti, due dell’Ecoistituto, uno della Lipu e uno del Wwf. Come risulta dalle contestazioni del ministero, ma anche del Comune e della Soprintendenza, il progetto dei cantieri risulta infatti «difforme» da quello approvato tra grandi polemiche dalla commissione di Salvaguardia nella seduta del 20 gennaio 2004.
Anche il villaggio verrebbe a sorgere in un’area di pregio ambientale e prevede in una spianata a Santa Maria del Mare la realizzazione di prefabbricati dove andrebbero a vivere per alcuni anni gli operai del Mose, sino a lavori conclusi. Un villaggio che dovrebbe anche essere dotato di acquedotto, sistema fognario e impianto di depurazione. Ma ora il progetto è stato fermato e la palla torna al Magistrato alle Acque che dovrà decidere cosa fare. Il parere paesaggistico sui progetti dei cantieri da parte della Regione è di dubbia legittimità e per avere quello sul villaggio dalla Salvaguardia, il Magistrato dovrebbe tornare sui suoi passi, a cantieri già aperti.
Il villaggio è la premessa per la realizzazione dei cassoni di base del MoSE, la cui rfealizzazione è uno degli interventi devastanti nella Laguna deninciati da eddyburg
L’ultima delibera del Comitatone che ha autorizzato il proseguimento dei lavori del Mose potrebbe essere illegittima. Ne sono convinti i legali di Italia Nostra, l’associazione nazionale per la difesa del territorio, che ha deciso di ricorrere contro la delibera approvata nel novembre scorso dal comitato dei ministri presieduto da Romano Prodi. La strada prescelta potrebbe essere quella del ricorso al presidente della Repubblica, che in questi casi ha la potestà di annullare le delibere di governo. Una decisione clamorosa, che potrebbe riaprire gli scenari sulla salvaguardia.
Massimo riserbo dai vertici di Italia Nostra. «Una cosa posso confermare: che noi non molliamo», si limita a dire Carlo Ripa di Meana, presidente nazionale dell’associazione. La tesi dei ricorrenti sarebbe molto semplice: nei collegi «formali» occorre un voto espresso a maggioranza dai presenti. Non era successo così il 23 novembre del 2006, quando il premier aveva fatto sapere che il governo si sarebbe espresso con un unico voto. Così è andata. E quel giorno, tra aspre polemiche, il «sì» al Mose era passato di stretta misura. Voto favorevole di Prodi e del presidente della Regione Giancarlo Galan, del sindaco di Jesolo Francesco Calzavara. Voto contrario del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, astenuti i sindaci di Mira (Roberto Marcato) e di Chioggia (Fortunato Guarnieri). Non hanno votato i ministri presenti, Antonio Di Pietro (che si era dichiarato favorevole) Alfonso Pecoraro Scanio dell’Ambiente (contrario), Fabio Mussi della Ricerca scientifica (contrario), e Alessandro Bianchi (Trasporti). Quanto basta, secondo gi ambientalisti, per invalidare la delibera.
Nei prossimi giorni il ricorso dovrebbe essere notificato alla Presidenza della Repubblica. E spetterà al Quirinale e allo speciale ufficio che si occupa di queste questioni decidere. Era già successo in passato che fosse il Capo dello Stato a intervenire su questioni controverse come ad esempio le municipalità e la Città metropolitana. Ora il presidente potrebbe decidere di annullare la delibera. Un atto contemplato dalla normativa, anche se non molto frequente. In questo caso il Comitatone dovrebbe essere riunito nuovamente, per far pronunciare i ministri sulla questione che non hanno potuto votare in novembre. Situazione delicata, perché il Capo dello Stato Giorgio Napolitano è atteso a Venezia per il prossimo fine settimana. E si dovrà incontrare con le autorità locali, che sul caso Mose hanno idee molto diverse. Contrari il sindaco Cacciari e il presidente della Provincia Davide Zoggia, favorevole il presidente Galan. Ma la politica, con il ricorso, non c’entra.
Potete scaricare, in fondo alla pagina, il filmato delle Jene: una serie di pizzicanti interviste realizzate, e commentate, da Alessandro Sortino
Gki intervistati sono: l’ing. Giovanni Mazzacurati presidente del Consorzio Venezia Nuova, la prof. Andreina Zitelli dell’Università Iuav di Venezia, l’ing Alberto Scotti progettista del MoSE, l’ing. Vincenzo Di Tella, autore di un progetto alternativo al MoSE, il Magistrato alla acque, Massimo Cacciari Sindaco di Venezia, Giancarlo Galan Presidente della Regione Veneto, Georg Umgiesser oceanografo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’ambientalista Tommaso Cacciari, Alberto Vitucci giornalista della Nuova Venezia, Antonio Di Pietro ministro delle infrastrutture.
Dichiarazioni sconcertanti da parte di chi sostiene il MoSE (Mazzacurati, Scotti, Galan), sospetti preoccupanti da chi ha finito per contrastarlo (Massimo Cacciari), affermazioni stupefacenti da parte di chi lo ha avallato (Di Pietro). Opinioni convincenti e dati probanti forniti dagli altri.
Il filmato è scaricabile dal sito delle Jene, e precisamente qui.
Molti documenti sull'argomento li trovate nella cartella di eddyburg dedicata al MoSE. Oltre all’ampia rassegna stampa, tra i documenti utili per una prima informazione vi suggeriamo:
- un saggio di E. Salzano, La Laguna di Venezia e gli interventi proposti, in cui si cerca di spiegare che cos’è la laguna, qual’è il suo meccanismo di funzionamento e quali sono le ragioni della gravità del progetto MoSE ,
- tre documentate analisi della sezione veneziana di Italia Nostra, che illustrano le ragioni dello Squilibrio biodinamico della Laguna, Perché diciamo no al MoSE, Le proposte alternative
- alcune pagine dal libro di Luigi Scano, Venezia, Terra e acqua, relative alle discussioni e decisioni tra gli anni 1973 e 1985
- le conclusioni del parere della Commissione per la valutazione d’impatto ambientale del Ministero dell’ambiente
Ma c’è molto altro, a favore e soprattutto contro. E poi, date un'occhiata anche alle altre cartelle su Venezia.
La Commissione Petizioni dell’Unione europea ha aperto una «istruttoria» sul progetto Mose. La decisione è maturata ieri dopo un’audizione a Bruxelles dei rappresentanti dell’Assemblea permanente No Mose che hanno illustrato la loro petizione con le 12 mila firme raccolte. Una richiesta all’Europa fatta anche dal sindaco Massimo Cacciari, che ha ribadito con una lettera l’invito ai commissari a venire in laguna per rendersi conto della situazione e la necessità di rivedere il contestato progetto alle bocche di porto. E l’ex sindaco Paolo Costa attacca duramente Cacciari.
«Il suo è disprezzo istituzionale», ha commentato furibondo l’ex sindaco Paolo Costa, da sempre sostenitore della grande opera e ieri presente ai lavori della commissione, «sarebbe tenuto al rispetto delle decisioni prese». «Non mi interessa quello che ha dichiarato Costa», si limitato a dire ieri sera Cacciari. Che aveva inviato nei giorni scorsi ai commissari europei un dettagliato promemoria sulla posizione del Comune. Ricordando i punti ancora irrisolti. Come la «regolarità delle procedure, la compatibilità del Mose con la portualità, le difficioltà di manutenzione del Mose e la sua efficacia con il previsto innalzamento del livello dei mari».
Si riaccende la polemica sulla grande opera, che il Comitatone ha approvato nel novembre scorso dopo che Prodi aveva messo la «fiducia». respingendo i dubbi avanzati dal Comune, dai ministeri dell’Ambiente e della Ricerca scientifica.
Una vicenda non conclusa. Perché in Europa è aperta anche la procedura di infrazione della commissione Ambiente, per il mancato rispetto delle Direttive sull’habitat. «Le procedure sono tutte in regola», ha assicurato alla commissione un funzionario spedito a Bruxelles dalla Presidenza del Consiglio. «Ma c’è un rapporto del ministero dell’Ambiente che parla di illegittimità», ha ribattuto l’europarlamentare di Rifondazione Roberto Musacchio, «noi abbiamo il dovere di vigilare». Favorevoli a un’ispezione anche i parlamentari Sepp Kusstastscher (Verdi) e Meyer (Sinistra). Contraria Amalia Sartori, ex presidente del Consiglio regionale di Forza Italia. E naturalmente Paolo Costa, che con l’aiuto di alcuni filmati proiettati dal Consorzio Venezia Nuova ha illustrato ai commissari la sua tesi favorevole alla grande opera. «La decisione è presa», ha detto, «ci vuole lealtà istituzionale». «Chiederemo alla Corte di Giustizia di aprire un’inchiesta sugli appalti del Mose e sulla concessione unica», ha detto l’architetto Cristiano Gasparetto a nome dei comitati, «una vicenda troppo presto archiviata». «Il Mose è solo in fase preliminare e ha già prodotto danni gravi e irreversibili all’ecosistema», ha accusato Tommaso Cacciari. Infine Luciano Mazzolin ha consegnato ai commissari un dossier di 17 pagine su tutte le infrazioni commesse e contestate da Comune, ministero, Unione europea. «Adesso speriamo nell’intervento dell’Europa per fermare l’ecomostro», dice.
«Un progetto devastante per l’ambiente. Che ha costi economici e ambientali altissimi, e contraddice il principio Ue di precauzione. Il 27 febbraio ci sarà la riunione della commissione a Bruxelles, e la questione Mose dovrà essere discussa con il governo italiano». Non usa mezzi termini David Hammerstein, europarlamentare spagnolo della commissione Petizioni. Ieri era in visita a Venezia, dove ha compiuto un sopralluogo ai cantieri del Mose con i colleghi Willy Meyer, Sepp Kusstatscher e Roberto Musacchio. Nel pomeriggio gli incontri con Comune e Provincia.
La commissione petizioni ha dichiarato «meritevole» la richiesta presentata dai comitati con 12.500 firme di cittadini per esaminare le presunte illegittimità del progetto Mose. La riunione è stata fissata per il 26 febbraio. E ieri i quattro europarlamentari sono venuti in avanscoperta per rendersi conto della situazione e preparare la relazione alla commissione.
Si parte alle 10.30 dalla Riva della Pietà, a bordo di un GranTurismo noleggiato dai gruppi dei Verdi e Rifondazione. Ci sono i quattro parlamentari europei, il deputato di Rc Paolo Cacciari, Stefano gasparetto, Stefano Boato, Lorenzo Bonometto in rappresentanza del gruppo di esperti del Comune, giornalisti e tv. La nebbia è fittissima, e alla bocca di Lido non si vede quasi nulla. «Il Consorzio controlla anche le previsioni del tempo», scherza qualcuno. «C’è davvero molta nebbia intorno a questo progetto», scandisce Hammerstein, «nebbia fisica e ambientale». Sepp Kusstascher, altoatesino eletto nelle liste Verdi, guarda con interesse documenti e foto del dossier «No Mose», scruta per vedere i confini dell’isola artificiale del bacàn: «Ma davvero qui è lo stesso soggetto che ha compiuto gli studi, i progetti, i lavori e anche i controlli su questa grande opera?». Willy Meyer, della commissione petizioni, guarda stupito la motovedetta della vigilanza privata che invita a stare lontano dai cantieri. «Non si può guardare?». E annuncia: «Bisogna fare chiarezza su molti punti di questa opera, la più importante del genere in Europa. Verificare se sono state rispettate le direttive comunitarie e l’ambiente. Credo che l’intera commissione dovrà venire qui al più presto». Roberto Musacchio, europarlamentare della Sinistra europea noto per la sua battaglia in favore dell’energia «pulita», ricorda che l’Italia ha il record di infrazioni sui temi ambientali. «Ben 76 sono le procedure aperte dall’Europa nei confronti del nostro paese. E quasi sempre riguardano esposti fatti dai comitati».
Ai quattro eurodeputati viene consegnato un dossier del ministero per l’Ambiente sulle ripetute violazioni delle procedure del Mose. «Chiederò al commissario Stavros Dimas di rispondere su queste questioni», dice Musacchio. La nebbia non si alza, e i quattro rappresentanti di Bruxelles possono solo immaginare cosa c’è dietro la coltre bianca e i rumori delle benne, ricostruendo lo scenario con il radar di bordo, le carte, le fotografie. «Sono interessati dai lavori due siti protetti dall’Ue», dice Mayer. Anche su questo andrà fatta una verifica». Nel primo pomeriggio la delegazione è stata ricevuta in Provincia, e poi a Ca’ Farsetti dal vicesindaco e assessore alla Legge Speciale Michele Vianello. «Un’opera approvata con il voto contrario del sindaco e del Comune» ha detto Vianello.
In serata i quattro hanno fatto ritorno a Bruxelles. La riunione della commissione Ambiente convocata per il 27 febbraio avrà all’ordine del giorno il progetto Mose. La speranza dei ricorrenti è che dopo il via libera di Prodi sia ora l’Europa a intervenire.
Un testimonial d’eccezione per la grande conferenza internazionale sul clima, la laguna e il Mose prevista a Venezia entro aprile. Il relatore potrebbe essere Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti e candidato alla Presidenza Usa battuto da Bush nel 2001. Il sindaco Massimo Cacciari avrebbe intenzione di dare così risonanza mondiale all’evento. E riproporre la questione della difesa della laguna e l’inadeguatezza del progetto Mose, peraltro in fase avanzata di realizzazione.
Un salto di qualità, anche nelle polemiche infinite sulla validità delle dighe mobili. A Venezia - forse il luogo sarà palazzo Ducale - arriveranno esperti mondiali di climatologìa e di idraulica, di ecologia e scienze ambientali.
«Un fatto è certo», dice Cacciari, «che quel progetto si basa su previsioni dell’aumento del livello dei mari che sono superate. Di questo bisognerà pur tenere conto». Dagli studi del Corila che avevano supportato i progetti del Consorzio Venezia Nuova le previsioni dell’aumento del mare parlavano di 18-20 centimetri per il 2100. Studi più recenti dell’Ipcc e dell’Ue parlano invece di 50 centimetri entro la metà di questo secolo. Significa modificare del tutto la prospettiva, perché il Mose potrebbe essere già vecchio una volta costruito. E non sarebbe pensabile chiudere le dighe una volta ogni due giorni. Si rilancia dunque il dibattito, dopo il «colpo di mano» del Comitatone, che ha approvato il proseguimento dei lavori nonostante il voto contrario del Comune e il parere contrario dei ministeri dell’Ambiente, della Ricerca Scientifica e dei Trasporti. Un voto che aveva fatto andare su tutte le furie il sindaco Cacciari, che aveva insistito perché venissero valutate seriamente proposte di modifica e alternative meno costose e dannose per l’ambiente. «Se ne assumono la responsabilità», aveva protestato il filosofo.
Quel giorno era anche stato approvato un ordine del giorno che impegnava il governo ad avviare controlli «super partes» sui lavori in laguna. Controlli oggi affidati al Corila, lo stesso organismo che ha collaborato con la stesura del progetto.
Ma la svolta non arriva. E sulla laguna decide ancora l’Ufficio di Piano nominato dal governo Berlusconi. Così ieri il sindaco ha preso carta e penna e ha scritto al ministro della Ricerca scientifica Fabio Mussi. Invitandolo a mettere in atto quanto deciso dal Comitatone anche sul fronte del monitoraggio. «C’è bisogno di un organo terzo, super partes», dice Cacciari, «per poter monitorare i lavori e il loro effetto sull’ambiente lagunare». Scavi e infissioni di palancole che hanno in qualche caso già moificato correnti ed equilibrio delle bocche di porto. E tra poco il Consorzio si preparara ad avviare la costruzione dei megacassoni in cemento armato, che saranno costruiti a Santa Maria del Mare e Ca’ Roman. La fase irreversibile dei lavori del Mose che è stata autorizzata dal Comitatone, nonostante i molti dubbi tecnici espressi. Un progetto su cui pendono ancora la procedura di infrazione avviata dall’Europa e su cui sono aperte due inchieste della Procura veneziana, con indagini dei carabinieri del Noe, per aver aperto cantieri in aree protette senza autorizzazioni.
Con gli interventi pubblicati ieri si chiude, per quanto mi riguarda, la discussione aperta da un mio articolo su Venezia. Essa ha ribadito la divergenza fra le tesi, sostenute dal Consorzio Venezia Nuova e una serie di esperti, sulle paratie mobili alle bocche di porto (Mose), da poco approvate dal Ministero dei Trasporti, e quelle di chi vi è contrario, segnatamente la Assemblea NoMose, Rifondazione comunista, i Verdi, l'attuale amministrazione comunale. I materiali sono facilmente accessibili sui relativi siti.
Devo aggiungere che nessun mio articolo ha suscitato una così acerba contrarietà da parte di vecchi amici e compagni. Gira oggi per Venezia un foglio dell'Assemblea NoMose, o di chi per essa, che accusa coloro che non si oppongono al Mose, inclusa la sottoscritta, di essere pagati dal Consorzio. Sull'emotività di certo ambientalismo, sul quale si attesta a mo' di ultima spiaggia una parte della sinistra anticapitalista, converrà riflettere.
Avevo sollevato tre questioni che paiono connesse, prima fra tutte la precarietà di Venezia come insediamento cittadino, soggetto storico di lunga durata, forte di una idea di sé, un progetto dotato di una politica che lo persegue. Oggi Venezia ha un terzo degli abitanti che aveva quando vi vivevo. Nel dopoguerra erano 178.000, nel 1960 ancora 165.000, ne restano ora meno di 62.000, e di età media avanzata. Sui quali incombe un turismo che l'anno scorso ha contato 18 milioni di presenze: più di trecento volte tanto. Il complesso urbano più singolare e prezioso del mondo è diventato un gigantesco alloggio secondario, fatto di grandi alberghi e ristoranti di proprietà multinazionali e di affittacamere e trattorie minori, tutti esosi per chi vi mette piede o per gli studenti che vi devono soggiornare, mentre il nucleo residenziale si restringe come una lana mal lavata. Alcuni propongono di tassare i non residenti con un biglietto di ingresso - ma che altro è il già proibitivo prezzo dei trasporti? - specie le masse dei poveri, che passano «mordi e fuggi», non spendono e lasciano mucchi di rifiuti, mentre i ricchi lasciano quattrini.
Ma è l'inverso che va fatto: va rafforzato il nucleo residente. Rispetto a un insediamento stabile sempre più asfittico, ogni turismo diventa concrezione parassitaria. E' la città Venezia che va rivitalizzata, non il turismo che va impedito. Oggi, assieme alla fuga degli abitanti, è scomparso il tessuto riproduttivo di un agglomerato urbano normale. Ridotti i suoi negozi e i commerci e le relazioni stabili, è un'avventura cercare un negozio di frutta o una lavanderia. Venezia sta morendo. Auguravo lunga vita alle garzette, ma fra un paio di generazioni sarà più raro trovare un veneziano verace di quell'elegante uccello. Se non è questa la tragedia di un ecosistema, non so di che stiamo parlando.
Su questo punto nessuno ha risposto, salvo l'osservazione di Cesco Chinello sul tentativo, tardivo e fuori contesto, intrapreso dal fascismo degli anni Venti e Trenta (Volpi) di innestare malamente su Venezia il grande polo industriale di Porto Marghera.
Dico malamente perché basta guardare una mappa per rendersi conto di come esso agguanti per la coda, simile a una gigantesca chiave inglese, quel prodigioso pesciolino di pietre e mattoni che sorge dalla laguna. Mezzo secolo e già declinava, oggi è in gran parte spento, salvo una cantieristica più o meno appaltata a migranti. Anche noi difendemmo Porto Marghera per la sua gloriosa classe operaia, Cesco vi ha messo la vita e ha documentato come nessuno il sorgere, prendere coscienza e sparire della manodopera di fabbriche che sarebbero andate via via chiudendo quando anche non spandevano veleni o falciavano vite come il Petrolchimico. E' stato un processo parallelo al desertificarsi della città, che a sua volta non è dovuto solo alla devastante marea del 1966.
La domanda è che cosa doveva e poteva diventare l'ex repubblica marinara quando il suo ruolo veniva a fine, e dopo la parentesi militare dell'impero austroungarico, e infine con l'unità nazionale. La risposta doveva essere la premessa a qualsiasi intervento di «conservazione» della laguna e del suo comprensorio. Ma essa è mancata, sia sul piano nazionale sia su quello locale. Mi piacerebbe essere smentita.
A un futuro fordista dell'ex repubblica veneta hanno creduto ancora i diversi piani, statali e locali, seguiti al disastro del 1966, rimasti e perlopiù non realizzati, salvo l'intervento sul canale dei petroli (che a quel fragile tessuto urbano ed acquatico dovesse fare capo un polo petrolifero è stata una follia, col rischio, verificatosi ma sottaciuto alcuni anni fa, che una fuga da una tubatura coprisse di quel liquido malefico le pavimentazioni della città, a cominciare dalla basilica). E' questo vuoto che si sta precipitosamente pagando da meno di mezzo secolo a questa parte.
Davvero non c'era altra sorte per Venezia che diventare un polo produttivo fordista o un albergo diffuso? Era stato detto che no, che sarebbe cresciuta come un centro di ricerca. Ma dove sta in Italia, a fronte di un capitalismo avido quanto miope, una ricerca incentivata dallo stato e dagli enti locali? Venezia è come Napoli, via la fabbrica c'è il deserto. A Napoli tutto infiltrato da traffici camorristici, a Venezia lasciato a turisti, cioè gente di passaggio.
Penso solo a proposte che conoscevo: chiuso l'ospedale psichiatrico di San Servolo, che conservava le prime cartelle cliniche d'Europa, l'isola non doveva diventare, auspice Hrayr Terzian, l'Archivio internazionale della follia? Invece è stata in gran parte ceduta. Non dovevano essere centro di ricerca e incontri scientifici i Mulini Stucky dal curioso profilo nordico? E invece, opportunamente mandati in fiamme, diventeranno un albergo a cinque stelle. Tutto si perde per strada: la Marciana, ormai soffocata, non doveva andare ai Magazzini del Sale? La Fenice, che non è fra i più bei teatri d'Italia, andava rifatta tale e quale? Mah.
Intanto, scomparsi negozi e commerci che servono la normale riproduzione dell'esistenza, le librerie e i cinema, dilagano botteguzze di finte maschere, merletti e vetri fatti a Hong Kong dedicati ai turisti poveri e di bocca buona, mentre calle Larga San Marco è stata sconciata dalle grandi marche e uno stupidissimo emporio Ferrari occhieggia agli sciecchi subito dietro la Torre dell'orologio.
In verità, si parla tanto di produzione immateriale, ma una sua alta specie non ha trovato in Venezia il suo luogo d'elezione. Eppure quell'enorme complesso di storia, arte, architettura, scienza nautica, prima mondializzazione del commercio, ne sarebbe il luogo ideale. Un'attività di studio, elaborazione, produzione di sapere ne farebbe uno degli insediamenti più attraenti e invidiati del mondo.
A me pare che anche le misure di difesa delle e dalle acque restino accessorie a questa premessa. Invece sono, sotto la specie del Mose, il solo punto che eccita gli spiriti. Eppure è persuasiva l'argomentazione sviluppata dall'ingegner Andrea Rinaldo al convegno tenuto lo scorso novembre dall'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti: è in termini non di mera conservazione ma di interazione che va visto il rapporto fra ambiente «naturale» - neppure esso è immobile e in una laguna meno che mai - e l'insediamento umano che vi si colloca. A Venezia non si è trattato di adattare l'uomo all'ambiente, ma viceversa: è stata, direbbe Sloterdjik, una eccezionale «domesticazione» del terreno.
E le scelte sono state sempre in senso proprio «politiche», rispondenti a quel che la città voleva e poteva essere, a quanto era disposta a spendersi e fare. Rendendosi conto, più o meno, che c'era un limite nell'intervento, non semplice da definire neanche sotto il profilo scientifico. Per cui tutto il comprensorio lagunare - Venezia e le sue bellissime appendici, dalla vivente Chioggia alla spenta Torcello alle declinanti Murano e Burano - è il risultato secolare di misure sagge o avventate, di occasioni afferrate o perdute, di intuizioni preveggenti e di (mi scuso) cazzate.
Ma da quando la città si è azzittita come soggetto dotato di un presente e di un futuro per sé, riducendosi a passaggio di folle effimere, e quattrini di incerta destinazione, le scelte di fondo sono mancate e le vicende «naturali» sono incerte e minacciose. Soltanto un'idea forte di sé, e proiettata nel futuro, potrebbe sottostare sul serio a interventi che sennò restano dei frammenti di salvaguardia, ammesso che il termine sia ancora corretto. Ma questa idea forte dove sta? Non sono una competente, ma mi pare che se dopo l'inondazione del 1966 si dovevano affrontare interventi di ampio respiro (conservare o modificare il polo industriale, rispettare le priorità del lavoro ma riqualificandolo, dare sempre più posto alla navigabilità o procedere a una colmatura dei fondali, offrire o no un secondo ingresso in città dall'entroterra) nessuno di questi progetti è stato realizzato: tutto è stato lasciato a una lenta deriva e la gente se ne è fluita via.
Il vorace turismo e il richiamo di esposizioni (in verità sempre più approssimative, Biennale a parte) fungono da schermo alla realtà. Almeno si dicesse che Venezia non può essere che un museo con servizi turistici annessi, una Disneyland per colti.
E' su questo sfondo incerto che giudicherei gli interventi detti di salvaguardia, salvo quelli di vera e propria manutenzione, come la ripulitura dei canali, i rifacimenti e i rialzi di alcune fondamenta (più o meno rispettosi dei materiali originari), il rinsaldamento di alcuni dei murazzi a mare. Ma quelli più ambiziosi si possono misurare soltanto sul voler essere della città: penso alla proposta di spostare sul Lido tutti gli accessi via mare, che implicano la fine non solo di Marghera ma, credo, della Marittima.
La qualità maggiore del Mose mi sembra, paradossalmente, la precisione e il limite dei suoi intenti: proteggere Venezia dai più grandi afflussi delle maree, che il surriscaldamento del clima renderà più incombenti. E il suo minore impatto sullo scambio delle acque - la reversibilità dei flussi essendo nel suo dna. E infine l'essere un'opera di alta tecnologia, con una non enorme ma stabile e qualificata manodopera.
Un vecchio amico, Cristiano Gasparetto, mi rimprovera il danno che ne deriverebbe al profilo di una spiaggia vicina: ahimé, confesso che la priorità di un intelligente manufatto, dotato di funzione e senso, su uno scenario «naturale», non mi spaventa. Sono, mi accusa Pecoraro Scanio, una di vecchia cultura industriale. L'Olanda mi piace moltissimo.
Per ultimo, avanzavo la questione di metodo: chi decide e quando. Dico per ultimo, visto che mi pare di dover rimandare ogni scelta seria al futuro d'un insediamento che oggi è in precipitosa diminuzione. Anche quando un progetto ci fosse, c'è un tempo e ci sono delle regole per decidere.
La messa in atto del Mose non è stata disposta, diversamente da come ho letto in alcune lettere, fuori dai tempi, dalle istanze e dalle regole. Non ha fatto, a quanto pare, l'unanimità. Ma sul punto della correttezza, la verifica del ministro Di Pietro (da me non prediletto come magistrato) fa sicuramente testo. Di più, quando si trattava dell'affidamento delle opere della «salvaguardia» a quel Consorzio Venezia Nuova che oggi è il bersaglio principale dei «NoMose», non mi risulta che le forze politiche, cui i «NoMose» si richiamano, si siano battute risolutamente contro. Risultato, l'opera è messa in atto da alcuni anni, e da qui è giocoforza partire, anche per chi, a differenza di me, la considera negativa.
L'opposizione è il sale della democrazia e va esercitata in tempo utile, se non vuole essere solo fonte di malumori. Confesso di non capire la condotta ondivaga del Comune. Confesso di non vedere finora un'alternativa convincente. Ripeto, salvaguardia di Venezia in senso pieno non ci sarà se non iscritta nelle premesse di cui sopra. Tutto qui. Il resto è tecnica e calcolo dei costi, frammento più o meno discutibile, e in ogni caso fuori della mia portata.
Le valutazioni positive di Rossana Rossanda sul progetto MoSE di Venezia avevano aperto un dibattito molto ampio e ricco, nel quale le critiche sull'intervento del Consorzio Venezia Nuova, che da anni circolano semiclandestine in Laguna, erano state ripresentate da molti. Chi si aspettava che nel concludere il dibattito Rossanda intervenisse nel merito è rimasto deluso. Vuol dire che il dibattito riprenderà presto: tenendo conto che difficoltà di comunicazione con gli interlocutori ci devono essere, se ancora non si è riusciti a far comprendere a persone intelligenti e prive di paraocchi che il progetto MoSE non è mera tecnicità, ma è dannoso, rischioso, costoso per l’ambiente, negativo per l’economia, distorcente per la società. Per non parlare del dispregio della legalità, rispetto al quale Di Pietro non sembra un garante attendibile.
Sul Mose c’è una cartella molto ampia; vi segnalo in particolare un saggio scritto per cercar di spiegare che cos'è la Laguna (pochi lo sanno davvero, fuori), la relazione negativa della Commissione per la Valutazione d'impatto ambientale, e le critiche al Mose espresse nei documenti di Italia Nostra e negli eddytoriali dedicati a questo argomento. Ma per comprendere guardate anche le altre cartelle dedicate a Venezia: Terra, acqua e società, La metropolitana sublagunare, Vivere a Venezia.
Per un Parco della Laguna
Patrizia Torricelli *
L’intervento di Rossana Rossanda ha aperto un dibattito sicuramente utile, dove tuttavia è data poca voce all'ecologia, una scienza centrale per lo studio dei sistemi naturali ai diversi livelli di complessità, dall'individuo all'ecosistema. L'ecologia, del resto, è stata poco e mal considerata anche nella valutazione dei progetti alternativi al Mose. Illuminante è stata la presentazione, cui ho personalmente assistito, del progetto alternativo maggiormente sostenuto dal Comune. Il progetto, come è noto, comporta il restringimento delle bocche di porto con conseguente permanente riduzione degli scambi fra mare e laguna, sino al 20per cento rispetto all'attuale. Ho sentito, con stupore, definire questo «un impatto modesto sull'ambiente», liquidando così sbrigativamente le complesse implicazioni di natura ecologica sull'intero sistema lagunare. «Modesto» è un aggettivo privo di significato nel metodo scientifico in generale e, da un punto di vista ecologico, un impatto «modesto» può anche rappresentare una catastrofe.
Il metabolismo dell'ecosistema lagunare è infatti strettamente regolato dagli scambi mareali. La laguna di fatto «vive» grazie agli scambi idrici con corpi acquatici adiacenti e, a fronte di un intervento alle bocche di porto che prevede una forzata, permanente e consistente riduzione della capacità di scambio mareale, sarebbe doveroso prospettare, con rigore scientifico, gli effetti sul funzionamento dell'ecosistema. E' lecito ipotizzare, ad esempio, il verificarsi di anossie e crisi distrofiche soprattutto (ma non soltanto) nei periodi estivi; è inoltre probabile una minore efficienza delle funzioni di diluizione ed esportazione degli inquinanti; è infine prevedibile, come dimostrano studi recentissimi, una minore dissipazione del carico organico rilasciato nei canali urbani, il cui idrodinamismo è fortemente condizionato dagli scambi mareali. Più in generale, in un sistema vasto e composito come la laguna di Venezia, le aree più interne, spesso ad alto valore naturalistico, sono vulnerabili a variazioni del regime idrologico, che altera il processo di vivificazione su cui si fonda l'equilibrio di queste aree, ove si rinvengono habitat e specie tipiche degli ambienti lagunari, adattati ai cicli di ricambio naturale delle acque.
Il Mose è un sistema che solo temporaneamente interrompe gli scambi fra mare e laguna. E poi il Mose esiste. E' stato costruito circa il 30 per cento dell'intero progetto. Oggi la comunità scientifica degli ecologi, al di là di ogni dibattito tecnico e politico, è su questo che è chiamata ad impegnarsi, tenendo realisticamente conto che le attività dei cantieri alle bocche di porto sono fonte indubbia di danni all'ambiente. Ma non basta genericamente affermarlo. Quei danni bisogna conoscerli, rilevarli e misurarli. Ed è proprio questo che si sta facendo, così come indicato dalle Direttive europee. Solo sulla base di queste conoscenze si potranno infatti pianificare mitigazioni agli impatti dei lavori in corso o adeguate e indispensabili compensazioni ambientali.
Su questi temi sarebbe più che mai importante la collaborazione delle amministrazioni locali, anche perché, al di là dei facili proclami, in realtà rimane scarsa l'effettiva e concreta attenzione ai problemi ambientali. Sento spesso invocare idee nuove per Venezia. Sarebbe davvero innovativo poter offrire al mondo, insieme allo splendore della città, anche la straordinaria natura della sua laguna. Perché ciò avvenga, però, è necessario un grande progetto che sappia integrare la realtà del Mose con l'effettiva conservazione dell'ambiente e la valorizzazione della cultura, delle tradizioni e dell'economia lagunare. L'amministrazione comunale precedente aveva iniziato un percorso per la creazione di un Parco della Laguna. Questo sarebbe il grande progetto, la vera nuova immagine per Venezia, protetta dalle acque alte e al contempo capace di conservare e di fruire del proprio patrimonio naturale, garzetta compresa naturalmente.
(*)Ordinario di Ecologia, Università Ca' Foscari di Venezia
Il Mose è poco sicuro. Venezia non si salva così
Vincenzo Di Tella, Gaetano Sebastiani, Paolo Vielmo
Abbiamo seguito lo scambio di opinioni sul Mose dopo l'articolo di Rossana Rossanda (il manifesto, 28 novembre 2006), e vorremmo portare un nostro contributo esclusivamente tecnico alla discussione.
Siamo un gruppo di professionisti con esperienza internazionale ultratrentennale nel campo dell'ingegneria marina offshore e autori di un progetto alternativo al Mose - che qui non vogliamo trattare - che hanno potuto esaminare a fondo gli aspetti tecnologici del progetto Mose, e di questo vogliamo parlare.
Anche sul vostro giornale si sta ripetendo l'annosa disputa fra favorevoli e contrari intendendo sostanzialmente che chi è favorevole al Mose vuole la salvezza di Venezia, perché la salverebbe dalle acque alte eccezionali, mentre chi si oppone non intende fare nulla e pensa solo all'uso degli stivali (anche nell'articolo di Cesco Chinello del 13 dicembre).
Quelli poi che sono favorevoli al Mose (il professor Andrea Rinaldo dello stesso giorno), considerano questo l'unico progetto possibile per la chiusura totale delle bocche di porto, adducendo la motivazione che questo progetto è stato approvato in tutte le sedi istituzionali e quindi è l'unico progetto degno di essere considerato.
Nei mesi scorsi, la commissione tecnica nominata dal sindaco di Venezia, per valutare i rischi strutturali critici del Mose e le soluzioni alternative proposte, ha messo in evidenza che le cose non stanno proprio in questo modo. Da parte nostra, dato per scontato che se si vuole proteggere Venezia da eventi tipo quello del 1966, non c'è alternativa alla chiusura totale delle bocche, vogliamo portare la discussione sulla tecnologia usata per le opere di sbarramento e sul grado di sviluppo e adeguatezza del progetto Mose a rispettare i requisiti di progetto imposti dalla legge speciale per Venezia.
Contestiamo nel merito la seguente affermazione del professor Rinaldo: «Ai dubbi tecnici sul funzionamento dell'opera in corso di realizzazione (...) hanno risposto gli organi tecnici dello stato, dal Magistrato alle Acque al Consiglio superiore dei lavori pubblici, che hanno centenaria tradizione nel trattare materie controverse e metodologia di amministrazione. Solo il dubbio che a sbagliarsi siano gli oppositori del Mose non viene mai messo in discussione».
Il professore, alle critiche puntuali al Mose fatte dagli esperti del Comune di Venezia risponde, senza entrare nel merito tecnico, contrapponendo il fatto che il progetto è stato approvato e che tutti i timbri sono a posto e tranquillizza Rossana Rossanda dicendo «stia tranquilla, funziona».
Vorremmo che il professor Rinaldo spiegasse se questa sicurezza deriva dal fatto che tutti i timbri sono a posto, oppure se deriva dalle sue competenze professionali specifiche. Ricordiamo che gli aspetti critici strutturali del Mose sono stati recentemente asseverati da tre cattedratici (A. Colamussi, G. Benvenuto, A. Campanile) esperti nelle tecnologie di riferimento del Mose (tecnologie marine) che non sono certo quelle dell’ingegneria delle costruzioni idrauliche che, da quanto dichiarato, rappresenta il campo di competenza del professore. Facciamo presente che il professor A. Colamussi conosce il progetto Mose avendo fatto consulenza per il Consorzio, il professore G. Benvenuto è tra i massimi esperti italiani di progettazione navale e marina, e il professor A. Campanile rappresenta la massima autorità accademica nel campo delle tecnologie navali e marine offshore, essendo l'unico professore ordinario della cattedra di «strutture offshore» in Italia, e che le loro valutazioni rappresentano un parere super partes espresso ai massimi livelli accademici possibili in Italia.
Il comportamento del Comune di Venezia (far valutare le critiche al progetto Mose da cattedratici indipendenti) è un esempio di correttezza e trasparenza che non abbiamo riscontrato nella composizione dei gruppi di lavoro incaricati dalla Presidenza del consiglio per la valutazione delle proposte del Comune di Venezia.
Di particolare rilievo ci è sembrato il comportamento auto-referenziale del Magistrato alle Acque, in quanto il suo gruppo di lavoro che ha emesso la relazione di valutazione dei progetti alternativi è lo stesso che ha approvato il cosiddetto «progetto definitivo» del Mose ed è lo stesso che, come Comitato tecnico di Magistratura, ha approvato la stessa relazione, cercando di dimostrare, a nostro avviso senza riuscirci e lo abbiamo dimostrato, che il Mose è il migliore progetto possibile.
Le risposte dei vari gruppi di lavoro alle critiche tecniche del progetto Mose evidenziate dal Comune, sono risultate tecnicamente inconsistenti e confutate nei fatti dai suddetti cattedratici. In definitiva, dato che qualunque discussione sugli aspetti tecnici critici del Mose è stata accuratamente evitata, la decisione dell'ultimo Comitatone è stata una decisione puramente politica.
Entrando nel merito tecnico della questione il professore, se è convinto e si fa garante della bontà del progetto Mose, dovrebbe spiegare come si possa considerare «definitivo» un progetto che non rispetta i requisiti fondamentali di gradualità, sperimentalità e reversibilità imposti dalla legge speciale; che garanzie fornisce un progetto che non ha definito i principi per il calcolo strutturale delle opere e contiene componenti fondamentali per il funzionamento e la manutenzione ordinaria e straordinaria del sistema, quali i connettori sconnettibili delle paratoie dalle strutture di base che non sono indicati neppure a livello concettuale e di cui non è definibile neppure a livello di principio la loro affidabilità.
Ci sono molti altri argomenti sollevati dalla commissione del Comune di Venezia (un sistema intrinsecamente instabile che si basa esclusivamente sul funzionamento del sistema di controllo di tutte le singole paratoie e sull'impiego di strutture a collasso determinato di cui non si sa nulla, etc.) che potremmo trattare, ma ci limitiamo, per motivi di spazio, a questi elencati per dimostrare come il progetto Mose è ben lungi dall'essere definitivo e presenta problemi fondamentali ancora irrisolti.
Chi si dice favorevole a questo progetto- lo ripetiamo - dovrebbe quantomeno spiegare come il Mose possa rispettare i requisiti prima accennati e soprattutto come se ne fa la manutenzione.
Ci si consenta un'ultima considerazione. Il professor Rinaldo, riprendendo un concetto espresso da Rossana Rossanda e da noi condiviso, insiste nel ribadire che la laguna è un ambiente artificiale su cui si sono fatti in passato numerosi interventi e che su di essa si deve continuare ad intervenire «per salvarla dalla sparizione e per adattarla ad ambiente vivibile e vitale secondo esigenze di sviluppo economico e sociale della città».
Noi pensiamo che ciò è tanto più vero oggi, a fronte di attesi cambiamenti climatici e possibile crescita del livello medio del mare, molto più rapidi che in passato. Siccome però su questi aspetti c'è tanta incertezza del mondo scientifico, oggi è assolutamente impossibile prevederne l'impatto ambientale e socioeconomico.
Pertanto non comprendiamo perché si insiste nel voler realizzare un sistema come il Mose, irreversibile ed immodificabile, che congela lo status quo per cento anni e che, in caso di necessità di una modifica della configurazione idraulica delle bocche di porto che potrebbe emergere nei prossimi anni, non lascia che una alternativa: seppellire per l'eternità il Mose in fondo al mare e con esso 4,3 miliardi di euro dei contribuenti italiani.
Entro il 2070 il livello dei mari aumenterà di 70 centimetri. Sono dati allarmanti quelli che provengono dalla commissione europea per l’Ambiente. Che riaccendono il dibattito sull’utilità del Mose e sull’eccesivo numero di chiusure delle bocche che penalizzerebbero la laguna e l’attività economica del porto. ««E’ quello che diciamo invano da tempo», scuote la testa il sindaco Massimo Cacciari, «il progetto Mose si basa su una previsione che non è per nulla precauzionale».
In sostanza, i presupposti su cui è fondato il progetto di dighe mobili - approvato dal governo Berlusconi nel 2003 e confermato da Prodi a fine novembre, nonostante il voto contrario del Comune - verrebbero ora rimessi in discussione. Gli studi del Corila, il Consorzio Ricerca laguna a cui il Magistrato alle Acque ha affidato anche il monitoraggio dei cantieri del Mose, aveva fatto una previsione di aumento del livello del mare per il 2100 di 17-20 centimetri. «Valori sottostimati», dice Cacciari, «e su questo punto ci sono valutazioni assolutamente diverse tra il governo e la Regione da una parte e il Comune dal’altra». Insomma («Senza polemiche per carità, ma i fatti sono fatti») il sindaco riapre il dibattito sulla questione Mose. «Stiamo organizzando una grande conferenza internazionale», annuncia, «che si terrà a Sant’Elena, con esperti di tutto il mondo per mettere a confronto le ipotesi scientifiche e far sentire le nostre ragioni». Settanta centimetri di aumento del livello del mare significano in pratica acqua alta tutti i giorni. Chiaro che la strategia della salvaguardia dovrebbe a quel punto essere totalmente rivista. Così come il progetto Mose, pensato per essere sollevato poche volte l’anno. Che tra 50 anni potrebbe essere già vecchio. Nel corso del 2006, secondo i dati diffusi dall’Ufficio maree del Comune, una sola volta l’acqua alta ha superato i 110 centimetri, tre volte i 100. «Il Mose costato 4 miliardi e mezzo di euro sarebbe stato utilizzato solo per un’ora e 20 in un anno», dice il verde Gianfranco Bettin, «forse val la pena di ripensarci».
Ma adesso i dubbi non vengono dagli ambientalisti, ma dalla commissione europea. Che sulla scia dell’Ipcc ha radicalmente modificato le previsioni del Corila. «Abbiamo avuto uno scambio di lettere con il Corila», rivela Cacciari, «e le posizioni sono molto lontane». Un punto importante, perché tra breve il ministro per la Ricerca scientifica Fabio Mussi dovrà dare seguito operativo all’ordine del giorno approvato dal Comitatone sui controlli super partes. «E’ evidente», dice Cacciari, «che non potranno farli quelli che lo hanno fatto finora. Attendiamo con fiducia. E speriamo non si vada a un’altra rottura con il governo, con un nostro voto contrario al prossimo Comitatone. Sarebbe molto grave». (a.v.)
Cara Rossana, è vero: la laguna di Venezia è un «relitto» biologico che si è salvato (dai processi naturali spontanei tendenti all'interramento o alla erosione) solo grazie al lavoro di cura e agli interventi di mantenimento messi in atto nel tempo delle società locali (il manifesto 28/11). E ciò è avvenuto non perché l'antico Magistrato alle acque della Serenissima fosse una istituzione ambientalista ante litteram, ma perché gli interessi delle popolazioni ivi insediate (difesa militare, portualità, pesca, sale) coincidevano - caso più unico che raro nella storia delle città occidentali - con la preservazione e il mantenimento delle funzionalità ecosistemiche, biologiche e fisiche, del particolarissimo territorio circostante. Per qualche secolo abbiamo assistito ad un caso di felice coevoluzione tra cultura e natura. Questo incanto si è rotto una prima volta con l'entrata in laguna delle prime navi a vapore che hanno preteso fondali più profondi e canali rettilinei (dighe foranee), una seconda volta con la nascita del polo industriale al suo interno (imbonimenti, emungimenti, manifatture inquinanti), infine va aggiunto il turismo di massa (rendite fondiarie, espulsione dei ceti popolari, logoramento delle strutture edilizie, ecc.).
Pace. Inutile avere nostalgie per i tempi andati, inesorabilmente, inevitabilmente. Salviamo il salvabile, ci si dice: separiamo «il problema di Venezia» da quello della sua laguna. Rinunciamo a quest'ultima e concentriamoci a «salvare» il solo centro storico monumentale, l'attrazione principale. Del resto non è già così? Quante isole «minori» sono già state inghiottite dalle acque, sprofondate, erose, demolite? Un terzo di «barene» (i biotopi tipici delle lagune) sono sparite. La laguna «di una volta» non tornerà più. Ogni epoca storica modifica e plasma il paesaggio. La laguna del futuro sarà un bacino completamente regolabile artificialmente. Una fintolaguna con similbarene per la gioia dei costruttori di opere idrauliche e la disperazione dei naturalisti. Pazienza; tra la garzetta e Piazzo San Marco chi non sceglierebbe la piazza?
Io credo che questi ragionamenti siano non solo inutilmente dolorosi, ma drammaticamente sbagliati. Penso che Venezia si possa salvare solo se si riduce drasticamente la quantità d'acqua che entra in laguna, se si rallenta il suo flusso, se si inverte il processo di erosione dei fondali (mezzo milione di metri cubi di sedimenti che si disperdono irreversibilmente in mare ogni anno). Gli idraulici si disinteressano di questo tema (pensando di controllare la forza delle acque con altri mezzi), facendo lo stesso errore che fecero i loro maestri a proposito della frana del monte Toc su al Vajont.
Perlomeno penso che prima di amputare organi vitali della laguna (ricordo come antichi idraulici raffiguravano la laguna ad un organismo vivente: le bocche di porto erano la gola, le barene i polmoni e così via, anticipando le teorie moderne di Gaia) e a costruire protesi, sia meglio provare con le medicine naturali e, soprattutto, cercare di cambiare gli stili di vita.
Il Mose è come mettere un polmone d'acciaio ad un malato solo perché non vuole smettere di fumare. Che bisogno c'è di fondali profondi 22, 20, 18 metri se non per far passare petroliere e meganavi da crociera? Abbiamo provato a riportare i fondali a profondità funzionalmente accettabili per la laguna? Chiedere di sperimentare è poco scientifico? Sono più certe le risposte di modelli matematici che approssimano e semplificano la realtà senza mai comprenderne la complessità, oppure la prova in situ?
Postilla
È proprio strano. Ci risulta che moltissimi interventi siano giunti al manifesto , ma che il giornale abbia adottato la linea di affidare a Rossanda la scelta di quelli da pubblicare, facendoli uscire rigorosamente a coppie: uno a favore, uno contro. Sul MoSE il manifesto ha scelto insomma di non scegliere. Con uno strano effetto: pubblica i pezzi contro solo se ce n’è un altro a favore da pubblicare in contemporanea.
Eddyburg , che forse è meglio informato del manifesto , ha deciso invece di scegliere, ed è contro , per le ragioni che molti eddytoriali, e moltissimi documenti raccolti nella cartella dedicata a Venezia, hanno argomentato nel corso degli anni. Finora abbiamo pubblicato gli articoli a favore del Mostro solo quando ci sembrano di qualche interesse. Forse sbagliamo. Pubblicare tutti quelli favorevoli darebbe una testimonianza in più della pochezza degli argomenti dei supporters del MoSE. Magari profittiamo dei giorni di silenzio stampa per pubblicare anche quelli: in particolare i due più recenti, dell’ing. Rinaldo e del prof. Costa, ad adiuvandum la nostra tesi.
È una delle rare volte in cui mi accade di essere in disaccordo con Rossana Rossanda, ma in nulla intacca il senso di forte fratellanza che nutro per lei da molti anni.
A che serve il Mose, in definitiva? a riparare Venezia dall'acqua alta sopra i 110 centimetri, cioè - allo stato attuale - pochissime volte all'anno (non ho sottomano le statistiche). Per tutte le molte altre continueremo a usare gli stivaloni di gomma nelle varie zone della città che vanno sotto, in relazione all'altezza di marea. Domanda essenziale: vale la pena di investire tutti quei miliardi di euro - in pratica concentrarvi tutta la spesa pubblica che riguarda la salvaguardia della città - per una «grande opera» che, a regime e se funzionerà, riparerà la città per pochissime volte all'anno nel mentre non ci sono più i soldi per i decisivi lavori di manutenzione (scavo dei rii, innalzamento delle fondamenta et similia) senza dei quali si tornerebbe ai tempi del massimo degrado? Oggi io rispondo che non ne vale la pena. Teoricamente, non si può escludere che in avvenire il Mose potrà anche servire, ma allo stato dei fatti quanto meno rischia addirittura di peggiorare una situazione già compromessa, con tutte quelle sue opere fisse in ferro e cemento in contrasto con i delicatissimi flussi e riflussi della marea in laguna. Nella scienza e nella tecnica non si procede con il metodo sperimentale?
Comunque, come scrive anche Rossanda, il Mose non risolve in nulla il problema dell'«affondamento» di Venezia e, aggiungo io, neanche lo rallenta. Questo della subsidenza è un processo legato a tanti fattori che ora nessuno controlla: ne pagheranno il conto le generazioni future. Sia detto per inciso che nei decenni trascorsi - non vedo mai citati questi colpevoli dati - la subsidenza di Venezia è stata anche causata dall'acquedotto industriale che, ancora dalla fondazione di Porto Marghera, estraeva l'acqua direttamente dalle falde sottostanti sino per lo meno a metà degli anni sessanta e poi - ancora ai tempi di Mattei - dall'estrazione del metano in Polesine, il tutto con non pochi danni complessivi e conseguenze, come appunto ora stiamo riscontrando (e dire che attualmente l'Eni vorrebbe estrarre petrolio con le piattaforme in alto Adriatico!).
Bisognerebbe anche sfatare un'altra leggenda: la relazione virtuosa tra Porto Marghera e Venezia per salvarla dalla monocultura turistica. Questa relazione non è mai esistita, né esiste, sin dall'insediamento delle prime fabbriche di Porto Marghera negli anni '20-'30: contrariamente alle previsioni, i capitali investiti erano tutti esterni (i grandi 'monopoli'); una percentuale ridottissima (a una sola cifra) di veneziani è andata e va a lavorare a Marghera; il porto industriale era e è in autonomia funzionale. Venezia, da Marghera, ha avuto solo gli inquinamenti dell'aria e dell'acqua. Nel tempo le tesi di Volpi-Grimani si sono dimostrate del tutto infondate, così come nella seconda metà del secolo le varie strategie dei gruppi dominanti veneziani con la seconda zona e l'insediamento dell'avvelenata e avvelenante industria petrolchimica. Non saprei immaginare dove saremmo arrivati se si fosse realizzato il Prg della terza zona (approvato nel 1964) su oltre tremila ettari di laguna e con addirittura un centro siderurgico (quello poi costruito a Taranto): per fortuna che a farlo fallire ci hanno pensato le troppo dimenticate lotte operaie del '68-'69.
Il tornante esplicativo di questa lunga storia lo si è riscontrato il 4 novembre '66 con i 194 centimetri d'acqua che hanno sommerso Venezia e che di colpo hanno messo allo scoperto l'incompatibilità assoluta tra Venezia storica al centro di una laguna - stravolta idrogeologicamente dai vari scavi di canali, isole artificiali, imbonimenti, chiusura delle valli ecc. - e un porto industriale della grandezza e della forza di Marghera costruito sul suo bordo: vista con il senno di poi, una follia totale di cui oggi paghiamo duramente le conseguenze.
Porto Marghera è ormai da parecchi anni sempre più un parco avvelenato di archeologia industriale. Quello che è rimasto di produttivo - salvo la Fincantieri (ex Breda) - sfrutta al massimo impianti obsoleti e rattoppati col ricatto del posto di lavoro: non c'è alcun futuro (come tutti sanno, ma non dicono). Nel contempo - di anno in anno - il turismo a Venezia è arrivato a quasi 19 milioni di presenze e gli «operatori turistici» vogliono anche la sublagunare per farne arrivare ancora di più (altro che tassa di soggiorno!): di Venezia non potrebbero rimanere che pietre consunte e qualche vecchio dimenticato che non ritrova più la sua città.
Il triste - il tragico - è che tutto questo era perfettamente leggibile sin dalla seconda metà degli anni '80, ma i più hanno chiuso gli occhi per non vedere: con il mutamento del paradigma produttivo da fordista a (per semplificare) postfordista il porto industriale (nato per la prima trasformazione di quelle determinate materie prime portate dalle navi direttamente sulle banchine della fabbrica) ha cessato la sua funzione perché sono cambiate le materie prime, sono comunque cambiati i sistemi produttivi, sono mutate le relazioni economiche (globalizzazione). Così Marghera è diventata un ferro vecchio.
Sin da allora sarebbe stato però possibile, prendendo atto della concreta realtà, pensare e approntare un progetto di ridefinizione-trasformazione generale dell'area Marghera-Venezia-Mestre - con tutte le garanzie sociali e di equilibrio ambientale - che stato, enti locali, forze economiche, politiche e sindacali irresponsabilmente non hanno saputo avviare, perdendosi nei mille rivoli del giorno per giorno e nelle chiacchiere dei convegni e delle consulenze. Nonostante l'imperdonabile ritardo, si potrebbe cominciare almeno ora - questo sì che sarebbe un gran bel lavoro qualificato e interdisciplinare - ma non vedo volontà, forze e culture innovative per un'impresa del genere. Perché dovremmo solo consolarci con l'andare senza stivaloni per tre o quattro volte all'anno: come si fa a non capirlo, caro Indovina?
La lunga querelle sui mezzi più idonei a salvare Venezia e il suo ambiente, sulla quale è tornata qui, con molta onestà e disincantata premura per una città che ama, Rossana Rossanda, incomincia con l'alluvione del novembre 1966. Si capì allora, traumaticamente, quanto manomesso fosse stato l'ambiente lagunare nel corso di un secolo. Ci si accorse che Venezia sprofondava, soprattutto perché, per usi industriali, se ne succhiava l'acqua dal sottosuolo. L'emungimento - cioè il prelievo d'acqua - fu quindi fermato e la subsidenza rallentò fin quasi a cessare. Si scoprì che l'entroterra cominciava a essere stravolto dallo sviluppo del nascente «modello Nordest», e scaricava disordinatamente in laguna troppa acqua (inquinata, peraltro). Per rimediare a quel dissesto non si fece nulla, anzi. Ancora oggi, perciò, in Veneto, le alluvioni avvengono in grandissima parte nella regione e non in laguna. Se il Mose fosse la soluzione, ce ne vorrebbe uno per ogni corso d'acqua, dalle Alpi ai litorali.
In terzo luogo, ma in realtà per primo, il '66 rivelò le devastanti manomissioni subite da una laguna ridotta nello spazio (dagli interramenti per usi industriali e urbani) e nella quale entrava una crescente massa d'acqua a velocità sempre maggiore, appiattendone il fondo, azzerandone la morfologia secolare (che, con la sua trama di canali e rii e barene e velme, «addomesticava» l'onda di marea e la diluiva gradualmente). Si corse, parzialmente, ai ripari e vennero, tra l'altro, concepiti e via via realizzati molti interventi (cosiddetti «diffusi») che non sono affatto «minori» come spesso si dice (quando non si dice, vaneggiando, che da trent'anni a Venezia si parla e basta). Alcuni sono davvero ciclopici: ricostruire le barene, scavare e reinventare canali e rii, rifare le rive, le fondamenta, sollevare parti sempre maggiori di città! Sono attività complesse e impegnative, che hanno anche aperto nuove prospettive di lavoro e di ricerca. Salvare (e studiare) Venezia è diventato così anche un volano per nuove dimensioni socioeconomiche e nuove attività tecnologico-scientifiche. E' la questione cruciale che segnala Rossanda quando pone il tema di come stia evolvendo, o degenerando, la città. In realtà, Venezia sfuggirà infine al destino di trasformarsi in un «parco a tema» solo aprendosi a nuove prospettive, e a nuovi cittadini, legati a nuove funzioni (come quelle citate), come ha sempre fatto nella storia. Per questo, accanto alla tutela del suo residuo popolo tradizionale, deve saper essere fino in fondo «città globale» e, per così dire, deve saper inventare nuovi veneziani, «chiamandoli» da tutto il mondo con le opportunità e con l'ambiente che può loro offrire. E' questo che può farne una città del futuro, e non la reliquia, più o meno tutelata, di ciò che fu. La partita è drammaticamente aperta e la politica e le istituzioni dovrebbero giocarla con lucidità e lungimiranza, non solo in laguna.
Da ultimo, dopo il '66, si capì che un altro grave rischio, il più globale fra tutti, incombeva: quello derivante dal mutamento del clima e cioè dall'aumento del livello dei mari (eustatismo). Si cominciò così a pensare di intervenire alle tre bocche di porto (Lido, Malamocco, Chioggia) dalle quali l'Adriatico entra in laguna. Secondo la legge speciale per Venezia - i cui estensori, quasi come gli antichi savi, sapevano che l'ecosistema lagunare è uno di quei luoghi in cui «anche gli angeli dovrebbero esitare prima di poggiare un piede», pur essendo un luogo in cui naturale e artificiale agiscono sempre insieme: si legga, o rilegga, su questo, ad esempio, il più bel libro sulle origini della Serenissima, Venezia. Nascita di una città di Sergio Bettini, appena ristampato da Neri Pozza - secondo la legge, dunque, questi interventi dovrebbero essere «graduali, sperimentali, reversibili». Il Mose non è niente di tutto questo: è un intervento drastico e definitivo, irreversibile. Per questo fu contestato, già alle origini, dal Consiglio superiore dei lavori pubblici negli anni '80, dalla commissione statale Valutazione di impatto ambientale (Via) nel 1998, dai ministeri dell'Ambiente, dei Beni culturali e della Ricerca scientifica a più riprese (e fino ad oggi). Queste valutazioni negative, di tipo tecnico-scientifico, sono state sempre superate solo con decisioni politiche che hanno eluso i nodi critici evidenziati e non hanno mai degnato di vera attenzione le soluzioni alternative proposte. Il Consorzio Venezia Nuova ha una tale capacità di promozione - con soldi pubblici - dell'opera che ha avuto, senza gara, l'esclusiva di realizzare e finanche di controllare (bell'esempio di controllore-controllato), da far apparire quantomeno improbabili le alternative, malgrado siano proposte da tecnici di vaglia e da imprese che altrove le hanno sperimentate efficacemente (mentre il Mose, pensato più di vent'anni fa, non è mai stato sperimentato da nessuna parte: Venezia farà da cavia e da paziente insieme!).
Non ho lo spazio, qui, per parlarne diffusamente. Ma non potrebbe il manifesto dedicare una mezza pagina a qualche scheda sulle alternative? O a mostrare come, se fosse stato operativo, in tutto il 2005 (più o meno come negli anni precedenti) il Mose avrebbe funzionato per 4 ore soltanto, dato che il metro e dieci cm. di marea sul medio mare, misura dalla quale entrerebbe in funzione (al modico costo di oltre 4 miliardi di euro, e di decine di milioni annui di ostica manutenzione di una macchina stabilmente poggiata sul fondo lagunare, pesantemente compromesso, come le sponde, dall'intervento). Viceversa, se la soglia per la messa in funzione fosse stata abbassata, ad esempio a 80 cm di marea, sempre nel 2005 il Mose avrebbe chiuso la laguna per 61 volte, compromettendo il vitale scambio con il mare e stroncando l'economia portuale (decisiva per la città). Essendo un sistema rigido, il Mose è infatti condannato o a servire pochissimo (come sarebbe stato in questi anni) o, se la frequenza delle chiusure aumentasse (se si abbassasse la soglia della messa in funzione o se il mutamento del clima producesse, come è probabile, un aumento del livello dei mari) a essere inservibile o controproducente (perché servirebbe allora un sistema diverso, capace di consentire comunque lo scambio mare-laguna, senza il quale l'effetto palude sarebbe garantito). Il Mose, quindi, è la via sbagliata per difendere Venezia in una fase nella quale certi calcoli sono ancora approssimativi (ad esempio, la reale misura del mutamento climatico: qui si parla di centimetri e decimetri e la variazione è decisiva per capire come agire). Le alternative proposte consentono, invece, alcuni degli stessi vantaggi che garantisce il Mose (come l'interruzione, quando serve, dello scambio mare-laguna) senza avere il suo impatto duro e irreversibile. Ripeto: non potrebbe il manifesto approfondire questo tema? Sarebbe l'unico giornale nazionale a farlo. Su Venezia si straparla spesso, ma di questo aspetto cruciale - le alternative al Mose, per evitare di vagliare seriamente le quali il governo Prodi ha eluso l'impegno sottoscritto da tutti nel programma dell'Unione - si parla pochissimo con serietà. Non è un po' strano?
Un’anticipazione
de l n. 45 di Carta, 9 dicembre 2006
Non meraviglia che Francesco Indovina e Rossana Rossanda, nei loro interventi a favore del MoSE, abbiano ritenuto irrilevante il vulnus ambientale che quel progetto arreca a un ecosistema unico al mondo.
Molti di noi soffrono per l’incapacità del pensiero politico di individuare un soggetto sociale capace di assumere oggi il ruolo salvifico che il proletariato svolse nella dialettica del sistema capitalistico-borghese. E’ comprensibile che ciò induca a conservare la bussola dell’operaismo come unico strumento d’orientamento. Da qui a diffidare delle posizioni che criticano le basi del modello economico di cui il proletariato è parte, e a negare la novità delle questioni poste dall’ambientalismo (in particolare, la critica a uno sviluppo basato sull’indefinita produzione di merci), il passo è breve.
Meraviglia invece che autorevoli esponenti della sinistra trascurino due aspetti altrettanto rilevanti della questione: l’illegittimità di numerosi passaggi della gestazione e realizzazione del progetto; la distorsione del sistema dei poteri operata con l’attribuzione al Consorzio Venezia Nuova (un pool di imprese private di costruzione) di compiti e risorse pubblici. Sul primo punto in eddyburg.it abbondano i materiali di conoscenza; sul secondo un’analisi accurata sarebbe molto utile.
eddyburg
Mario Santi
Ricorderai quel canale che divide S. Marta dalla Marittima, collegando Piazzale Roma al Porto. Si chiama rio della Scomenzera.
E' un paradigma di metodo per affrontare gli interventi su quell'organismo delicato che è la Laguna. I veneziani lo chiamarono così perché cominciarono ("scomenzar") a scavare, avviarono il passaggio delle acque, e conclusero l'opera solo quando furono certi che non c'erano effetti negativi. La Repubblica di Venezia disponeva di grandi idraulici, ma negli interventi in Laguna chiese sempre alla scienza di lavorare con il vincolo della reversibilità delle opere: si prova, si studiano gli effetti sull'equilibrio del sistema, si va avanti e si conclude.
Non può essere obiettivo di una breve lettera rifarsi alla grande produzione scientifica e sistemica - non ti devo certo convincere io che qualsiasi opera va valutata anche per gli effetti collaterali che produce - che hanno indotto la gran parte della città a cercare in ogni modo di difendersi dal Mose.
Utilizzo solo questo apologo per dirti dello stupore e del dolore provocato in me, e in molti amici e compagni, dal leggere sul manifesto parole così semplicistiche a sostegno dei tre argomenti che metti in campo per dichiarare quel "sono per il Mose per diversi motivi" che mi ha agghiacciato.
Le fondazioni. interventi come l'isola artificiale che ci porterà via la spiaggia del Bacan, tutto nel Mose è il contrario dell'ipotesi "sperimentale e reversibile" che ci voleva.
Questo è il metodo che ci ha conservato la Laguna, e per "limitare e rallentare l'impatto delle molto alte maree" erano state messe in campo dal Comune alcune "ipotesi alternative" (tutte dotate del carattere fondamentale delle reversibilità).
Secondo molti pareri queste opere, se unite agli "interventi diffusi" e complementari, che tu stessa ritieni utili e necessari, sono in grado di creare lavoro in misura forse maggiore, e sicuramente più stabile, del Mose. Penso a interventi di sistematica manutenzione urbana e lagunare - quello fondamentale è costituito dal riequilibrio idrodinamico - interramento canale dei petroli ed espansione della marea nelle parti intercluse, come le valli da pesca.
Metodologia dell'amministrazione. E' vero, non tutto è limpido nel processo che porta a formare le decisioni, e spesso non c'è coerenza nel comportamento dei singoli politici. Ma devo dirti che questo episodio mi induce soprattutto una amara riflessione sull'impotenza della politica di rappresentanza. Ma come: il "governo amico" ha un mandato programmatico a rispettare l'orientamento delle comunità locali e passa sopra a questo e all'assenza di una Valutazione d'Impatto Ambientale (poi ci lamentiamo per l'atteggiamento dell'Europa nei confronti della nostra capacità di by passare le regole …), per servire un "blocco dei produttori" (il Consorzio Venezia Nuova, controllore e controllato) che ormai nelle sue ramificazioni ha messo le mani sulla città, nel controllo dei suoi processi di trasformazione e delle sue rendite e, fortunatamente non del tutto, sul suo ceto intellettuale.
Paolo Lanapoppi*
ah, che dispiacere! Se perfino lei, che stimo tanto per dirittura morale e acutezza d'ingegno, ritiene buona cosa la costruzione del Mose a Venezia, vuol dire proprio che i gruppi dei contrari al progetto non sono stati capaci di mostrare le loro ragioni, le quali pure sono così lampanti. Vuol dire che la macchina di relazioni pubbliche del consorzio costruttore è arrivata fino alle vene capillari della società italiana, fino a giornali come il Manifesto e a guardiani attenti come lei.
Me ne dispiace per Venezia, ma anche per i lettori del Manifesto che questa volta non hanno ricevuto una buona informazione ma soltanto l'eco di quelle (interessate, bisogna dirlo) ubiquamente diffuse da raffinati consulenti mediatici.
Io non posso certo opporre la mia semplice esperienza di veneziano alla forza di convinzione che emana dalla sua autorità. Però mi pare giusto rapidamente rispondere ai tre punti che hanno spinto lei a convincersi per il sì.
Primo: Venezia lentamente affonda. Questo però non è più vero. Il fenomeno è stato interrotto anni fa sospendendo i pompaggi d'acqua dal sottosuolo. Le previsioni per i livelli futuri sono molto incerte.
Secondo:il Mose può portare a Venezia del personale altamente specializzato accanto ai troppi camerieri e simili. E' vero che il livello culturale della città continua a decadere. Ma la sua soluzione sarebbe come bombardare San Pietro per poter poi mandare a Roma dei bravi architetti e restauratori.
Terzo: se ne parla da troppo tempo. Ma questa sarebbe una ragione egualmente valida per decidere per un no definitivo.
Sono ragioni così deboli che resto sorpreso. Perché dalla parte opposta ce ne sono altre molto più importanti.
Primo. Non si tratta di "salvare"Venezia ma di impedire la risalita di cinque-dieci centimetri di acqua in molte parti della città due volte l'anno. L'alluvione del 1966 non c'entra per niente.
Secondo. Lo stesso risultato si può ottenere con opere sperimentate e reversibili, come tra l'altro richiederebbe (condizionale degli italiani) la legge.
Terzo. L'opera costa 4,5 miliardi, che diventeranno di più, mentre non troviamo 200 milioni per bonificare la grande area di Marghera da decenni d'inquinamento industriale e liberarla dal pericolo chimico.
Quarto. L'ambiente sarà irrimediabilmente degradato dalla mastodontica opera, con i suoi immensi cassoni di cemento, le decine di migliaia di pali, la perdita dei sedimenti lagunari, l'aumento di velocità delle maree in entrata e in uscita.
Quinto: Le spese di manutenzione saranno centinaia di milioni l'anno, mentre fondazioni e rive della città si sgretolano implacabilmente sotto l'azione delle eliche dei motori e non ci sono fondi né cultura politica per impedirlo. Da questo sì, bisognerebbe salvare la città.
Ma vorrei che lei ci dicesse una cosa: chi è stato questa volta ad informarla sui dettagli? E perché questa volta lei non ha voluto controllare la serietà, forse il disinteresse, di quelle informazioni?
Venezia
Cristiano Gasparetto
Che bello sarebbe se gli ambientalisti e tutti i contrari alla costruzione del MoSE, per salvare la vita ad una garzetta fossero disposti a sacrificare Venezia ed i suoi abitanti, a sollevare l'intera Piazza San Marco; se, con evidente ulteriore stupidità, pensassero che la chiusura delle bocche di porto con dighe mobili, ipso facto, trasformerebbe la laguna in un lago! E altrettanti bello sarebbe se, a dispetto di tutte le analisi scientifiche e tecniche comparative si potesse pensare che il MoSE fosse un sistema ad alta tecnologia, già sperimentato, modificabile e reversibile all'occorrenza, come prescrivono il buon senso e le leggi. O se una commissione di esperti non l'avesse collocato al 13° posto su 14 ipotesi ad esso alternative .
Sarebbe molto facile scegliere in che campo stare, mentre, cara Rossana, non saprei proprio scegliere se sia meglio sperare di affondare lentamente nelle acque della laguna veneziana con il MoSE o, senza, essere travolti da una nuova grande mareggiata: perché questa è la sola alternativa che tu prospetti.
E' evidente che le cose non stanno così.
Il MoSE è un sistema che non combatte le cause delle aumentate alte maree in laguna (per altezza e frequenza) ma ne combatte (e malamente) gli effetti perché su 87 acque alte che hanno invaso piazza San Marco nel 2003 ne farebbe risparmiare 3 o 4; perché è costosissimo (4,2 miliardi do euro per costruirlo e 630 milioni ogni anno, per 100 anni, per la manutenzione); perché non è sufficientemente sicuro in condizioni estreme; perché, se le condizioni meteorologiche sfavorevoli si prolungassero molto, l'acqua continuerebbe a salire in laguna da 3 a23 cm. ogni 11 ore; perché durante la costruzione ma soprattutto dopo, con un livello marino esterno aumentato per l'effetto serra, renderebbe assolutamente non competitivo il porto di Malamocco - con le conseguenti difficoltà all'economia di Porto Marghera e quindi alla sua bonifica e riconversione (con mare esterno cresciuto di 30 cm, in tre anni le chiusure potrebbero essere 548 con la perdita all'ingresso di 5.014 navi: studi CNR depositati in Comune)-.
Il MoSE è assolutamente illegittimo, violando - come riscontrato dal Comune di Venezia - norme di Piani Regolatori Comunali e Territoriali e direttive ambientali europee (è in corso una procedura d'infrazione del Parlamento Europeo); non ha avuta la necessaria Valutazione d'Impatto Ambientale favorevole (ne è stata fatta una, con esito assolutamente negativo, annullata per vizi formali, che non è stata mai rifatta); i lavori vengono eseguiti senza che sia stato approvato un progetto esecutivo complessivo, come previsto per ogni opera pubblica.
Ma se non ci fossero alternative, saremmo forse obbligati alla sua costruzione. Le alternative però ci sono e sono tutte verificabili.
L'aumentata frequenza ed altezza delle acque alte in laguna, nell'ultimo secolo e mezzo, è dipesa essenzialmente da lavori che hanno, a vario titolo, ridotto di un terzo la capacità del bacino lagunare, variandone la morfologia e, per questo, facendo aumentare quantità e forza dell'acqua entrante dal mare. Studi ed analisi di ricercatori ed idraulici, universitari e dei CNR italiano e francese, assunte dallo stesso comune di Venezia, dimostrano che è possibile ridurre di 17-21 cm. tutte le maree. Bisogna ridurre i fondali alle tre bocche di porto, in ragione dell'uso differenziato delle stesse e utilizzare navi-porta da collocare periodicamente nella stagione invernale per rallentare ulteriormente l'accesso e la forza della marea. Bisogna riaprire al flusso di marea le valli da pesca (come prevede da decenni la Legge Speciale). Con tutto ciò si riporta l'intera laguna alla situazione mareale di metà Ottocento: qualche alta marea, molto contenuta d'altezza, ogni uno-due anni. L'innalzamento del fondale alla bocca di Lido precluderà l'ingresso al bacino di san Marco alle meganavi, che sono un pericolo per la città, ma è possibile costruire uno specifico avamporto galleggiante in mare. Salvata così la laguna dalle acque alte la si salverà anche nel suo complesso (come obbliga, inascoltata, la legge) riducendo la perdita di milioni di metri cubi di sedimenti dei fondali (sabbie sottili e fanghi in sospensione) inducendo virtuosamente una naturale ricostruzione morfologica.
Per finire, cara Rossana, il vero punto su cui tutti interrogarsi, è come sia potuto accadere di arrivare ad una situazione simile, con un via libera dato dal Governo, a maggioranza, disattendendo l'accordo con le Istituzioni locali previsto nel Programma dell'Unione ed a opere complementari iniziate.
La verità è che l'opera non poteva essere pensata, studiata, progettata e realizzata dallo stesso soggetto: il Consorzio Venezia Nuova è un pool di poteri così forte da essere entrato trasversalmente in tutte le istanze decisionali, e da aver cooptato, con la forza economica, intelligenze, indipendenze e informazione in tutte le aree politiche. Non è tanto una questione di libera concorrenza, come l'Europa continuamente predica ma mai verifica. E' invece una questione di interesse generale: la laguna rappresenta un bene comune e come tale va studiata e vi si interviene con opere pubbliche, trasparenti, condivise, congrue con norme e leggi vigenti, tecnicamente sperimentate e efficienti.
Come vedi, cara Rossana, in questo mio ragionare non ho mai usato la parola ambiente: non era proprio necessario.
Necessario è invece continuare ad essere -quando serve- dalla parte del torto.
L’articolo di Rossana Rossanda è riportato qui. Vedi anche le note di eddyburg sul settimanale Carta, n. 23 e n. 42. Inoltre, i numerosi materiali contenuti nella cartella di eddyburg dedicata al MoSE. Le lettere di Santi, Lanapoppi e Gasparetto sono tratte dal sito di Carta, e precisamente qui.
Io sto con il Mose, vi spiego perché
Francesco Indovina - il manifesto, 29 novembre 2006
Mi schiero completamente con Rossana Rossanda sulla questione del Mose. Sostengo da tempo che i problemi di Venezia potrebbero essere la sua fortuna, nel senso che la loro soluzione potrebbe creare quella diversa base economica unico strumento per evitare che Venezia diventi (o lo è già?) un «parco turistico». Il Mose è una di queste occasioni, combattuta in nome di una «laguna» che poi le alternative di cui si è parlato vogliono definitivamente e completamente artificializzare . Sarebbe lungo elencare le contraddizioni della battaglia no-Mose, ma alcune bisogna pur ricordarle. Si è sostenuto per anni che non fosse necessario separare, temporaneamente, mare e laguna, infatti sarebbero stati sufficienti le opere di ricostruzioni di velme e barene, l'apertura delle valli da pesca, ecc. per ridurre le maree. Poi, finalmente, la scienza, che le riteneva non adeguate allo scopo, è prevalsa, ma, tuttavia, acora oggi si propongono restringimenti rilevanti ai canali alle bocche con gravissime conseguenze sulla qualità delle acque e sulla vivificazione della laguna. Si è presentato il Mose sia come «opera vecchia e superata» che come «opera insicura» perché non sperimentata in nessuna parte del mondo, quindi si presume troppa innovativa. La comunità nazionale ha privilegiato Venezia, rispetto ad altre situazioni di crisi - c'è bisogno di parlare di Napoli? - ma di questo sacrificio non si vuole ricavare il bene che può venire alla città. La trasformazione non dovrebbe essere al primo posto della «sinistra»? O è meglio che Venezia degradi ulteriormente tra bancarelle, souvenir, B&B, alberghi di lusso e negozi griffati? Il Mose non è la soluzione a tutto questo ma può fornire un contributo. Come si fa a non capirlo?
La Rossanda: sì al Mose, scusate ma difendo Venezia
redazionale - Corriere della Sera, 29 novembre 2006
Alfonso Pecoraro Scanio non è sorpreso, «e perché mai?, con il massimo rispetto per l'autorevolezza di Rossana Rossanda, la sua è la classica espressione della cultura industrialista che appartiene alla tradizione comunista, la fiducia illimitata nel cosiddetto progresso che non a caso ha provocato disastri nell'Est europeo, la denigrazione antropocentrica della natura che ha portato l'uomo ad alterare i cicli naturali e distruggerli».
Detto in una parola: il Mose di Venezia. Che il ministro verde dell'Ambiente, si sa, non ama, ma che la giornalista e scrittrice, sul manifesto di ieri (foto a sinistra), ha difeso a dispetto del suo giornale, «chiedo scusa, ma mi importa più il destino dei veneziani, oggi così precario, che quello d'una garzetta», ovvero i piccoli aironi della Laguna.
Per la Rossanda, Venezia è il posto delle fragole. Nel suo libro La ragazza del secolo scorso ha raccontato l'infanzia con la sorella Mimma, in casa di zia Luisa e zio Pierino al Lido «ispezionato da San Nicoletto a Malamocco, undici chilometri col rombo del mare da una parte e la quiete della laguna dall'altra». La città divenuta «la mia città», più tardi rifugio dai bombardamenti, luogo della giovinezza.
Così la Rossanda difende il progetto Mose, che non risolve ma almeno «rallenta l'impatto» delle alte maree. Un'opera «di alta tecnologia che porta e comporta lavoro qualificato». E di cui si parla «da almeno tre lustri» come in un «gioco dell'oca». Il che, ribatte Pecoraro Scanio, «è piuttosto un argomento contro: se è una cosa così buona e giusta, com'è che da anni trova un dissenso così vasto? E proprio dai veneziani che dovrebbero beneficiarne? Com'è che spacca il Consiglio dei ministri e la comunità scientifica?».
Sul manifesto c'era già la risposta del prc Gennaro Migliore. Nella sinistra radicale si discute. Ma per il ministro dell'Ambiente è questione di cultura, «quello della Rossanda mi sembra un approccio ideologico e dirigista, l'intellettuale di sinistra che dice cosa è bene per i cittadini che non capiscono». Un approccio che è «il contrario dello sviluppo sostenibile». E l'obiezione di Venezia che è in sé artificiale? «Rivela un'idea caricaturale degli ambientalisti. Noi vogliamo più tecnologie e modernità, non meno. Sono stati presentati progetti alternativi più economici e avanzati. È il Mose a essere vecchio di vent'anni: una specie di Meccano, privo di uno studio dell'impatto sul fondo lagunare, che rischia di farci spendere miliardi di euro per avere un rottame subacqueo».
Cara Rossana, il Mose non salverà Venezia
Cara Rossanda, i miei amici veneziani (cui spero darai atto di essersi sempre battuti coerentemente) chiamano la laguna un ambiente naturale artificialmente conservato. Quelle opere idrauliche storiche - deviazione dei fiumi sversanti in laguna, costruzione dei Murazzi a difesa dalle mareggiate, rigorosa conservazione della morfologia tipica - sono servite a conservare un ambiente unico al mondo. Quando atterro al Marco Polo rimango sempre esterrefatto dagli arabeschi che i canali e i canaletti formano tra le «barene», quasi dei disegni frattali, dentro cui emergono per incanto Murano, Torcello, Burano, decine di altre isolette e infine l'inconfondibile forma urbis del «pesce» di Venezia. Continuo sempre a pensare (d'accordo con Cesco Chinello, che ha guardato Venezia dal punto di vista del movimento operaio) che tra gli emblemi di un'industrializzazione forzata e cieca del secolo scorso ci sia (con la «mia» Bagnoli) proprio la collocazione del più grande polo dell'industria pesante e poi chimica dentro la laguna. E' la portualità industriale, ora anche quella passeggeri, ad aver imposto l'escavo dei canali che mettono in collegamento mare e laguna. Profondità e larghezze del tutto insostenibili per i delicati equilibri geomorfologici lagunari.
Ambientalisti e studiosi insistono nel dirci che se c'è una cosa di cui avere paura per la sopravvivenza statica degli insediamenti lagunari è l'erosione: una quantità enorme di materiali solidi (erosi dai fondali) viene ad ogni marea rimossa e trasportata in mare. Tanto che oggi la laguna è diventata una baia, un braccio di mare aperto e sempre più esposto alla violenza dei flussi. Ecco perché ho affermato che il Mose, intervenendo solo sulle bocche di porto così come sono e solo nelle occasioni di «acque alte» eccezionali, non risolverà il problema della «salvezza» di Venezia. Ma, al contrario, apre la strada ad un'inevitabile, progressiva artificializzazione del bacino lagunare. L'idea che gli ingegneri idraulici hanno è quella di separare e chiudere la laguna centrale in un anello di ferro e cemento, che costerà «appena» 4 miliardi di euro. E' un'immagine troppo forte? Perché allora non intervenire con opere sperimentali, rimovibili, meno impattanti e meno costose, prima di affondare ciclopiche fondazioni di cemento armato e incernierare gigantesche paratoie d'acciaio di cui non si conosce nemmeno il progetto definitivo, senza una valutazione tecnica compiuta del loro funzionamento e del loro impatto, così come richiesto dal comune di Venezia? E' possibile che opere del genere siano approvate per via politica dagli esecutivi centrali di governo, blindando persino il voto del Comitato misto intergovernativo di indirizzo e di controllo? Che la più grande opera di difesa del suolo sia assegnata in esclusiva ad un ufficio periferico del ministero delle infrastrutture (magistrato alle acque e non all'autorità di bacino idrografico) evitando ogni dialogo con il ministero dell'ambiente?
Possiamo, infine, ritenere che l'Unione discuta di grandi opere come ha fatto il governo precedente? Quale partecipazione? Quale confronto, aperto e pubblico, tra vari progetti? I manifestanti convenuti a Roma erano uniti da tanti «No» (NoTav, NoPonte, NoMose, ecc.). Ogni «no» ci parla di una diversa attesa democratica e, se posso, di una critica alla «neutralità» della tecnica nei processi di governo. Ultima precisazione: le opere fin qui realizzate, nell'ipotesi del comune, non sarebbero state inutili, quindi sprecate. Il nodo del dissenso - almeno con noi di Rifondazione e con il Comitato No Mose - è soprattutto su ciò che verrà fatto.
Per tutto il resto sono d'accordo: il sindaco non si è battuto per inserire lo stop al Mose, così come si è riusciti a fare per il Ponte sullo Stretto nel programma; la concessione unica a un consorzio di imprese private è stato un errore che anche l'Unione europea ha sanzionato. Ma, soprattutto, la città storica si sta trasformando in un «parco tematico».
Gennaro Migliore
capogruppo Prc Camera dei deputati
Venezia affonda pian piano il Mose almeno rallenta
Caro Gennaro Migliore,
davvero il Mose trasformerebbe la laguna in un lago artificiale? Per via di un sistema di paratie che fuori dai momenti di eccezionale marea, quando si alzano a frangere l'onda in entrata, giacciono sul fondale delle bocche di porto? Io sono per il Mose per molti diversi motivi.
Primo ed essenziale: Venezia lentamente affonda, si chiama subsidenza, probabilmente dovuta per una modifica dell'entroterra e delle sue falde freatiche, forse conseguenza di uno sfruttamento agricolo e di una edificazione selvaggia, dei quali non sento parlare; le maree adriatiche lentamente salgono, per ragioni che non conosco ma nessuno nega; dalla metà del secolo scorso l'altezza della marea che copre gran parte della città può assumere, come nel 1966, la natura d'un disastro. Nessuno degli studi che, restando veneziana nell'animo, ho consultato nega che sia così. Venezia è in preda a un doppio fenomeno che oggi come oggi è nei tempi lunghi irresolubile.
Neanche il Mose lo risolve. Si limita a rallentare l'impatto delle molto alte maree. Neanche le altre misure proposte - necessarie, come la pulitura dei canali e il rialzo, già in parte effettuato, di alcune fondamenta (mi è riuscito sorprendente un progetto di rialzo di tutta piazza San Marco) - sono risolutive. Sono necessari ma, mi sembra, complementari al Mose, non potendosi rialzare la città d'un metro e mezzo.
Secondo. Il Mose è un'opera di alta tecnologia che porta e comporta lavoro qualificato, cosa di cui Venezia crudelmente manca. Quale altro polo industriale è stato proposto e messo in opera? Marghera è un'opera, assai discutibile, degli anni '30, malamente agganciata alla città; il suo Petrolchimico ha avvelenato chi ci abitava e la laguna, le fabbriche degli anni '50 e '60 sono sparite o in crisi, la città è un gigantesco museo saccheggiato dalle multinazionali degli alberghi per un'orda di turisti più o meno screanzati, che da' lavoro a un esercito di camerieri e, chiamiamoli così, operatori turistici, e perfino a migliaia di affittacamere che spellano gli studenti, i quali vi frequentano le università e poi fuggono verso lidi che offrano qualche lavoro. Un'idea di Venezia vivente non l'ho sentita né dal mio amico Massimo Cacciari, né da Gianfranco Bettin che cerca nobilmente di renderne meno inumana la sottostante miseria.
Terzo. C'è una metodologia dell'amministrazione che dovrebbe essere una cosa seria. Mi piacerebbe sapere chi decide e come e per quanto tempo: sono quasi tre lustri che sento parlare del Mose, ne leggo i materiali e le decisioni delle commissioni di esperti, lo stesso studio del progetto è stato imponente e l'avvio dell'opera è iniziato senza che né Paolo Costa né Massimo Cacciari vi si opponessero. Perché Cacciari si oppone ora? Forse l'opera non andava fatta, forse non andava affidata al Consorzio Venezia Nuova, forse sarebbe stato meglio effettuarla come opera pubblica sovvenzionata da stato e regione e leggi speciali (ancorché, salvo la sottoscritta, chi ventila più idee così desuete?), eccetera.Ma non andava deciso prima di cominciare? Il rimpallo fra comune, forze politiche, consorzio e ambientalisti sembra una variante del gioco dell'oca. Capisco che Mario Pirani scriva: non parlatecene più.
Un solo motivo non mi sembra neanche da discutere. Chiedo scusa anche al manifesto, ma mi importa più il destino dei veneziani, oggi così precario, che di quello d'una garzetta che pure è bellissimo scorgere ogni tanto su una barena. Lunga vita alle garzette, ma non parliamo di laghi artificiali che non c'entrano niente. Del resto, non c'è un manufatto urbano più artificiale di Venezia, tanto è effimera una laguna. I dogi deviarono ben tre fiumi per tirare su la mia incantata città. Sarebbe stato meglio se non lo avessero fatto?
Rossana Rossanda
Prodi si allea con Galan e il Mose non si ferma - In Comitatone Cacciari messo all’angolo dal premier. Zittite le rimostranze di Pecoraro
VENEZIA. Il progetto Mose va avanti. Passa la linea di Prodi e del ministro Di Pietro, e il Comitatone approva a maggioranza il «no» ai progetti alternativi proposti dal sindaco Massimo Cacciari. Tre i voti a favore del documento del governo, con un’inedita alleanza tra il premier Prodi, il presidente forzista del Veneto Giancarlo Galan e il sindaco leghista di Jesolo Francesco Calzavara. «No» di Venezia, astenuti Mira e Chioggia. Una riunione durata un’ora, che si è conclusa alla fine con l’approvazione dell’ordine del giorno «di consolazione» presentato dal Comune, che ha chiesto la garanzia dei fondi per la manutenzione della città e nuovi criteri per il monitoraggio dei lavori in laguna e i loro effetti sull’ambiente.
Il governo ha espresso un solo voto, confermando la posizione assunta a maggioranza in Consiglio dei ministri nonostante l’opposizione dei ministri Fabio Mussi (Ricerca scientifica) e Alfonso Pecoraro Scanio (Ambiente). Il ministro dell’Ambiente ha espresso alcune osservazioni di merito, ma Prodi lo ha zittito. «Non sono argomenti da Comitatone, si tratteranno in altra sede». Alla fine della riunione, Pecoraro è stato durissimo. «Il Mose spacca il Comitatone dopo aver spaccato il Consiglio di ministri», dice, «si è approvata un’opera sbagliata. Il mio ministero continuerà a vigilare su tutti gli aspetti normativi e sul rispetto delle norme europee».
Lo scontro. Clima pesantissimo, e un po’ di nervosismo nella nutrita rappresentanza veneziana ma anche tra gli ingegneri del Magistrato alle Acque. «E’ andata come avevamo previsto», commenta non molto soddisfatto il sindaco Cacciari, «bene l’approvazione dell’ordine del giorno su controllo, che speriamo sia un controllo terzo e indipendente». Esulta il presidente Galan: «Voglio scrivere il nome di Prodi insieme al mio sui Murazzi», dice applaudendo l’intervento di Prodi. Il sindaco Cacciari parla dieci minuti. Ribadisce la posizione critica del Comune. «Ripete i dubbi anche scientifici sul progetto. Chiede che venga messo tutto a verbale perché «ognuno si prenda le sue responsabilità».
Parla Prodi. E’ il presidente del Consiglio Prodi a introdurre i lavori. Legge l’introduzione della relazione del ministro Di Pietro. Poche righe, tanto per dire che «non sono emersi nuovi elementi sui progetti alternativi», dunque si va avanti col Mose. Poi annuncia che il governo si esprimerà con un «voto unitario». Non c’è spazio per il dibattito. Il sindaco Cacciari legge la sua relazione, ma poi si passa ai voti sulla proposta del governo, assenti i ministri Rutelli e Bianchi. Votano a favore Prodi, Galan e Calzavara. Contro Cacciari, si astengono i sindaci di Chioggia (Guarnieri) e Mira (Marcato). «Sconfitto? non direi, quello che abbiamo detto resta a verbale», dice Cacciari, «Il Mose ha formidabili criticità, e rischia di essere già vecchio fra vent’anni. Perché senza finanziamenti i lavori dureranno fino al 2026». E ricorda che «certo non è la prima volta negli ultimi tempi che mi trovo in disaccordo con il governo Prodi».
Felice. Galan si dice «felice» per la vittoria del partito del fare. Cita le Corbusier, Wright e Kahn per dimostrare come «Venezia sia spesso ostile al nuovo». E applaude il ministro Antonio Di Pietro, convinto sostenitore delle dighe mobili. «Bisogna andare avanti con quel progetto perché non ci sono alternative», dice l’ex pm a fine seduta, «lo abbiamo approvato a maggioranza perché qualcuno si è astenuto». Una decisione storica, secondo gli esponenti veneti di Forza Italia, «sconcertante» per gli ambientalisti, che annunciano ricorsi.
E ora? Cosa succederà adesso? I lavori del Mose vanno avanti, con i fondi già stanziati dal governo Berlusconi (1500 milioni in tre anni). La Finanziaria 2007 ne ha stanziati altri 100. I lavori proseguono alle tre bocche di porto, e potrebbero entrare tra qualche mese nella fase «irreversibile» dello scavo dei fondali e della cementificazione. Un tema di cui si discuterà ancora al ministero per l’Ambiente e nelle commissioni di Camera e Senato, che avevano approvato una risoluzione mai considerata dal governo.
L’ultimo dossier: «Fate un grave sbaglio»
Altri tre esperti consultati da Ca’ Farsetti avvertono: troppe incognite
VENEZIA. Un nuovo studio sulle criticità del progetto Mose, firmato da tre illustri cattedratrici. Nuovi dati sull’eustatismo, con il livello del mare in aumento che potrebbe rendere vecchio il Mose e aumentare i problemi per l’ambiente e l’attività portuale tra pochi anni. In mattinata, prima di partire per Roma, il sindaco Massimo Cacciari ha consegnato ai giornalisti una copia della sua proposta di ordine del giorno (poi bocciato dal Comitatone) e il nuovo dossier sul Mose. Non soltanto le proposte alternative, ma la richiesta di mettere in pratica le sperimentazioni già decise dal governo Amato nel 2001 e mai avviate. E un duro atto di accusa al ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. Una lettera inedita firmata da Marco Rugen, ingegnere presidente di sezione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici che ricorda come nel 1990 il Consiglio diede parere negativo al progetto del Mose. Dunque Di Pietro ha detto il falso? «Vedete voi», se l’è cavata Cacciari. Che ha definito il materiale «di altissimo livello scientifico, utile, comunque vada, a chiarire le responsabilità e a vigiliare su come saranno fatti i lavori». Insomma, una conclusione «scientifica» di quanto si era deciso nel Comitatone di luglio.
Le sperimentazioni. Il Comune ripropone gli interventi sperimentali, «in parte alternativi a quelli in corso di realizzazione alle bocche di porto». «I nostri progetti rispondono ai principi di sperimentalità, gradualità e reversibilità previsti dalla legge», dice Cacciari. Il progetto proposto dal Comune prevede la riduzione della sezione e il rialzo dei fondali alle bocche di porto e l’utilizzo di barriere stagionali e rimovibili. Senza effetti negativi sulla morfologìa lagunare si potrebbero ridurre così quasi tutte le alte maree, si legge nel rapporto, dando il tempo necessario per verificare i diversi scenari derivanti dai cambiamenti climatici.
Eustatismo. Tutti gli scenari parlano di un aumento del livello dei mari di 50 centimetri nel 2100. Così gli scenari per le attività portuali si modificano radicalmente.
Le procedure. Secondo il Comune non è «tutto posto» come ha riferito Di Pietro al Consiglio dei ministri e i pareri sul Mose non sono stati tutti positivi. Lo dimostra la relazione dell’ingegnere Marco Rugen, che ricorda la bocciatura del 1990. Resta anche il «no» della commissione Via del 1998. «Il Mose non ha Valutazione di impatto ambientale e nemmeno un progetto esecutivo che impedisce di controllare lavori e finanziamenti», scrivono gli esperti.
I soldi. «Il Mose è il progetto più costoso sul tappeto, con l’incognita della manutenzione di strutture tutte subacquee. Quest’anno ha avuto 100 milioni di euro dalla Finanziaria. Con questo ritmo per finirlo ci vorranno almeno 20 anni».
I rischi. «Troppe le criticità del progetto Mose non ancora risolte», scrive Cacciari. E allega gli studi di tre eminenti studiosi, il professor Antonio Campanile, ordinario di strutture offshore all’Università di Napoli, il professor Giovanni Benvenuto, docente di Ingegneria navale all’Università di Genova, e l’ingegner Artuto Colamussi, tra i consulenti del Consorzio Venezia Nuova negli anni Ottanta. «La nostra soddisfazione», ha detto il sindaco è che a livello autorevolissimo sono stati confermati gli studi del gruppo di lavoro del Comune».
Una battuta del premier Romano Prodi è destinata a lasciare qualche coda polemica, nell’accesissimo dibattito di questi giorni sul Mose, dopo il via libera all’intervento (a maggioranza, sponsor il ministro Di Pietro) da parte del Consiglio dei ministri: «Non si fanno le cose imponendo», ha detto Prodi, «ma al contrario serve il metodo del colloquio, del dialogo con la gente che dovrà convivere con questi investimenti. Ciò è l’unico metodo che li rende possibili», «come hanno dimostrato la Tav e il Mose di Venezia, serve il metodo del colloquio» con la società civile.
Il premier parlava da Algeri e, nello specifico, della necessità di procedere con la realizzazione in Italia di nuovi impianti di gassificazione, che si portano appresso molte proteste da parte della popolazione. Ed ha citato il Mose come esempio di «dialogo con al società civile»: eppure proprio il fatto che il governo abbia deciso a prescindere dalla posizione delle amministrazioni locali è la critica che è stata subito mossa da più parti, tanto che il sindaco Cacciari ha annunciato l’intenzione di presentarsi al Comitatone del 22 novembre con un documento che ribadirà punto per punto le richieste avanzate dal Consiglio comunale al governo, per studiare nel dettaglio i progetti alternativi al Mose, liquidati invece da Di Pietro come impraticabili. Il Consiglio «ha forse messo troppo frettolosamente conclusione al confronto», «non tenendo conto dei rilievi e indicazioni del Consiglio comunale» ha commentato Cacciari. Altro che concertazione. Semmai il Comitatone dovesse poi dare il via libera all’intervento, il sindaco chiederà che sia un organismo «terzo», diverso dal Magistrato alle Acque, a vigilare sui cantieri.
Gli ambientalisti, intanto, non sono domi: ieri, Assemblea permanente No-Mose, ragazzi dei centri sociali, fronte rosso-verde, hanno discusso per ore su come continuare la «resistenza». La partita non è del tutto persa: il tutto per tutto - ne sono convinti - si giocherà nella riunione del Comitatone. E chissà che anche la Madonna della Salute non dia una mano: per il 21 novembre, infatti, è organizzata la mobilitazione più massiccia. Niente barricate, per carità: la festa più amata dai veneziani - lo promettono - non verrà turbata. Sarà solo «più informata».
«Diamo appuntamento alle 15 di martedì prossimo, in campo San Barnaba, a tutti quelli che credono che il Mose sia un mostro pericoloso», spiega Luciano Mazzolin, dell’Assemblea permanente No-Mose, «alle oltre 12 mila persone che hanno sottoscritto la petizione che abbiamo inviato alla Comunità europea, che ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per come ha gestito la fase di autorizzazione dei cantieri in un’area protetta. In base a quanti saremo, ci sparpaglieremo in tutta la città, occupando i campi centrali, per proseguire fino all’ultimo nella nostra campagna informativa. Invitiamo le persone anche a venire in barca, per un corteo acqueo».
Questa volta non sarà Maometto (in questo caso, gli ambientalisti) ad andare alla montagna (la seduta del Comitatone è stata convocata a Roma). I No-Mose lo assicurano: non protesteranno nella Capitale, il 22 novembre. In compenso parteciperanno - per ampliare quanto più possibile la campagna informativa, oramai alle ultime battute - alle manifestazioni di studenti e Cobas contro la Finanziaria, in programma il 17 novembre sia a Venezia sia a Padova.
Troppe carenze e illegittimità sull’iter del Mose. «Il progetto attuale è diverso da quello approvato, e aveva bisogno di autorizzazioni mai concesse. Tutto questo non è emerso dalla relazione del ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro». Nuovo colpo di scena nella vicenda Mose. Il ministro per l’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio ha inviato ieri al presidente Prodi e a tutti i ministri e membri del Comitatone una lettera durissima. In allegato una relazione del direttore generale Bruno Agricola che ricorda all’ex pm Di Pietro il «mancato rispetto di alcune norme di legge».
Un colpo di scena che riapre i giochi dopo il «blitz» della settimana scorsa, quando il governo aveva approvato a maggioranza - con il voto contrario di tre ministri fra cui quello dell’Ambiente - il via libera al Mose e il «no» alle alternative proposte dal Comune. «Nella nota predisposta dal direttore generale», scrive il ministro, «si sollevano questioni sostanziali e giuridiche relative alla relazione presentata dal ministro Di Pietro al Consiglio del 10 novembre e approvato a maggioranza dallo stesso Consiglio». «Ritengo opportuno», conclude Pecoraro Scanio, «che in occasione della riunione del Comitatone prevista per il 22 novembre venga valutato quanto segnalato». Una presa di posizione molto netta, e soprattutto un attacco frontale all’ex magistrato di Mani Pulite. Che non avrebbe tenuto conto, nella sua relazione ai ministri, degli obblighi previsti dalla legge. Il primo, scrive Agricola, è quello della Valutazione di Impatto ambientale nazionale. «I siti di prefabbricazione dei cassoni in calcestruzzo», scrive l’alto funzionario, «non erano previsti nel progetto di massima, sono stati inseriti nel 2002 e realizzati senza le approvazioni che la normativa vigente prevede come necessarie». «La modifica dei cantieri», scrive ancora il direttore generale, «realizzati in aree protette, quanto meno non ha seguito tutte le procedure autorizzative previste». Altra carenza è quella del progetto esecutivo e del monitoraggio, che la legge affida al ministero: «La mancata gestione di un’opera come il Mose potrebbe innescare danni amvbientali ben più gravi di quelli attesi per la sua realizzazione».
Insomma, muro contro muro. E stavolta non soltanto politico, ma supportato da precise contestazioni formali. Come reagirà il governo? Potrebbe decidere di tirar dritto, ma la situazione si complica anche per il «no» deciso del Comune, l’appello di una decina di senatori dell’Ulivo che hanno chiesto a Prodi di rispettare le indicazioni della commissione Ambiente.
Ieri si è aggiunta anche un appello al Parlamento firmato dai presidenti nazionali della maggiori associazioni ambientaliste. Fulco Pratesi (Wwf), Carlo Ripa di meana (Italia Nostra), Giuliano Tallone (Lipu) e Fabrizio Vigni (Sinistra ecologista). Chiedono che il governo riveda la sua posizione e tenga conto della posizione degli enti locali (Provincia e Comune) e del dissenso espresso dai ministri sulla grande opera.
Infine, le alternative. Fernando De Simone, architetto e rappresentante in Italia del gruppo Tec-Norconsult, ha invitato i ministri Di Pietro e Pecoraro Scanio a visitare la diga mobile di Rotterdam. «E’ l’unica che funziona, l’hanno preferita al Mose, non ha meccanismi sott’acqua. Perché non vengono a vederla prima di decidere?»
Non può essere il Magistrato alle acque a controllare i cantieri del Mose, serve un "soggetto terzo". L'Ufficio di piano? Se rivisto e corretto, perché no? «Vediamo, discutiamo insieme», dice Massimo Cacciari. Che sulla salvaguardia di Venezia è già passato alla «fase 2»: visto che sul Mose ha deciso tutto il governo e che la concertazione non c'è stata, che almeno il Comune sia «adeguatamente informato da un organismo veramente terzo di come procedono i lavori».
Occhio: il sindaco non intende lasciar passare l'affronto subito da Palazzo Chigi. L'ha detto prima ai capigruppo di maggioranza, poi in una improvvisata conferenza stampa: «Ho riferito ai capigruppo il lavoro svolto in questi mesi e quant'è avvenuto al tavolo tecnico che si è riunito soltanto due volte. Il rimpianto è che questo confronto molto tecnico e altamente scientifico non sia avvenuto prima e che in tutti questi anni si sia andati in un'unica direzione per un unico progetto». Finché, venerdì scorso, il voto del consiglio dei ministri «ha messo forse troppo frettolosamente conclusione a questo confronto». Un confronto, ribadisce Cacciari, che non era ancora terminato, visto l'ultimo malloppo di carte («una memoria molto articolata») presentato da Ca' Farsetti sulle criticità del Mose e rimasto evidentemente sul tavolo. «Può darsi che questo confronto si tenga nel Comitatone - dice, non troppo convinto, il sindaco - ma comunque non sarebbe un confronto tecnico scientifico». Sta di fatto che la «conclusione» della vicenda registrata con il voto del consiglio dei ministri «non tiene conto dei rilievi e delle indicazioni del consiglio comunale di Venezia» Cacciari prende l'ordine votato a larghissima maggioranza lo scorso 5 giugno ed elenca: la concertazione non c'è stata, la possibilità di verificare soluzioni più semplici e meno onerose era solo iniziata («E dei costi Mose e della sua manutenzione non si è neanche parlato»), le sperimentazioni non ci sono state... Insomma, di quel che chiedeva Ca' Farsetti il governo Prodi non è che abbia dimostrato grande attenzione: «Dovrò ribadire in Comitatone che all'ordine del giorno del consiglio comunale non si è risposto in maniera adeguata». Ridire come? Verbalmente o con un documento? Cacciari glissa: «Valuteremo». Ma la posizione di Venezia la farà mettere ai voti? «Non lo so».
Quel che sa - e dice - è che «se il Comitatone ribadirà la posizione già assunta dal consiglio dei ministri, allora bisognerà avviare la fase 2». Primo punto della fase 2: l'informazione. «Essere adeguati informati - dice Cacciari - da un organismo veramente terzi di come procedono i lavori sia alle bocche di porto sia per quanto riguarda l'aspetto morfologico e il disinquinamento della laguna». Sottolinea: non è solo il Comune ad aver lamentato la carenza di notizie, «anche alcuni ministeri, l'Ambiente ad esempio, hanno denunciato la mancanza di informazioni». Quale potrebbe essere l'organismo terzo, super partes? Cacciari fa un solo nome, quello dell'Ufficio di piano, facendo capire che comunque la sua composizione andrebbe rivista. Dice: «Non è indifferente come si fanno le opere che si decidono di fare, a maggior ragione se i flussi finanziari non sono sufficienti. Io porrò la questione in Comitatone, si vedrà. In Comitatone non c'è solo il Comune, ci sono anche altri soggetti».
Dopodiché - premesso che dell'indagine della magistratura non intende occuparsi, «tanto - gli fa eco Felice Casson - quell'indagine non porterà a nulla») «sottovoce» il sindaco pone un «problemino»: «Ho incontrato il commissario del Piemonte per la Tav, ha detto che gli sembrava del tutto logico far uscire la Tav dalla legge obiettivo, ripetere la valutazione di impatto ambientale, riavviare la concertazione con gli enti locali. Domando: qual è la differenza tra la Tav e il Mose?».
VENEZIA. Comitatone a Roma, il 22 novembre. Dopo il colpo di spugna sulle alternative al Mose, Palazzo Chigi convoca l’attesa riunione che dovrà decidere sul futuro della salvaguardia. Il governo ha deciso di andare avanti con i lavori alle bocche di porto. Ma i ministri Mussi e Pecoraro Scanio annunciano battaglia. E il sindaco Cacciari presenterà un ordine del giorno da mettere ai voti.
Riunione. Ne ha parlato ieri mattina in una riunione dei capigruppo di maggioranza, in cui si è deciso di ribadire la linea già approvata dal Consiglio comunale del 5 giugno scorso. «Verifica approfondita delle alternative» (che il Consiglio dei ministri ha bocciato con il voto contrario di tre ministri, Pecoraro, Mussi e Ferrero, e l’astensione di altri due, Bianchi e Damiano). Ma anche il monitoraggio ambientale dei lavori in corso, l’avvio di sperimentazioni con sistemi reversibili per fermare l’acqua alta e l’approccio sistemico alla salvaguardia della laguna. Significa che il Comune, pur prendendo atto che il governo ha deciso di accelerare, non rinuncia a esporre le sue ragioni e appoggia la linea del sindaco. Una linea a cui si è associato ieri anche Sebastiano Bonzio di Rifondazione.
Il sindaco. «Ognuno si prenderà le proprie responsabilità - ribadisce Cacciari - sul documento chiederò che si vada ai voti». Posizione illustrata anche a una delegazione dell’Assemblea permanente «No Mose», che è stata ricevuta in municpio. «E’ un’altro schiaffo alla città - dice il portavoce Luciano Mazzolin - si è deciso di mandare avanti un progetto inutile senza ascoltare 12.500 persone che hanno firmato la petizione per bloccare i lavori, il sindaco di questa città e i tanti tecnici che hanno espresso dubbi. Ci riuniremo allo Iuav e decideremo il da farsi. Manifestazioni per il giorno della Saluite o a Roma lo stesso giorno del Comitatone».
La sfida. Una partita che molti considerano ancora aperta. «Dobbiamo tentare in tutti i modi - dice il capogruppo dei Verdi Beppe Caccia - di evitare una decisione scellerata, che imporrebbe sulla testa della città un progetto sbagliato, inutile, dannoso e costosissimo. Insomma, il bidone del secolo». «Il governo detto sì al Mose - spiega il segretario dei Ds Michele Mognato - noi eravamo convinti delle alternative ma ora occorre che il Comune sia protagonista sul fronte del monitoraggio dei cantieri e sul miglioramento ambientale».
I precedenti. Ma la battaglia non si ferma. E c’è chi ricorda che non è la prima volta che il governo tira dritto davanti alle osservazioni negative di organi tecnici sul progetto Mose. Era successo nel 1990 con Prandini dopo la bocciatura del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, nel 1999 e 2001 con i governi D’Alema e Amato che avevano rinunciato a sostenere la Valutazione di impatto ambientale negativa del ministero.
Aventi tutta. Intanto i lavori proseguono. E ieri il precomitato di magistratura, esperti e ingegneri del Magistrato alle Acque riuniti a palazzo Dieci Savi, ha dato il via libera ad altri 3 progetti esecutivi che riguardano il Mose. Due per la bocca di Malamocco, con le protezioni ai fondali per preparare la base dei cassoni. Uno per il secondo stralcio del porto rifugio di Treporti, in bocca di Lido. Qui dovranno essere costruiti i grandi cassoni in calcestruzzo che saranno poi sistemati sui fondali della laguna. Un cantierie che in un primo momento non era previsto al Lido. «Ma la commissione di Salvaguardia ha deciso così», dice la presidente Piva. Così al Lido, verso Punta Sabbioni, dovrebbe cominciare l’attività di costruzione dei manufatti largi fino a 150 metri per 30. Saranno posati sul fondo su 12 mila pali in calcestruzzo. Dai fondali della laguna saranno estratti milioni di metri cubi di materiale, sostituiti con 8 milioni di metri cubi di calcestruzzo. L’intervento «pesante» che prelude all’ultima fase di costruzione del Mose: la posa delle paratoie. Intanto alle tre bocche proseguono i lavori preliminari, per le conche e i porti rifugio, e di preparazione al Mose vero e proprio, già finanziati con 1200 milioni di euro dal Cipe.
Blitz a Palazzo Chigi, passa il via libera al Mose
di Alberto Vitucci
VENEZIA. Uno schiaffo in piena regola. E un brusco altolà del «partito democratico» al suo sindaco filosofo. Con un blitz a sorpresa, il Consiglio dei Ministri ha bocciato ieri la proposta del sindaco Cacciari di avviare progetti alternativi al Mose. Proprio quando si era arrivati nel vivo del confronto tecnico sulle carenze del progetto, il governo ha deciso di accelerare. «Non sono emersi elementi nuovi che inducano a modificare il progetto originario», ha riferito il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. Una forzatura che ha provocato aspre polemiche e apre una frattura nella maggioranza di governo.
Dissidi. Contro la proposta di Prodi e Di Pietro hanno infatti votato due ministri che fanno parte del Comitatone, il titolare dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio e il ministro della Ricerca scientifica Fabio Mussi, che si è dissociato dal rapporto del Corila favorevole al Mose, oltre al ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero di Rifondazione. E si sono astenuti in due, Alessandro Bianchi, il titolare dei Trasporti del Pdci, anch’egli membro di diritto del Comitatone («Non ho visto le carte», ha dichiarato) insieme al ministro del Lavoro Cesare Damiano. Favorevoli gli altri venti ministri, Margherita e Ds al gran completo. Assente il vicepremier Rutelli.
Promesse. Eppure in campagna elettorale i segretari dei partiti dell’Ulivo avevano più volte promesso: «Sul Mose faremo come dice Cacciari. Ogni decisione sarà presa ascoltando le comunità locali». Invece ieri è arrivato il blitz, che ha colto di sorpresa molti ministri, lasciato di stucco mezzo Comitatone, esperti e funzionari che avevano esaminato studi e dossier nelle due riunioni dei giorni scorsi a Palazzo Chigi. Al termine del secondo incontro, mercoledì sera, il segretario generale della presidenza del Consiglio Carlo Malinconico aveva assicurato che i documenti sarebbero stati esaminati con risposte scritte. Invece, 24 ore dopo, il ministro Di Pietro ha portato la delibera in Consiglio.
Il blitz. A suggerire l’accelerazione forse il timore di arrivare spaccati al prossimo Comitatone, che dovrebbe essere convocato entro fine mese. Ma anche, suggeriscono i malevoli, il timore di arrivare al confronto tecnico decisivo che avrebbe potuto aprire nuovi scenari. Dunque, la politica ha detto stop. Era già successo nel 1990, quando il Comitatone presieduto dal ministro dc Gianni Prandini aveva superato il voto negativo del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici sul primo progetto Mose. E nel 1999 e 2001, quando i governi D’Alema e Amato avevano deciso di superare la Valutazione di impatto ambientale negativa sul Mose rinunciando anche a fare appello contro la bocciatura del Tar Veneto.
Il futuro. Cosa succederà adesso? I lavori già approvati vanno avanti, e il Consorzio Venezia Nuova può ora proseguire nell’attività, in attesa dei nuovi finanziamenti (mancano 2700 milioni di euro). La decisione definitiva sul Mose sarà presa in Comitatone, anche se la delibera approvata ieri dal governo mette quasi la parola fine alla speranza di valutare ipotesi alternative.
I rischi. Ma quella di ieri è una decisione che rischia di lasciare il segno. Non più tardi di due mesi fa le commissioni Ambiente di Camera e Senato avevano chiesto al governo di fermare i lavori del Mose, ritenuti illegittimi, per consentire l’esame delle alternative. Adesso i parlamentari tornano all’attacco. «Checché ne dica il ministro Di Pietro, i progetti alternativi non sono stati esaminati», ha detto ieri il presidente della commissione Ambiente del Senato Tommaso Sodano, «perché questo governo deve imitare il livello di approssimazione megalomane di Berlusconi?» «Il progetto Mose è sbagliato. Speriamo che al prossimo Comitatone il governo possa rivedere la decisione», dice il ministro Pecoraro, «e mostrare maggiore capacità di ascolto per gli esperti che chiedono di non buttare i soldi dei contribuienti in fondo alla laguna».
SCONFITTO MA BATTAGLIERO: «NON MI DIMETTO»
Cacciari medita la contromossa: «Ci vediamo in Comitatone»
VENEZIA. «Uno schiaffo al sottoscritto? Non è detto che sia così. Adesso porteremo un ordine del giorno in Comitatone. Voteremo su quello». Non è per nulla di buon umore, il sindaco Cacciari. Ha appreso in tarda mattinata del blitz del Consiglio dei ministri. Che ha spazzato in un attimo migliaia di pagine di osservazioni e di studi, critiche e dibattiti, e detto «stop» alle alternative. Una battaglia persa per tutti coloro che credevano nelle alternative al Mose meno costose e meno distruttive per l’Ambiente. E un brutto colpo anche per il sindaco filosofo, che si era speso molto su questo tema. Ma a Roma non ha avuto ascolto.
Ieri si era sparsa anche la voce, subito smentita dall’interessato, che il sindaco deluso stia meditando le dimissioni. Intanto nel pomeriggio, dopo aver parlato al telefono con i ministri Pecoraro e Mussi, si è riunito con il suo staff per dar forma all’ordine del giorno.
E’ una battaglia ormai persa?
«C’è nobiltà anche nella sconfitta».
Insomma la decisione definitiva del governo è ormai presa.
«Non so, non mi pare proprio per quanto ci riguarda».
Ma il Consiglio dei ministri ha votato.
«Tocca al Comitatone decidere. Stiamo preparando un ordine del giorno da portare al Comitatone per farlo votare. Lì ci confronteremo».
Il ministro Di Pietro dice che non sono emersi elementi nuovi per modificare il progetto Mose. Significa che non ha letto i vostri dossier?
«Alla fine dell’ultima riunione, mercoledì sera, il segretario della Presidenza del Consiglio si era impegnato a riferirci i risultati dei confronti tecnici».
Invece il governo ha scelto la strada del Mose e scartato le alternative.
«Su questo chiederemo chiarimenti. Il segretario generale avrà pure riferito a Prodi il risultato degli incontri». (a.v.)
Imbarazzo nell’Unione. Galan ringrazia il premier
di Roberta De Rossi
VENEZIA. Se ogni dibattito sul Mose provoca normalmente un profluvio di commenti, questa volta dai banchi di Quercia e Margherita i più tacciono.
Qualche sassolino se lo toglie il Polo, per quanto il gusto della vittoria renda il governatore Giancarlo Galan moderato nei toni. Niente lazzi per gli sconfitti: «Ringrazio il governo Prodi per quanto deciso oggi dal Consiglio dei ministri e che conferma la costante attenzione per la salvaguardia e la difesa fisica di Venezia sempre avuta dai Parlamenti e dai governi nazionali che si sono succeduti dal 1966 ad oggi alla guida del nostro Paese». Chi invece non rende l’onore delle armi è il consigliere comunale azzurro Michele Zuin: «Visto l’accanimento anti-Mose del sindaco Cacciari, non mi resta che chiederne le dimissioni».
Nella maggioranza, a intervenire polemicamente è il fronte rosso-verde. «Una decisione molto, molto grave, non basata su un esame approfondito della vasta documentazione presentata dal Comune e condivisa dal ministero dell’Ambiente», commenta delusa la deputata verde e assessora alla Cultura, Luana Zanella, «spero che Prodi sia davvero consapevole dell’impatto sui destini della città e che il Comitatone valuterà le possibili iniziative per contrastare questa chiusura. E’ molto grave che i cantieri procedano, vista la loro dubbia legittimità».
Stessa linea molto critica per il parlamentare di Rifondazione, Paolo Cacciari, che si dice «particolarmente amareggiato». «Quella del governo è stata una valutazione grave e sbagliata», osserva, «perché contraddice quanto scritto nel programma dell’Unione sulla concertazione tra enti locali e governo sulle grandi opere. E’ sbagliata perché il Mose - straordinariamente costoso e impattante - è destinato a squilibrare ancora di più il rapporto mare-laguna. La decisione finale è del Comitatone: il Comune prenda posizione netta contro i lavori».
Per mesi, la sezione veneziana dell’Italia dei Valori si è schierata a favore dei progetti alternativi, liquidati invece dal ministro Di Pietro. C’è un certo imbarazzo. Il senatore veneziano Massimo Donadi sottolinea «come la decisione sia stata presa a maggioranza dal Consiglio dei ministri. Siamo sempre stati convinti che anche un intervento alle bocche di porto sia necessario per la protezione di Venezia, ma quello che ci stava a cuore e che non si proseguisse nei lavori senza una valutazione tecnica precisa delle alternative. A questo punto, dobbiamo ritenere ci sia stata».
A parlare, per i Ds, è il segretario provinciale Michele Mognato: «E’ una grande responsabilità quella che si è assunta il governo. I ds veneziani hanno forti riserve sul progetto, perché è indispensabile una visione sistemica della salvaguardia; il ripristino dei meccanismi finanziari della Legge speciale per attività di salvaguardia ambientale, socio-economica e disinquinamento; la continuità 365 giorni all’anno del porto. Si è dato solo risposta al ripristino dei finanziamenti, reinseriti in Finanziaria dopo 5 anni. Le criticità espresse, anche dal Comune, dovevano essere oggetto di approfondimenti ulteriori, per non trascurare i presupposti fondamentali della Legge speciale: gradualità, reversibilità, sperimentazione per tutti gli interventi, Mose compreso». Per il capogruppo in Comune della Margherita, Piero Rosa Salva, «le responsabilità sono di chi le ha. Il Consiglio comunale aveva espresso una posizione intelligente, chiedendo di verificare le alternative. La decisione è stata presa prima di ultimare le verifiche? Ci pare significativa una rapidità così». «Bisogna rammentare che sul Mose», spiega Patrizia Fantilli, dell’Ufficio legale del Wwf Italia, «la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora il 19 dicembre per violazione della Direttiva habitat. E’ quindi aperta una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia: il Mose è un’opera dannosa, non piace né all’Unione europea né ai veneziani». «Non si capisce perché il governo, anche a costo di una spaccatura interna, debba andare avanti come uno schiacciasassi», chiosa Roberto Della Seta, presidente di Legambiente, «Una fretta inspiegabile che ha impedito un confronto serio su tutte le possibili soluzioni». Sulle barricate l’Assemblea NoMose: «Sono i potentati economici a condizionare le scelte della politica», commenta il sindacalista Salvatore Lihard, «che non ha ascoltato né Parlamento, né Comune, né tecnici».
«Fermare i lavori alle bocche di porto e modificare il progetto Mose, avviando opere sperimentali, graduali e reversibili contro l’acqua alta». Un rapporto durissimo quello inviato ai membri del Comitatone dal ministero per l’Ambiente. Annunciato alla riunione tecnica della settimana scorsa e ora protocollato su carta intestata. Che sarà oggi sul tavolo del preComitatone, convocato nel pomeriggio a palazzo Chigi. Il confronto-scontro prosegue, e oggi a Roma ci sarà la task force di esperti guidata dal sindaco Massimo Cacciari, con l’ingegnere idraulico dell’Università di Padova Luigi D’Alpaos. Nel primo vertice il Comune ha contestato le tesi del Magistrato alle Acque e del Consorzio. E ha proposto modifiche progettuali che ridurrebbero da subito le acque alte di 20 centimetri in attesa di certezze maggiori sull’aumento del livello del mare. Adesso a dar man forte alle tesi del Comune arriva il ministero per l’Ambiente. «Il ministero dell’Ambiente ha competenze di legge dirette sulle opere e sui programmi di salvaguardia», si legge nel rapporto della segreteria tecnica del ministro, «e condivide la proposta del Comune di Venezia di sospendere l’attuazione del progetto Mose e avviare le attività sperimentali». Una parte del rapporto è dedicata alle carenze procedurali e alla mancanza di autorizzazioni dei cantieri aperti alle bocche. La mancanza della Valutazione di impatto ambientale e la mancanza di un progetto esecutivo generale. Carenze gravi, secondo il ministero, perché «i lavori fin qui eseguiti sono stati autorizzati in modo improprio e non rispondente alla normativa vigente. Non basta, perché secondo il ministero esistono anche «difformità urbanistiche e impatti sull’ambiente, oltreché violazioni delle normative europee sulle aree Sic già contestati dall’Unione europea, che ha aperto una procedura di infrazione contro il governo italiano. Il rapporto tecnico punta infine il dito sulle «criticità irrisolte» del progetto Mose. E critica pesantemente il Corila, il Consorzio ricerca laguna «cui è stato affidato il monitoraggio dei lavori alle bocche che non prende in considerazione e non analizza gli aspetti ambientali relativi agli impatti diretti e indiretti, del progetto Mose».
Si annuncia dunque uno scontro piuttosto acceso. perché il Magistrato alle Acque e il Consorzio Venezia Nuova, con i nuovi consulenti, sono decisi a sostenere le loro tesi. E il Consorzio risponde al sindaco Cacciari, che aveva avvertito: «I veneziani sappiano che il Mose non eliminerà le acque alte, ma solo quelle eccezionali, una o due volte l’anno». «Il Mose è in grado di fermare tutte le acque alte», replica il pool di imoprese, «i 110 centimetri oggi definiti corrispondono alla quota in cui si è deciso di rialzare la città e possono essere modificati in qualsiasi momento». Una tesi però contestata dagli oppositori del Mose. Perché aumentando il numero delle chiusure aumentano anche i problemi ambientali della laguna e i danni all’economia del porto.
Oggi pomeriggio intanto secondo round tecnico nella sala verde di palazzo Chigi. «Potrebbe anche non bastare l’incontro di oggi, vedremo», dice il sindaco Cacciari, «in ogni caso finalmente ci si confronta nel merito». E il Comune annuncia nuovi studi critici e alternativi.
Il confronto «tecnico» voluto da Cacciari, in attesa del Comitatone decisivo che si dovrà svolgere entro novembre, potrebbe però trasformarsi in polemica politica. Alla riunione di oggi ha annunciato la sua presenza anche il presidente della Regione Giancarlo Galan, da sempre convinto sostenitore del progetto del Consorzio Venezia Nuova.
Quando ero piccolo, come tutti i bambini, amavo riascoltare sempre le stesse favole e tormentavo mia nonna perché si prestasse alla insistente richiesta. Non sempre venivo esaudito perché quando era troppo stufa dell´abituale «c´era una volta...», se ne usciva con una specie di cantilena, assai popolare a Venezia, sua città d´origine, che suonava così: «Questa è la storia del sior Intento/ che dura tanto tempo/ che mai no se destriga/ vusto che te la conta/ o vusto che te la diga?». La filastrocca mi è tornata alla mente, forse per la sua matrice lagunare, di fronte a un´altra storia infinita, l´ennesima rimessa in discussione del Mose, il sistema di dighe mobili, che rappresenterebbe l´unica vera misura di salvaguardia della Serenissima nel caso, niente affatto scongiurato, che si ripetesse una «acqua granda» come quella che quarant´anni orsono – il 4 novembre 1966 – rischiò di distruggere la città (vedi il servizio di Roberto Bianchin su "Repubblica" del 2 u.s.). Si tratta ormai di una vicenda grottesca, almeno per quanto riguarda il defatigante gioco dell´oca che si ripete da decenni, tendente a rinviare ogni volta alla casella di partenza il compimento dell´opera.
Ricapitolo per i lettori: nel 1973 il Parlamento vara la prima legge speciale per la salvaguardia di Venezia da future catastrofi; nel 1984 esce una seconda legge speciale che definisce la concessione al consorzio chiamato ad operare; nel 1989 il progetto preliminare del Mose è approvato; nel 1992 è la volta della terza legge speciale; nel 1994 il progetto riceve l´avallo del Consiglio superiore dei Lavori pubblici; tra il 1995 e il 1998 si esplicitano tutte le procedure di valutazione dell´impatto ambientale. Fra l´altro, di fronte alla complessità del tema, il giudizio venne rimesso ad un comitato internazionale di esperti scelti tra le più prestigiose università del mondo e il verdetto fu ancora una volta favorevole al Mose. Comunque durante il lunghissimo iter si sono succeduti studi, sperimentazioni, confronti tra ipotesi diverse, verifiche, ricorsi e approvazioni istituzionali. Infine nell´aprile del 2003 i lavori partirono con tutti i crismi.
Dopo tre anni e mezzo più di un quarto del progetto è stato completato. Settecento lavoratori, destinati al raddoppio, vi sono impegnati.
L´occupazione indiretta è di quattro volte tanto. I cantieri stanno procedendo alle tre bocche di porto. 40 imbarcazioni di appoggio sono operative. È già stata realizzata un´isola artificiale che servirà da struttura intermedia, ai lati sono in costruzione le strutture profonde destinate ad alloggiare le paratoie. La costa è stata ridisegnata con la costruzione di due porti per il ricovero e il transito delle piccole imbarcazioni nei momenti di chiusura delle dighe. Già ampiamente perfezionata è la grande conca di navigazione che consentirà il passaggio di grandi navi anche quando le paratoie del Mose fossero alzate per l´acqua alta. Ampi tratti dei fondali sono stati rafforzati. Il costo dell´impianto e delle opere connesse è previsto a «prezzo chiuso» in 4 miliardi 271 milioni di euro. Di questi è già stato speso circa 1 miliardo. Fra sei anni, a fine lavori, Venezia non solo sarà al sicuro dai disastri tipo New Orleans ma anche dalle acque alte di livello medio-alto che con sempre maggiore frequenza la invadono. Ma tra il dire e il fare, in questo caso, non c´è di mezzo il mare ma la ragion politica. Le pressioni dell´ambientalismo radicale, la stimabile preoccupazione di non sbagliare e, forse, l´idea che i finanziamenti potrebbero venire meglio impiegati per opere di immediata resa hanno suggerito al sindaco Cacciari di riproporre, malgrado l´avanzamento dei lavori, ben 11 progetti alternativi. Il governo li ha sottoposti a tutte le strutture tecniche ministeriali.
Quasi tutti i pareri espressi finora confermano che nessuna alternativa meglio del Mose assicurerebbe Venezia dalle inondazioni catastrofiche e dalle acque più alte. Però non basta e si profila un prosieguo di istruttoria.
Sarebbe, peraltro, opportuno chiedersi per quale motivo il Paese dovrebbe accollarsi il pesante onere finanziario della salvaguardia, una volta negata la realtà della minaccia che grava su Venezia. Ma quel che soprattutto mi sfugge è perché gli ambientalisti con i quali spesso concordo (ho scritto per primo contro il ponte di Messina) in questo caso manifestino tanta avversione: il Mose è un´opera di prevenzione; si basa sul principio di precauzione; è concepita a scomparsa sott´acqua per non offendere il paesaggio. Risponde cioè a valori ambientalistici fondamentali. E allora perché no?
Postilla
"Tutto è già stato detto, ma siccome nessuno ascolta, bisogna sempre ricominciare" A.Gide. E allora rinviamo chi vuol conoscere a una lettura dei documenti pubblicati nella cartella dedicata al MoSE. Il guaio è che sono più quelli che leggono Pirani di quelli che frequentano i siti dove si dicono le cose, e si producono i documenti, che non piacciono al Consorzio Venezia Nuova.