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La Repubblica Milano, 28 novembre 2012, postilla (f.b.)

NEGLI ultimi nove anni dalle strade della città sono già sparite 74mila auto. E nella Milano del futuro ne mancheranno altre 47mila. I milanesi si convertiranno ancora di più alle due ruote, con 8mila motocicli in più in circolazione previsti nel 2015. Con meno rumore in città, rispetto a quello che oggi subisce un cittadino su cinque. Una città con meno traffico e più bici, con l’incognita della congestione fuori dalla Cerchia: è la fotografia delle trasformazioni — quelle già avviate nel passato e quelle future — scattata dall’aggiornamento del Piano generale del traffico urbano, il Pgtu che programma la mobilità nel breve periodo.

Ma lo scenario per il 2015 vale solo se il Comune porterà avanti la propria missione sul fronte del traffico. Cioè Area C viva e vegeta, magari anche rafforzata. E poi più mobilità dolce, meno congestione in centro, più isole ambientali, ztl, piste ciclabili e zone con il limite dei 30 chilometri all’ora, potenziamento del trasporto pubblico, carico e scarico merci più razionale e strisce blu diffuse. Un libro dei desideri, confortato da previsioni tecniche, che la giunta Pisapia conta e spera di poter tradurre in realtà. «La difficoltà principale riguarda la poca chiarezza circa il quadro delle risorse statali sul trasporto pubblico nei prossimi anni — sottolinea l’assessore alla Mobi-lità, Pierfrancesco Maran — . Il nostro obiettivo è incrementare la possibilità di muoversi dei cittadini: su questo, dal car sharing e bike sharing, anche le nuove tecnologie possono produrre alternative interessanti ». Dopo un incontro pubblico, il 20 dicembre, il Pgtu approderà prima in giunta e poi, tra febbraio e marzo, in Consiglio comunale.

LE AUTO
Nel 2015 caleranno ancora di più le auto. Le previsioni parlano di un 15% in meno rispetto a oggi. Traffico in lievissima discesa (— 1,1%), spostamenti più veloci del 17% nella Cerchia dei Bastioni, una media di percorrenza tagliata di un terzo, specie nelle ore di punta. Con un neo: alcune strade, come tra corso Sempione e via Volta e viale Caldara e Regina Margherita, sono a rischio di congestione proprio per l’espulsione crescente di traffico dal centro storico, più a mobilità lenta, verso le arterie esterne.

ZONE 30 E ISOLE PEDONALI
In meno di dieci anni la Milano pedonale è già cresciuta: da 296mila metri quadri del 2003 ai 399mila di oggi. Stessa cosa per le zone a traffico limitato (134.800 metri quadri) e le zone 30 (325.600 metri quadri). Inoltre, oggi si contano 145 km di piste ciclabili e la giunta conta di aumentarli, specie sull’asse Argonne-Indipendenza ma anche Maciachini-Comasina, QT8-Gallaratese, Lotto-Triennale, Duomo-Sempione, Duomo-Porta Nuova, Portello-Molino Dorino e Medaglie d’Oro-Chiaravalle. Entro l’anno, invece, le stazioni del bike sharing, dalle 150 di oggi dovrebbero salire a 200, per completare la fase 2 del piano delle bici gialle in affitto.

PREFERENZIALI E SEMAFORI
Venti nuove corsie preferenziali, per favorire i mezzi pubblici che, più veloci, sono un’alternativa all’auto
privata. Tra queste, già inserite nel Piano triennale delle opere pubbliche ci sono gli interventi nei tratti di viale Gorizia-Col di Lana-Bligny-Sabotino, Cermenate-Antonini, Coni Zugna, Certosa-Bovisa- Maciachini, Solari-Montevideo, Tunisia. Anche i semafori hanno un ruolo: dopo gli effetti positivi ottenuti finora su 5 linee (90, 91, 4, 12 e 15), la missione è intervenire per dare la priorità del verde anche ai mezzi delle linee 7 e 13.

SOSTA E PARCHEGGI
Il Comune proseguirà sulla strada della strisce blu, anche per abbattere la sosta selvaggia che supera
un terzo dei parcheggi, si stima. Nel 2012 l’incremento delle zone regolamentate è stato del 73% per i residenti e dell’87% per le strisce blu (rispetto al 2003). Il piano individua l’estensione degli ambiti di sosta regolarizzata, da Zara-Testi ad Abbiategrasso, da Bisceglie a Rogoredo, da Cascina Gobba a Mac Mahon, Piero della Francesca, Bovisa e Città Studi.

INQUINAMENTO: ARIA E RUMORE
Dal 2003 al 2012 sono scese le emissioni atmosferiche di quasi tutti gli inquinanti, del 31% come minimo. E nel 2015 si stima che si avrà un calo fino al 12%. Anche il rumore è nel Piano: nonostante oggi la maggior parte dei milanesi sia esposta a variazioni trascurabili di livelli di suono, cioè sotto gli 0,5 decibel, resta ancora un 19,5% di cittadini che subiscono oscillazioni acustiche più significative. Una cifra che, se il piano funzionerà, nel 2015 scenderà al 4%.

Postilla
Come spiega già molto bene l’incipit, dalla città le auto stanno già sparendo, ovvero sono i cittadini a decidere di mollare la propria scomoda e inquinante scatoletta di lamiera. E la vera questione dei programmi per il futuro è. Saprà la pubblica amministrazione affiancare (cosa che sinora il centrodestra al governo non si è mai sognato di fare) virtuosamente il processo spontaneo, favorendo tutte le azioni individuali e collettive, pubbliche e private, che vanno in questo senso? Muoversi vuol dire andare da un posto all’altro per qualche motivo, e questi motivi dipendono dalla forma urbana, dalla distribuzione delle funzioni e dalla loro organizzazione. Su questi aspetti occorre vigilare ed eventualmente intervenire, come pure su certi effetti isola assediata, ovvero quel che succede quando manca (o fallisce) un piano complessivo, e le trasformazioni si fanno eccezionali e puntuali, circondate dalla norma. A partire dal rapporto fra il centro e la periferia, e oltre i comuni dell’hinterland che, si spera presto, entreranno a far parte integrante della città metropolitana e delle sue politiche per la mobilità (f.b.)

La Repubblica Milano, 24 novembre 2012 (f.b.)

SONO i sette Comuni del cemento. Sette centri della provincia aggrappati ai confini del Parco Sud, il polmone verde di Milano, dove sono stati approvati — o sono in via di approvazione — i nuovi Pgt, piani di governo del territorio, a maggior impatto ambientale. Gorgonzola, Segrate, Melegnano, Rozzano, Cologno Monzese, Basiglio, Opera. È il cemento che passa dalla porta principale, ovvero i regolamenti comunali che, in questi casi, forniscono licenze di edificazione per milioni di metri quadri di suolo agricolo. Tutto rientra nelle regole: i Pgt vengono redatti sulla base di un aumento di popolazione previsto per i prossimi 5-10 anni e non intaccano le aree del Parco Sud. In compenso però lo assediano, dando il via libera alle edificazioni nelle aree agricole rimaste nei dintorni. Come succede a Gorgonzola, dove l’impatto che rischia di avere l’applicazione delle nuove regole è impressionante: qui i campi della fascia nord, circa 1,6 milioni di metri quadri di verde, potrebbero scomparire.

Secondo le associazioni ambientaliste questi piani non rispondono a esigenze abitative reali. Anche perché spesso si basano su prospettive di crescita che non si reggono su dati statistici e demografici, ma danno comunque un “alibi” ai costruttori per edificare sul verde. Su questo Segrate vanta un record. Qui, il Comune — in funzione di una crescita pari a 15mila abitanti nei prossimi anni (ora sono meno di 35mila) — ha approvato un piano che prevede il consumo di 162 ettari di suolo, di cui 106 di spazi agricoli. «A questi — spiega Paolo Micheli, della lista civica di sinistra Segrate Nostra — si vanno ad aggiungere i 141 dei piani di intervento integrati approvati prima del Pgt. In pratica è stato reso edificabile tutto ciò che di verde era rimasto a Segrate ».

Qualcosa di simile accade a Rozzano, dove una delle cose che ha fatto infuriare i comitati anti-Pgt è il numero di nuovi abitanti previsto: 14.500 persone in più, praticamente una seconda città visto che in quella attuale ne risiedono 41mila. Non solo. Un’altra delle stranezze, sempre a Rozzano, riguarda i volumi previsti: in un’area di poco più di 500mila metri quadri le volumetrie residenziali e terziarie da realizzare sono pari a qualcosa come nove Pirelloni. «Un’assurdità — secondo Adriana Andò del comitato “Occhi Aperti” — vogliono toglierci i campi sportivi e distruggere il verde superstite ».

In molti puntano il dito contro le amministrazioni comunali, accusando i sindaci di guardare agli oneri di urbanizzazione e alla vendita di terreni per sistemare i bilanci. «Ma le cose non stanno così — spiega il sindaco di Rozzano Massimo D’Avolio, del Pd — perché sappiamo bene
quali siano le situazioni del mercato immobiliare oggi. Non si possono fare bilanci sulla base di previsioni inesistenti». In molti casi (come appunto a Rozzano) si tratta di spazi già in mano ai privati che, nel tempo, hanno acquisito diritti su queste aree. «Il diritto privato equivale a quello pubblico — sottolinea D’Avolio — e non si può pensare di retrocedere ». Qualcosa del genere devono aver pensato anche gli amministratori di Melegnano, dove il Pgt ha previsto la trasformazione di un territorio agricolo di 400mila metri quadri, diviso in due terreni che finora fanno da “cuscinetto verde” tra città e autostrada. Una delle due aree è proprietà della San Carlo e da anni si parla di trasferire lì un sito produttivo dell’azienda.

Risposte diverse alle richieste dei privati potrebbero arrivare seguendo altre strade. Ne è convinto Sergio Cannavò, di Legambiente: «Prima di dare la disponibilità per edificare su suolo libero - dice - bisognerebbe valutare quanto ci sia in giro di dismesso, invenduto e sfitto». Prospettiva lungimirante, ma rara da incontrare. Nulla del genere si è visto a Basiglio, ad esempio, dove il piano ha previsto un consumo di suolo di 308mila metri quadri a fronte di un presunto aumento della popolazione del 35 per cento. «Chiunque abiti qui ha notato negli ultimi anni un aumento del numero di case vuote — spiega l’avvocato Alvise Rebuffi del Comitato Cittadino “Basitos” — inoltre le recenti iniziative immobiliari non hanno avuto fortuna a causa dell’assenza di domanda.
Su che basi è stato previsto un aumento della popolazione così importante?». I cittadini di Basiglio stanno dando battaglia e hanno raccolto le firme per un referendum consultivo.

Non sono gli unici ad essersi ribellati. A Opera il Pgt (non ancora approvato) prevede la trasformazione di quasi 300mila metri quadrati agricoli in terreno edificabile. Il tempo per presentare le osservazioni stringe, i consiglieri d’opposizione hanno dichiarato guerra al piano: «Una colata di cemento sta per abbattersi sul nostro Comune — dice Francesco Cavallone, del Pd — è uno scempio che l’amministrazione guidata dal leghista Fusco sta cercando di perpetrare in nome di interessi che non sembrano quelli dei cittadini operesi». Ma non è solo una questione di colori politici. A Cologno Monzese, infatti, tra i più arrabbiati contro il nuovo Pgt — 330mila metri quadrati di aree residenziali in arrivo — c’è proprio il Carroccio. «Quest’estate sono andata a vedermi i luoghi in bicicletta — racconta Daria Perego, segretaria cittadina della Lega Nord che si è battuta contro l’adozione del piano — sono gli ultimi fazzoletti di verde rimasti a Cologno, non possiamo perderli. Sarà durissima impedire l’approvazione del Pgt, ma ci batteremo fino all’ultimo».

Corriere della Sera Milano, 23 novembre 2012 (f.b.)

Quando ho letto due opinioni dell'ad Giuseppe Sala: la prima, che «Expo può essere l'occasione per realizzare un sistema che consenta di riqualificare il paesaggio e l'ambiente riscoprendo la vocazione di Milano e del suo circondario come città dell'acqua»; la seconda che «tecnicamente, la riapertura di una parte dei Navigli non è impossibile», mi si è allargato il cuore.

Non ho un'età che mi consenta di ricordare com'era Milano coi navigli aperti ma ho recentemente visitato le Gallerie d'Italia nei locali della ex Banca Commerciale Italiana, ora Intesa SanPaolo, dove quella Milano è così suggestivamente rappresentata nelle opere dei suoi pittori. Ricordo d'altra parte che il 12 e 13 giugno 2011 i milanesi hanno votato plebiscitariamente 5 referendum che ora impegnano il Comune di Milano, socio fondatore di Expo spa, che ha istituito un'apposita Consulta per il loro monitoraggio, a dare attuazione con atti concreti alle domande referendarie di intervento. Il quinto di questi quesiti (94,32 per cento di favorevoli) chiedeva appunto ai cittadini: «Volete voi che il Comune di Milano provveda alla risistemazione della Darsena quale porto della città ed area ecologica e proceda gradualmente alla riattivazione idraulica e paesaggistica del sistema dei Navigli milanesi sulla base di uno specifico percorso progettuale di fattibilità?».

Expo era chiamata in causa da un altro referendum, il terzo, che collegava il parco di Expo «al sistema delle aree verdi e delle acque». Penso che il progetto illustrato da Sala sia dunque un primo passo, collegato al piano della Darsena, per raggiungere un obiettivo così ambizioso e caro ai milanesi. Si parla di 160 milioni (175 erano quelli deliberati dalla giunta regionale, ma comprendevano la Darsena) che non vediamo ancora interamente impegnati nel progetto, che di vie ex novo prevede solo il canale seminterrato «Via d'acqua» che circonda l'area espositiva collegando il canale Villoresi a nord col Naviglio Grande a sud con un flusso di 2-2,5 mc/sec. D'altra parte nessuno può pensare che il retaggio che Expo lascerà a Milano e alla Lombardia si riduca a un semplice canale, pur importante, ma non navigabile, di collegamento fra vie d'acqua esistenti.

Qui si innesta tutta una discussione se Expo debba contribuire o quantomeno favorire la costruzione della via navigabile Locarno-Milano-Venezia (via Malpensa), per la quale stanno già investendo anche la Regione Piemonte e Cantoni svizzeri. In altre parole sarebbe importante che l'occasione di Expo 2015 fosse colta per l'esecuzione di opere che siano compatibili con questo grande progetto, incluso fra le promozioni di iniziativa comunitaria. Secondo uno studio commissionato dall'Istituto di management turistico di Bellinzona, questa realizzazione potrebbe portare a un giro d'affari di oltre 600.000 euro l'anno col transito di oltre 7.000 passeggeri per stagione. Da non buttare.

downtown terziaria, comunque lo si voglia intendere. Corriere della Sera Milano, 16 novembre 2012 (f.b.)

Previdenti per mestiere e missione aziendale, all'Inps hanno iniziato a programmare il trasloco quasi tre anni fa. Gli uffici sono stati riorganizzati, i servizi accorpati, i dipendenti progressivamente ridotti a poco più di duecento unità. Oggi, quando lasceranno il grattacielo di via Melchiorre Gioia 22, svolteranno l'angolo e chiuderanno un'epoca. «Abbiamo anticipato la spending review e operato in un'ottica di contenimento dei costi», dice Sebastiano Musco, il direttore dell'Area metropolitana Inps. Nel piano di revisione delle spese c'e il pensionamento del palazzo di Gioia e di tutto l'immaginario collettivo che ha costruito in oltre quarant'anni di storia. Le tensioni sociali. Le proteste sindacali aggrappate ai cancelli. Le code per i moduli 101. Il maxi concorso del 1982 con 800 assunzioni. Ma anche le telefonate anonime. L'incubo terrorista. Gli allarmi bomba. «Quest'operazione — ribadisce il direttore Musco — consentirà notevoli risparmi economici».

Gli sportelli chiudono alle ore 16, la sede storica dell'Inps cambia indirizzo, libera via Gioia 22 e si insedia in via Pola 9. Cinquecento metri di distanza, sei minuti a piedi. Il parametro che motiva il trasferimento è questo: l'Inps lascia i diciotto piani del grattacielo in affitto e ne prende sette nel nuovo polo direzionale, «riducendo notevolmente il canone di locazione». Il passaggio è simbolico, economico e pratico. Il palazzo di Gioia 22 (di proprietà mista) è un'architettura della Milano industriosa e febbrile del 1967, l'anno dell'occupazione studentesca in Cattolica, dei Rolling Stones al Palalido e della prima elezione del sindaco Aldo Aniasi. L'Istituto nazionale previdenza sociale ha realizzato qui una cittadella del welfare (con oltre duemila addetti negli anni Ottanta) e sperimentato un modello di gestione interna (con mensa e servizi al personale): «Negli ultimi anni, tuttavia, il "Grande Transatlantico" di Gioia ha presentato problemi di efficienza energetica e utilizzo degli uffici». Conservare l'identità o razionalizzare gli spazi? Tradire il vecchio e inaugurare una stagione di cambiamenti? «Ci siamo fatti queste domande tre anni fa — spiega Musco — e abbiamo concordato sulla risposta». Bisognava fare gli scatoloni.

Il blocco direzionale di via Pola 9 (di proprietà di una società di assicurazioni) è stato individuato in fondo a una ricerca di mercato mirata: «Non potevamo abbandonare la zona di Garibaldi-Gioia — dice il direttore Musco —. Questa sede dell'agenzia è identificata con il quartiere, c'è quasi un vincolo di familiarità e consuetudini. Sarebbe stato un errore sradicare gli uffici e traslocare lontano da qui». Gli sportelli riaprono nell'edificio che fu utilizzato dalla Regione prima del Pirellone bis. Gli ambienti sono stati ristrutturati e riadattati. La reception è stata ridisegnata e «avvicinata» alle richieste degli utenti. Il settore medico-legale sarà riaperto subito, lunedì mattina: «Ci sono visite di invalidità civile e pensionabile già prenotate, il servizio all'utenza sarà garantito senza soluzione di continuità». Per ristabilire orari e funzioni generali servirà qualche giorno in più, una settimana, forse meno, la macchina Inps è un gigante che va trattato con delicatezza, nei database sono classificati passato, certezze, ansie e speranze di migliaia di milanesi.

Il monumento di cemento e vetro alla pensione, in via Melchiorre Gioia, sarà riqualificato dalla proprietà e rimesso sul mercato. Il Fondo d'investimento Carlyle ha organizzato un concorso architettonico (dieci gli studi invitati) e scelto il progetto (presentato dal francese Jean Michel Wilmotte) che dovrà rinnovare anima e aspetto del palazzo. Il Comune ha ricevuto l'esito di gara e risposto con un dossier di osservazioni e richieste di chiarimenti. Nei prossimi mesi si conoscerà il destino del Grande Transatlantico di Gioia, il grattacielo (ormai ex) Inps.

La Repubblica Milano, 12 novembre 2012, postilla (f.b.)

ALCUNE, solo a livello preliminare, sono già in fase di realizzazione, le altre partiranno a breve dopo le gare d’appalto. Tutte volutamente fuori dal centro sorvegliato di Area C: sei strade e dintorni dal ritmo slow, per favorire pedoni e ciclisti, dove sarà obbligatorio circolare a 30 chilometri all’ora. La giunta finanzia la prima fase delle “isole ambientali” dell’era Pisapia, oasi antitraffico già progettate nei mesi scorsi e da attivare l’anno prossimo, appena terminati i lavori.
Per incrementare la sicurezza stradale e sostenere il primo lotto di “Zone 30” c’è un investimento di tre milioni. Perché non basta mettere un cartello 30 in un cerchio bianco rosso. Oltre ai cartelli stradali, l’istituzione delle isole a 30 all’ora prevede anche una serie di infrastrutture: dossi rallentatori, restringimenti della carreggiata, marciapiedi continui con spigolo vivo per evitare la sosta selvaggia delle auto. I lavori sono già cominciati nelle vie Lazzaretto, Casati e San Gregorio.

Nella lista delle isole ambientali compare anche via Melzo, scelta perché così verrà creata un’area slow anche dall’altro lato di corso Buenos Aires. Poi c’è il quartiere Figino. Qui la realizzazione del progetto va di pari passo con altre due opere: un investimento residenziale privato, che allargherà di fatto il quartiere oggi sviluppato soprattutto lungo l’asse di via Figino, e i cantieri per collegare la zona con il teleriscaldamento, con lavori che modificheranno la viabilità. Fuori dal centro, le «Zone 30» raggiungeranno via Parula, nell’area di via Padova. Per la precisione, vicino a piazzale del Governo Provvisorio dove, anticipando i tempi, negli anni Ottanta l’allora assessore al Traffico Augusto Castagna decise di trasformare il piazzale in una specie di “Zona 30”.

La prima fase delle isole include anche via Muratori e, soprattutto, via Tortona e via Solari, dove un anno fa è morto Giacomo Scalmani, 12 anni, investito da un tram mentre tornava a casa in bicicletta. Qui verrà realizzato un progetto nato dal confronto tra quartiere, consiglio di zona e associazioni: bassa velocità per le auto, alberi, stazioni del bike sharing. E una corsia preferenziale per la quale Atm sta ultimando i lavori di progettazione definitiva. A queste prime sei isole ambientali se ne aggiungeranno altre (dalla Milano romana delle Cinque vie a piazzale Accursio), già annunciate ma ancora da finanziare. Per quanto riguarda il centro, resta valida l’intenzione di imporre il divieto dei 30 all’ora in tutta la cerchia dei Bastioni, ma si procederà per gradi e si valuterà caso per caso.

Postilla
Forse sarà saltato all’occhio dei lettori più attenti, come la logica della zona a traffico controllato, o limitato, o rallentato, si stia con progetti del genere evolvendo verso una vera e propria idea alternativa di quartieri, inseriti entro un contesto metropolitano dove l’auto privata e il “progetto di suolo” che sottende sono in prospettiva destinati a sparire, ma in forme diversissime da quelle classiche della pedonalizzazione anni ’70. Per evitare che questa declinazione un po’ particolare degli shared spaces non finisca, poi, appunto per ricostruire una serie di circoscritte aree di privilegio entro, e al di fuori proiettare ulteriori disagi, occorre una stretta correlazione fra politiche urbanistiche, della mobilità, e delle funzioni, se possibile da subito di scala vasta e tendenzialmente sovra comunale. In attesa dell’agognata città metropolitana, come da un paio di generazioni (f.b.)

La Repubblica Milano 11 novembre 2012 (f.b.)

Dalla prevenzione dei grandi rischi, come alluvioni o esondazioni (vedi il Seveso) alla mappatura di tutto il verde cittadino fino al miglioramento dell’aria a Milano attraverso il titanio. Idee private, più o meno innovative, che provano a diventare pubbliche. Proposte di singole università, enti di ricerca o società grandi e piccole a caccia di risorse per una città più intelligente. Sono 15 i progetti (selezionati tra 21 proposte ricevute) che il Comune ha inviato al governo per chiedere finanziamenti nell’ambito del bando “Smart cities and communities and social innovation”. E ora spetterà al ministero dell’Istruzione e della ricerca decidere su quali investire. Innovazione e tecnologia per cambiare la vita della città. L’anno scorso, nell’ambito di un bando europeo, furono cinque i progetti che si aggiudicarono fondi per oltre due milioni.

Quest’anno, ci si riprova, con progetti da sperimentare proprio a Milano. E intanto il Comune continua a lavorare per creare un Agenzia per Milano smart city con imprese, università e Camera di commercio. «L’ampia partecipazione e la qualità delle idee presentate conferma l’attenzione creata a Milano intorno a questo tema — commenta l’assessore al Lavoro Cristina Tajani — penso che una città smart debba mettere al centro anche il tema dell’inclusione e della partecipazione: grazie alle tecnologie possiamo garantire a tutti più opportunità d’accesso ai servizi e maggior partecipazione».

E-ticket per treni e musei via i furgoni con il web SONO varie le proposte in tema mobilità. INSeT è la proposta di e-ticketing (di Reply): biglietto elettronico per mezzi in città, treni, alta velocità ma anche musei e carte sanitarie. URBeLOG, per esempio, è il progetto (di Telecom) che punta a snellire la logistica delle merci in città ed eliminare il traffico da furgoni. Come? Creando una piattaforma telematica per migliorare le consegne. Se vincerà, potrà essere sperimentato dentro l’Area C.

Esondazioni senza segreti con gli indicatori d’allerta SWARM è l’idea degli studiosi del Cnr per la tutela delle risorse idriche e la gestione di eventi climatici estremi come alluvioni ed esondazioni. Come? Utilizzando indicatori precoci di allerta e strategie di mitigazione legate ai cambiamenti climatici, e anche recuperando energia dal trattamento delle acque reflue. Green and smart Milano (di Green City Italia) è invece la piattaforma open source per mappare non solo il verde cittadino ma anche i dati su traffico e inquinamento e trasformarli in app.

L’aria è meno inquinata se si utilizza il titanio L’ALER propone materiali e sistemi innovativi di efficienza energetica per ristrutturare parte del patrimonio di case popolari in città a zero impatto. Il progetto AriaUrbana del Politecnico punta a migliorare l’aria dal punto di vista chimico e microbiologico, anche attraverso l’uso innovativo del titanio. Mentre GEOssLiFE (di Italtel) si propone per realizzare una mappa dei servizi del sottosuolo e catalogarli poi in un catasto elettronico: un progetto che include anche alcune zone recentemente coinvolte da terremoti in Emilia.

Schedatura culturale globale e-government in tribunale UN MONITORAGGIO di tutto il patrimonio artistico e culturale, anche sotterraneo. È l’idea che sostiene CH-Start (di Present Cultura), dove la tecnologia è al servizio dell’arte. Ma l’innovazione aiuta anche nella prevenzione: è il caso del progetto Sicurezza sul territorio che vuole mappare le emergenze di Milano e Torino. Spunti anche per migliorare la giustizia: Smart city Giustizia pensa a un servizio di e-government per far interagire il sistema giudiziario con il pubblico.

Flotte di droni elettrici occuperanno il centro SONO cinque i progetti che sono partiti a settembre in città con oltre due milioni di fondi da Bruxelles e alcuni guardano all’Expo come meta. Si va da Eu-Gugle sul risparmio energetico in 477 case Aler, nel quartiere Zama-Salomone, a Fr-Evue legato a flotte di veicoli elettrici destinate a distribuire i farmaci dentro Area C. E poi CityMobil2, uno studio sul trasporto automatizzato, Electric city movers sulla mobilità sostenibile e Tide, progetto di diffusione e scambio di buone pratiche sul traffico tra le città europee.

Ai Giovedì di Milano sta mancando l'attore principale: la città. La sperimentazione del ticket-corto, con lo spegnimento anticipato alle ore 18 delle telecamere sui Bastioni (anziché alle 19.30), è passata in silenzio, impalpabile e inosservata. «Non classificata», è il giudizio dell'assessore alle Attività produttive Franco D'Alfonso sui primi sei giovedì di prova: «Ma i cambiamenti non avvengono dalla sera alla mattina».

È stato un avvio minimal, dolce, precisa da Confcommercio Simonpaolo Buongiardino: «Stiamo definendo un palinsesto più ricco per le prossime settimane». I super-giovedì di Area C, al momento, hanno prodotto solo due effetti misurabili: un deciso aumento del traffico in centro a partire dalle sei del pomeriggio e la riorganizzazione dei calendari nei cinema, con il trasloco delleprimedal venerdì al giovedì sera.

Il più grande spettacolo prima del weekend? La riforma feriale di Area C era stata presentata alla vigilia come l'occasione per «prolungare il fine settimana» e trattenere in città il turismo mordi e fuggi. Al debutto, il 20 settembre, il Comune aveva sponsorizzato un programmino di eventi e manifestazioni: da allora, nessuna promozione. I negozianti dei Bastioni, invece, non hanno proposto un'offerta integrata ai clienti. D'Alfonso promette un «ampliamento progressivo» del provvedimento: ingressi gratis nei cinema per chi presenta alla cassa il biglietto dei mezzi pubblici; bonus culturali; accordi con i parcheggi. «La fase di costruzione avrà il suo punto più alto durante la "campagna di Natale" — garantisce l'assessore —. Ma se servirà tempo, riproporremo il progetto a gennaio». E comunque, conclude D'Alfonso, un risultato importante il Comune l'ha incassato: «È stata disinnescata la polemica con le categorie economiche».

Associazioni ambientaliste e referendari temevano che la «concessione» ai commercianti potesse aprire una breccia nell'impianto di regole e depotenziare le politiche ecologiche dell'amministrazione. Una prima risposta arriva dai dati. Nel primo mese di sperimentazione dei giovedì-corti è rimasto invariato il numero dei passaggi ai varchi tra le 7.30 e le 19.30, ma 2.500-3 mila veicoli anticipano l'accesso gratuito all'Area C: «Si è spostata la curva oraria degli ingressi, con la creazione di un primo picco di traffico serale a partire dalle 18 — si legge nel rapporto dell'Amat —. Si è determinato un aumento apparentemente significativo del traffico per tutta la fascia serale».

Oggi, infine, sarà definito in giunta il nuovo schema delle domeniche a spasso: lo stop alle auto potrebbe essere limitato all'Area C e ad alcune zone periferiche. La prossima domenica ecologica è fissata al 18 novembre, ma l'assessore al Tempo libero, Chiara Bisconti, ha già abbozzato la quota per il 2013: saranno almeno otto le giornate senz'auto, una ogni trenta giorni esclusi i mesi di gennaio, luglio, agosto e dicembre.

Postilla

Proviamo a leggere la notizia in una prospettiva del tutto diversa, saltando a piè pari tutte le questioni contingenti: le automobili non fanno la spesa e non fruiscono di servizi, punto e basta. Che altro significa, insomma, verificare con mano e certezza come effetto unico della riapertura serale alle auto, un forte incremento … delle auto e basta? Così si dimostra quanto sotto sotto era già abbastanza ovvio, ovvero come tutte le cosiddette strategie per rilanciare il ruolo degli esercizi centrali, a dir loro penalizzati dall’Area a Traffico Limitato, nulla c’entrano con quello che sostengono di essere, e fanno invece parte di un’altra, e assai più banale strategia. Ovvero quella di minare le basi a ogni tentativo di ripensare la città in forme un po’ meno auto-centriche.

È la stessa stanca storia di tutte le pedonalizzazioni e dintorni del nostro paese, con le urla di chi si sgola a denunciare il killeraggio di ambientalisti, comunisti e compagnia cantante, contro quelli che da secoli garantirebbero vitalità e sicurezza ai quartieri. E invece è solo conservatorismo, spesso bieca reazione, da parte di chi prima si lamenta per l’invasione dei grossi operatori extralocali, e poi adotta il medesimo modello coi paraocchi: per venire da me ci vuole la macchina, ergo spianate il mondo alle quattro ruote fino al mio ingresso. A nulla valgono tutti gli studi che dimostrano come siano accessibilità e abitabilità degli spazi pubblici, la chiave della vitalità urbana e quindi commerciale: il reazionario vociante che (pare scientificamente dimostrato) si annida nelle forme organizzate della protesta bottegaia non vede altro che la matrioska paleo-novecentesca, con le quattro ruote, dentro cui sta il cliente, dentro la cui tasca sta il portafoglio da svuotare alla cassa. Resta solo un dubbio: è possibile elaborare politiche urbane con valore aggiunto di terapia psichiatrica, o ci tocca aspettare l’estinzione della specie per selezione naturale? (f.b.)

IL CAR sharing è cresciuto. Ma non abbastanza: per raggiungere gli standard delle altre capitali europee va potenziato. E così il Comune ha deciso: il servizio di auto in condivisione va liberalizzato. A costo di portarsi la concorrenza in casa, visto che Guida-Mi, il car sharing milanese, è gestito da Atm, partecipata al 100 per cento proprio da Palazzo Marino. Da tempo si fanno avanti operatori stranieri che vorrebbero sbarcare nel mercato milanese, e il tema ora è capire “come” farli entrare senza esporsi al rischio di ricorsi e carte bollate. Anche perché,in un’eventuale gara ancora da indire, secondo moltirumorsuno dei concorrenti sembrerebbe essere già in pole position.

Gli iscritti milanesi all’auto in affitto sono 5.343, e 135 le vetture. Un servizio che funziona, anche se ha ancora limiti come la prenotazione obbligatoria e la riconsegna tassativa dell’auto dove la si è prelevata. Ma secondo Amat, l’Agenzia per la mobilità del Comune, la domanda in città è molto più alta: ben 16mila i clienti potenziali, per i quali servirebbe una flotta di 600 auto. Sono questi i numeri che si prefigge di raggiungere Palazzo Marino, anche per abbattere l’alto numero di auto private: 55 per 100 abitanti, che però, dice l’Amat, la usano solo per il 3 per cento del tempo e per il resto la lasciano nel box o in strada.

Il rilancio del car sharing passerà allora dai privati. L’ipotesi più probabile è quella di una gara pubblica, obbligatoria per le amministrazioni che devono affidare un servizio. Oggi è Atm a gestireil car sharing milanese Guida-Mi, incluso nel contratto di servizio per il trasporto pubblico per un totale di circa un milione di euro sui 650 complessivi. Il senso dell’operazione-privati lo spiega l’assessore comunale alla Mobi-lità,Pierfrancesco Maran: «Dobbiamo risolvere problemi contrattuali perché la vecchia amministrazione ha creato una sorta di monopolio. Nonostante Atm abbia svolto un lavoro importante, utenti e prelievi sono molto bassi rispetto alle esperienze internazionali. La strada, dunque, è la liberalizzazione ».

Tra i primi a farsi avanti (e a detta di molti già “numeri uno” tra i candidati) ci sono i tedeschi di Car2go, marchio del gruppo Daimler Mercedes. Se GuidaMi di Atm punta a sostituirsi all’auto privata, i tedeschi sono più focalizzatisui rapidi spostamenti urbani: 29 centesimi al minuto per il noleggio, auto disponibili su strada e non nelle aree sosta, gestione tecnologica dei prelievi tramite smartphone (un’opportunità che Atm, da contratto, non avrebbe) e possibilità di riconsegnare la vettura dov’è più comodo. Un servizio finora molto utilizzato dagli under 35 che l’auto non ce l’hanno proprio, e che un po’ preoccupa Atm, che con il suo arrivo potrebbe perdere clienti. Ma a proporsi, dice il Comune, ci sono anche i francesi di Autolib’ e l’americana Zip Car. Da capire, nei prossimi mesi, se il privato entrerà come gestore unico o se sarà complementare al servizio offerto daAtm.

Postilla

Immagino qualche naso arricciato o sopracciglio alzato, da parte di chi in fondo pensa sono fatti loro, se la Mercedes (o magari la Rolls Royce) vogliono lanciarsi in qualche programmino collaterale rivolto a fotomodelle e designers appena usciti dal vernissage e con lo sfizio di un’alternativa al taxi, che si accomodino senza scocciare troppo, allineando in qualche angolo centrale di tendenza i loro baccelli ecologici dalle forme presumibilmente stravaganti, pronti a ingoiare succose carte prepagate legate ad altrettanto succosi conti correnti di nicchia. Ma proviamo invece a guardare i numeri: 16.000 famiglie già ora pronte a iscriversi sono una bella fettina della popolazione, cosa succederebbe se il servizio (i privati fanno così: va dove ti tira il portafoglio) iniziasse a diventare una rete? Se per esempio quelle file di auto cominciassero a materializzarsi, che so, nei nodi di interscambio metropolitani, e con la moltiplicazione scendessero anche le tariffe di abbonamento e noleggio? Facile previsione: un sacco di famiglie in più lascerebbero perdere l’auto in proprietà, quella che ti obbliga a pagare un capitale in ammortamento, assicurazione, manutenzioni obbligatorie, e magari pure a tenere quello scomodissimo box che costa come un monolocale e manco l’hai trovato sotto casa: devi prendere la bici per andarci in cinque minuti!

E naturalmente, se le agenzie pubbliche invece di temere la concorrenza del privato facessero al 100% il loro mestiere, e cioè pensare alla città: rafforzando i poli di interscambio, e riempiendo il vuoto ideale e fisico con assetti stradali adeguati, percorsi pedonali e ciclabili sicuri, politiche urbanistiche e di servizi coerenti. Anche questo, soprattutto questo, si chiama demotorizzazione, e poi magari, se ci sono i soldi, investiamo pure risorse in grandi linee di trasporto collettivo … (f.b.)

Formigoni sarà ricordato anche per la sua intensa attività edilizia simbolicamente rappresentata dal nuovo Palazzo della Regione Lombardia. Adesso l'edificio è stato segnalato dal Council of Tall Buildings and Urban Habitats di Chicago, quale migliore grattacielo per la sezione riguardante l'Europa. Altre menzioni sono andate alle Absolute Towers (Mississauga, Canada) dello studio MAD Architects, a un grattacielo a Sydney del gruppo Ingenhoven architects e Architectus, e alla Doha Tower di Jean Nouvel. L'orgoglio del Governatore è così grande che non ha perso tempo per ingaggiare un critico (Gillo Dorfles) e un architetto (Italo Rota) per magnificare la «nuova idea di futuro» espressa dal «primo palazzo di governo dopo il Castello Sforzesco».

Poiché non si può impedire a un'associazione di lobbisti americani di premiare i più stravaganti edifici del mondo, qualche riflessione è invece d'obbligo sul perché un edificio di mediocre qualità architettonica e d'infelice collocazione urbanistica possa essere definito un'architettura di qualità, paragonabile ai monumenti storici di Milano. Innanzitutto va notato che la stampa (vedi il «Corriere della Sera» del 16 ottobre), e in generale i media, continuano a pubblicare l'immagine di un edificio avulso dal contesto urbano mentre il suo inserimento «a forza» lo vede giganteggiare su un nucleo di edifici residenziali preesistenti, quelli a perimetro di un vivaio, poi dismesso e trasformatosi in un piccolo bosco, abbattuto in una notte per lasciar posto al megaedificio pubblico.

Basta scaricare la cartella stampa dal sito dell'associazione americana (www.ctbuh.org ) per capire cos'è il Palazzo formigoniano spinto addosso al «Quartiere Modello» dell'ingegner Antonio Lamaro, questo sì da segnalare (e salvaguardare) quale intervento tra i più eloquenti dell'architettura razionalista tra le due guerre. Ci si accorgerebbe della morsa a tenaglia che i blocchi edilizi curvi alla base del grattacielo riservano alla nobile palazzina che chiude il «Quartiere Lamaro» raccontato con maestria filmica da Gianluca Brezza ne La casa verde. Una storia politica, un documentario da proiettare nelle scuole e nelle piazze per comprendere appieno la brutale operazione immobiliare che sta dietro l'edificazione di un'architettura magniloquente collocata nel posto più inadatto.

Ben altro da ciò che Dorfles ha dichiarato soddisfatto: «Finalmente abbiamo una città rivolta non solo al centro, ma anche alla periferia». A inquietare, della pur breve storia dell'edificio, non è tanto la surreale manipolazione subita dall'architettura dello studio Pei Cobb Freed & Partners Architects tra ideazione e realizzazione (ad esempio l'aggiunta di una piattaforma per elicotteri vicinissima agli edifici confinanti e fuori norma rispetto i limiti acustici o l'insano disegno delle aree a verde a terra e sui terrazzi), quanto l'afasia della cultura milanese davanti alla crescita neoliberista dell'area Garibaldi-Repubblica.

Eppure nessuna altra parte della città è stata così meditata, a cominciare dal Piano AR dei razionalisti milanesi redatto all'indomani della fine della guerra, fino al Concorso di idee bandito nel '92 e vinto da Pierluigi Nicolin, senza contare il numero di tesi di laurea del Politecnico, le iniziative di riviste (gli otto progetti pubblicati da «Casabella» nel '79), le esposizioni della Triennale e le diverse varianti, piani d'area e altri strumenti urbanistici redatti dall'amministrazione comunale.

Ci si chiede come sia stato possibile che una così intensa attività urbanistica e architettonica abbia dato forma allo scombinato Piano Integrato di Intervento del 2004 in cui si inserisce la nuova sede della Regione. Dove si è smarrita la riflessione sul ruolo strategico che i «grandi vuoti urbani come spazi di relazione» (Monestiroli) avrebbero avuto per la nuova forma urbis di Milano? Sono trascorsi quasi venti anni da quando si ragionava sulla necessità di far «affacciare» l'architettura delle istituzioni civili in un'area «destinata alla natura» sulla scia della lezione di Le Corbusier e Hilberseimer. Così non è stato e il «Centro Direzionale» è diventato la «turrita cittadella» già immaginata da Guido Canella: un luogo di «contenitori di una generica (e ormai anacronistica) burocrazia», ma soprattutto di grattacieli «rattrappiti e caricaturali rispetto ai modelli d'ispirazione», proprio come si è verificato senza che ciò fosse considerato uno scandalo, non meno grave di quelli che la cronaca ci racconta sul malaffare della politica.

Ti abbiamo dato la bicicletta e adesso pedala. Peccato che chi anche potesse e volesse proprio pedalare con tutto il cuore, scopra abbastanza in fretta che quella bicicletta è legata a una catena invisibile che ne impedisce i movimenti. Lo sapevano benissimo coloro che un paio di giorni fa si sono trovati travolti dall’ecatombe dei trasporti milanesi, di cui le cronache continuano a riferirci particolari sotterranei profondi. Non ci riferiscono invece delle ripercussioni superficiali dell’ecatombe sotterranea, come quell’elegante servizio di bike-sharing rimasto lì a fare il suo mestiere di gioiellino per i quattro gatti abbonati dell’area centrale. Eppure, in un caso di emergenza assoluta come il tracollo dei mezzi pubblici e la gridlock dei veicoli privati, la bici pareva la scialuppa ideale almeno in tantissimi casi. E invece (magari qualche indagine sociologica campionaria ce lo racconterà più avanti in cifre e tabelle, chissà) i naufraghi hanno preferito telefonare a casa come E.T. chiamando i parenti in auto a recuperarli, con relativo contributo ulteriore al grande ingorgo.

Perché era perfettamente funzionante quella catenella invisibile ma infrangibile che lega le bici alla circoscrizione municipale. Se provate a prendere quel tratto di metropolitana che va extra moenia più o meno parallelo al naviglio Martesana, tra quartieri sempre più verdi fino a sbucare in una discreta imitazione di parco agricolo, vedrete vicino a qualche stazione parcheggiate delle biciclette bike-sharing. Ma basta provare a inforcarle per capire subito che qui ahimè il vostro abbonamento milanese non funziona. C’è una comodissima pista ciclabile quasi tutta immersa tra parchi e piacevolezze, costruita col denaro del contribuente e dal contribuente assai apprezzata. Quel percorso specifico parte giusto ai piedi dei nuovi grattacieli fallici di downtown Porta Nuova e attraverso il multietnico settore di via Padova e dintorni si inoltra sotto la tangenziale e verso quella “milandia” in cui - come ci spiegano da decenni tutti i possibili studi - abitano e si identificano alcuni milioni di persone. Ma se provate ad attraversarla, questa milandia, le frontiere saltano subito all’occhio: dalla bici che non va più in là di tanto, all’autobus che fa un giro stravagante, agli incredibili salti mortali delle destinazioni urbanistiche di zona, o alle barriere incomprensibili e insuperabili.

Questo lo riconoscono anche le istituzioni, che da quasi cent’anni in qualche modo raccomandano nei loro piani e programmi di riconoscere un contesto unitario, in cui non ci sono barriere ma eventualmente solo delle specie di fluide soluzioni di continuità. Ma le stesse istituzioni, quando invece si tratta degli uomini che ci stanno seduti dentro, paiono ascoltare invece sirene incantatrici piuttosto diverse, magari con l’idea mal posta di socialismo in un solo pianerottolo, o simili. Ad esempio dopo anni e anni di giusta e sacrosanta opposizione a un’idea localista e strapaesana di circoscrizioni amministrative e rappresentanza, anche le forze di centrosinistra (dopo la caduta del Muro evidentemente c’è stata anche quella meno fragorosa del Buon Senso) si sono lanciate nel sostegno intemerato della Provincia della Brianza. La quale provincia, dietro le montagne di chiacchiere e pure benintenzionati contributi storico-scientifici-democratici, nasconde malamente un fatto ineludibile: sia il capoluogo che una bella fetta del territorio afferiscono dal punto di vista insediativo e socioeconomico all’area milanese. Come del resto capisce anche un idiota guardando GoogleEarth o facendosi un giretto attorno (con mezzi propri, quelli pubblici risentono del dibattito diciamo politico). E verificando ad esempio che anche passeggiare sul marciapiede dal Duomo di Milano al Duomo di Monza è sicuramente una bella scarpinata da affrontare con calzature adatte, ma si tratta di impresa alla portata di moltissimi, che richiede una mattinata o un pomeriggio, e soprattutto si svolge in ambiente strettamente e continuamente urbano.

Adesso col riordino contabile delle circoscrizioni provinciali qualcuno vuol far diventare Monza capitale neoimperiale di un territorio strampalato, arrampicato all’infinito sulle colline ex verdi e oggi in parte svillettate e capannonizzate, territorio che interessi misteriosi a parte ha assai poco da spartire col central core metropolitano, a cui invece Monza afferisce per i motivi terra terra di cui sopra. E si scopre anche uno dei perché: le norme vigenti sulla creazione delle Città Metropolitane non prevedono cambiamenti di confini. Se in passato certa politica localistica e miope ha combinato delle sciocchezze, i tecnici contabili bocconiani non hanno proprio pensato di rimediarvi, limitandosi a dire tagliamo le spese, col solito stile liberal-marziano che abbiamo cominciato a conoscere. Ora, qualche formigoniano o Formigoni stesso, chissà, se ne esce con l’idea giusta. Dal letame nascono i fior, diceva quel mio famoso omonimo. Ma perché non cambiamo la legge sulle Città Metropolitane nel pezzettino che impedisce di aggregare e disgregare territori, così da rendere più razionale la circoscrizione? Ecco: fatelo! Anche le altre Città Metropolitane del paese ve ne saranno grate. Anche i giornalisti dei supplementi domenicali che ci raccontano di quanto sia bella fricchettona ecologica e vivibile l’americana Portland, Oregon, ma si dimenticano di dirci che uno dei principali motivi per cui ci si sta tanto bene è che lì – caso unico o quasi negli Usa - esiste Metro Portland, ente elettivo di area vasta.

Se non vogliamo proprio diventare improvvisamente intelligenti, imitiamo almeno simpaticamente Alberto Sordi, e facciamo per una santa volta gli americani, cambiando il codicillo. Tanto per poter andare, che so, dal Ponte delle Gabelle all’ex Casa del fascio di Lissone senza mostrare il passaporto, e magari fermarsi in piazza a chiacchierare su quel Mayor Metropolitano che aveva promesso di rifare la pista ciclabile, ma ha preso in giro tutti, dalla Barona a San Fruttuoso e oltre, e la prossima volta se li scorda i nostri voti.

TORNANO a volare gli elicotteri a Palazzo Lombardia. Nonostante una sentenza del Tar, datata 27 luglio, che ha revocato alla piattaforma del nuovo Pirellone l’autorizzazione come elisuperficie rilasciata dall’Enac, i residenti della zona negli ultimi due giorni hanno avvistato almeno tre elicotteri atterrare e poi ripartire: due giovedì (uno alle 12.40, l’altro alle 19.30) e uno ieri mattina, intorno alle 9.40. Il tutto corredato dai vari disagi che gli abitanti della zona denunciano ormai da anni: finestre che vibrano, rumore insopportabile, odore di carburante che entra nelle case. Ma com’è possibile che gli elicotteri siano tornati nonostante la sentenza del Tribunale amministrativo? Il Pirellone si appoggia a un cavillo, rivendicando il fatto che — sebbene l’autorizzazione come elisuperficie sia stata revocata — la piattaforma ha ottenuto anche un’altra autorizzazione, quella di eliporto.

Equindi, secondo la Regione, i voli possono continuare. «La sentenza nei fatti non produce uno stop — è la posizione dell’assessore regionale ai trasporti Raffaele Cattaneo — dal 1° giugno Enac ha rilasciato alla piazzola di Palazzo Lombardia anche la ben più complessa e restrittiva certificazione di eliporto che consente agli elicotteri di atterrare edecollare indipendentemente dall’autorizzazione come elisuperficie ». Una differenza tecnica e terminologica (l’eliporto ha delle strutture di supporto alla piazzola di atterraggio, l’elisuperficie no), che però ha poco a che fare con il merito della sentenza, che aveva bocciato i voli in mezzo alle case perché il rumore era eccessivo.

«Vogliamo capirecome mai il Pirellone continui a far finta di niente — dice Anna Fabris del comitato quartiere modello che raccoglie i residenti della zona — . Chi è dalla parte del torto? Sbaglia il tribunale oppure è la Regione a fregarsene di una sentenza?».La seconda certificazione, comunque, è probabilmente destinata ad avere vita breve. Gliavvocati dei residenti infatti hanno già annunciato di voler proseguire la battaglia legale: «Non è cambiato niente, se non in peggio — spiega l’avvocato Stefano Soncini — per legge l’eliporto dovrebbe fare come minimo sei voli al giorno. Si tratta quindi di qualcosa di ancora più impattante rispetto all’elisuperficie. Per questo motivo noi abbiamo notificato giovedì un altro ricorso contro la nuova autorizzazione».

Con i residenti c’è anche il Pd in consiglio regionale. «L’eliporto non solo è più impattante, ma anche più preoccupante — spiega Franco Mirabelli, consigliere regionale del Partito Democratico — perché significa che si prevede di utilizzare quello spazio anche come ricovero dei mezzi. Il che vorrebbe dire fare della piattaforma il centro del progetto di linee elicotteristiche che Cattaneo ha in mente. Adesso è importante che il Comune, nel piano di zonizzazione acustica, stabilisca dei parametri per quell’area che non consentano l’uso di elicotteri, se non per le emergenze».

Si inaugurano i parcheggi sotterranei di via Ampère a Città Studi. Quando era stato aperto il cantiere dieci anni fa (10!), si pensava a poco più di un anno di disagio per avere poi una situazione di maggiore ordine in una zona dove ogni giorno si riversano 35.000 studenti e 5.000 addetti dell'università. Molti di loro si affacciano qui dalla stazione del metrò Piola, di fatto di fronte al parcheggio. Gli studenti che nel 2002 uscivano dal liceo e si presentavano tremanti al Politecnico o alla Statale hanno concluso i loro studi da molti anni. Sono stati costretti per tutto il periodo ad attraversare un cantiere fangoso e per la gran parte del tempo abbandonato. A Shanghai nel 2002 non avevano ancora vinto l'assegnazione di Expo 2010 e nello stesso periodo hanno realizzato, tra l'altro, 190 nuove stazioni sotterranee collegate da 490 km di nuove linee metropolitane.

Sappiamo che il parcheggio, deciso dall'amministrazione Albertini, ha incontrato diverse difficoltà: imprese fallite, ricorsi degli abitanti per le case lesionate. Ma è la storia di molti progetti dei parcheggi interrati, realizzati sulla base di un atteggiamento acriticamente favorevole alla realizzazione di interventi destinati ad infliggere ferite profonde nel tessuto urbano per far posto alle auto. La pretesa era che si trattasse di una scelta pragmatica senza costi per la collettività. I costi sono stati ben più rilevanti dei paventati oneri economici: per dieci anni le automobili si sono accatastate ancor più disordinatamente nella zona, si è persa una piccola piazza alberata, oggi sostituita da una spianata di cemento poco accogliente, in gran parte occupata dalle rampe di accesso a box privati che difficilmente porteranno benefici alla vivibilità della zona. Rimarginata la ferita c'è da chiedersi cosa possiamo imparare da questa vicenda.

Provo ad elencare alcune possibili cose:

1) è tramontata l'epoca del «a costo zero», molti costi non sono economici ma impongono alla comunità oneri ancor più gravosi;

2) nessun progetto può essere approvato senza considerare come affrontare gli imprevisti. Negli anni abbiamo sentito parlare di commissari straordinari, di commissioni: nulla che possa sostituire una quotidiana attività di controllo;

3) non è ammissibile che una città come Milano accetti di far durare il cantiere di un parcheggio per poche auto più a lungo del cantiere per 500 km di metropolitana in Cina;

4) dobbiamo interrogarci a fondo sul senso di progetti di parcheggi che incoraggiano l'uso dell'auto in una città già ingessata dal traffico quando tutte le società avanzate lavorano sulla limitazione dell'uso urbano dell'auto;

5) vorremmo infine anche poter considerare possibile la realizzazione di un parcheggio interrato, quando serve davvero, come un progetto «normale» se fattibile, mentre oggi, grazie alle esperienze disastrose degli ultimi 10 anni questo è diventato un tabù.

Solo se potremo dire di aver imparato queste cose Milano potrà festeggiare l'inaugurazione tardiva del parcheggio di via Ampère. Altrimenti si tratterebbe solo della sospirata scritta «Fine» di un brutto film che non vorremmo più rivedere.

Chi da piazza Cavour vada per via Palestro in corso Venezia, vedrà di fronte un palazzo con un grande colonnato e sul cornicione una schiera di statue: è il palazzo progettato verso il 1812 da Giovanni Perego per l'allora sovrintendente della Scala, il Barbaja, l'inventore dellabarbajata, la cioccolata con la panna ormai dimenticata. Il palazzo del Perego, ispirato dal palazzo Chiericati a Vicenza e dal colonnato del Louvre, verrà considerato un vero scandalo architettonico, perché i milanesi erano affezionati alle facciate delicate del Piermarini — palazzo Reale e la stessa Scala — dove le colonne sporgono dal muro soltanto per metà, tagliate verticalmente in due.

Quello scandalo nessuno lo ricorda: il fatto è che il fascino della città europea consiste anche nella libertà espressiva di ogni cittadino nella facciata della propria casa, ed è la loro varietà ad incuriosirci, e dunque il progetto di Herzog de Meuron sul viale Pasubio — e la sua estensione simmetrica in viale Montello — con la facciata inclinata come un tetto spiovente per parecchi piani, così evidente imitazione delle case nordeuropee tuttora caratteristiche del paesaggio di Strasburgo, farà forse scandalo ora ma nessuno ci farà più caso di qui a qualche anno.

Tuttavia un guaio c'è. Quando nel tardo Ottocento al posto delle mura costruite tre secoli prima in tutte le città europee sono stati tracciati ampi boulevard, all'incrocio con le strade più importanti che venivano dal centro, dove c'erano spesso porte e archi trionfali o caselli daziari, sono state progettate piazze che ne esaltavano la presenza — quando ancora esistevano — o quanto meno ne sottolineavano la memoria: nella vicina porta Garibaldi l'arco sta al centro di una vera piazza, con il teatro Smeraldo a renderla solenne, mentre a Porta Venezia i caselli restano isolati all'incrocio dei due boulevard: chiunque, se volesse percorrere l'intera cerchia di quei boulevard, non farebbe fatica a riconoscere sempre l'ambizione di sottolineare le antiche porte.

A Porta Volta invece nel progetto oggi sul tappeto attorno ai due caselli daziari non c'è né la continuità dei boulevard né una piazza costituita da due facciate progettate per dar loro un quadro nobile ma soltanto l'esito dai due risvolti dei lunghi fabbricati su via Pasubio e su via Montello: in sostanza nella buona pratica seguita finora in questa città consisteva nel progettare prima di tutto la piazza e in seguito lascare ai privati di costruire liberamente lungo le strade dietro agli edifici progettati per fare una bella piazza, mentre qui i privati hanno progettato per prima cosa i loro edifici e la piazza è il risultato secondario dei loro risvolti: e si vede proprio. Ma ormai questo è soltanto uno dei sintomi della modestia di una prassi urbanistica che affida il disegno della città all'iniziativa dei privati cui delega anche quello che da secoli è il compito del Comune, disegnare il quadro di insieme, fatto dalle piazze e dalle strade che costituiscono la città, un compito di interesse collettivo che non può venire delegato a i privati.

Il simbolo dell’abbandono è diventato la Torre Galfa occupata dai ragazzi di Macao, quel gigante di vetro e acciaio inutilizzato da quindici anni. Proprio mentre, poco distante, i grattacieli di Porta Nuova stanno cambiando lo skyline. Solo un indirizzo, però, di un’altra Milano: una città fantasma nascosta in altri palazzi, in altri piani, ex cinema, uffici, torri, scali ferroviari, che adesso Palazzo Marino cercherà di ricostruire in una mappa. Un censimento per risalire soprattutto alla proprietà di quegli edifici: perché è solo così, capendo a chi appartengano, che si potrà tentare la svolta. «Intendiamo fare in modo - spiega l’assessore all’Urbanistica, Ada Lucia De Cesaris - che chi ha immobili in disuso o abbandonati non possa ottenere autorizzazioni per nuovi interventi su aree libere». Un disincentivo forte a costruire ex novo, insomma, prima di aver pensato a come riutilizzare i tanti vuoti della città.

Sono norme precise quelle che sta studiando Palazzo Marino: saranno inserite nel nuovo regolamento edilizio che il Comune sta scrivendo. «Una bozza verrà presentata alla città a settembre» racconta l’assessore De Cesaris. Sarà il primo passo per aprire il confronto con i gruppi consiliari, i partiti, gli operatori; e approvare entro la fine dell’anno uno strumento essenziale per far funzionare pienamente il Piano di governo del territorio, e quindi di progettare la nuova città. «Serve un regolamento aggiornato alle nuove esigenze di Milano - aggiunge De Cesaris - e al nuovo Piano che, allo stesso tempo, possa snellire anche alcuni procedimenti». In quegli articoli, che dovranno stabilire le future regole per qualsiasi intervento edilizio, diventeranno legge anche alcuni punti del Pgt: dal divieto di costruire nei cortili ai premi volumetrici per chi seguirà i criteri di consumo energetico. Fino alla rivoluzione che dovrebbe portare all’impossibilità di far spuntare nuovi palazzi per chi è proprietario di stabili vuoti. Un problema, quello dell’abbandono, che riguarda anche i cantieri che rimangono a metà, magari per anni. «Dobbiamo fare in modo dice l’assessore di essere più incisivi verso i proprietari, introducendo ad esempio obblighi legati al decoro del territorio».

Ma quante sono le torri Galfa a Milano? Per ora, le prime stime alla base di un “progetto di riuso temporaneo dei luoghi dimenticati” che l’amministrazione ha avviato con il Politecnico e con l’associazione Temporiuso.net arrivano a ipotizzare quasi quattro milioni di metri quadrati vuoti tra caserme dismesse (un milione), scali ferroviari (un altro milione), e un patrimonio pubblico e privato che comprende uffici, appartamenti, negozi. Così, ad esempio, solo due piani delle torri di Ligresti di via Stephenson sono occupati, e a molte cascine si aggiungono cinema come l’ex Maestoso di corso Lodi e l’ex poligono di tiro. «È un problema che va affrontato dice l’assessore. L’obiettivo è recuperare l’esistente seguendo il principio del minor consumo possibile di suolo, naturalmente senza preclusioni a nuove proposte di costruzione o al cambio di quello che si è già costruito».

ERA uno dei simboli della magnificenza formigoniana, un eliporto annesso al grattacielo quasi come negli States. Ma ora lo spazio di decollo e atterraggio realizzato all’altezza dell’undicesimo piano di Palazzo Lombardia non potrà più essere utilizzato come tale, perché viola i limiti previsti dalla legge per le emissioni sonore. A stabilirlo è il Tar della Lombardia, che con una sentenza ha annullato l’autorizzazione rilasciata dall’Enac alla Regione per utilizzare la superficie rotonda come base di partenza e arrivo degli elicotteri. Un giudizio che accoglie il ricorso presentato dai residenti delle case intorno a Palazzo Lombardia, circa trecento famiglie di sei condomini in via Alessandro Paoli (una piccolatraversa di Melchiorre Gioia) che da maggio del 2011 hanno intrapreso una battaglia legale contro l’eliporto.

Di elicotteri, a dirla tutta, non se ne sono visti granché: giusto una manciata di voli tra cui spiccal’atterraggio dei finalistiIsola dei famosi”, arrivati lì lo scorso 5 aprile per disputare le “prove di sopravvivenza” dell’ultima puntata organizzate nella piazza del nuovo Pirellone. Quello che però preoccupava maggiormente i residenti era il progetto, più volte annunciato dalla Regione, di realizzare un servizio di elitaxi per collegare gli aeroporti milanesi con i centri nevralgici della città, che aveva proprio su quella superficie una delle sue “stazioni”. Un incubo per quelle famiglie, considerato che già le poche volte in cui si sono visti elicotteri poggiarsi sulla piattaforma si sono vissuti momenti di panico: vibrazioni fortissime, rumori assordanti e odore di carburante che entrava dalle finestre, spinto da potenti vortici d’aria.

Adesso la sentenza del Tar sembra porre definitivamente la parola fine anche su quel progetto, peraltro mai realmente partito. Secondo il tribunale amministrativo, infatti, il ricorso dei residenti è fondato perché denuncia la «violazione dei limiti previsti dalla legge per le emissioni sonore» e stabilisce il principio per cui il rumore prodotto da un elicottero, per quella zona, è troppo forte. Nella tesi presentata nel testo — e accolta dal tribunale — si sosteneva che l’autorizzazione all’uso dell’elisuperficie era incompatibile con la classificazione acustica del quartiere. Non essendo ancora pronto il piano di zonizzazione acustica del Comune, l’area intorno al nuovo Pirellone rientra quindi nei termini della legge nazionale, che stabiliscono un limite di 50 decibel notturni e 60 diurni. Numeri ben al disotto degli 85 di un elicottero, secondo il comitato.

Per i residenti è una battaglia vinta, anche se la guerra è tutt’altro che finita. «Siamo soddisfatti soprattutto perché il tribunale ha accolto le nostre osservazioni sui livelli di rumore — spiega Anna Fabris del comitato “quartiere Modello” — e questa per noi, che abbiamo sempre combattuto da soli, era la priorità. Adesso comunque è ancora presto per esultare, perché ci aspettiamo un ricorso in Consiglio di Stato». Nel frattempo, però, di elicotteri non se ne vedranno.

Postilla

Quella sanzionata dal tribunale amministrativo parrebbe a prima vista una cosuccia, per quanto positiva a suo modo, che non va oltre la difesa della qualità della vita o magari dei valori immobiliari di un paio di isolati milanesi. E invece si sanziona ufficialmente l’arroganza, di metodo e di merito, con cui il Celeste, i suoi accoliti e clientes, ma ci aggiungere senza problemi il modo di produzione dell’architettura globalizzata e degli annessi uffici di pubbliche relazioni di intendere la trasformazione urbana. Un’area scelta per motivi che nulla hanno a che vedere con la ragionevolezza, con un pur vagamente inteso rapporto con la città, le sue forme, le sue specificità (il confronto facile senza cercare chissà cosa se ne sta lì di fianco nell’ex famosa e occupata torre Galfa). Un gigantesco oggetto di design nato su un remoto tavolo da disegno del tutto “sterile”, e scaraventato appunto dove capita, nel caso specifico dove decide il piccolo despota da pianerottolo Formigoni, con contenuti urbanistici e strategici uguali a zero, basta il potere di volerlo lì e così. Ignorando anche il resto degli edifici che gli stanno attorno, come in certe vecchie stampe newyorkesi prima che lo scempio della massa incombente dell’Equitable Life Insurance Building producesse la prima ordinanza moderna di zoning. Nel fallico Formigon Tower c’è stata anche la cacatina di piccione sopra una torta sufficientemente indigesta da sola, con quella piattaforma di atterraggio davanti ai balconi dei vicini, gerani al sesto piano inzaccherati di scarichi e orecchie sfondate dai rotori, perché il ducetto regionale potesse godersi il panorama insieme a ospiti di rilievo del suo cosiddetto governo del territorio e della società. E lo stop del TAR è solo la punta di un iceberg, la constatazione che ahimè avevano santa ragione Elio e le Storie Tese quando concludendo la loro canzoncina Parco Sempione proprio sul già svettante prodotto di arroganza architettoide, sanzionavano a modo loro: questi grandissimi figli di troia! - Suonerà volgaruccio, ma coglie in pieno. Resta solo un dubbio, chissà se le vittime riuscivano anche a intravedere qualche riflesso delle leggendarie giacchette pacchiane, durante le manovre (f.b.)

DOPO la comprensibile indignazione nell’impressione che l’interesse pubblico sia stato sacrificato per proteggere piccoli interessi privati, cerchiamo di capire le ragioni del Consiglio di Stato senza pensar male, senza vedere complotti.Il Consiglio di Stato nel sospendere Area C potrebbe avere ragionato in questo modo: c’è un interesse offeso per cui ci occupiamo di questa vicenda? Sì, c’è, è quello dei ricorrenti, il parcheggio a rotazione che perde clienti a causa del ticket antitraffico. C’è un motivo per cui il provvedimento Area C potrebbe essere illegittimo? Sì, c’è, è il fatto che non s’inserisce in un piano generale del traffico o della mobilità vigente. I piani approvati anni fa sono scaduti.

Difatti questo è stato per molto tempo uno dei problemi dei Comuni, dover rivedere, re-impostare e approvare ogni cinque anni il Piano del traffico. Cosa che non è stata più fatta dopo il 2003. È vero che era invigore già Ecopass, ma Area C non è stata istituita come modifica di Ecopass, bensì come provvedimento nuovo. E si è trattato di una semplice delibera di giunta, non di Consiglio. Ammettiamo dunque che questa osservazione di “non adeguato inquadramento” del provvedimento sia giustificata. È però assurdo che il Consiglio di Stato sospenda direttamente Area C invece di dare un termine al Comune per inquadrare e motivare il provvedimento. Cos’è questa improvvisa riscoperta dei principi di programmazione e perché la si applica anzitutto a uno dei provvedimenti più dibattuti e condivisi (referendum) della storia di una città italiana?

Perché si son lasciate fare tante singole varianti urbanistiche senza nuovi piani generali? Perché si lasciano partire i lavori dei vari Tav e di varie autostrade senza pretendere una programmazione delle priorità di un Piano nazionale di logistica e trasporti?E addirittura: perché si possono falcidiare le Province senza un piano generale di riassetto degli enti locali? E così via.Certo, vista la situazione, è bene che il Comune nel frattempo motivi e inquadri Area C e se necessario gli cambi il nome. Ma chiediamo anche una legislazione più aggiornata, logica, eco-logica. Se è giusto richiedere al Comune un piano aggiornato della Mobilità e del Traffico, perché far decadere una limitazione (in questo caso con pedaggio) del traffico, e non il suo contrario? Forse perché si considera normale la cosiddetta libertà di circolazione delle auto ed eccezionale — e da motivare — la limitazione. E perché non potrebbe essere il contrario? Il Comune spieghi perché lascia libera circolazione alle auto in corso Buenos Aires, altrimenti il Consiglio di Stato blocca il traffico...

Si disegna la Città metropolitana. Il primo passo intrapreso da Palazzo Isimbardi si chiama Ptcp, piano territoriale di coordinamento provinciale urbanistico della Grande Milano; è stato adottato e sarà approvato entro la fine di ottobre.

Parola d’ordine zero consumo di suolo.

Si viaggia controcorrente: se tra il 1999 e il 2007 il cemento ha coperto circa 60 chilometri quadri di terreno (ovvero quasi 5.500 campi da calcio, per rendere l’idea) l’obiettivo è recuperare le aree dismesse e salvaguardare la vocazione agricola del territorio, a partire dai suoi parchi regionali come il Parco Agricolo Sud Milano e il Parco delle Groane. Alle tutele già previste sono stati aggiunti ulteriori vincoli per evitare «cattive interpretazioni» e speculazioni edilizie

Sarà potenziata anche la «rete ecologica» con la creazione di due nuove dorsali verdi tra le quali la «Ovest, Valle dell’Olona».

Nelle linee guida anche il potenziamento del trasporto pubblico: è previsto il prolungamento della M2 da Gessate a Trezzo sull’Adda e da Assago a Binasco, della M3 da Comasina a Paderno e della M4 da Linate a Segrate e successivamente fino a Pioltello. Nuove fermate delle linee suburbane a Opera e San Giuliano e interscambi d’interesse sovracomunale a Magenta, Castano Primo, Parabiago, Rho, Garbagnate, Paderno, Sesto, Pioltello, Melegnano, Locate Triulzi e Albairate. Infine sono previste quote obbligatorie minime che tutti i Comuni dovranno riservare all’housing sociale.

«L’adozione del Piano territoriale di coordinamento provinciale, rappresenta il primo passo verso l’istituzione della Città metropolitana – sottolinea il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà -. Sono sempre stato convinto, infatti, che un territorio caratterizzato da un continuum di Comuni e densamente popolato come si presenta la Grande Milano possa essere amministrato con maggiore efficacia e minori costi attraverso l’adozione di politiche di area vasta almeno in materia di trasporti, infrastrutture, ambiente, urbanistica e gestione delle risorse idriche e dei rifiuti».

«È un risultato importante per il territorio e per i suoi abitanti, che potranno contare su nuove tutele ambientali e su una maggiore competitività a livello europeo – ribadisce l’assessore al Territorio Fabio Altitonante -. La nostra Provincia, concentrando circa il 10% del Pil nazionale, ha un grande potenziale, che dobbiamo valorizzare attraverso uno sviluppo strategico e sostenibile del territorio». Il diktat ora è passare da una visione «milanocetrica» a una rete, che metta in connessione il capoluogo ai 24 Comuni dell’hinterland.

postilla

Parte della minoranza in consiglio (non citata da questo articolo un po’ declamatorio) osservava che come spesso accade con questi piani di coordinamento c’è qualche discrasia fra obiettivi e strumenti reali, ad esempio nell’effettiva tutela delle superfici agricole. E riguardo al Grande Disegno Metropolitano, val la pena osservare come, contemporaneamente a queste solenni affermazioni (e alle innocue righe colorate su una mappa che sarebbero le nuove linee del trasporto pubblico) si inaugura col sostegno delle cariche della polizia il cantiere della Tangenziale Esterna, che secondo la manualistica territoriale da alcuni decenni a questa parte costituisce la premessa alla classica espansione edilizia che si dice di voler contrastare ad ogni costo. Mah! (f.b.)

Alberi e varchi d'accesso sul confine del Lazzaretto, un sistema interno di mini-rotatorie e gobbe stradali. Sull'asfalto, sui pali: una nuova segnaletica dedicata. I marciapiedi, sui due lati: più larghi. Negli spazi pedonali: panchine e rastrelliere per le bici. Su tutto, a riordinare la viabilità della prima isola ambientale della giunta Pisapia, un limite di velocità più stringente per le auto: trenta chilometri orari anziché cinquanta. Il Comune vara l'operazione «Zone 30» e parte dal reticolo di strade appena oltre Porta Venezia, uscendo dall'Area C, sulla sinistra di corso Buenos Aires. Eccoci. Via San Gregorio e via Casati, via Palazzi e largo Bellintani, via Panfilo Castaldi, via Settala, via Lecco e via Tadino. C'è la mappa, il «progetto pilota» è stato condiviso con il parlamentino di Zona 3, ha già incassato il via libera del comitato di residenti Baires Futura e l'ok dei commercianti delle Vie dello shopping. I cantieri preliminari apriranno nelle prossime settimane, tra fine giugno e luglio.

La riforma delle «Zone 30» è uno dei pilastri del programma urbanistico-ambientale dell'amministrazione Pisapia: «Vogliamo salvaguardare le fasce più deboli della mobilità». La revisione dell'impianto viabilistico nelle aree più «delicate» del tessuto cittadino è sollecitata da tempo dalle associazioni di ciclisti e pedoni, è stata rilanciata dal referendum civico del giugno 2011 ed è raccomandata dalla «Risoluzione del Parlamento europeo sulla sicurezza stradale in Europa 2011-2020». Dunque: si farà. Il Comune inizia dal Lazzaretto perché ha le caratteristiche adatte per accogliere le modifiche: strade a senso unico, traffico leggero e sosta ordinata sui lati. Spiega l'assessore alla Mobilità, Pierfrancesco Maran: «Tutti i nostri provvedimenti, a cominciare da Area C, vogliono restituire spazio ai cittadini a dispetto delle auto. Le future Zone 30 rientrano in questa strategia. Si parte dal Lazzaretto dove i cittadini si son dimostrati molto sensibili».

Qui, in via Casati, è già stato sperimentato il progetto «car free» davanti alla scuola elementare: divieto di accesso alle macchine mezz'ora prima e dopo l'ingresso-l'uscita dei bambini. Questa Ztl temporanea, nei prossimi mesi, sarà inglobata nell'isola ambientale: «Siamo assolutamente favorevoli — commenta Riccardo Bacci, presidente del consiglio d'istituto —. Le famiglie chiedono sicurezza per i loro figli. La Ztl è stata il primo passo e contiamo che sarà riproposta a settembre. La Zona 30 è un'ulteriore buona notizia. Ora aspettiamo le piste ciclabili». Prima, per gradi, sarà posizionato un nuovo arredo urbano, saranno installati cartelli e totem informativi e verranno segnalati i varchi d'accesso al quartiere: «Per far rispettare un limite di velocità così stringente — sottolinea Maria Berrini, presidente dell'Agenzia Mobilità, Ambiente e Territorio — predisporremo un mix d'interventi che diano agli automobilisti la percezione netta di muoversi in uno spazio diverso, regolamentato e sorvegliato. I luoghi saranno caratterizzati e riconoscibili».

Il piano per rallentare il traffico: 30 chilometri orari, carreggiate più strette, misure per migliorare «le condizioni di visibilità o sicurezza» agli incroci. Gli investimenti leggeri sono già stati finanziati. Per i cantieri strutturali «pesanti» bisognerà verificare la disponibilità di spesa prevista nel bilancio 2013.

postilla

Allora, tanto per cominciare il riferimento d’obbligo è al sistema delle Isole Ambientali prese nel loro insieme, perché agire “per progetti” serve solo come test: ci vuole un piano, e quello è un piano. Poi ci vuole un’idea di città, e quella è più difficile da definire dopo trent’anni di sparate a vanvera, di solito a nascondere il vuoto dentro cui si tuffavano a piene mani interessi particolari. Ivi compresi quelli, apparentemente piccoli e per errata definizione buoni, dei singoli protagonisti della mobilità urbana, la miriade di residenti e city users ciascuno portatore, soggettivamente, della ricetta risolutiva. Ovvero piste ciclabili ovunque (magari le costosissime “autostrade ciclabili” tanto amate dal sindaco di Londra e dalla recente campagna sulla sicurezza sposata senza pensarci troppo anche a sinistra), o la pedonalizzazione coatta e chi se ne frega di cosa succede fuori, o dall’altra parte i megatunnel, i parcheggi sotterranei a go-go, le arterie di scorrimento veloce verso il nulla, o meglio verso lo sprawl metropolitano. Il piccolo quadrato nell’area a griglia ortogonale dell’ex Lazzaretto, al suo interno e nei rapporti con le aree circostanti, potrebbe diventare il test di una idea di area metropolitana meno stupidamente avvitata nella sua guerra tra bande di poveri pedoni, ciclisti, automobilisti, abitanti/utenti della città che spesso si scordano di stare sulla stessa barca, ivi compresi gli isterici del furgone bianco mordi e fuggi. Anche a loro, è dedicato questo piano modulato sulla carota di un quartiere dove si può anche entrare e guidare, ma dove non manca il virtuale bastone di uno spazio esplicitamente regolamentato, dove chi sgarra lo capisce da solo. Speriamo bene, insomma, anche se un conto è lavorare sulla città consolidata, e un vero brivido pensare invece a quei baracconi un po’ anni ’30 lasciati in eredità della destra pubblico-privata (f.b.)

La storia del trasloco dell'Istituto dei Tumori e del neurologico Besta è un'odissea lunga dodici anni scandita da annunci politici, plastici finiti chissà dove e progetti finanziati con soldi pubblici e mai decollati.È una domenica pomeriggio del 2 luglio del Duemila quando gli allora ministro della Salute (Umberto Veronesi), assessore alla Sanità (Carlo Borsani) e sindaco (Gabriele Albertini) si vedono in via Ripamonti per una riunione riservata. L'esito dell'incontro fa decollare per la prima volta il trasloco dell'Istituto dei Tumori — destinato a trasferirsi nell'ex Maserati di Lambrate — e del neurologico Besta — che doveva (ri)sorgere entro il 2009 alla Bicocca su un'area ex Pirelli —. Dodici anni e innumerevoli conferenze stampa dopo, i due istituti sono ancora in cerca di una (nuova) casa.

Eppure. È sempre il luglio del Duemila quando Borsani lancia l'allarme: «L'Istituto dei Tumori in via Venezian rischia di soffocare»; e lo stesso vale per il neurologico Besta che — a colpi di slogan del tipo «Valorizzare questo istituto è un dovere per l'Italia» — viene addirittura riprodotto nella nuova sede in un plastico, presentato nel 2005 davanti a due ministri (Girolamo Sirchia e Roberto Maroni) e svariate altre autorità. Di anno in anno, la frase «il progetto è ormai esecutivo» è stata pronunciata troppe volte per riuscire a contarle. Così succede anche nel settembre 2010 quando — con la firma dell'atto esecutivo su quella che nel frattempo è diventata la «Città della Salute di Vialba» — viene detto: «È stata imboccata la strada del non ritorno».

E i soldi pubblici spesi per i progetti abbandonati? È Alessandro Moneta, ai tempi della sua presidenza al Besta ad assicurare: «Il progetto già pronto per la Bicocca potrà essere clonato per la nuova destinazione del neurologico Besta. È come una bella scatola che può essere posizionata in qualsiasi luogo». Il concetto è stato ripetuto, poi, per lo studio realizzato dal consorzio creato per realizzare la Città della Salute, guidato da Luigi Roth e sciolto dopo essere costato un milione e mezzo di euro: «Il documento elaborato resta, comunque, utile», viene assicurato lo scorso dicembre.

A gennaio, dopo che anche l'idea di unire Tumori, Besta e Sacco in Vialba finisce affossata sotto il peso di costi troppo alti e collegamenti viabilistici scarsi, si ritorna al punto di partenza: dove fare sorgere la Città della Salute (dalla quale nel frattempo è stato depennato il Sacco)?Di qui il balletto delle aree degli ultimi sei mesi: con il comune di Milano che propone la caserma Perrucchetti di piazza d'Armi e il sindaco di Sesto San Giovanni che offre l'ex area Falck.

Arriva, poi, un altro colpo di scena. Mentre la politica non decide, una lettera firmata da operatori della sanità, tra cui Alessandra Kustermann e Giuseppe Landonio, insidia addirittura dubbi sull'utilità stessa della realizzazione della Città della Salute: «Con il trasferimento solo dei due istituti scientifici, c'è da domandarsi se una simile fusione valga davvero la candela e risponda alle esigenze dei malati e degli operatori — scrivono i medici —. Le consonanze tra Istituto Tumori e Neurologico sono del tutto marginali, e la loro fusione non otterrebbe reali miglioramenti degli assetti di base dei due presidi. L'uno non risolverebbe i problemi dell'altro, e anche le prospettive di ricerca comuni riguardano campi solo marginali. È proprio la mancanza di un grande ospedale, con tutte le strutture di base e i supporti necessari, a rendere discutibile l'operazione». Di ieri lo strappo del sindaco Pisapia che fa sorgere l'ennesima domanda: il 13 giugno il governatore Roberto Formigoni riuscirà davvero — come annunciato — a chiudere la partita?

postilla

Premessa: la notizia (che ovviamente campeggia con evidenza sulle edizioni locali dei giornali) è che a Milano il sindaco Pisapia manda al diavolo il presidente della Regione Formigoni dicendo che sul polo sanitario non si può decidere come se si trattasse solo di una questione urbanistica. Il che sarebbe una non-notizia in un paese civile, e neppure su questo sito, che ormai da qualche anno ribadisce la stessa cosa: un quartiere dedicato alla ricerca medica e alla salute parte da obiettivi scientifici, organizzativi, di servizio, e poi si inserisce adeguatamente (con tutti gli adattamenti del caso) nel contesto spaziale locale. La garbatamente spietata cronologia proposta in un angolino di pagina da Simona Ravizza sul Corriere, ribadisce invece l’esatto contrario, e scorrendo i nomi dei protagonisti forse si intuisce anche un po’ perché. Oggi, per fortuna, uno dei vari poteri coinvolti dice per la prima volta che il re è nudo. A un anno esatto dall’insediamento della nuova giunta di centrosinistra a Milano, con tutte le riserve del caso, è uno dei segnali di cambiamento: forse non si torna ancora in Europa, ma almeno si prova a uscire dal letamaio surreale dei signori della guerra tra bande (f.b.)

la Repubblica

Cascine, via al piano recupero Palazzo Marino apre l’asta

di Alessia Gallione

Qualcuna è ancora immersa nel verde di un parco o ai margini della città. Altre, ormai, sono circondate dalle case. Mura abbandonate o dal futuro amministrativo incerto, in alcuni casi poco più che ruderi a dispetto della loro storia. E qualche indirizzo noto come quello del centro sociale Torchiera o della Monluè. Che, adesso, però, il Comune vuole riportare a nuova vita. Perché, nella Milano del Parco Sud e dell’Expo dedicato all’alimentazione, Palazzo Marino fa partire un piano per recuperare le sue cascine. In tempi di casse vuote e risorse scarse, per un gruppo di sedici stabili apre la caccia a privati, associazioni o enti, che possano prenderli in gestione e recuperarli. Con nuovi criteri che, d’ora in poi, prevederanno assegnazioni in diritto di superficie lunghe fino a 90 anni e, in alcuni casi, la vendita.

Ancora la crisi, fa partire la ricerca di sponsor anche per il restauro di una ventina di monumenti: dai 500mila euro per l’Arco di Porta Ticinese e i 600mila per quello di piazza Cavour ai 105mila del Leonardo di piazza Scala, dalla statua di Napoleone III nel Parco Sempione (360mila euro) a Palazzo Moriggia, la sede del museo del Risorgimento che ha bisogno di 750mila euro fino alle lapidi della Loggia dei Mercanti. Anche questo progetto fa parte del bilancio: tra le pieghe del documento, è stata inserita la possibilità per sedici delle trenta cascine che l’amministrazione vuole recuperare, di fare bandi - saranno lanciati dopo l’approvazione in Consiglio comunale - per gestioni molto lunghe: dalla Carliona alla Cottica in via Natta, dalla San Bernando nel parco della Vettabbia per cui era andata deserta una gara pochi mesi fa, alla Campazzino. Segni di un passato agricolo da reinventare. L’obiettivo, spiegano in Comune, non è tanto fare cassa, ma fare in modo che pezzi del patrimonio non vadano in malora. Chi presenterà un’offerta - sono previsti anche project financing - dovrà finanziare i lavori di ristrutturazione e presentare piani tecnici ed economici. È anche per dare la possibilità di rientrare dei costi, che la gestione si è allungata e che saranno previste anche funzioni private come ristoranti o, magari, ostelli. Nelle linee guida, però, il Comune immaginerà soprattutto un futuro pubblico. Con punteggi maggiori per le attività agricole, l’alimentazione, la residenza sociale e temporanea, le attività per la città.

Per la cascina Brusada e per la Cottica, descritte come «inserite in contesti residenziali», è prevista la vendita. C’è già un caso, però, che diventa politico. È quello della cascina Torchiera, occupata dagli anni Novanta. Il bando, chiariscono da Palazzo Marino, sarà «aperto a tutti». Se vorranno partecipare, gli occupanti dovranno comunque costituirsi in un’associazione. Il capogruppo del Pdl Carlo Masseroli parte già all’attacco: «Prima si sgombera e poi si pensa alla gara». Il presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo non vede ostacoli alla partecipazione del centro sociale, anche senza bisogno di liberare gli spazi: «Senza di loro sarebbe già caduta a pezzi». Il consigliere di Sel Luca Gibillini si augura «un tavolo» sul modello del Leoncavallo.

Corriere della Sera

Il Comune vende le cascine, ma è scontro sul Torchiera

di Elisabetta Soglio

Mica solo la Sea e la Galleria. Il Comune ha definito anche un piano di cessione di alcune delle proprie cascine: 16, per la precisione, destinate ad essere assegnate in diritto di superficie fino a 90 anni, attraverso un bando pubblico «sulla base degli esiti di gara e con valutazione di offerta tecnico-economica». La decisione è già formalizzata e inserita all'interno del bilancio 2012 e del pluriennale 2012-2014. «Obiettivo principale — garantisce l'assessore all'Urbanistica, Ada Lucia De Cesaris — non è tanto quello di fare cassa, quanto di evitare che si disperda un patrimonio, dando allo stesso tempo la possibilità di attivare all'interno delle strutture una serie di iniziative utili per la città».

Ma c'è già una polemica, perché l'elenco comprende anche la Cascina Torchiera da anni occupata da un gruppo di giovani e da qualche famiglia (per il primo giugno è tra l'altro organizzato un happening: «Venite a ballare a Cascina Torchiera per coprire il nostro buco di bilancio, perché non abbiamo né Lusi né Belsito a darci una mano».Se ne è discusso in commissione consiliare, quando il capogruppo del Pdl, Carlo Masseroli, ha tagliato corto: «Prima di mettere a gara questa struttura è chiaro che va liberata. Come è chiaro che non può partecipare a una gara chi ha occupato». Pronta la replica di Basilio Rizzo, della Federazione delle Sinistre: «Va bene la gara e va bene non concedere privilegi a nessuno. Ma non possiamo neppure tagliar fuori chi in tanti anni ha comunque tenuto in piedi un pezzo del patrimonio del Comune, evitando che cadesse a pezzi come altrimenti sarebbe accaduto». Ancora Masseroli: «Rischiamo di creare un precedente pericoloso. Occupo e tengo in ordine, così dopo quel pezzo di città diventa mio. Così si esce dalle regole e senza regole Milano diventa fuori controllo». Dal Comune non sono giunte ancora risposte ufficiali al quesito posto dall'opposizione, anche se pare che l'orientamento sia quello di consentire ai chiunque voglia di partecipare al bando. Poi, si vedrà.

Il progetto del Comune prevede che i bandi partano appena approvato il bilancio, quindi entro l'estate. Le cascine Brusada e Cotica sono le uniche che verranno messe in vendita: per le altre si procederà con il diritto di superficie e qualche concessione d'uso, sulla base dei progetti che errano presentati. I vincitori dei bandi dovranno impegnarsi al recupero degli immobili e all'insediamento «di specifiche funzioni pubbliche individuate in sede di bando, da affiancare a quelle di carattere privato capaci di generare reddito, che dovranno garantire la sostenibilità economica del recupero».Nel bilancio si lancia anche una ricerca di sponsor per salvare venti monumenti cittadini: da Palazzo Moriggia, sede del Museo del Risorgimento (spesa prevista di 750 milioni, divisi in due interventi), all'Arco di Porta Nuova (600 milioni) e a quello di Porta Ticinese 850 milioni); dalla statua di Napoleone III al Parco Sempione (360 milioni) a quelle di Leonardo da Vinci (105 milioni) e di Giuseppe Missori (90 milioni).

la Repubblica

Fiumi e canali soffocati dai rifiuti resta il mistero su chi deve salvarli

di Franco Vanni

Il canale Vettabbia, che attraversa il Sud milanese, è una discarica per batterie d’auto e latte di vernice. Dal Seveso, che pure è interrato, la polizia provinciale recupera almeno due volte l’anno carcasse d’auto, bombole del gas e intere cucine. La Martesana, in cui ancora si scaricano acque sporche, all’altezza di via Idro viene periodicamente riempita di pneumatici di auto esausti che nella maggior parte dei casi recuperano i vigili urbani pur senza averne competenza. E c’è il caso eterno del cosiddetto Lambro meridionale, il tratto del fiume Olona che incrocia senza mischiarsi il Naviglio Pavese all’altezza di via Chiesa Rossa, sempre intasato di plastica e rifiuti pesanti. Le prime interrogazioni al Comune sullo «scempio ambientale» dei corsi d’acqua milanesi le fece il Pci negli Anni Ottanta e da allora poco è cambiato. I fiumi e i canali di Milano soffrono: nonostante gli allarmi periodici di Legambiente e delle guardie ecologiche volontarie, le Gev, le istituzioni sembrano lontane dal trovare una risposta a una domanda apparentemente semplice: a chi spetta la pulizia?

Minimo comune denominatore delle situazioni di degrado nei corsi d’acqua cittadini è la contesa fra Comune, Provincia, Amsa e consorzi di gestione sulle competenze per la cura e il recupero di alveo e acque. «A noi spetta la pulizia delle sponde, non dei corsi, e solo nel caso gli argini costeggino strade comunali - spiega Sonia Cantoni, presidente di Amsa - Non mi pronuncio sulla razionalità di questa situazione, ma il nostro contratto è chiaro». La convenzione fra Amsa e Comune sarà rinnovata a giugno 2013. «L’augurio è che si renda più razionale il sistema delle competenze - dice Lorenzo Baio, del settore acqua di Legambiente Lombardia - si decida finalmente a chi spetta fare cosa». Cantoni pone una condizione: «Sarebbe bene che il soggetto incaricato delle bonifiche e della pulizia fosse unico».

Nella giungla delle competenze non riconosciute succede che nelle "teste" dei fontanili del parco delle Cave, alla periferia ovest cittadina, siano rimasti immersi per anni quintali di pannelli di eternit da 60 centimetri per 80, rimossi poi dalla polizia provinciale grazie alla buona volontà di una pattuglia di agenti. E la Roggia Vettabbia, che raccoglie acqua di falda pompata per evitare l’allagamento delle fermate della metropolitana, è inquinata al punto che si preferisce non bonificare il fondo. «Smuovendo il limo - dice un perito a cui Palazzo Marino si rivolse nel 2010 - si rischierebbe di disperdere nell’acqua le sostanze pesanti imprigionati nel fango». Ma il problema non è solo la contaminazione chimica. Il consigliere di Zona 5 Piermario Sarina ha consegnato al parlamentino di quartiere un dossier fotografico sulle condizioni «vergognose e indecenti» del canale all’altezza di via dell’Assunta: sacchi dell’immondizia, copertoni e arredi da ufficio riempiono il canale. «Si decida chi pulisce, punto e basta», dice Sarina. Ma non è così facile.

Della cura dei 38,9 chilometri della Martesana per statuto si occupa il Comitato per il restauro delle chiuse dell’Adda, «con la Provincia di Milano» e «con il sostegno della Regione Lombardia». Ma a nessuno dei tre enti spetta la pulizia dell’alveo. La «manutenzione strutturale» dei Navigli maggiori, Grande e Pavese, è disciplinata da una convenzione fra Scarl (società regionale) e consorzio Villoresi: anche in questo caso non c’è chiarezza su chi debba pulire acqua e fondo, da cui ogni anno vengono recuperati quasi 250 quintali di rifiuti. Per il tratto cittadino del Lambro - dalle cui rogge Legambiente periodicamente tira fuori tonnellate di televisori, materassi e cartelli - la competenza è formalmente distribuita fra Comune, Provincia e Regione. Peccato che a pulire alla fine siano i volontari.

Il PGT da Moratti a Pisapia

La discussione sulle osservazioni al Piano di governo del territorio (PGT) di Milano è ancora in corso nel Consiglio comunale, in un clima quasi di silenzio stampa e non si sa esattamente quando disporremo di un testo e di una serie di tavole definitivi, sui quali poter svolgere una valutazione puntuale, alla quale comunque ci impegniamo, non appena sarà possibile. Le considerazioni possibili oggi hanno dunque ancora, necessariamente, un carattere piuttosto generale: ma la portata delle questioni che aprono è tale da renderle interessanti, per Milano e probabilmente anche per il resto del paese, nonostante la mancanza di qualche dettaglio.

La discussione in corso riguarda il Piano proposto e fatto adottare dalla precedente Giunta comunale di centro destra, presieduta dal Sindaco Moratti, che pure aveva già portato in Consiglio comunale le controdeduzioni alle osservazioni e la conseguente approvazione definitiva, ma che, abbastanza inspiegabilmente, non aveva dato corso alla successiva pubblicazione. La nuova Giunta comunale, presieduta dal sindaco Pisapia, revocava la precedente approvazione, riaprendo l’esame delle osservazioni: ed è questa la fase conclusiva che si sta ora svolgendo nel Consiglio comunale. La discussione avviene su una proposta di controdeduzioni formulata dalla Giunta, corredata dei testi normativi modificati, ma non dalle tavole, che la Giunta ha scelto di far redigere e dunque di rendere conoscibili, solo dopo il voto finale del Consiglio.

Non è dato sapere ufficialmente se sia intenzione della maggioranza ripubblicare il piano modificato. Nei contatti informali si esprime di solito su questo punto, da parte di esponenti della maggioranza e consulenti, un’opinione negativa, che non può non lasciare perplessi a causa dei rischi d’impugnazione che può comportare.

Il piano della Giunta di centro destra era caratterizzato da vistose “innovazioni”, se così si può dire. In estrema sintesi possiamo così ricapitolarle: la mancanza di ogni riferimento a un qualsiasi quadro di coerenza metropolitana; la mancanza di scelte dichiarate relativamente ad infrastrutture rare anche fondamentali, come ad esempio gli aeroporti; la previsione di nuovi tracciati superstradali/autostradali urbani, fuori e dentro terra; la previsione di sei nuove linee metropolitane totalmente urbane (per altro prive di finanziamento); l’introduzione del principio dell’indifferenza funzionale degli insediamenti urbani; l’utilizzazione intensiva (indice di utilizzazione convenzionale spesso superiore a 1mq/mq) delle ultime aree dismesse o sottoutilizzate – scali ferroviari, caserme e altre private.

Così pure l’introduzione del principio della trasferibilità generalizzata, su tutto il territorio comunale, dei diritti edificatori ovunque generati dall’indice unico, con il prevedibile loro atterraggio concentrato soprattutto sulle aree più centrali; la modificabilità delle previsioni del PGT su qualunque area, mediante la procedura di iniziativa privata del Piano integrato d’intervento; la disapplicazione di gran parte degli standards urbanistici nazionali; l’invenzione di un regime specialissimo per tutti i servizi non solo pubblici, ma anche privati e con fini di lucro, che, non essendo computati nel calcolo della superficie lorda di pavimento potranno essere realizzati dovunque e con qualsiasi densità edilizia mentre tutti quelli già esistenti genereranno ulteriori diritti volumetrici come fossero aree edificabili ancora libere; la generale facoltatività delle quote di edilizia sociale; l’attribuzione automatica di un indice unico ridotto e trasferibile, pari a 0,15 mq/mq alle aree non agricole comprese nel Parco sud; la genericità di molte delle tutele di carattere storico e paesistico; oltre naturalmente ad altri numerosi aspetti anche importanti che qui, per brevità, non si possono citare.

Gli effetti dell’insieme di queste disposizioni di piano sono facilmente sintetizzabili: a Milano vengono attribuite nuove potenzialità edificatorie dirette enormi, stimabili in almeno 70 milioni di metri cubi convenzionali. A tale quantità andrebbero per la verità aggiunte quelle derivanti dall’eventuale realizzazione dell’edilizia sociale opzionale, dalle possibili operazioni di dismissione e rilocalizzazione dei servizi e dagli interventi già in corso. Considerando tutto questo, si sarebbero certamente largamente superati i cento milioni di metri cubi convenzionali.

Questa enorme intensificazione della città è sostenuta da un potenziamento delle infrastrutture di mobilità totalmente urbano. Le abnormi previsioni sembrano rispondere, se così si può dire, a una doppia logica, da un lato alimentare una bolla immobiliare gigantesca (che sembra non avere molte altre spiegazioni se non nella dubbia liceità degli investimenti che ne sono all’origine e dunque in una qualche funzione di riciclaggio del mercato immobiliare), e dall’altro invece l’apertura di una guerra senza esclusione di colpi contro l’hinterland, destinato a subire una concorrenza sempre più dura da parte del capoluogo. Tali abnormi previsioni hanno ovviamente anche una conseguenza e un costo: una buona qualità di vita a Milano sembra diventare sempre più un optional d’improbabile realizzazione.

La nuova Giunta, come si è accennato, riprende in mano l’argomento riesaminando le osservazioni, prima contro dedotte quasi in blocco e con difetti di procedura. Lo fa secondo indirizzi politici e con effetti che possono essere così riassunti per sommissimi capi: cancellazione di alcuni ambiti di trasformazione irrealistici (come ad esempio quelli connessi al trasferimento del Tribunale) e di altri periurbani, per un totale di circa 0,6 milioni di mq di superficie lorda di pavimento; riduzione della capacità insediativa degli ambiti di trasformazione confermati, da circa 4 a circa 2,5 milioni di mq di superficie lorda di pavimento; riduzione dell’indice unico di edificazione territoriale per funzioni private da 0,5 a 0,35 mq/mq (comunque incrementabile per efficienza energetica di ulteriori 0,15 mq/mq); mantenimento della facoltà di utilizzazione dell’indice di edificazione per l’edilizia sociale per altri 0,35 mq/mq, che diviene obbligatorio (sembra di capire limitatamente alla cessione dei diritti volumetrici) solo per gli interventi di maggiore dimensione;

E aggiungo la cancellazione del riconoscimento automatico alle aree non agricole del parco sud del diritto edificatorio da trasferire pari a 0,15 mq/mq, ma rinvio alle future decisioni del Parco sud, senza espressione di specifici indirizzi, per la possibile attribuzione dell’indice (si deve ritenere quello unico, pari a 0,35?) alle eventuali aree da trasformare; introduzione di alcune norme di carattere metrico relativamente alla concentrazione dei volumi realizzabili, formulate però in modo non sempre chiaro; la cancellazione della previsione del tunnel stradale Expo – Forlanini, ma rinvio delle scelte per il trasporto pubblico al futuro Piano di settore della mobilità. Infine lo scheletro nell’armadio della normativa iper innovativa sui servizi viene affrontato dalla nuova Giunta con proposte difficilmente decifrabili.

Per quanto si comprende i servizi pubblici non genereranno più automaticamente ulteriori diritti edificatori per funzioni private, mentre tale gentile cortesia viene conservata per i servizi privati, generalizzando anzi la facoltà di esportarli fuori dalle aree di proprietà e di commerciarli, prima limitata ai soli servizi religiosi. Servizi pubblici e privati, secondo la proposta della Giunta continueranno a non essere computati nella superficie lorda di pavimento, determinando il rischio della creazione di superconcentrazioni di superattrattori. Sembra che i proprietari dei servizi privati potrebbero persino dapprima utilizzare i diritti volumetrici dell’indice unico, poi dismettere la parte a servizi, trasformandola in residenza o terziario e infine ricostruire i servizi in una qualsiasi area priva di diritti edificatori. L’insieme di questi giochetti comporterebbe una capacità insediativa potenziale pari ad almeno 5 milioni di metri quadrati di nuovi diritti volumetrici generati, ai quali si dovrebbe aggiungere una quantità forse doppia per tenere conto delle potenzialità legate all’eventuale trasferimento ” speculativo” dei servizi cui si è fatto cenno.

Aggiungendo a tutto questo i circa 7 milioni di metri quadri di SLP degli interventi già in corso a Milano, e ovviamente le previsioni degli ambiti di trasformazione, si raggiunge alla fine una potenzialità edificatoria complessiva stimabile in circa 25 milioni di metri quadrati di SLP, pari a 82 milioni di metri cubi convenzionali (e almeno 160 reali), corrispondente al fabbisogno di almeno ottanta anni, sempre che continuino in futuro i ritmi di sviluppo degli ultimi anni, che in realtà già oggi appaiono largamente in crisi.

Così sembrerebbe, allo stato dell’arte e sulla scorta di una normativa alquanto confusa. Per avere qualche maggiore certezza dovremo attendere di leggere il testo finale e di vedere le tavole, quando esisteranno.

Su questi principali aspetti, ma anche su altri che qui per brevità non si richiamano, il gruppo di lavoro e la sezione di Italia Nostra non si sono limitati a scrivere documenti, ma hanno elaborato emendamenti tecnicamente compiuti, che hanno consegnato a tutti i consiglieri disposti all’ascolto. Non resta che attendere la conclusione dei lavori del Consiglio per capire se saranno state accolte modifiche rispetto alle proposte della Giunta: purtroppo però allora sarà troppo tardi per cambiare qualsiasi cosa per via amministrativa.

Pur nella condizione d’incertezza fin qui descritta, è però possibile formulare qualche valutazione di carattere generale su tutta la vicenda, soprattutto perché sembra utile a rilanciare una riflessione di carattere sia locale sia nazionale su cosa dovrebbe significare oggi fare pianificazione territoriale e urbanistica nel contesto economico, sociale e istituzionale che caratterizza oggi il nostro paese.

Quattro nodi irrisolti, e una proposta per il futuro

Il primo nodo che esplode è quello della scala della pianificazione, ancora comunale, mentre manca qualsiasi sistema di governo delle aree metropolitane, su cui pure si estendono tutte le grandi città e ormai anche molte di quelle prima considerate medie. Ebbene, il cittadino italiano non può essere chiamato a pagare tasse sempre più pesanti per mantenere un sistema amministrativo troppo spesso segnato oltre che dalla corruzione da dispersività e inefficienza. Mentre gli altri paesi europei stanno facendo continui passi in avanti per dare sempre maggiore consistenza istituzionale alle aree metropolitane esistenti da decenni (ad esempio la Francia, con i Plan locales d’urbanisme estesi anche a 50/70 comuni e ora con la legge nazionale di riforma dell’ordinamento delle comunità territoriali n° 1563/2010 e la Germania con la redazione dei Piani regolatori “regionali” sviluppati in diversi Länder) noi siamo fermi all’intenzione di sciogliere le Province, forse senza sostituirle con nient’altro, con il rischio di accentuare ancora di più l’attuale frammentazione amministrativa.

E però le grandi città capoluogo conservano il potere di promuovere la formazione di quella che nella nostra legislazione si chiama Città metropolitana. Per questo è necessario chiedere ai sindaci di Milano, di Napoli, di Torino, di Firenze, di Bologna (per citare solo alcuni dei primi della lista, ed anche a quello di Roma, nonostante la molto maggiore estensione del capoluogo), di promuovere con urgenza questa riforma fondamentale e di avviare da subito, con tutti i comuni interessati, la pianificazione concordata almeno dei grandi servizi, delle grandi infrastrutture, dei principali poli insediativi e dei fondamentali corridoi verdi e azzurri. Milano non sembra abbia finora fatto passi decisivi in questa direzione: anzi, ha persino iniziato ad accapigliarsi con Sesto San Giovanni, nonostante l’omogeneità del colore politico, per stabilire chi debba aggiudicarsi il nuovo polo sanitario, fino al punto da chiedere al Presidente della Regione Formigoni di fare da giudice di gara: … in materia sanitaria ! In uno degli emendamenti proposti ai consiglieri abbiamo chiesto di stabilire in modo impegnativo nel Documento di piano che il nuovo Piano della mobilità venga sviluppato con gli altri comuni, a scala metropolitana: ancora non sappiamo se la proposta, che a noi sembra di minimo buon senso, verrà accolta.

Un secondo nodo, presente un po’ dovunque nelle città italiane, è certamente ancora costituito dal tema del riuso dell’inutilizzato e del dismesso.

Il piano di Milano, sia nell’adottato che nelle nuove proposte di controdeduzioni, ignora completamente il tema dell’inutilizzato, nel senso che, non contenendo nemmeno una ricognizione grossolana della natura del patrimonio esistente vuoto, di quello in costruzione ma invenduto e di quello già previsto dalla pianificazione attuativa o autorizzato, ma ancora non realizzato, tantomeno contiene una qualche terapia per questa pur evidente patologia. E invece proprio da qui bisognerebbe partire, a causa della notoria grande estensione del fenomeno, per costruire, nell’attuale contesto economico, un piano urbanistico realistico e dotato di minima intelligenza. Non ha, infatti, alcun senso buttare a caso nuova benzina di diritti volumetrici sul fuoco che già sta divampando pericolosamente. Anzi, forse, la via giusta è proprio l’opposto: raffreddare la temperatura, cioè agevolare con politiche diversificate lo smaltimento dell’inutilizzato e solo dopo mettere in campo nuove opportunità, per evitare che nella città e nello stesso mondo della finanza si vadano moltiplicando le sacche di malessere e di sofferenza, accanto a quelle di euforia più o meno illusoria.

Di traverso a questo discorso ragionevole si mette lo stato, che ci appare ancora una volta assetato più che preoccupato del bene dei cittadini. Che siano scali ferroviari o caserme, manifatture tabacchi o carceri, dismessi o dismettendi, l’urbanistica è circondata dalle aspirazioni cessionarie o cartolarizzatrici di stato e aziende pubbliche ed ex pubbliche.

I comuni, invogliati da quote di partecipazione agli utili o da sperati introiti in oneri spesso si prestano al gioco. Non dovrebbe essere così: quelle sono già aree pubbliche, i cittadini le hanno già pagate una volta: non devono essere costretti a ricomprarsele concedendo diritti volumetrici. E questo per una ragione molto precisa: si tratta di aree spesso dotate di un valore insostituibile.

A Milano la conformazione lineare e talvolta radiale degli scali ferroviari li rende occasioni uniche e ultime per realizzare importanti e profonde penetrazioni di verde dentro un tessuto cementificato di compattezza altrimenti disperante. Scalo Farini: Central Park di Milano è uno slogan perfetto e del tutto corretto, anche se ripreso oggi dal responsabile del piano della vecchia giunta. La riduzione degli indici prevista dalla nuova Giunta è insufficiente per consentire il raggiungimento di questi obbiettivi: per questo ai consiglieri disposti all’ascolto abbiamo proposto emendamenti finalizzati a ridurre in misura ben maggiore le volumetrie o a rinviare le scelte a dopo una dimostrazione progettuale della consistenza delle penetrazioni verdi che verrebbero realizzate. Una mostra allestita al Politecnico nel mese di aprile ha largamente illustrato le potenzialità di rigenerazione urbanistica legate a queste aree, se usate diversamente e più moderatamente.

Questo tema è presente in quasi tutte le città italiane grandi e medie, e l’appello che ci sentiamo di fare, a partire dall’esperienza milanese, è quello di batterci tutti insieme perché le proprietà pubbliche, al di là della specifico soggetto proprietario siano usate per rialzare la qualità urbana e non per alimentare la bolla immobiliare nell’illusione di portare soldi nelle casse di stato, aziende e comuni. È una vertenza nazionale che forse Italia Nostra può tentare di aprire

Un terzo tema brilla nella vicenda milanese, questa volta per la sua assenza. È il tema della cura delle tante disfunzioni della città sotto il profilo della qualità urbana, del semi-abbandono di molti quartieri di edilizia popolare, della scarsità, dell’inefficienza e del costo di numerosi servizi, della congestione e dell’invasività, talvolta esasperante, del traffico e della sosta, non solo presso i luoghi di destinazione, ma persino presso quelli di residenza. A essi si aggiunge il tema della scarsità di case effettivamente disponibili per gli strati sociali deboli, toccato ma certo non risolto dal piano. Sotto il nome pomposo del Piano dei servizi quel che manca completamente a Milano è proprio qualsiasi indicazione di progetto per rimuovere tutte quelle cause che provocano un diffuso disagio rispetto al funzionamento della città. Anche questo è sicuramente un tema comune nelle città italiane e soprattutto nelle grandi città, in probabile aggravamento a causa della contrazione delle risorse pubbliche disponibili e che potrebbe anch’esso rientrare in un piano di azione dell’associazione a livello nazionale, accanto alle attività tradizionalmente svolte in difesa del patrimonio paesaggistico e di quello storico – culturale.

Anche un quarto tema brilla per la sua totale assenza nella vicenda del PGT milanese: è quello del rilancio della competitività del sistema produttivo, della ricerca, dell’innovazione e delle infrastrutture rare: del tutto dimenticato perché qualche maestro, davvero cattivo, ha teorizzato con successo che l’urbanistica deve avere per oggetto soltanto la regolazione, o il traffico che dir si voglia, dei diritti edificatori. Ed anche in questo caso avviene a Milano il contrario di quello che succede nei paesi di più alta tradizione nella gestione territoriale, che da sempre hanno fatto del piano innanzitutto lo strumento per la cura e la crescita delle opportunità e delle vocazioni caratteristiche di ogni territorio. -

Per concludere sulla vicenda milanese possiamo forse sentirci di avanzare una proposta al Sindaco. Che la storia urbanistica della nuova amministrazione non si chiuda con la faticosa approvazione del Piano Moratti rappezzato ma che si apra subito la stagione del Piano Pisapia. Pensato ex novo, a partire dalle idee della nuova amministrazione e con respiro metropolitano. Con l’obbiettivo di farlo nascere prima della fine del mandato.

Assessore Lucia De Cesaris, di solito uno si commuove per la nascita di un figlio, per una poesia, per un bel tramonto. Ieri, lei si è messa a piangere quando è stato approvato il Piano di Governo del Territorio. Commossa per il Pgt?«Mi sono commossa perché era una sfida. In molti dicevano che era un'operazione impossibile, che bloccavamo la città. Invece abbiamo lavorato tanto e bene con persone che hanno messo il cuore e la testa per la città. Ecco perché mi sono commossa».

Qual è, secondo lei, il valore del Pgt approvato martedì sera, rispetto al precedente?«È un piano equilibrato. Fa i conti con la situazione attuale della città e del mercato. È un piano che rimette al centro la città pubblica».

Quello precedente?«Non prevedeva alcuna scelta. L'unico obbiettivo era lasciare fare tutto agli operatori. Il ragionamento sottostante era il seguente: l'amministrazione non interviene perché non ha risorse, quindi apriamo le porte al privato e stiamo a guardare cosa succede».

Il vostro?«Nel nostro piano qualsiasi intervento deve tenere conto delle esigenze del contesto in cui viene realizzato. Sia in termini di servizi e verde sia in termini di realtà abitativa. L'offerta di servizi pubblici è decisa con la partecipazione del pubblico. Nel piano precedente era scomparsa la differenza tra servizio pubblico e privato e soprattutto il pubblico rinunciava a qualsiasi regia».

Il Pgt prevede 4 milioni di metri quadrati in meno di cemento. L'Istat ha lanciato l'allarme sul consumo del suolo. A Milano e provincia è stato cementificato il 37,1 per cento del territorio. Un dato impressionante.«Bisogna riflettere. Adesso bisogna puntare molto sulla ristrutturazione e sul recupero di quello che c'è prima di pensare a nuovi grandi interventi».

Basta grattacieli?«Lo valuteremo volta per volta. Però mi sento di dire una cosa: occupiamoci prima degli spazi privati male utilizzati. Usiamo i grattacieli che abbiamo».

L'opposizione, dal Pdl ai grillini, dicono che meno cemento più verde e solo uno slogan e che in realtà il verde, a partire dal Parco Sud, è in pericolo.«Non è vero che riduciamo il verde. Abbiamo introdotto il piano della media Valle del Lambro. Abbiamo avviato il riconoscimento delle aree agricole. Abbiamo disegnato la rete ecologica comunale, l'asse del verde cittadino che si connette con quello regionale...»

E rendere edificabili i 310 mila metri quadrati di via Vaiano Valle confinanti con il Parco Sud?«Facciamo chiarezza una volta per tutte. Il Parco Sud deve conservare la sua funzione agricola. Dal Parco Sud non possono nascere volumetrie. Ma abbiamo dovuto fare i conti con una scelta scellerata della precedente amministrazione in base alla quale alcune proprietà godevano di alcune volumetrie inventate ad hoc a cui si sommavano altre volumetrie di aree limitrofe. E tute venivano trasferite in un'area pubblica: l'Ortomercato. Di fatto, senza gara si regalava un'area pubblica con il doppio delle volumetrie in una zona con un valore di mercato molto più alto».

Un'altra accusa è quella di scarsa trasparenza e poca partecipazione.«Abbiamo dato ai consiglieri tutto il materiale in nostro possesso. Questa battaglia del Pdl sul fatto che abbiamo recepito le osservazioni dei cittadini svela il vero pensiero dell'opposizione: le osservazioni sono inutili».

La scarsa partecipazione?«Abbiamo incontrato i comuni limitrofi in assemblee pubbliche con il sindaco, abbiamo incontrato le zone, abbiamo organizzato assemblee cittadine in ogni zona della città, abbiamo incontrato gli operatori, i sindacati, le associazioni ambientaliste, le categorie produttive. Chi dice che non c'è stata trasparenza, in verità non ha voluto partecipare. Ai grillini rispondo che la Commissione Urbanistica è un momento istituzionale. La loro presenza è stata inesistente, non c'è stato nessun intervento. Il Pdl ha fatto ostruzionismo. Solo la Lega ha chiesto di approfondire il merito».

Altra accusa. I vostri rapporti privilegiati con le Ferrovie dello Stato sugli scali.«I procedimenti amministrativi sono trasparenti. Gli accordi di programma sono usati in tutti i grandi progetti. Nulla che non sia alla luce del sole. Gli scali devono rappresentare un grande progetto strategico non solo per Milano. L'accordo di programma è lo strumento migliore per permettere a Fs di valorizzare le loro aree e di consentire un ritorno alla città in termini di infrastrutture. Voglio ricordare che l'accordo di programma era stato adottato dalla precedente amministrazione e mai chiuso».

Quando entrerà in vigore il Pgt?«Adesso il piano va pubblicato. Entro l'estate. Conto che per autunno il Pgt entri in vigore».

la Repubblica

Più abitanti e 21 nuovi quartieri apre il cantiere della città futura

di Teresa Monestiroli

Dopo sedici sedute in Consiglio comunale e quasi 55 ore di dibattito in aula, da oggi Milano ha un nuovo Piano di governo del territorio. Nuove regole nel Pgt per disegnare la città del futuro che, promette Palazzo Marino, avrà più verde e meno cemento, più case a basso costo e meno flessibilità nelle destinazioni d’uso. Molto soddisfatto il sindaco Pisapia che dice: «Finalmente la città ha gli strumenti per quel cambiamento da tanti auspicato, anche nel rapporto con i cittadini dal momento che sono state accolte molte osservazioni».

La città del 2030, che la giunta Moratti immaginava ripopolata di quasi 500mila nuovi abitanti, si fermerà a un milione e 500mila persone: 155mila cittadini in più rispetto a oggi, compresi però quei 94mila che nei prossimi anni andranno ad abitare nei quartieri già in costruzione (da Citylife a porta Nuova). L’espansione si riduce, grazie a una drastica revisione degli indici di edificabilità e allo stralcio di intere aree di trasformazione urbana come il carcere di San Vittore e i binari di Cadorna, viale Forlanini, Cascina Monluè e una parte di Porto di Mare dove si costruirà solo in quella fetta di territorio che non rientra nel Parco Sud. La cintura verde che abbraccia Milano a sud è stata esclusa dalla regola della perequazione che permette di trasferire le volumetrie da una parte all’altra della città. I nuovi quartieri passeranno da 26 a 21 (con 27mila abitanti), il tunnel Expo-Linate viene archiviato per sempre, il distretto economico di via Stephenson (sulle aree di proprietà di Salvatore Ligresti) molto ridimensionato così come gli ex scali ferroviari il cui indice di edificabilità scenderà allo 0,70, compresa la parte da destinare all’housing sociale.

La lunga maratona in aula per rivedere il Piano urbanistico, approvato il 4 febbraio 2010 dalla precedente amministrazione con i soli voti dell’allora maggioranza di centrodestra, è iniziata nel novembre 2011 con la revoca dell’approvazione da parte della giunta Pisapia e l’avvio di una seconda valutazione di tutte le 5mila osservazioni presentate da cittadini e associazioni. Un’analisi durata settimane che ha portato le richieste di modifica accolte da 350 (giunta Moratti) a oltre 2mila. Il dibattito in consiglio sulle osservazione è partito il 20 febbraio scorso e si è concluso ieri sera alle 20 con il voto dopo 16 sedute, il doppio rispetto al 2010: 27 i consiglieri favorevoli, tutti di centrosinistra, contrario Mattia Calise del Movimento cinque stelle, mentre l’opposizione è uscita dall’aula.

Gli indici: Edifici per 2,5 milioni di metri quadri la revisione ha dimezzato il cemento

Sarà una città con meno cemento. Drastico il taglio sul costruito che, con il nuovo Piano, viene ridotto del 50 per cento fermandosi a poco più di 2,5 milioni di metri quadrati. Una diminuzione che si ottiene sia dallo stralcio di alcuni interventi, sia dalla riduzione dell’indice di edificabilità che da 0,50 metri quadrati per metro quadrato (Pgt della Moratti) è stato ridotto a 0,35, con l’introduzione anche di un tetto massimo di 1 raggiungibile solo costruendo anche case a basso costo.

I vincoli: Salvo il Parco Sud, terreni congelati niente palazzi a Monluè e Porto di Mare

Il Parco Sud è salvo: le aree agricole non produrranno più volumetrie da spostare in altre parti della città. In questo modo vengono cancellati dal Pgt 2.600.000 metri quadrati di cemento "virtuale" che, secondo il vecchio documento, sarebbero potuti atterrare in altre zone favorendo i privati che oggi possiedono aree verdi non edificabili. La nuova amministrazione ha anche cancellato dal Piano l’area di trasformazione urbana di Cascina Monluè e una parte di Porto di Mare.

Le aree: Addio alla Défense con 50 grattacieli no al progetto record a Stephenson

Drastico ridimensionamento della Défense milanese. Quello che nei piani della Moratti doveva diventare il nuovo distretto economico con 50 torri in via Stephenson, grazie a un indice di edificabilità record pari a 2,7 metri quadrati per metro quadrato, viene completamente rivisto. Da 1.200.000 mq di mattoni si scenderà a 300.000 (-75%), dal momento che l’indice è stato ridotto allo 0,70. Qui, come in via Toffetti, è stato inoltre introdotto il vincolo del terziario: sarà vietato costruire abitazioni.

L’housing sociale: Promesse 25mila case fuori mercato la quota low cost diventa obbligatoria

Il nuovo Piano punta all’housing sociale introducendo l’obbligo di costruire case a basso costo in tutte le aree con superficie territoriale superiore a 10mila metri quadrati. Se nel precedente Pgt chi realizzava edilizia convenzionata otteneva un bonus di volumetrie (ma poteva anche scegliere di realizzare opere pubbliche diverse), il nuovo documento rende obbligatorio l’housing sociale. Saranno costruiti 24.953 nuovi alloggi, di cui 14.862 in vendita agevolata, 6.405 a canone moderato e 3.686 a canone sociale.

La mobilità: Treni leggeri e un anello di binari così la Circle line sfiderà il traffico

Il tunnel che avrebbe dovuto collegare l’aeroporto di Linate al sito di Expo, attraversando sotto terra l’intera città, non si farà. Stralciato dal Pgt perché insostenibile dal punto di vista economico e ambientale, il progetto è quindi definitivamente tramontato. Resta invece nei piani di Palazzo Marino la Circle Line, il treno leggero che farà il giro della città e che rientra nell’accordo del Comune con le Ferrovie dello Stato riguardo alla trasformazione degli ex scali ferroviari.

L’ambiente: Scatta il bonus sul risparmio energetico nelle ricostruzioni un premio del 15%

Premio di volumetrie a chi riqualifica vecchi stabili secondo le nuove regole del risparmio energetico. Il Pgt modificato dalla giunta Pisapia triplica il bonus "ambientalista" passando dal 5 per cento in più fissato dalla giunta Moratti al 15. Un diritto che, secondo le nuove regole, non decade dopo cinque anni come previsto nel vecchio piano. Inoltre il Pgt prevede per i nuovi edifici il raggiungimento di un adeguato livello di eco-sostenibilità energetica, che verrà fissato dal regolamento edilizio.

Corriere della Sera

Approvato il nuovo piano urbanistico

di Armando Stella

Un'eredità «scomoda, non scelta» e per questo profondamente riformata sulla base delle correzioni invocate dai cittadini. Meno cemento e più verde rispetto agli indirizzi della ex giunta Moratti; vincoli più stringenti per i parchi, gli scali ferroviari e le aree dismesse; una quota più importante di edilizia residenziale pubblica. Il consiglio comunale ha approvato ieri sera con i voti del centrosinistra il nuovo Piano di governo del territorio, la versione riveduta e corretta del documento che disegna i margini d'intervento per i costruttori, fissa i paletti per i cantieri e traccia le linee di sviluppo della città.

L'assessore all'Urbanistica, Ada Lucia De Cesaris, ha accolto il voto con commozione sui banchi della giunta e ricevuto l'abbraccio affettuoso di Giuliano Pisapia. Un mazzo di fiori, profumo di gloria. Ha ringraziato i dipendenti degli uffici, l'assessore, riservato l'onore delle armi alla Lega che «ha accettato il confronto nelle differenze», e fatto la voce grossa con il Pdl e i terzisti «che non hanno avuto rispetto per il consiglio e la città». Stoccata polemica: «Una parte politica ha scelto di non esserci, in aula, perché aveva obiettivi diversi per Milano». Esulta anche il sindaco: «Una decisione importante, perché finalmente la città e l'amministrazione hanno gli strumenti per quel cambiamento da tanti auspicato».

Il nuovo masterplan dimezza la «potenzialità edificatoria» sulla terra ancora libera (meno 51%). Cosa significa? Un'immagine aiuta a immaginare lo scenario: sono stati scongiurati 124 grattacieli Pirelli, un enorme blocco di quattro milioni di metri quadrati di cemento. «La giunta Pisapia — ha aggiunto l'assessore De Cesaris — si era presa un impegno con la città e lo ha rispettato. Ha valutato le osservazioni dei cittadini, analizzandole una per una. Il volto di Milano cambierà: ci sarà più verde, meno cemento e una mobilità a misura d'uomo». Il Comune consentirà la costruzione di 14.862 appartamenti a canone agevolato, altri 6.405 alloggi a prezzo moderato e 3.686 case ad affitto sociale.

Un'estenuante maratona politica. Sedici sedute del nuovo consiglio, oltre 55 ore di dibattito, decine di assemblee pubbliche: «Il documento ha recepito in tutto o in parte il 44 per cento delle osservazioni ricevute da cittadini, associazioni e imprese» (a fronte di un 7 per cento prodotto dalla ex giunta Moratti). Viene protetto interamente il Parco Sud e azzerato il rischio cemento negli altri ambiti di trasformazione periurbana. Nessun palazzo è previsto al Forlanini, a Cascina Monlué e a Porto di Mare. Sbaragliata anche l'ipotizzata «Defense» nella zona di via Stephenson (metri quadrati edificabili tagliati da 1,2 milioni a 300 mila). Alleggerito il peso dei cantieri in altre zone sensibili, dalla Bovisa a Rubattino, e dagli scali ferroviari dismessi ancora al centro di una trattativa con Rfi (da Farini a Lambrate, a San Cristoforo).

Ventisette voti a favore, quelli dalla maggioranza. Un contrario, il grillino Mattia Calise: «Sono mancate partecipazione e trasparenza». Pdl e Lega sono usciti dall'aula: «Siamo stati contrari all'impostazione del dibattito sul Pgt — ha spiegato il consigliere del Carroccio, Luca Lepore —, ma abbiamo lavorato con piacere ai tavoli di confronto». Duro il commento del centrista Manfredi Palmeri: «Il provvedimento è inefficace, sarà decisivo il monitoraggio del consiglio». Conclude l'assessore De Cesaris: «Nel Piano è stato ristabilito il giusto equilibrio tra interventi e cura della città pubblica. Ora la grande sfida è il recupero del patrimonio esistente e la riqualificazione delle periferie». Priorità ai mezzi di trasporto sostenibili: è stato cancellato il tunnel stradale sotterraneo Expo Forlanini, avanti tutta sui nuovi metrò e lacircle lineferroviaria.

Masseroli: dieci domande a Pisapia

Il Pdl esce dall'aula e non vota il Pgt. Ma prima di salire sull'Aventino, Carlo Masseroli, capogruppo del Pdl e padre dell'ex Pgt, pone dieci domande al sindaco Giuliano Pisapia. Eccone alcune.La prima è quella che va ripetendo da settimane: «Tutti abbiamo concordato un fermo no al consumo di nuovo suolo. Non trova contraddittorio rendere edificabili 310.000 mq (pari alla grandezza del Parco Sempione) confinanti con il Parco Sud (via Vaiano Valle) e oggi coltivati, come previsto dall'articolo 35 del piano delle regole? Nell'osservazione utilizzata per apportare questa modifica al piano non c'è traccia di questa richiesta». E sempre sul verde: «Come spiega la scelta di costruire case sugli oltre 40.000 mq di Cascina Carliona (zona Barona) area oggi coltivata a riso? E pensare che l'osservazione utilizzata per apportare questa modifica chiedeva di mantenere la funzione agricola e annettere l'area al confinante Parco Sud».

Ancora verde e cemento. Ma questa volta riguarda lo scalo Farini: «Non crede che un polmone verde allo scalo Farini sia desiderabile? Perché rifiuta di dotare Milano di un nuovo grande parco cittadino in centro (pari al doppio della dimensione del Parco Sempione)?». Sempre sugli scali ferroviari. «Stiamo scrivendo le regole generali della città e contemporaneamente questa giunta prende accordi su misura con Ferrovie dello Stato. Perché? Perché le regole non funzionano? Perché ad alcuni si vuole dare di più degli altri? Perché non imponiamo alle Ferrovie di mettere subito in funzione la circle-line? Ritiene che anticipare le opere pubbliche sia troppo pretenzioso?».

C'è poi il versante dell'housing sociale: «Perché — chiede Masseroli al sindaco — rifiuta di investire in case a basso costo per giovani under 30, famiglie e madri o padri separati con almeno un figlio a carico e forze dell'ordine? Abbiamo chiesto nuovi 10.000 alloggi a 1.800 € al metro. Ci è stato risposto che il cemento è cattivo. Mi chiedo quale sia il cemento buono? Se è tutto cattivo, che nessuno costruisca. Lasciamo il degrado dove c'è. Non facciamo nulla». Infine una domanda sui luoghi di culto: «Perché è stata eliminata la possibilità di vendere i propri diritti edificatori per riqualificare il nostro inestimabile patrimonio artistico e culturale?». La guerra continua.



il Giornale

Via libera al Pgt il Pdl lascia l’aula prima del voto

I consiglieri del Pdl (compreso il papà del vecchio Pgt, l'ex assessore Carlo Masseroli) hanno lasciato l'aula dopo le dichiarazioni di voto contrario al Piano del territorio firmato Pisapia. Ma le regole urbanistiche sono state approvate ieri con 27 voti poco dopo le 20 a Palazzo Marino. La giunta Pisapa ha accolto o parzialmente il 45% delle osservazioni presentate da cittadini, associazioni e imprese. Il nuovo Pgt cancella il tunnel Linate-Forlanini, riduce le volumetrie destinate a parcheggi pubblici in centro, abbassa del 75% l'indice di edificabilità nell'area di via Stephenson che nel vecchio piano era destinata a diventare la «Defense» milanese, il quartier generale della finanza. Il capogruppo Pdl Masseroli rilancia in aula al sindaco «le 10 domande che sono rimaste senza risposta».

il Giorno

Via libera di Palazzo Marino Approvato il nuovo Pgt di Milano

Milano, 22 maggio 2012 - Approvato il nuovo Pgt del Comune. Il nuovo strumento urbanistico e’ stato varato dal consiglio comunale con 27 voti a favore della maggioranza e salutato da un applauso dei consiglieri del centrosinistra. Il Piano ha ricevuto il voto contrario di Mattia Calise del Movimento 5 stelle. Fuori dall’aula il Pdl, la Lega, Milano al centro, mentre Manfredi Palmeri pur presente non ha partecipato al voto.

“Una decisione importante. Finalmente la città ha gli strumenti per quel cambiamento da tanti auspicato”. Queste le parole del sindaco Giuliano Pisapia al termine del consiglio comunale ha commentato l’approvazione del Pgt. Un cambiamento, ha detto il sindaco, che è anche “di rapporto con i cittadini, dal momento che sono state esaminate e valutate in molti casi positivamente le oltre 4mila osservazioni che i cittadini avevano fatto al Pgt della precedente amministrazione”. Ora “avremo più verde, più housing sociale e una città più vivibile. La soddisfazione è estremamente rilevante”.

L’assessore all’Urbanistica Lucia De Cesaris nel suo intervento dopo il voto, si è rivolta a chi “non ha voluto mai entrare nel merito nonostante gli uffici abbiano messo a disposizione tutto il materiale”, con un’appendice polemica con Manfredi Palmeri di Fli sulla correttezza del percorso del Piano. “Attueremo e realizzeremo quanto previsto in questo piano giorno per giorno”, ha detto De Cesaris in conclusione. Il documento, con le modifiche apportate a quello approvato dall’aula di palazzo Marino il 4 febbraio dello scorso anno, viene varato dopo un iter istruttorio di 16 commissioni e 15 sedute del consiglio comunale.

la Repubblica

Le griffe prenotano la Galleria "Raddoppieremo i negozi"

di Ilaria Carra

Oltre il doppio degli spazi commerciali di oggi, da 20mila a 50mila metri quadri. È la base della proposta di valorizzazione della Galleria Vittorio Emanuele ufficializzata al Comune dai marchi del lusso della Fondazione Altagamma. Più insegne, fino al terzo piano del salotto, messe a reddito con un fondo immobiliare trentennale del valore (prudenziale) di 800 milioni: il 51 per cento del Comune, il 49 per cento privato. Con una clausola: per restare dove sono (anche se non nella stessa posizione) o sbarcare nel cuore della città, i marchi devono anche acquistare quote dello stesso fondo in proporzione allo spazio affittato. Una condizione, questa, che mette a serio rischio la sopravvivenza di molti negozi presenti oggi, specie quelli a conduzione familiare.

La Fondazione Altagamma guidata da Santo Versace ha presentato ieri il piano di fattibilità dell’operazione con cui punta a quasi metà della Galleria. La richiesta è arrivata direttamente al sindaco.

E proprio Giuliano Pisapia, sulla vicenda, vuole già chiarire: «Se si continuerà con l’idea di valorizzare così la Galleria, culturalmente e commercialmente, ci sarà un bando internazionale perché è un bene di Milano e di tutto il Paese e va valorizzata». Una proposta «da approfondire» che, sempre il sindaco, si augura non sia l’unica: «Spero ne arrivino anche altre», ha detto Pisapia. L’operazione, per la quale Altagamma si propone come advisor, frutterebbe a Palazzo Marino circa 400 milioni, dei quali «una quota importante - dice la proposta - sarà anticipata» subito al Comune che, a pieno regime in otto-dieci anni, incasserebbe circa 35milioni di redditività all’anno. In cambio, i privati si farebbero carico del restauro conservativo della Galleria (tra i 180 e i 200 milioni).

Il piano «proposto dall’advisor e approvato dal Comune prevede solo a livello d’eccellenza un completo assortimento di merceologie»: la metà degli spazi alla moda e alla cura della persona, il 20 per cento all’arte e alla cultura, il 15 al design, il 10 alla ristorazione e bar e il 5 per cento alla vendita di prodotti enogastronomici. I negozi monomarca sono la strategia: «Come in luoghi iconici del consumo, da Rodeo Drive alla Fifth-Madison Avenue - ricorda il presidente di Altagamma, Santo Versace - vogliamo trasformarla in una delle sette meraviglie del mondo». Un mix in cui sono compresi anche i negozi storici: «Avranno degli sconti», dice il segretario generale di Altagamma, Armando Branchini, secondo il quale saranno più agevolati che con l’attuale assegnazione «sulla sola base di una competizione sul canone». L’assessore al Bilancio, Bruno Tabacci, si compiace che sia arrivata «una proposta interessante e seria per valorizzare un patrimonio di cui si è sempre parlato ma per il quale non si è mai fatto nulla». Con un auspicio: «Si apra subito una riflessione seria».

Possibilista Carmela Rozza, capogruppo Pd in Comune: «Siamo per verificare tutte le ipotesi a patto che la proprietà resti in capo al Comune, che si faccia una gara e in Galleria restino luoghi anche per persone normali e non solo d’elite». Il capogruppo Pdl a Palazzo Marino critica e avverte: «La trattativa privata sulla Galleria sta proseguendo: nulla in contrario sulla partecipazione di privati, ma sul metodo pare si stiano ripetendo le anomalie di Sea. Se il Comune vuole privatizzare lo faccia veramente con una gara internazionale».

la Repubblica

Dimezzati in dieci anni boschi e prati di Milano

di Giuliana De Vivo

Sempre meno alberi, prati, campi coltivati. Al loro posto, sempre più palazzi. L’avanzata del cemento a Milano in dieci anni, dal 1999 al 2009, è stata inarrestabile. In tutta l’area del comune, compresa la cintura extraurbana, il «verde naturale e seminaturale» - aree boschive, prati non coltivati, spazi aperti con arbusti - è diminuito del 43,4 per cento. Passando dai quasi 489 ettari del ‘99 ai 277 attuali. Anche le aree agricole sono calate, del 14 per cento: dai 3.897 ettari di allora ai 3.428 di oggi. E questo nonostante una crescita della popolazione, nello stesso periodo, minima: le famiglie milanesi sono aumentate solo dell’1 per cento. È quanto emerge dal rapporto 2012 sui consumi di suolo elaborato dal centro di ricerca di Legambiente e dell’Istituto nazionale di urbanistica.

Dati ottenuti, spiega Stefano Salata del Centro di ricerca sui consumi di suolo, incrociando quelli contenuti nel database della Regione sull’uso dei terreni: «Si calcola la differenza matematica tra i valori di allora e quelli di oggi». Ma il cambiamento si vede anche ad occhio nudo: «Basta fare un’indagine cronologica su Google Earth, - aggiunge Salata - dalle vedute aeree sono evidenti gli spazi dove il verde è stato "mangiato", ad esempio nell’area nord ovest in prossimità dell’A4. O in alcuni punti del Parco Sud». Nell’intera provincia si è costruito l’equivalente di una città grande come mezza Milano: i campi coltivati spariscono al ritmo di 20mila metri quadrati al giorno. Ogni dieci giorni il cemento cancella un terreno da cui si ricavava il frumento necessario per 150 tonnellate di pane.

E l’erosione continua: per ora è stata scongiurata quella di 100mila metri quadrati di terreno all’interno del Parco agricolo sud Milano a Vignate, a favore del polo logistico Sogemar. L’assemblea del Parco che oggi doveva dare il via libera è stata rinviata su pressione degli ambientalisti, anche se il progetto resta in piedi, con il parere positivo del Comune.

Non va meglio nemmeno nel resto della Lombardia. Dove, secondo il rapporto di Legambiente, in media vengono distrutti ogni giorno 130mila metri quadrati tra campi coltivati, boschi, prati. L’equivalente di venti campi di calcio. Una situazione che è figlia, spiega il presidente di Legambiente Lombardia Damiano Di Simine, dell’assenza di uno strumento come il censimento sull’uso del suolo. «Ogni comune dovrebbe dotarsene prima di assumere le decisioni. Ma la proposta di legge di iniziativa popolare giace nei cassetti del Consiglio regionale da due anni, pur avendo raccolto consensi bipartisan».

Senza contare che anche le leggi esistenti non sempre vengono rispettate. «Sugli oltre 1.500 comuni della regione - denuncia ancora Di Simine - solo 178 hanno recepito l’articolo 43 bis della legge urbanistica regionale, che impone un onere maggiorato per le urbanizzazioni quando queste comportano consumo di suolo agricolo». Anche Milano è tra i comuni che non hanno, finora, adempiuto a quest’obbligo. A lanciare l’allarme è anche la Coldiretti Lombardia. «Assistiamo ad una continua erosione del patrimonio agricolo del territorio», denuncia il presidente Ettore Prandini, «con i campi stretti in una morsa tra l’espansione delle città e l’avvio di nuove grandi infrastrutture, dalla Pedemontana alla Brebemi, dalla Broni-Mortara alla Tem, che hanno e avranno un impatto pesantissimo sulla vita delle aziende agricole».

Corriere della Sera

La Galleria verso i privati

di Annachiara Sacchi

Un luogo di prestigio valorizzato come merita. O un grande atelier, a seconda di come lo si voglia vedere. Fatto sta che la giunta Pisapia sembra intenzionata a cambiare il volto della Galleria, pezzo unico del Demanio comunale e della storia cittadina. La proposta firmata da Altagamma è stata presentata ieri da Santo Versace, presidente della Fondazione. Sul piatto la cessione della Galleria a un fondo immobiliare: al Comune il 51 per cento, il 49 ai conduttori dello spazio commerciale. La Galleria, a quel punto, verrebbe svuotata di tutte le attuali funzioni, uffici compresi, per destinare gli spazi «interamente alle attività commerciali di eccellenza, con un incremento delle superfici commerciali(da 20 mila a 50 mila metri quadrati, ndr)». Mix merceologico definito: 50 per cento a moda, 20 a cultura, 15 a design, 10 a ristorazione, 5 a enograstronomia.

Versace è convinto che questa potrebbe diventare «una delle sette meraviglie del mondo», un «centro commerciale unico al mondo», una «vetrina straordinaria della città». E «senza prevaricazioni verso le attuali presenze, i cui contratti verranno rispettati» (potranno decidere se entrare nel fondo o incassare una buonuscita per liberare gli spazi in anticipo).I tempi: 8-10 anni per vedere la nuova Galleria. Nel progetto, da settimane sul tavolo del sindaco, del direttore generale Davide Corritore, dell'assessore Bruno Tabacci, si parla anche di cifre: il Salotto verrebbe conferito a un fondo immobiliare chiuso trentennale, con una valutazione di 800 milioni di euro. Palazzo Marino incasserebbe 400 milioni e una «quota importante» verrebbe «anticipata al Comune» che poi godrebbe, a regime, di una redditività annuale di 35 milioni (attenzione al patto di stabilità: solo se l'operazione dovesse andare in porto entro il 2012 il 30% del ricavato potrebbe essere usato dal Comune per la spesa corrente, altrimenti andrebbe ad abbattere il debito).

Ai privati, infine, spetterebbe l'onere di ristrutturare la Galleria (circa 200 milioni di euro). Il sindaco Giuliano Pisapia, che ieri ha consegnato al presidente del consiglio comunale, Basilio Rizzo, il progetto di Altagamma perché venga distribuito ai consiglieri, mette le mani avanti rispetto a chi sente puzza di trattativa privata: «Faremo un bando internazionale», puntualizza, augurandosi che «arrivino altre proposte».Più deciso l'assessore Tabacci: «Faremo un bando, anche se valutiamo positivamente l'innesto di questa iniziativa. Finalmente abbiamo scoperchiato un problema, quello della valorizzazione della Galleria, che prima di noi hanno solo fatto finta di risolvere». Tabacci insiste: «La Galleria va valorizzata, a costo di toccare interessi che sono consolidati. Va svuotato tutto, a partire dai gruppi consiliari per ridare dignità a quest'area che è tra le più calpestate d'Italia».

La Galleria come la Fifth Avenue? L'ex vicesindaco pdl Riccardo De Corato è contrario: «Un errore, perché a Milano c'è sono via Monte Napoleone e via Spiga». Poi, la contestazione sul metodo: «Anche qui si fa avanti un amico dell'assessore Tabacci». L'opposizione intravvede il rischio che «si ripetano le anomalie di Sea». Il capogruppo pdl Carlo Masseroli insiste: «Vogliamo fare gli stessi errori?». Se lo chiedono anche i commercianti dell'associazione «Il Salotto». Pier Galli, consigliere delegato, sbotta: «Siamo preoccupati e delusi: il Comune non ci ha mai interpellato, non c'è stata trasparenza». Fiume in piena: «Molte delle nostre attività sono a conduzione familiare, non abbiamo altri punti vendita. Versiamo di affitto 13 milioni di euro all'anno, non 180 mila. Io ne pago 189 mila, oltre mezzo milione il Savini. Chiediamo un incontro. Ne abbiamo il diritto».

Boeri: resti un Salotto, non una vetrina

Parte con le migliori intenzioni: «Buon segno che ci sia un'offerta». Bene «la regia pubblica». Ottimo «il progetto di valorizzazione deciso all'interno della maggioranza».

Ma, assessore Boeri?«No alla vendita. E la Galleria resti un salotto, non una vetrina».

Ci spiega?«Vetrina è uno spazio per il consumo. Salotto è luogo di incontro e di dialogo».

Insomma, cosa ci vuole dire?«Che è inaccettabile l'idea di farne unaRodeo Driveambrosiana: la Galleria deve essere uno spazio pubblico che continui a esprimere la storia di Milano».

E non si esprime con moda e design?«Anche. Ma Milano non è una città provinciale che ha bisogno di ostentare i suoi gioielli. Non ci serve un richiamo per i giapponesi: loro arrivano comunque per la Scala, per Palazzo Reale, per le Gallerie d'Italia. Non sentiamo l'esigenza di unmallamericano».

E di cosa allora?«Di un'idea urbana che faccia parte della nostra storia. Non a caso decine di pittori si sono cimentati sul tema della Galleria, a partire da Umberto Boccioni con la "Rissa" davanti al Camparino».

Proposte?«Sono d'accordo sull'idea di un bando internazionale, sarebbe utile per lotti verticali che valorizzino tutti i piani. Ma con proposte di contenuto...».

Per esempio?«Mi pare che la proposta di Prada, che ha dedicato parte dei suoi spazi alla Fondazione, vada in questa direzione».

Sulla vendita?«Sono contrario. La Galleria deve rimanere pubblica. Tutta».

postilla

Su queste pagine, e a proposito di una questione apparentemente specifica e circoscritta come la perequazione urbanistica, Maria Cristina Gibelli si chiedeva qualche giorno fa, più o meno: ma la giunta Pisapia ha qualche idea su cosa significhi costruire una alternativa di sinistra nell’amministrazione di una grande città? Meglio: giusto fare riferimento ad alcuni principi sui diritti, il valore della politica e via dicendo, ma sul territorio i principi si articolano molto praticamente in pratiche e politiche, equilibri, declinazioni, intrecci. E risulta quantomeno curioso che sia solo l’assessore Boeri, e forse per la sola specifica competenza urbanistica, ad esprimere forti perplessità proprio sul ruolo urbano e sociale delle risorse pubbliche, altrimenti svilite a oggetto di scambio virtualmente immateriale, dove nella logica dei vasi comunicanti si costruiscono equilibri fra amministrazione e soggetti privati privilegiati, che relegano la cittadinanza ai margini. Perché è sostanzialmente questo che sta succedendo, replicando su scala minore un genere di espropriazione assai simile a quella in corso con il famigerato slogan “ce lo chiedono i mercati”. Nel caso specifico, pare che una volta valorizzato lo spazio e incassati i dividendi li si possa investire altrove, che si tratti degli affitti degli stilisti in Galleria o degli oneri destinati alle compensazioni nella greenbelt inopinatamente solcata dalle infrastrutture ideologico-cementizie della “città infinita” (i cui teorici poi presenziano pensosi ai convegni sul consumo di suolo senza che nessuno faccia una piega). Mentre invece è proprio l’altrove ad essere sbagliato: la città è QUI, non è trasferibile, è una magnifica metafora della finitezza delle risorse, ma evidentemente chi naviga nei principi eterni se ne è scordato. Vediamo di ricordarglielo, prima che ci trascini nella sua allegra e suicida insipienza (f.b.)

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