Mettete il Parco Sud al centro dell’Expo
di Stefano Pareglio
Lo scorso anno Repubblica Milano ospitò la proposta di Battisti e Deganello per un’Expo diffusa, non rinchiusa nel recinto espositivo, che reimpiegasse strutture esistenti senza consumare aree libere. Che si diluisse nella città rivitalizzandola per (almeno) sei mesi. Che lasciasse in eredità spazi pubblici, alberghi low cost e magari residenze universitarie. Pareva un ragionamento di buon senso, ma non è stato preso in considerazione. Oggi registriamo il ritardo di M5 e soprattutto M4, anche se il recente Pgt, sconnesso dalla realtà, rilancia con una "circle line" e ben 10 linee di metropolitana. Assistiamo allo spegnersi di Ecopass, mentre Tem e Brebemi si preparano a portare nuovo traffico alle soglie della città. Vediamo apparire, e sparire, un fantascientifico tunnel urbano. E prendiamo atto che le suggestive vie di terra e d’acqua sono ormai sepolte, o naufragate, a seconda del caso.
Non si ragiona sul tema di Expo 2015, ma si baruffa sulla governance e sui tagli di bilancio. La querelle è ora rivolta alle modalità e ai costi per acquisire le aree e per attrezzare il sito espositivo: ulteriore testimonianza che è il lato "fisico" di Expo, quello che davvero interessa.
E allora chiediamoci: è opportuno, di questi tempi, e a questo punto, spendere qualche centinaio di milioni di euro (pubblici) per "valorizzare" aree libere in gran parte di proprietà privata? Le grandi serre bioclimatiche (250 anni dopo Kew Gardens, in piena era Internet), e l’orto globale, saranno sufficienti per attirare 20 milioni di visitatori? Chi assicurerà l’equilibrio economico di tali strutture, una volta terminato l’evento?
La risposta è sempre la solita: serve più sobrietà. Va preso atto che le risorse e soprattutto i tempi disponibili già impongono una (ulteriore) riduzione di scala del progetto. E suggeriscono l’adozione di un diverso modello espositivo: vediamola come un’opportunità. L’Italia è conosciuta nel mondo per la bontà e la varietà dei suoi prodotti agroalimentari. La Lombardia è la prima regione agricola in termini economici e occupazionali (70mila strutture, 200mila lavoratori, indotto compreso). Ogni città o paese ha un "suo" prodotto: insaccati e formaggi dalla pianura fino agli alpeggi montani, riso nel pavese, vini in Franciacorta, in Valtellina e nell’Oltrepo, olio e limoni sul Garda e via elencando. Prodotti di grande qualità. Milano è il secondo Comune agricolo d’Italia, con 130 imprese agricole e 3mila ettari coltivati nel cuore del Parco Agricolo Sud, che abbraccia 62 Comuni, si estende su 45mila ettari e conta ben 1.400 aziende. Un Parco occupato da svincoli autostradali e da inguardabili lottizzazioni, ma anche da splendide abbazie, castelli, ville e cascine. Che è luogo di svago e di educazione alla natura per centinaia di migliaia di persone, oltre che insostituibile polmone ecologico.
A questo straordinario patrimonio, da tutelare senza tentennamenti, il nuovo Pgt di Milano prospetta di assegnare (regalare, sarebbe meglio dire) indici di edificazione da trasferire nella città, senza neppure la giustificazione di un credibile progetto di parco (e neppure di città). Nessuno, al di là della retorica, pare interessato a cogliere l’opportunità di Expo per fare del Sud Milano un paradigma dell’agricoltura metropolitana europea del XXI secolo, chiamata a rispondere alle sfide dell’urbanizzazione, dell’evoluzione demografica e sociale, della caduta dei redditi agricoli, delle nuove domande del mercato (salubrità, qualità, tracciabilità, filiera corta, vendita diretta) e della fornitura di beni e servizi pubblici. In altri termini: più che accanirsi sulle serre di Rho-Pero, bisognerebbe realizzare un moderno padiglione virtuale, en plein air e a basso costo nel Sud Milano. E ripetere poi questa operazione in altri territori della Lombardia (e del Paese), affinché possano esporre la propria identità, fatta di prodotti, di paesaggio e di cultura, nella vetrina planetaria di Expo. Si avrebbe anche il vantaggio di attivare un’offerta sicuramente più attrattiva per i 20 milioni di persone attese tra cinque anni.
Serre Expo in ritardo Sala convoca un vertice dei tecnici
di Alessia Gallione
È ancora una volta legato all’incognita dei terreni, il futuro di Expo. A quel milione di metri quadrati di Rho-Pero che, dopo oltre due anni dalla vittoria di Parigi, rimane nelle mani dei proprietari privati. Perché mentre va in scena lo scontro politico tra Comune, Provincia e Regione che oggi torneranno a riunirsi per trovare un accordo sulle aree, gli agronomi che hanno studiato come realizzare le serre e i grandi appezzamenti con i paesaggi naturali e le colture di tutte le latitudini non hanno ancora neppure potuto fare i test necessari per la fase operativa. Sono loro, gli esperti, a esprimere preoccupazione per i tempi sempre più stretti. Ma il sindaco Letizia Moratti assicura: «Sala se ne sta già occupando e stiamo lavorando continuando a studiare anche esperienze simili già presenti in Europa come l’Eden Project in Cornovaglia». Perché se anche il progetto-serre potrà essere sbloccato definitivamente quando arriveranno i terreni, la società disegnerà un nuovo percorso per l’orto globale. «Siamo fiduciosi che a breve arrivi una soluzione per le aree», dice il neodirettore generale della società di gestione Giuseppe Sala. È lui, il manager appena chiamato alla guida del 2015, che adesso convocherà «al più presto riunione con gli esperti» per capire tempi e modi.
Dovranno rappresentare una delle eredità di Expo: i cinque "agrosistemi" che riprodurranno, sotto tre serre alte fino a 50 metri e su due vasti appezzamenti, tutti i climi e le colture del mondo. Dalla foresta pluviale alla tundra fino al deserto. Una scommessa perché saranno il biglietto da visita dell’Esposizione che vuole attirare 20 milioni di visitatori non con architetture e grattacieli, ma con il tema stesso della manifestazione - l’alimentazione - che diventa parte integrante del sito espositivo. Perché il progetto conservi le ambizioni promesse sulla carta, però, per gli agronomi che lo hanno impostato bisognerà partire al più presto. Una necessità che la società di gestione adesso ascolterà. Un nuovo corso, quello intrapreso da Expo spa. Che proprio domani formalizzerà la nomina di Sala ad amministratore delegato. Il consiglio di amministrazione servirà per fare il punto anche sui fondi: i soldi in cassa permettono di andare avanti fino a settembre.
È la giornata di oggi, però, a rivelarsi come decisiva per i terreni. Letizia Moratti, Roberto Formigoni e Guido Podestà si incontreranno per discutere un nuovo piano formulato da Fondazione Fiera e gruppo Cabassi. Prove tecniche di compromesso dopo che anche il Pirellone, da sempre favorevole all’acquisto, potrebbe dire sì al comodato d’uso. A patto però, continua a ripetere la Regione, che il guadagno per i privati, una volta che avranno la possibilità di costruire, non sia eccessivo e non superi i 100 milioni.
Nota: sul medesimo argomento si vedano anche gli articoli riportati recentemente su questo sito, a partire dal piccolo contributo del sottoscritto e relativi links (f.b.)
Il Corriere della Sera ed. Milano
«Così cambierà Milano»
di Rossella Verga,
Milano manda in soffitta il piano regolatore del 1980. Alle quattro del mattino di ieri, dopo 55 sedute di consiglio comunale e con un dibattito lungo 162 ore che si trascinava dallo scorso dicembre, Palazzo Marino ha votato l’adozione del nuovo piano di governo del territorio. Ora, entro febbraio, il testo dovrà essere approvato in via definitiva. Dopo le osservazioni dei cittadini. Il documento è stato approvato (in seconda convocazione) da 28 consiglieri del centrodestra, mentre l’opposizione ha votato contro.
Milano manda in soffitta il piano regolatore del 1980. Alle quattro del mattino di ieri, dopo 55 sedute di consiglio comunale e con un dibattito lungo 162 ore che si trascinava dallo scorso dicembre, l’aula di Palazzo Marino ha votato l’adozione del nuovo piano di governo del territorio. Ora, entro febbraio, il testo dovrà essere licenziato in via definitiva. Dopo le osservazioni dei cittadini.
Il documento è stato approvato da 28 consiglieri del centrodestra (l’assemblea era in seconda convocazione), mentre l’opposizione ha votato contro. Assente Letizia Moratti. Poco prima del voto la maggioranza ha cercato di raggiungerla al telefono, ma senza successo perché il cellulare era spento: il sindaco ha saputo del via libera al Pgt a cose fatte, da un sms inviato dall’assessore allo Sviluppo del Territorio, Carlo Masseroli. Lei stessa l’aveva definito «il provvedimento più importante del mandato» e per presentarlo, ieri, ha chiamato a raccolta, insieme all’assessore, i capigruppo della sua maggioranza e i rappresentanti dell’Unione del Commercio e dei costruttori edili.
«Questa è una giornata bellissima che rimarrà nella storia di Milano — ha commentato il sindaco ringraziando anche l’opposizione che «quasi tutta si èmostrata disponibile al dialogo» — Da adesso al 2030 raddoppierà lo spazio verde in città e ci saranno più infrastrutture e servizi».
A settembre il nuovo piano di governo di territorio verrà pubblicato e presentato con assemblea pubblica, per essere sottoposto alle osservazioni dei cittadini. Entro febbraio - più precisamente entro 5 mesi dal momento della pubblicazione - dovrà essere votato in via definitiva dal consiglio comunale, dopo la valutazione sulle osservazioni dei milanesi e le eventuali controdeduzioni degli uffici e della giunta. «Questi termini sono imposti dalla legge regionale e sono quindi tassativi — avverte Masseroli — Dopo 5 mesi e un giorno il Pgt decade». Detto in altre parole, per l’assessore «non c’è più spazio per l’ostruzionismo».
La corsa contro il tempo, quindi, non è finita. Ma questo è ilmomento, sia per il sindaco sia per l’assessore all’Urbanistica, di mettere in risalto tre obiettivi centrali da raggiungere da qui al 2030: la crescita del verde da 21 a 50milioni di metri quadrati, l’aumento del trasporto pubblico locale con 11 linee metropolitane che assicureranno a tutti i cittadini una fermata a non più di 500 metri da casa e una rete di trasporto pubblico a livello di Londra e Parigi e l’incremento dei servizi in modo che siano raggiungibili in dieci minuti da ogni abitazione.
Raggiante l’assessore Masseroli, che non ha mai smesso di credere alla possibilità di arrivare all’approvazione del Pgt, anche di fronte ai 1419 emendamenti presentati. «Ciascuno ha fatto un passo indietro per far fare un passo avanti alla città», ha sottolineato. Per lui le parole chiave del piano sono quattro: «Libertà, equità, semplificazione e sussidiarietà».
Uno dei piatti forti è l’housing sociale, con la realizzazione di 30 mila nuovi alloggi dove sarà assicurato il mix sociale. «Le case nasceranno su aree degradate oggi spesso appannaggio dei rom», ha puntualizzato Masseroli. «Insomma non si costruirà su suolo nuovo, ma su spazi riconvertiti e rigenerati come gli scali ferroviari». E a legare tutto, il meccanismo della perequazione: le aree a parco, in particolare il Parco Sud, o destinate a infrastrutture, diventeranno di proprietà comunale «attraverso lo spostamento delle volumetrie in ambiti in cui è ragionevole costruire». «Dire che spunterà una grande quantità di grattacieli — ha concluso l’assessore — è terrorismo ideologico privo di fondamento».
la Repubblica ed. Milano
Primo sì alla Milano del futuro
di Teresa Monestiroli
Ieri mattina alle 3.55 il consiglio comunale ha adottato il Piano di governo del territorio con 28 voti favorevoli e 20 contrari. Assente il sindaco, che però nel pomeriggio ha detto: «È una giornata storica per Milano». Dopo sette mesi di lavoro – costati mezzo milione di euro tra gettoni presenza e cene a Palazzo Marino – e 55 sedute, l’assessore all’Urbanistica Masseroli ha vinto il primo round portando a casa il primo voto favorevole al piano. Un provvedimento che tornerà in aula a inizio 2011, dopo le osservazioni dei cittadini, per l’approvazione finale. «Un piano innovativo» per il sindaco Moratti, «un’occasione persa» per l’opposizione che promette una nuova battaglia. E Legambiente commenta: «Il Pgt va migliorato, restano troppi rischi per il Parco Sud».
Dopo sette mesi di lavoro, 55 sedute, 162 ore di dibattito, 1.395 emendamenti discussi e mezzo milione di euro spesi tra gettoni, cene e straordinari, il consiglio comunale ha adottato il Piano di governo del territorio, il nuovo documento urbanistico che sostituirà il Piano regolatore dell’80 e disegnerà la Milano del futuro. È successo nella notte tra martedì e ieri, alle 3.55, con il voto favorevole di 28 consiglieri di centrodestra e quello contrario di 20 del centrosinistra. E senza il voto del sindaco Moratti che, nonostante le ultime apparizioni in aula per salvare il numero legale, l’altra notte non ha assistito all’approvazione di quello che lei stessa ha più volte definito «il provvedimento più importante del mandato». Eppure, nell’affollatissima conferenza stampa convocata per spiegare i meriti del Pgt, commenta: «È una giornata bellissima per Milano, che rimarrà nella storia». Così «come la sua assenza» aggiunge l’opposizione: «È stato uno sgarbo per la città - spiega il consigliere Giuseppe Landonio - e dimostra disprezzo per il consiglio comunale, dove il sindaco si è distinta solo per il suo assenteismo».
Nonostante il ritardo e il confronto serrato tra i partiti (soprattutto sul futuro del Parco Sud) che ha fatto pensare più volte che non se ne venisse a capo, il Consiglio ieri ha chiuso il primo round del Pgt. Il secondo partirà a settembre con la pubblicazione del documento, la raccolta delle osservazioni (ottobre) e il ritorno in aula per l’approvazione definitiva tra febbraio e marzo 2011. «È un piano che prevede più verde, più infrastrutture e più servizi per i cittadini - spiega la Moratti - , costruito affinché l’interesse sociale prevalga rispetto a quello pur legittimo dei privati». Con l’obiettivo, entro il 2030, di garantire una fermata della metro a non più di 500 metri da casa per tutti e i servizi di base - che saranno realizzati dai privati - a massimo 10 minuti a piedi. E ancora, riqualificazione urbana, ecosostenibilità, housing sociale e rilancio della vocazione agricola del Parco Sud (almeno nella parte di competenza del Comune di Milano).
«Quella di ieri è stata una grande vittoria della politica che ha dimostrato di essere più matura di tanti intellettuali - commenta Carlo Masseroli, assessore all’Urbanistica e padre del Pgt - , lavorando insieme per fare un importante passo avanti per la città. L’adozione è stata il frutto di una discussione giustamente accanita, che ha permesso anche di apportare una serie di cambiamenti al testo originale». E anche se la battaglia non è ancora finita, Masseroli aggiunge: «Mai Milano ha avuto un piano così innovativo che permetterà alla città di crescere in maniera armoniosa, senza consumare un metro quadrato di suolo vergine». Applausi arrivano dal mondo delle imprese. Con Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, che dice: «Il Pgt è un importante atto politico e amministrativo per fornire un quadro certo di obiettivi e regole». Anche Carlo Sangalli, presidente dell’Unione del commercio, è favorevole, ma si augura che «il Pgt guardi fuori dai confini comunali per confrontarsi con il grande sviluppo alle porte di Milano».
Resta molto critica l’opposizione, che in aula ha votato contro. «Il Pgt è un piano finanziario, figlio di un’economia vecchia, lontana dal prodotto e vicina alle bolle speculative» spiega Milly Moratti. Con Pierfrancesco Majorino, capogruppo del Pd, che aggiunge: «Una grande occasione persa per Milano, lo riscriveremo da cima a fondo dopo le elezioni». Il centrosinistra infatti conta di riprendere la battaglia contro il provvedimento a gennaio, quando il Piano tornerà in consiglio comunale per l’approvazione. E dopo che la città avrà fatto le sue osservazioni. I tempi sono molto stretti - non oltre 90 giorni dalla fine del periodo delle osservazioni - e le elezioni del 2011 un grosso ostacolo.
la Repubblica ed. Milano
Di Simine: "Restano troppi rischi lavoreremo per farlo migliorare"
di Stefano Rossi
Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia, il Pgt vi piace?
«No, tanto è vero che con altre associazioni porteremo il Pgt nei quartieri, perché i milanesi lo conoscano. Le osservazioni che, anche in questo modo, la città presenterà al consiglio comunale saranno di merito, per migliorare un Piano che pone alcune sfide, non tutte negative».
Ad esempio?
«Legambiente è contro il consumo del suolo di una città in continua espansione, perciò costruire dove ci sono le metropolitane ci va bene. Ma se le sei nuove metropolitane previste dal Pgt rimangono sulla carta perché tanto soldi non ce ne sono, si rischia di avere cemento reale attorno a metrò inesistenti».
È la cosiddetta densificazione.
«Se si densifica con uffici che poi restano vuoti non serve a niente. Se si fanno case per far tornare un po’ di gente a Milano, non siamo contrari. La città deve essere densa, sì, ma di relazioni sociali. Per fortuna, in Consiglio, una opposizione competente e responsabile e una maggioranza non arcigna hanno almeno allontanato il tunnel da Rho a Linate».
Che però non è del tutto scongiurato. Perché non lo volete?
«Inietta traffico dalle tangenziali direttamente in città, fuori da ogni logica. Per centomila veicoli in più sottoterra ci vorrebbe un chilometro di rampa sia entrata che in uscita, con un impatto devastante anche in superficie».
E il Parco Sud?
«Siamo molto perplessi. Mi sembra che l’amministrazione cerchi, nel Pgt, di sottrarlo alle grinfie degli immobiliaristi ma il meccanismo di assegnare diritti edificatori da usare altrove alle aree del Parco, in cambio della loro cessione, non può funzionare».
Perché?
«Autorizza nuove volumetrie forse ingestibili per la città. Inoltre, già oggi molte aree agricole sono pubbliche e non sono in condizioni migliori di quelle private. Non è detto che la proprietà pubblica consenta il rilancio dell’agricoltura se non c’è dietro (e non c’è) un progetto preciso che preveda, accanto alla produzione, una integrazione con la città: poter mangiare fuori la sera, fare agriturismo e così via. Ad ogni modo, il pericolo maggiore per il Parco viene dalla Provincia, che intende rosicchiarlo consentendo nuove costruzioni nella aree di frangia. Già con il centrosinistra la Provincia cercò di modificare i confini del Parco, ci sono pressioni in atto da tempo».
la Repubblica ed. Milano
Case per 500mila abitanti e grattacieli nei parchi per far crescere la città futura
di Alessia Gallione
È la cartolina spedita dalla Milano del 2030. La nuova città modellata dalle regole del Pgt. Una città con 490mila abitanti in più e 24 nuovi quartieri che nasceranno al posto di binari ferroviari abbandonati e caserme: otto milioni di metri quadrati di superficie da reinventare e su cui, come nel caso dello scalo Farini, le case si trasformeranno in grattacieli per lasciare spazio a un Central park. Perché il documento che è uscito da sette mesi di battaglia in aula, è un piano che ha raddoppiato la quantità di verde (da 1 milione e mezzo a 3 milioni di metri quadrati di giardini aggiuntivi) e 35mila case a prezzi accessibili. Una città che non avrà più un solo centro, ma 88 piccoli "distretti" dove a non più di dieci minuti a piedi dalla propria abitazione si troveranno i servizi necessari: dalla fermata del metrò alla scuola. Una città dei sogni? Forse. Il Pgt traccia ambizioni lasciando irrisolti dubbi: dai soldi pubblici necessari per aumentare i trasporti e i servizi (all’appello mancano almeno 7,7 miliardi), alla capacità del pubblico di trasformarsi davvero in un regista del futuro sviluppo fino al destino del Parco Sud.
I NUOVI QUARTIERI e il verde
La mappa del Pgt ne individua 24, compreso il milione di metri quadrati a Rho-Pero di Expo. Alcuni hanno già una vocazione: a Stephenson, dove si potrà edificare molto, il Comune vorrebbe veder sorgere una novella Défense con uffici e negozi. Sull’ex scalo Farini sono le abitazioni che svetteranno attorno al parco da 400mila metri quadrati. E poi la stazione di Porta Genova, dove costruire atelier e spazi espositivi legati al design e la Bovisa che immagina una cittadella scientifica e tecnologica. Su altre aree sarà il tempo a tracciare la via anche se rimane irrisolta la destinazione di Porto di Mare. Sulla carta dovrebbe ospitare la Cittadella della giustizia, ma il Pgt stralcia il Tribunale dalle zone da riqualificare e non risolve il futuro di San Vittore. Dopo il voto, il Pgt è diventato un po’ più verde. Adesso, per ogni nuovo quartiere, è specificata la percentuale da riservare a parchi in proporzione alla grandezza: in tutto 3 milioni di metri quadrati in più. Dai 4.126 metri quadrati alla caserma XXIV Maggio al 65 per cento dell’area di Farini. Palazzo Marino, però, fa promesse ambiziose e nel 2030 sogna 22 nuovi parchi grandi come dieci Sempione in più.
LE CASE LOW COST
Si chiama housing sociale. Tradotto: nuove case per chi non è abbastanza ricco per i prezzi di mercato e non così povero per un alloggio popolare. Nei quartieri ne sono state previste 25.832 in più. Appartamenti da 75 metri quadrati in media in ogni zona rigenerata: dai 103 di Rogoredo ai 3.400 alla Santa Barbara. Secondo le stime dell’assessore Carlo Masseroli altre 10mila potrebbero nascere in altre parti della città.
I TRASPORTI
Il tunnel sotterraneo Expo-Linate è stato "stralciato" e spostato sul documento dedicato ai trasporti, rimanendo però negli obiettivi della giunta. Il Pgt però immagina una rete che, per ora, è una scommessa. La "Circle line", la linea ferroviaria da Rho-Fiera a San Cristoforo, sarà in parte ripagata con le operazioni immobiliari sugli ex scali. Dovrebbe funzionare già nel 2015 insieme alle linee 4 e 5 del metrò; per il 2030, invece, sono previste altre sei linee di trasporto pubblico. Dove si troveranno i soldi necessari?
I DISTRETTI
La città viene suddivisa in 88 piccoli quartieri. In ognuno il consiglio comunale individuerà i servizi da far nascere in base alle necessità con l’obiettivo di avere tutto vicino a casa. Il catalogo di cosa può essere considerato servizio è lungo e contempla non solo impianti sportivi e scuole, ma anche negozi di vicinato, orti urbani, e residenze temporanee per studenti.
IL PARCO SUD
I consiglieri comunali hanno voluto che fosse scritto chiaramente: sui 42 milioni di metri quadrati di parco Sud non si potrà costruire. I diritti volumetrici sono solo virtuali e saranno trasferiti in altre zone della città. Ma il pericolo cemento rimane perché la Provincia, che dovrà redigere i Piani di cintura, ha il potere di proporre nuove regole prevedendo anche la possibilità di edificare.
Nota: su questo sito, il riferimento è evidentemente all'ampia documentazione sull'iter del piano contenuta nlla cartella Milano; in particolare si vedano fra gli ultimissimi contributi quelli di Sergio Brenna e di Luca Beltrami Gadola(f.b.)
La Repubblica ed. Milano
La lunga notte dell’urbanistica
di Luca Beltrami Gadola
Questa specie di calvario che è l’approvazione del Piano di governo del territorio sembra veramente non finire mai e, nella storia delle delibere adottate negli ultimi anni dal Consiglio comunale milanese, non ne ricordo una altrettanto travagliata.
Già questo sta a indicare di quanto poco consenso goda questo nuovo strumento urbanistico, poco consenso che è rispecchiato anche dalla sua poca notorietà presso il grande pubblico.
L’opposizione, pur con qualche grave sbandamento, sta conducendo la sua battaglia e, opposizione a parte, lo spettacolo del Consiglio che alle quattro del mattino, in un’aula praticamente deserta nei banchi del governo cittadino, delibera sul futuro di Milano, dovrebbe indurre tutti a una riflessione sulla serietà di adunanze consiliari che durano venti e più ore consecutive. Ammettiamo pure che molti degli emendamenti avessero lo scopo di tirare in lungo, ve ne sono invece molti che richiederebbero grande attenzione.
A margine di questo calvario sono state spese opinioni di difficile comprensione come questa, apodittica: «Meglio un brutto Pgt, ancorché emendato, che andare avanti con il vecchio Piano regolatore». Nessuno ha spiegato compiutamente quest’affermazione se non adducendo a sostegno della sua tesi una cosa sola: i tempi son cambiati e tanto rapidamente che ci vuole uno strumento agile e snello che consenta di seguire le mutazioni della città. Pregherei i sostenitori di questa tesi di andarsi a riguardare il Pgt, quello oggi in discussione, e spiegare al colto e all’inclita, meglio sarebbe dire agli informati e agli ignari, dove sta quest’agilità in un documento di migliaia di pagine.
Non è detto che questo documento arrivi in porto, perché vi sono ancora alcuni determinanti passaggi per la sua definitiva adozione, ma mi domando alla fine che diavolo di documento sarà. La legge 18.6.2009 n.69 su semplificazione e altro, ma anche molti precedenti provvedimenti e direttive ministeriali e circolari della Presidenza del Consiglio, hanno vanamente raccomandato ai legislatori che i testi amministrativi fossero chiari e tenessero conto della specificità degli operatori cui sono indirizzati. Molte Regioni hanno emanato norme e raccomandazioni alle amministrazioni locali perché si muovessero in tal senso: la Lombardia, che sappia io, no. Sarebbe bene lo facesse prima dell’adozione definitiva del Pgt milanese che, per com’è steso, non rispecchia certo le caratteristiche che da più parti si auspicano: chiarezza, semplicità e concisione.
Queste caratteristiche sono anche quelle che garantirebbero la nuova norma da continui ricorsi ai Tribunali amministrativi, fatti salvi i ricorsi di legittimità, insomma eviterebbero almeno le infinite liti sugli aspetti interpretativi ma anche, quel che è più importante, le furbizie di qualche funzionario troppo sensibile agli interessi di una parte soltanto dei cittadini o per affiliazione politica o per altre meno nobili ragioni. Il sindaco in questi giorni ci ha anticipato che farà la sua campagna elettorale – a spese del Comune – illustrando i risultati raggiunti, senza dubbio anche parlando di Pgt e di là dalle solite affermazioni, anch’esse apodittiche, che ci dirà al riguardo?
Il Corriere della Seraed. Milano
Innse, dalla lotta sul tetto ai turni di lavoro notturno
di Andrea Galli
Certe sere si tira l’alba perché non bastavano primo e secondo turno, ora c’è anche il terzo. E non si sa se tutti riusciranno a fare le ferie, dipende dalle urgenze della produzione. All’Innse, un anno dopo, oggi si lavora anche di notte.
Ogni tre giorni in media arriva un curriculum, certe sere si tira l’alba perché non bastavano primo e secondo turno ora c’è anche il terzo, il prossimo mese sono previste due settimane di ferie e non è detto che tutti le faranno, bisogna vedere. Bisogna vedere se ci saranno commesse urgenti, come a esempio le enormi valvole per metanodotti e gasdotti in fabbricazione.
All’Innse, un anno dopo, è così, proprio così: si lavora, tanto, anche di notte — il terzo turno inizia alle 22.30 e finisce alle 6.30 —, da fuori lo sanno, e in portineria si presentano quarantenni e cinquantenni altrove licenziati, una decina al mese, magari all’Innse assumeranno a settembre, nel settore amministrativo, si viene a sapere, e non fra gli operai. Anche i simboli, i modelli, e la Innse lo è — quanti l’hanno copiata e mutuata in altre aziende, cassintegrati saliti sui tetti, trincerati in presidi —, anche i simboli e i modelli in fondo hanno dei limiti. E comunque l’organico è al completo. Ci sono, gli operai. Ci sono sempre stati. Il problema è che mancava il padrone. «Buono o cattivo non importava, ci serviva un padrone, volevamo un padrone. Sì, fa strano a dirlo. Però è la verità» racconta Max Merlo.
Merlo è uno dei quattro del carroponte ed è anche quello di una fotografia. Partiamo da questa. Nella fotografia ci sono due persone. A sinistra Attilio Camozzi, a destra Merlo. Si stringono la mano. È il giorno della svolta. Camozzi guarda il fotografo, è un sorriso un po’ timido. Merlo guarda Camozzi e non ride, anzi è serissimo, pare perfino arrabbiato, forse è soltanto stanco. Sul carroponte rimasero otto giorni. Era l’atto estremo, e sarebbe stato nel bene o nel male l’ultimo atto. Ricordate?
Via Rubattino. Periferia di Milano. Uscita della tangenziale. Qualche metro proseguendo sulla sinistra ci sono i Martinitt; qui davanti, invece, si alzano, stendono e sbriciolano i capannoni scheletrici dell’ex Innocenti, dell’ex Maserati: è una zona di storia questa.
In mezzo ai capannoni, c’è il padiglione occupato dall’Innse. Ci fabbricavano presse. Poi il proprietario licenziò gli operai, cercò di portarsi via i macchinari, e successe il finimondo. I lavoratori occuparono, mandarono avanti la produzione in autogestione, fu resistenza, andarono sui giornali, in televisione, si svegliarono i sindacati e soprattutto i politici, in Prefettura s’aprì un tavolo, i quattro si arrampicarono sul carroponte e senza certezze, senza accordi, non sarebbero più scesi, giuravano; si fece avanti Attilio Camozzi, quello della fotografia con Merlo. Il Cavalier Camozzi, capo dell’omonimo gruppo industriale bresciano, acquisì l’attività della Innse.
Camozzi è uno di poche parole. A chiamarlo al telefono, dice «pronto» e dalla voce si capisce che vorrebbe subito chiuderla lì e passare al «d’accordo, arrivederci», è già passato troppo tempo. Figurarsi provare a chiacchierare un po’. Lo avevamo cercato alla fine di marzo, quando alla Innse avevano assunto due ragazzi a tempo determinato. Cavaliere, e le assunzioni? «Ma no, non diciamo niente, manteniamo un basso profilo». Ieri mattina, nuova chiamata. Cavaliere, abbiamo saputo del terzo turno, addirittura, non è un risultato clamoroso? «Ma no, non diciamo niente, manteniamo un basso profilo».
Più tardi, Camozzi farà chiamare dall’avvocato del Gruppo, il dottor Claudio Tatozzi. Avvocato, in fabbrica gira bene, no? «Ci sono tanti passaggi da completare. Dev’essere deciso come verrà riqualificata tutta questa enorme area sulla quale siamo presenti anche noi. Il Comune e la società proprietaria dei terreni debbono completare l’istruttoria, vediamo gli sviluppi. Le posso dire, in ogni modo, che per il Gruppo la Innse rappresenta un investimento tra i dieci e i quindici milioni di euro complessivi. L’operazione non è stata uno spot. C’è un obiettivo. A lungo termine. In questo progetto crediamo tantissimo».
La Innse è ridipinta a nuovo, giallo e grigio predominano, è stata fatta pulizia, c’è un’aria, un odore, di fabbrica, di tornio, di ingranaggi, di olio, che strano, a Milano, e di questi tempi, con la crisi. Possibile? Il dottor Pietroboni è il direttore dello stabilimento. Dice: «Piano, piano. Il nostro settore, quello della meccanica pesante, è stato colpito a lungo. La ripresa, dicono, avverrà a fine anno. Molto più probabilmente nel primo settembre del 2011. Abbiamo commesse per i prossimi due, tre mesi. Bastano? Non bastano. Puntiamo ad avere commesse per i quattro, cinque mesi successivi, scadenza che garantisce un certo margine».
C’è un operaio che tossisce, che sputa. «Lavoriamo moltissima ghisa al posto del ferro. Il motivo? Prendiamo commesse in ghisa anziché in ferro, se ne trova di più sul mercato e non tutti la vogliono lavorare... La ghisa mette in circolo una polverina che invade la gola, scende giù, ti uccide i polmoni».
Ci sono torni che hanno quasi un secolo. Li han fatti in America, altri in Germania. Non tutti funzionano. «A vero regime dovremmo essere molti di più, almeno centocinquanta operai» raccontano. Difatti metà stabilimento è vuoto, le luci spente, polvere e ruggine. Dicono che Camozzi sistemerà un mega impianto fotovoltaico sul tetto. Dicono anche attorno alla fabbrica sorgeranno alti palazzi e giardini, negozi e piste ciclabili. Il termine ultimo per firmare il progetto di riconversione dell’area è il 31 dicembre prossimo.
Se persino il Vaticano è lieto di «trasmettere il ringraziamento e il benedicente saluto di Sua Santità», allora si può davvero cementificare il cielo di Milano. «No-Spot city» è un mostro, devasta 40 chilometri quadrati del centro, demolisce una torre del Castello, s’alza per un miglio, è un enorme complesso di grattacieli, 200 milioni di metri cubi per un milione di abitanti. Lorenzo Degli Esposti, architetto e professore al Politecnico, ha depositato la Dichiarazione d’inizio attività nel 2009 (numero di protocollo: 473371), integrata da un’approfondita e assurda relazione tecnica. Risposte dal Comune? «Nessuna. Dunque, nulla osta. Per altro, il 19 novembre sono arrivati i "distinti ossequi" del Papa...». Ieri, l’architetto ha comunicato la data (simbolica) d’inizio lavori: 11 luglio 2010, ore 11.
Una picconata al Castello seppellirà il Pgt? È l’obiettivo. Lorenzo Degli Esposti dirige l’Architectural & Urban Forum, sostiene che «Milano deve crescere in modo critico e intelligente» e colpisce la città al cuore per «svelare» i rischi del Pgt: una provocazione intellettuale sostenuta da associazioni, storici e critici d’arte.
Trenta giorni e scatta il silenzio-assenso. Qui è passato un anno: «Qualcuno — continua Degli Esposti — si sarebbe dovuto accorgere che non sono proprietario delle aree, che il progetto devasta il Castello...». No: è passato inosservato. A Palazzo Marino dicono che qualche pratica è in ritardo, d’accordo, ma la legge e il diritto penale non si discutono, tutelano Milano e condannano la «No-Spot city»: «Non è che uno può svegliarsi e decidere di abbattere il Duomo». Qualcuno ha già fatto domanda?
NELL´AULA DEL CONSIGLIO COMUNALE - quando non cade il numero legale dei presenti, come ieri - è l´argomento più caldo da settimane. Ma fuori dal portone di Palazzo Marino sembra che il Pgt non lo conosca nessuno. E che, in realtà, le grandi trasformazioni urbanistiche immaginate dal piano non piacciano a tanti.
Questo, almeno, è il risultato di un sondaggio commissionato all´Ispo dall´associazione civica ChiamaMilano: il 62 per cento degli intervistati non ha mai sentito parlare del Pgt, il 29 ammette di aver sentito "qualcosa" ma di sapere di cosa si tratta: totale, quasi il 90 per cento, nove milanesi su dieci, che ignorano il tema e solo uno che dice di aver seguito la (travagliata) vicenda del piano.
Tra i dati, presentati da Renato Mannheimer nella sede dell´associazione presieduta dal consigliere di opposizione Milly Moratti, anche quelli sul gradimento di uno dei fini del Pgt, l´aumento degli abitanti della città: l´80 per cento - soprattutto di anziani - non condivide l´obiettivo, e una percentuale simile non vuole uno skyline di grattacieli. Alla domanda sulla perequazione, il meccanismo per "scambiare" diritti di superficie in zone edificabili con aree del Parco Sud, il 68 per cento ha detto di non condividere il sistema.
Commenta Milly Moratti: «Bisogna informare i cittadini: è vero che il Pgt è complesso, ma è talmente innovatore che bisogna che la gente sappia. Con questi dati prendiamo atto che quella del Pgt non corrisponde alla visione dei cittadini, è ora che ci diamo da fare». Una posizione ribadita dal capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino: «Il sondaggio conferma le nostre preoccupazioni, i milanesi vogliono una città più verde e vivibile». Oggi si torna in aula (restano da esaminare ancora 200 emendamenti) dopo la seduta andata a vuoto. Polemico il presidente del consiglio comunale Palmeri: «Sarebbe auspicabile che su un provvedimento di rilevanza strategica il Consiglio lavorasse utilizzando tutte le ore previste».
Ogni giorno a Milano famiglie morose vengono sfrattate e aumenta la richiesta di edilizia convenzionata. Eppure c’è un complesso in via dei Missaglia, "Le Terrazze", dove da anni gli appartamenti restano sfitti: ora siamo a quota 54. La proprietà, una società del gruppo Ligresti, avrebbe dovuto affittarli a equo canone, secondo una convenzione stipulata con il Comune: ma l’accordo è stato quasi del tutto disatteso, tra le proteste inascoltate dell’opposizione e degli inquilini di un condominio sempre più fantasma.
Bilocali e quadrilocali a poche fermate di tram dal centro città. Edilizia da ceto medio, costruzioni dei primi anni Novanta con affitti cari la metà dei prezzi di mercato. In via dei Missaglia, nel quartiere "Le Terrazze", sono 54 gli appartamenti vuoti, sfitti da anni, che potrebbero andare a dare un po’ di sollievo alla richiesta continua e pressante di case a prezzi calmierati di Milano. Ma due fattori lo impediscono: da una parte una proprietà, la Immobiliare Milano assicurazioni del gruppo Ligresti, che ha tutto l’interesse a lasciare vuote case che aveva l’obbligo di affittare se non ad equo canone, almeno a un canone equo. Dall’altra, l’inerzia, la lentezza da pachiderma della macchina comunale: che, pur davanti a evidenti infrazioni, rimanda o non effettua controlli sull’edilizia convenzionata, facendo prosperare gli abusi.
In mezzo c’è l’amarezza di chi avrebbe i requisiti per affittare una casa dignitosa senza finire dagli strozzini e le preoccupazioni di chi vive nel complesso residenziale, con i problemi di sicurezza e di degrado che fioriscono quando poco meno di un appartamento su quattro è deserto.
Eppure "Le Terrazze", a metà anni Ottanta, erano un progetto ambizioso: far costruire residenze ai privati sui terreni agricoli tra via dei Missaglia e via Selvanesco abbuonando gli oneri di urbanizzazione in cambio dell’obbligo di affittare a equo canone per dodici anni i cinque sesti dei metri cubi costruiti. Un progetto mai realizzato in pieno: il gruppo del costruttore Salvatore Ligresti, lo stesso che ora coltiva sogni ambiziosi sul Parco Sud, costruisce effettivamente migliaia di abitazioni di diverse metrature, ma molte restano vuote per anni, senza un motivo apparente. Altre, tante altre, dopo qualche anno vengono sì affittate, ma a prezzi di mercato, ovvero quasi il doppio di quei canoni sociali previsti. Un abuso che ignora la convenzione stipulata, ma che il Comune non contesta mai davanti a un giudice, limitandosi a appoggiare la causa che oltre cento famiglie intentano alcuni anni fa. A gennaio 2009 il comitato di inquilini, rappresentati dall’avvocato Alessio Straniero, vince il ricorso contro l’Immobiliare lombarda della galassia Ligresti, che viene condannata ad applicare i parametri economici della convenzione e a restituire agli inquilini le somme pagate in eccesso (che viaggiano oltre i tre milioni).
È proprio nei giorni di quella battaglia che emerge l’altro aspetto della vicenda: tra via Tomaselli, via Bugatti, via Rosselli e via Fraschini - ovvero nel quadrilatero di una delle costruzioni che formano il complesso residenziale - sempre più appartamenti, man mano che gli inquilini vanno via, non vengono riaffittati. Molti, ormai, sono sfitti dal 2002. E il motivo, per chi conosce i segreti di quei palazzi, è semplice: si sta aspettando che scadano i dodici anni durante i quali secondo la convenzione con il Comune è obbligatorio l’affitto dei locali, per vendere gli appartamenti a prezzi di mercato. Lasciarli vuoti, alla fine, conviene, perché si usurano meno.
A novembre i consiglieri Aldo Ugliano del Pd e Basilio Rizzo della Lista Fo fanno un’interrogazione che chiede conto della situazione al sindaco e all’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli. «Perché nessun controllo è stato finora? Perché il Comune non interviene per garantire il rispetto degli obblighi?», chiedono. E denunciano «l’inerzia politica»: «Perché il Comune non utilizza azioni politiche oltre che giudiziarie per chiudere definitivamente il contenzioso con la proprietà?». Domande che cadono nel vuoto, tanto che un mese fa il consigliere Ugliano torna a scrivere all’assessore Masseroli (segnalando la mancata risposta alla presidenza del Consiglio) per sottolineare come «le decine di sfratti a Milano potrebbero essere almeno ridotte se il Comune facesse valere le sue ragioni». Invece gli uffici, quando va bene, fanno semplici solleciti che restano lettera morta per la proprietà del condominio. Dove nel frattempo, come segnalano gli inquilini, gli appartamenti vuoti aumentano di mese in mese.
Scambiare una balla (di fieno) con un mattone. Primo, si prende l'ultimo polmone verde di Milano e gli si attribuisce un indice di edificabilità. Secondo, si trasferiscono in città i diritti a costruire appena creati, dando il colpo di grazia a una metropoli già soffocata. Perequazione, la chiamano, e in origine aveva un fine nobile: salvare le zone degradate e costruire altrove. Ma a Milano si sta votando un Piano di Governo del Territorio (Pgt) che, insieme con i progetti già approvati, riverserà sulla città 80 milioni di metri cubi di cemento. Case per 400 mila abitanti, quando, secondo lo stesso Comune, la popolazione da qui al 2030 aumenterà di sessantamila al massimo.
Ma ieri pomeriggio la società civile dell'ex Capitale morale non si è lasciata fiaccare dal caldo e si è ritrovata davanti a Palazzo Marino, la sede del Comune, dove si vota il nuovo strumento urbanistico. Una manifestazione con il sapore malinconico della testimonianza, perché la giunta di Letizia Moratti ha già deciso. Il Pgt è l'emblema di tante questioni irrisolte. Per dirla con Milly Moratti, consigliere comunale di opposizione, "il piano urbanistico è una prova di violenza del centrodestra che schiaccerà l'opposizione". Si va avanti come rulli compressori, il modello della "fiducia" di Montecitorio fa scuola. "Il Pgt – continua Moratti – segue un mosaico di richieste. Non dei cittadini, però, ma dei potenti". I nomi sono sulla bocca di tutti: Ligresti, con tutte le sue società in cui siede la famiglia La Russa. Poi i grandi del mattone e i nuovi principi dell'economia milanese: le cooperative, da Cl a quelle rosse.
NELLE GRANDI STORIE si parte da una vicenda minima: siamo nella periferia Sud, dove la città cede alla campagna. Qui ti ricordi che le radici di Milano non sono nelle fondamenta dei grattacieli che crescono ovunque, dal progetto City Life (doveva diventare "il Central Park di Milano" e si è trasformato in una colata) alla Porta Garibaldi. Alle sedi della nuova Regione che Formigoni vorrebbe lasciare come simbolo del suo passaggio. Milano affonda le radici nella Pianura: in piazza Duomo, come ricorda lo scrittore Luca Doninelli, "fino a pochi anni fa nelle notti d'estate arrivava il profumo del grano falciato". Oggi c'è solo puzza di smog, il Pm10 che ti avvelena.
Alle porte di Milano c'è la Cascina del Campazzo, oggetto di contesa tra due uomini: Andrea e Salvatore. Andrea, 58 anni, è il signor Falappi che da decenni con la sua famiglia coltiva la terra. Salvatore è Ligresti, 78 anni, l'uomo che a Milano ha costruito più di chiunque altro e oggi è proprietario della cascina. Ecco il paradosso: Ligresti è forse il più grande proprietario terriero del milanese. Verrebbe da gridare al miracolo, alla conversione sulla via di Binasco (comune dell'hinterland): dal mattone all'agricoltura. Non è così. Basta guardare le mappe: la provincia di Milano è un'enorme macchia grigia (in Lombardia il cemento si mangia ogni giorno dodici ettari di vegetazione), ma tra Milano e Pavia è sopravvissuto un polmone verde di 46.300 ettari. Eccolo, il Parco Sud. Così da anni i grandi immobiliaristi, Ligresti in testa, ci hanno puntato gli occhi sopra. Oggi forse la grande occasione è arrivata: il Pgt. E il paradosso, come racconta l'ambientalista Michele Sacerdoti, è che la manovra rischia di passare come un salvataggio. "La parolina magica – spiega Sacerdoti – è 'perequazione'. Si prende l'area vincolata del Parco, le si attribuiscono indici di edificabilità. Poi si proclama di voler salvare il verde trasferendo il diritto a costruire nella città che già scoppia". Basilio Rizzo, consigliere comunale nella lista per Dario Fo, sorride amaro: "In Comune dicono che si faranno ‘atterrare’ i nuovi volumi in città. Un capolavoro: Ligresti e colleghi potranno costruire milioni di metri cubi”.
MA È SOLO L'INIZIO: “Qui non si tratta soltanto di un'operazione immobiliare, ma anche finanziaria, che consentirà ai costruttori in difficoltà di rimettere in piedi i bilanci”, racconta Milly Moratti. Aggiunge: “I diritti di edificazione potranno infatti iscriversi in una ‘borsa’ apposita”. Si potrà costruire altrove oppure rivendere. Indifferente a chi, non importa se da anni l'Antimafia lancia allarmi.
Poi c'è la fetta per le cooperative. È certo un caso che l'assessore all'Urbanistica del Comune, Carlo Masseroli, sia un ciellino, e dallo stesso ambiente provenisse il predecessore, Maurizio Lupi (oggi vicepresidente della Camera). Ma che vantaggio avranno le cooperative? Sacerdoti non ha dubbi: "Si dice che il piano è utile anche per i meno abbienti, che il 35 per cento delle costruzioni sono destinate al social housing". E non è vero? "Solo il 5 per cento diventeranno vere case popolari. Un buon 20 per cento sarà affidato alle cooperative – bianche e rosse – che magari venderanno a prezzi ridotti, ma comunque a famiglie con un reddito fino a ottantamila euro l'anno. Non è edilizia popolare". Masseroli promette 3 milioni di metri quadrati di verde... "Basteranno appena per i nuovi abitanti, la quota pro capite resta bassa".
Non è finita. Il grande regalo alle cooperative è nel "Piano dei servizi", scuole, strutture sanitarie, tanto per dire. "Il documento si apre con una citazione di don Giussani", sostiene Sacerdoti. Ma in concreto che cosa succederà? "Il Comune rinuncia ai nuovi servizi che passeranno ai privati". Alle cooperative. Il nuovo Pgt andrebbe letto riga per riga. Così scopri che il Comune lascerà quasi carta bianca ai privati: “Spariranno le destinazioni d'uso”, conclude Sacerdoti, “E si potranno elevare i palazzi: addio all'antico divieto di costruire case più alte della larghezza della strada. No, gli edifici potranno alzarsi al livello del più alto nelle vicinanze”.
ORMAI GLI ALBERI a Milano non sono più di alti 30 piani, come diceva Celentano. Ne hanno 80. Intorno alla Madonnina "atterrerà" l'equivalente di 800 Pirelloni. Almeno, però, quello lo aveva disegnato Giò Ponti. Adesso ci pensa Arata Isozaki, che per City Life ha rifilato alla città un progetto già disegnato per Tokyo. Un buon simbolo della Milano di oggi, un grattacielo "usato".
Caro direttore, nel Comune di Milano si nasconde un incendiario molto più pericoloso di quel Nerone dell´Impero romano: si tratta della giunta terroristica milanese che, essendosi emancipata nel male, non usa il fuoco per distruggere. Le fiamme, pur se devastanti, una volta spente si estinguono senza lasciare traccia sull´autore dello scempio. E ciò risulterebbe deprimente per gli abitanti dell´inferno comunale che, non potendo dire quello scempio l´ho fatto io, hanno ben pensato di firmare i nuovi sfaceli con una colata di cemento che non avrà precedenti nella storia.
Pare che Milano abbia perso più di 700.000 abitanti negli ultimi anni (perché le condizioni di vita sono troppo costose, non adatte alle coppie giovani con bambini che crescono asmatici e allergici in una città inquinata oltre ogni norma, poverissima di verde e quel poco di bellezza rimasta ha già un piede nella fossa), perciò non si capisce la velleità del Comune di Milano (sindaco, giunta e consiglieri di maggioranza) di preventivarne il ritorno di circa mezzo milione, se non per soddisfare i bisogni degli investitori immobiliari, considerando inoltre che il tipo di costruzioni non sono alla portata della maggioranza delle persone che vivono di stipendio.
È così che coi lineamenti di Ligresti, la giunta ci mostra il suo nuovo spaventoso sembiante: con la scusa di salvare l´economia, il Comune ha deciso di rendere edificabile gran parte del Parco Sud. Ma non basta. L´inghippo è molto più diabolico. L´edificabilità del Parco Sud sarà virtuale. Ma cosa significa? Milano è stata così assassinata che forse sarebbe indecente e vergognoso da parte del Comune rendere edificabile ciò che, per gli spazi ormai ridotti all´impossibile, non potrebbe essere edificabile. Per cui urge una legge per continuare a distruggere. Ecco perché si è deciso di rendere edificabili milioni di metri cubi dividendoli in tanti mattoncini pari ad occupare gran parte del Parco Sud e metterli in banca come dei lingotti d´oro. Che a piacere se ne possono prelevare tanti quanti ne servono per la costruzione di un nuovo mostro, non necessariamente al Parco Sud, anche in Piazza del Duomo, visto che la legge lo permetterebbe.
L´ambigua banda comunale si difende col dire che il Parco Sud sarà sì edificabile ma rimarrà agricolo. Ma allora perché renderlo edificabile vi domanderete voi milanesi. Perché quando spunterà il nuovo "albero di 200 piani" in Piazza Castello e qualcuno dovesse reclamare, il Comune gli risponderà: «C´è un decreto che dice che noi possiamo lapidare Milano fino all´ultimo metro di edificabilità. E, siccome la cubatura a nostra disposizione, è grande come il Parco Sud, noi lapidiamo».
Qualche articolo di stampa ha commentato in maniera un po’ scontata e convenzionale che il PGT in discussione a Milano ne segnerà il destino urbanistico per i prossimi venti-trent’anni: i giornali non si sono resi conto, tuttavia, di accreditare con ciò una verità paradossale. Infatti, con una scelta per vero discutibile e assai probabilmente illegittima, la legge urbanistica regionale del 2005 ha deciso di utilizzare in Lombardia solo una pianificazione urbanistica di durata quinquennale, senza più alcun orizzonte strategico di medio-lungo periodo, e quindi le p
revisioni del PGT di Milano cesseranno di avere effetto verso il 2016. Ciò nonostante le quantità edificatorie messe in gioco corrispondono effettivamente ad un ritmo di crescita che è dell’ordine di tre-quattro volte quello ritenuto sostenibile da realtà socio-economiche ben più solide e strutturate di quella italiana, anche se per qualche verso comparabili con quella lombarda, come quella della Repubblica Federale Tedesca, che ha imposto alle amministrazioni locali un consumo di suolo massimo di 1,34 mq/abitante/anno (cioè 30 ettari al giorno per l’intera RFT). Se applicassimo quel parametro alla situazione milanese il PGT dovrebbe consentire la nuova urbanizzazione di 8-9 milioni di mq, mentre ne prevede invece quasi 32 milioni di metri quadri. Vale a dire, appunto, un consumo urbanizzativo di suolo che la Germania riterrebbe sostenibile in un orizzonte temporale di venti-venticinque anni. Su quelle aree alla densità geografico-urbanizzativa attualmente in atto a Milano (comprendendo cioè il consumo di suolo per reti infrastrutturali e attrezzature generali), che è di oltre 90 mq/abitante e che, come constatiamo quotidianamente, produce una qualità di vita piuttosto congestionata, si può stimare una nuova quantità edificatoria dai 10 ai 17 milioni di metri quadri di superficie lorda abitabile (sia residenziale che terziaria), a seconda dell’indice di affollamento previsto (1 utente ogni 30 o 50 mq abitabili). Gli stessi dati del PGT (in genere piuttosto propensi alla sottovalutazione) stimano una quantità abitabile di nuova realizzazione di 12-13,5 milioni di metri quadri. E’ assai interessante rilevare, inoltre, che l’ulteriore residua superficie di suolo ancora urbanizzabile dopo quella messa in gioco dal PGT è di altri 8 milioni di metri quadri: cioè, dopo questo PGT ci resta nuovo suolo urbanizzabile solo per un altro PGT, ma se ci acconciamo a comportarci come la prudente Germania.
A queste quantità edificatorie vanno aggiunte le nuove edificazioni negli ambiti già urbanizzati che, come dimostrano alcune simulazioni recentemente illustrate all’Ordine degli Architetti di Milano, con densità edificatorie superiori ai 7 mc/mq, alcuni stimano possano produrre altri 12 milioni di metri quadri edificatori abitabili. E’ assai difficile credere che tutte queste quantità possano davvero realizzarsi nel prossimo quinquennio, anche in considerazione delle iniziative immobiliari già in atto e della difficile situazione economico-finanziaria. In realtà ciò che il PGT prefigura è una vasta prateria di iniziative immobiliari nella quale la finanza possa scorrazzare acquisendo diritti edificatori virtuali (dei veri e propri futures speculativi, cui possono accedere solo coloro che hanno una dimensione economica in grado di attendere nel medio-lungo periodo la ripresa dei mercati), e che con il meccanismo dei cosiddetti scambi perequativi non si sa dove, come e quando si consolideranno in forme insediative. Ma al Comune questo sembra non importare gran che: l’importante è far girare il business.
In fondo è quello che già era accaduto con il sovradimensionamento dei PRG negli anni Cinquanta-Sessanta, e per alcuni la nostalgia sembra davvero irrefrenabile, se si è avuto il coraggio di rievocare, rivalutandolo, il cosiddetto “rito ambrosiano”, tempo addietro simbolo di pratiche consociative deteriori tra amministratori pubblici e interessi speculativi. Basti dire che per garantire l’attuale livello della rendita fondiaria (900-1.200 Euro/mq abitativo realizzabile) basterebbe un indice edificatorio di 0,40 mq/mq ad uso privato, mentre il PGT promuove senza alcuna contropartita usi edificatori privati di 0,65 mq/mq, cui si aggiungono le quantità edificatorie per l’edilizia sociale e per la premialità ambientale, sino a spingere la densità edificatoria a superare 1 mq/mq. Nei casi dei grandi operatori pubblici di trasformazioni urbane (gli ex scali ferroviari, le ex caserme, ecc.), bisognerebbe perseguire negli accordi di programma un meccanismo di alienazione dei patrimoni fondiari al ribasso sulla quota di edificazione privata che stabilizza la rendita attuale, anziché al rialzo sul suo valore. Ma è il Comune stesso, invece, ad incentivarne l’omologazione al comportamento degli speculatori immobiliari nella ricerca della massimizzazione delle rendite.
Quella che domina è la legge della prateria: chi è più rapido ad impossessarsene è quello che detta la legge. Come nei peggiori western, la banda degli allevatori (di rendite) spadroneggia sui cittadini che non sanno più a chi rivolgersi perché anche lo sceriffo fa finta di non vedere, quando non è della congrega o sul libro paga dei potenti. E’ quello che sta accadendo attorno alle aree di Expo, dove gli appetiti speculativi che aleggiavano nella contesa tra Fondazione Fiera/Cabassi e SOGE attorno all’agognato indice edificatorio di 0,65 mq/mq (il che vorrebbe dire ottenere una rendita fondiaria di 600-700 milioni di Euro da un’area acquisita a prezzi agricoli e oggi già rivalutata a 200 milioni), rispuntano in capo alla futura Newco regionale.
Per quanto grande possa essere il potere di convincimento/condizionamento dell’istituzione Regione, anche in caso di un Accordo di programma in vista dell’evento Expo 2015, la decisione sull’uso finale delle aree resta in capo al Comune di Milano, che dovrà esprimersi al riguardo già in occasione del PGT. Ecco un banco di prova concreto per verificare, al di là di divisioni ideologiche e schieramenti strumentali, dove risieda la volontà reale delle forze politiche e dei programmi amministrativi di farsi difensori civici dell’interesse collettivo della città.
Infatti, se non si vuole ridurre la discussione sull’assetto urbano che si vuol ottenere a mero pettegolezzo sulle personali preferenze estetiche di questo o quel pubblico amministratore, di questo o di quell’architetto di grido, occorre avere il coraggio di rivendicare alle scelte dell’amministrazione pubblica la responsabilità che una collettività si assume nei confronti della conformazione urbana di cui intende dotarsi, e che non può essere appannaggio delle preferenze e delle convenienze della proprietà immobiliare o di decisioni burocratiche sulla corrispondenza al valore economico dovuto, sullo sgravio degli uffici tecnici da compiti esecutivi cui sarebbero impari, sulle garanzie “chiavi in mano”.
Un tempo la sinistra vedeva nel contenimento della rendita fondiaria non solo la possibilità di destinare nuove risorse ad usi più produttivi e socialmente più utili, ma anche di rivendicare una democrazia nelle decisioni su quel bene primariamente pubblico e collettivo che è l’uso della città, del territorio, dell’ambiente. Oggi, in questa frenesia di privatismo che sembra coinvolgere in consiglio comunale sia la maggioranza che gran parte dell’opposizione, nemmeno le idee sono più di libera disponibilità, come accadrebbe in una pianificazione promossa da proposte dall’Ente pubblico. Esse, invece, in questo modo appartengono privatamente a qualcuno. Il Comune e i cittadini sono, cioè, liberi di discutere solo le impostazioni progettuali e insediative dell’acquirente con cui il proprietario delle aree ha stretto un contratto, di chi – col più caro prezzo pagato – si è comprato anche il diritto di essere padrone delle idee della città e suo interlocutore unico.
L’associazione “Vivi e progetta un’altra Milano” che già da tempo si è opposta al “banco di prova” di questo modo di concepire la città, cioè il progetto Citylife sull’area dell’ex Fiera di Milano, ha promosso un appello perché l’Amministrazione comunale indirizzi le proprie scelte verso una concezione civile e ragionevole dell’assetto urbano cui ha corrisposto una vasta adesione non solo da parte degli addetti ai lavori (urbanisti e architetti, tra cui Gregotti e Gae Aulenti), ma anche tra gli esponenti di altri settori della cultura (scrittori, poeti, editori, avvocati, scienziati di vasta di fama al più alto livello, quali l’Accademia dei Lincei), preoccupati degli effetti disastrosi che altrimenti si riverserebbero sulla città.
Di fronte a questa vasta mobilitazione, che avrà una propria pubblica visibilità lunedì 5 alle 18 davanti a di Palazzo Marino dove sarà in riunione il Consiglio comunale, suonano quanto mai ridicole le imprudenti affermazioni dell’Assessore all’urbanistica Masseroli, secondo il quale “il Consiglio comunale è anni-luce più avanti di questi intellettuali retrò”. Quanti vogliano unire la propria voce all’appello possono inviare il proprio nominativo e qualifica a
mastro.donato.rolando@tiscali.it
Brutta impasse quello dei terreni. Così «congelata» e priva di sbocchi immediati che qualche socio dell' Expo sarebbe pronto a sfilare dal cassetto il piano B. Un piano concepito per le situazioni d'emergenza, e proprio per questo motivo ad alto rischio: rinunciare ai terreni di proprietà della Fiera e del gruppo Cabassi e traslocare Expo in un'altra zona di Milano. Nella mente degli artefici del piano di riserva, la nuova località ha un nome preciso: Porto di Mare, dove dovrebbe sorgere la Cittadella della Giustizia.
Un'area quasi doppia rispetto a quella di Pero-Rho che ha il vantaggio di essere già in mano pubblica (è del Comune). Ma rischiosissima dal punto di vista del Bureau International des Exposition che ha già ricevuto il dossier di registrazione (con il masterplan del sito a Pero-Rho). Proprio giovedì a Parigi, il monito del presidente del Bie, Pierre Lafon è stato chiarissimo: vietato modificare il dossier di registrazione. I sostenitori di Porto di Mare si dicono sicuri che il Bie potrebbe accettare un'eccezione del genere perché il terreno sarebbe disponibile subito e non si dovrebbe far altro che trasferire il masterplan nel nuovo sito.
Non è fantascienza. Il piano esiste anche se ha il sapore di un avvertimento. Come esistono gli attriti tra i soci di Expo sulla questione dei terreni. Lo scontro è durissimo. Il governatore Roberto Formigoni non molla sull'acquisto dei terreni. E nutre fortissimi dubbi di legittimità sulla proposta di comodato d'uso prediletta dal sindaco Letizia Moratti. La critica principale: così si favorirebbe il privato, con le aree che torneranno ai proprietari gonfi di volumetrie mentre le aree pubbliche resterebbero senza volumetrie e destinate a restare parco od orto botanico. Stesse perplessità che ha il Comune nei confronti dell’acquisto: perché dare una cifra tra i 170 e 200 milioni ai privati, quando quei terreni si potrebbero avere senza spendere un euro? Ma dietro la posizione della Regione ci sarebbe anche Infrastrutture Lombarde. Se i terreni venissero acquistati dalla newco con i soldi del Pirellone, Infrastrutture diventerebbe la stazione appaltante del sito Expo. Non solo per la realizzazione, ma soprattutto per il dopo evento.
Un braccio di ferro. Per chi sarà il dominus o la domina di Expo. Che potrebbe avere conseguenze disastrose. Fino ad arrivare alla decisione da parte della Regione di sfilarsi dalla partita. Non quella dei terreni, ma quella di Expo. Basta andarsi a rivedere le dichiarazioni di Formigoni di qualche giorno fa: «Se la maggioranza decide diversamente, vedremo...».
Non è originale parlare di periferie. Quotidiani e periodici ne descrivono da tempo lo stato penoso. Ma alla descrizione impietosa dello stato di fatto non sembra facile contrapporre un disegno propositivo. Occorre anzitutto liberarci dal diffuso equivoco per il quale periferia e centro sono entità contrapposte e antagoniste.
Allo stesso modo è errato pensare che periferia e territorio circostante siano sciolti da reciproci rapporti. È vero il contrario: periferia e centro-città sono parti di uno stesso organismo; così come lo sono periferia e territorio. Queste tre realtà socio-geografiche oggi non possono concepirsi separate e divise.
Un tempo, in Europa, la periferia non si sapeva cosa fosse. Vi era solo la città murata, isolata in mezzo alla campagna e chiusa entro un recinto fortificato. Oggi, nell´anello periferico che circonda le città, si assiste a un disordinato e ininterrotto moltiplicarsi di costruzioni "a macchia d´olio". Un fenomeno che presenta terrificanti analogie con la malattia del nostro secolo: il cancro. Visto che ormai è impossibile eliminare il male commesso, che cosa si può ancora fare per arrestarlo?
La risposta è semplice: occorre interrompere le costruzioni all´interno sia del perimetro costruito, sia dell´anello periferico; e collocare i futuri insediamenti all´esterno della zona urbana, nel territorio ancora libero e poco edificato che si estende intorno, fuori e lontano dalla città. Ma a questi nuovi insediamenti occorre dare una forma conclusa; e mantenere tra di loro una distanza ragionevole, così da creare unità circoscritte e riconoscibili, separate da intervalli di campagna, da zone di verde agricolo, da parchi per ricreazione e svago. Altrimenti si verifica il pauroso fenomeno dello "sprawl" (che in urbanistica equivale ad "espandersi in modo disordinato"), ossia la proliferazione ininterrotta e spinta indifferentemente in tutte le direzioni; la copertura dell´intero territorio con una miriade di edifici dissimili, eterogenei, ammassati senza ordine né criterio; la scomparsa di ogni differenza fra aree costruite ed aree verdi.
Tutta la zona a Nord di Milano è ormai costruita fittamente, tanto da formare un´unica continua successione di fabbricati che si estendono dalla metropoli fino ai piedi delle Prealpi. La zona a Sud, al contrario, è ancora libera da costruzioni. Ma proprio per questo motivo deve essere lasciata intatta. E allora dove indirizzare lo sviluppo della città? In quale parte del territorio prevedere le future costruzioni? La risposta è elementare: i nuovi insediamenti vanno collocati entro un raggio di distanza che non sarà più metropolitano ma diventerà regionale; non più a ridosso dell´area urbanizzata, ma nell´ampia distesa della pianura lombarda.
Il problema urbanistico di Milano è costretto a trovare soluzione spostandosi sempre più lontano: partito dal centro città, prima si è esteso alla periferia, poi si è dilatato nel territorio, e ora raggiunge la regione. Qui sarà necessario coinvolgere anche le città di provincia e ritrovare un nuovo rapporto tra queste e la metropoli. Milano, capoluogo della Lombardia, soltanto se dirige il suo sviluppo verso l´intera regione, potrà un giorno risolvere i suoi problemi urbanistici.
Scontro (ennesimo) tra Letizia Moratti e Roberto Formigoni sull’Expo. Tema (cruciale): il destino dei terreni su cui avverrà l’esposizione universale del 2015. Il sindaco di Milano li vuole in comodato d’uso a un prezzo simbolico, il presidente della Regione li vuole comprare. Che senso ha questa nuova contesa, che divampa mentre se ne va, sconfitto, l’amministratore delegato di Expo Spa Lucio Stanca e arriva, come direttore generale, il manager Giuseppe Sala?
La vicenda delle aree inizia nel 2007, quando vengono scelti per l’esposizione i terreni a nord di Milano incastrati tra l’autostrada per Torino e quella dei Laghi, nei Comuni di Pero e Baranzate. Un postaccio, dove nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di costruire niente. Ma la bacchetta magica dell’Expo può fare miracoli: portare strade e linee di metrò, zone verdi e corsi d’acqua. Insomma, valorizzare quelle aree agricole e renderle appetibili.
Di chi sono, quei terreni? Al 70 per cento della Fiera di Milano, controllata dalla Regione e tradizionale feudo degli uomini di Comunione e liberazione. Al 30 per cento del gruppo Cabassi. Nel 2007, il piano (esplicitato dal contratto firmato allora dal Comune di Milano, dalla Fiera e da Cabassi) era di dare le aree in concessione alla società Expo per sette anni (2010-2017), al termine dei quali Fiera e Cabassi se le sarebbero riprese, trovando la gradita sorpresa di poterci costruire sopra: 600 mila metri quadri secondo il contratto, gonfiabili fino a 1 milione di metri quadri secondo una clausoletta ("zona di trasformazione speciale") inserita nel nuovo Piano di governo del territorio in approvazione a Milano.
Era un piano perfetto: da una parte Comune e Regione non avrebbero speso un euro per le aree, dall’altra i proprietari avrebbero fatto bingo. Soprattutto la Fondazione Fiera, pesantemente in rosso, avrebbe risolto tutti i suoi problemi, per la gioia di Formigoni e di Cl. Ma il piano è saltato. La crisi, infatti, ha prosciugato i soldi pubblici che dovevano arrivare all’Expo e ha reso incerti gli investimenti immobiliari: perché costruire, con il rischio di non riuscire a vendere? Letizia Moratti ha allora accettato di presentare un "concept plan" leggero, progettato dall’architetto Stefano Boeri con Richard Burdett, Jacques Herzog, William Mc Donough e Joan Busquets. Un grande parco botanico planetario, con le coltivazioni, le serre, le biodiversità, i climi del mondo e le loro tipicità alimentari.
A questo punto, Formigoni non ci sta. Vuole riprendere in mano la guida dell’operazione. Vuole acquistare le aree. Con una mano paga (quella della Regione Lombardia), con l’altra incassa (quella della Fondazione Fiera). Quelle aree agricole, non edificabili, oggi valgono poco o niente. La Regione sarebbe disponibile a pagarle ben oltre il loro valore attuale (i proprietari chiedono almeno 200 milioni, Formigoni ne propone 160). Poi, dopo l’Expo, il grande parco che dovrebbe restare come regalo alla metropoli meno verde d’Europa sarebbe almeno in parte edificato. Un bel quartiere residenziale, che renderebbe la Fondazione Fiera un soddisfatto e ricco operatore immobiliare. Quanto al tema dell’Expo 2015, "Nutrire il pianeta, energia per la vita", resterebbe un buon proposito, ma a nutrirsi sarebbero i soliti noti.
la Repubblica
Stanca lascia, per l’Expo incubo fallimento
di Alessia Gallione
MILANO - Expo prova a voltare pagina. E, dopo 27 mesi dalla vittoria di Parigi che decretò il trionfo di Milano sulla città turca Smirne, tenta di uscire dalla pericolosa paralisi. Ma nel giorno delle dimissioni dell’amministratore delegato Lucio Stanca, l’uomo voluto da Silvio Berlusconi alla guida dell’evento che abbandona l’incarico dopo un anno di polemiche e scontri all’interno del centrodestra, torna l’allarme sui finanziamenti che dovranno mettere le gambe al progetto del 2015. Perché il problema rimane sempre lo stesso: la mancanza di certezza sui fondi. Una preoccupazione espressa anche dal consiglio di amministrazione della società di gestione, che ha rimandato la discussione sui tagli al budget del 2010: impossibile fare previsioni senza sicurezze per il futuro. E, soprattutto, con un articolo della manovra che riduce all’osso la capacità di spesa della spa. Ecco la presidente Diana Bracco: «Ci preoccupa il drastico contenimento dei costi che ci viene dalla manovra finanziaria». Per la fine di luglio è stata convocata un’assemblea che dovrà chiedere ai soci - se necessario - un’altra ricapitalizzazione. Ma adesso la grande paura di trovarsi di fronte a un fallimento si sta facendo concreta. Nessuno lo dice apertamente, ma tanti iniziano a temere che su Expo possa davvero calare il sipario.
È di nuovo bufera ai vertici. Un secondo divorzio che per Paolo Glisenti, il braccio destro del sindaco-commissario Letizia Moratti che fu costretto all’addio un anno fa, non sarà l’ultimo: «La situazione è ingestibile. Succederà ancora», dice. E il Pd parte all’attacco: «Il centrodestra sta dando uno spettacolo vergognoso che riguarda tutto il Paese - dicono la presidente del gruppo Anna Finocchiaro e i senatori Marilena Adamo e Luigi Vimercati - Tremonti riferisca in Senato prima dell’esame della manovra: il governo vuole ancora realizzare Expo? Ci sono i soldi promessi per le opere necessarie?».
Quando fu nominato il 9 aprile di un anno, sembrava che le guerre all’interno di Expo fossero finite e, dopo mesi di stallo, potesse partire la fase di realizzazione. Eppure anche Lucio Stanca, da manager «con ampie autonomie gestionali» si è ritrovato all’angolo. Quattordici mesi di liti e un rapporto sempre più difficile con lo stesso centrodestra che lo ha lasciato solo spingendolo all’addio. Stretto tra la crisi, gli scontri sempre più accesi all’interno della maggioranza e le polemiche sul suo doppio incarico (e doppio stipendio) come parlamentare e ad, alla fine ha lasciato. Le sue dimissioni - anche da consigliere - sono arrivare ieri mattina, prima che iniziasse il cda a cui non ha preso parte. Quattro pagine per ripercorrere i traguardi raggiungi - il dossier di registrazione al Bie di Parigi - e i motivi dell’addio. Dalle contestazioni arrivate dalla presidente Bracco e lette come «un’improvvisa e infondata contestazione del mio operato» fino all’articolo 54 della manovra con cui di fatto il governo lo ha commissariato: «In un contesto - dice - in cui recenti provvedimenti hanno limitato sostanzialmente i miei poteri e dall’altro lato rimangono insolute alcune questioni di fondo».
A spiegare il cambio è la Moratti, che ringrazia Stanca: «Ora si conclude una fase e se ne apre una nuova, più operativa». Per il post-Stanca ci si affida a un manager come Giuseppe Sala, il direttore generale del Comune. È lui l’amministratore delegato in pectore, anche se bisognerà aspettare almeno il prossimo cda convocato per il 20 luglio per sciogliere le riserve. Un mese che servirà a Sala anche per avere quelle rassicurazioni sulla solidità finanziaria necessarie per accettare l’incarico. Perché chiunque si troverà alla guida della macchina del 2015 si troverà ad affrontare anche una serie di nodi difficili da sciogliere.
Il budget complessivo era già stato ridotto di un miliardo (da 4 a 3) e anche i fondi stanziati dal governo rimangono bloccati: oltre 40 milioni di euro solo per i primi due anni di vita della spa. È già partito un piano di tagli che prevede anche licenziamenti del personale, ma a preoccupare è la manovra che limita al 4 per cento le spese per la società. «Poco», lo giudica Diana Bracco, che chiede di aumentarlo almeno al 7%. Prima di novembre, poi, Milano dovrà presentarsi al Bie per la registrazione ufficiale e, prima di allora, le aree di Rho-Pero dove sorgeranno i padiglioni dovranno essere acquisite. Ma quel milione di metri quadrati rimane di proprietà di Fondazione Fiera e Gruppo Cabassi. Regione Lombardia, Comune e Provincia dovrebbero acquistarli, ma la strada è ancora lunga. E le casse degli enti locali sempre più vuote.
E Prodi accusa: "Ora solo veleni dal trionfo su Smirne al disastro"
di Marco Marozzi
BOLOGNA - «Che figuraccia. Mamma mia, che disastro». Romano Prodi commenta il «disastro» dell’Expo di Milano subito dopo aver assistito al disastro della Nazionale di calcio. Le parole valgono doppio. «Che tristezza» dice il Professore nel suo studio di via Santo Stefano, nel cuore di Bologna, dove sta preparando le sue lezioni per l’università di Shanghai. Corso estivo, si parte domenica per la Cina.
Un altro clima lo attende. Da un Expo terremotato a Milano, a un Expo super decollato a Shangai. Eppure in Cina l’Italia ha mandato all’inaugurazione «solo» il ministro Stefania Prestigiacomo e a maggio a Roma all’insediamento del nuovo ambasciatore cinese, Ding Wei, non c’erano le cariche istituzionali italiane. «Ho sempre pensato che la Cina sarebbe stato presto una protagonista della politica e dell’economia mondiale. Questo mi è stato regolarmente rimproverato dagli attuali governanti. Quindi non mi stupisco rispetto a due episodi che rappresentano la continuazione di una linea passata e che riflettono la scarsa comprensione che essi hanno del ruolo della Cina nel mondo. Secondo una recente indagine della Bcc, l’Italia è tra i paesi occidentali quello che ha la percezione peggiore nei confronti della Cina».
Prodi parla di Cina per parlare di Italia. Di una «scarsa comprensione» che si risolve in un «disastro». E’ lontanissimo quel 31 marzo 2008 in cui Milano batté Smirne a Parigi 86 a 65. L’Expo 2015 sarebbe stato nella capitale lombarda, il sindaco Letizia Moratti si sperticò in lodi per Prodi, premier sconfitto e dimissionario che però fra i suoi ultimi atti si impegnò a fondo per l’Expo a Milano. Poi? «Attorno all’Expo è andata in scena una lite continua fra strutture di potere» ripete da tempo l’ex presidente del Consiglio. L’indice è puntato su tutti: Moratti, Formigoni, Lega, Pdl, liti «su tutto» nel governo.
«Milano - ricorda l’ex premier - la spuntò su Smirne grazie a un grande gioco di squadra del sistema-Italia che poi è saltato». Letizia Moratti un anno dopo la vittoria, sempre a Parigi, annunciò che Prodi, D’Alema, Al Gore, altri grandi nomi sarebbero stati nel Comitato d’onore dell’Expo. Con la benedizione di Berlusconi. «Veramente, pensavo di esserci già da almeno un anno, dal 2008» ride Prodi. «Invece dopo la vittoria non ho avuto più avuto notizie né alcun aggiornamento sui lavori».
«La questione non è mai stata il comitato d’onore, ma un percorso condiviso che consentisse di portare in porto un evento di tale portata» è il commento di Prodi. «Gli unici aggiornamenti sull’Expo di Milano li ho avuti recandomi all’estero per il mio lavoro. E non mi hanno fatto per niente piacere. Molti di quelli che a Parigi ci avevano dato il voto, mi chiedevano preoccupati che cosa stesse succedendo, come mai la macchina non si fosse ancora messa in moto. Verso di loro, io ed altri del mio governo ci eravamo spesi in prima persona». E i turchi? «Lasciamo perdere i loro commenti».
E adesso cosa si augura? «L’Expo riguarda l’interesse nazionale. Per questo, il mio augurio è che si raggiunga un’intesa. Non solo sugli aspetti immobiliari. Sui contenuti».
Il Corriere della Sera ed. Milano
L’addio di Stanca: «Mancata la fiducia»
di Elisabetta Soglio
Lucio Stanca non è più amministratore delegato di Expo e il Comune ha avviato le procedure per il bando che sostituirà il rappresentante del Comune nel cda. L’ad se ne va accusando la Bracco di aver leso la sua immagine e di aver sempre condiviso le scelte fatte nei 14 mesi precedenti. La Bracco non risponde, ma ammette il timore per i conti: «Ci preoccupa il drastico contenimento dei costi inserito nella manovra». In corsa per il dopo-Stanca resta il dg del Comune, Giuseppe Sala, che però ha posto condizioni ai soci e non si è ancora confrontato con i rappresentanti del Tesoro. Il dopo-Stanca è già cominciato. Il Comune ha avviato ieri le procedure per indire il bando, che ufficialmente dovrebbe essere aperto all’inizio della prossima settimana, per nominare il proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione di Expo al posto di Lucio Stanca.
L’amministratore delegato uscente di Expo, infatti, non si è presentato ieri alla riunione del cda, facendo recapitare alla presidente Bracco una lettera di quattro pagine in cui ha motivato le sue «irrevocabili dimissioni» accolte dal consiglio di amministrazione. Dimissioni accolte dal cda: Stanca ha però incassato il plauso del presidente Roberto Formigoni, («Un gesto di grande dignità»), del sindaco Letizia Moratti («Ringraziamo Stanca per il lavoro importante che ha fatto. Ora si conclude una fase, se ne apre una nuova, una fase più operativa»), del presidente della Provincia, Guido Podestà («A lui il grazie mio personale per il significativo e determinante impegno profuso nei 14 mesi di attività per Expo»).
Come prevede lo statuto, i poteri vengono così trasferiti allo stesso cda, in attesa che la governance venga definita. La presidente Diana Bracco, che ha scelto di stare lontana dalla polemica con Stanca, ha garantito che «entro l’estate» il cda verrà completato. L’ipotesi che continua a circolare, e che era stata discussa anche dai vertici del Pdl milanese e lombardo, è quella di nominare un direttore generale cui delegare tutti i poteri dell’ad e di scegliere un manager. Il nome che circola è quello dell’attuale dg del Comune, Giuseppe Sala, che però ha già chiarito ai soci pubblici che lo hanno interpellato le sue condizioni, di autonomia e possibilità di manovra. Amonte, però, non risulta che Sala abbia ancora avuto un contatto con il rappresentante più importante della società che gestisce Expo, cioè il governo: e pare che questo passaggio sia imprescindibile anche in vista di una eventuale accettazione dell’incarico.
Al sindaco Letizia Moratti si aprirà poi il problema della successione di sala in una fase decisamente delicata visto che la campagna elettorale è di fatto cominciata e bisogna tirare le somme del lavoro svolto in questa legislatura. Proprio per evitare scossoni, il sindaco potrebbe decidere di affidarsi a uno dei due attuali vice di Sala, l’ingegner Antonio Acerbo che lavora in Comune fin dai tempi della giunta Albertini e che, tra l’altro, aveva gestito con il vicesindaco la ristrutturazione della Scala.
Torniamo ad Expo. La presidente Bracco ha ammesso al termine di cinque ore di cda la «grande preoccupazione per le implicazioni della manovra finanziaria che ha un articolo, il 54, dedicato all'Expo e ci preoccupa il drastico contenimento dei costi». C’è poi il problema del 4 per cento imposto dal governo come percentuale massima di finanziamenti, utilizzabile per le spese correnti. «Come azienda industriale, se fai il 7 per cento sei bravo. Ma questa è una impresa diversa e il 4 per cento è francamente poco», ha aggiunto la Bracco.
Ancora più schietto Leonardo Carioni, nel cda in rappresentanza del Tesoro: «I problemi di oggi riguardano i terreni e soprattutto i bilanci perché i soci, ad esclusione di Tremonti e Formigoni, hanno più volte fatto sapere di non avere i soldi sufficienti » . Gil risponde Matteo Mauri, responsabile nazionale pd di Expo: «Leonardo Carioni, con la schiettezza che gli è solita, alza il velo di ipocrisia che da sempre avvolge Expo. I soldi non ci sono, le aree nemmeno e le idee sono poche e confuse».
Il nuovo cosiddetto Piano di governo del territorio che la Giunta Moratti vorrebbe fare approvare e sulla discussione del quale, per ora, il Consiglio comunale è arenato, è la quintessenza del piano - non piano.
Non solo perché consente quantità assurde di nuovi volumi edilizi, che basterebbero per cinquanta o cento anni di futuro sviluppo edilizio ( sempreché la domanda si mantenga), perché non programma niente in termini di mix tra funzioni economiche e residenza, lasciando che il mercato faccia di volta in volta, con buona pace dell’efficienza e della vivibilità dei nuovi futuri insediamenti, o perché da un colpo al cerchio del trasporto pubblico disegnando ( sulla carta) un profluvio di nuove linee e un colpo alla botte promuovendo il nuovo tunnel automobilistico Rho - Linate.
E’ la quintessenza del non- piano per unaragione assai più profonda e radicale.
Undici anni fa un collega del Politecnico inaugurava la nuova fase dell’urbanistica milanese “self - service”, quella dei Piani integrati di intervento, sulla base di una precisa ipotesi di lavoro: che il problema centrale della città fosse quello di fluidificare il mercato immobiliare, di eliminare cioè lacci e lacciuoli per gli operatori immobiliari, nella convinzione che, tagliato questo nodo, la macchina della crescita economica e sociale della “Grande Milano” sarebbe ripartita da sola a pieno regime. In buona sostanza l’attuale PGT non fa che assumere ed amplificare al massimo questa ipotesi strategica fino al punto da travolgere, in omaggio ad essa , le ultime residue garanzie ( gli standard urbanistici, il parco sud ed altro ancora).
In questo modo il Comune ripete, sia pure in tutt’altri termini, un errore di miopia strategica analogo a quello commesso all’epoca della formazione del Piano regolatore attuale.
Allora, tra il 1976 e il 1980, dunque dopo la crisi petrolifera che pure avrebbe dovuto essere chiaro preannuncio della imminente crisi della vecchia industria europea, il “nuovo” PRG si cullava ancora nella mitologia industrialista, senza curarsi di affrontare il nodo vero, del riuso razionale e sistematico del patrimonio di aree industriali ormai condannate.
Oggi, con il mercato immobiliare in evidente crisi , con una competizione economica internazionale sempre più dura tra sistemi paese e sistemi città e con uno stato finanziariamente sempre più povero, il nuovo PGT continua a baloccarsi nella vecchia e cuccagnosa idea del mattone motore universale.
Trascurando con ciò tutti i nodi veri.
Qualche esempio dei nodi veri.
Non si può più vivere in un’area metropolitana senza progetto di sistema, con centinaia di Comuni costretti a improvvisare ciascuno la sua musica, con una moltiplicazione delle spese e dello sciupio di territorio, e con la parallela, drammatica carenza dei servizi di natura intercomunale, a partire da quelli del trasporto pubblico.
Non si può lasciare sostanzialmente intatto il nodo delle grandi inefficienze del sistema infrastrutturale ( l’energia, gli aeroporti, il trasporto delle merci) e sperare che la macchina economica continui lo stesso a girare felice.
Non si possono nemmeno lasciare languire o morire i pochi progetti di rilancio dei fattori di competitività urbana ( la biblioteca europea, il sistema museale, una attenzione specifica, che non è mai esistita, sul potenziale rappresentato dalle strutture dell’università e della ricerca.)
E infine, e soprattutto, non si può non vedere che la qualità e la vivibilità urbana sono considerate, oramai a livello mondiale e non solo europeo, uno dei fattori importanti per la cattura di quelle funzioni rare che, sole, possono garantire la sopravvivenza di qualche vantaggio per le nostre economie in crescente difficoltà. Per garantire ciò il mattone deve essere a servizio della qualità, e non viceversa.
Nel PGT presentato l’impostazione è l’esatto opposto. Non si tratta dunque di emendarlo, nella speranza di ottenere qualche sconto: per il bene della città va rifatto, per riempirlo dei contenuti che mancano e per capovolgerne la logica ispiratrice.
Non passa giorno senza che si sappia di nuovi tagli all'Expo e che il sindaco Moratti e Lucio Stanca annuncino «risparmi» anche per il nuovo masterplan presentato al Bie a maggio. Che la crisi avrebbe costretto a rifare più volte i conti dell' Expo era prevedibile e quando, più di un anno fa, pubblicammo la petizione contro «l'Expo dei padiglioni», la intitolammo «Milano Expo 2015: città sostenibile dopo la crisi».
Ritenevamo che l'Expo fosse l'occasione per avviare Milano e la Lombardia verso la sostenibilità sociale, ambientale, energetica e dei trasporti, utilizzando grandi edifici e siti già disponibili nel territorio. La crisi planetaria costituiva l'inconfutabile motivazione per ottenere dal Bie di abbandonare la formula della manifestazione luna park e proporre una Expo diffusa e sostenibile. E ciò sarebbe ancora possibile assicurandosi la partecipazione dei vari Paesi senza sprechi sia per loro che per noi.
Ormai il sito Expo ce lo dobbiamo tenere. Ma poiché il suo ruolo sarà molto ridimensionato, è necessario promuovere un fuori Expo, analogo a quello che si realizza ogni anno durante il Salone del Mobile, di cui si avvantaggino Milano e la Lombardia. Ma dato che l'Expo dura sei mesi e non sei giorni, il fuori Expo dovrà essere organizzato con tutt'altro impegno. Ci vuole una strategia per preparare il territorio alla pacifica invasione di milioni di visitatori; dovremo offrire, soprattutto ai giovani, una esperienza di vita sostenibile, consentendo loro di sperimentare concretamente come sia possibile nutrire l'umanità, salvaguardando l'ambiente, disciplinando i consumi, risparmiando energia ed evitando gli sprechi.
Il taglio dei finanziamenti non sarà il peggiore dei mali se la manifestazione sarà accompagnata da una Expo diffusa e sostenibile che estenda la partecipazione alle componenti sociali e imprenditoriali, offrendo l'occasione di far conoscere le eccellenze della Lombardia, con duraturi vantaggi anche per il turismo. Regione e Provincia di Milano dovrebbero promuovere questa componente della manifestazione con maggiore determinazione. Vedremo se Formigoni, che ha già annunciato per settembre la seconda edizione degli Stati generali dell'Expo, mobiliterà il potente apparato di cui dispone.
Come Politecnico di Milano, con il contributo della Fondazione Cariplo Area Ambiente, abbiamo avviato un progetto di Expo diffusa e sostenibile (Eds) per mettere in rete le varie iniziative che si stanno avviando da parte di soggetti sia pubblici che privati con l'obiettivo di favorire le possibili sinergie a vantaggio della qualità delle ricadute territoriali. Ma con questi chiari di luna è impensabile fare affidamento su finanziamenti pubblici. Tutte le iniziative di Expo diffusa e sostenibile dovranno essere autosufficienti, avere una reale fattibilità imprenditoriale e interpretare il tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita in tutte le sue possibili declinazioni, lasciando nel territorio una solida eredità in grado di configurare, fin da ora, l'armatura della futura metropoli sostenibile.
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Alcuni professori e ricercatori della facoltà di architettura milanese fondavano, anni fa, il gam, Gruppo Albero Milano. Lo scopo: studiare la possibilità di una vasta piantumazione in strade, viali, piazze e altri spazi pubblici o di uso pubblico che parevano attendersela dal dopoguerra e invece erano stati dimenticati dal Comune a un destino di aridità e squallore; pervenire a progetti particolareggiati caso per caso e coordinarli in un programma generale urbano, una specie di piano di attuazione la cui attendibilità sarebbe derivata dalla correttezza dell’analisi diretta nei luoghi; proporre il piano e i progetti ai tecnici del settore comunale competente per parchi, giardini, verde alberato, ai fini di una seria valutazione economica e di una progressiva realizzazione. Ci furono diversi incontri con i funzionari, specie con l’ingegnere capo, furono illustrati i progetti. Sembrava, al gruppo, relativamente facile discutere di alberature in una città che contava solo 160.000 piante, circa un decimo di pianta per cittadino residente e poco più di un ventesimo per persona presente nella giornata lavorativa. Al contrario, il gruppo dovette presto verificare che le proposte provocavano poco meno che terrore nel reparto comunale che avrebbe dovuto, per così dire, amare il verde per obbligo. Per i funzionari ogni albero vecchio o nuovo pareva un disturbo, una pratica burocratica pesante, una preoccupazione. Meno alberi meno problemi. Del resto, allora, non era gran che forte la richiesta di una maggior sensibilità ambientale degli amministratori pubblici da parte di abitanti o movimenti organizzati. Con una sola eccezione: Italia Nostra, grazie alla quale la città aveva ottenuto due nuovi parchi, il «Bosco in città» (area di via Novara), 120 ettari, e, nelle vicinanze, il «Parco delle cave», 121 ettari, entrambi recupero di spazi a gerbido o agricoli degradati. Il gam, nell’imbarazzo di un dialogo difficile, dovette ripiegare i progetti e rinunciare all’impresa.
Ricordo questo episodio di quasi vent’anni fa mentre a Milano si disputa intorno agli alberi soprattutto a causa della ormai famosa richiesta di Claudio Abbado, come un contratto, 90.000 piante in città in cambio del suo ritorno per dirigere qualche concerto. La discussione si è impantanata sulla questione se e come inserire, in base a un disegno di Renzo Piano accordato col maestro, qualche pianta in piazza Duomo (48 carpini, lato opposto alla chiesa) e filari in via Orefici, piazza Cordusio, via Dante (doppio filare), Largo Beltrami/Castello. Poi, fra presunte difficoltà tecniche e, addirittura, deprimenti contestazioni dei costi dell’équipe di Piano, si è fermata e il programma è stato accantonato. Si tratta, occorre rilevarlo, di soli 217 alberi a fronte dei 90.000 richiesti, per la posizione dei quali non c’è uno straccio di previsione da parte del municipio. E, ricordando le analisi del gam, sarebbero miriadi i luoghi urbani pronti per cambiare, grazie a intense alberature, la loro, è il caso di dire, natura. Alcuni urbanisti (etiam ego) hanno sempre sostenuto che un progetto di grande verde basato su vaste piantumazioni a filari e a macchie rappresenta forse la metà del valore di un buon piano regolatore.
Intanto il programma comunale relativo ai deprecati parcheggi sotterranei, dopo le demolizioni di non si sa quanti alberi con le opere già eseguite, comunque una quantità e una qualità altissime, ne prevede ora altre in piazze per le quali si stenta a credere che possa succedere. Come in piazza Lavater, spazio noto per essere folto di vecchi celtis (bagolari) bellissimi circondati da case tutte rilevanti per qualità architettonica. Aveva ben accertato il gam. L’albero è odiato dagli amministratori pubblici e, se è per questo, non è amato dalla maggioranza dei cittadini. Eppure una proposta di 90.000 piante non è certo utopica. Il numero è troppo piccolo perché rappresenti un ribaltamento di una condizione di penuria ora incancrenita. Per il Comune sono ottime false soluzioni come l’alberello, misero e triste, impiantato, invece che nel suolo, in vasi o vasoni sproporzionati dove lo impedisce il solettone del parcheggio sotterraneo. Accade in tutti i casi di ripristino dopo la costruzione dei silo costati la perdita di alberi veri: le solette e lo scarso strato di terra (dove è finito il vecchio obbligo dei due metri di spessore?) permettono, se non l’impiego di vasi, solo l’impianto di essenze a crescita bloccata. I risultati sono orribili. Vedere, ad esempio, oltre a via Vittor Pisani per i vasi, piazzale Dateo e piazza Risorgimento sulla direttrice Monforte, uno dei primari assi storici di penetrazione verso il cuore della città, con i loro rattrappiti alberini.
Un piano regolatore delle alberature in una città come Milano dovrebbe puntare su una dotazione di almeno un albero per abitante, che significa aggiungerne almeno un milione agli esistenti (ora 170.000). È la misura che pressappoco preventivava il gam.
Intanto il Comune, maestro di odio del verde, ha reso difficile la vita a Italia Nostra nella gestione unitaria del Parco delle Cave (davvero un’oasi incredibile nella disastrata Milano) tanto da costringerla a rinunciare. Sappiamo quale sarà la trasformazione: diverse e spezzettate aree concesse ad associazioni enti società che privatizzeranno gli spazi, recintandoli, costruendo casotti. Sarà quasi impossibile l’uso pedonale e ciclistico libero, aperto, sicuro.
Postilla sulle potature milanesi
Gli alberi dei viali hanno vita grama. Già riescono a difendersi con difficoltà dagli scarichi degli automezzi grazie alla loro capacità di assorbire anidride carbonica e di produrre ossigeno. Non possono invece difendersi dalle potature perpetrate dagli addetti del Comune, dei quali devono sopportare la perversa vocazione a maltrattarli, a toglier loro la parte più bella e utile, la chioma. Arthur Young (Bradfield – Suffolk, 1741-1820, scrittore, saggista, conoscitore di agricoltura, economia, problemi sociali) «condannava duramente la pratica di sfrondare il tronco lasciando soltanto un ciuffo di rami sulla cima dell’albero» (Keith Thomas, L’uomo e la natura, 1983, Einaudi 1994, p. 280). Questa è la brutta consuetudine milanese. Tagliano continuamente i rami bassi e a media altezza ingigantendo il timore di intralcio al passaggio degli autobus, riducono la figura della pianta a quella di uno scopino per la polvere. Di autobus ne potrebbero passare tre o quattro sovrapposti. (Milano, 17 maggio 2010)
Per il tema delle alberature nell’hinterland milanese vedi il mio Utopia metropolitana, 15 marzo 2003.
Di chi è Milano? Chi la sente propria al punto da volerla difendere dai troppi profittatori? Di sicuro non se ne sente interprete e paladina l'attuale classe politica. Chi ama questa città mai avrebbe varato il piano dei parcheggi sotterranei. E le presunte buone intenzioni stanno a zero di fronte ai catastrofici risultati. Il tour delle macerie e degli ingombri da piazza Novelli alla Darsena, da piazza Sant'Ambrogio a piazza XXV aprile, da via Gavirate a piazza Meda stringe il cuore fra esercizi commerciali vuoti e altri con le serrande abbassate. Quanti hanno proposto e accettato che interi quartieri venissero dissestati senza porsi il problema dei disagi sicuri e degli intoppi probabili è risultato nei fatti un nemico di Milano.
Ma alle sue sorti paiono insensibili anche gli abitanti: la presunta società civile— per valutarla basta aver partecipato a una sola assemblea di condominio — avrebbe punito con il voto i responsabili dello sfascio urbano, al di là di ogni considerazione ideologica. Invece sembriamo più interessati all'elevazione di sottotetti e di mansarde, all'invasione abusiva di ogni spazio, allo sberleffo di regole e leggi. Si ha l'impressione che tanti, dopo aver riservato ogni energia alla guerra quotidiana in strada, fra soprusi di ogni tipo, siano alla fine talmente esausti da subire le soverchierie dei propri rappresentanti. D'altronde li abbiamo eletti noi: quanto meno siamo corresponsabili delle scelte che ci si ritorcono contro.
Milano vive fra annunci roboanti e realtà assai modeste. Da quanti anni vengono ripetute le promesse sulla cittadella della giustizia, sul polo museale, sulle due nuove metropolitane? I turbamenti dell’amministratore delegato dell'Expo prevalgono sulle sorti della stessa Esposizione universale, che dovrebbe costituire una straordinaria opportunità, ma ogni giorno sembra allontanarsi. Da molti interventi traspare la preoccupazione di non farcela, in parecchi emerge quasi il disappunto di aver ottenuto la designazione: sono bastati trenta mesi per trasformare una strepitosa vittoria, che aveva fatto parlare di sistema Paese, in una possibile iattura. Eppure Milano ha sempre vinto le sfide cominciando dalla ricostruzione della Scala nel '45. In dieci anni furono approntati oltre sessanta chilometri di linee metropolitane. Già allora risaltavano condotte spregiudicate, però qualcosa rimaneva alla comunità.
Oggi fra tangenti celate nei pacchetti di sigarette e atteggiamenti di ordinaria soverchieria maschilista s'avanza una generazione di mezze calzette. La corruzione dilaga e ai milanesi restano in mano solo le promesse del sindaco, degli assessori, dei consiglieri di ambo gli schieramenti. Spesso si vantano di essere prestati alla politica, ma che rimpianto per quei bei professionisti di una volta. E che rimpianto per quei bei milanesi di una volta capaci di eleggere chi sapeva soddisfare i bisogni dei concittadini, oltre ai propri.
L’ultimo "Controcanto" ha attirato gli strali di una parte dell’opposizione, soprattutto là dove parlavo della trasversalità degli interessi immobiliari. L’articolo di Andrea Greco sulle pagine milanesi di Repubblica di venerdì scorso ne dà egregiamente conto. Per altro è un vecchio vizio della sinistra. Negli anni Ottanta già polemizzavo con l’amico Umberto Dragone, vicepresidente della Lega delle Cooperative, perché consideravo quantomeno curioso che i più importanti lavori pubblici fossero appaltati a consorzi d’imprese sempre a tre: imprese delle partecipazioni statali, imprese private e imprese cooperative, in genere nella quota di 1/3, 1/3 e 1/3. Quindi le compagnie più "eterogenee" della sinistra non mi stupiscono ma mi stupisce lo stupore che nasce quando lo ricordo.
Veniamo al Pgt che ho sempre considerato "irricevibile" e "indiscutibile" per l’opposizione. Non si tratta di un documento urbanistico puro ma del "manifesto" di Cl in materia di visione sociale della città e, contemporaneamente, il "manifesto" della democrazia urbana secondo Cl, dove si ridistribuiscono i poteri tra organi elettivi diretti, il consiglio comunale e la Giunta. È un che ridisegna Milano.
Perché l’opposizione non si è ribellata? Perché non ha accettato il confronto su questi elementi del Pgt? Mentre la sinistra si sciacqua la bocca sulla scomparsa delle ideologie c’è chi - Cl - , dobbiamo riconoscerlo, con un documento complesso e di difficile decrittazione, rozzo in molte parti, ricomincia a pensare in termini ideologici: senza ideologia non si va da nessuna parte. Quest’opposizione sembra non essersi accorta che nell’inseguimento di qualche ettaro di verde è caduta nella trappola di quella specie di sindrome di Stoccolma della dialettica politica: essere lentamente persuasi delle opinioni del tuo avversario, in questo caso abile, perché ti distrae dalla visione d’insieme e porta il gioco dove gli fa comodo.
Quanto al meccanismo della perequazione, ossia l’attribuzione alla maggior parte del suolo comunale di un’edificabilità media generalizzata, il primo a pensarci fu l’onorevole Sullo (1921-2000) che ne fece oggetto di una proposta nel 1963 (bocciata su pressione degli immobiliaristi), poi ci riprovò il senatore Achille Cutrera e non ebbe miglior fortuna, mancatogli l’appoggio della sinistra.
Ora tutti d’accordo a Milano? E non vogliamo parlare di trasversalismo? L’Istituto italiano di urbanistica per anni ha tentato inutilmente di riprendere il discorso. Ma quale è la vera novità della perequazione secondo il Pgt milanese? In passato si parlava semplicemente di non penalizzare quei cittadini che si trovassero ad avere le loro aree sottoposte a vincoli (verde pubblico, servizi e così di seguito) rispetto a quelli che se le "trovavano" con possibilità edificatorie libere (residenza in particolare). Oggi, col nuovo Pgt e l’assegnazione di un indice di edificabilità unico a zone si è anche introdotto il criterio della vendita di questi diritti e la loro trasferibilità su altre aree. Un’ipotesi praticabile ma che richiede ben altre e più articolate norme e che stride persino con quel minimo di pianificazione contenuto nel Pgt stesso: una norma che andrebbe discussa a parte e non nel calderone del Pgt. Peccato che per "loro" sia un principio intoccabile.
Fiorentino Sullo non può essere considerato un antesignano della spalmatura dell'edificabilità, e della conseguente "perequazione", come proposto allora da Achille Cutrera e Michele Achilli, come applicata nel recente PRG di Roma. Il ministro democristiano dell'epoca aveva proposto l'acquisizione preventiva dei suoli resi edificabili dal PRG e un'indennità pari al valore agricolo per le aree di nuova urbanizzazione e pari al valore venale per quelle già urbanizzate o urbanizzabili (si veda su eddyburg la sua proposta,e in particolare l'articolo 24 )
Sfila per strada la rabbia della gente contro il progetto di riqualificazione dell´ex Alfa di Arese. Al posto della storica azienda in rampa di lancio ci sono un centro commerciale, il più grande d´Europa, ville e palazzi, e una nuova tangenziale. Una colata di cemento e asfalto che sconvolgerà la zona. È l´accordo di programma tra Regione, i quattro comuni interessati (Garbagnate, Arese, Lainate e Rho) e i proprietari dell´area, tra cui spicca il nome di Marco Brunelli, numero uno di Finiper e azionista di Gs. Una colata di cemento a cui si oppongono comitati di cittadini, commercianti, il Pd ma anche la Lega, che nei quattro Comuni sta con la maggioranza.
Ieri in 500 hanno marciato per le vie di Arese in segno di protesta portando davanti al municipio la contestazione, fin sotto le finestre del sindaco Gianluigi Fornaro. Mamme, bambini, anziani e giovani, operai, impiegati e casalinghe, una presenza trasversale per una manifestazione nata dal basso e riunita attorno al vessillo del "Coordinamento di difesa del territorio area Alfa", capace di raccogliere in poche settimane 4mila firme da spedire al Pirellone per bloccare il progetto.
"Non svendete il territorio", recitava lo striscione tenuto da centinaia di mani. «Siamo qui per fermare questo scempio – spiega Sara Belluzzo, presidente del Coordinamento –. In un territorio già congestionato dal traffico e divorato della presenza dell´uomo non servono altre strade e nuove case.
L´ex Alfa deve mantenere la sua vocazione produttiva. In passato le parole della Regione ci hanno illuso, ci è sempre stato detto che per il rilancio dell´area si sarebbe puntato sulla green economy, adesso sembra svanita qualsiasi promessa». La preoccupazione per il futuro si mischia al senso di impotenza, lo fa capire il vice presidente di Legambiente, Gianluigi Forloni: «Se anche dovessimo riuscire a far saltare l´attuale accordo di programma, corriamo il rischio di vederci costruire sotto il naso come nulla fosse». La zona è nel cuore dell´area Expo, e il governo potrebbe decidere di intervenire con procedura d´urgenza, senza più ascoltare la voce dei cittadini.
Green economy, un sogno tradito sull´area solo palazzi e ipermercati
Sui cancelli d´ingresso dell´ex Alfa rimangono le bandiere, sgualcite, mangiate dal sole e dalla pioggia. Sono quelle dei sindacati, ultimi segni di una lotta operaia che ad Arese è stata lunga e ha finito per segnare un´epopea. Echi lontani, immagini ancora in bianco e nero, ora gli stabilimenti (costruiti negli anni ´60 per sostituire quelli del Portello a Milano) sono abbandonati. Eppure solo 20 anni fa, sotto le volte dei capannoni lavoravano 12mila persone. Oggi ne rimangono 120, impiegati e ricercatori. Se ne andranno tra poco, entro questo 2010 in cui per uno scherzo della storia ricorre il centenario di fondazione dell´Alfa Romeo: saranno ricollocati negli stabilimenti Fiat di Pregnana e Corbetta. Quello che rimane è archeologia industriale su un´area sconfinata, due milioni di metri quadrati, incastonata tra Garbagnate, Arese, Lainate e Rho, giunte di centrodestra. È qui, nell´ombelico della Lombardia almeno fino al 2015, anno di Expo, che si gioca una delle partite più importanti per il rilancio della Regione.
Di riqualificare la zona si parla da 15 anni, sul tavolo di Formigoni e su quello dei sindaci sono già passati tre accordi di programma nel 1996, nel 2002 e nel 2009, ma da febbraio l´iter è bloccato. Regione e Comuni dicono che non ci sono problemi eppure le loro firme per il via libera ancora non arrivano. L´ultimo progetto però ha scatenato una sollevazione popolare. In quelli precedenti si puntava tutto sull´industria e sulla green economy, per stabilire un ponte tra passato e futuro, come aveva più volte ribadito lo stesso Formigoni. Quel progetto ha lasciato il passo a un centro commerciale di 77mila metri quadrati, primo per dimensioni in Europa, che andrà a prendere il posto del parcheggio coperto a sei piani dove venivano stoccate le automobili destinate alle concessionarie. Nello spicchio che insiste su Garbagnate, 17mila metri quadrati, sorgeranno 1.200 nuove abitazioni, e dalla parte opposta un parcheggio di 3.000 posti auto in vista dell´Expo. È prevista anche una parte produttiva, 700mila metri quadrati, «ma senza contenuti - attacca Andrea Orlandi, consigliere del Pd a Rho - . Si era parlato di auto elettriche, di progetti industriali ecosostenibili, tutto nel dimenticatoio. Occorre ridimensionare il commerciale e aumentare le aree verdi». Le aree boschive hanno ceduto il passo a una tangenzialina di collegamento tra Rho e Garbagnate, dove la giunta sta aspettando solo il via dei lavori per cambiare destinazione d´uso al cuscinetto verde, oggi esistente tra i suoi confini e la nuova cittadella. Un insediamento di 4mila persone, per cui non sono ancora stati pensati servizi indispensabili come le scuole, per fare un esempio.
In un territorio dal fragile equilibrio, attraversato dalla A8 e da un reticolo di superstrade e tangenziali, l´aumento esponenziale delle auto è un cancro capace di mandare all´aria la viabilità. Sia il tessuto sociale che quello economico rischiano di essere travolti dal nuovo volto dell´ex Alfa. Da mesi i negozianti sono sul piede di guerra contro il nuovo centro commerciale, in procinto di essere affiancato da un secondo ipermercato sul territorio di Garbagnate. Per loro, i proprietari dell´area, la Immobiliare estate Sei insieme ad Alfa Business Park (una controllata di Fiat) hanno previsto 4,4 milioni di euro di indennizzo. «Una goccia nel mare se si divide la cifra per gli 800 esercenti interessati dal contentino», dicono i vertici locali della Lega.
Dalla parte opposta della barricata c´è Roberto Zucchetti, sindaco di Rho, esponente di spicco di Cl vicino a Formigoni: «È un´occasione da cogliere. Gli insediamenti è meglio farli dove ci sono già capannoni e se ci sono industriali pronti a investire in tecnologie pulite che si facciano avanti». Di certo, per ora, ci sono già molti commensali alla tavola dell´ex Alfa, dai signori del mattone alla criminalità organizzata, decisa a giocare la sua parte come nei cantieri Expo.
I signori del mattone attendono fiduciosi, il Pgt dovrebbe rivelarsi un assist prezioso. Il gruppo Ligresti, Hines, Pirelli Re, i soggetti più finanziari come Allianz e Generali. E i loro prestatori di riferimento, quel trittico Mediobanca, Unicredit e Intesa Sanpaolo che si incastona nel miglio tra Cordusio e la Scala.
I signori hanno certo conosciuto tempi più felici. Per anni hanno gestito grandi affari entro una rete di potere consolidata; e ben rappresentata a Palazzo Marino. Pure, i costruttori di Milano ora sono in difficoltà, per colpa della crisi finanziaria e poi economica che li ha colti mentre erigevano nuovi moloch, già faraonici quando furono pensati, figurarsi nelle ristrettezze attuali. Santa Giulia è lo spauracchio di tutti. Finire come Luigi Zunino, che sognava una cittadella d’oro ai bordi della tangenziale Est. A braccetto con quei poteri ammaccati, i poteri amministrativi, anemici per le diete imposte dal governo e costretti a triplicare gli oneri di urbanizzazione, l’anno scorso, e a rilanciare una delle prime industrie dell’intorno, ora.
Per trovare una soluzione che tenga tutte le variabili e gli interessi, si tenta il volo alto. Piano di governo del territorio, la carta che riscrive l’urbanistica cittadina e pianifica l’edilizia dei prossimi decenni. Ancora nelle more della dialettica politica, il Pgt svela una filosofia di base molto chiara. Più flessibilità a chi costruisce e nella destinazione delle aree, un nuovo "mercato dei diritti edificatori" che convenga un po’ a tutti, sistematica sussidiarietà nelle funzioni di servizio (significa che il Comune non si occuperà di ospedali, scuole e simili nei futuri nuovi quartieri; creando nuove opportunità per un altro sicuro business privato, totalmente in mano a Compagnia delle Opere e Cl).
Per declinare sulla mappa cittadina i principi, fanno al caso una quantità di spazi ex pubblici - caserme, scali e stazioni ferroviarie su tutti - che saranno messi al bando per assegnarli, con nuove funzioni ed edificabilità, ai migliori offerenti. Si dice che l’ex scalo Farini, l’area più grossa e forse appetibile (651mila metri quadrati) piacerebbe a Ligresti e ad Hines Italia, due big già alleati nei cantieri Garibaldi-Repubblica. E che confidano molto anche nel progetto di via Stephenson (446mila metri quadrati, solo un quinto a verde) dove potrebbe sorgere una "Defense" milanese.
Ma non c’è solo il binomio Ligresti-Hines. La grande area Cascina Merlata, vicina all’Expo di Rho-Pero, è di Euromilano, società composta da cooperative bianche e rosse, più Intesa Sanpaolo, Unipol, Brunelli, Greenway. Poco lontano, Euromilano possiede il progetto Bovisa (846mila metri quadrati), altro quartiere residenziale-uffici che spera nel traino della sede bis del Politecnico. I maligni dicono che Euromilano, e il ruolo delle cooperative, sono un elemento che pesa nella trattativa politica tra giunta e opposizione di centrosinistra. Questi i bocconi ghiotti, ma la cartina cittadina è zeppa di aree dove si potrà costruire, o comunque guadagnare con il nuovo Pgt. E qui entra in gioco il concetto di "perequazione", che prevede lo scambio di diritti a costruire (come avviene per i certificati verdi): chi ha l’area si accorda con chi ha il diritto, sotto la regia del Comune. Meglio ancora, chi ha l’area trasferisce quei diritti a costruire dove più gli conviene. Quel che farà, probabilmente, Ligresti con le sue aree nel Parco Sud, e altre periferiche. Si creerà un mercato i diritti e aree, scambiati in una "Borsa" dai contorni ancora grigi, ma gli esperti scommettono che i grandi operatori faranno incetta dai piccoli di diritti e aree strumentali, per successivi arbitraggi tra cubature su aree di diverso pregio.
Un altro tema riguarda i prezzi, che in città non scendono mai abbastanza, e con le future maggiori volumetrie potrebbero adeguarsi al livello, scarso, della domanda. «Il Pgt è uno strumento innovativo pensato per stimolare il mercato e consentire prodotti immobiliari in linea con la domanda possibile», dice un costruttore. I compratori sono sempre più poveri, perché migranti, giovani o semplicemente colpiti dalla crisi. Per questo c’è chi dice che l’assessore Masseroli punterà molto sull’edilizia convenzionata, per i nuovi progetti. E una svolta "popolare" potrebbe preparare lo sbarco dei costruttori romani, come Caltagirone, Acqua Marcia e Lamaro, che già a vario titolo hanno avuto esperienze di affari in città.
«Il Pgt ha il merito di pensare a uno sviluppo più ampio della città, con una pianificazione urbanistica intelligente», dice Manfredi Catella, ad di Hines Italia, convinto che l’adozione di «una nuova cornice di regole certe e trasparenti» e lo scambio dei diritti a costruire «favorirà tutti gli operatori, non solo i più grandi».
Ieri Letizia Moratti non è scesa nell’aula del Consiglio comunale per raccontare e spiegare alla città la vicenda delle presunte molestie di uno dei suoi assessori. Appena qualche giorno fa, viceversa, si era precipitata, sorriso sulle labbra, per festeggiare l’accordo sul Piano del territorio con l’opposizione. L’intesa ha lasciato nello stupore tutto il popolo della sinistra che si aspettava quantomeno la barricata degli emendamenti, invece prontamente ridotti per consentire che i tempi non costringessero la maggioranza probabilmente a rinviare l’approvazione a dopo la nuova tornata elettorale ormai alle porte. Perché l’ha fatto? Siamo in molti a domandarcelo. Detto brutalmente: perché la sinistra ormai ha preso l’abitudine, su certi temi, e in particolare quelli di contenuto urbanistico, a calare le braghe.
Gli interessi edilizi sono trasversali ed è inutile che quando lo si dice qualche pezzo dell’opposizione gridi alla lesa maestà. Ricapitoliamo. Quali sono le "ragioni" dell’operazione Pgt per chi l’ha promossa? La rimozione della rigidità del vecchio strumento rispetto alla richiesta di cambiamenti di destinazione d’uso sotto la spinta di una società in continua mutazione; questa rigidità era un freno all’attività edilizia (a dire dei promotori pronta a esplodere se solo avesse potuto); la necessità di uno strumento che consentisse di riequilibrare alcuni comparti della città sottodotati di strutture di servizio e di verde; la necessità di dare un alloggio a chi non può permetterselo andando direttamente sul mercato.
Questo strumento aveva anche il pregio, dicevano, di autofinanziarsi con il meccanismo delle convenzioni, con la perequazione (lo scambio di volumetrie tra aree a destinazione diversa), ovviamente con il nuovo gettito degli oneri di urbanizzazione. Condizione essenziale era che lo scenario del mercato immobiliare restasse immutato. Da quando l’assessore al territorio Carlo Masseroli si è insediato è cambiato tutto nell’economia mondiale, nell’economia locale e nel mercato immobiliare. Ma l’idea primigenia è rimasta tale e quale e quindi se l’intento era la tanto conclamata flessibilità, primo motore immobile e apoteosi del liberismo ciellino, di un aspetto di questa flessibilità non si è tenuto conto: la flessibilità dello strumento ai cambiamenti economici e di conseguenza ai cambiamenti del mercato.
Nel nostro caso se la domanda solvibile di case non riprende vigorosamente (forse in anni a venire) avremo uno strumento urbanistico da buttare: dopo tante discussioni. Ma non sarà facile farlo, checché ne dica la sinistra, perché saranno scattati meccanismi di diritti acquisiti. Resta comunque un documento non emendabile per l’intreccio d’interessi che lo rendono di difficile decrittazione, tra finanziari (bancari) e politici (anche apparentemente assai lontani dallo specifico del Pgt) e un insieme di trappole tutte tese all’aumento della densità edilizia.
Quanto poi alla discussione in Consiglio e in particolare sul tunnel, possiamo archiviare l’argomento secondo le idee di ciascuno di noi o nell’armadio degli incubi o nell’armadio dei sogni: egualmente ben chiusi né per merito né per colpa ma per fortuna. Io mi domando solo se vale la pena di andare avanti, tra l’altro, ad affrontare il meccanismo della perequazione e del mercato delle volumetrie: lasciamolo solo oggetto di dotte discussioni per accademici, un circolo Pickwik per intendersi, quello descritto da Charles Dickens col titolo originale The Posthumous Papers of the Pickwick Club, dove il Posthumous Paper è il Pgt. Rassegnamoci, comunque vadano le cose: la battaglia per il mattone sostenibile con questa sinistra a Milano è persa tra ambiguità, ammiccamenti e poteri forti.
Quel che c’è di buono nel Piano del territorio
di Ivan Berni
Ci sono due modi di leggere l’intesa fra maggioranza e opposizione, a Palazzo Marino, sui tempi di approvazione del Pgt, il Piano di governo del territorio. Il primo è che, così facendo, l’opposizione regala al sindaco Moratti e alla sua scassata maggioranza un risultato che altrimenti non sarebbe mai stato raggiunto. Il secondo è che, pur nella netta distinzione dei ruoli, maggioranza e, soprattutto, opposizione stanno finalmente privilegiando l’interesse della città sull’interesse "particulare", di schieramento e di partito.
Per come sono andate le cose, stavolta si può propendere per la seconda ipotesi. Il lunghissimo e accidentato negoziato che ha visto protagonisti l’assessore Masseroli e i capigruppo dell’opposizione, qualche esito di rilievo l’ha messo sul piatto. Lo stralcio del tunnel sputatraffico da Linate a Rho, che ci si augura preluda al definitivo accantonamento; l’aumento al 35% della percentuale dell’housing sociale (ovvero case a prezzo calmierato, in una città dove non si fa edilizia popolare da più di un ventennio); l’incremento delle aree a verde; la previsione di un nuovo metrò leggero "circle line" sul confine urbano.
Un complesso di modifiche che ha portato, beneficamente, a ridurre l’ambizione annunciata del nuovo Pgt. Ora si parla di una città che punta ad avere un milione e 600mila abitanti, obiettivo ragionevole e persino sostenibile, contro la previsione temeraria di 2 milioni di residenti, dalla quale si era partiti un anno fa. Il capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino parla di «riduzione del danno», mutuando la definizione dalla nota strategia di gestione delle tossicodipendenze, ma forse si può riconoscere anche qualche miglioramento nell’impianto complessivo del provvedimento. Non che tutto sia finito in rosa. Resta il gigantesco nodo del Parco Sud, per il quale Masseroli si oppone alla riduzione dell’indice edificatorio da 0,20 a 0,10. E resta il mistero della "perequazione", nebbioso meccanismo attraverso il quale si teme, con qualche buona ragione, una crescita smisurata delle cubature nelle aree di pregio e più promettenti dal punto di vista immobiliare.
Il Pd ritirerà gli emendamenti ostruzionistici, lasciando in votazione quelli che, parola di Masseroli, anche il centrodestra è pronto a votare. Questo dovrebbe consentire l’approvazione del Piano urbanistico entro il 28 giugno, data oltre la quale è praticamente impossibile che il provvedimento venga davvero adottato prima della scadenza della legislatura, nella primavera del 2011. L’intesa, tuttavia, non comporta un voto positivo sul Piano – che infatti riceverà il no in aula da tutte le opposizioni – e nemmeno il salvagente della garanzia del numero legale. Insomma, sarà la maggioranza con le sue sole forze a dover approvare il Piano di governo del territorio, com’è naturale in democrazia. Sempre che le sue non compattissime fila resistano alle sirene delle partite del Mondiale di calcio e alla tentazione di qualche resa dei conti interna.
Se il quadro, nelle prossime settimane, non muterà, va colto un segnale importante: un Consiglio apertamente snobbato dal sindaco e che, più volte, ha dato prova di scarso impegno civico verso la città, si riscatta mettendo mano alla più importante riforma urbanistica degli ultimi vent’anni. Non è un regalo dell’opposizione a Letizia Moratti e al centrodestra. È una scelta per la città, che l’opposizione ha interpretato pensando anche alla scadenza del 2011 e all’eventualità che la maggioranza cambi di segno. E che l’inquilino principale di Palazzo Marino non sia più Letizia Moratti. Perché fra l’attuale insufficienza di regole e un Pgt pessimo, frutto della sola maggioranza e dettato dagli interessi del mattone, forse valeva la pena di spendersi. Purché se ne renda sempre conto ai cittadini. Con trasparenza, rigore e senza consociativismi.
"Troppi rischi per il Parco Sud salvate l’agricoltura dal disastro"
intervista a Carlo Petrini, di Stefano Rossi
Parco Sud, ultima chiamata. O il parco agricolo si aggancia al treno dell’Expo per un indifferibile rilancio o muore. E a quel punto sarà irrilevante se il Comune acquisirà o no le aree protette. Finiranno per essere edificate comunque e un altro presidio ambientale verrà distrutto. È preoccupato e deluso Carlo Petrini, fondatore di Slow food, di fronte all’intreccio fra Pgt, Expo 2015 e Parco Sud, pur premettendo di non conoscere nel dettaglio i meccanismi del Piano di governo del territorio.
Petrini, cominciamo col dire che il Parco Sud sarà un serbatoio di volumetrie, sia pure da costruire in città.
«Se il parco serve per giustificare altro cemento è una iattura e io sarei fortemente contrario. Il Parco Sud è un patrimonio che Milano deve valorizzare ma mancano idee chiare e managerialità. L’agricoltura italiana è al collasso, i comparti sono tutti in passivo. Latte, grano, riso, carne non rendono niente. La situazione è drammatica, il disastro incombente di proporzioni bibliche. Anche l’agricoltura nel Parco Sud è obsoleta, marginale, da reinventare con un forte legame con la città».
Come?
«Accorciamo la filiera con le vendite ai consumatori, senza una intermediazione che si mangia tutto il profitto. A Milano ci vorrebbero dieci mercati diretti, come quello di largo Marinai d’Italia, una volta al mese, con una burocrazia pazzesca. Incoraggiamo i giovani a fare i contadini con contratti agrari a lungo termine, mentre gli attuali proprietari fanno contratti capestro di un anno. Eppure spesso si tratta di proprietà pubblica, come gli ospedali. È vergognoso, perché l’agricoltura ha bisogno di tempi lunghi. Serve però una progettualità politica, economica e sociale, mentre - ahimè - vedo un’attenzione molto maggiore all’edificabilità. Se però il sistema agricolo non torna produttivo, Milano si mangerà anche la biosfera del Parco Sud, contro le norme europee sul contenimento della CO2».
Che cosa potrebbe fare il Parco Sud contro l’inquinamento?
«Avrebbe un enorme valore se ci fosse un’agricoltura sostenibile. Certo non penso agli allevamenti intensivi, seconda causa di produzione di CO2 dopo il riscaldamento e prima dei trasporti».
Ma ora cosa si coltiva nel Parco Sud?
«Dal censimento avviato da Slow food emerge che si producono riso e cereali, c’è un po’ di allevamento. Dal punto di vista storico quel sistema agricolo è fra i più prestigiosi d’Europa. Il riso è buono ma è venduto grezzo, non c’è un impianto di pilatura per la raffinazione. Così si guadagna troppo poco, occorre ridare dignità a questo settore e a chi ci lavora».
Anche con l’agriturismo, avendo la città a due passi?
«Forme integrative di reddito per i contadini mi stanno bene ma è l’attività primaria a dover essere redditizia. Altrimenti piste ciclabili nei campi, agriturismo fasulli dove si mangia pesce alla faccia della filiera corta, visite alle fattorie didattiche non servono a nulla».
Se il Comune acquisirà le aree con la perequazione volumetrica potrà far rivivere il Parco Sud?
«Il Comune deve incentivare i produttori con affitti adeguati, creare i mercati diretti, sostenere i Gruppi d’acquisto solidali e i sottoscrittori dei prestiti individuali. Investire in agricoltura può far rendere il capitale e ti fa risparmiare sugli acquisti».
L’Expo è un’occasione irripetibile.
«Sicuro. Però il tempo passa, non parlo con il sindaco Moratti da otto mesi. Si pensa alle infrastrutture, a cosa fare dell’area Expo e di quelle circostanti dopo l’Esposizione ma se non si punta su contenuti progettuali, sulla cultura del cibo, non si vede perché uno dovrebbe venire a Milano. Sono anime pie ad aspettarsi 20 milioni di visitatori andando avanti così».
La Repubblica ed. Milano
Accordo sulla rivoluzione urbanistica ma resta fuori il nodo del Parco Sud
di Stefano Rossi
Dopo cinque mesi e mezzo di ostruzionismo, sul Piano di governo del territorio maggioranza e opposizione raggiungono un accordo. Mediazione faticosa e incompleta, che esclude il Parco Sud, sul quale ci si confronterà in aula. Soddisfatta il sindaco Letizia Moratti, con tutto il centrodestra. Polemica, malgrado l’intesa, l’opposizione, che annuncia voto finale contrario. Ma le nuove regole lasciano perplessi gli urbanisti: «Milano potrà sostenere altri cento milioni di metri cubi di costruzioni?» si chiede Federico Oliva del Politecnico.
Pgt, ora si può. L’accordo politico cercato invano fin dallo scorso 15 dicembre, quando il primo consiglio comunale sulle nuove regole urbanistiche fu vanificato dalla mancanza del numero legale, è stato raggiunto ieri. Non totale, perché resta fuori il Parco Sud, ma ampio. Non definitivo, perché l’opposizione voterà comunque contro il provvedimento, ma l’ostruzionismo, (va ricordato, anche interno al Pdl), è finito: in cinque mesi erano stati smaltiti appena 244 dei 1.395 emendamenti originari. Ora i 1.151 rimasti si ridurranno a un centinaio: una cinquantina sul Parco Sud, una ventina della maggioranza di carattere tecnico e infine i diciannove che recepiscono i risultati delle trattative.
Così il Piano di governo del territorio sarà adottato, si calcola, il 28 giugno. A luglio i tecnici lo riscriveranno in base alle modifiche. Pausa concordata ad agosto, i trenta giorni per le osservazioni di associazioni e cittadini scatteranno a settembre. Da ottobre, la corsa per l’approvazione in seconda lettura in tempo per la campagna elettorale della rielezione del sindaco, che ieri è scesa in aula a festeggiare «un lavoro molto costruttivo, grazie al quale Milano potrà beneficiare di uno sviluppo più armonioso, nell’interesse pubblico. Sarà una città più verde, con più edilizia sociale, più infrastrutture e servizi sociali più vicini alle abitazioni. La maggioranza ha dimostrato di saper governare e questo spesso significa essere capaci di ascolto e di mediazione». La Moratti ha rinunciato al viaggio a Shanghai a metà giugno per seguire le sedute di Consiglio.
Attenzione, l’avverte però in aula il capogruppo del Pd, Pierfrancesco Majorino: «Non è finita. Non solo voteremo contro, pensiamo anche che il centrodestra non ce la farà per il 2011. Abbiamo ridotto il danno del Pgt e in alcuni casi lo abbiamo migliorato». Poi una battuta ad uso del suo partito: «Ai colleghi che frequentano altri palazzi dico che il confronto duro dall’opposizione paga, le cose non vanno chieste alla maggioranza per favore e con timidezza».
Il centrosinistra giudica di aver portato a casa parecchio. Il tunnel dalla Fiera da Rho a Linate caro al centrodestra è quasi fuori gioco, venendo subordinato al giudizio di fattibilità del Piano urbano della mobilità. Inoltre non potrà avere contributi pubblici. Sugli Ambiti urbani di trasformazione (Atu), i grandi progetti urbanistici, si costruiranno 3 milioni di metri cubi in meno sui 7-8 previsti.
Negli stessi Atu il verde aumenta di un milione di metri quadrati, mentre la quota di housing sociale è portata al 35% e resa obbligatoria (tranne allo scalo Farini: 20 per cento). È più stringente per le Ferrovie l’obbligo di investire in infrastrutture i ricavi della dismissione dei loro scali: «In particolare sulla metropolitana leggera Circle Line», dice il verde Enrico Fedrighini. Per l’area Expo è sancita una sostenibilità ambientale anche dopo il 2015.
«Resta fuori il Parco Sud», sottolinea Milly Moratti (Milano civica). Il centrodestra ha rifiutato di ridurre a 0,10 (da 0,20 del Pgt) l’indice edificatorio, ma porterà in aula la mediazione dello 0,15 offerta al tavolo. Nessun chiarimento sulla perequazione: «Ma il regolamento verrà redatto dal consiglio e il meccanismo sarà vigilato da una Authority pubblica», spiega il capogruppo Pdl, Giulio Gallera.
«Accordo all’insegna del pragmatismo - sostiene l’assessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli - anche l’opposizione ha lavorato per il bene della città. Non avere regole è peggio che averle, sebbene non del tutto condivise». Il leghista Matteo Salvini, soddisfatto per l’esito generale della trattativa, vuole «l’obbligo di una buona classe energetica, la "B", per le nuove costruzioni. C’è il consenso di Assimpredil». Il clima è favorevole, ieri è stato approvato un emendamento bipartisan per fissare nel regolamento edilizio un livello minimo elevato di ecosostenibilità.
Scompare la tradizionale destinazione d’uso: residenziale, industriale, commerciale, terziaria. Ogni area è libera. A evitare che si metta una discoteca (una fabbrica no, le industrie insalubri vengono espulse dalla città) vicino a un ospedale dovrà pensare una forte regia pubblica, costante di tutto il Piano. O i Piani attuativi per singole aree, quando previsti.
[Gli spazi pubblici ]
Milano è grande 180 milioni di metri quadrati. Un terzo viene destinato a spazi pubblici, compresi però quelli esistenti. Nella categoria rientrano strade e piazze, giardini e parchi ma anche negozi e laboratori artigiani. Supermercati, ospedali, impianti sportivi ne fanno parte quando non sono considerati sovralocali per le loro dimensioni (come lo stadio Meazza). Gli spazi pubblici, meno appetibili economicamente, non sono conteggiati nella volumetria. L’idea è che il costruttore li inserirà più volentieri in progetto, perché non gli toglieranno cubatura e daranno pregio agli edifici. È il metodo adottato a Londra, Barcellona, Lione.
[Indice volumetrico ]
L’indice generale per qualune area cittadina è di 0,50 metri quadrati per metro quadrato di superficie. Questa è la soglia minima, un tetto massimo non c’è ma il Pgt non ha per ora previsto zone dove salire sopra i 2, come in via Stephenson. L’attribuzione dell’indice non significa che ogni area sia edificabile, apre semplicemente la via alla perequazione.
[Perequazione ]
Una delle maggiori novità del Pgt. Perequare significa scambiare l’indice assegnato a un’area non edificabile con denaro o con la possibilità di costruire di più in un’altra proprietà. Come contropartita, il Comune acquisisce l’area il cui indice è stato perequato. L’unico modo, si sostiene, di rendere pubblico e fruibile il Parco Sud. La giunta non ha reso noti i criteri di funzionamento della Borsa o Banca dei diritti volumetrici, ancora non istituita. Il centrosinistra ha ottenuto che sia messa sotto il controllo di una Authority pubblica.
[Densificazione ]
Un altro dei punti qualificanti del Piano. Densificare vuol dire che si costruirà lungo gli assi più infrastrutturati da strade di grande calibro, ferrovie, metropolitane. La densità è consentita se comprende una quota proporzionale di servizi.
[rottamazione ]
È speculare alla densificazione. Il Pgt prevede la distruzione parziale e graduale di diversi quartieri periferici ormai deboli per età e qualità del costruito. Andranno riedificati con criteri nuovi, fra i quali il risparmio energetico.
[Risparmio energetico ]
Il Pgt ne parla molto e molto ci sarebbe da fare. Solo lo 0,5% delle case milanesi si guadagna la categoria A, quella con consumo fra 1,5 e 3 litri di gasolio per metro quadrato all’anno. La media milanese è di 20. Centrosinistra e Lega vorrebbero obblighi più stringenti nel Piano[. Su questi temi sarebbe favorevole anche Assimpredil.
[Ambiti di trasformazione]
Gli Atu sono grandi aree con uno o pochi proprietari. Tipicamente, gli scali ferroviari in via di dismissione come Farini, Porta Genova, Greco, Lambrate (1.280.000 metri quadrati) il demanio militare (1.400.000 metri quadrati a Baggio). Il valore complessivo supera i 6 miliardi. Saranno oggetto di funzioni complesse, vedi l’ipotesi di stadio a Baggio, ma certamente ospiteranno anche molte abitazioni, uffici, spazi commerciali. Il Comune impone che almeno il 50% sia destinato a verde (l’opposizione per Farini ha strappato il 65%, housing ridotto al 20), dunque vedremo molti grattacieli. Ma per i progetti dettagliati è presto.
[Housing sociale ]
In tutti gli Atu e nelle altre aree di densificazione era contemplata una quota di housing sociale che il centrosinistra è riuscito a rendere obbligatoria (30mila case in tutto). Appartiene al Pgt l’idea che l’housing sociale sia diffuso e non concentrato in quartieri-ghetto.
[Forma e dimensioni]
Da città radiocentrica, Milano si deve trasformare in una rete di 88 quartieri, ciascuno con piazza, scuola, parco, parcheggio, negozi, pista ciclabile, metrò, impianto sportivo e così via. In alcuni casi (Greco, Bovisa, Porta Romana, Ortles, Lambrate) il Pgt vuole reinventare una identità compromessa dalla delocalizzazione delle industrie. Il modello della città reticolare è Londra, per il rapporto fra la compattezza delle aree costruite e la miglior qualità degli spazi aperti ci si è ispirati a Madrid e Barcellona. Si vuole aumentare la popolazione, anche se da 2 milioni di abitanti si è scesi a 1,6. E poiché non si vuole consumare altro suolo, Milano si svilupperà in altezza.
la Repubblica ed. Milano
"Troppe nuove costruzioni senza verde e servizi così la città andrà in crisi"
intervista a Federico Oliva, di Teresa Monestiroli
Federico Oliva, presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica e professore del Politecnico, che cosa ne pensa del Piano di governo del territorio?
«Qualche riserva ce l’ho, anche se il fatto che Milano si dia delle nuove regole dopo trent’anni è positivo. Gli ultimi interventi, seppur importanti, sono stati del tutto casuali, senza alcuna strategia».
Che cosa non la convince?
«Prima di tutto il fatto che a parole il Pgt aspira a una dimensione metropolitana, ma di fatto non è così. Tutte le aree di trasformazione sono all’interno dei confini di Milano, le stesse linee metropolitane si fermano dove finisce la città. Il Piano non ha il respiro metropolitano che dovrebbe».
Un domani arriveranno i piani di cintura urbana della Provincia che si occuperanno dell’hinterland.
«Milano è una città piccola come territorio e quasi interamente costruita. Concentrare tutte le volumetrie della perequazione all’interno della città rischia di non essere sostenibile».
Il rischio è un’eccessiva densificazione?
«Sì. Nel Pgt si parla di 36 milioni di metri cubi in più (pari a 12 milioni di metri quadrati di superficie da edificare) solo nelle aree di trasformazione. A questi ne vanno aggiunti almeno il doppio, 72 milioni, come possibilità di intervento nelle aree già edificate. Su questo secondo punto il piano è molto generoso».
Il totale supera i 100 milioni di metri cubi.
«Appunto. Non mi spavento di fronte a questi numeri, quello che mi preoccupa è se la città è in grado di sostenerli. Una città che già soffre di eccessiva densità in alcune zone, di mancanza di verde, spazi pubblici, servizi e infrastrutture».
Masseroli ha sempre difeso il suo Piano sostenendo la necessità di avere uno strumento più flessibile e meno rigido del vecchio piano regolatore. L’assenza di regole non è pericolosa?
«Il passaggio a un piano più flessibile è importante ed era necessario. Il problema è che questo nuovo impianto comporta una capacità gestionale che non vedo nell’amministrazione pubblica. Quando indebolisci il sistema delle regole devi avere una forte capacità di gestione per bilanciare».
Uno dei punti cruciali della trattativa è stato il tunnel Rho-Linate. Lei è favorevole o contrario?
«Contrario. Il progetto del tunnel sostiene ancora una volta le automobili come strumento di mobilità privilegiato. L’uso dell’auto va ridotto e basta. Invece Palazzo Marino fa ricorso a una serie di palliativi, come Ecopass, che non risolvono il problema dell’inquinamento. Il tunnel è solo un ulteriore incentivo a muoversi in macchina per la città, anche se poi le auto finiranno sotto terra. Cosa succederà vicino alle rampe?».
C’è stato un acceso dibattito anche sulle volumetrie nel Parco Sud.
«Non sono contrario di principio alla compensazione di volumetrie per acquisizione di aree da parte del Comune, il problema è che la perequazione genera grande edificabilità che sarà localizzata in città».
Che problemi potrebbero esserci?
«Aumentare la densità di abitanti, o di terziario, genera problemi di mobilità, per esempio. Ma anche carenza di servizi. Masseroli continua a insistere che tutte le nuove trasformazioni urbanistiche avverranno su ferro, servite quindi da una mobilità di massa ed ecologica. Mi auguro che questo principio venga rispettato perché sappiamo bene che gli ultimi grandi interventi hanno fatto affidamento solo sull’auto, dalla Bicocca a Citylife».
Il Pgt porterà in città l’housing sociale.
«Bene, purché per housing sociale si intenda edilizia in affitto a canone sociale e non vendita a prezzi calmierati perché è di questo che Milano ha bisogno
Il Corriere della Sera ed. Milano
Urbanistica, accordo Pdl-Pd
di Maurizio Giannattasio
Addio al vecchio piano regolatore. Dopo sei mesi di battaglie a colpi di emendamenti in aula, maggioranza e opposizione sono riusciti a trovare l’accordo: il piano del governo del territorio verrà adottato entro il 28 giugno. In tempo utile per arrivare all’approvazione definitiva entro gennaio 2011 prima della scadenza del mandato Moratti. Resta fuori dall’accordo il Parco Sud: gli emendamenti dell’opposizione non verranno ritirati.
Nove sedute per dare il via alla rivoluzione urbanistica e ritirare gran parte dei 1.350 emendamenti che hanno bloccato a lungo il Pgt. Alla fine ne dovrebbero rimanere un centinaio. Le trattative condotte in grande solitudine dall’assessore Carlo Masseroli sono state faticose. Alla fine, la «mediazione», a detta di maggioranza e opposizione è stata al rialzo, anche se rimangono le differenze e i distinguo.
Partiamo dal vero ostacolo: il tunnel Expo-Linate. È tutto rimandato al Piano urbano della mobilità che stabilirà la necessità o meno dell’opera infrastrutturale. Con un codicillo: se il Pum dovesse approvare il tunnel, non potranno essere comunque utilizzati soldi pubblici per la sua realizzazione.
Altro capitolo l’housing sociale. La mediazione ha portato a un innalzamento della quota di edilizia sociale negli scali ferroviari e negli ambiti di trasformazione urbana: non potrà essere inferiore al 35 per cento. Significano circa 30 mila alloggi a canone moderato. Tranne che nello Scalo Farini dove la quota si fermerà al 20 per cento in quanto il resto sarà destinato a verde. Anche qui c’è un vincolo: le plusvalenze derivanti dal cambio di destinazione verranno investiti nel trasporto pubblico, in particolare nella Circle Line meneghina come chiesto dal verde Enrico Fedrighini. Altro risultato: sono stati ridotti i metri cubi di volumetrie nelle aree di trasformazione urbana: 3 milioni di metri cubi di cemento in meno. In compenso, si è alzata la percentuale di verde con un milione di metri quadrati in più.
Niente accordo invece sul Parco Sud. Gli indici di scambi volumetrici restano fermi allo 0,15 per cento. Pari a circa 4.800.000 metri quadrati da costruire nel resto della città, 1 milione e 600 mila metri quadrati in meno rispetto a prima. Il centrosinistra non ci sta. E gli emendamenti sul Parco Sud non verranno ritirati.
«È un momento molto importante per la città— attacca il sindaco Letizia Moratti —. C’è stato un lavoro molto importante del consiglio comunale e la maggioranza ha dimostrato una grande capacità di ascolto e di mediazione con l'opposizione e l’opposizione ha lavorato nell’interesse della città».
«Il Pgt resta pericolosamente ambiguo sul meccanismo della perequazione — replica il capogruppo del Pd, Pierfrancesco Majorino che nonostante l’accordo ha annunciato il voto contrario del Pd — ed è solo grazie al nostro atteggiamento così duro se siamo riusciti a ridurre 3 milioni di metri cubi di cemento, ad aumentare 1milione di metri quadrati di verde e a portare il tunnel stradale Linate-Expo su un binario morto». E avverte la maggioranza: «Bene l’accordo, ma il centrodestra dovrà garantire sempre il numero legale».
Bossi sindaco di Milano. Improbabile. Ma la boutade del senatur è il segno di una grossa difficoltà. Letizia Moratti non è amata, non solo dai leghisti ma anche dalle anime della sua maggioranza. Mal tollerata dall'area «laica» e non particolarmente apprezzata neppure dai ciellini che le preferiscono Formigoni. L'elezione del sindaco di Milano del prossimo anno è l'unico test elettorale prima della scadenza delle legislatura. E se non fosse per le debolezze dell'opposizione, mai come ora la battaglia sarebbe apertissima.
Il futuro di Letizia
Su cosa si gioca la partita? Non solo su alchimie politiciste, ma piuttosto su questioni molto concrete: soldi e cemento. Il prossimo sindaco sarà chiamato a gestire Expo 2015, il fiore all'occhiello fortemente voluto da donna Letizia. I problemi non mancano, con Formigoni pronto a mettere i capitali per comprare le aree di Expo e rubare la scena al sindaco. C'è però un'altra questione, meno patinata, forse, ma ancora più sostanziale. Ieri il consiglio comunale è tornato a discutere del Piano di governo del territorio (Pgt). Si tratta del primo piano regolatore dal 1954 (poi rivisto nel 1980) che è destinato a cambiare la faccia di Milano. Gli interessi in gioco sono enormi. Gli immobiliaristi largamente foraggiati dalle banche hanno già trasformato la città in un cantiere e spingono perché il piano venga approvato in fretta. Invece la discussione ha segnato il passo. Molte sedute del consiglio sono fallite perché la stessa maggioranza, che ha presentato 200 emendamenti, ha mancato il numero legale. E adesso i tempi sono strettissimi: otto mesi in tutto. Da qui le continue manovre per strappare un accordo con l'opposizione. Se il Pgt passerà, Letizia Moratti sarà chiamata a garantire che i progetti previsti vengano realizzati nel prossimo mandato. Se invece non passerà, saranno ben pochi quelli che la vorranno rivedere ancora a Palazzo Marino.
Lavori in corso
Milano è un cantiere a cielo aperto. Basta passare accanto alla stazione Garibaldi per vedere crescere palazzi come funghi. Qui in meno di due anni è sorto il grattacielo delle nuova Regione, il Pirellone 2, voluto da Formigoni. Lo stesso sta avvenendo alla ex Fiera dove tutto è pronto per la costruzione dei «tre grattacieli storti» di Citylife. Sono solo due dei tanti progetti faraonici già in programma. Tutto è nato sotto la giunta Albertini che approvò grandi piani edilizi a macchia di leopardo senza alcuna visione d'insieme e grazie a continue varianti del vecchio piano regolatore. L'Expo ha offerto alla Moratti l'occasione per dare un marchio forte allo sviluppo di Milano. E il Pgt, dopo decenni di far west, promette di dare delle regole generali al di là del grande evento del 2015. O almeno dovrebbe. In realtà si tratta di una vera e propria deregulation che spiana la strada ai privati. «Sanno meglio del pubblico cosa costruire - ha spiegato candidamente l'assessore allo sviluppo del territorio, Carlo Masseroli - basta destinzioni d'uso e vincoli, basta lungaggini amministrative. Basta con un sistema vincolistico che fa tanto Unione Sovietica».
I tre pilastri
Il Pgt prende via dalla legge regionale 12 del 2005 che dà mandato ai comuni di pianificare lo sviluppo urbano. Si basa su tre pilastri: densificazione, perequazione e sussidiarietà. Oggi i milanesi sono circa 1 milione e 300 mila. Masseroli punta ad un aumento di 700 mila abitanti. E' per questi nuovi cittadini che bisognerebbe costruire ovunque. Densificare: se non c'è posto sul terreno, puntare al cielo. L'indice di edificabilità non sarà più dello 0,65% in tutta la città ma cambierà a seconda delle circostanze. Eppure questa ipotesi demografica è piuttosto irrealistica. Negli ultimi 30 anni Milano ha perso mezzo milione di abitanti (-30%) per un fisiologico calo demografico e perché molti sono stati spinti ad uscire dalla città per il costo troppo alto proprio delle case. Previsioni più accorte parlano al massimo di 50 mila milanesi in più nei prossimi venti anni soprattutto grazie all'afflusso di stranieri e al loro maggiore tasso di natalità. D'altronde Milano è già la quarta città per densità abitativa in Europa (7084 abitanti per chilometro quadrato), dopo Parigi, Barcellona e Atene. Con 700 mila new entry andrebbe a 11.427 abitanti per chilometro quadrato. Una cifra enorme.
L'altra parola d'ordine è perequazione. Si tratta di una sorta di borsa dei diritti volumetrici i quali potranno essere contrattati e scambiati tra privati e con l'amministrazione pubblica. Un vero e proprio escamotage per poter costruire grattacieli in terreni piccoli. Là dove la superficie del terreno non permetterebbe di costruire palazzi di enorme volume, basterà andare a comprare o scambiare le volumetrie di altri terreni, prendendole anche là dove non ci sono. A Milano c'è un grande bacino verde e agricolo: il Parco Sud. Per Il Comune e per gli immobiliaristi diventerà una specie di banca delle volumetrie che permetterà di costruire in centro e di sconvolgere il polmone verde della città. Secondo Legambiente, negli ultimi 15 anni 30 progetti hanno trasformato 12 milioni di metri quadri di territorio: in 40 anni Milano ha consumato il 37% delle aree agricole. Il ratto delle volutmerie del Parco Sud non farà che peggiorare le cose. E chi fornirà i servizi per tutte queste nuove case e questi nuovi abitanti? I privati! E' il principio della sussidiarietà secondo cui il pubblico interviene solo là dove il privato non arriva, o non ha interesse a farlo. Quanto ai monumenti, Masseroli ancora una volta è chiaro: «Il rapporto con la sovrintendenza va oliato, per me tutto ciò che ha oltre 50 anni più che tutelato va buttato giù».
Patto col diavolo
Il Pgt finora ha incassato solo il parere negativo dell'ordine degli architetti e degli urbanisti. Gli emendamenti in tutto sono 1.395, 200 della stessa maggioranza, 200 circa del Pd e 650 dei consiglieri di opposizione Milly Moratti, Giuseppe Landonio e Patrizia Quartieri che hanno redatto un vero e proprio piano alternativo, frutto di molto studio e di una vasta partecipazione della cittadinanza (info www.chiamamilano.it). La maggioranza per chiudere in tempo cerca un accordo con il Pd. La settimana scorsa si è continuato a trattare anche fuori dall'aula. La giunta potrebbe rinunciare, almeno per il momento, al faraonico piano del tunnel che dovrebbe collegare Rho a Linate, un'arteria che sconvolgerebbe la città. E ha già concesso una quota di housing sociale: 35% di costruzioni, di cui il 5% per le case popolari (a Milano ci sono 20.710 richieste di case popolari in attesa). Un analogo scambio verrebbe fatto per gli spazi verdi cui verrebbe dedicata una quota minoritaria in cambio del permesso di costruzione dei grattacieli. E' ciò che, ad esempio, accade all'ex scalo Farini (le arie dismesse delle ferrovie sono una delle miniere di terreno più grandi e desiderate dai costruttori). Ma il punto fondamentale riguarda il Parco Sud sul quale il Pd non ha mai avuto una posizione netta: basti pensare alla politica dell'ex presidente della provincia Filippo Penati.
C'è poi un ricatto ben più forte. Pgt vuol dire soldi e lavoro per un grosso indotto, anche per cooperative di «sinistra» che si dividono la torta con la Compagnia delle opere. Se non si investe sul mattone, si dice, visto che l'industria non c'è più, su che altro si può investire per far girare l'economia? La risposta non è semplice, e il rischio economico è alto. Quello politico invece è evidente. Se il Pgt passerà, magari grazie ad un accordo con il Pd, la Moratti avrà ancora un possibile futuro. Altrimenti per lei sarà molto dura.
«Parco Sud, volumi finti creati per fare finanza»
(intervista alla consigliera di opposizione Milly Moratti)
Da mesi, al Negozio Civico Chiamamilano, i consiglieri d'opposizione Patrizia Quartieri, Giuseppe Landonio e Milly Moratti discutono del Pgt con i cittadini mentre continuano la loro battaglia in consiglio comunale per un altro piano di Milano. Ne parliamo con Milly Moratti.
Cosa non va in questo Pgt?
Fare un piano di governo del territorio è giusto. Fino ad ora si viveva su continue varianti al vecchio piano. Varianti che a volte erano legate alle esigenze della città che cambia, ma che spesso erano scorciatoie per aggirare le regole. Questa fu la procedura anche ai tempi di tangentopoli. Il problema è che il Pgt non è un piano regolatore: sancisce una vera e propria deregulation che non tiene conto delle esigenze di vivibilità, della funzionalità, dell'ambiente e della bellezza della città. Si tratta piuttosto di un piano che risponde squisitamente ad esigenze di mercato. L'assessore Masseroli non a caso è un manager che si vanta di non intendersi di urbanistica.
Ma regge almeno sul piano del mercato? Smuove l'economia?
Non regge. Si basa sul presupposto teorico di un forte aumento demografico che oltre a non essere sostenibile non è credibile. Il rischio è che ci sia un eccesso di offerta di abitazioni, oltretutto per una fascia di reddito alta, sproporzionata alla domanda che resterà bassa, sia in termini quantitativi che qualitativi. I nuovi milanesi per lo più saranno stranieri e non potranno comprarsi nuove case da 7 mila euro al metro quadro.
Ma allora che interesse possono avere Comune e immobiliaristi per un affare così rischioso?
Non è un'operazione urbanistica e architettonica. Gli ordini degli architetti e degli urbanisti hanno bocciato il piano. E non è nemmeno una buona operazione economica ma piuttosto finanziaria. Si creano volumetrie fittizie inventando indici di edificabilità sul Parco Sud, si scambiano queste volumetrie come azioni in borsa, e le aziende le possono depositare in banca per fare bilancio. E' una concezione di tipo speculativo lontano dall'economia reale. Un modello vecchio, distante del prodotto, cioè la casa, la città e chi la abita. Scompare la destinazione d'uso: significa che si costruisce non si sa cosa, per chi e perché.
Gli immobiliaristi sostengono che in tempi di stagnazione del mercato è il momento di costruire e comprare a prezzi bassi, perché prima o poi risaliranno.
Un bell'azzardo. Queste sono le stesse pratiche neoliberiste e di deregulation che hanno generato la crisi mondiale. Non dico che le istituzioni debbano rinunciare a fare da volano all'economia, ma puntare su questo tipo di economia è datato oltre che sbagliato. Non si crea mercato e affari per tutti: si fanno gli interessi di una ristretta cerchia immobiliaristi, che a Milano sono sempre gli stessi.
L'Italia è sconvolta da fenomeni di corruzione legati proprio alla casa. Milano è immune?
La logica dell'emergenza ha prodotto i disastri che ora sono sotto gli occhi di tutti. Il ragionamento che si fa a Milano è il seguente: togliamo lacci e lacciuoli al mercato, i tempi saranno più veloci e dunque non ci sarà più bisogno di corruzione per aggirare regole e procedure. Di fatto si stanno legittimando le stesse pratiche dei tempi di tangentopoli (vedi la questione delle volumetrie, ieri come oggi). E gli attori non sono cambiati.
Quanto si gioca sul Pgt il futuro del sindaco Letizia Moratti?
Credo sia il punto di caduta. Mentre Expo, con tutti i ridimensionamenti, rimane una vittoria del sindaco, il Pgt non è popolare. Credo che in campagna elettorale su questo si possa giocare una battaglia decisiva.
E allora perché il Pd sembra pronto all'accordo sul Pgt?
I grandi partiti, tutti, continuano ad avere una visione ancorata al vecchio modello economico chiuso che non tiene conto dei problemi ambientali e sociali. Un modello aperto allacciato al prodotto più che alla finanza è ancora lontano dalla politica. Vogliamo una città a misura d'uomo, non di investimento. Sul meccanismo che regge il Pgt, cioè l'invenzione di volumi virtuali sul Parco Sud, non siamo disposti a cedere e ne faremo oggetto d'informazione fino alle prossime elezioni.
Il pericoloso gioco del mattone di immobiliaristi e banchieri
Il Piano generale del territorio (Pgt) pone grossi problemi per la tenuta sociale e ambientale della città. Ma almeno dal punto di vista economico, si dice, tutto ciò porterà sviluppo e lavoro. E' davvero così o il Pgt farà solo gli interessi dei grandi immobiliaristi? E se anche per loro non si rivelasse un affare?
Il condizionamento dei prìncipi del mattone è forte. Non a caso la discussione sul Pgt fu anticipata da una richiesta di commissariamento del comune di Milano da parte del re della casa, Salvatore Ligresti. Il cantiere Milano vale non meno di 8 miliardi, per l'85% anticipati dal gotha finanziario e bancario (Intesa San Paolo, Unicredit, Mediobanca). Un investimento ad alto rischio visto che molte imprese immobiliari sono in sofferenza.
Un anno fa è fallito Zunino, che aveva grandi progetti in corso nel quartiere Santa Giulia e sull'area dell'Ex Falck a Sesto San Giovanni. La vendita dei nuovi alloggi di lusso nei grattacieli di Citylife, sull'area dell'ex Fiera, non decolla, mentre volano i costi di costruzione: Citylife ha avuto bisogno di ricapitalizzare, ora prevede di fare grattacieli meno storti e ha chiesto di poter costruire più case che uffici. Il punto è che il mercato immobiliare vive per la prima volta da molti anni una fase di stagnazione, che si è aggravata sull'onda della crisi dei subprime americani. Benché il sistema italiano goda di meno volubilità, (l'80% degli italiani possiede una casa) investire sul mattone espone a rischi maggiori. In Italia da tre anni le vendite sono in calo (non accadeva del 1985: nel 2007 -4,7%, nel 2008 -14,8%, nel 2009, -11%). Per il residenziale il mercato dal 2005-2006 si è ridotto di un terzo, il fatturato si è fermato a 90 miliardi di euro (-10%), registrando un crollo per le abitazioni sotto i 200 mila euro e sulle nuove abitazioni dove si è accumulato molto invenduto.
La domanda per le vendite diminuisce per la crisi e per le difficoltà di accedere a un mutuo, e dunque si alza la domanda e il costo degli affitti. I prezzi hanno raggiunto l'apice nel 2006, dal 2007 hanno cominciato a calare, ma a Milano calano molto poco (-0,2% dice la Camera di commercio). Per tutto il settore il Sole24ore prevede ancora calo o stagnazione fino al 2012. A Milano si parla di una diminuzione del 3,5. In questa situazione il rischio è che le nuove abitazioni rimangano invendute e che un'eccessiva offerta non venga riassorbita da un domanda che soffre la crisi. La scommessa di banche e immobiliaristi, invece, si basa sull'assunto che proprio grazie alla crisi i prezzi sono bassi, non solo per le case ma anche per i materiali di costruzione e i terreni, e che dunque sia questo il momento di comprare e costruire nella convinzione che presto i prezzi ricominceranno a salire. Un azzardo. E intanto l'acquisto di volumetrie, terreni e concessioni edilizie serve a tenere a galla i bilanci aziendali. Si investe sulle case come su azioni in un gioco che ha poco a che fare con l'urbanistica e molto con le speculazioni finanziarie. Data la fase di stallo, è essenziale il supporto finanziario. Un sostegno che si basa molto sui rapporti politici e economici tra banchieri e immobiliaristi che spesso siedono allo stesso tavolo negli stessi consigli di amministrazione.