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Vicente Gonzales Loscertales, il segretario del Bie, si è svegliato improvvisamente: è venuto a Milano a dirci non tanto e non solo che siamo in ritardo sia nell´avviare le opere sia nel risolvere il problema delle aree, ma che l’Expo sin qui proposto non va affatto bene. Perché non lo ha detto prima? Il masterplan del quale eravamo a conoscenza noi mortali è in Internet da un paio d’anni e da altrettanto tempo nel sito di Expo 2011. Non ne sapeva nulla? Siamo poco credibili noi all’estero ma anche il Bie dopo questa tardiva uscita milanese del suo segretario non ci fa una bella figura.

Allora piano piano si delinea un nuovo scenario partendo dall’affermazione del nostro bravo segretario: «La gente non fa centinaia di chilometri per vedere coltivare le melanzane». Noi pronti, e si capisce bene il perché visti i personaggi in campo, felici e festanti cogliamo al balzo l’idea di un tuffo nell’Ottocento: un’Esposizione internazionale fatta di padiglioni vieux style dove ognuno mostri le sue meraviglie. Sempre il nostro segretario tuttavia dichiara di essere "entusiasta" dell’idea guida dell’Expo milanese, "Nutrire il pianeta", ma siccome il problema della "fame" alimentare non gli pare abbastanza ampio, lo allarga alla fame di energia e al problema della sostenibilità.

Buona idea, quella di Loscertales, nuova soprattutto. E per concludere il suo pensiero lancia un messaggio a tutti i milanesi: «L’eredità dell’Expo sarà la sostenibilità. La sfida è lasciare in eredità un messaggio culturale nuovo». Aria fritta. Come disse il vecchio Bartali: «Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare!». Intanto cominciamo a mettere i puntini sulle "i". La soluzione del problema della fame nel mondo è principalmente un cambiamento delle abitudini alimentari della parte ricca dell’umanità, così come il problema dell’energia concerne il risparmio energetico e le fonti alternative. Per l’alimentazione non c’è scampo: cambiare le abitudini alimentari e pensare al cosiddetto "chilometro zero". Possiamo aspettarci che nel padiglione della Germania venga mostrata una campagna di pubblicità progresso in cui s’invitano i tedeschi a mangiare meno maiale? Gli inglesi a mangiare meno roast beef? Gli argentini a produrre meno carne, visto che è il cibo che consuma più risorse di ogni altro?

Tanto per concludere ci troviamo di fronte a un’operazione senza alcuna idea forte (e nemmeno debole), così a nessuno verrà in mente che il cibo e la sua produzione sono l’arma politica più forte per dominare il mondo. Avremo un gruppo di edifici eterogeneo che non passeranno certo alla storia dell’architettura - visto l’imperante "facciamoceli da noi" - che, di fatto, esclude i concorsi di progettazione. Ma ci sono alcune certezze. Avremo un ponte che raccorda l’area dell’Expo con l’operazione immobiliare di Cascina Merlata, dove ci sono tutti gli operatori milanesi: "il club del mattone". Avremo gli appalti affidati alla gestione di Infrastrutture Lombarde, una società della Regione nota per la preferenza ai tipi di appalto che lasciano maggior discrezionalità di scelta; non vi sarà una sola vera gara. Tutto chiuso col solito lucchetto di marca Cl. Perché? Perché siamo in ritardo. Emergenza, necessità assoluta: è nel bisogno che si riconoscono gli amici! Favoriamoli!

Corriere della Sera

La meta nobile di Milano

di Nicola Zanardi

A meno di 1.400 giorni dall'inizio di Expo 2015, nei giorni degli esami di maturità, abbiamo riletto Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita sul sito www. expo2015. org. Invitiamo tutti i cittadini a farlo, vista la bellezza e la contemporaneità del tema, anche se, forse, meriterebbe una riscrittura più ponderata e attenta rispetto a quella attuale. Una prima associazione porta ad un grande «educatore» e intellettuale milanese, Riccardo Bauer, motore inesauribile di quella grande officina sociale, e non solo, che è stata ed è la Società Umanitaria, vero e proprio serbatoio di intelligenza della Milano da ricostruire e sviluppare nel secondo dopoguerra. Educare alla democrazia e alla pace è una bellissima antologia dei suoi pensieri, dove la passione civile diventa la materia prima per diffondere la cultura tra i lavoratori, creare scuole professionali, integrare i più deboli.

In tempi in cui il tema della crescita si intreccia con moltissime discipline, senza una educazione alla pace e alla giustizia, il Pianeta non troverà alimento per tutti. E da Bauer, educatore locale su temi globali, a Eric Hobsbawm, storico globale sensibile ai temi locali, il passo è breve. Che cosa ci insegna lo storico, peraltro oggetto di una traccia dell'esame di maturità di quest'anno? Tra le tante, una davvero fondamentale: la fine delle civiltà contadine è la conclusione di un modello evolutivo durato per migliaia di anni, nonché il momento sociale più drammatico degli ultimi cinquanta anni. Nella seconda parte del «secolo breve» , per citare il suo libro più famoso, la cultura agraria si trasforma in società industriale.

Europa e Giappone prima, poi il Sudamerica e, infine, i Paesi Asiatici abbandonano la cultura contadina, unico collante non industriale globale. Da queste due figure molto lontane emergono il concetto di limite e quello di rispetto. Limiti all'uomo e al suo potere, rispetto dell'altro e dei suoi diritti. La crescita, nello scenario che si è delineato in questi anni, è un oggetto a più facce: ci saranno circa due miliardi di persone in più entro il 2050, ci dicono i demografi. Occorrerà utilizzare saperi, tecnologie, innovazione e tanta formazione per consumare molte meno energie e materie prime. Nutrire il pianeta di democrazia, formazione e salute sarà l'unico modo affinché l'alimentazione, la prevenzione e le economie raggiungano un punto di equilibrio.

I padiglioni di Expo 2015 possono essere i nuovi perimetri delle tante culture che l'uomo ha saputo creare dove modelli di democrazia, di formazione, di sanità dovranno conquistare il palcoscenico più grande. Un grande software universale fatto da una sapienza millenaria e dalla conoscenza applicata del terzo Millennio. Modelli da scambiare, da esportare, da importare. Chiediamo a tutti i Paesi di portarci queste esperienze. Troviamo il modo di chiederlo anche a chi ha meno potere: le associazioni, le Ong, i tanti utopisti del mondo che trovano un riscontro quotidiano alle loro idee nelle diverse realtà quotidiane. Nutrire vuol dire soddisfare necessità vitali ma anche alimentare e arricchire lo spirito. Milano, nei prossimi anni, ha una meta nobile e precisa verso cui tendere.

Il Fatto Quotidiano

Expo 2015: lo strano caso Boeri-Pisapia

di Gianni Barbacetto



Che strana coppia, Giuliano Pisapia e Stefano Boeri. Quando si sono scontrati alle primarie per scegliere il candidato sindaco del centrosinistra a Milano, Pisapia era, per la stampa, il candidato molto di sinistra amico di Nichi Vendola e Boeri era invece l’uomo del Pd che parlava con Pier Luigi Bersani e lavorava per l’immobiliarista Salvatore Ligresti. Ora, dopo il trionfo arancione e l’ingresso di Pisapia a Palazzo Marino, le parti in commedia sembrano essersi invertite. Tema: l’Expo, naturalmente, cioè il primo dossier di peso che il nuovo sindaco ha trovato sulla scrivania finora occupata da Letizia Moratti.

Ora Pisapia sembra diventato realista e moderato, disponibile a realizzare il progetto, molto immobiliare, imposto dal presidente della Regione Roberto Formigoni; mentre Boeri ha provato a insistere sulla sua idea, secondo cui le aree dell’Expo devono ospitare un grande parco permanente degli orti planetari, mica essere sommerse dal cemento.

Bella grana, per il sindaco appena insediato in piazza della Scala, tra l’entusiasmo della Milano di sinistra e la soddisfazione di quella moderata. Non aveva neppure completato il trasloco, che si è trovato il dossier Expo sul tavolo, con la soluzione già decisa da Formigoni: le aree su cui realizzare l’Esposizione universale del 2015 (un milione di metri quadri, due terzi della Fondazione Fiera, controllata dalla Regione di Formigoni, un terzo del gruppo Cabassi) dovranno essere comprate da una società appositamente costituita, la Arexpo spa, che poi le metterà a disposizione della società Expo spa per realizzare l’evento. Costo dell’operazione aree: 120 milioni di euro, 80 alla Fondazione Fiera, 40 a Cabassi, sborsati dal Comune di Milano (38 milioni per avere il 51 per cento di Arexpo), dalla Regione (9,5 milioni per il suo 12,7) e dalla Fondazione Fiera (che ottiene il 34,9 per cento di Arexpo senza versare un soldo, ma conferendo i suoi terreni). Qualche euro lo metteranno anche la Provincia di Milano e il Comune di Rho, che nella nuova società avranno lo 0,7 per cento.

Qual è il problema che preoccupa Pisapia? Che dopo averci messo tutti questi soldi, l’Expo dell’orto planetario progettato da Boeri diventa impossibile. Per rientrare dell’investimento, Comune e Regione dovranno tirar su case e uffici, altro che aree agricole e orti. Lo dice chiaro l’Accordo di programma: la Arexpo dovrà realizzare “la riqualificazione del sito espositivo privilegiando progetti mirati a realizzare una più elevata qualità del contesto sociale, economico e territoriale” (pag.13). Lo dovrà fare “al termine dell’esposizione universale mediante un intervento di trasformazione urbanistica” ( pag. 17  ). Chiuso l’Expo, arriverà il cemento. Lo permette l’indice urbanistico previsto, 0,52: almeno 520 mi-la metri quadri, concentrati sulla metà dell’area (l’altra metà dovrebbe restare a verde), che si aggiungeranno ai 230 mila metri quadri comunque previsti nel piano Expo. Totale, 750 mila metri quadri.

L’Expo naturale e tecnologico delle biodiversità si trasforma in un’operazione immobiliare, a tutto vantaggio dei bilanci della Fondazione Fiera. Formigoni ha detto a Pisapia: prendere o lasciare. E Pisapia non vuole e non può passare come il sindaco che appena arrivato fa perdere l’Expo a Milano.

Ora però sta riflettendo: non può neanche passare come il sindaco del cemento. Gliel’ha ribadito anche Legambiente, con un comunicato che ricorda l’esito di uno dei cinque referendum cittadini votati il 12 e 13 giugno a Milano: il parco dell’Expo deve rimanere parco anche dopo l’esposizione. “La richiesta di un parco dell’Expo, espressa dai cittadini due settimane fa, è chiara”, scrive Legambiente, “e non può essere elusa. Siamo consapevoli delle esigenze dell’evento, ma non possiamo far finta di non sapere che in quell’area si stanno accumulando previsioni per milioni di metri cubi di nuovi edifici, non solo nel recinto di Expo, ma anche a Cascina Merlata, Stephenson, Città della Salute. Il risultato non sarà la ‘Défense’ milanese, ma una bolgia di cemento . La città viene prima di Expo e degli interessi, pur legittimi, dei proprietari dei terreni”.

A questo punto, Pisapia sta riconsiderando la questione e si è riavvicinato a Boeri, che un paio di proposte continua a farle. La prima è abbassare l’indice di edificabilità: troppo alto quello 0,52. Ormai sembra impossibile trovare soluzioni alternative all’acquisto delle aree. Mantenerle agricole appare un’utopia. Ma si può almeno limare quel numeretto, riducendo la quantità di cemento.

La seconda idea di Boeri è trasferire sull’area Expo, dopo il 2015, l’Ortomercato. Nascerebbe così un grande polo agricolo e alimentare, con il parco delle biodiversità, il nuovo mercato all’ingrosso di frutta e verdura, la “Città del gusto”, la nuova facoltà di Agraria...

Su questo progetto Pisapia e Boeri stanno lavorando, di nuovo fianco a fianco, come sul palco di piazza Duomo dopo la vittoria comune su Letizia Moratti.

Corriere della Sera

Maran boccia il tunnel Linate-Expo: non è una priorità

Il maxi-tunnel Linate-Expo? Un’opera «che va realizzata» . A sostenere la necessità della «sotterranea» che dovrà collegare il sito dell’esposizione con l’aeroporto cittadino è Paolo Berlusconi. In un convegno sulla mobilità sostenibile il fratello del premier ha richiamato ieri il neoassessore alla Mobilità Pierfrancesco Maran. «Il tunnel— ha spiegato l’editore del Giornale— dovrebbe cambiare le abitudini e la viabilità della città, facendo risparmiare un'ora di tempo per attraversare da est a ovest Milano» .

Berlusconi ha poi affermato che «i soldi dei privati sembra che ci siano» . Risposta a strettissimo giro di posta di Maran: «Non è nelle priorità. Il tunnel non è stato inserito nel Pgt neanche dal centrodestra quando era al governo della città» . Per la nuova amministrazione «le risorse vanno invece investite in metropolitane e nel trasporto dei pendolari» . Il tunnel infine, ha sottolineato l'assessore, «non era destinato ad essere un servizio di massa» .

la Repubblica

Paolo Berlusconi sponsor del maxitunnel

di Teresa Monestiroli

Premesso che «né io né la mia famiglia abbiamo niente a che vedere con il progetto, ritengo che il tunnel Linate-Expo su cui stava lavorando la giunta Moratti, sia un bel progetto e sarebbe un peccato lasciarlo cadere». A sponsorizzare la maxigalleria che avrebbe dovuto essere costruita in project financing dalla società Condotte è Paolo Berlusconi. Un endorsement a sorpresa che ha lasciato di stucco anche il neo assessore alla Mobilità Pierfrancesco Maran, presente anche lui al convegno sulla mobilità sostenibile organizzato ieri dal quotidiano della famiglia Berlusconi. «Il tunnel dovrebbe cambiare le abitudini e la viabilità della città - ha spiegato il fratello del premier - , facendo risparmiare un’ora di tempo per attraversare da est a ovest la città. Mi pare che i soldi dei privati ci siano».

«Non è una priorità - risponde l’assessore Maran - . In questo momento bisogna investire su metropolitane e trasporto per i pendolari. Inoltre non mi pare che il tunnel, così com’è stato pensato, sia destinato a essere un servizio di massa visto che percorrerlo tutto costava circa 10 euro». Il centrosinistra, d’altronde, non ha mai nascosto la sua contrarietà all’opera mastodontica che dovrebbe attraversare la città sotto terra. Ed è proprio grazie alla battaglia fatta dall’allora opposizione in consiglio comunale che il progetto fu inserito nel Pgt, ma vincolato al Piano urbano della mobilità ancora da preparare. Edoardo Croci, promotore dei referendum ambientali, commenta: «La congestion charge prevista dall’esito dei referendum richiede di rivedere le valutazioni sul traffico e dunque anche sui proventi tariffari del tunnel».

la Repubblica

È elettrico il futuro del car sharing

di Ilaria Carra

Lasciare l’auto che inquina fuori da Milano ed entrare in città con un mezzo a zero emissioni. È sfruttando le case cantoniere milanesi, oggi quasi tutte inutilizzate, che nascerà il progetto del primo car sharing elettrico. L’idea è della Provincia, che possiede trenta strutture distribuite sul territorio, come a Liscate, Locate Triulzi, Melegnano, Paderno Dugnano, Paullo, Palazzolo, Rosate, Lainate, Castano Primo, Vaprio d’Adda, Corbetta, Cernusco sul Naviglio, Gorgonzola, Cassano d’Adda, Binasco, Cusago, Santo Stefano Ticino, Busto Garolfo e Ossona. Ex depositi per la manutenzione delle strade di circa 350 metri quadri l’una e migliaia di metri quadri di terreno che si è deciso di trasformare in centri servizi polifunzionali. In pratica, il pendolare arriverà con la sua auto, potrà parcheggiarla all’interno e ripartire a bordo di un mezzo elettrico, auto o moto. La casa cantoniera sarà parcheggio ma anche bar e punto di ristoro, con un albergo low cost e un servizio di manutenzione per le auto.

Un sistema che nelle intenzioni della Provincia sarà a pagamento e si alimenterà grazie agli abbonamenti e ad eventuali partner privati, mentre per i mezzi sono già in corso trattative con case automobiliste produttrici come Renault e Mitsubishi e non è escluso che al progetto possa partecipare anche Enel.

«L’obiettivo - ha spiegato l’assessore provinciale ai Trasporti Giovanni De Nicola al convegno "Una scossa alla città" - è rispondere a un’esigenza espressa dai cittadini di abbattere il Pm10 e ridurre gli ingressi a Milano di veicoli inquinanti». E scoraggiare i milanesi a raggiungere la grande città con veicoli che inquinano, intercettando i grandi volumi di traffico: a Nord sono 110mila le auto che ogni giorno fanno avanti e indietro sulla Milano-Meda, 70mila sulla Rivoltana e Cassanese a Est, 44mila sulla Val Tidone a Sud e 31mila sulla Vecchia Vigevanese a ovest. Un sistema che sarà compatibile con le auto in condivisione già presenti nelle città e che, nelle intenzioni di Palazzo Isimbardi, potrebbe vedere la luce dalla prossima estate. Per Matteo Mauri, capogruppo Pd in Provincia «è un’idea interessante e decisamente di sinistra, non possiamo che sostenerla. Vogliamo sperare che non sia uno dei soliti annunci di questa giunta poi non concretizzati».

postilla



Come riecheggia ormai da lustri il classico mantra: non c’è differenza tra destra e sinistra! Prendiamolo per buono una volta tanto, giusto per trovarne un’altra, di differenza, ovvero quella fra chi va in una direzione e chi in un’altra, con la democratica possibilità di giudicare quale sia quella giusta, o più accettabile.

Il megatunnel Linate-Expo porta automobili dall’estremità est della circoscrizione comunale di Milano a quella occidentale; risucchia enormi risorse sottraendole ad altri investimenti; induce automaticamente processi di sbrigativo urban renewal in stile quasi ottocentesco (se togliamo dalla bilancia il glamour comunicativo di architetti e uffici di pubbliche relazioni); rafforza la logica perversa al tempo stesso centripeta e centrifuga che produce sprawl classico sul modello distretti centrali terziarizzati – o gentrificati, che è quasi la stessa cosa – e fasce suburbane socialmente segregate; conferma e rilancia strategie di urbanizzazione sicuramente insostenibili come quelle suggerite dagli anelli concentrici delle Tangenziali, e relative “colmate” della fascia agricola intermedia.

Il car-sharing in teoria, elettrico a vela o a carbone che lo si voglia pensare, sembrerebbe complementare alla medesima logica, almeno per i nemici giurati delle quattro ruote a motore. Ma non lo è affatto, perché va nella direzione opposta. Certo non si propone come una di quelle copertine di Urania disegnate da Karel Thole, con un mondo improvvisamente ribaltato fatto di biciclette, prati verdi dove splende sempre il sole, uccellini che cantano, dove pare non si lavori e non si crepi mai. Ma va sicuramente nella direzione opposta perché introduce una discontinuità: arrivi dallo sprawl metropolitano, dove ti hanno forzato a vivere in villetta più giardino con lavori forzati e coda rituale al sabato per il centro commerciale? Ecco, adesso molli la tua macchinina e entri in un altro universo, dove girano altre macchinine però un po’ diverse. Dove si gira anche a piedi, se le distanze lo consentono, o in bici, o coi mezzi. Dove le trasformazioni urbanistiche avvengono in modo coordinato a questo genere di mobilità, e le localizzazioni funzionali pure …

Concludendo: c’è differenza fra destra e sinistra? Scegliete la direzione preferita (f.b.)

«La nuova Santa Giulia avrà la caratteristiche della cittadina di campagna e i servizi della metropoli» . Un mega quartiere «vivo, sano, moderno, ecosostenibile, a impatto zero» , progettato «da giovani talenti italiani» e non da archistar alla Norman Foster: «Le residenze avranno un costo accessibile per le giovani coppie, attorno ai 4 mila-4.500 euro al metro» . Palazzine di nove piani al massimo, zero grattacieli, un parco di 236 mila metri quadri: «È un progetto libero da logiche speculative. Io non sono un immobiliarista, né un palazzinaro» .

Lui è Stefano Stroppiana, 51 anni, toscano-milanese, imprenditore del real estate, noto «costruttore» di outlet, un passato in McArthurGlenn e in Premium Retail, l’imprenditore che guida la cordata pronta a rilevare da Risanamento il mai decollato piano di sviluppo del quartiere Santa Giulia: «Presenteremo la nostra offerta entro il 30 giugno, per chiudere l’accordo definitivo a luglio. È un’offerta vincolante, legata ad alcune condizioni, a partire del dissequestro dell’area» . La zona Montecity-Rogoredo, sul confine Sudest di Milano, è stata sigillata dal Tribunale il 20 luglio 2010 a valle di un’inchiesta sugli appalti, le mancate bonifiche ambientali e i veleni scivolati nella falda.

I costi delle operazioni di ripristino dei terreni, secondo l’intesa, spetteranno a Risanamento: «È necessario un intervento serio per garantire l’assoluta salubrità ambientale — insiste il manager —. Non accettiamo scorciatoie di alcun tipo. E ci riserviamo un ruolo di primaria importanza» . È un’operazione da 2 miliardi di euro. La cordata comprende il fondo di Shanghai Super Ocean Re, le società di costruzioni Cogeim spa, Geo Holding srl, Ettore e Guido Di Veroli, Santo Versace.

Il masterplan stato già delineato, prevede 120 mila metri quadri di negozi (ai piani terra), altrettanti di uffici (in posizione di «filtro» ai livelli intermedi dei palazzi) e 180 mila metri quadri di residenze (ai piani alti): «Le modifiche sono profonde rispetto al piano di Foster — osserva Stroppiana —. Realizzeremo la più grande isola pedonale d’Europa: Santa Giulia sarà un luogo per abitare, lavorare, fare shopping. A differenza del progetto di Risanamento, non inseguiremo un lusso edonistico» .

Nota: si sottolineava nell'occhiello come ci sia un rapporto stretto fra questa ennesima (dai tempi di Montecity & Gardini) proposta per il riuso del sito industriale ribattezzato Santa Giulia e le operazioni dei villaggi della moda spuntati inopinatamente in tutto il paese da una decina d'anni. Si spera solo che, a differenza del rapporto sempre squilibrato fra capitali, operatori, e piccole amministrazioni locali, a Milano possa emergere una valida gestione pubblica in grado di garantire davvero tutti i vantaggi collettivi giurati e spergiurati dagli anni '80. Su queste pagine ovviamente abbondano le ricostruzioni dei "casi outlet" a partire dal primissimo di Serravalle (f.b.)

L´artiglieria pesante non tace: il proposito del sindaco di non approvare il Pgt ma riportare indietro le lancette dell´orologio e riesaminare le quattromila e più osservazioni non piace all´opposizione e nemmeno ad altri, vedi il fuoco amico. Ingrati. Il sindaco avrebbe potuto scegliere la via maestra. Revocare in autotutela anche la delibera di adozione in Consiglio e ricominciare tutto da capo. Le ragioni ci sarebbero state: il contenuto dell´attuale Pgt non è in alcun modo ritrovabile nel programma col quale Letizia Moratti si è presentata agli elettori durante la sua prima campagna elettorale, dunque i primi a essere scavalcati sono stati anche i suoi elettori di allora. La verità è che il Pgt rappresenta le idee solo di una parte del partito di maggioranza relativa: quella che fa riferimento a Cl e quindi nemmeno da tutta la vecchia maggioranza; il Pgt in moltissime parti deborda dai limiti di un documento urbanistico per occupare spazi che non gli sono propri, in particolare laddove si parla di attività di servizi normalmente svolti dalla mano pubblica e si indica invece una chiara preferenza per l´intervento dei privati (vedi tutti gli accenni alla "sussidiarietà"); il documento è ambiguo e foriero di mille diverse interpretazioni e quindi di cause e di ricorsi; il documento, a essere generosi, rispecchia una cultura urbanistica inadeguata rispetto ai tempi e ai progressi che la sociologia urbana ha fatto recentemente soprattutto sui temi della convivenza e della sicurezza; il documento considera Milano un´isola del tutto avulsa dal territorio che la circonda salvo considerarlo una sorta di serbatoio di potenziali nuovi residenti; il documento non ha contenuti tali da garantire la soluzione dei problemi tante volte evocati: la casa e il verde. Questo per citare solo alcuni degli aspetti che suggerirebbero la totale ristesura, necessaria poi comunque, per non voler parlare dell´italiano che sembra poco noto, quanto meno nelle norme della punteggiatura. Dunque se il sindaco ha preso la decisione che ha preso, l´ha fatto per non essere accusato - strumentalmente - di fermare il "prorompente" mercato dell´edilizia. Non mi permetto di dare consigli a nessuno ma, se fossi il sindaco, chiamerei gli scontenti, quelli che temono la paralisi e terrei un breve discorso: «Cari amici, non vorrei proprio danneggiarvi e dunque fatemi un elenco delle operazioni urgenti che avevate in animo di far partire e che questo modesto rinvio dell´approvazione del Pgt - qualche mese - inchiodano al palo. Fatemi l´elenco e corredatelo di una seria analisi dell´offerta e della domanda di mercato e non è detto che a fronte di un´evidenza drammatica io non possa accedere alle vostre urgenze». Sarebbe un discorso giusto e che reintrodurrebbe nel dibattito il concetto di mercato, tanto estraneo al documento del Pgt. Sia ben chiaro che stiamo parlando del mercato del mattone e non del mercato finanziario o del salvataggio di bilanci pericolanti di società immobiliari o dell´edificabilità dei demani pubblici (ferroviari e altro) che alimentano solo l´oligopolio immobiliare del quale già Milano è vittima.

L'accordo di programma che dovrebbe definire gli impegni di enti pubblici e soggetti privati per lo svolgimento di Expo, prevede invece anche gli impegni sulla riqualificazione urbanistica e il riutilizzo delle aree interessate. Espropria cioè i comuni di Milano e Rho della loro funzione di pianificazione urbanistica. È dunque necessario stralciare dall'accordo le competenze illegittimamente introdotte ed escludere dalle decisioni sull'assetto del territorio quella parte privata che ha solo la funzione strumentale di assicurare la disponibilità dei terreni.

Mi è capitato di scorrere la versione del 10.6.2011 dell’accordo di programma(Adp) che, una volta sottoscritto dalle parti, credo sarà sottoposto alla ratifica dei consigli comunali diMilanoe diRho; l’accordo, per propria statuizione (art. 3), definisce gli impegni “degli enti pubblici sottoscrittori e dei soggetti aderenti al fine di (…) consentire lo svolgimento dell’Esposizione Universale 2015”. Ma l’accordo pretende di definire anche gli impegni “tra i medesimi soggetti” “atti a favorire, nel periodo successivo allo svolgimento” dell’Expo “la riqualificazione urbanistica delle aree interessate dall’evento espositivo nonché il loro riutilizzo per l’insediamento di funzioni pubbliche o private”.

CHI PIANIFICA IL TERRITORIO

Quest’ultimo obiettivo, tipicamentepianificatorio ed urbanistico, è però del tutto estraneo all’oggetto proprio dell’Adp che viene perciò illegittimamente utilizzato non “per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di Comuni, di Province e Regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, (...) per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento” (art. 34 decreto legislativo n. 267/2000), bensì per definire ed in parte affidare anche a terzi (per di più privati) l’attività pianificatoria urbanistica necessaria per disciplinare l’assetto post-Expo dell’intero comparto.

Infatti, la bozza di Adp contiene, tra l’altro, la previsione (puramente urbanistica, per il post-Expo) dell’insediamento, nel comparto, anche di uncomplesso residenziale privatodeterminato nella sua consistenza (30mila m2 di pavimento) stabilendo (art. 10) che una quota (edilizia “sociale”) dello stesso non vada computata nell’indice di fabbricabilità territoriale, indice di cui non conosco la fonte originaria (contrattuale?), ma che viene così aumentato.

Ma vi è di più: l’Adp stabilisce che la disciplina urbanistica più puntuale dell’intero comparto, per il post-Expo, sarà dettata “mediante unprogramma integrato di intervento(Pii: ndr) unitario (…) che definirà lo sviluppo delle aree in ottemperanza ai contenuti della Variante urbanistica” “allegata al presente accordo” (art. 4), variante che riguarda non opere, interventi o programmi destinati a dar vita all’Expo, bensì l’assetto successivo dell’intero comparto. Così, cogliendo l’occasione dell’Expo, i comuni di Milano e di Rho vengono espropriati di una loro funzione che viene assunta anche da un gruppo di soggetti pubblici e privati, i quali non hannonessuna competenzaper disciplinare l’assetto del territorio dei due comuni, in assenza di un programma di opere o di interventi pubblici da realizzare nella fase post-Expo.

Si tratta, cioè, di contenuti esclusivamente pianificatori urbanistici che non possono essere legittimamente veicolati a mezzo di un Adp, dovendo avere, allo stato, la propria sede esclusiva negli strumenti comunali. Peraltro, i comuni di Rho e di Milano sono addirittura chiamati (art. 11) ad impegnarsi ad “approvare tempestivamente il Pii”, senza conoscerne, al momento, né i contenuti né la portata modificativa rispetto allo strumento generale e rispetto alla stessa variante allegata all’Adp. All’esproprio di potere si aggiunge anche l’obbligo di fare in fretta.

L’Adp, insomma, non può delineare la disciplina urbanistica di parti del territorio per futuri interventi (anche) privati. Può, invece, produrre - con la ratifica del Consiglio comunale (art. 34, 5° comma) - l’effetto di variare lo strumento urbanistico generale solo se ed in quanto la variante stessa consegua necessariamente alla sistemazione delle opere e degli interventi pubblici costituenti, nel nostro caso, la sede dell’Expo.

DUE PREVISIONI ILLEGITTIME

Altre due brevi considerazioni:

A) l’Adp è sottoscritto, per adesione, anche da soggetti di natura giuridica privata (l’uno – forse – ad esclusiva partecipazione pubblica, l’altro – pare – a partecipazione mista) ed attribuisce (art. 9) ai soggetti medesimi funzioni proprie di enti pubblici, quali quella urbanistica di coordinare il processo di sviluppo dell’area, nella fase post-Expo, attraverso la proposizione di un Pii, e quella di “assicurare il coordinamento e l’integrazione delle scelte progettuali con la riqualificazione dell’area medesima, anche nella fase post-Expo”. Ma l’adesione di soggetti privati e, ancor più, la loro assunzione di specifiche funzioni ed obbligazioni è esclusadall’art. 34 Dlgs n. 267/2000 che, perciò, viene violato anche sotto questo profilo. Nemmeno ove fossero utilizzabili le disposizioni in materia di Adp promossi dalla Regione (art. 6 Lr n. 2/2003, erroneamente richiamato nell’Adp), la partecipazione di soggetti privati consentirebbe loro di assumere (come avviene nel testo in esame) la qualifica di vere e proprie parti dell’Adp e del procedimento organizzatorio, riservata esclusivamente ai soggetti pubblici.

B) L’Adp istituisce (art.12) uncollegio di vigilanzacon potere non solo di vigilare sull’attuazione dell’accordo, ma anche, tra l’altro, di “dirimere in via bonaria le controversie che dovessero insorgere tra le parti” e di “approvare eventuali integrazioni o modifiche” dell’Adp, funzioni queste ultime non previste dalla legge, nemmeno da quella - inapplicabile al caso di specie - regionale. Si tratta pertanto di previsioni illegittime che sottraggono ulteriore potere ai comuni.

Senza voler adesso considerare il tema (sconcertante ed insidioso) dell’acquisizione delle areeper l’Expo e dei relativi vantaggi pubblici e privati, posso concludere queste brevi considerazioni prospettando di stralciare dall’Adp quanto in esso illegittimamente introdotto così da preservare il perseguimento, con esso, delle finalità relative all’organizzazione dell’Expo e di escludere almeno quella parte privata (Arexpo spa) che, essendosi assunta, per volontà della Regione, una funzione strumentale, non ha altro spazio se non quello di assicurare la disponibilità dei terreni.

la Repubblica

Pgt, domani l´ok alla trasformazione

di Alessia Gallione

Pgt: si riparte dalla osservazioni. Domani la delibera che cancellerà l'approvazione del Piano di governo del territorio arriverà in giunta. La proposta dell’assessore all’Urbanistica De Cesaris è quella di riprendere in mano le osservazioni, valutarle e, dove necessario, modificare il documento. «Sulla base di queste osservazioni - spiega Pisapia - ci sarà un Pgt sicuramente migliorato rispetto a quello attuale». Una scelta che non piace al Pd. Pur appoggiando la necessità di rivedere il piano anche in maniera sostanziale, il partito propone di non bloccarne l’entrata in vigore. «Le modifiche si possono fare anche a Pgt pubblicato» commenta il capogruppo Rozza.

La trasformazione delle regole urbanistiche arriverà sul tavolo della giunta già domani: la prima importante decisione dell’era-Pisapia. Perché è lì che l’assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris condividerà con gli altri assessori la delibera che, di fatto, cancellerà l’approvazione del Piano di governo del territorio. Un passo indietro per riaprire l’ascolto con la città che, per modificare il Piano, aveva presentato 4.765 richieste di cambiamento. «Si tornerà alla possibilità per il consiglio comunale di esaminare e votare le osservazioni dei cittadini», ha ribadito ieri il sindaco. Disegnando anche il nuovo orizzonte che potrà delinearsi per lo strumento urbanistico. E per la Milano dei prossimi vent’anni: «Sulla base di queste osservazioni - ha aggiunto Giuliano Pisapia - ci sarà un Pgt sicuramente migliorato rispetto a quello attuale».

Dopo l’ex assessore Carlo Masseroli, che del Pgt è il padre e che ha già ipotizzato una difficile «stagione di ricorsi e controricorsi», anche il capogruppo del Pdl Giulio Gallera promette battaglia in aula: «Difenderemo il Piano. Questa è una scelta irresponsabile che creerà un danno e un buco di bilancio e bloccherà lo sviluppo della città. L’ascolto della città è una finzione. Si vuole solo stravolgere il Pgt». D’accordo con la possibilità di riprendere in considerazione le richieste di modifica, invece, è il presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo. Che dice: «La mia posizione non cambia rispetto a quella che avevo come consigliere dell’opposizione: anche ora ritengo necessario che la politica ascolti e valorizzi le osservazioni dei cittadini».

Il documento, approvato lo scorso febbraio, secondo la tabella di marcia della precedente amministrazione avrebbe dovuto essere pubblicato il prossimo lunedì. Per ora, quindi, non è ancora entrato in vigore. Ed è proprio da questa certezza che riparte la giunta Pisapia. Da un Piano adottato (il primo passo in aula) e da una delibera che riporta indietro le lancette al momento della valutazione delle osservazioni: una scelta che, dopo il voto della giunta, dovrà arrivare in consiglio comunale per il via libera. Da questo momento gli uffici dovranno riprendere in mano le 4.765 richieste e, dopo averle riconsiderate, accorparle in gruppi «omogenei e di identico contenuto» e sottoporle nuovamente al voto dell’aula: non soltanto otto blocchi, come fece l’allora maggioranza. Una decisione duramente contestata dal centrosinistra che aprì lo scontro e presentò un ricorso al Tar.

la Repubblica

Il Pd tenta di fermare lo stop totale "Piano in vigore, poi le modifiche"

di Teresa Monestiroli

Il primo passo della giunta Pisapia fa accendere le scintille con il Partito democratico. Se infatti il maggior gruppo della coalizione che sostiene il neo sindaco è totalmente d’accordo sulla necessità di rivedere il Piano di governo del territorio varato dalla precedente amministrazione, dando valore alle osservazioni presentate dai cittadini, non c’è sintonia sulla modalità che sembra aver scelto l’assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris per procedere. A spiegare le divergenze è Carmela Rozza, il nuovo capogruppo dal Pd: «Sono perplessa sull’ipotesi di ritirare la delibera di approvazione del Piano e ritornare allo step precedente, quello della valutazione delle osservazioni - racconta il consigliere comunale - . Forse sarebbe più appropriato tenere in piedi lo strumento e valutare contemporaneamente le osservazioni introducendo delle modifiche là dove lo ritenessimo necessario».

È il regolamento urbanistico della Milano dei prossimi vent’anni il primo banco di prova della tenuta della squadra di Pisapia, scelta esplicitamente senza seguire le vecchie logiche della spartizione delle poltrone tra i partiti. Di questo si parlerà in una riunione già chiesta dal partito a sindaco e assessore: «Ci sarà un momento di confronto - prosegue la Rozza - per discutere come affrontare il problema delle osservazioni. Personalmente ritengo che il Piano non vada fermato. La legge 12 della Regione dà la possibilità ai Comuni di apportare delle modifiche anche a Piano in vigore. Quindi la mia proposta è quella di pubblicarlo nei tempi previsti e poi in consiglio comunale discutere le osservazioni e valutare, strada facendo, i punti da rivedere». Una posizione, quella di procedere con le varianti mantenendo attivo il Piano, che anche Stefano Boeri, oggi assessore alla Cultura, aveva sposato in campagna elettorale quando parlò davanti a una platea di immobiliaristi e costruttori che difendevano a spada tratta il Pgt.

Ma è una proposta totalmente diversa quella che la De Cesaris sembra portare avanti: fermare le macchine e, prima di far entrare in vigore le nuove regole, riportare in aula le richieste di cambiamento dei cittadini, tenendo conto che la data massima di approvazione fissata dalla Regione Lombardia è il 31 dicembre 2012. Scelta appoggiata anche da Sel, con il consigliere Patrizia Quartieri che spiega: «Non dobbiamo avere nessuna fretta di pubblicare e quindi far entrare in vigore il nuovo Piano. Prima rivediamolo e correggiamo quello che c’è da correggere. Sono totalmente d’accordo con la decisione di Pisapia perché l’iter seguito dal centrodestra a gennaio era stato improprio, e perché è necessario ridare voce ai cittadini che con le osservazioni hanno dato un importante contributo al Piano».

Corriere della Sera

Urbanistica scontro Moratti-Pd

di Maurizio Giannattasio e Elisabetta Soglio

Urbanistica e Pgt, in Comune è subito scontro tra Letizia Moratti e il Partito democratico. L’ex sindaco Letizia Moratti: «Ci spieghino le intenzioni» . Il capogruppo del Pd Carmela Rozza: «Da noi le scelte non si fanno nei salotti».

Prima riunione dei capigruppo e primo botta e risposta tra l’ex sindaco, Letizia Moratti e la capogruppo del Pd, Carmela Rozza. La questione è di quelle roventi: il Piano di governo del territorio. Martedì scorso, l’assessore all’Urbanistica, Lucia De Cesaris ha annunciato che Palazzo Marino revocherà «per autotutela» l’approvazione del Pgt per tornare alla discussione delle 4.765 osservazioni presentate a suo tempo dai cittadini. Ieri, il sindaco Giuliano Pisapia ha confermato che questa sarà la strada maestra: «Per il Pgt si tornerà alla possibilità per il Consiglio Comunale di esaminare e votare le osservazioni dei cittadini. Sulla base di queste osservazioni ci sarà un Pgt sicuramente migliorato rispetto all’attuale» .

Non l’ha presa bene Letizia Moratti che ieri durante la riunione dei capigruppo ha chiesto con forza la presenza dell’assessore De Cesaris: «Abbiamo appreso la decisione dai giornali. Chiediamo che l’assessore venga a spiegarci cosa intende fare del Pgt» . La replica secca arriva da Carmela Rozza, neocapogruppo del Pd: «È necessario attendere prima la riunione di giunta con la relativa delibera e la nomina delle commissioni e poi ci confronteremo con l’assessore. È questa la prassi giusta. Non quella che avevate messo in pratica voi con le riunioni in casa Moratti, quando anche noi apprendevamo le notizie dai giornali» . La vicenda Pgt sta preoccupando anche i costruttori, che avevano sostenuto il documento dell’allora assessore Carlo Masseroli. Il presidente di Assimpredil, Claudio De Albertis per ora è cauto: «Stiamo cercando di capire che cosa significhi questa decisione e che cosa comporti» .

Di certo, c’è una diffusa preoccupazione sui tempi, dal momento che la Regione ha dato ai Comuni come termine massimo per l’approvazione dei Pgt il 31 dicembre 2011. L’ex assessore Masseroli insiste: «Stanno scegliendo una strada che dà l’impressione di portare all’impantanamento dell’iter amministrativo del piano, con effetti di impoverimento per i singoli cittadini e per la città intera» . Continua intanto a far discutere anche il tema dell’austerity che Palazzo Marino sta imponendo, in attesa della relazione sul bilancio che l’assessore Bruno Tabacci porterà domani in giunta. Il giro di vite riguarderà nel frattempo l’ufficio stampa che, come annunciato ieri dal capo di gabinetto Maurizio Baruffi a tutti i dipendenti di questo settore con contratto a tempo determinato, sarà ridotto di un terzo e diversamente organizzato.

Tagli anche ai budget a disposizione degli assessori: da una spesa di 70mila euro per i 16 assessorati dell’amministrazione Moratti (1.120.000 euro in totale) a una spesa di 86 mila euro per i 12 assessorati attuali (1.032.000 euro in totale) con una riduzione della spesa complessiva del 7,86 per cento. L’opposizione attacca con il capogruppo pdl Giulio Gallera: «Continuano le bugie del sindaco Pisapia. Dopo quelle sui tagli delle auto blu, già fatti dalla giunta Moratti, ecco quella sui budget. Peccato che si tratti solo di una colossale bugia: ogni assessore infatti potrà spendere 86 mila euro, il 23 per cento in più rispetto alla scorsa amministrazione. Il governo di centrodestra ha tagliato il numero dei consiglieri e degli assessori per ridurre i costi della politica, la giunta Pisapia li aumenta incrementando la spesa per i consulenti degli assessori» .

Ma da Palazzo Marino viene fatto notare che «la riduzione degli assessorati ha portato a un conseguente accorpamento delle deleghe, nel mantenimento delle stesse funzioni da parte del Comune» . Ma piovono critiche anche dalla Provincia: «Troverei ipocrita — commenta il presidente del consiglio provinciale, Bruno Dapei — un Comune che si attribuisse il merito di una diminuzione del 20%del costo degli staff degli assessori, naturale conseguenza del taglio operato dalla legge. Qui poi c’è addirittura un incremento delle spese: come cittadino, mi sento cornuto e mazziato» .

Pgt, la giunta ricomincia da capo "Discutiamo tutte le osservazioni"

di Alessia Gallione

Palazzo Marino è pronto a riavvolgere il nastro del Piano di governo del territorio. E ad annullare l’ultimo passaggio del lungo iter che ha portato, lo scorso febbraio, il consiglio comunale a dare il via libera finale al documento destinato a cambiare le regole urbanistiche della Milano dei prossimi vent’anni. Riaprendo così la procedura, allora duramente contestata dal centrosinistra, della valutazione e della discussione delle 4.765 osservazioni presentate da cittadini e associazioni. E, soprattutto, rimettendo in gioco la possibilità di cambiare, anche in modo sostanziale, il Pgt. Un passo importante da compiere in fretta: la revoca dell’approvazione del "libro mastro dell’urbanistica" potrebbe arrivare in giunta già alla prossima riunione, per poi sbarcare in aula. E far ricominciare la nuova corsa verso il "sì" del consiglio comunale.

Il Piano sarebbe pronto per essere pubblicato e diventare legge: lunedì 27, aveva annunciato l’ex amministrazione. Ma non sarà così, anche se la strada scelta dalla nuova giunta non fa ripartire il percorso dall’inizio. È stato Giuliano Pisapia, nel suo discorso alla città, ad annunciarlo: «Ci impegniamo a esaminare e a valutare con attenzione le osservazioni dei cittadini e delle associazioni: non solo per rispetto di quella democrazia partecipativa alla quale crediamo fermamente, ma anche perché siamo profondamente convinti che in quelle osservazioni vi sia una grande ricchezza per il futuro della città».

Adesso è l’assessore all’Urbanistica, Ada Lucia De Cesaris, a spiegare come verrà riaperto questo capitolo: tecnicamente la giunta proporrà al consiglio comunale una delibera di revoca in autotutela che dovrebbe arrivare entro l’estate. E, in questo modo, le lancette dell’orologio torneranno indietro alla fase dell’esame delle osservazioni «per ridare voce a tutti coloro, soggetti pubblici o privati, che si erano espressi» dice l’assessore. Che spiega: «Dopo un’attenta valutazione con gli uffici e l’avvocatura per ricostituire la legittimità del procedimento, si ritorna alle osservazioni per valutarle con l’attenzione dovuta e richiesta dalla legge». Ed è proprio la riconsiderazione di quelle migliaia di richieste che «ci potrà aiutare a modificare alcune parti». A questo punto, senza cancellare il Piano, gli uffici torneranno ad analizzare le osservazioni e poi si riaprirà la discussione in aula. Quanto ci vorrà? De Cesaris assicura tempi rapidi. L’unica scadenza stringente per legge è il 31 dicembre del 2012, fissata dalla Regione per l’approvazione dei Pgt. «Ma noi non impiegheremo così tanto tempo» assicura l’assessore.

Per contestare la discussione lampo sulle osservazioni, decisa dalla giunta Moratti, e l’accorpamento delle richieste, un gruppo di consiglieri allora all’opposizione presentò ricorso al Tar. «Con gli uffici e gli avvocati del Comune - spiega la De Cesaris - invece di rischiare una pronuncia del Tar abbiamo ritenuto che questa fosse la scelta più opportuna. Indipendentemente dal ricorso, però, siamo convinti che ci fossero gravi lacune nel procedimento». Eppure, l’ex assessore Carlo Masseroli non solo critica la scelta, ma prefigura grane: «Attendo di vedere la delibera, ma temo che si apra una stagione di ricorsi e controricorsi che potrebbero essere presentati da chi ritiene di avere acquisito diritti. Questa scelta mi sembra di improbabile efficacia e un tentativo di mediazione tra chi, come me, vorrebbe vedere il Piano depositato e chi vorrebbe vederlo cancellato».

Plaude all’iniziativa, invece, il presidente di Legambiente Damiano Di Simine: «Bene fa Pisapia a mettere mano al Pgt, Trovo la scelta di ripartire dalle osservazioni un atteggiamento responsabile. Non bisogna buttare tutto ai rovi, ma ci sono alcune cose che devono cambiare in maniera sostanziale».

Meno cemento, più spazio al verde oltre 4.700 le ipotesi di modifica

di Teresa Monestiroli

Le più articolate sono senza dubbio quelle presentate da Legambiente, Libertà e Giustizia, Acli e Arci: sedici osservazioni per chiedere regole più certe, meno cemento, la salvaguardia del Parco Sud, più alloggi a basso costo e la tutela dei servizi pubblici al cittadino. Poi ci sono quelle presentate dai soggetti direttamente interessati, come gli imprenditori - Salvatore Ligresti, i Cabassi, Caprotti - , o i costruttori - Assimpredil - , le squadre di calcio - Inter e Milan - fino ai comitati di quartiere e ai singoli cittadini.

In tutto sono 4.765 le richieste di cambiamento del Piano di governo del territorio che ora Palazzo Marino ha deciso di riprendere in mano e discutere di nuovo, una ad una. Osservazioni al nuovo strumento urbanistico che avrebbe dovuto regolamentare, da qui al 2030, lo sviluppo della città e che lo scorso gennaio l’allora maggioranza di centrodestra scelse di accorpare in otto gruppi tematici detti "omogenei" - termine su cui si spesero ore di dibattito in aula - per arrivare all’approvazione del Piano entro i termini di legge, il 14 febbraio. Un metodo contestato dal centrosinistra che invece chiedeva di discutere le osservazioni singolarmente, eliminando solo i doppioni.

Ma cosa c’è scritto in quelle migliaia di pagine che gli uffici comunali hanno analizzato lo scorso autunno? Un po’ di tutto, dalle precisazioni pretestuose di chi ha cercato di boicottare il Pgt alle osservazioni di merito che chiedono sostanziali modifiche alle nuove regole. La maggior parte riguarda gli ambiti di trasformazione urbana, quelle aree in attesa di una radicale riqualificazione come gli ex scali ferroviari: il Comune ha catalogato in questo ambito 1.539 osservazioni, di cui solo 32 sono state accolte, anche solo parzialmente. Tutte quelle respinte rientrano nella categoria delle "proposte discordanti con lo strumento" perché, secondo l’amministrazione, mettono in discussione i pilastri su cui poggia l’intero Pgt.

L’altro maxi gruppo è quello che riguarda la perequazione, il meccanismo che permette lo spostamento delle volumetrie da una parte all’altra della città: in questo ambito sono state catalogate 1.366 richieste di modifica, solo 138 quelle accolte. Seguono, per grandezza, il gruppo dedicato ai servizi (606 osservazioni, di cui 550 non accolte), le infrastrutture e la mobilità (573, di cui 549 respinte), il verde (320, con 243 rifiutate), le varie (225, con 206 non accolte) e l’housing sociale (71 osservazioni con 69 rifiuti). In questo marasma di richieste i firmatari sono i più disparati. Ma quel che conta è che le risposte degli uffici comunali (le controdeduzioni) sono nella stragrande maggioranza dei casi negative. Solo 349 osservazioni, infatti, sono state accolte, e sono tutte annotazioni di carattere tecnico. Di sostanziale non è stato cambiato nulla, in nessuna direzione.

Il Comune, infatti, ha rifiutato sia la richiesta delle quattro associazioni (Legambiente, Libertà e Giustizia, Acli e Arci) di diminuire le volumetrie negli ex scali ferroviari per aumentare la quantità di verde e le case low cost, sia quella presentata da Ferrovie dello Stato (proprietario delle aree) che chiedeva esattamente l’opposto: la possibilità di costruire di più, di abbassare la percentuale di housing sociale e di rivedere la grandezza dei parchi. Sono state respinte anche le osservazioni di Ligresti e Cabassi, entrambi proprietari di aree strategiche per lo sviluppo dei prossimi anni: il Parco Sud e i terreni di Expo. In particolare, Ligresti contestava all’ex assessore Masseroli uno dei punti cardine del piano, lo spostamento delle volumetrie che sarebbero state assegnate al parco nell’area dell’ex Macello dietro Porta Vittoria. La risposta del Comune è stata negativa.

E proprio intorno alla questione del Parco Sud è ruotata la dura contestazione delle associazioni ambientaliste e del centrosinistra a Palazzo Marino. Una delle più sentite richieste era infatti quella di escludere i terreni del Parco dall’assegnazione di volumetrie. Il fatto che restasse il divieto di costruire nelle zone agricole, per loro, non era sufficiente a tutelare la zona e creava comunque dei pericolosi precedenti. Inoltre, per gli ambientalisti, le quantità di costruito previsto in alcune aree di trasformazione urbana strategiche come via Stephenson - la futura Défense milanese, nei sogni di Masseroli - e Cascina Merlata «sono davvero mostruosi» scrivevano.

Fra le migliaia di osservazioni che ora il consiglio comunale dovrà riprendere in mano ci sono anche quella presentata dal patròn di Esselunga, Bernardo Caprotti, che vorrebbe costruire un ipermercato alla Bovisa, quella di una cooperativa (La Liberazione) che chiede l’immediata bonifica della zona dietro Porta Vittoria e dell’apertura di un giardino temporaneo in attesa di conoscere le sorti della Biblioteca universale e quella di Inter e Milan che hanno contestato la destinazione d’uso dell’area davanti al Meazza stabilita dal Pgt in «infrastrutture viarie esistenti». Dicitura che, per loro, escluderebbe in futuro la costruzione di residenze ed edifici per l’intrattenimento.

Non sosterremo uno sviluppo astratto. Milano deve fare i conti con la realtà». Il nuovo assessore comunale all'Urbanistica, Lucia De Cesaris, al terzo piano di via Pirelli 39 si è subito messa al lavoro per risolvere la questione Pgt. Avvocato amministrativista, 51 anni, sa bene che gli operatori immobiliari attendono risposte certe sul destino del Piano di governo del territorio, approvato dalla giunta Moratti e in attesa di pubblicazione.

Ancora senza una scrivania (il predecessore, Carlo Masseroli, preferiva un tavolo per le riunioni), ha già incontrato il suo team di dirigenti: «Stiamo cercando di correggere alcuni errori che sono stati fatti. Entro la fine della settimana, dopo le verifiche di legittimità tecnica, comunicheremo la nostra scelta procedurale», spiega l'assessore, alla sua prima intervista dopo le elezioni. Dalla finestra può controllare di persona l'avanzamento del grande cantiere di Porta Nuova.

Crede ci sia stata una sovraprogrammazione edilizia negli ultimi anni a Milano?

Credo si sia un po' confusa la volontà di costruire una città moderna con la necessità di rapportarla alle esigenze reali dei cittadini e di chi la vive. Vediamo alcuni progetti, forse molto belli, ma che rischiano di rimanere in parte vuoti, per molto tempo. Stiamo costruendo case con valori inaccessibili ai cittadini medi. Amo la nuova architettura e le sfide urbanistiche, ma dobbiamo fare i conti con la realtà, e questa città si sta spopolando, proprio perchè per molti non è più accessibile. In giro per Milano si vedono una quantità di "Affittasi" che fa paura. Ci dobbiamo fermare un attimo e fare i conti con la crisi.

Parliamo del tanto discusso Pgt. Lo pubblicherete così com'è stato approvato?

In realtà quando abbiamo ricevuto la fiducia dei cittadini non vi erano ancora le condizioni per la sua pubblicazione. L'iter richiedeva ancora tutta una serie di sistemazioni e poi il passaggio procedurale in Regione. Ora l'amministrazione sta facendo alcune riflessioni: in accordo con gli uffici e la dirigenza vedremo se prima della pubblicazione è possibile apportare alcune correzioni. Non possiamo negarci che ci sono due ricorsi pendenti sul Pgt: se sarà possibile in qualche modo prevenirli faremmo un servizio all'amministrazione.

Pensate a una rivalutazione delle osservazioni?

Stiamo studiando la soluzione procedurale per fare in modo che questo piano venga approvato in modo legittimo, tendendo conto delle numerose osservazioni fatte e che non sono state valutate con la giusta attenzione. Rivalutando le osservazioni si potrebbero apportare alcune modifiche. Senza stravolgere il testo, il nostro interesse è arrivare comunque alla sua pubblicazione quanto prima.

Con questa procedura, però, non sono possibili modifiche sostanziali...

L'istituto delle osservazioni consente di riprendere in mano alcune problematiche e, comunque, di ricominciare un colloquio con la città. Sapendo che, poi, come accade in qualsiasi città moderna, dopo la pubblicazione del Pgt si aprirà un nuovo dibattito per migliorare ulteriormente le scelte territoriali. Gli operatori già lo sanno, perché la normativa prevede la modifica dell'indirizzo politico.

Doppio step, dunque: prima le osservazioni e poi, dopo la pubblicazione, inizierete a lavorare per una variante?

Quale sarà la mia scelta procedurale ancora non lo so. Forse, però, abbiamo trovato un iter possibile che consentirebbe di operare in modo ragionevole. Dobbiamo vedere se è possibile salvare questo piano, migliorandolo.

Cosa pensa di un superpiano integrativo, che detti delle priorità per i prossimi 5 anni?

Credo ci si possa lavorare. Anche perché noi abbiamo delle priorità. Dobbiamo risolvere il problema delle cittadelle universitarie, del rapporto con i servizi. Dobbiamo consolidare e preservare lo storico, ma dentro lo storico dobbiamo sostituire nel tempo ciò che non funziona e non è più operativo. Sicuramente dovremmo lavorare sulle priorità, stabiliremo insieme delle linee e degli obiettivi di intervento che consentiranno il miglioramento.

Intendete rimodulare gli indici edificatori?

Alcune cose effettivamente vanno sistemate. Spero addirittura di riuscire fin da ora a inserire delle misure che consentano il riequilibrio. Forse è possibile correggere anche lo strumento della perequazione in questa fase, dandogli dei riferimenti certi. Questo Pgt non verrà stravolto, ma corretto in base alle nuove linee programmatiche. Milano deve fare i conti con la difficoltà di assegnare alloggi nuovi e con la desertificazione di alcune parti della città. Su questo dobbiamo riflettere molto, introducendo poi elementi di qualità della vità, come un giusto rapporto tra l'abitato e il verde, e un giusto rapporto con i servizi.

Promette una città «a misura di bambino», dove «nessuno si senta solo o straniero». Una città «più verde e più vivibile» in cui il tema della sicurezza «rientrerà nel registro della normalità e non in quello dell´emergenza perenne». Una città «in cui non vi siano più abitanti senza casa e case senza abitanti» e che diventi «la capitale di un welfare che non lasci ai margini le persone anziane e quelle in difficoltà». È questa la Milano che il neo sindaco Giuliano Pisapia immagina per i prossimi cinque anni perché, spiega nel suo primo discorso alla città, «i milanesi hanno deciso di aprire una nuova stagione politica» e lui, insieme alla sua giunta, ha tutta l´intenzione di non deluderli. «Lavoreremo con impegno per ridare speranza a una Milano che vuole riprendere a crescere e alle famiglie che domandano nuove politiche sociali».

Sono le otto meno un quarto di sera quando Pisapia prende la parola nell´aula del Consiglio di Palazzo Marino di fronte alla nuova assemblea, insediatasi un paio di ore prima. Fra i banchi dei consiglieri, che hanno appena eletto Basilio Rizzo nuovo presidente dell´aula con l´appoggio compatto di tutta la maggioranza, solo due assenti: Riccardo De Corato per il Pdl e Francesco De Lisi per il Pd. In piedi, Pisapia scandisce le promesse del suo mandato. «Milano vuole ritrovarsi di nuovo unita intorno a un obiettivo comune - spiega - , vuole trasformare il sogno in realtà, vuole tornare a essere la capitale morale ed economica del nostro Paese». Per questo Pisapia si impegna a siglare un «nuovo patto per la città», definendo quella appena aperta «una legislatura costituente».

Un discorso ampio in cui, dopo aver ringraziato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il cardinale Dionigi Tettamanzi, il sindaco annuncia un vero e proprio cambio di passo rispetto alla precedente amministrazione: «Riprenderemo in mano le osservazioni al Piano di governo del territorio presentate dai cittadini», «tradurremo in atti di governo» gli indirizzi espressi dai milanesi ai cinque referendum ambientali, «rilanceremo i Consigli di zona e le scuole civiche». Fino alla stilettata conclusiva sulla disastrosa situazione economica del Comune: «Il primo esame conferma quanto già i revisori del Comune di Milano avevano rilevato e cioè che dal controllo sugli equilibri di bilancio emerge un andamento assai negativo delle entrate, che compromette l´equilibrio di bilancio sia di parte corrente che dei saldi utili ai fini del rispetto del patto di stabilità». E in materia di bilancio, ricorda che la sua squadra non avrà più auto blu, ma solo «piccole utilitarie in condivisione, utilizzate con la dovuta sobrietà» perché la scelta è quella «di rinunciare a quei piccoli privilegi che hanno contribuito a un fossato tra cittadini e i loro rappresentanti».

Alla fine l´aula, almeno la parte della maggioranza, applaude fragorosamente. «Siamo orgogliosi di vedere il centrosinistra al governo dopo 20 anni - commenta Carmela Rozza, nuovo capogruppo del Pd - . Lo spirito con cui affronteremo la nuova legislatura sarà quella del dialogo». Il grillino Mattia Calise, alla sua prima seduta, porta avanti i temi cari ai suoi sostenitori chiedendo «la diretta Internet non solo del Consiglio ma anche dei luoghi dove si prendono le decisione, come le commissioni consiliari». Manfredi Palmeri promette «una opposizione senza pregiudizi, ma che entri nel merito di tutte le questioni che interessano la città», mentre Matteo Salvini, capogruppo della Lega, attacca: «Pisapia comincia male prendendo in giro i milanesi con una bugia enorme sulle auto blu. Grazie alla Lega erano già state tolte, se si vuole fare di più che la giunta si impegni ad andare in metropolitana».

A Londra si accettano scommesse. Si farà davvero l'Expo a Milano nel 2015? Le quote di gioco cambieranno mercoledì prossimo, quando il segretario generale del Bie Vicente Lascertales sarà in Italia "per fare chiarezza", visto che in questi anni "si è fatta troppa confusione". Anni sì, perché dal 31 marzo del 2008, giorno in cui l'Italia si aggiudicò l'esposizione contro Smirne, nel generale tripudio, sono ormai passati quasi 1.200 giorni di scontri, ricatti, furbizie, lotte di potere. Regione contro Comune, Formigoni contro Moratti, Tremonti, scettico fin dall'inizio, contro tutti, restio ad aprire i cordoni della borsa dinanzi a una simile baraonda. E Berlusconi interessato soltanto a controllare, attraverso gli uomini disastrosamente delegati all'inizio della partita e rapidamente bruciati, l'utilità dell'Expo per i suoi interessi immobiliari in Lombardia. Sullo sfondo gli interessi monetari: prima ancora degli investimenti miliardari previsti, boccone ghiotto per la 'ndrangeta, il valore dei terreni su cui sorgeranno gli impianti dell'Expo, un milione di metri quadri, che frutteranno 50 milioni alla famiglia Cabassi e 120 alla Fondazione Fiera, oltre agli indici di edificabilità per il dopo.

Troppo poco o troppo, come ritiene il neo assessore della giunta Pisapia Stefano Boeri, che vorrebbe rivedere gli uni e gli altri ? Su questo aspetto è in atto una bella diatriba con l'amministratore delegato dell'Expo Giuseppe Sala. E il nuovo sindaco si trova già tra le mani un fuocherello che rischia di diventare un incendio per la giunta arancione, salutata come l'evento che cambierà l'intero destino politico dell'Italia liberandoci dopo tre lustri dal berlusconismo.

Per gli scommettitori sono suonate come campane a morto le parole del presidente della Commissione del Bie Steen Christensen: se non si perfeziona l'acquisto, chiudendo anche quello delle aree di alcuni piccoli proprietari, se non partono subito le gare e se non cominciano i lavori entro ottobre nei siti previsti, "se ne dovranno trarre le conseguenze". Una formula che si può tradurre: "Expo di Milano addio".

La grana è così acuta che il presidente della Lombardia Formigoni, la cui religione oltre a quella di Comunione e Liberazione è quella del potere, sta riflettendo se gli conviene prendere il ruolo di commissario al posto della dimissionaria Letizia Moratti o se la faccenda può trasformarsi in un boomerang per il suo sogno a occhi aperti: succedere a Berlusconi a palazzo Chigi. Tanto più che oltre alla questione dell'acquisto dei terreni, dei finanziamenti che Tremonti non vuole sganciare, delle gare e dell'inizio dei lavori tra poco più di novanta giorni, l'architetto Boeri, iniziale progettista, non ha mollato sulla sua idea iniziale di un "orto planetario" nel quale i paesi partecipanti dovrebbero coltivare dall'inizio alla fine dell'Expo i loro prodotti per esporli. Sala non ne vuol sapere, preferisce le future cementificazioni. Ma questa è una partita interna al centrosinistra che dovrà giocarsi tutta il sindaco arancione Giuliano Pisapia. Un altro prezioso indizio per gli scommettitori londinesi.

La domanda sarebbe stata: «In che rapporti è con lo studio Nespor (che ha firmato i ricorsi contro il Pgt)? Non teme che qualcuno sventoli il conflitto di interessi?» . Ma Ada Lucia De Cesaris, neo assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata, non lascia il tempo di articolarla. Gioca d’anticipo e stoppa con quattro parole le polemiche presenti e future.

«Non siamo soci di studio» .

Non per niente è avvocato. E aggiunge:

«Non nego che da due anni condividiamo i locali dello studio, dividiamo l’affitto, e che in alcune vicende che riguardano alcuni ricorsi siamo stati insieme in mandato» .

In tema di ricorsi contro il Pgt?

«Non ero nella squadra che ha ricorso contro il Piano di governo del territorio, né mi è stato chiesto di esserci. Non facevo il politico ma l’avvocato. E sono amministrativista, quindi ciò che mi interessa è capire se un provvedimento è legittimo oppure illegittimo. Difendo e ho difeso molte amministrazioni, anche amministrate dalla destra, come il Comune di Brescia, da molti anni. E anche molte imprese. Ho una lunga storia di consulenza con Assolombarda» .

Assessore bastano un acronimo, Pgt, e una sigla, Expo, per capire che dai suoi uffici passerà lo sviluppo della città. Quanto tempo ha riflettuto prima di accettare l’incarico?

«Ventiquattro ore. E da quel momento ho smesso di dormire. Ma nella vita mi occupo di diritto amministrativo, perché mi piace la macchina amministrativa, e per chi ha una formazione come la mia questa un’occasione straordinaria. Come si fa non partecipare, a tirarsi indietro?» .

La macchina amministrativa però non ha un grande appeal sui cittadini.

«Ha molti difetti, ma è una macchina straordinaria e può funzionare bene. Credo molto nella possibilità che possa garantire la qualità della vita delle persone» .

Uno dei suoi obbiettivi prioritari?

«Garantire che gli interventi siano fatti nel totale rispetto delle leggi. Costruendo la semplificazione senza tuttavia rinunciare ai controlli. Non dobbiamo avere paura della semplificazione, ma non deve diventare un alibi per non controllare» .

Il tema dei ricorsi sul Pgt è bollente. Preoccupata?

«No, lo affronteremo. E se l’amministrazione precedente ha compiuto degli errori noi li correggeremo» .

Un secondo dopo la pubblicazione del Pgt nell’albo pretorio e in gazzetta. Come superare l’inevitabile empasse?

«Prenderemo una decisone dopo aver approfondito ogni questione» .

Quale delle due ipotesi, non pubblicarlo o ritirarlo, ritiene più verosimile?

«Sono possibili diverse soluzioni» .

Quindi?

«Troveremo la giusta via, sceglieremo la soluzione che riterremo migliore. Cercheremo di fare ciò che è nell’interesse del territorio e della collettività, anche tenendo conto delle esigenze degli operatori privati» .

Tra i suoi interlocutori ci saranno gli imprenditori.

«Abbiamo bisogno degli imprenditori di questo settore, insieme a loro dobbiamo costruire una città bella, vivibile e moderna. Anche loro devono essere tutelati. E proprio per questo l’amministrazione deve funzionare bene, avere regole certe. Se elimineremo ciò che impedisce il buon funzionamento della macchina, ne avranno agio tutti, e quindi anche gli operatori economici del settore» .

Postilla

Si spera che la cautela del neo assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata non nasconda un pesante passo indietro rispetto agli impegni assunti dal sindaco Pisapia nella campagna elettorale. Ricordiamo quando affermò che «un gruppo di lavoro molto robusto - uno di quelli della mia officina - che raccoglie grandissime professionalità del mondo dell’università e del lavoro», stava già lavorando al nuovo Pgt, il quale sarebbe stato pronto in sei mesi su basi radicalmente alternative a quelle dominanti nel Pgt Moratti (si veda la sua intervista intitolata da la Repubblica, il 29 gennaio scorso, In sei mesi faremo un nuovo piano per i cittadini, non per i poteri forti”) .

Se nessuno ha indotto Pisapia a cambiare idea, sembra ovvio che il Pgt, approvato dal disciolto consiglio comunale con procedure di dubbia legittimità e indiscutibile frettolosità, non deve essere ratificato dalla nuova maggioranza, né quindi pubblicato sul BUR. Altrimenti sarà chiaro che gli “imprenditori” cui si riferisce Ada Lucia De Cesaris non sono quelli che mirano al profitto ottenibile dalle attività costruttive, ma semplicemente i soliti immobiliaristi pronti a guidare le decisioni pubbliche per mietere rendite sempre più alte.

Stefano Boeri, coordinatore degli architetti che hanno elaborato il masterplan di Expo 2015, vota sì al terzo quesito dei referendum ambientali milanesi, quello che chiede "la conservazione integrale del parco agroalimentare" che sarà realizzato sul sito dell´Esposizione universale. Perché?

«Un investimento pubblico di grande rilievo come quello previsto per Expo deve potersi trasformare in un regalo per la città e il territorio milanese. La realizzazione di un parco agroalimentare sarebbe la migliore eredità che l’Esposizione può lasciare a Milano, non solo come risorsa ambientale, ma anche culturale, turistica e produttiva».

L’intesa tra il neosindaco Giuliano Pisapia e il presidente della Regione Roberto Formigoni di procedere con la newco per acquistare i terreni da Fondazione Fiera e Cabassi va in questa direzione?

«Nel dossier di Expo la somma delle costruzioni permanenti arrivava a un tetto massimo di 220mila metri quadrati, che equivale a un indice di edificazione di 0,2, una cifra ragionevole. Ora la valutazione di vendita delle aree è stata fatta su un indice di 0,52 che farebbe crescere le volumetrie a 720mila metri quadrati. Mi pare una strada diversa da quella di costruire un grande parco agroalimentare da lasciare a Milano».

È ancora possibile cambiare rotta?

«Certo. Per questo invito tutti i milanesi a votare sì al terzo quesito dei referendum in modo da dare un segnale chiaro: correggere ogni ipotesi di stravolgimento del progetto originale ed eccessiva costruzione».

Si riferisce alla decisione di abbandonare l’idea iniziale di orto planetario?

«La scelta recente della società Expo di cambiare il progetto rende difficile realizzare il parco un domani».

Come dovrebbe essere questo parco agroalimentare?

«Lo immagino come un parco che in larga parte mantiene le caratteristiche del progetto presentato e approvato a novembre scorso al Bie di Parigi. Una zona di serre bioclimatiche dove si fa ricerca e divulgazione sul rapporto tra agricoltura e natura, e un’area di coltivazione dove al posto delle filiere dei 130 paesi ospiti di Expo ci saranno le 21 regioni italiane con i loro prodotti. Questa come base di partenza su cui si possono costruire diverse iniziative».

Per esempio?

«La cosa più bella sarebbe trasformare i lotti di terreno coltivato in luoghi per mostrare le eccellenze delle filiere italiane e come location per un Salone internazionale dell’agroalimentare che potrebbe svolgersi in ottobre, come contraltare del Salone del mobile di aprile. Sarebbe un’occasione per far venire ogni anno il mondo dell’alimentazione a Milano, favorire il commercio e i rapporti internazionali. Si potrebbe pensare anche a un fuori salone che coinvolga la ristorazione e il sistema del commercio».

Fare di Expo un evento permanente, quindi?

«Perché no? Un parco agroalimentare sarebbe un’attrazione in ogni giorno dell’anno».

Chi dovrebbe gestire il parco? E con quali risorse?

«Durante la stesura del masterplan abbiamo fatto uno studio attento del mercato e abbiamo già attivato i contatti con alcuni gestori di parchi a tema. In Cornovaglia, per esempio, c’è un parco simile, l’Eden Park, che registra un milione e mezzo di visitatori l’anno ed è in capo al mondo. Per la parte invece degli orti regionali credo che non sarà difficile trovare la collaborazione degli enti locali».

Il Parco Agricolo Sud è minacciato dalla speculazione Il Fondo ambiente italiano in campo per salvarlo - Sentieri segreti, corsi d´acqua e antiche abbazie in un´area di quasi 50mila ettari - Una lettera di Pisapia: "Cari amici, difendiamo insieme questo tesoro"

C´è uno straordinario immenso parco agricolo, ricco di cascine, abbazie, vecchie stalle e antichi fontanili, piccoli centri storici, corsi d´acqua, sentieri segreti e meravigliosi campi coltivati, praticamente sconosciuto nonostante si trovi alle porte di Milano. E che proprio per questo potrebbe diventare un modello europeo di parco agricolo culturale periurbano, in vista dell´Expo 2015 il cui tema è «Nutrire il pianeta. Energia per la vita».

A lanciare la sfida perché i 47 mila ettari del dimenticato Parco Agricolo Sud, che comprende 61 comuni della provincia di Milano, capoluogo compreso, vengano valorizzati e soprattutto difesi, con il lancio di un grande progetto di riscoperta, battezzato «La strada del latte e dei formaggi», è il Fai, il Fondo Ambiente Italiano, appoggiato dalla maggioranza dei sindaci della zona. «Grandi pericoli incombono su questo gioiello ambientale, che miracolosamente si è salvato fino ad oggi, nonostante la vicinanza con la città - denuncia combattiva Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onorario del Fai - Primi fra tutti le cosiddette «infrastrutture»: un´immensa nuova tangenziale esterna, bretelle autostradali, strade, autostrade, raccordi. Sarebbe la fine del parco agricolo, la sua frantumazione, il disfacimento del suo tessuto, l´impossibilità di disporre di aree omogenee. Per non parlare dell´inquinamento ai bordi dei campi coltivati».

La fondatrice del Fai ce l´ha in modo particolare col presidente berlusconiano della Provincia, Guido Podestà, che ha giustificato i nuovi progetti autostradali dichiarando: «Il parco Agricolo Sud non è un totem». «Si sbaglia di grosso - tuona Giulia Maria Mozzoni Crespi - Questo parco invece deve diventare proprio un totem per Milano. Il simbolo di un paesaggio finalmente da salvare». Una posizione ambientalista che sembra godere dell´appoggio del nuovo sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha inviato ieri una lettera significativa: «Cari amici del Fai, difenderemo insieme il Parco Sud dalla speculazione, dalla cementificazione, da un modello vecchio di sviluppo economico basato sul consumo indiscriminato di quanto abbiamo di più prezioso».

Sabato 1 e domenica 2 ottobre prossimi partirà il progetto quinquennale "La strada del latte e dei formaggi" in collaborazione con Expo 2015 spa e Cia Lombardia, la Confederazione italiana agricoltori, che accompagnerà i cittadini con eventi e iniziative dedicate, fino al 2015, per valorizzare le attività agricole tipiche, aprire alla visita le cascine, far apprezzare i prodotti, promuovere una rete di piste ciclabili nella zona e sostenere la cultura del territorio. Sarà possibile conoscere lo straordinario sistema delle acque del parco. Una rete di rogge derivate dai navigli e dal canale Villoresi. E poi gli antichi fontanili, ecosistemi unici e preziosi sia dal punto di vista ecologico che da quello storico-culturale.

MILANO - Due faldoni di delibere. Sono decine di progetti, di tutti gli assessorati e arrivati a diversi stadi di avanzamento, su cui il nuovo sindaco Giuliano Pisapia dovrà ora mettere mano: per decidere se confermare le intenzioni della giunta precedente e, soprattutto, verificare che in cassa ci siano i soldi per sostenerli.

Come il lavoro, avviato assieme alla Camera di Commercio, per la Galleria: in marzo, la giunta Moratti ha dato il via libera al bando che affida in concessione per 18 anni a un unico gestore la superficie lorda di circa 5 mila metri quadrati della zona di via Foscolo, da McDonald's (cui non è stato rinnovato il contratto di affitto) ai palazzi in parte ancora abitati. L'idea è di pensare uno sviluppo in verticale, sfruttando anche i piani alti e affidandosi ad un solo gestore: al bando hanno risposto Apple, Prada e Gucci. In teoria va costituita una commissione che valuti le proposte.

Altro progetto è quello del cambio di molte sedi del Comune, oggi sparse in diversi immobili, che andrebbero trasferite negli immobili di viale Jenner o in via Bernina: lì traslocherebbero gli uffici attualmente dislocati in largo Treves, in via Porpora e in via Santomaso. E farebbero gli scatoloni anche i vigili urbani, perché uno dei progetti per recuperare entrate era quello di mettere in vendita l'immobile di piazzale Beccaria, storica sede dei ghisa.

E i parcheggi? In campagna elettorale,Pisapia ha annunciato che non si realizzeranno quelli di piazza Sant'Ambrogio e di piazzale Lavater. Ma gli impegni con i costruttori sono molto avanzati e quindi inevitabilmente si arriverà a contenziosi legali: qualcuno ha già stimato che questa decisione potrebbe costare al Comune una decina di milioni di euro.

La Moratti aveva anche dato grande risalto al progetto per il wi-fi, che del resto è stato anche uno dei punti di forza della campagna elettorale del centrosinistra. È partita la sperimentazione di piazza Duomo, che dovrebbe espandersi sulla città: ma il centrosinistra potrebbe rispolverare il progetto presentato a inizio legislatura.

Altro tema è quello delle politiche sociali. I bilanci del Comune dimostrano che dal 2007 ad oggi in questo settore sono stati investiti circa 800 milioni di euro in più all'anno, con l'ampliamento dei custodi sociali, la distribuzione a pioggia dei buoni bebè, dei buoni libro per i ragazzi che frequentano le medie e così via. Pisapia manterrà inalterati i servizi, considerata la crisi del bilancio?

Cultura. L'architetto Daniel Libeskind sta preparando il progetto esecutivo per il Museo dell'Arte Contemporanea che, come ha sostenuto la Moratti prima di lasciare il suo ufficio, Pisapia potrà inaugurare a costo zero. In realtà ci sono sempre le spese di allestimento e di gestione: stesso problema per il Museo delle Culture del Mondo, che sta nascendo nell'area ex Ansaldo su progetto dell'archistar inglese David Chipperfield e che dovrebbe essere inaugurato nel 2012: ma chi si occuperà (e come si pagheranno) gli eventuali allestimenti?

Le incognite sono decine: che fine farà il progetto di riqualificazione della piscina Caimi, che dovrebbe nascere dall'intesa fatta con la Fondazione Pier Lombardo? E il progetto di Sogemi (un piano industriale da 45 milioni di euro, già passato in consiglio) per riqualificare i mercati? E l'ipotesi di ampliare il Castello con ristorante e la ristrutturazione del Cortile della Rocchetta per rimettere a nuovo l'intera area? E Palazzo Dugnani che sarebbe dovuto essere concesso alla Camera della Moda? E l'Arengario-due, ovvero la realizzazione di una nuova struttura di fianco al Museo del Novecento con un passaggio sotterraneo? E il futuro del Parco delle Cave, ora che, eliminata Italia Nostra per la gestione di Boscoincittà, è in prorogatio l'accordo fatto con alcune associazioni a titolo sperimentale? Per non dire delle municipalizzate. Lasciando perdere i grossi nodi di A2A, Atm e Sea, entro il 2011 si deve decidere cosa fare di Milano Sport e di Milano Ristorazione: la normativa sui servizi pubblici locali prevede che o si mette a gara il servizio o si vende almeno il 40 per cento delle quote. Cosa deciderà il sindaco Pisapia?

postilla

Correttamente, mentre la gran parte della stampa nazionale e non (compresa la nostra legittima curiosità) si esercita nel toto-assessori, questo elenco delle questioni aperte prova a toccare un terreno più solido, almeno per capire se tira un venticello nuovo nell’idea di città, oppure se la tendenza più forte sarà una specie di business as usual rivestito di facce, toni, e slogan un po’ diversi.

Si nota come quasi tutti i “progetti” citati abbiano una forte valenza generale, per nulla simbolica: tanto per usare il primo caso, la trasformazione della Galleria da salotto di tutti i milanesi a shopping mall privatizzato non è esattamente un dettaglio insignificante, da derubricare a metodo più o meno efficiente di sfruttare economicamente gli immobili comunali. E gestirla e presentarla in questo modo potrebbe indurre a pensare a un approccio da “amministratore di condominio”, di cui non si sentiva il bisogno in modo particolare. Ovvero: che politica commerciale si intende perseguire per la città? Gli spazi, i tempi, l’accessibilità, la composizione dell’offerta, il rapporto col tessuto fisico e sociale, l’equilibrio fra centro e periferia, tutto si può ben riassumere (simbolicamente ma non solo) nel modo in cui sarà gestito il progetto Galleria.

Secondo caso quello dei progetti di parcheggi, che sarebbe da ciechi leggere esclusivamente come singoli interventi, casi più o meno eclatanti di sfregio estetico o impatto sulla qualità abitativa e simili. Non si possono leggere così, nella città del megatunnel, delle piste ciclabili taroccate, dei mezzi pubblici fantasma, dell’ecopass evanescente o solo punitivo. Ovvero: che si vuol fare della mobilità (la stessa per accedere al commercio di cui sopra)? Andare a pezzi e bocconi, magari con un po’ di attenzione in più alle proteste dei cittadini, o iniziare a pensare localizzazioni funzionali e flussi multimodali in modo più organico? Difficile non riuscire a far meglio della coppia comica Masseroli-Moratti, che verniciava biciclette sui marciapiedi spiegando ai pedoni che dovevano farsi da parte e lasciar spazio ai ciclisti, perché di ridurre la sezione stradale non se ne parlava proprio!

Infine, nella miriade di questioni aperte su completamenti e gestioni, si legge chiaro il ruolo più o meno attivo dell’amministrazione nel garantire una città viva, non solo nella libertà di far quattrini. Verde e cultura esistono davvero, anche nei quartieri, non solo nei comunicati stampa da mandare alle agenzie specializzate in ratings. Se c’è un’idea di città, insomma, deve battere anche piccoli colpi visibili. E se non c’è sarà meglio farsela venire (f.b.)

Demolito l’avversario, occorre ricostruire la città e consolidare una comunità rimasta allo sbando per troppo tempo. Giuliano Pisapia deve stare attento: lo attende una opposizione dura, accanita, aggressiva. Alla quale deve saper far fronte con equilibrio e moderazione. Lo ha capito bene Bersani, nel discorso poco trionfalista pronunciato subito dopo la vittoria: pacato e conciliante, seppure fermo e deciso; volto a spirito di collaborazione e non di contrapposizione.

Pisapia deve stare fermissimo nella difesa degli obiettivi politici, ma nello stesso tempo essere disposto a dialogare con tutte le forze cittadine pronte a dare il loro contribuito. Fermissimo nel condannare il disastroso Piano di governo del territorio, ma disposto a concordare un nuovo sviluppo urbanistico, meno dissennato del precedente, con tutti i costruttori e gli operatori immobiliari della città. Questi eserciteranno forti pressioni per difendere le enormi quantità di metri cubi consentiti dal Piano attuale.

Pisapia all’inizio aveva detto che il Pgt sarebbe stato rifatto integralmente; ma alla fine, con nostro dispiacere, ha soggiunto che verrà modificato solo parzialmente. Un cedimento? Ora deve instaurare al più presto un accordo con i costruttori e far loro capire che la nuova amministrazione non rappresenta un pericolo né una minaccia per le loro attività. Essa si pone solo l’obbiettivo di indirizzare l’edificazione verso obiettivi più realistici e sani: meno case di lusso, più case sociali, meno opere faraoniche, come il tunnel Rho-Linate, e più opere urgenti, come i sovrappassi stradali negli incroci congestionati, i parcheggi periferici nei nodi di interscambio, i centri sociali e gli asili-nido nelle zone di periferia.

Dal momento che costruttori e operatori immobiliari sono forze di lavoro produttive, dalle quali dipendono le attività di molti collaboratori, fornitori, dipendenti, assumere verso di loro una ostilità preconcetta sarebbe un grave errore. Così come sarebbe un brutto atteggiamento da parte loro non accettare la mano tesa del sindaco. Se si intende attuare il lodevole proposito di dialogare con gli abitanti, occorre prepararsi ad ascoltare anche quelli di orientamento politico diverso o opposto. Prima di essere il rappresentante di un partito il sindaco è sindaco di tutti i cittadini. Così come un padre saggio è sempre pronto ad ascoltare e, se possibile, accontentare tutti i suoi figli, perfino quelli che stima meno, allo stesso modo un bravo sindaco deve essere sempre pronto a prestare attenzione e capire la ragioni di tutti i suoi concittadini, anche di quelli che sente meno vicini.

Una regola di comportamento non difficile da mettere in pratica: basta fare il contrario di ciò che ha fatto il sindaco precedente.

Nota: su questo sito ormai da anni si accumulano le osservazioni anche di carattere puntuale su cosa non va nel "manico" dello strumento di programmazione territoriale milanese. Alla vigilia delle elezioni abbiamo anche provato a fare il punto e questo è il risultato (f.b.)

Sulla città brechtiana dove tutto era permesso con il denaro, malgovernata da lustri dalle lobby neo-feudali incardinate nelle riunioni del lunedì ad Arcore, dove i vassalli collezionavano i pizzini del sovrano, ha soffiato il nuovo Vento del nord.

IL VENTO che porta a palazzo Marino Giuliano Pisapia, aspirante tardo epigono del riformismo ambrosiano. "Adesso mi aspetto il 25 luglio 1943, la data del Gran Consiglio del Fascismo che disarcionò Mussolini", esulta Piero Bassetti, primo presidente democristiano della regione Lombardia, che si è speso in campagna elettorale con il Gruppo del 51 (per cento), la cosiddetta borghesia illuminata rediviva, non solo contro la cricca spregiudicata che ha governato la città nel quinquennio del grande bluff di Letizia Moratti, ma per restituire a Milano il ruolo anticipatore di tutte le grandi svolte politiche del paese: il fascismo, la resistenza, l´immigrazione, il centrosinistra, il boom economico, il craxismo, infine il berlusconismo. «Quello che oggi pensa Milano - diceva Gaetano Salvemini - , domani lo penserà l´Italia».

Sarà Bossi il Dino Grandi del Terzo millennio o il Pdl imploderà da solo? Quel che è certo è che si profila qui, come a Napoli, a Cagliari, a Trieste, un nuovo blocco sociale. «Non solo tra i borghesi e gli intellettuali, ma tra i giovani, i ceti popolari, i disoccupati, l´associazionismo, i cattolici, per ricostruire questa città e questo paese dati in appalto per troppo tempo all´affarismo coniugato con l´incompetenza al potere», preconizza il neo-sindaco, che festeggia a piazza Duomo, in una Milano estiva che stasera sembra liberata da una "introversione regressiva". Così la chiama l´urbanista del Politecnico Matteo Bolocan, che denuncia l´anarchia urbanistica come l´unica cosa visibile di vent´anni di governo della destra.

A poche centinaia di metri dai festeggiamenti per Giuliano, come tutti ormai lo chiamano, svettano gli scheletri dei grattacieli di Garibaldi, di fronte a quello già imbellettato eretto da Roberto Formigoni a eterna icona del potere suo e dell´affarismo di Cl e della Compagnia delle Opere. La nuova stirpe dei «grattacielari» senza un disegno, se non quello dello sfruttamento della "leva finanziaria", cioè l´indebitamento con le banche, si è impossessata degli spazi lasciati vuoti dall´industria qui in centro e un po´ più in là, dove sorgeva la storica Fiera. Se la Moratti fosse stata rieletta sarebbero stati subito in ballo col nuovo Piano di Governo del Territorio altri 35 milioni di metri cubi, 100 nuove torri, o addirittura 341 secondo l´ambientalista Michele Sacerdoti. Si chiama "ridensificazione" la filosofia dell´assessore uscente Carlo Masseroli, 700mila abitanti in più vagheggiati per la città, con un tasso di densità che passerebbe da 7 a 12mila abitanti per chilometro quadrato, secondo il conto fatto dai tecnici di Milly Moratti, la cognata dell´ex sindaco. Peccato che non si venda o non si affitti un solo appartamento, i metri cubi si scambiano soltanto tra speculatori e banche come le figurine dei calciatori. Quando non sono grattacieli, sono loft negli ex capannoni industriali dismessi. Ce ne sono 70mila illegali, come quello dedicato a Batman dal figlio dell´ex sindaco Moratti, forse timorata di Dio e anche moderata, ma strumento malleabile nelle mani di un comitato d´affari con sede ad Arcore e con ciambellani del calibro di Bruno Ermolli, il Gianni Letta ambrosiano.

La "Peste di Milano" l´ha chiamata in un suo libro Marco Alfieri, una peste fatta di affarismo, ciellismo, berlusconismo, leghismo, avventurismo e trasversalismo del malaffare, che non nega neanche Bobo Craxi, figlio dell´inventore della Milano da bere, che con Tangentopoli aprì le porte al berluscoleghismo, dopo anni di riformismo che aveva fatto di Milano la capitale morale del paese: "Quando non c´è più la politica - dice - confliggono soltanto gli interessi". I protagonisti sono sempre gli stessi: Ligresti, estensione d´affari della famiglia La Russa oberato da miliardi di debiti, ma che - ci si può giurare - non faranno fallire, i Cabassi, venditori dei terreni dell´Expo ed acquirenti delle aree della famiglia Berlusconi a Monza. L´oggetto le aree edificabili, i tunnel, le metropolitane, la sanità. «Un´intera oligarchia adesso travolta dal voto», secondo Nichi Vendola, che, liquidati gli affaristi ambrosiani, sbeffeggia «la volgarità dei raffinati intellettuali della Magna Padania».

Poi, con i grattacieli e gli appalti, le fondazioni bancarie, la Scala, i musei, una cassaforte di 22 società partecipate, 70 altri enti e fondazioni con 3 miliardi di patrimonio e 13mila dipendenti, che si aggiungono ai 16mila comunali. Il gas, l´acqua, le fognature, i trasporti, la sanità. Migliaia di poltrone lottizzate tra Pdl, Cl e Lega in modo scientifico, come neanche erano riusciti a fare democristiani e socialisti. Milano in questi anni ha subito persino l´onta di Cesare Geronzi nella poltrona che fu di Enrico Cuccia, che anche la borghesia illuminata accettò senza battere ciglio.

«Non faremo prigionieri», proclamò l´avvocato Cesare Previti dopo una delle prime vittorie elettorali di Berlusconi. A Milano di prigionieri negli enti non ne hanno lasciato neanche uno, salvo quelli - non pochi - che negli anni si sono autoreclusi, facendo il salto della quaglia verso il potere pervasivo del berlusconismo. Pisapia, pur dolce e gentile, non sembra che intenda fare prigionieri.

Ma l´insipienza del berlusco-morattismo è stata certificata oltre ogni legittimo dubbio dalla vicenda dell´Expo 2015. Sono passati 1.160 giorni da quando Milano strappò a Smirne l´esposizione. Troppo pochi per il partito del "fare e dell´amore" che si è scannato pubblicamente in una rappresentazione fatta di dilettantismi, incapacità, tradimenti, imboscate, conquista di poltrone e prebende, sotto la regia dei signori del cemento, cui hanno assistito annichiliti i membri del Bureau International des Expositions. Il risultato è ad oggi zero. Del resto, la vicenda era nata sotto una pessima stella. L´azione di lobbying sugli altri paese del Bie, indovinate da chi era cominciata? Dalla Libia del colonnello Gheddafi e dall´Egitto di Mubarak, i due dittatori spazzati via poco dopo.

Ai milanesi non piace farsi prendere per i fondelli, dopo vent´anni di promesse al vento e di fuffa che l´economista Marco Vitale considera offensiva: «I musulmani, la Moschea, gli attacchi al cardinale Tettamanzi. Hanno trattato i milanesi da deficienti». «Cinquecento sgomberi di Rom ha fatto il vicesindaco De Corato», ha calcolato il neo-sindaco. «Risultato: ha speso 7 milioni e non ha risolto, ma ha aggravato il problema». Nel frattempo, un negozio milanese su cinque paga il pizzo alla ‘ndrangheta, che ha già allungato le mani sugli appalti per l´Expo, nella sostanziale indifferenza della giunta, del Consiglio comunale e anche del ministro dell´Interno Maroni. Cacciare gli immigrati, del resto, «significherebbe tagliare il 10 per cento dell´economia e mandare definitivamente a fondo Milano, una sciocchezza senza pari», avverte Bassetti.

Missione ardita per Giuliano, di fronte a quella che è stata definita la sindrome dello "sconfittismo di sinistra". A piazza del Duomo, Vendola inneggia stanotte ai "fratelli musulmani". Forse un lessico un po´ forte per una città che rimane moderata. Ma infiamma la piazza con le parole: «Ora prenderemo palazzo Chigi».

a. staterarepubblica. it

"Il Pgt, che ora è realtà cambierà le nostre vite"

di Carlo Masseroli

Ho iniziato il mio lavoro di assessore all’Urbanistica cinque anni fa e ho incontrato cittadini, comitati, associazioni, imprese profit e no profit. Tutti si chiedevano perché non accadesse quella o quell’altra cosa, perché agli annunci letti non seguissero fatti, perché a servizi attesi o promessi non corrispondessero azioni concrete. Ho capito così la necessità di nuove regole per una città vivibile, libera e solidale. Il Piano di governo del territorio è nato per questo. La città, come ha ricordato il nostro arcivescovo nel "Discorso alla città" nella solennità di Sant’Ambrogio, è fatta di persone oltre che di case, è collegata da relazioni prima che da strade, illuminata dall’energia della solidarietà prima che dai cavi dell’elettricità.

È questa sfida la vera ambizione del Piano, sintetizzata nel titolo: Milano per scelta. Poter dire e sentir dire con convinzione io scelgo Milano. Scelgo Milano per vivere, per far crescere i miei figli per il mio business, per studiare, per divertirmi, scelgo Milano! Questo è il cuore del Piano, non ‘solo’ un piano urbanistico, ma un nuovo sistema di welfare. Provo a spiegarmi meglio: il principio di queste nuove regole è "Se scatena l’iniziativa delle comunità, dovremmo farlo. Se la ammazza, non dovremmo". E il risultato dell’applicazione di questo principio è in quattro fotografie, che possono ben rappresentare la Milano che continueremo a costruire.

Una casa per tutti. Perché tutti possano partecipare alla crescita della nostra città c’è bisogno che anche tu possa trovare una casa adeguata alle tue esigenze. Per questo il Pgt prevede di liberare le energie di chi sceglie Milano per accrescere le possibilità di viverci: dal mondo cooperativo alle banche, dalle istituzioni pubbliche e private ai singoli imprenditori. Case per studenti e residenze temporanee per professionisti; case in affitto, a riscatto o da comprare, con agevolazioni per giovani coppie, famiglie numerose, anziani, persone sole. Case in classe A, attente all’ambiente, al risparmio energetico e pensate per essere belle da vivere e da vedere. Perché tutti possano scegliere di vivere a Milano.

Nuovo verde. Grazie al Pgt, cinque nuovi parchi entro il 2015, 22 entro il 2030. Si tratta di nuovi spazi a verde per oltre 63 milioni di metri quadri: 120 volte il parco Sempione! A questo si aggiunge il Parco Sud, il più grande parco agricolo d’Europa che cinge la nostra città da est a ovest. Con Expo (il cui tema è "Nutrire il Pianeta. Energia per la vita") torneremo ad avere un mare fatto di spighe, di riso, di vivai. Ricco di agricoltori, allevatori e aziende agricole. Una risorsa preziosa per la città da far vivere attraverso i prodotti della terra, il recupero e la riconversione delle sue cascine. Riscopriamolo insieme. Dalle fattorie didattiche alla produzione a chilometro zero. Dalla carne ai salumi, dal latte ai formaggi.

Più servizi, più sicurezza. Il Pgt disegna la nostra città a partire dalle esigenze del tuo quartiere. Prevede l’affitto di spazi dedicati ai servizi per il cittadino al 30% del valore di mercato a chiunque intraprenda attività profit e non: dal negozio di vicinato all’incubatore d’impresa, dal laboratorio artigianale alle associazioni culturali e di promozione sociale, dalle palestre ai nidi d’infanzia. Questo si tradurrà in una maggiore offerta di servizi, più vicini a casa tua, raggiungibili a piedi in pochi minuti. Più servizi significano anche maggior sicurezza: un quartiere vivo e animato è senza dubbio un quartiere più sicuro.

Liberi di muoversi. Ti devi muovere. Lento, veloce, come vuoi. Una necessità che non deve trasformarsi in un incubo. Per questo il Pgt potenzia tutte le forme di mobilità collettiva e privata. In auto: abbiamo disegnato nuovi assi di attraversamento della città (come il tunnel da Linate ad Expo) e concluso la sperimentazione di Ecopass. In treno e metropolitana: grazie all’impulso di Expo abbiamo aperto sei nuove stazioni, avviato i cantieri di due nuove linee (M4 e M5) e disegnato la "circle line" milanese, che metterà a sistema il trasporto su ferro attraverso una metropolitana leggera da San Cristoforo a Garibaldi, passando per Rogoredo, Lambrate, Greco e Bovisa. In bici: per farti girare Milano sempre meglio stiamo realizzando la rete capillare di piste ciclabili in sede protetta. Alcuni itinerari sono già percorribili, altri in cantiere.

"Anno 2014, la metropoli è tornata un posto da vivere"

di Stefano Boeri



Poche ore fa mi ha chiamato un vecchio amico che ora è diventato il nuovo capo-ufficio stampa del sindaco Moratti. Non lo avevo mai sentito così agitato. «Stefano - mi ha detto - il Sindaco è in grande affanno… ha avuto un brutto incubo e non riesce a riprendersi…». Oh cielo, di che incubo si tratta? «Ha sognato di essere nel giugno 2014 e di tornare a Milano dopo 3 anni di riposo ad Antigua, ospite di un vecchio conoscente, anche lui in pensione da qualche anno. Bene, Letizia Moratti atterra a Linate e sgrana gli occhi: al posto del solito caos di taxi, macchine, valigie, c’è una piazza alberata con una stazione della metropolitana (proprio quella che lei non era riuscita a fare...) e - chi l’avrebbe mai detto? - un servizio di car sharing.

La Moratti non sa che fare, tentenna, ma le si avvicina un giovane dai lineamenti nordafricani che, con l’accento tipico dell’Ortica, le offre un passaggio in centro. Lei accetta e in pochi minuti, su viale Forlanini, si trova ad attraversare un vero e proprio bosco: aceri, querce, faggi, che fanno parte di quel grande anello di alberi che ormai circonda Milano e segna l’ingresso in città. Il ragazzo le fa un cenno con la mano e indica una costruzione in mezzo al parco: è una cascina, bellissima, piena di gente indaffarata: a scambiarsi ortaggi e frutta e latte e a discutere, incontrarsi, giocare e sopra il tetto della cascina una grande scritta in quindici lingue: «Benvenuti! Questa Cascina è un pezzo dell’Expo 2015. Mancano 330 giorni». «Corbezzoli! - pensa la Moratti - allora sono riusciti a farla, l’Expo…». Ma non fa in tempo a commentare, che la piccola macchina elettrica è già in viale Campania, e il giovane alla guida le passa un piccolo schermo portatile pieno di informazioni. «Sindaco, le dice, questo è quello che succederà stasera a Milano, mi dica cosa preferisce fare… tutta la città è connessa wi-fi e collegandoci con il navigatore possiamo arrivare in pochi minuti ovunque».

La Moratti sgrana gli occhi: uno spettacolo di Peter Brook al teatro Ringhiera alla Barona, tre concerti di giovani gruppi nelle piazze di Quarto Oggiaro, Niguarda, Corvetto. E ancora: una decina di installazioni e letture pubbliche grazie al nuovo Festival delle Riviste internazionali che inaugura quel giorno, e uno in particolare dedicato all’esegesi del Corano nella corte principale del Centro di Cultura islamica, progettato da un gruppo di giovani architetti israeliani. «Con tutta questa roba - pensa la Moratti - avranno chiuso la Scala…». E invece no: proprio quella sera, in cartellone alla Scala c’è l’ultima, trionfale, replica del grande concerto della giovane orchestra cosmopolita fondata e diretta a Milano da Claudio Abbado. Si suonano Bartók e Mahler e il Maestro ha appena partecipato alla collocazione degli ultimi alberi attorno al monumento a Leonardo Da Vinci. «Beh - pensa - Milano è diventata un divertificio…», ma appena rialza gli occhi, siamo ormai in viale Corsica e sono le 22, la città è ovunque accesa e viva.

Dalla scuola di via Mugello, aperta e illuminata, esce un gruppo di settantenni indaffarati, attraversano la strada e li si sente discutere tra loro di un progetto per un nuovo sistema di illuminazione della città; poco più in là anche la scuola materna di corso XXII marzo è aperta, e sono aperte le biblioteche di zona, e sono illuminate le vetrine affidate dal Comune alle piccole imprese innovative, agli artigiani, agli artisti, purché impieghino nel loro lavoro i giovani del quartiere... Tutta Milano vibra di gente che va e viene, cammina e si ferma sulle migliaia di nuove panchine e gira sulle biciclette realizzate dalle cooperative di artigiani dell’Isola. Acciderboli, pensa la Moratti, vuoi vedere che hanno riportato a Milano perfino le rondini? «Mi porti subito a Palazzo Marino», ordina con lo stesso tono cui di solito si rivolge al maggiordomo.

Il ragazzo la guarda, le sorride e la porta in piazza della Scala, a Palazzo Marino, nella sala Alessi, dove un sindaco diverso, con il viso gentile di Giuliano Pisapia, sta incontrando le delegate dell’Onu riunite per preparare a Milano la conferenza internazionale sulla Donna. È davvero troppo: Letizia Moratti si sveglia e si rincuora. È sul suo divano, circondata dagli amici più cari: il viso dolce della Santanchè, lo sguardo gentile di De Corato, il sorriso genuino di Red Ronnie… e la voce soave di La Russa che borbotta: «Letizia… abbiamo perso Milano!».

postilla

Da un certo punto di vista si potrebbe anche commentare: beh, non c’è partita, viva l’incubo della Moratti! Cosa del resto prevedibile, visto che l’Autore del secondo testo, a differenza dell’Assessore allo Sviluppo del Territorio, il comunicatore lo fa di mestiere da parecchi anni, e la differenza salta all’occhio. Da un lato prevalgono cemento e mattoni che, in uno stile modernista vintage un pochino anni ’60, con imbrillantinata fede nel progresso inevitabile, si riverseranno felicemente su tutti. Dall’altro la città viva del terzo millennio che si riprogetta quotidianamente in modo partecipato ed equo. Parrebbe sin troppo facile scegliere.

Se non fosse che la differenza fondamentale fra i due testi (e, ma è da verificare, nelle due contrapposte intenzioni) è invece tra una urbanistica quantitativa, di crescita e redistribuzione , e un complesso di politiche urbane coordinate dove lo sviluppo del territorio sta a significare soprattutto articolazione qualitativa, trasformazione graduale. Dove anche quei “carne salumi latte e formaggi” evocati da Masseroli trovino posto oltre le copertine degli opuscoli promozionali. Dove gli alberi raccontati da Boeri facciano in tempo, come natura pretende, a trovare gli anni di tranquillità necessaria ad esistere fuori dai renderings. Dove la comunicazione insomma smetta di essere un fine, per tornare ad essere uno strumento fra i tanti di politiche urbane serie. Attorno agli urban center, alle pratiche partecipative magari a senso unico alternato, tocca sempre non scordarselo, c’è tutto il resto della città (f.b.)

MILANO - «Salvate il soldato Pgt». La lobby del cemento lombarda è sul piede di guerra. Il suo alleato di ferro, Letizia Moratti, barcolla. E con lei rischia di andare in fumo l’affare del secolo per il claudicante partito del mattone meneghino: il Piano di Governo del territorio (Pgt). Il libro mastro destinato a cambiare il volto di Milano approvato, in zona Cesarini, dalla giunta uscente. Il business è da sogno: 18 milioni di metri cubi di nuove costruzioni entro il 2030. Quasi 160 nuovi Pirelloni che, uno sopra l’altro, formerebbero una torre di 20 chilometri. «Il provvedimento più importante del mandato», dice il sindaco uscente. Valore 70 miliardi. Una montagna d’oro che la variabile Pisapia rischia di far svanire nel nulla e che ha convinto le associazioni di settore a lanciare un "mayday" bipartisan: «Rivolgiamo un pressante invito – ha scritto l’Assimpredil – perché il Pgt entri in vigore immediatamente e senza modifiche».

«Siamo preoccupati», ha detto ieri il presidente dei costruttori milanesi Claudio De Albertis nell’incontro convocato d’urgenza con i due candidati: «Con noi il Pgt sarà legge a giugno – l’ha rassicurato Moratti –. Bloccarlo vuol dire bloccare la città per quattro anni e perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro». L’architetto Stefano Boeri ha spiegato invece i piani di Pisapia: «Non vogliamo cancellare il Pgt, ma ne vanno rivisti alcuni punti sostanziali. Faremo una variante nel più breve tempo possibile: si può».

I timori degli immobiliaristi meneghini sono comprensibili. L’asse di ferro con il sindaco ha dato negli ultimi anni ottimi risultati. E il via libera al super-piano sarebbe la ciliegina sulla torta, nata tra l’altro da un’esigenza reale della città: Milano è senza piano regolatore dal 1980 e la sua mappa è un puzzle riscritto da allora solo dalla burocrazia degli uffici comunali. Zero progetti. Nessuna regia. Una svolta, insomma, serviva. Peccato però che dal cilindro di Moratti sia uscita la medicina sbagliata, destinata a curare non i guai urbanistici della metropoli ma quelli «delle lobby di immobiliaristi che tengono in ostaggio il sindaco», come dice senza troppi giri di parole la cognata Milly.

Il diavolo, più che nei dettagli, è nei presupposti. «Dobbiamo ridensificare la città» è il mantra di Carlo Masseroli, assessore ciellino e padre nobile del piano. Obiettivo: portare la popolazione da 1,3 a 1,7 milioni. Il Comune ha individuato 26 aree (tra cui cinque caserme e sette scali ferroviari) destinate a cambiare volto. E per far spazio ai nuovi milanesi, ha rivisto i coefficienti di edificabilità in vista di una colata di cemento che è oro zecchino per le casse asfittiche degli immobiliaristi meneghini.

Prendiamo via Stephenson, zona Nord, dove svettano semi-vuote cinque torri del gruppo Ligresti. Qui sorgerà la Defènse di casa nostra. Cinquanta grattacieli nuovi di zecca, resi possibili da un indice volumetrico da anti-doping di 2,7 (sotto il 5,4 della gemella parigina, si difende Masseroli). Destinati – ça va sans dire – a rilanciare le quotazioni delle cattedrali nel deserto dell’ingegnere di Paternò. Sono edifici che servono davvero? Il problema è proprio qui. «Milano ha perso 500mila abitanti dal 1980», calcola il sociologo Guido Martinotti. Invertire la tendenza è difficile. A meno di non pescare tra i cultori delle polveri sottili, uno dei pochi campi in cui la città non ha nulla da invidiare al resto d’Europa. Di più: la regione Lombardia stimava in 325mila i vani residenziali sfitti in provincia nel 2009. E a Milano ci sono 900mila metri quadri di uffici vuoti. Come dire trenta Pirelloni.

Oltre alla pioggia di cemento, l’altro regalo agli immobiliaristi si nasconde dietro la famigerata "perequazione". Nel mondo capovolto del sindaco, il concetto si declina così: «Il Pgt ha salvato il Parco Sud». Vero. Ma come? Regalando a Ligresti – che da anni comprava cascine nel parco a prezzi stracciati – la possibilità di cederle al Comune in cambio di ricchi volumi di edificabilità da utilizzare in altre aree.

Moratti respinge le critiche: il Pgt, spiega, garantisce flessibilità. Azzerando ogni regola sulle destinazioni d’uso e sui limiti di edificabilità, come accusano tra gli altri Gae Aulenti, Giulia Maria Crespi, Marco Vitale e Guido Rossi. Il piano, continua il sindaco, crea 30mila case a prezzi calmierati e aree verdi pari a 120 volte il Parco Sempione. Peccato che il cemento sia pronto per essere gettato. Mentre dei 14 miliardi necessari per i servizi ne mancano all’appello, ammette il Pgt, ben 9.

La lobby del cemento attende ora l’esito del ballottaggio con il fiato sospeso. A farle compagnia ci sono i proprietari dei magazzini di via Airaghi trasformati in appartamenti. Tra cui Gabriele, figlio del sindaco, e la sua Bat-casa. Anche loro, come tutti i 5mila "furbetti del loft" meneghini, potranno condonare. Grazie al provvidenziale colpo di spugna del Pgt.

1. La perequazione urbanistica: uno strumento potenzialmente benefico (a certe condizioni)

L’istituto della perequazione urbanistica - integrato nella legge urbanistica lombarda a quello della compensazione all’interno di processi ormai generalizzati di negoziazione fra pubblico e privato – costituisce uno strumento potenzialmente benefico e utile di gestione delle trasformazioni urbane. Con esso si intende riferirsi alla attribuzione di un indice lordo di edificabilità omogeneo all’interno di ampie zone di trasformazione individuate dal piano, con contestuale concentrazione dell’effettiva edificabilità su singole sub-aree e cessione gratuita di altre aree al Comune.

Gli obiettivi, e i relativi benefici, potenzialmente ricavabili dalla utilizzazione di questo istituto possono essere così sintetizzati:

- un beneficio di efficienza allocativa e di efficacia urbanistica, raggiunto attraverso un migliore disegno urbano, con concentrazione dell’edificato in alcune aree e destinazione di aree consistenti a verde e servizi;

- un beneficio di equità nel trattamento degli interessi privati, raggiunto attraverso l’indifferenza privata alle decisioni selettive di piano;

- un beneficio di carattere finanziario, poiché evita il ricorso a lunghe e costose procedure di esproprio per pubblica utilità e costose transazioni fra privati;

- un beneficio di carattere fiscale, nel senso di una supplenza alla mancata riforma della tassazione dei plusvalori della trasformazione urbana attraverso la fissazione negoziata di cessioni di aree ed extra-oneri.

Nel dibattito sulla riforma urbanistica, nazionale e delle Regioni, e nella pratica di pianificazione, la perequazione ha assunto via via, grazie all’interesse per questi benefici potenziali, la caratteristica di strumento utile e salvifico in tutte le occasioni e in tutte le sue coniugazioni. Niente di più sbagliato, naturalmente! Esistono infatti condizioni ben precise perché esso conduca effettivamente ad esiti positivi:

- che esso sia accoppiato a un disegno razionale e lungimirante di pianificazione e di disegno urbano;

- che esso sia utilizzato per realizzare un trattamento uguale e perequato di interessi uguali, di fatto e di diritto, e dunque che l’indice unico di edificabilità sia attribuito ad aree di simile valore intrinseco (in termini di qualità urbanistica e ambientale, di accessibilità), e dunque su comparti limitati e non sull’intera città. Scrivevo alcuni anni or sono, commentando la proposta dell’Istituto Nazionale di Urbanistica sulla perequazione: “allorché, nella realizzazione di un grande progetto di trasformazione su un’area centrale, si include in un medesimo comparto, e si attribuisce un medesimo indice volumetrico potenziale a un’area sub-centrale o a un’area periferica, di qualità urbanistica assai inferiore, si eguaglia artificialmente il plusvalore realizzato sulle due aree, pur in presenza di valori storici (e dunque anche di eventuali costi di acquisto) differenti. Ciò genera un vantaggio ingiustificabile per una parte, e una nuova sperequazione, fonte di nuovi arbitrî e pratiche speculative” (Camagni, 1999, p. 337);

- che esso sia utilizzato in modo trasparente nella negoziazione fra pubblico e privato sulle modalità dello scambio, o meglio del baratto, fra volumetrie di edificabilità da una parte e cessione di aree e altre monetizzazioni dall’altra. La trasparenza non deve fermarsi ai dati fisici, perché mq di superfici fondiarie o di pavimento hanno un valore assai differenziato all’interno della città, come tutti ben conoscono;

- che la negoziazione fra pubblico e privato avvenga nelle migliori condizioni di informazione e di capacità contrattuale da parte dell’organo pubblico, e dunque soprattutto attraverso la messa in competizione fra progetti differenti di sviluppo sulle aree urbanisticamente più rilevanti.

2. La perequazione nel PGT di Milano: tutte le condizioni violate.

La perequazione urbanistica così come proposta e adottata dal Comune di Milano nel luglio 2010 viola tutte queste condizioni per un esito operativo favorevole.

Innanzitutto, il meccanismo di attribuzione di diritti volumetrici sul territorio comunale prevale, anzi sostituisce quasi completamente, il processo di definizione e di valutazione delle trasformazioni desiderabili e sostenibili. Al di là di un disegno di alcuni elementi strutturali della maglia del verde e delle infrastrutture, tutta l’amplissima trasformazione consentita appare totalmente priva di ogni regola morfologica (salvo nella parte storica) e funzionale. “Le destinazioni funzionali sono liberamente insediabili, senza alcuna esclusione e senza una distinzione e un rapporto percentuale predefinito” (PdR, art. 5.1); il passaggio dall’una all’altra delle destinazioni funzionali con opere e senza opere edilizie è sempre ammesso” (PdR, art. 5.2); quanto alla disciplina degli interventi edilizi ammessi nelle diverse tipologie di aree del tessuto urbano consolidato, successivamente alla proposta di alcune indicazioni morfologiche si ripete che “resta salva la facoltà di procedere con modalità diretta convenzionata relativa alle soluzioni plano-volumetriche qualora l’intervento (del privato) si discosti dalle previsioni dei precedenti commi” (PdR, art. 13.4, 15.7, 17.3); cioè, si può sempre mettersi d’accordo.

L’unico obiettivo della pianificazione appare solo quello quantitativo: l’obiettivo, totalmente irresponsabile, di consentire espansioni edilizie tali da poter accomodare 257.946 nuovi abitanti (sugli attuali 1,3 milioni). Le indicazioni “politiche” che hanno accompagnato l’iter del Piano sono state ancor più compiacenti: mezzo milione di nuovi abitanti! Ed esse evidentemente hanno lasciato un segno, al di là della cifra formale, se una attenta analisi, effettuata dalla Provincia di Milano, delle previsioni di sviluppo urbanistico-edilizio ha evidenziato un macroscopico sovradimensionamento dell’offerta, capace di ospitare verisimilmente oltre 600.000 nuovi abitanti (Provincia di Milano, 2010; Botto, 2010).

Si è realizzato l’auspicio formulato da Maurizio Lupi, già assessore allo sviluppo del territorio di Milano, nel corso del dibattito sulla riforma della legge nazionale di governo del territorio: che il piano urbanistico divenga “”una sorta di banca dei diritti di edificazione commerciabili nell’ambito di una filiera di interessi pubblici da perseguire” (Lupi, 2005, p. 31). Effettivamente l’impressione è proprio quella di un catalogo di premi volumetrici accordati, che prevalgono su una rete tenue di interessi pubblici.

In secondo luogo, la costruzione della città pubblica, per quanto riguarda le grandi reti infrastrutturali e del verde, trova certamente uno strumento ragionevole, in termini finanziari, nella attribuzione dell’indice unico di edificabilità alle aree destinate a questi usi (PdS, Art. 5.2-3), ma si scontra con alcune difficoltà e alcuni limiti vistosi. Se da una parte è vero che il diritto edificatorio consente ai privati di ottenere un valore monetario a fronte della cessione delle aree al Comune, e che il Comune stesso, sulle aree di sua proprietà, può ottenere gli stessi vantaggi economici, come fosse un privato, vendendo i diritti, manca d’altra parte la garanzia della necessaria sincronia temporale nelle cessioni per poter davvero realizzare i detti servizi. Inoltre, nelle transazioni di trasferimento dei diritti attribuiti al di fuori di queste aree, manca totalmente un canale certo per ottenere nuove risorse o cessioni gratuite al Comune, il tutto essendo delegato a eventuali negoziazioni pubblico/privato. E la tradizione milanese recente insegna che tali negoziazioni hanno portato solo limitatissimi vantaggi al pubblico, nella forma di extra-oneri pari a un 1-1,4% del valore di mercato dei volumi realizzati (Camagni, 2009).

In terzo luogo, se si propone (finalmente) una maggiore trasparenza sulle condizioni della negoziazione (PdR, art. 11.10), scompare ogni accenno alla messa in competizione di progetti differenti.

In quarto luogo, per effetto della scelta di attribuire un unico indice di edificabilità a tutti gli ambiti del Tessuto Urbano Consolidato (0,5 mq/mq, aumentabile a certe condizioni fino a 1mq/mq) e cioè diritti edificatori trasferibili in tutta la città consolidata (PdR, art. 6.1 e 7.5), si perde ogni garanzia di concentrazione e di razionalità urbanistica delle nuove edificazioni, che restano legate alla casualità di decisioni individuali non vincolate (Pogliani, 2011).

Inoltre, ed è ancora più grave, scompare ogni possibilità di perseguire una equità vera, in quanto diritti maturati su aree diverse, a diverso valore, possono essere trasferiti e utilizzati su aree a maggiore centralità e maggiore pregio. Un istituto perequativo nato per generare equità, e riproposto nel Piano delle Regole di Milano con questo obiettivo (“la perequazione attua il principio di equità”, PdR. Art. 7.2), genera un trattamento eguale di condizioni diseguali.

Tre considerazioni fortemente critiche si possono avanzare al proposito, che mettono in dubbio la stessa accettabilità giuridica delle norme che regolano i processi perequati:

a. tutti i piani urbanistici generano processi di valorizzazione fondiaria, ma sono tenuti a darne giustificazione. Con quale considerazione si giustifica a Milano la creazione artificiale di valori attribuiti selettivamente, ad esempio laddove si dice che i servizi privati (anche religiosi) non consumano diritti edificatori, che possono essere realizzati in loco o trasferiti? (PdS, art. 8.2-3)(Boatti, 2011).

b. quale prezzo di mercato può essere attribuito razionalmente a un diritto edificatorio che può essere utilizzato ovunque in città, e dunque in condizioni di ben diversa valorizzazione potenziale? Al di là del vantaggio ingiustificato attribuito al detentore di diritti capace di ottenere dal Comune convenzioni per edificazioni centrali (elemento che rischia di generare corruzione e trattamenti differenziati di operatori privati), e al di là della difficoltà di valutazione nelle compravendite private di diritti, quale prezzo potrà essere giudicato congruo e corretto quando sarà l’amministrazione pubblica a vendere?

c. Nei manuali di urbanistica e di economia urbana si afferma che, allorché la città si sviluppa fisicamente, i proprietari fondiari si appropriano di una rendita assoluta, che matura ai margini della città per effetto delle economie di agglomerazione e degli investimenti in infrastrutture urbane. Nel caso milanese di trasferimento di diritti edificatori, maturati alla periferia ma utilizzati al centro (o in aree privilegiate per accessibilità o qualità) il proprietario si approprierebbe sia di una rendita assoluta, presente in tutta la città, sia di una rendita differenziale, data dalla centralità o dalla qualità situazionale (Fig. 1c). Un bel risultato davvero per un piano che afferma di perseguire l’equità!

Bibliografia

Boatti G. (2011), “Milano PGT: i privati gestiscono tutto”, relazione presentata al Convegno Nazionale di Italia Nostra il 6 aprile, pubblicato su Eddyburg

Botto I.S. (2010), "La dimensione sovracomunale della pianificazione" in: Il PGT del Comune di Milano. Dalle procedure di adozione alla nuova urbanistica, I Convegni del Quotidiano immobiliare, Milano, 30 novembre

Camagni R. (1999), “Il finanziamento della città pubblica: la cattura dei plusvalori fondiari e il modello perequativo”, in F. Curti (ed.), Urbanistica e fiscalità locale, Maggioli, Ravenna, 321-342

Camagni R. (2008), “Il finanziamento della città pubblica”, in M. Baioni, La costruzione della città pubblica, Alinea, Firenze, 39-57

Lupi M. (2005), “Verso la riforma urbanistica”, in Mantini P., Lupi M., I principi del governo del territorio, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano

Pogliani L. (2011), “Urbanistica negoziale: scambio leale e interesse pubblico”, relazione presentata al Convegno su “Ricerca e governo del Territorio: riflessioni sul caso di Milano a partire dalla ricerca di Fausto Curti”, Politecnico di Milano, 15 aprile

Provincia di Milano (2010), Valutazione di compatibilità con il PTCP del Documento di Piano del PGT del Comune di Milano, Deliberazione della Giunta n. 559/2010

Due lunghe pensiline colorate che da piazza della Repubblica si allungano fino alla stazione Centrale. Vetro e una fibra ferrosa, blu come il cielo, che dagli ampi portici partono a copertura del marciapiede che si estende fino alla strada. La "via in blu" della città, ecco il futuro di via Vittor Pisani. È così che il Comune pensa di riqualificare l’ampio e monumentale - ma un po’ spoglio - vialone che collega la città alla stazione. Con un restyling che parte soprattutto dalle tettoie colorate ma che prevede anche un nuovo look nell’arredo urbano. A partire dal verde.

Le linee guida dell’intervento sono contenute in una delle ultime delibere approvate dalla giunta Moratti prima delle elezioni, a inizio maggio. Una rivoluzione estetica per la promenade milanese che è una delle porte di accesso alla città, vista la vicinanza con la Centrale. Una nuova identità da dare a una zona con molti locali tra bar e ristoranti parecchio frequentati che, per il Comune, oggi è «un asse che si presenta poco accogliente», come si legge nel documento approvato. E, anche, «frequentato come collegamento veloce ma carente di luoghi per la sosta e per un passaggio "lento"».

E così via libera alle modifiche. Gli ingressi ai parcheggi sotterranei verranno coperti da vegetazione: in particolare, l’idea è di realizzare pareti verticali di edera e gelsomino. Ai bordi della strada verranno inserite vasche piene di verde, alternate a sedute per invogliare milanesi e viaggiatori a passeggiate lungo la promenade. E per spingere anche i passanti a fermarsi, una richiesta avanzata direttamente dai commercianti. Ci sarà anche una siepe che, geometricamente, creerà un gioco di volumi per rendere più accogliente una strada che oggi poco si presta a una passeggiata di relax.

Ma il restyling riguarderà anche i dehors dei locali che oggi tappezzano l’ampio marciapiede: la delibera di indirizzo prevede infatti «nuove componenti di arredo urbano e riordino delle occupazioni di suolo pubblico attuali». Le pavimentazioni andranno così modificate e adattate al nuovo look della strada, quindi blu, en pendant con le pensiline che correranno lungo tutto il viale. In particolare bisognerà risolvere alcuni piccoli problemi, dato che «sono state rilevate alcune criticità relative ad alcuni dehors, per la loro tipologia ma anche per la loro posizione», scrive il Comune. Un intervento, nel complesso, di cui ancora non si conosce la spesa perché il progetto definitivo va ultimato e approvato dalla nuova amministrazione con le risorse da stanziare, ma che in una manciata di mesi promette di cambiare il volto di uno dei viali più conosciuti della città.

postilla

Se il grande timoniere dei padanos accusa il terribile candidato del centrosinistra di essere un matto che vuol regalare la città a una improbabile lobby di mendicanti e drogati, sinistra riedizione della letteraria corte dei miracoli, in fondo sono fatti suoi, sgradevole strategia acchiappavoti a tradimento. Molto più fondata sarebbe invece l’accusa alla matta attualmente in carica, di aver regalato e continuare a regalare la medesima città a una corte di miracoli parallela: la lobby del commercio. Che come si sa da sempre e ovunque è maestra nell’esercitare pressioni e vendersi come salvatrice della patria, anche contro ogni evidenza: desertificano i quartieri riempiendosi le tasche, e concentrandosi via via dove conviene di più, pretendono investimenti pubblici e scombinano ogni scelta strategica per la città piegandola ai propri interessi. Naturalmente questo non vale per “il commercio” in genere, ma per il tipo di forma organizzata e di “alto profilo” che guarda caso viaggia in parallelo con la cosiddetta riqualificazione urbana.

foto f. bottini

Già all’epoca d’oro dei socialisti e dei megaprogetti fantasma (mazzette a parte) che spuntavano ogni settimana dai cassetti degli assessorati, quel grande viale ricavato dall’arretramento dei binari (la vecchia Stazione Centrale stava nell’attuale Piazza della Repubblica) era stato oggetto di mostre con immagini da boulevard post-ottocentesco, salvo poi metterci giusto un paio di strisce lastricate e allargare un po’ lo spazio dei pedoni e dei tavolini dei bar. Adesso (eventuali mazzette a parte) ci risiamo con la politica dei due forni crematori: da un lato ferro e fuoco nelle vie del commercio multietnico e integrato, dove invece di promuovere le attività innovative si mandano gli sgherri; sull’altro versante lo shopping mall strisciante, dalla privatizzazione dei portici in centro, alle incredibili pensate per la chiusura della Galleria, e adesso appunto a via Vittor Pisani, sullo sfondo assiro-milanese della facciata della Centrale.

Ma a te non va bene proprio niente, si potrebbe pensare: in fondo si tratta di un progetto di arredo urbano, che rivitalizza una via, la rimette a posto, organizza un percorso pedonale dal terminal ferroviario verso il centro storico … Il dubbio è lecito.

Ma cos’è già successo in Centrale? È stata trasformata in tutto e per tutto in un centro commerciale chiuso, salvo che ci passano dei treni e che invece dello scatolone di cemento ci sono le architetture monumentali di Ulisse Stacchini. E adesso questa promenade che vorrebbe fare il verso a certe idee della newyorkese Sadik-Kahn ma sta imboccando la direzione opposta, perché anziché innescare onde lunghe di riqualificazione concentrerà sul solo asse tutto l’interesse, risucchiandolo dalle vie circostanti, che già non brillano per sicurezza e ordine. Una specie di replica del caso Venezia col ponte di Calatrava: le Ferrovie cominciano il gioco, e il Comune magari senza neppure accorgersene (ma non è vero) suona le sue campane. Nel caso di Milano, per essere precisi, le carampane. Occhi aperti insomma, sull’ennesimo strisciante Business Improvement District (f.b.)

Agli osservatori internazionali, con le scintillanti torri dei nuovi edifici terziari e residenziali, popolata da operatori della moda e architetti, l’ex capitale economica d’Italia sembra proiettata verso un luminoso futuro postindustriale. Ma vivendone quotidianamente il tessuto sociale, il contesto ambientale, la rete delle infrastrutture; subendone le decisioni sul territorio urbano e metropolitano, emerge un’immagine diversa: esclusione sociale, spinta all’insediamento disperso, degrado dell’ambiente e della qualità della vita. Sono le radici stesse di una città giusta, inclusiva e anche efficiente, a essere messe in discussione dall’urbanistica milanese degli ultimi 15 anni.

Oggi la riqualificazione urbana - quando c’è - è pura sostituzione sociale, l’aggettivo post-industriale significa solo ‘privo di industria’, e la sedicente nuova economia si limita al mercato immobiliare.

C’è un’alternativa? Certamente si, e sta nel cercare un equilibrio meno brutale e più avanzato fra dimensione locale e globale. Ma proviamo a andare con ordine.

Milano capitale della moda, del design e dell’editoria; hub della creatività e dell’innovazione; capoluogo di una fra le regioni più ricche d’Europa; ai vertici della gerarchia urbana europea: è una immagine di fatto contraddetta da recentissime graduatorie effettuate da istituti specializzati: nel 1989 stava al terzo posto dopo Londra e Parigi, oggi si deve accontentare di un decimo solo per la funzione economica, e occupa posizioni molto più arretrate per quanto riguarda qualità della vita e mobilità, inquinamento, organizzazione degli spazi pubblici e privati.

Là dove sarebbe importante investire nella città, dopo anni in cui è mancata una visione complessiva e si sono realizzate soltanto trasformazioni parziali, rinunciando a sperimentare ipotesi davvero innovative, la risposta alla crisi è stata un vero e proprio laboratorio di ‘privatizzazione dell’urbanistica’ solidamente fondato su alcune premesse: delegare all’iniziativa privata l’organizzazione del territorio; considerare la difesa degli interessi collettivi del tutto subordinata; porre ai margini, se non escludere del tutto, ascolto e coinvolgimento dei cittadini, privilegiando gli attori forti.

La Milano degli immobiliaristi

Si tratta di una scelta che parte dal lontano, quando con la dismissione industriale degli anni ‘70/’80 si manifesta la legittima necessità di trovare nuovi obiettivi ed equilibri, ma che si palesa davvero col nuovo millennio e l’obiettivo di Ricostruire la Grande Milano.

In questo obiettivo alcuni ricercatori internazionali leggono, almeno nelle dichiarazioni di intenti, la possibilità di una «ben equilibrata regione metropolitana» nel metodo e nel merito, una città globale orientata ai servizi, fra poli di eccellenza e quartieri a funzioni compositeper la creative class. Un prestigioso economista americano, Edward Glaeser, riesce addirittura a intravedere chissà come una «ruggente ridiscesa in campo postindustriale». senza soffermarsi magari a riflettere se, invece, una strategia di lungo periodo non dovrebbe promuovere equità, diritti, distretti mixed-use in cui convivano produzione, residenza per varie fasce di reddito, elevata abitabilità e mobilità sostenibile.

Oggi la città soffre di degrado sociale e edilizio ma, anziché attivare politiche di inclusione, si privilegiano scelte di tolleranza zero per i deboli, e ultragarantiste per chi paga in contanti; si privilegia una deregulation a tutto campo legittimata dalle leggi regionali. Quella urbanistica parte apparentemente da parole d’ordine prese a prestito dal dibattito europeo (densificazione contro il consumo di suolo, casa per i più deboli, sussidiarietà, valutazione strategica …. ), aprendo però di fatto all’intervento privato senza adeguate contropartite e garanzie per la città pubblica, e con infinita e immotivata fiducia nelle presunte virtù del mercato (immobiliare).

In questa prospettiva, Milano predispone il suo Piano di Governo del Territorio affermando di mirare a zero consumo di suolo, mantenimento dell’agricoltura, tutela del tessuto storico, emissioni zero, più servizi. Il tutto rivendicando continuità col precedente Ricostruire la Grande Milano, aggiornato con un incredibile incremento di popolazione del 50% per arginare – così si dice – lo sprawl suburbano. Ma come sarà possibile, visto che per sua natura il piano cittadino si ferma ai confini comunali, e la stessa legge ha ridotto a poca cosa la dimensione metropolitana di governo del territorio? Dov’è finita la «ben equilibrata regione» intravista dai commentatori internazionali?

C’è anche una contraddizione irriducibile nel metodo: la governance pensata come rapporto privilegiato fra decisori pubblici e grandi operatori privati esclude la società civile, di fatto riducendo il territorio a merce.

Che spazio urbano si prefigura nel Piano? Uno spazio come mero contenitore di interessi immobiliari, che sotto forma di diritti edificatori schizzano in tutte le direzioni a seconda delle convenienze dei grandi operatori: con rischi enormi, visto che qualunque idea di città prescinde assurdamente dallo spazio fisico, e rinuncia in gran parte a qualsivoglia regola. Il cosiddetto Piano delle Regole afferma infatti che «le destinazioni funzionali sono liberamente insediabili, senza alcuna esclusione e senza una distinzione e un rapporto percentuale predefinito» e poi specifica anche che «il passaggio dall’una all’altra delle destinazioni funzionali è sempre ammesso».

L’unico obiettivo chiaro è quantitativo: espansioni edilizie per oltre 250.000 nuovi abitanti da aggiungere agli attuali 1.300.000 circa. E le indicazioni ‘politiche’ che hanno accompagnato l’iter del Piano sono state ancor più compiacenti: mezzo milione di nuovi abitanti. Secondo alcuni calcoli attenti sui diritti volumetrici che il PGT autorizza attraverso una perequazione urbanistica reinterpretata in chiave neoliberista, potrebbero addirittura starcene oltre 600.000!

Altro che densificare per contenere lo sprawl, con un piano che si ferma ai confini comunali e che, quando discetta della regione urbana, ignora la pianificazione sovraordinata e fa riferimento a un’idea vaga, scientificamente infondata come la cosiddetta Città Infinita. E che vuole tutelare la storica greenbelt agricola che protegge dalla conurbazione, piazzando uno degli enormi poli di eccellenza scientifica (il CERBA) proprio nel bel mezzo di un cuneo verde. È questo che emerge dalla lettura delle proposte concrete, oltre gli slogan e la comunicazione pubblica.



E a conferma degli orientamenti reali e degli squilibri di interesse del nuovo PGT milanese c’è infine la prova del nove: a chi piace e a chi invece non piace affatto? Piace ai grandi interessi immobiliari, ossia ai medesimi soggetti che negli anni hanno fatto crollare il rating della città e visibilmente peggiorato la sua qualità della vita. Non piace per niente a tutti gli altri, al punto che, indipendentemente dal merito delle quasi 5.000 osservazioni presentate (e respinte in blocco senza discussione), la cittadinanza giudica illegale e autoritario vedersi imporre un’idea di città decisa nelle chiuse stanze di chi comanda. E ricorre in tribunale. Si dice che la magistratura non deve sostituirsi alla politica; ed è giusto, quando però la politica fa il suo mestiere.

L’esito più inquietante di questa strategia ‘riformatrice’ di radicale privatizzazione delle politiche urbane proposta dal nuovo Piano urbanistico per Milano può essere soltanto quello di riconfigurare la capitale morale del Paese come ‘capitale del mattone’, simbolo e modello per tutta la nebulosa urbana, politica, socioeconomica dello sprawl dal Po alle Alpi, magari da esportare peggiorato verso altre regioni.

É da Milano dunque che occorre partire per liberarsi da questa versione locale/lombarda del paradigma T.I.N.A./ There Is No Alternative.

La Milano sostenibile?

Le leggi lombarde, e il PGT milanese che di quelle leggi è acritico interprete, hanno rimosso vincoli, affossato principi consolidati nella tradizione urbanistica di tutela della città pubblica, concesso incentivi e premi volumetrici sovradimensionati, accelerato procedure amministrative in una sorta di ‘frenesia distruttiva’ della autorità pubblica e del bene comune che forse occorre interpretare come l’esito non tanto, o soltanto, di un profondo intreccio di interessi, ma come il segnale di un drammatico vuoto culturale.

Sta ai cittadini riprendere in mano il futuro di Milano, cambiando amministrazione; sta agli urbanisti e più in generale alla cultura progressista colmare un vuoto teorico: quello che separa le acquisizioni scientifiche e tecniche dal loro uso per promuovere eguaglianza e inclusione.

Forse questo traguardo è, inaspettatamente, a portata di mano.

È stata la sconfitta della politica della paura. Lo specchio in cui i milanesi possono finalmente guardarsi, da lunedì sera, rimanda l’immagine di una città cambiata in profondità. Una città che non risponde più alla tastiera dei comandi utilizzata dagli stregoni del centrodestra. Quella dei 500 sgomberi dei rom, del coprifuoco, del divieto di costruire moschee, della chiusura dei locali dove si fa musica, dei clochard cacciati a pedate dalle strade, dei servizi sociali tagliati, dei vigili trasformati in vigilantes o celerini. Nella sorpresa generale, la volontà di cambiamento dei milanesi è stata molto più potente di qualsiasi previsione. Come al solito i sondaggisti – che qualche riflessione sul loro mestiere dovrebbero pur farla, per pudore – non si erano accorti di nulla. La voglia di voltar pagina si è sentita, fortissima, in tutta la campagna elettorale. Ma anche ai più ottimisti sulle speranze di Pisapia e della coalizione di centrosinistra è sfuggito quanto fosse definitivo e impietoso il giudizio negativo su Letizia Moratti e la sua giunta.

L’esito elettorale del primo turno dice che ampie porzioni dell’elettorato moderato milanese si sono ribellate all’idea di rivedere donna Letizia a Palazzo Marino per altri cinque anni. L’irruzione di Silvio Berlusconi sulla scena ha costituito un motivo in più per l’abbandono di Letizia al suo destino. Se c’erano buone ragioni per non ridarle fiducia, la presenza invadente del Cavaliere nell’ultima parte della campagna le ha addirittura moltiplicate. Il ballottaggio, ora, si presenta come una sorta di agonia per il sindaco uscente. Soltanto un miracolo potrebbe rovesciare un esito che già ora sembra condannare il centrodestra all’opposizione. Pisapia e le forze del centrosinistra fanno bene a non abbassare la guardia, ma davvero non si riesce a immaginare la resurrezione di un candidato totalmente groggy con un mentore come il Cavaliere, che all’orizzonte intravvede la fine della sua parabola politica.

Il cambio di pelle di Milano è evidente dal voto per le circoscrizioni. Il centrodestra padrone della città dal lontano 1993 ha perso ovunque. Ha perso clamorosamente nel centro storico e in tutte le altre otto zone. Il risultato è doppiamente significativo non solo perché replica e spesso migliora, a livello di quartiere, il dato cittadino, ma anche perché nelle zone si votano le persone, prima dei partiti. E i candidati scelti dal centrosinistra hanno fatto il pieno. Tutta la città, senza eccezioni, ha bocciato un’amministrazione pessima e insieme ha alzato il cartello di fine corsa per il centrodestra.

Questa omogeneità contiene uno spunto di grande interesse. Il messaggio è netto: chi andrà a Palazzo Marino deve, per prima cosa, occuparsi a fondo, con cura e passione, di una città che il centrodestra ha usato come magazzino elettorale retrocedendola a capitale della Padania. A nessuno verrà più concesso di usare Milano come un parco buoi, come un recinto di obbedienti yesmen, come hanno fatto il Cavaliere e la sua tenutaria Letizia. La solenne bastonata ricevuta al primo turno dal centrodestra è una ribellione aperta alle tante brutte favole, e prese per i fondelli, raccontate in questi anni. Dall’Expo umiliata fra risse e incapacità di gestione, alla beffa dell’Ecopass svuotato di qualsiasi efficacia, allo stato di degrado e abbandono dei quartieri popolari, alle truffe di Santa Giulia fino alle esondazioni del Seveso: i milanesi si sono ricordati benissimo dello spettacolo avvilente cui hanno dovuto assistere. E ne hanno tratto le conseguenze.

Infine, Milano cambia anche perché punisce la Lega. Il partito di Bossi sognava di essere il solo beneficiario dello scontento per Letizia Moratti. Sognava di superare il 15% e invece ha raccolto meno del 10. Questo solo dato basterebbe a indicare quanto sia davvero cambiato il vento. I predicatori di paura, gli uomini pronti a invocare il diritto differenziato contro gli immigrati, a discriminare in classi ghetto i bambini stranieri, a vietare le moschee sono rimasti, quasi, a bocca asciutta. La città ha riscoperto il piacere del coraggio civile. Quello che ai leghisti non è mai piaciuto.

S’inizia a scendere subito sotto casa. L’anno scorso, alle elezioni regionali, in centro storico il Pdl distaccò la sinistra di quindici punti. Una legnata, pur nel solco di una zona per tradizione di centrodestra. Bene, sul tardi, in Zona 1, intorno alle due, con 94 sezioni scrutinate su 105 il Pdl era al 44,5%e Pisapia al 44,8%. Addirittura. Pareggio. Anzi contropiede. Pensare che, alla vigilia, le partite vere erano altrove. Invece, un ribaltone. Di sicuro, da una appena che ne avevano, prese 8 Zone su 9. Forse, appunto, con l’ipotesi del centro, 9 su 9. Allarme o laboratorio? Le partite erano per esempio in luoghi emblematici tipo via Padova. Che è tante cose. Strada infinita (quattro chilometri) e multietnica. Il che porta alcuni a vederci uno straordinario laboratorio della Milano che sarà e altri invece a inquadrare la situazione in chiave d’allarme sicurezza, di degrado, e buonanotte.

Il penultimo aggiornamento in ordine di tempo con Luigi Galbusera, coordinatore di zona del Partito democratico, in assenza di dati ufficiali verteva sul commento del consolidamento di un trend. Ecco il commento, registrato intorno alle 22: «Il trend ci dice che, rispetto al 2010, siamo molto, molto cresciuti» . Con Pisapia che ha scollinato anche quota 50%. Un secondo colloquio telefonico con Galbusera, verso le 23, aveva i primi dati. Quattro seggi, dei quali tre al Trotter e uno in via Giacosa. Il risultato? Arretramento, se confrontato con il 2010, della Lega e avanzata del Pd. Fortissimo arretramento. E forte avanzata. La città asiatica e il 60%Via Padova rientra nella zona 9. La 9 va dalla stazione Centrale a Garibaldi, dall’Isola a una periferia purissima— dagli italiani del dopoguerra agli ultimi stranieri quartiere d’immigrazione, palazzi popolari, un certo degrado e una certa vita da casa di ringhiera che resiste —, una periferia dicevamo come quella di Niguarda.

In Zona 9 con 145 sezioni su 152 il centrosinistra era al 49,1%. Di contro, Pdl al 27,5%e Lega all’ 11%. I numeri che avete fin qui trovato, sono parziali. Da oggi, dopo la maratona, si avranno quelli certi. Non dovrebbero essere lontani dai definitivi i numeri di Chinatown. Vero, è considerata una «roccaforte» del centrosinistra; eppure, ci hanno detto dai seggi alcuni osservatori del Pd, le aspettative sono state parecchio superate. Del resto in alcuni seggi di via Giusti hanno riferito di 60, anche 62%per Pisapia. Il quale, va detto, ha compiuto un viaggio regolare. Prendiamo la Zona 4 (Vittoria e Forlanini): a 133 sezioni su 145 il centrosinistra conquistava il 48,6%dei voti contro il 41,1%. La Zona 8 (Fiera, Gallaratese e Quarto Oggiaro): a 156 sezioni su 169 Pisapia aveva il 47,8%mentre gli avversari si fermavano al 41%.

E ancora la Zona 7 (Baggio, De Angeli, San Siro): a 159 sezioni su 167 per Pisapia quasi il 47%e per la Moratti un risicato 42%. Prendiamone un’ultima. Ultima col botto. La Zona 3 (Città Studi, Venezia, Lambrate). A 124 sezioni su 132 Pisapia era al 49,9%e la Moratti al 42%. I parlamentini Ricapitolando. Sul tardi, 8 Zone su 9 ormai del centrosinistra, e la rimanente (la 1, quella del centro) probabile. Oggi sapremo. Sempre la 1, come detto notoriamente sventolante bandiera Pdl, ha pure visto l’affermazione del Pd nella partita — un’altra partita, diversa, per composizione degli schieramenti e squadre in campo — dei Consigli di zona. A 68 sezioni su 105 esaminate, la coalizione per Pisapia era al 47%e la coalizione «Milano sempre più bella» (Pdl e la Lega) al 44,94%.

postilla

Si è detto molto, su questo sito, a proposito del coprifuoco nelle vie e nei quartieri milanesi “puntati” verso i grandi nodi di riqualificazione e speculazione urbana, del legame piuttosto spudorato fra le strategie urbanistiche e certe assurde politiche pubbliche fascistoidi a dir poco. Negozi chiusi al tramonto, apparentemente contro ogni buon senso, per garantire la “sicurezza”, pieno sostegno alla logica leghista di ostacolare in ogni modo tutte le attività commerciali diverse dalle solite botteghe di stilisti centrali o poco altro, privatizzazione dello spazio pubblico. Era un vero Grande Disegno, e chi ci stava schiacciato in mezzo lo capiva eccome. Ecco per ora la sola reazione: la cura deve ancora arrivare, speriamo presto e decisa, ben oltre le grandi dichiarazioni di intenti o i classici inviti alla solidarietà. Sarà anche il banco di prova per verificare le nuove frontiere (quelle oneste, realistiche, auspicabili) del rapporto pubblico-privato, della sostenibilità ambientale e sociale. Si chiama planning? Speriamo: se non altro si capisce (f.b.)

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