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Ci sono 75 chilometri di nuove piste e corsie ciclabili da realizzare, si tratta di interventi già finanziati, o «appaltati» ai costruttori dei grandi progetti urbanistici, come Porta Nuova o Citylife. E fin qui siamo all'eredità morattiana, che la giunta Pisapia porterà comunque avanti. A Palazzo Marino è stato però già messo a punto il rilancio: è racchiuso in decine di grafici e cartine che compongono il «Piano per la mobilità ciclistica 2011-2016». Un progetto vitale per l'amministrazione «arancione», che dovrà presto dimostrare di essere vicina ai milanesi che scelgono la bicicletta per spostarsi.

Ecco i dettagli del piano, elaborato da qualche settimana: 95-100 nuovi chilometri di percorsi per i ciclisti. Con una scaletta molto dettagliata di priorità (si parte dall'itinerario Castello-Duomo-Monforte, già finanziato dalla vecchia amministrazione) e nuovi criteri per favorire la mobilità delle bici verso luoghi di lavoro e scuole.

La stima dei costi, come sempre in questo periodo, rappresenta il punto critico: serviranno poco più di 30 milioni da qui al 2016. Significa circa 6 milioni l'anno. E probabilmente sarà quello della mobilità ciclistica uno dei primi capitoli di spesa da quando il nuovo Ecopass (per il quale si stima un incasso di 30-35 milioni l'anno) comincerà a portare nelle casse comunali nuove risorse da investire.

Oggi i chilometri di piste/corsie ciclabili sono 135 (110 su strada, il resto nei parchi). La giunta Moratti ha allestito un piano di aumento da 75 chilometri, che dovrebbe procedere senza intoppi; bisogna andare avanti rispettando i tempi per non perdere i finanziamenti già ottenuti. La giunta Pisapia punta però a un piano ancora più ambizioso, che preveda quasi altri cento chilometri, organizzati su «raggi» e «anelli» che potrebbero essere distinti anche per colore (verde, rosso, azzurro) e arrivare a tessere una vera rete rispetto agli «spezzoni» di oggi. «Se non si abbandona la logica delle piste con infrastrutture "pesanti" — spiega Eugenio Galli, di Ciclobby — si rischia di perdere risorse e ottenere pochi risultati.

Il punto chiave sono gli interventi low costsulla segnaletica, le corsie, la moderazione della velocità. La nuova giunta sembra molto attenta, ma ci aspettiamo interventi già dai prossimi mesi». Per comprendere il discorso di Ciclobby, bisogna considerare che una corsia su marciapiede costa 20 mila euro al chilometro, mentre una pista ciclabile ricavata su una carreggiata può arrivare a 3-400 mila euro.

Nell'ambito degli interventi che abbiano «bassissimo costo e massima resa», il verde Enrico Fedrighini sta studiando il progetto di trasformare le fermate del metrò «in nodi di scambio bicicletta/mezzi pubblici». C'è un dato fondamentale: dentro i Bastioni, il 70 per cento degli spostamenti avviene su mezzi pubblici; percentuale che scende al 40 per cento nella fascia più esterna di Milano e crolla al 25 in periferia.

«L'uso dei mezzi perde attrattiva man mano che si dirada la rete — spiega Fedrighini —: per questo bisognerebbe incentivare chi abita entro i due chilometri da una fermata del metrò o del Passante a usare la bicicletta per questo primo spostamento verso il metrò invece che prendere l'auto per tutto il percorso». Servono rastrelliere e posteggi per le bici: «Con costi davvero minimi e tempi rapidissimi — conclude Fedrighini — si potrebbero allestire 50 mila parcheggi per le bici intorno alle fermate e moltiplicare gli utenti dei mezzi pubblici».

postilla

L’aspetto più incoraggiante che emerge dai pochi spunti concreti dell’articolo è l’impianto tendenzialmente trasversale del ragionamento sotteso: la sola citazione dei progettoni pubblico-privati con destinazione funzionale terziaria che in qualche modo dovremo sorbirci in futuro già dice qualcosa. Come dice qualcos’altro la sottolineatura sugli interventi leggeri, ovvero non stiamo parlando di un programma di opere, ma di un’idea di mobilità attraverso le funzioni urbane.

In definitiva, non è affatto vero che si tratta di una eredità della giunta Moratti: la cifra di quei progetti era il caratterizzarsi appunto da un lato come puri interventi di trasformazione, dall’altro l’episodicità di queste trasformazioni, solo ideologicamente connesse a rete nella e con la città.

Resta da chiarire però il vero obiettivo, solo accennato, di uscire dalla benintenzionata logica Ciclo-Lobby (che può servire come ariete di sfondamento senz’altro, ma in sé non porta da nessuna parte), sovrapponendo almeno tre elementi: la dimensione cittadina, ovvero estesa a tutto il territorio comunale e in certi casi anche oltre; una buona intermodalità dolce ovvero tendenzialmente percorsi lunghi passando dal mezzo pubblico alla bici alla pedonalità, con un minimo di attrezzature sia hard che soft , che vadano oltre le pur indispensabili rastrelliere; almeno una riflessione sulle polarità funzionali da privilegiare, magari partendo da una struttura pubblica già esistente come quella delle scuole, aree oggi maledette dal traffico in orari anacronisticamente “fordisti”, con ripercussioni su tutta la mobilità (f.b.)

I cinque scenari per la modifica di Ecopass, proposti ieri per passare alla fase di consultazione e a quella delle decisioni, gettano nello sconforto, improntati come sono da un'evidente mancanza di indirizzo. Occorre tornare alla lezione di sano riformismo cui sono improntati i principi espressi dal sindaco Pisapia quando parla di una congestion charge come di «un provvedimento equo, efficace, trasparente e di facile comprensione».

Rispetto all'equità, se, come dichiarato, non si vuole «fare cassa», può dirsi che estendendo il pagamento a tutti i veicoli in ingresso nell'area dei Bastioni, si può avere il coraggio di tariffe poco elevate, comunque dissuasive, da non modulare, semplicisticamente, con gli aumentati costi tariffari del trasporto pubblico.

Un pagamento generalizzato per le autovetture e i veicoli commerciali leggeri, anche di 2,5 euro, garantisce comunque efficacia in quanto gli effetti sul traffico, calcolati da Amat nel marzo 2011, portano ad una riduzione del 36 per cento, con l'ingresso ai Bastioni di 83.000 veicoli contro i 130.600 del novembre 2007; con un ticket di 5 euro esteso ai mezzi commerciali pesanti si avrebbe un'ulteriore riduzione dei 16.500, registrati nel novembre 2010, portandoli a 15.600. Esentati dal ticket i veicoli elettrici, gli ibridi, i veicoli alimentati a Gpl e metano si escluderebbero dall'ingresso i veicoli maggiormente inquinanti, sulla base di quelli già individuati dalla Regione Lombardia per il periodo invernale.

Questa riduzione del traffico è sufficiente ad avviare progetti capaci di dare nuova qualità urbana all'intero centro storico, necessari alla città tutta, oltreché a rappresentare la «magnificenza civile» di Milano alla scadenza del 2015. Contraddetta da ogni ipotesi di modulazione stagionale sarebbe l'efficacia anticongestione del provvedimento, e trascurabili miglioramenti, a fronte di una certa confusione, si avrebbe con l'introduzione di fasce orarie che differenzino il pagamento, in quanto gli ingressi nell'area Ecopass sono soprattutto dovuti a mobilità occasionale: l'88 per cento dei veicoli accede all'area Ecopass meno di due volte al mese, mentre i pendolari in ingresso, che entrerebbero nella fascia oraria 7.30-11.00, utilizzano in via quasi esclusiva il mezzo pubblico o le due ruote, bici e soprattutto moto. Per garantire una «facile comprensione» occorre dunque una radicale semplificazione tariffaria.

Certamente, non si dà semplificazione con una tariffa unica, controbilanciando l'iniquità con la riserva di «sconti» sul trattamento per i commercianti. Occorre, viceversa, una semplice articolazione della tariffa di ingresso prevedendo due sole classi: la prima con autovetture, veicoli commerciali leggeri e autovetture, i mezzi di servizio e di lavoro, la seconda con veicoli commerciali pesanti e autobus turistici con oltre 9 posti. Un indirizzo di «trasparenza» potrebbe configurarsi nell'istituzione di un Fondo comunale dei trasporti, che renda conto di come gli introiti da congestion charge e da park pricing vengono «restituiti» alla città in investimenti per mezzi pubblici e nuova qualità del servizio per Milano e per la sua area metropolitana.

Corriere della Sera

Il Leoncavallo: «Trattiamo»

di Andrea Senesi

«Entro Natale la questione potrebbe essere sistemata». La «questione» si trascina da trentasei anni e da trenta ingiunzioni di sgombero. La «questione» Leoncavallo si avvia ora a soluzione. L'annuncio è arrivato dagli stessi «okkupanti»: «Settimana prossima parte la trattativa che dovrà portare nel giro di qualche mese a una soluzione condivisa». Giovedì prossimo il «tavolo Leoncavallo» metterà di fronte a Palazzo Marino le associazioni del centro sociale più famoso d'Italia e i proprietari dell'area di via Watteau.

Lo strumento potrebbe essere quello ipotizzato da anni: un affitto «politico» per i diecimila metri d'area dello stabile, e una «ricompensa» immobiliare in un'altra area della città per la famiglia Cabassi. «Ma esistono anche altre vie», ha assicurato il leader storico del Leonka, Daniele Farina: «Ma il passo compiuto da questa giunta è fondamentale».

Una svolta storica. Il Leonka che entra a Palazzo Marino. Un tabù che si rompe e che «spacca» la politica, la città. Cautamente favorevoli e radicalmente contrari. Dice per esempio uno dei tre assessori coinvolti, Pierfrancesco Majorino (Welfare), che «se ci sono delle proposte le prenderemo in considerazione, convinti che sia una vicenda da chiudere positivamente». Gli fa eco la capogruppo pd Carmela Rozza: «Il sindaco Pisapia sta facendo quello che tutti gli altri sindaci dall'88 a oggi hanno cercato di fare senza riuscirci. Conto che Pisapia, alla luce delle esperienze precedenti, riesca a chiudere la vicenda». Tra gli sponsor della soluzione «politica», anche don Gino Rigoldi: «C'è finalmente la volontà di tutti gli attori in campo. Si tratta ora di rendere giustizia ai proprietari dell'area senza distruggere un patrimonio culturale che coinvolge ogni giorno giovani e meno giovani».

Dal fronte opposto si grida allo scandalo. L'ex vicesindaco Riccardo De Corato ricorda per esempio una delle storiche battaglie del Leonka, quella antiprobizionista, con tanto di feste semestrali per semina e raccolto della marijuana. «Anche quest'anno organizzeranno le settimane della "canapa indiana" con gran fumate in via Watteau. Aprendo la trattativa per regolarizzare questi personaggi, la giunta si renderà corresponsabile di una delle più clamorose violazioni di legge». Conferma Romano La Russa, assessore pdl in Regione: «Una scelta che preoccupa. Il Leonka è portavoce di una cultura dell'odio fondata sullo scontro fisico e verbale». Perplesso anche Roberto Formigoni: «Si rischia di generare messaggi ambigui».

Le polemiche hanno già una coda legale. Il leghista Matteo Salvini aveva alzato il tiro: «Folle che il Comune aiuti chi distribuisce droga con eventi pubblici»). La replica delle «mamme» del Leonka è affidata ai legali: querela.

la Repubblica

Un tavolo per legalizzare il Leonka

di Sara Mariani

Le associazioni, i proprietari dell´area e i rappresentanti dell´amministrazione comunale si riuniranno fra pochi giorni per avviare un piano di regolarizzazione del Leoncavallo, da tempo in attesa di una messa a norma. L´annuncio della trattativa provoca subito la reazione decisa del centrodestra. Ma Vittorio Sgarbi: «La destra prenda atto che il Leoncavallo è una realtà».

Dopo 17 anni di tentativi andati a vuoto e sfratti continuamente annunciati e rinviati, Comune, associazioni e proprietari del Leoncavallo si riuniranno intorno a un tavolo per avviare la messa in regola del centro sociale più discusso d´Italia. A dare l´annuncio è Daniele Farina, coordinatore di Sel e portavoce del Leonka: la trattativa partirà la prossima settimana per concludersi entro l´anno. Suscitando subito la reazione dell´ex vicesindaco Riccardo De Corato, da sempre nemico per eccellenza di via Watteau, che tuona contro la giunta «legittimista» e si dichiara pronto a contrastare con tutti i mezzi la trattativa: «Nessun sindaco e nessun assessore si è mai seduto ad un tavolo con i rappresentanti del Leoncavallo» ammonisce in una nota, e promette battaglia su ogni campo, compreso quello giudiziario, se la proposta arriverà in Consiglio.

Annosa questione, quella del centro sociale, che occupa un edificio della famiglia Cabassi: da anni le associazioni e i proprietari sono a un passo dal trovare una soluzione. Finora, però, mancava il "terzo polo": il Comune. Oggi invece a Palazzo Marino i tempi sono maturi per una mediazione. Restano da definire le modalità: la strada maestra, secondo Farina, sarebbe quella di spostare da un´altra parte le volumetrie che i Cabassi avrebbero voluto costruire nell´area. Se si intervenisse sulla legge urbanistica tramite una perequazione, verrebbe abbattuto il valore dell´area e gli occupanti potrebbero pagare un canone di affitto decisamente inferiore agli 800mila euro all´anno valutati dalla proprietà.

«Risolvono con una speculazione immobiliare il problema del Leoncavallo - accusa Carlo Masseroli, capogruppo del Pdl, che interpreta come uno scambio di favori in odore di illegittimità l´avvio della trattativa - . È la cambiale che Pisapia sta pagando al mondo dei centri sociali e a Sel per le elezioni?». Il capogruppo della Lega, Matteo Salvini, definisce «vergognoso che il Comune aiuti chi semina e distribuisce droga con eventi pubblici» attirando così su di sé l´ira delle "Mamme antifasciste del Leoncavallo", con tanto di querela. Fra i frondisti della regolarizzazione, spunta però una voce fuori dal coro: Giulio Gallera, consigliere Pdl, si è detto non contrario alla messa a norma, proprio perché il Leoncavallo avrebbe raggiunto ormai uno status aziendale, e «come tutte le imprese è bene che quando si fanno concerti si paghi l´entrata, si facciano scontrini, ci siano uscite di sicurezza». Si congratula invece con Pisapia il segretario del Pd milanese Roberto Cornelli, per la scelta di «aprire alla città uno spazio che potrà rivelarsi utile a tutti».

Nel terreno occupato si trovano le sedi di 6 associazioni, una casa editrice e uno sportello legale per extracomunitari, su un´area di 10mila metri quadrati: «Dal ‘96 non è stato commesso nessun reato - afferma il consigliere di Sel e avvocato Mirko Mazzali - a Berlino e a Parigi i centri sociali sono una ricchezza e io mi batterò in sede consiliare perché la soluzione venga finalmente raggiunta».

Corriere della Sera

Dalle molotov ai concerti: da 36 anni divide Milano

di Gianni Santucci



L'autodefinizione, forse, racconta più di altre cose questa storia. Era un «centro sociale autogestito», il vecchio Leoncavallo, ex fabbrica chimico-farmaceutica dismessa e occupata in zona Casoretto, il 18 ottobre 1975, Milano cupa degli anni di piombo. Oggi, ormai da dieci anni, è un'altra cosa: uno sPa, che vuol dire «spazio pubblico autogestito», un'«assemblea pubblica — come spiega l'ultimo bilancio sociale — che ha recepito il progressivo costituirsi di associazioni legalmente costituite».

E a ripensarla tutta insieme, questa storia, riemergono fotogrammi all'apparenza incoerenti: le immagini degli scontri, delle molotov, dei sassi, dei caschi della polizia e delle ruspe che risalgono al 1994, anno dello sgombero dalla sede storica, guerriglia urbana che per giorni occupa i titoli dei Tg quando il sindaco della Milano in piena Tangentopoli è Marco Formentini, leghista. E poi l'altra immagine, di dieci anni dopo, 2004, quando l'associazione delle «Mamme antifasciste del Leoncavallo» riceve il premio Isimbardi, l'Ambrogino della Provincia guidata da Filippo Penati.

Allora, più che indagare cosa abbia rappresentato, nel bene o nel male, per la storia di Milano, è interessante scoprire come il Leoncavallo sia stato «usato» o strumentalizzato; come sia diventato l'oggetto che ciclicamente riemerge nella politica come spunto di scontro.

Per quasi vent'anni, quando le amministrazioni milanesi di centrodestra hanno voluto rafforzare la propria immagine legge&ordine, sono andate a bussare là, alla porta del Leonka. Il celodurismoleghista affrontò mattinate di resistenza pesante nel '94; arrivò a un primo sgombero, seguito da una rioccupazione temporanea e poi da quella «definitiva» (quanto meno perché dura ancora oggi) in via Watteau (18 settembre 1994). Da oltre un decennio invece, la battaglia è «civilmente» scivolata tra carte bollate, decreti di rilascio immobile (una trentina), rinvii, trattative più o meno confessate. Con una costante: sempre là s'andava a sbattere, lo sgombero del Leoncavallo, simbolo che ha sempre garantito visibilità alle politiche legalitarie del Comune. Schermaglie continue. Portate avanti, quasi sempre, con la coscienza che in nulla sarebbero finite. Bassa intensità e, comunque, massima visibilità. Anche se nel mondo antagonista con derive violente, quello più problematico per l'ordine pubblico milanese, il Leoncavallo un ruolo non ce l'ha più da tempo.

Essere un simbolo è un destino consolidato. E proprio per questo l'assessore dei primi anni morattiani, Vittorio Sgarbi, proprio mentre il vicesindaco De Corato continuava a chiedere di sgomberare, fece il suo giro nei locali di via Watteau e paragonò i graffiti sui muri a una post-moderna cappella Sistina. Polemiche da una parte, applausi dall'altra. Con un filo conduttore: al di là dell'arguzia di Sgarbi, quella volta il maestro di provocazioni si appoggiò anche lui sul Leonka e ne sfruttò il potenziale evocativo. Su via Watteau si misura da anni la distanza tra impegno e annuncio della politica. Sarà così anche per la giunta Pisapia.

la Repubblica

Sgarbi: "Producono concerti e mostre sono una realtà e nessuno può opporsi"

intervista di Oriana Liso

«Ma il Leoncavallo non è un problema di sinistra o destra. E dopo tanti anni bisognerebbe arrivare a un´amnistia politica e culturale su quella vicenda. Che si potrebbe risolvere con un po´ di buonsenso, quello che certo non ha il centrodestra milanese che non si rassegna a un dato di fatto: la cultura è di sinistra, e loro non possono farci nulla. Il Leoncavallo deve fare come il teatro Valle di Roma, affidato in gestione a Roma Capitale dopo che le maestranze e gli attori l´avevano occupato».

Vittorio Sgarbi, lei è stato uno sdoganatore del Leoncavallo, quando era assessore alla Cultura della giunta Moratti.

«Infatti io iniziai a immaginare un percorso di mediazione per rendere il centro regolare. Ho invitato i responsabili del Leoncavallo a Palazzo Reale, sono andato lì per inaugurare la mostra sui graffiti... La soluzione si può trovare: facendo pagare a questi ragazzi una cifra non simbolica ma adeguata, 30-40mila euro di affitto, dando i diritti di volumetria altrove ai proprietari, e mettendo nelle mani dei leoncavallini la gestione di una struttura che fa concerti, mostre e potrebbe fare anche di più».

Il suo ex collega di giunta De Corato, pezzi del Pdl e la Lega non sono proprio contenti.

«Devono rassegnarsi, è una battaglia inutile, perché sbagliata. Chiedono ai leoncavallini di abiurare la loro storia? Ma a De Corato qualcuno ha mai chiesto di abiurare la sua? Vadano avanti con la loro opposizione, occupino il consiglio comunale, se lo devono fare per recitare un ruolo: tanto i leoncavallini non si curano certo dei loro proclami».

Però forse ha un senso che sia questa giunta e non la precedente ad affrontare la questione.

«Sono un grande amico di Pisapia, anche se ho invitato a non votarlo, e se devo fare un augurio ai suoi assessori è di essere un po´ risoluti nelle decisioni come lo sono stato io. Ma, ripeto: regolarizzare il Leoncavallo non è una decisione politica, ma una presa d´atto che anche la destra avrebbe dovuto fare».

Lei ha fatto anche di più: cinque anni fa ha definito i graffiti del Leonka "la Cappella Sistina della modernità".

«E lo penso. Peccato che poi i leoncavallini abbiano fatto l´errore di coprirli con altri disegni. Ma cavoli loro. Però ai leghisti vorrei anche ricordare che il loro giornale, la Padania, fece un editoriale per dire che anche la Lega ha usato i muri per lanciare un messaggio».

Libero

La Milano dei centri sociali: “Leoncavallo presto in regola”

Milano, la capitale europea dei centri sociali. Giuliano Pisapia lavora sodo per trasformare il capoluogo meneghino nel cuore pulsante dell'antagonismo italiano, ben rappresentato dallo storico centro sociale Leoncavallo. Il sindaco ha infatti varato un tavolo con le associazioni che gestiscono l'area occupata e la proprietà immobiliare per trovare al più presto una soluzione. L'obiettivo della giunta è arrivare alla regolarizzazione entro fine anno. Insorge la Lega Nord, che con Matteo Salvini ha commentato: "Un aiuto folle e vergognoso. I giovani milanesi hanno ben altri bisogni"

La gioia del portavoce -Daniele Farina, storico volto dell'antagonismo milanese, nonché coordinatore cittadini di Sinistra e Libertà e portavoce dello stesso Leoncavallo, non nasconde la sua gioia. Il percorso per portare l'area verso la regolarizzazione sarà la prossima settimana e si svolgerà in uno degli assessorati. Palazzo Marino, ha spiegato Farina, sveolgerà il ruolo di "facilitatore affinché le parti trovino gli accordi". Il portavoce ha spiegato come il Leoncavallo "non chieda soldi al Comune, ma di operare su un piano amministrativo per facilitare il raggiungimento del risultato.

L'ultimo presidio -Dopodomani è previsto l'ennesimo presidio al Leoncavallo, che attenderanno l'ufficiale giudiziario per lo sfratto: come sempre l'ufficiale giudiziario arriverà e firmerà il foglio per rimandare l'esecuzione del provvedimento. Ma questa volta potrebbe essere l'ultima. "I tempi sono maturi - ha continuato Farina -, si poteva fare anche in passato ma si sono persi molti anni. Mi auguro che l'opposizione di centro-destra non alzi barricate ideologiche". Secondo quanto ha riferito, considerata "la buona volontà delle parti", la regolarizzazione potrebbe passare per "diverse strade".

"Che paghino le tasse" -L'opposizione si è scagliata contro la scelta di Pisapia di dialogare con gli antagonisti, di proseguire nel cammino verso l'illegalità. "La messa a norma del Leoncavallo e, a breve, di altre simili realtà non solo non mi convince, ma mi preoccupa, al pari della stragrande maggioranza dei cittadini milanesi", ha commentato il l'assessore regionale alla Sicurezza, Romano La Russa. "Al di là degli aspetti pseudo culturali con cui si sono sempre trincerati i frequentatori dei centri in qeusti luoghi di pseudo aggregazione - ha proseguito -, è noto a tutti che l'illegalità e il non rispetto delle regole ha spesso caratterizzato l'attività di queste realtà. Tutti sanno che il Leoncavallo è ormai diventato un'impresa commerciale a tutti gli effetti, forte di un giro di affari stimato in vari milioni di euro. Ma se è così - conclude La Russa - non dovrebbe competere ad armi pari con le altre aziende e realtà imprenditoriali cittadine?". Il riferimento è che la casa dei no-global paga zero tasse e zero contributi. Uno scontrino, al Leoncavallo, è impossibile trovarlo. Chi ci lavora lo fa in nero.

Milano ai musulmani e agli antagonisti -Il vento a Milano è cambiato davvero. Infatti, nemmeno un sindaco né un assessore delle precedenti giunte si era mai seduto a un tavolo con i rappresentati del Leoncavallo. Palazzo Marino tratta con l'area occupata e crea un assoluto precedente. Durissimo l'ex vice-sindaco Riccardo De Corato: "Senza ricordare i suoi nefasti precedenti degli ultimi trent'anni fatti di violenze fisiche nei confronti di chi si opponeva alla loro logica di violenza e sopraffazione, il Leoncavallo ha visto una serie incredibile di violazioni di leggi e normative che sono sotto gli occhi di tutte le istituzioni e che Pisapia e la sua giunta conoscono benissimo". Insomma il sindaco dopo aver saldato il conto con la comunità musulmana promettendo moschee in ogni quartiere e il più grande centro islamico d'Europa, dopo aver fatto capire ai milanesi che per girare in macchina dovranno svenarsi e che prendere i mezzi pubblici sarà un lusso sempre più chiaro, offre la sua riconoscenza anche all'antagonismo, e comincia a prodigarsi per legalizzarne l'assoluta mecca.

Il Giornale

Pisapia regolarizzerà il Leoncavallo. Salvini: "Aiuto folle e vergognoso"

di Sergio Rame



Milano - "Un aiuto folle e vergognoso". Il leghista Matteo Salvini non usa mezzi termini per condannare l'amministrazione guidata dal sindaco Giuliano Pisapiache si è proposta di regolarizzare entro fine anno il Leoncavallo, lo storico centro sociale di Milano. Pisapia ha, infatti, deciso di avviare un tavolo con le associazioni che animano lo spazio occupato e la proprietà dell’immobile per raggiungere una soluzione. "I giovani milanesi hanno ben altri bisogni", tuonano i lumbard accusando il neosindaco di legittimare chi vive nell'illegalità.

Il portavoce delLeoncavallo, nonché coordinatore cittadino di Sel, Daniele Farina esulta. E' una vittoria per il Leoncavallo. Dopo aver rassicurato la comunità musulmana garantendo la costruzione delle moschee di quartiere, adesso Pisapia paga il dazio anche ai no global dei centri sociali. Il primo appuntamento è in programma per la metà della settimana prossima e si dovrebbe svolgere in uno degli assessorati interessati alla partita. Il ruolo di Palazzo Marino sarà quello di "facilitatore affinché le parti trovino l’accordo", ha spiegato Farina che ha sottolineato come il Leoncavallo "non chieda soldi al Comune ma di operare su un piano amministrativo per facilitare il raggiungimento del risultato". Dopodomani perciò potrebbe essere l’ultima mattinata passata dai militanti del centro sociale ad attendere l’ufficiale giudiziario per lo sfratto. "I tempi sono maturi, si poteva fare anche in passato ma si sono persi molti anni", ha proseguito il portavoce dello spazio occupato che si è augurato che l’opposizione di centrodestra "non alzi barricate ideologiche". La regolarizzazione potrebbe passare per "diverse strade", vista "la buona volontà delle parti".

Ed è subito polemica

Il centrodestra attacca duramente la decisione di Palazzo Marino di fiancheggiare l'illegalità. "La messa a norma del Leoncavallo e, a breve, di altre realtà simili, non solo non mi convince ma mi preoccupa, al pari della stragrande maggioranza dei cittadini milanesi - tuona l'assessore regionale alla Sicurezza, Romano La Russa - al di là degli aspetti pseudo culturali con cui si sono sempre trincerati i frequentatori dei centri in questi luoghi di pseudo aggregazione, è noto a tutti che l’illegalitàe il non rispetto delle regole ha, spesso, caratterizzato l’attività di queste realtà". Una serie di provvedimenti di facciata non faranno certo cambiare la testa e la mentalità di chi, negli anni, ha coltivato non solo una cultura della protesta ma anche dell’odio e dello scontro fisico e verbale. "Tutti sanno che il Leoncavallo - conclude l'esponente del Pdl - è ormai diventato un’impresa commerciale a tutti gli effetti, forte di un giro di affari stimato in vari milioni di euro. Ma se è così, non dovrebbe competere ad armi pari con le altre aziende e realtà imprenditoriali cittadine?". In primis, pagando le tasse e i contributi come tutti. Quindi, assumendo i dipendenti, emettendo regolari scontrini fiscali e rispettando. Solo in questo caso il centrodestra sarebbe disposto ad aprire il dialogo con il Leoncavallo.

Nessun sindaco e nessun assessore delle precedenti giunte si è mai seduto ad un tavolo con i rappresentanti del Leoncavallo. Per la prima volta Palazzo Marino decide di trattare con un centro sociale. "Senza ricordare i suoi nefasti precedenti degli ultimi trent’anni fatti di violenze fisiche nei confronti di chi si opponeva alla loro logica di violenza e sopraffazione - tuona l'ex vicesindaco Riccardo De Corato - il Loncavallo ha visto una serie incredibile di violazioni di leggi e normative che sono sotto gli occhi di tutte le istituzioni e che Pisapia e la sua giunta conoscono benissimo". Che una trattativa del genere fosse nell'aria lo si poteva intuire, visto che Pisapia deve pagare il prezzo della sua elezione ai centri sociali. Il Pdl assicura tuttavia battaglia. "Contrasteremo in città e nelle aule di Palazzo Marino con ogni mezzo lecito - conclude De Corato - quella che aprirebbe una strada pericolosa visto che bisognerà dimostrare l’interesse pubblico intorno a una vicenda urbanistica di questa portata, e sopratutto visto chi sarebbero gli interlocutori del Comune".

Intanto l'associazione delle "Mamme antifasciste" del Leoncavallo, una delle associazioni che animano il centro sociale, ha deciso di querelare Salvini che ha definito "folle e vergognosa" l’intenzione del Comune di "aiutare chi semina e distribuisce droga con eventi pubblici". "Mi querelano? Sono pronto a confrontarmi con gli occupanti del centro sociale sui modelli di vita e sulla visione di Milano diversi, se vogliono anche nel centro - ribatte l'esponente del Carroccio - chi non condanna con fermezza l’uso e la diffusione di qualsiasi droga e occupa abusivamente non può dialogare con il Comune".

postilla

Chi avesse avuto la pazienza di leggersi anche gli articoli dei giornali di destra, forse non avrà potuto fare a meno di ricordare (e in qualche modo confermare) i paradossali terrori sbandierati dagli stessi personaggi nel videoclip satirico Pisapia Canaglia proposto da radio Popolare nelle ultime e concitate fasi della campagna per le elezioni comunali. A parte l’ovvia caricatura, quel piccolo capolavoro comico riassumeva bene l’atteggiamento della strapaesana destra locale, sostenuta da strapaesani interessi locali, non solo nei confronti di una realtà antagonista, ma di tutto quanto non si riassorbiva nell’idea reazionaria di dio patria famiglia bottega e quattrini. Insomma un’idea di società che fa a pugni in primo luogo con quello che ci aspetta appena mettiamo il naso fuori casa, ma anche con la sensibilità metropolitana (questa sì indistinta, come si dice in altri casi, fra destra e sinistra) di qualsiasi realtà europea e non solo.

Non è un caso che il Leoncavallo, realtà attiva e nota sin dalla metà degli anni ’70, abbia finito per diventare un simbolo contemporaneamente all’ascesa della destra sedicente post-ideologica, ovvero con l’amministrazione leghista-fascista-forzista di Formentini a metà anni ’90. Diciamo che quello che si chiude oggi è soprattutto un faticoso passaggio fra la cultura (vuoi solidale, vuoi autoritaria) della città industriale, e gli scenari del terzo millennio, e che probabilmente toccherà altri aspetti, ambiente e urbanistica inclusi? Beh, almeno proviamo cautamente a dirlo, sopportando pure Sgarbi quando ha ragione (f.b.)

Il bilancio del premio Nobel a 100 giorni dall'insediamento. "La cultura del Pd è sempre quella". E su Penati: "Non è certo un caso che fosse il braccio destro di Bersani. Era lui a consigliare"

Giuliano Pisapia è sindaco da cento giorni, e Dario Fo, suo grande sostenitore, adesso un po’ lo compiange: «Non vorrei essere al suo posto».

Perché?

«Deve tirare calci come un cavallo imbizzarrito per scacciare la gramigna che gli sta attorno».

Gramigna, erba infestante. Forse è il caso di spiegare la metafora botanica.

«Giuliano è stato capace di suscitare un movimento straordinario, e ha vinto perché ha saputo dare un taglio netto a un certo modo di fare politica tipico della sinistra, anzi del Pci milanese. Gli è andata — ci è andata — bene perché la cultura del Pd è rimasta sostanzialmente quella. E non parlo solo della vicenda Penati».

E allora andiamo con ordine: di quale cultura politica parla?

«Prima degli aspetti giudiziari, che contano eccome, bisogna considerare quello che è successo alle primarie del centrosinistra».

E cioè?

«Si è ripetuto lo schema del 2006, quando mi candidai alle primarie: stessa logica di potere, il partito che cerca di imporre il proprio uomo in una competizione che invece dev’essere il più possibile libera. Certo, Boeri era meglio del questurino Ferrante. Aggiungo anche che non faccio accostamenti tra lui e Penati. Ma la logica è stata quella».

Ecco, veniamo al caso Penati.

«Pisapia si è trovato a gestire una situazione in cui un uomo politico indicato come poco onesto gli è stato messo vicino. Anche se di lato: anzi, contro. Questo non è certo bello».

E secondo lei come si è comportato il sindaco?

«L’ho detto: ha scalciato. Insomma, ha deciso di non farsi tirare dentro in quello che io chiamo il mercato dei gestori economici della Lombardia, cercando di farla finita con un andazzo che a Milano ha una storia tragica. Quella della commistione tra una certa sinistra e il potere. Con grossi speculatori che hanno fatto scempio della città, comprandosi i terreni e costruendo grattacieli. C’è da diventar matti».

In che senso?

«Giuliano vince contro queste persone, ma poi qualcuna se la ritrova dentro».

Non crede che occorra distinguere?

«Non sto dicendo che tutto il Pd è Filippo Penati. Resta il fatto che questo partito, almeno alle primarie, ha fatto una campagna contro Pisapia. Che poi ha vinto, facendo diventare vincitore anche il Pd. Un Pd che tuttavia non si accontenta di aver contribuito alla vittoria: continua a fare la sua politica».

Tornando a Penati?

«Non è certo un caso che fosse il braccio destro di Pier Luigi Bersani. Era lui a consigliare, contribuiva a dare la linea. Questo per dire che la logica degli affari andava avanti».

Nel merito, come giudica i primi cento giorni di Pisapia?

«Ultimamente sono stato lontano da Milano, prima di rispondere voglio documentarmi, e soprattutto parlare con lui».

Ma secondo lei il "vento nuovo" della primavera milanese soffia ancora?

«Io lo spero. Ma è dura, quando sei continuamente messo di mezzo da certi personaggi e da una certa politica. Lui non c’entra niente, ma deve fare un lavoro della madonna per buttare alle spalle logiche e comportamenti che perpetuano vecchi schemi».

Insomma, bisogna salvare il soldato Giuliano?

«Confido sia capace di salvarsi da solo. Ma, ripeto, è dura, se il panorama è questo. Prenda D’Alema, che ha brigato per avere un titolo onorifico dal Vaticano. Poi va in tv, e quelli gli chiedono anche che cosa pensi della situazione politica... Uno così dovrebbe essere solo sbeffeggiato, e invece nel Pd conta ancora moltissimo».

In tutta la zona delle ex Varesine, i lavori edili che negli ultimi anni hanno fatto tanto discutere sono ormai a uno stato piuttosto avanzato. È pienamente operativo il nuovo palazzo delle Regione, ad opera dello studio americano Pei; resta da aprire il lato di via Restelli, dove il recente arrivo di alberi lascia immaginare una rapida conclusione dei lavori. A buon punto anche l'edificio di Cesar Pelli, che ospiterà tra l'altro 4 mila dipendenti di Unicredit. Oltre la stazione Garibaldi, si intuisce ormai appieno la fisionomia dello stabile progettato da Stefano Boeri: un giardino verticale di nuova concezione per la città, su cui si appuntano le curiosità di molti osservatori. Anche gli altri edifici sono piuttosto avanti; un'occhiata al plastico in visione nella villetta della Fondazione Catella, dice con chiarezza quanto poco manca alla conclusione.

Nella parte viaria, i lavori infrastrutturali sono certamente più indietro; tuttavia il disegno è percepibile. La prossima apertura del primo tratto della linea 5 della metropolitana — quello diretto al Nord, fino a Sesto San Giovanni — renderà la zona quella meglio servita della città, con tre linee di metrò, il passante, la stazione ferroviaria di Garibaldi, e Centrale a due passi. Una volta conclusa la parte stradale, grazie al nuovo tunnel di viale della Liberazione, sarà possibile camminare praticamente senza macchine da via Pola fino a Piazza XXV Aprile (dove, si spera, un giorno termineranno gli eterni lavori del parcheggio).

A nord, l'area si appoggia all'Isola, che per ora è rimasta a guardare, cercando di mantenere la sua fisionomia di quartiere di carattere, con le abitazioni a misura d'uomo, e, negli ultimi anni, un buon numero di locali, a vivacizzare la vita serale e notturna con una movida non eccessiva e perfettamente sostenibile. Rispetto al nuovo che avanza, l'Isola non ha proprio manifestato entusiasmo, tra opposizioni alle nuove costruzioni, un pò di nostalgia e molto scetticismo. A noi pare invece che, pur con qualche evidente difetto (per esempio i nuovi edifici di via Confalonieri incombono sulla strada, troppo stretta per sopportare la mole di quelle altezze), il risultato finale sia più che condivisibile.

Sugli edifici del viale della Liberazione, c'è però un cartello, «La location per il business del futuro» che, al di là dell'agghiacciante anglitaliano, induce al timore che gran parte della zona si trasformi in una pura sede di lavoro, destinata all'abbandono serale. È già accaduto, per esempio, a Bicocca; con risultati certo non encomiabili la notte e i weekend; una volta che è successo, recuperare diventa praticamente impossibile.

Alle Varesine il rischio è evitabile, a patto che si sfrutti adeguatamente la vicinanza con l'Isola, avviando un'integrazione con la sua vita diurna e notturna. Allo scopo, si raccomandano politiche che favoriscano l'apertura di negozi e locali, e mantengano alto il tasso di abitazioni, evitando la proliferazione incontrollata degli uffici. È inoltre essenziale che nelle nuove aree vengano organizzate da subito occasioni frequenti di vita e ritrovo serale, per far sì che, più che una «location», nasca un quartiere, dove oltre che «business» c'è anche vita.

postilla

Per chi ha conosciuto quell’area fino agli anni ’80, forse il paragone è possibile e lecito: meglio un quartiere bombardato, di aree ferroviarie dismesse ma sgomberate, di improvvisati praticelli e giardinetti a uso di pendolari in transito, o la baracconata anni ’60 fuori tempo massimo che sta spuntando adesso? Di questo si tratta, infatti, con poche differenze, ovvero del Centro Direzionale vagheggiato a suo tempo, in salsa aggiornata per quanto riguarda le architetture, i serramenti, i boschi verticali. Per nulla cambiato invece per l’orientamento automobilistico, con lo stradone multi corsia ubiquo, gli edifici buttati lì (si capisce un po’ anche dalla descrizione nell’articolo: architetture singole, non ambienti) sul campo aperto. E il “business” visto che non siamo più negli anni ’60 della millecento e delle sigarette doppio filtro per la signora elegante è solo quello immobiliare, come a modo suo racconta il cartello anglofono LA LOCATION PER IL BUSINESS eccetera.

Ovvero quella stilisticamente attempata curtain wall è probabilmente destinata a coprirsi di polvere nell’attesa di qualche inquilino in grado di iniziare un po’ a popolarlo almeno di impiegati in pausa pranzo, quel sedicente quartiere. L’unica speranza è che, come al solito, ci pensino il tempo, e l’adattabile improvvisazione umana, a scavare nel nulla urbanistico di questa ennesima tragicomica caricatura, a dargli un senso diverso dal vuoto pneumatico che ci lascia in eredità il pubblico-privato di marca ciellina & company (f.b.)

Un agosto terribile ma settembre non sarà certo tranquillo e, oltre ai problemi tutti interni al Pd, restano comunque sul tappeto due questioni milanesi di fondo: l´Expo e il Pgt. Dell´Expo continuiamo ad avere brandelli di notizie sul "come" ma il dibattito sul "perché" non lo si vuole affrontare. Prudenza politica, forse incertezze. Quanto al Pgt, dopo che il centrosinistra si è convinto che le operazioni in corso sono solo una sorta di argine contro il peggio, resta da sciogliere il vero nodo: che tipo di prospettiva si vuol dare alla città? Si è dalla parte di chi crede allo sviluppo mosso solo dalla crescita o pensiamo che vi possa essere sviluppo senza crescita? Per capirci: si è con chi in fondo in fondo pensa che ci vogliano più abitanti e più territorio edificato o chi pensa a un diverso equilibrio? Per dirla con Presidente della Repubblica: in che direzione deve andare il "motore del desiderio"? Il presidente Sarkozy nel 2008 ha incaricato una commissione (la Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi) di studiare modelli e indicatori diversi dal Pil e tra questi indicatori ha incluso alcune azioni «quotidiane»: camminare, fare l´amore, fare esercizio fisico, giocare, leggere (non per lavoro), mangiare, pregare.

E ancora, riposarsi, cucinare, prendersi cura del proprio corpo, lavori domestici, lavorare, usare il computer (non per lavoro), prendersi cura dei figli, viaggi/spostamenti e altro ancora.

L´Istat ha avviato un "Gruppo di indirizzo sullo sviluppo della società italiana" basato sul criterio del "benessere equo e sostenibile" il Bes. Che se ne pensa? Ai sostenitori della crescita propongo una riflessione. Nel 1973 Milano contava 1.743.000 abitanti, nel 1993, vent´anni dopo, 1.330.000. Come sono stati questi vent´anni? Un pianto? Una desolazione? La mortificazione della città? Tutt´altro. Sono stati anni di progresso, si è molto aumentata la rete della MM, il traffico e il numero delle immatricolazioni è cresciuto tanto che nel 1977 si è deciso di chiudere piazza del Duomo al traffico. Nel 1978 la Regione si è comprata il grattacielo Pirelli, la Scala ha fatto magnifici spettacoli, la vita culturale e i circoli politici hanno conosciuto momenti di grande fervore e favore,

Cologno Monzese è diventato il regno delle televisioni di Fininvest che nel 1988 si comprava la Standa. Nel 1990 si è fatto il terzo anello di San Siro. Insomma, una città vivace. Partendo da Milano e ritenendo di interpretarne lo spirito, nel 1994 Berlusconi scende in campo e Milano conta 1.333.000 abitanti. Nessuno si sognava di parlare di crisi della città. Oggi, diciassette anni dopo siamo poco più di 1.300.000. Da una decina di anni si parla di crisi della città. Sarà una coincidenza ma da quando è salito al governo della città il centrodestra le cose per Milano non si sono messe bene: una politica non condivisa. Sperare di uscirne con una crescita della popolazione, non solo è illusione ma è follia pensare di far leva sull´edilizia per arrivarci. Adesso si pensa che Expo possa essere una sorta di colpo di reni per rimettere Milano in piedi. Come dicevo all´inizio: perché? E comunque dovendo, ma soprattutto potendo, investire 4 miliardi di euro, questo tipo d´investimento è quello che darà un "rendimento" migliore di qualunque altro per il futuro di Milano?

Salvare la fabbrica era un po' come vincere alla lotteria. Ora — e solo ora — quelli dell'Innse possono dire di avere in tasca il biglietto vincente. Tra un mese si va all'incasso. Il piano regolatore dell'area è stato cambiato in extremis prima delle elezioni comunali, nel maggio scorso. A settembre, l'imprenditore bresciano che ha rilevato l'attività, Attilio Camozzi, diventerà finalmente proprietario anche di terreni e capannoni. E allora si potrà cominciare a fare sul serio.

«Cavaliere» e figli prevedono di investire qui altri cinque milioni di euro (quasi altrettanti sono già stati spesi). Oggi in via Rubattino lavorano in 47. L'anno scorso erano 36 più dieci in cassa. Il rientro di questi ultimi è iniziato. Ma la grande novità sono le nuove assunzioni. Sette giovani hanno già firmato un contratto. Un inizio. Secondo i piani del «padrone» qui a regime lavoreranno in 150-200.

La storia di quando quelli dell'Innse costrinsero il cerchio a farsi quadrato è cominciata il 4 agosto di due anni fa.

«Allora ragazzi, qui si fa lunga, ci andiamo a prendere un caffè?». Questa fu la parola d'ordine dei cinque per allontanarsi senza insospettire i poliziotti, lì in tenuta antisommossa per garantire l'uscita delle macchine. Un'operazione che avrebbe messo la parola «Fine» sulla storia della ex Innocenti.

Guardandosi le spalle Vincenzo Acerenza, Massimo Merlo, Roberto Giudici, Fabio Bottaferro e Luigi Esposito girarono dietro la fabbrica, entrarono da un pertugio e salirono sul famoso carro ponte. Scelta meditata.

«Avevamo vagliato diverse ipotesi — raccontano oggi —. Prima pensavamo di incatenarci a una delle macchine. Ma poi ci siamo resi conto che così avremmo resistito ben poco tempo. E allora ci è venuta l'idea del carro ponte».

Nessuno del variegato popolo in attesa degli eventi davanti ai cancelli della fabbrica avrebbe scommesso un centesimo sull'Innse. Cronisti, poliziotti, persino molti sindacalisti pensavano che questa fosse l'ennesima storia dall'esito scontato. Un pugno di reduci illusi e uno stabilimento già morto anni prima. Forse non ci credevano fino in fondo nemmeno loro, i cinque che salirono sul carro ponte. Un gesto estremo, dettato dalla determinazione a essere coerenti fino all'ultimo più che da una reale speranza di tenersi stretto il lavoro.

Fecero scuola quelli dell'Innse. Da allora molti si sono arrampicati sulle scale della protesta. Senza fortuna. I cinque di via Rubattino restano un unicum. Ma meglio sarebbe dire i «quattro più uno». Quattro tute blu e un funzionario della Fiom. Roberto Giudici, che continua a occuparsi di aspetti organizzativi per i metalmeccanici della Cgil, abituato a intervenire nelle situazioni più difficili. Vincenzo, Massimo, Luigi e Fabio in questi due anni sono rimasti al solito posto. In fabbrica. Lo sguardo sempre rivolto in avanti: «Quel che è stato è stato — taglia corto al telefono Massimo Merlo —. Non abbiamo niente da festeggiare. Noi pensiamo al futuro. E alle assunzioni che devono venire. Dopo tutto quello che abbiamo fatto l'abbiamo fatto anche per loro. I ragazzi che arriveranno».

postilla

Quando la fabbrica milanese si conquistò le prime pagine sulla stampa nazionale, su questo sito se ne sottolineava il ruolo simbolico, forse anche qualcosa in più, rispetto alle politiche di sviluppo territoriale. Era l’epoca di formazione del piano di governo del territorio diretto discendente della strategia privatistica e banalizzante, di una Milano fatta di metri cubi a prezzi decisi a tavolino, e parallele speculazioni di varia natura. Mentre la resistenza degli operai Innse, proprio di fianco al quartiere Rubattino figlio degenere della “riqualificazione di aree dismesse” a senso unico, poneva l’accento sul possibile futuro della città e dell’area metropolitana: campo giochi per finanzieri e indistinta folla di servi, o città vitale multifunzionale, con uno spazio anche per le attività produttive?

Oggi è cambiata la maggioranza comunale, si sta cercando di intervenire a modificare auspicabilmente in meglio il Pgt, si parla auspicabilmente in modo serio di città metropolitana. Mentre si sviluppa la vicenda di queste aree industriali sull’asse dalla Tangenziale Est verso il nuovo margine urbano della Tangenziale Esterna, a poche centinaia di metri nel territorio dei comuni di prima cintura crescono altri enormi progetti di trasformazione, come quello del megacentro commerciale Westfield-Percassi sull’ex scalo ferroviario. E sorge spontanea la domanda: quale futuro? Si può ancora pensare in termini strategici, oppure le legittime battaglie per difendere un territorio vivo e vario sono solo una specie di ritirata, strategica? La città metropolitana è davvero un obiettivo essenziale progressista (f.b.)

Il futuro di Metanopoli va presentato in busta chiusa e consegnato alla sentenza d'una giuria segreta. È una gara con la storia. Siamo nella città ideale di Enrico Mattei, il quartier generale costruito sull'energia del boom economico, con Agip, Eni e Snam, la San Donato industriale e gigantista romanzata da Bianciardi «che compare in mezzo alla campagna, improvvisa, come dipinta su un fondale da un'urbanistica megalomane». Questo tessuto di calcestruzzo e vetro si rinnova, ancora, a sessant'anni dalla fondazione. L'Eni torna a investire in casa, ha selezionato dieci archistar per costruire il nuovo centro direzionale «Exploration and Production» (E&P), il sesto dell'insediamento originario, un sistema composto da tre torri «ad uso terziario-uffici» e un quarto edificio per funzioni «complementari e accessorie».

I progetti devono essere consegnati entro il 26 agosto. Disegni e plastici anonimi. Cifrati. Trasparenza e merito vengono prima dei nomi. Le parole chiave del concorso: sostenibilità ambientale, flessibilità degli spazi e trasporti ecocompatibili. Gli obiettivi (o aspirazioni): «Fornire un'immagine architettonica che si basa sulla tradizione del XX secolo di Metanopoli e riflettere il "global status" di Eni».

Nascerà una San Donato glocal sulla vecchia via Emilia, a dieci minuti dal Corvetto, Milano Sud. Il distretto E&P sarà inaugurato «entro il 2014» su un'area di 65 mila metri quadrati delimitata da viale De Gasperi, via Ravenna, via Correggio e via Vannucchi e, secondo le linee guida del concorso, dovrà costituire «il segno riconoscibile e rappresentativo di Eni sul territorio». La sfida è affidata a dieci studi internazionali. Dieci big e nel gruppo c'è un solo architetto italiano ammesso alla procedura ristretta: il milanese Mario Bellini (suo il dipartimento dell'arte islamica al Louvre e la sede di Deutsche Bank a Francoforte). Deve confrontarsi, tra gli altri, con il francese Dominique Perrault (il progettista della Biblioteca François Mitterrand a Parigi), il giapponese Arata Isozaki (autore-visionario di una delle tre torri di CityLife, il grattacielo più alto d'Italia) e l'americano Richard Meier (che ha firmato il Getty Museum a Los Angeles e il Museo dell'Ara Pacis a Roma).

L'incarico sarà assegnato entro l'anno. Il gruppo di Paolo Scaroni ha programmato un'operazione complessiva da circa 60-70 milioni di euro, che sarà completata da alcune opere per il Comune (la cessione di un terreno di 150 mila metri quadri in località Monticello per la costruzione di housing sociale e la riqualificazione dello storico e blasonato centro sportivo Snam, che sarà intitolato a Mattei).

Se Adriano Olivetti risollevò Ivrea, Enrico Mattei scelse San Donato Milanese. Erano i primi anni Cinquanta. Metanopoli nacque con la stazione di servizio Agip disegnata dell'architetto Mario Bacciocchi e il complesso industriale Snam ideato da Bacigalupo e Ratti. Mattei decise di riunire in un unico quartiere le attività direzionali e gestionali della Snam, e gli appartamenti degli operai, degli impiegati e dei dirigenti. Casa e bottega. Il primo Palazzo uffici, «il castello di vetro» a forma esagonale — modellato sulla struttura molecolare degli idrocarburi — fu realizzato tra il 1956 e il 1957 in piazza Vanoni. Estetica e metafora a servizio del business. È cresciuta così, San Donato. Sull'Eni. Capitalismo paternalista.

Decenni di sviluppo. Crisi, polemiche e picchetti negli anni Ottanta. Gli edifici più recenti, nel settore Affari progettato da Kenzo Tange, sono stati completati tra il 1996 e il 2000. Ai cinque poli direzionali esistenti, di qui al 2014, si aggiungerà il centro «Exploration and Production».

«È un passaggio storico per la nostra comunità, un'occasione irripetibile», ha sottolineato il sindaco Mario Dompè: «Le scelte aziendali, a partire dal 2000, hanno portato il gruppo energetico sempre più lontano dal territorio. Per questo, appeni arrivati al governo della città, abbiamo lavorato per intrecciare rapporti migliori tra pubblico e privato. L'Eni è un simbolo di San Donato Milanese». Almeno tremila abitanti lavorano per il cane a sei zampe.

L'espansione dell'Eni «garantirà altri 3.600 nuovi posti di lavoro» e «consentirà di recuperare 42 mila parcheggi e riqualificare strade, servizi, aree verdi» (grazie a 12 milioni di euro incassati dal Comune con gli oneri di urbanizzazione) in un'area d'interesse paesistico vincolata dai Beni culturali e «sbloccata» dal Pgt. Il concorso di progettazione chiede agli architetti di «creare un ambiente di lavoro integrato e sostenibile», proporre «un design all'avanguardia in relazione alla sostenibilità energetica» e «ottimizzare le connessioni e la relazione con il contesto urbano esistente». Nello spirito di Mattei, per la Metanopoli che sarà: «A misura d'uomo».

Il programma elettorale di Giuliano Pisapia indicava la necessità di sostanziali modifiche al Piano di governo del territorio adottato dalla precedente amministrazione, anche nel senso di un ridimensionamento delle potenzialità edificatorie. Tale indicazione era e resta opportuna per una serie di ragioni, quali l’inaudito sovradimensionamento delle previsioni insediative, funzionale alla creazione di una pericolosa bolla immobiliare più che al rilancio dell’attività edilizia, la scarsa tutela dei pochi preziosi sistemi verdi, la mancanza di un coordinamento con i progetti e le idee delle centinaia di Comuni dell’hinterland.

Questa tipologia di modifiche non è praticabile, nel nostro sistema giuridico urbanistico, nella fase della discussione delle osservazioni che è quella che, per ora, la nuova amministrazione ha deciso di riaprire. Questo non significa che la decisione di ripartire dalla discussione e poi dal voto sulle migliaia di osservazioni sia sbagliata: tutt’altro. Significa soltanto che essa costituisce solo il primo passo in ordine cronologico per la modificazione del piano, passo opportuno, necessario, ma non sufficiente. Infatti le modifiche annunciate nel programma della nuova amministrazione comportano necessariamente, come si è evidenziato, una riadozione del piano.

Quanto sarà complicato elaborare il piano da riadottare, e quanto tempo ci vorrà per arrivare, alla fine, alla sua approvazione? Bisogna considerare che il Pgt lasciato ai milanesi dalla precedente amministrazione, benché onusto di migliaia di pagine, è tuttavia privo di molti dei pezzi fondamentali di un buon piano: la condivisione delle prospettive di sviluppo, di tutela ambientale e di dotazione infrastrutturale con i Comuni circostanti e con le zone, l’individuazione di efficaci linee di crescita della competitività per il sempre più debole sistema economico milanese, la verifica di coerenza tra previsioni insediative, sistemi di mobilità ed effetti ambientali, la promozione efficace della qualità urbana e di più alti standard di giustizia sociale, la fattibilità finanziaria.

La sinistra, al governo a Milano per la prima volta dopo tanti anni, deve mostrare di saper attingere, essendo libera da interessi particulari, questo superiore livello delle grandi finalità di interesse generale.

Quanto tempo ci vorrà per riempire il piano di questi contenuti essenziali? Difficilmente sarà possibile confezionare e approvare un piano così fatto entro il 31 dicembre 2012, come la legge regionale vorrebbe. È perciò indispensabile adoperarsi per allentare questo nodo troppo stretto, mentre occorre avviare subito il processo partecipato, politico e tecnico, di definizione dei nuovi obbiettivi, in parallelo e non in successione o in subordine all’esame delle osservazioni. La strada da percorrere è lunga: non c’è un minuto da perdere.

Un’alleanza che promette la nascita del centro commerciale più grande d’Europa, a due passi da Linate. L’hanno stretta il gruppo Stilo, controllato dal fondatore Antonio Percassi, e l’australiana Westfield, uno dei maggiori gruppi mondiali del comparto. Quello che nascerà sarà uno shopping center di 170mila metri quadrati sull’area dell’ex dogana nel centro di Segrate, da anni abbandonata, e si chiamerà appunto Westfield Milan. È previsto l’insediamento di centinaia di negozi di livello medio-alto, soprattutto di lusso: Prada, Versace, Gucci e Armani sono alcuni dei marchi che potrebbero aprire proprio nel nuovo mall a due passi dall’Idroscalo.

Sull’area lo stesso gruppo Percassi aveva previsto una cittadella del tempo libero, con negozi, ristoranti, multisala, teatro, albergo e spa, progetto che sembra abbandonato a favore di quello nuovo, per cui è previsto un investimento da 1,25 miliardi, con 5mila posti di lavoro sia per i lavori che per la gestione: Westfield ci metterà 115 milioni, in due tranche, il resto dovrebbe essere a carico del gruppo di Percassi, patròn dell’Atalanta. Inizio lavori, si annuncia, nel 2012, la fine per l’Expo 2015, quando forse, a Forlanini, arriverà anche la fermata del metrò 4.

Il progetto, di cui si parla da anni, desta preoccupazione tra i residenti per il traffico che potrebbe generare. Inizialmente previsto sull’area davanti alla sede dell’Ibm, a San Felice, il piano fu modificato per l’opposizione degli abitanti: al posto del mall sorgeranno case, realizzate sempre dal gruppo di Percassi. Soddisfatto dell’operazione il Comune di Segrate, di lì passerà la parte finale della Brebemi e ancora mancavano i fondi per la viabilità locale da Pioltello verso Milano, svincoli e pure percorsi ciclopedonali: «Così, con gli oneri, abbiamo trovato gli 85 milioni per la viabilità speciale legata alla Brebemi - spiega Adriano Alessandrini, sindaco di Segrate (centrodestra) - da Pioltello fino allo svincolo di Lambrate realizzeranno la nuova Cassanese, 3 chilometri in galleria e trincea che alleggeriranno il traffico su Segrate. Poi con gli altri oneri di urbanizzazione realizzeremo altre opere utili».

Ma non tutti fanno i salti di gioia. Tra questi, i cittadini della frazione di Tregarezzo, decine di famiglie che vivono a bordo della Cassanese che attendono da anni di sapere il loro destino quando la Brebemi passerà vicino alla loro finestre: «Ci avevano promesso la delocalizzazione proprio sull’area dell’ex dogana dove faranno il centro commerciale - critica Daniela De Stefani del comitato Tregarezzo - ma evidentemente avevano altri piani e noi ancora non sappiamo che fine faremo».

postilla

Il Comune di Segrate nasce con l’ondata migratoria “interna” del Secondo Dopo Guerra, quando molti immigrati milanesi, a causa dei prezzi delle case e della scarsa qualità dei servizi offerti da Milano, si stabilirono nella prima corona suburbana. Una rapida lettura dei dati demografici di Segrate (6.950 abitanti nel 1961, 32.368 nel 1991, fino ad arrivare agli oltre 34.000 residenti di oggi) può agilmente spiegare alcuni problemi che questo territorio, cresciuto troppo in fretta, si porta dietro da decenni: frammentazione territoriale e sociale, congestione, assenza di gerarchia urbana, ecc. Di fatto Segrate è un agglomerato di diversi quartieri (uno dei quali, certamente il più glamour, è Milano2) e cittadelle (come il S. Raffaele, nell’ultimo periodo certamente meno glamour che in che in passato), che si caratterizzano per il carattere monofunzionale e autoreferenziale; un insieme di recinti chiusi, a sé stanti, dipendenti dall’automobile e generatori di traffico.

Qualcuno penserà che siano i soliti commenti di qualche fanatico e benpensante urbanista che, alle soglie della Grande Milano, è contrario alle regole dell’economia e del mercato. E invece non è altro che il riassunto delle centinaia di pagine, prodotte per il futuro Piano di Governo del Territorio di Segrate, nelle quali, con qualche giro di parole in più, si indica la necessità di intervenire per riconnettere le diverse parti della città trasformando quello che ora si presenta come un “arcipelago suburbano” in una “cittadina più compatta, con un’adeguata dotazione di servizi: trasporto pubblico più efficiente, verde, strutture civiche e sociali”.

Ma, come spesso accade a queste latitudini lombarde, dove sembra che la crisi abbia ulteriormente rafforzato quei venti di sregolazione e speculazione che qui soffiano da oramai un ventennio, i progetti che vengono realizzati se ne infischiano delle analisi e delle indicazioni contenute nei piani urbanistici. Ed ecco il nuovo centro commerciale del gruppo Percassi, che promette di diventare lo shopping center più grande d’Europa e che, oltre a fare una serrata concorrenza alle altre strutture commerciali esistenti nei paesi limitrofi (peraltro non poche!), planerà come un’astronave in un’area dismessa, ex proprietà delle Ferrovie dello Stato, che la nuova viabilità in cantiere (Bre.Be.Mi. e T.e.e.m.) renderà fortemente appetibile per la sua posizione strategica-

Non resta che aggiungere un altro esempio, the Westfield Milan case , all’elenco delle “occasioni perse” di questo territorio, quello del margine est della regione urbana milanese, che, ancora oggi, appare piuttosto incerto e indefinito a causa del suo passato industriale che ha lasciato in eredità numerosi vuoti urbani da ripensare, ma che rischia sempre più di soffocare a causa di una serie di operazioni immobiliari miopi e localistiche. L’area ex dogana di Segrate, una delle aree dismesse di maggiore estensione di questa zona, diventerà un altro caso di speculazione immobiliare di stampo ambrosiano nonché l’ennesima occasione mancata per elaborare un modello di sviluppo che guardi al futuro con politiche territoriali di più ampio respiro che, da un lato sappiano guidare uno sviluppo di qualità e, dall’altro, rompano quel circolo vizioso, imparato oramai così bene da molti amministratori locali, che ha reso la finanza immobiliare la principale entrata dei bilanci comunali. (s.r.)

Non solo i farmers market, i mercati degli agricoltori dove acquistare prodotti a chilometro zero direttamente da chi li produce (in Lombardia sono già un centinaio, di cui quarantacinque tra Milano e provincia) ma anche gli spacci nelle cascine sono molto apprezzati dai consumatori, sempre più convinti, con la spesa sul campo, di portare in tavola cibo buono e sano spendendo meno. La vendita diretta nelle aziende agricole ha avuto un vero e proprio boom, e gli spacci aziendali sono passati da 73 a 372 in poco più di un anno, fa sapere la Coldiretti Lombardia: un incremento del 500 per cento.

Che si inserisce dentro il progetto Campagna Amica, la struttura su cui Coldiretti sta costruendo la filiera agricola italiana con il sistema della vendita senza intermediari. E che si serve, per raggiungere lo scopo, della espansione dei mercati dei contadini, degli spacci all’interno dei luoghi di produzione e delle "botteghe di Campagna Amica" (per ora solo quattro in Lombardia, a Legnano, Parabiago, Cremona e Biassono), negozi in cui gruppi di produttori si mettono insieme in modo da offrire ai clienti più scelta e ottimizzare i tempi di acquisto.

Un successo dovuto anche «alla nostra sensibilizzazione per spingere i coltivatori a vendere in maniera diretta, in modo da arrivare più vicino al consumatore e tagliare la filiera - spiega Andrea Repossini, responsabile di Campagna Amica della Coldiretti di Milano e Lodi - . A chi compera si cerca di dare un prodotto di qualità al prezzo giusto, a chi vende di aumentare la redditività di ciò che produce, senza che questa venga decurtata da tutti i passaggi interni alla filiera, che lasciano nelle tasche dei coltivatori solo briciole. La forte espansione è iniziata due anni fa e oggi la rete, sia dei mercati che degli spacci, sta diventando sempre più capillare».

Carne, latte, formaggi, salumi, miele, vino, pollame, uova, marmellate, riso, frutta e verdura - fino a cose molto particolari come la birra cruda o le lumache - sono, per esempio, i prodotti offerti negli spacci di Milano e provincia, ora una quarantina (l’elenco sul sito lombardia.coldiretti.it). Ma centodieci spacci sono in attesa di essere accreditati. Per ottenere il logo Campagna Amica è necessario essere una vera azienda agricola, che coltiva e tratta ciò che poi vende e «accettare una serie di controlli da parte nostra - dice ancora Repossini - che accertino la provenienza locale e la corretta produzione del prodotto».

Ferdinando Cornalba, di Cascina Nesporedo a Locate Triulzi, è un veterano della vendita diretta, oggi così diffusa, e naturalmente è stato il primo ad entrare nella rete Campagna Amica. «Abbiamo cominciato nel 1985 con la carne e il riso, venticinque anni fa» racconta. E ci tiene a dire che «dalla fiala di fecondazione alla bistecca tutto viene rigorosamente fatto all’interno dell’azienda, compresa la macellazione, la trasformazione, la vendita. Siamo stati i primi a mettere il self service per il latte fresco, appena munto. Ma visto che i miei clienti mi chiedevano altri prodotti oltre a carne, riso, latte e miele, e che io certo non posso produrre tutto, ho organizzato un sistema di collaborazione infraziendale, un interscambio tra aziende. Io ti do la carne, tu mi dai la birra o il vino o l’olio. Vendo il prodotto di un’altra azienda che fa filiera corta come me, e loro vendono il mio».

La sua inventiva è andata anche oltre. Ha messo delle videocamere nelle stalle e ha pianificato l’adozione a distanza. «Con minimo 50 euro - spiega - si può avere il certificato di adozione. Su Internet il cliente può seguire ciò che accade nelle stalle, come vengono trattati gli animali. Un mese dopo può fare i suoi acquisti. L’importo viene scalato, ma con un 10 per cento in più».

postilla

Naturalmente tutto è bene ciò che finisce bene, e dunque pare assai positiva qualunque mossa in direzione di un rapporto più diretto e consapevole fra territorio, consumi, società. In fondo è proprio questo il senso dello slogan chilometro zero, oltre il fattore essenziale del contenimento di consumi energetici da taglio delle distanze di trasporto derrate. Però pare proprio che il percorso iniziato coi mercati contadini, invece di evolversi in una direzione – diciamo così – di massa, si stia orientando invece a crearsi una specie di altra nicchia segregata. E val la pena chiedersi: è un obiettivo intelligente, la pura individuazione di nuovi segmenti specifici di mercato, o magari in questo modo non si va molto oltre il ghetto di lusso di alcuni privilegiati, vuoi sul versante economico che culturale?

Il rapporto positivo che si instaura fra territorio e società locale con la “riscoperta” delle attività agricole anche per il consumo diretto dovrebbe andare un po’ oltre, magari coinvolgere direttamente la grande distribuzione, ideare un “marchio” riconoscibile sul modello di quelli della denominazione di origine, entrare visibilmente nei servizi alimentari di scuole e altre istituzioni locali.

Altrimenti, con le cascine e le aziende agricole che le circondano ridotte al ruolo di boutique territoriale per signore eleganti in cerca di autenticità sottovuoto, si va al massimo verso una replica di quanto già avvenuto nella seconda metà del ‘900 coi centri storici: prima il declino della funzione residenziale e popolare con tutte le attività connesse, poi la riscoperta e valorizzazione a uso e consumo di chi può permetterselo. E non pare una gran scoperta progressista, per la società, l’ambiente, la metropoli, pensare a una greenbelt futura dove al sabato fanno shopping le sciùre del centro, mentre i poveracci le guardano da dietro i cancelli. Anche per la gestione intergrata del territorio insomma cerchiamo di fare qualcosa un pochino di sinistra, o almeno provarci (f.b.)

Al Sindaco di Milano

Noi cittadini milanesi, italiani e del mondo ci rivolgiamo a Lei, signor Sindaco, nel rinnovato tentativo di fermare lo scempio del parcheggio di piazza Sant'Ambrogio.

Sarebbe, infatti, un danno irreversibile trasformare nel tetto di un silos sotterraneo di cinque piani una piazza storica, che di Milano è fulcro simbolico, paragonabile in dignità e significato, pur con le sue eccezionali peculiarità, a piazza del Duomo e a piazza San Pietro. Questo luogo, infatti, custodisce nelle sue fondazioni millenarie le memorie di quei martiri, in onore di cui Ambrogio eresse la prima basilica, in seguito a lui dedicata. E qui è ancora evocata la sacralità dei riti religiosi che nella basilica si svolgevano e trovavano in questo spazio, vissuto dai fedeli di ogni tempo come sacro e pubblico, una loro naturale continuazione di liturgia e devozione. Per questo, ben più recentemente, proprio qui, in questa piazza, è stato edificato il Sacrario dei Caduti, perché, considerandoli nuovi martiri, venisse data continuità a quella memoria sacra, da cui trae origine la più profonda identità cittadina.

E’ la stessa Costituzione italiana (art. 9) e il Codice dei beni culturali (art. 10 e 20) a vietare di per sé la distruzione di una piazza di questa importanza.

Basterebbero, signor Sindaco, per fermare l’obbrobrio, anche semplici considerazioni urbanistiche e viabilistiche: concepito nel 1985, oggi tale parcheggio non ha più senso, perché si troverebbe inserito in modo incongruo in un centro storico che si vuole sempre più chiudere al traffico privato. La zona è inoltre ottimamente servita dai mezzi pubblici e posti-macchina liberi nelle vicinanze non mancano, come nel parcheggio da poco messo in funzione (come da anni si chiedeva) in via Olona.

Che bisogno c'è allora per l’utilità pubblica di costruire un altro parcheggio? Sarebbe solo l'ennesimo esempio di privatizzazione dello spazio pubblico a beneficio di pochi.

In campagna elettorale abbiamo accolto come una promessa la Sua affermazione che avrebbe sospeso i parcheggi delle piazze Lavater e Sant'Ambrogio.

Sappiamo che le titubanze della nuova Amministrazione sono di ordine economico, motivate dagli svariati milioni di euro di penali -hanno riportato i quotidiani- che il Comune di Milano dovrebbe pagare all’impresa costruttrice in caso di cancellazione dell'opera. La cifra, dovuta dal Comune a titolo di rimborso delle spese ad oggi sostenute dall’impresa (danno emergente), merita, a nostro avviso, una seria verifica pubblica e l’esame di forme alternative di risarcimento, che valgano di compensazione. Vorremmo, infatti, che sull'altro piatto della bilancia venisse considerato in tutto il suo peso il danno risultante dalla profonda e definitiva modificazione e banalizzazione della piazza, conseguente alla realizzazione di un parcheggio sotterraneo (con pensiline, griglie di aerazione, scivoli di entrata e uscita e stenti alberelli a cosmesi del tutto): questa sì una penale di cui pagare perennemente il prezzo per quanti, nel mondo intero, riconoscono in piazza S. Ambrogio una risorsa impareggiabile di ricchezza storica e artistica.

Qualcuno ha cercato di dimostrare che il parcheggio, lungi dallo snaturare la piazza, migliorerebbe quello che appariva oggi come spazio informe, snaturato dalla sosta selvaggia, profondamente alterato e ricostruito nei secoli, soprattutto dopo i devastanti bombardamenti che colpirono Milano nel 1943. Ma far dipendere la tutela di un bene storico dalla sua integrità “originaria” farebbe escludere da ogni protezione qualunque testimonianza del passato, anche il Duomo di Milano (la cui facciata attuale risale al XIX secolo) o la stessa Scala (bombardata nel 1943), solo per citare degli esempi. La piazza si può ben migliorare, liberandola dalle auto in superficie, anche senza il parcheggio!

Ripetiamo che, se anche l'opera ha tutti i nullaosta necessari, a partire dalle Soprintendenze, la conversione a tetto di pubblica autorimessa di un bene culturale è destinazione distruttiva e incompatibile con il vincolo di tutela: l'autorizzazione della Soprintendenza, concessa con molte incertezze e piegata, a detta degli stessi responsabili, a decisioni politiche, non vale certo a legittimare l'intervento vietato dal Codice dei beni culturali.

Per questo, signor Sindaco, ricorriamo alla Sua autorità perché quanto è stato compiuto di sbagliato nel passato venga ora corretto, riaffermando quei principi di tutela che con vigore si devono far valere. Per un ripensamento, sospenda i lavori in corso.

Per aderire all’appello

La politica oggi è fatta di immagine, dichiarazioni, slogan, e va bene così.

Infatti quando si è scarsini su quel fronte, nonostante risultati molto tangibili e concreti, il consenso latita, i voti se ne vanno altrove, la gente mormora anche se non ne avrebbe alcun motivo. Giusto. Partecipazione e trasparenza vuol dire poter capire al volo cosa succede anche senza essere esperti, e uno slogan, una immagine, funzionano. Però anche, non invece.

Prendiamo una piccola, piccolissima cosa, che poi non è affatto piccolissima a guardarla bene, ovvero la faccenda delle biciclette.

La giunta comunale milanese uscente e (per fortuna) uscita, durante la campagna elettorale aveva puntato anche su una propria strategia (se vogliamo chiamarla così) sulla mobilità ciclabile. Non solo il modaiolo bike-sharing, ma anche le nuove piste, inserite in quello che sindaco Moratti e garrulo assessore Masseroli declinavano come nuovo modello di spazio urbano condiviso: tutte le strade alle auto, e pedoni e ciclisti a farsi la guerra tra poveri nelle striscioline residue. Si facevano anche fotografare mentre pitturavano sinistre sagome gialle per terra. Beh: sappiamo come è andata a finire, ovvero che i cittadini badano all'immagine, ma pure alla sostanza, e li hanno bocciati.

Adesso comanda il socialismo, ogni mattina sorge il sole dell’avvenire dalle guglie del Duomo, e coi primi cento duecento e qualcosa giorni si capisce che davvero tutto è cambiato. Ad esempio col gesto drastico di sollevare dall’incarico ai vertici dell'Azienda Trasporti il potente Elio Catania, troppo esoso e troppo partigiano. Appunto la politica è fatta anche di dichiarazioni e di immagini: ma il prossimo signor o signora X che si siederà sulla poltrona ex Catania, che ci starà a fare oltre a prendere meno stipendio e non fare propaganda per l’opposizione? Forse c’è una piccolissima cosa che – fra le migliaia di altre – potrebbe fare. Ed è lasciare che qualcuno dei suoi sottoposti di prima, seconda, terza fila, porti avanti l’idea di far salire le bici sui mezzi pubblici. Suona poco strategico? Marginale? O peggio lobbistico, cose che riguardano una esigua minoranza che pretende troppo?

Non è affatto così. Si verifica in tutte le città del mondo come qualunque intervento, per quanto minuscolo, a migliorare infrastrutture e organizzazione della mobilità dolce, porti a una crescita sproporzionata degli utenti, segno che esiste una forte, fortissima domanda latente. E del resto il solo fatto che a Milano qualcuno si sposti in bicicletta per studio e lavoro è un chiarissimo segno di questa potenzialità. C’è però – lo sottolineano prima o poi tutti – il guaio della enorme discontinuità di percorsi, che non deriva semplicemente dall’assenza di piste dedicate, ma da altri ostacoli, di attraversamento, dislivelli, interferenza anche pericolosa con altro traffico ecc. Naturalmente si tratta di difficoltà gestibili con un po’ di impegno su percorsi relativamente brevi, ma che si moltiplicano all’infinito con l’allungarsi del tragitto. Ma se si potesse salire sul tram? Pagando quei cinquanta centesimi in più che fra mille polemiche sulla mazzata ai ceti deboli sono stati comunque imposti?

Sicuramente esiste un motivo “tecnico” per cui se cerco di portarmi sul tram, o sulla metropolitana, la bici, un gentile funzionario mi sbatte fuori, manco fossi Rosa Parks negli Usa segregazionisti anni ’50. Ma un ostacolo tecnico è per sua natura risolvibile, e questo magari neanche tanto difficile, per i dirigenti e responsabili che sostituiranno la gestione Catania. Nella sua lettera al manifesto (la riporto sotto) del 31 luglio spiega correttamente che l’aumento del prezzo del biglietto è una scelta resa obbligata dagli strascichi dell’amministrazione precedente e dal contesto economico nazionale. Fin qui nulla da eccepire. Poi aggiunge anche che in termini di mobilità ciclabile si lavorerà su bike-sharing e piste. Anche qui, scelte giuste, e però. Però da un lato sembrano una specie di scelta business as usual, e dall’altro paiono pure settoriali. A Parigi col Velib si effettuano il 2-3% degli spostamenti, a Copenhagen in bici si muove il 40%, una bella differenza, no? Che deriva anche dall’affrontare la questione in termini di sistema: si integra DAVVERO tutto ciò che non è mobilità automobilistica.

A partire esattamente dalla correzione dell’errore, del peccato originale di cultura segregazionista spaziale: qui i vasi non comunicanti della ferrovia veloce, qui quelli delle corsie automobilistiche, qui i sottopassi pedonali, lì le passerelle ciclabili … una enorme serie di infiniti insostenibili investimenti in opere che alla fine producono apartheid, insicurezza, costi di manutenzione, sacche di estraneità relativa e rispetto al tessuto dei quartieri. E invece, oltre a subire i danni dell’amministrazione Moratti, ci si potrebbe appropriare di una sua eredità, ovvero l’idea degli spazi condivisi, certo stavolta non declinata a scopi ideologici ed elettorali. Sindaco e garrulo assessore invitavano pedoni e ciclisti a adattarsi alle strisce residue ai margini della carreggiata dedicata alle onnipresenti automobili. Oggi si potrebbe iniziare a concepire una rete viva di mobilità integrata che si autoalimenta attraverso gli utenti, e via via in parallelo restringe gli spazi fisici e di legittimità del veicolo privato. A partire dall’accesso dei ciclisti ai mezzi pubblici anche nei giorni lavorativi. Anche questa a modo suo è una forma di rivendicazione di diritti di cittadinanza. In altre parole, attacchiamoci al tram, visto che ce l’hanno lasciato!

Il manifesto, 31 luglio 2011

L’aumento del tram è targato Moratti

di Giuliano Pisapia

A proposito dell’articolo «Pisapia azzera i vertici dell’Atm ma aumenta il biglietto del tram», sono costretto a fare alcune precisazioni. Credo non vi possano essere dubbi sul fatto che la giunta di Milano avrebbe ben volentieri fatto a meno di aumentare il prezzo del biglietto del tram e di introdurre l’addizionale Irpef. Purtroppo, però, l’aumento del biglietto era già previsto nel bilancio della giunta Moratti ed era imposto da una legge regionale. Inoltre l’introduzione dell’addizionale Irpef era di fatto obbligatoria per far fronte a una voragine nei conti ereditata dalla giunta Moratti e dalla manovra di governo.

Se non fossimo intervenuti su un bilancio disastrato, saremmo stati costretti a un drastico taglio dei servizi e a fine anno, non rispettando il patto di stabilità, sarebbero scattati gli ulteriori tagli previsti anche dall’ultima manovra del governo Berlusconi (circa 500 milioni di Euro in meno Milano). L’addizionale introdotta aMilano è comunque la più bassa d’Italia e il numero degli esenti è il più alto (circa 2/3 dei milanesi, quelli con minor reddito, non pagheranno). Inoltre nel provvedimento che sarà approvato dal Consiglio comunale la prossima settimana sono previste specifiche agevolazioni fiscali per anziani e disabili.

Per quanto concerne il costo del biglietto, anche al fine di incentivare l’uso dei mezzi pubblici, abbiamo escluso da ogni aumento gli abbonamenti (utilizzati per lo più dai lavoratori e dagli studenti); abbiamo previsto tariffe privilegiate per i giovani sotto i 26 anni e reso gratuito l’utilizzo dei mezzi agli over 65 anni sotto un determinato reddito. E’ stato previsto anche uno stanziamento per l’uso gratuito dei mezzi pubblici a disoccupati e cassintegrati. Contemporaneamente abbiamo iniziato il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale e stiamo operando per un miglioramento del servizio pubblico e per un rafforzamento delle piste ciclabili e del bike-sharing.

Sono questi alcuni dei motivi per cui non comprendo il senso di quanto dichiarato dal segretario della Camera del Lavoro e cioè che altre erano le scelte da fare, quale quella «di introdurre una tassa sui grandi patrimoni» e di far pagare di più chi ha un reddito più alto. Parole del tutto condivisibili e per le quali mi sono battuto anche in Parlamento, ma che dovevano essere rivolte al Governo e non certo al Comune di Milano, visto che solo il Governo può imporre la cosiddetta «patrimoniale» o modificare gli attuali scaglioni dell’Irpef. Ecco perché sarebbe più utile per tutti, se si vuol dare una contributo «di sinistra» - soprattutto in presenza di una giunta che governa da meno di due mesi dopo 18 anni di sindaci della Lega o del Pdl - che le critiche, del tutto legittime, fossero accompagnate da indicazioni alternative realizzabili e non da «proposte» la cui realizzazione o è impossibile o dipende da altri.

L´assessore Bruno Tabacci venerdì scorso, prima che il sindaco Pisapia annunciasse l´azzeramento del consiglio di amministrazione di Atm e quasi a creare un clima adatto, aveva informato i giornalisti: «Il governo a proposito del finanziamento della MM4 ci ha detto che il contributo dello Stato, ancorché stanziato e ripartito su più anni, ci sarà solo se le casse saranno in grado di erogarlo concretamente, trasferendo le somme al destinatario». Come dire: se ce li ho te li do. Tanto per capirci, sono una parte modesta dei 1.486 milioni di euro per i quali il governo si era impegnato a finanziare l´Expo. Giustamente l´assessore si domandava se fosse legittimo fare gare d´appalto senza sapere se ci saranno i soldi per pagare le imprese. Verrebbe da dire, quasi fossimo al tavolo da gioco: «Soldi sul tavolo». Non solo dirlo al governo ma a tutti i soggetti che nel dossier di presentazione al Bie sono indicati come finanziatori e cioè: governo per 1.486 milioni, Regione, Provincia e Comune per 851 milioni e per finire i privati per 891 milioni. Se il governo ha dato una risposta di questo genere cosa diranno gli altri partner? Chi sono questi privati? Il loro interesse a entrare nel gioco è rimasto immutato anche se i chiari di luna dell´economia e delle aziende sono notevolmente cambiati?

Tempo fa da queste colonne, prima dell´insediamento della nuova giunta, osservavo che era arrivato il momento che qualcuno desse autorevolmente un quadro complessivo dell´operazione Expo a oggi. Ripropongo la stessa questione perché ritengo necessaria una sorta di sportello unico del Comune che risponda alle domande dei cittadini e degli operatori su Expo. In base alle deleghe assessorili non saprei a chi rivolgermi, visto che la delega di Stefano Boeri, principalmente alla cultura ma l´unica in cui compaia la parola Expo, recita: «Promozione, valorizzazione e diffusione dei risultati della manifestazione del 2015». E dunque sembra escludere ogni attinenza al finanziamento e alla realizzazione. Si direbbe che solo al sindaco competano le attività delle quali ci stiamo occupando, perché tra le sue attribuzioni leggiamo: «Definizione degli indirizzi e coordinamento della realizzazione di grandi eventi di rilevanza nazionale e internazionale promossi da singoli assessori o d´interesse del Comune di Milano». Un lungo giro di parole per dire essenzialmente Expo. Allora, per via istituzionale, è da lui che dobbiamo aspettarci qualcosa sullo stato "realistico" dell´arte sull´evento e forse l´indicazione di un suo delegato speciale alla bisogna, visti i gravosi impegni che lo aspettano in futuro per dare attuazione al suo programma. Se poi, per dannata ipotesi, non si ottenesse dal governo una reale garanzia sui finanziamenti, cosa si dovrà fare? Per MM4 si possono limitare i lavori a un solo tratto, ma di Expo non se ne potrà fare un terzo o metà! Allora tanto ne abbiamo a lasciar perdere o, almeno prudentemente mettere allo studio un piano B che individui subito le opere "minime" necessarie a tagliare il nastro nel maggio 2015.

1. Nel corso della Giunta del 13 luglio scorso ho votato a favore dell'Accordo di programma Expo 2015 siglato dal Sindaco Pisapia, pur avendo espresso da tempo dissensi profondi e motivati sul suo contenuto. Come ho più volte detto, in un momento molto difficile per i bilanci pubblici, le amministrazioni locali coinvolte nell'ADP dovranno pagare ai privati proprietari dei terreni del sito EXPO valori ben superiori al loro attuale prezzo di mercato come terreni agricoli. Inoltre, gli indici edificatori consentiti dall'ADP rischiano di condizionare pesantemente la possibilità di rispettare l'esito referendario del 12-13 giugno; quel voto di 454.995 milanesi che ha chiesto di mantenere sull'area Expo dopo il 2015 un parco agroalimentare utile, attrattivo e finanziato da soldi pubblici; certo non le 40 torri di 100 metri di altezza che questo accordo permetterebbe di costruire al posto del Parco.

La mia scelta di approvare, nonostante il dissenso, l'ADP sulle aree EXPO si basa sulla volontà di riconfermare, anche in questo difficile passaggio, la mia grande fiducia nel Sindaco e nella Giunta. Una Giunta che fin dai primi giorni di attività ha dovuto misurarsi con le scelte spesso irresponsabili della precedente amministrazione comunale: i ritardi accumulati in tre anni di inconcludente gestione politica della vicenda EXPO hanno infatti determinato la mancata acquisizione delle aree e il verificarsi di una fortissima urgenza nell’avvio delle opere e nella soluzione dei nodi ancora aperti. Ma non c’è solo questo: la mia decisione di votare a favore dell’ADP è legata anche alla convinzione che sia ancora possibile ridurre i danni ambientali e politici prodotti dall’ADP, attraverso un Documento di indirizzo del Piano Integrato di Intervento sulle aree EXPO che il consiglio comunale dovrà approvare nei prossimi mesi. Con l'approvazione in consiglio comunale dell'ADP, si aprirà infatti una nuova fase di gestione - difficile e delicata - del progetto Expo. Si tratterà infatti di salvaguardare i contenuti originali del progetto, di rafforzare il ruolo del Comune nell'indirizzo delle società Expo e Arexpo, di promuovere finalmente una grande partecipazione della città all'evento e di difendere il Parco Agroalimentare dall'eccessiva cementificazione dell'area che l’ADP rende possibile.

2. Voglio ancora ricordare che il Parco Agroalimentare, confermato come scelta dal referendum popolare del 13 giugno scorso, non è una serie di orticelli di melanzane e frutti esotici, come a qualcuno piace dire. Chi in queste settimane, come il Presidente della Regione Lombardia e l’AD di Società Expo, ha cercato di ridicolizzare e svilire un progetto approfondito e sviluppato da un gruppo internazionale di studiosi di botanica, agronomia, alimentazione e urbanistica – un progetto che è stato approvato a novembre dai 157 Paesi del BIE – dovrebbe assumersi fino in fondo la responsabilità delle sue parole e dirci a quale EXPO davvero pensa. Il Parco Agroalimentare di EXPO 2015 è l’idea innovativa di un’infrastruttura ad alta tecnologia, alimentata da energie rinnovabili e dotata di costruzioni leggere e riciclabili, dove sarà possibile mettere in scene l’intera filiera agroalimentare di tutti i Paesi del mondo e – dopo l’EXPO – delle regioni italiane.

Un sistema di terreni e serre per la coltivazione e la rappresentazione delle tradizioni agricole e delle biodiversità dell’intero pianeta: padiglioni per esporre le tecnologie più avanzate per la trasformazione dei prodotti agricoli in cibo; aree per la commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari; centri per ricerca sulle sementi e l’alimentazione. Il parco agroalimentare è dunque un luogo di sperimentazione, ricerca, sviluppo produttivo, divulgazione scientifica e intrattenimento, che deve restare in eredità dopo il 2015 a Milano, alla Lombardia a tutto il Paese. Un’infrastruttura finanziata quasi totalmente da soldi pubblici (1 miliardo e 300 milioni), che sarebbe uno spreco imperdonabile dismettere dopo l’EXPO per dare spazio all’ennesimo quartiere di residenze ed uffici destinati con tutta probabilità a restare vuoti.

3. Per queste ragioni, e per rispettare il mandato del referendum consultivo sul parco agroalimentare, in questi giorni e su mandato della Giunta ho collaborato con i capigruppo dei partiti di maggioranza per elaborare un ordine del giorno che impegna il Consiglio comunale a redigere un Documento di indirizzo per il Piano Integrato di Intervento dell’area EXPO. Un documento di indirizzo che potrà essere confermato nelle sue scelte dal futuro Piano di Governo del Territorio e che stabilisce alcuni punti fermi. Ne segnalo qui tre: Punto primo. Per evitare ulteriori ingiustificabili spese per le amministrazioni pubbliche, il documento pretende che il costo delle eventuali bonifiche sul sito Expo venga addebitato agli attuali proprietari e non ai soci, in prevalenza pubblici, della nuova società acquirente.

Punto secondo.

Per contenere al massimo ogni futura edificazione, il documento chiede di inglobare nell’indice di edificazione per il dopo Expo (circa 400mila mq) tutti i volumi già realizzati per l’evento (più di 200 mila mq) e di sottomettere ogni nuova costruzione alle regole del regolamento edilizio e di igiene del Comune di Milano, oltre che alle norme sulle fasce di rispetto dalle infrastrutture.

Punto terzo. Per salvaguardare l’unitarietà e la permanenza dopo l’EXPO del Parco Agroalimentare il documento di indirizzi chiede di considerare la sua futura dimensione in rapporto all’intera superficie dell’insediamento e non al netto delle sue infrastrutture (canali, strade, svincoli) com’è oggi prevista dall’ADP. Questi vincoli sono indispensabili per assicurare il rispetto della volontà dei milanesi e per applicare concretamente le indicazioni e lo spirito del Masterplan di Expo 2015 approvato dal BIE. È bene precisare che questi vincoli non incidono al ribasso sul valore delle aree calcolato dall’Agenzia delle Entrate e confermato nell’ADP. Il loro prezzo, infatti, non è stato calcolato considerando su tutta la zona interessata un indice di edificabilità dello 0,52, che costituisce in realtà solo un valore soglia che non è possibile superare.

4. Ma la vera grande sfida dei prossimi anni riguarda l’intera società urbana e rurale milanese. Riguarda la possibilità che Milano diventi davvero una delle capitali mondiali di un nuovo rapporto, fertile e avanzato, di scambio reciproco di beni e saperi tra campagna coltivata e territori urbani. Per questo, da domani, dovremo tornare a concentrare l’attenzione della politica, della cultura, del mondo dell’impresa e del lavoro sul grande tema della nutrizione. Da domani dovremo far diventare questo tema uno dei caratteri identitari della nostra Milano. Il che significa, tra le altre cose: - attivare le 60 cascine comunali come epicentri di scambio di prodotti e saperi tra città e agricoltura; - costruire un nuovo rapporto tra Milano e il Parco Sud che ne valorizzi il ruolo di grande polmone alimentare per il sistema delle mense pubbliche e i mercati milanesi; - promuovere un evento annuale sul cibo che anticipi e prepari l’EXPO del 2015 coinvolgendo le filiere dell’agricoltura di prossimità, della ristorazione, del commercio enogastronomico; - sviluppare con le università milanesi riflessioni e ricerche sui temi dall’alimentazione, della protezione della natura, delle biotecnologie; - attivare, in rapporto con i Consolati e le Ambasciate, la rete delle comunità straniere di Milano per promuovere iniziative che rendano da subito Milano una capitale planetaria dell’agroalimentare; - studiare forme di complementarietà con le altre regioni italiane e in particolare con le vicine città del Nord Italia.

5. Per lanciare questa grande sfida culturale, economica, politica, l'Amministrazione Comunale di Milano dovrà avere un ruolo di guida e orientamento nelle scelte delle due società (Expo e Arexpo) che gestiranno le prossime scelte. E oggi, alla luce del parere della Corte dei Conti, le mie perplessità rispetto all’opportunità e alle modalità di adesione alla newco appaiono ancor più fondate. Per questo è ancora più importante, oltre che avere conferma del ruolo del Sindaco come Commissario Straordinario per EXPO, chiarendo a priori quali poteri verranno attribuiti alla società Expo, che la presidenza di Arexpo sia espressa dalla nostra amministrazione comunale. Chi nella Giunta sarà chiamato a gestire i prossimi passi della vicenda EXPO dovrà dunque avere un ruolo chiaro e poteri ampi di coordinamento, all'altezza della sfida che ci aspetta. Ma soprattutto, il Comune dovrà attivare un'ampia partecipazione dei cittadini e ottenere il consenso necessario per tornare ad incidere positivamente sulla realizzazione di un’EXPO che porti vantaggio a tutta la città e non solo a pochi e circoscritti interessi.

Salvare il salvabile. È la missione delle associazioni di cittadini che spingono i Comuni di Milano, Pero, Rho, Cornaredo e Settimo Milanese a creare un parco nei propri territori: 180 ettari con piste ciclabili, alberi e panchine, per avvicinare i cittadini al poco che resta del passato agricolo dell’Ovest milanese, guastato dall’inceneritore, dalla Tav, dall’autostrada e dalla tangenziale. «Salviamo ciò che resta - dice Salvatore Crapanzano, del Coordinamento dei comitati - i vincoli del Parco Sud non hanno fermato il cemento». Il progetto, presentato ai sindaci, costa tre milioni.

Salvare il salvabile. È la missione delle associazioni di cittadini che spingono perché i Comuni di Milano, Pero, Rho, Cornaredo e Settimo Milanese creino un parco attrezzato al confine dei propri territori. Dopo decine di riunioni e workshop di progettazione, quello che c’è è un nome, "Parco dei cinque Comuni", un’area individuata di 180 ettari e una relazione di 17 pagine che indica dove dovrebbero posizionati piste ciclabili, filari di alberi, bacheche di informazione e panchine. Una rete di infrastrutture leggere, quasi invisibili, per fare conoscere ai cittadini quel che resta del passato agricolo di un’area dell’Ovest milanese che più di tutte ha subito l’invasione delle grandi opere pubbliche. Costo totale del progetto, circa tre milioni di euro.

Sul terreno che si vorrebbe valorizzare, fra cascine e fontanili superstiti, si trovano l’inceneritore Silla Due, un depuratore fognario, la Tav, l’autostrada Milano-Torino e la tangenziale Ovest. «L’unico modo per salvare quel che resta è farlo conoscere ai cittadini - dice Salvatore Crapanzano, presidente del Coordinamento dei comitati milanesi, attivo nel progetto - visto che nemmeno i vincoli paesaggistici sono riusciti a fermare il cemento». Sembra incredibile, ma l’area si trova infatti nel Parco agricolo Sud Milano. Nonostante questo, è stata fatta a pezzi a suon di deroghe ed eccezioni. «La speranza di chi crede nel progetto è che tutti i Comuni dimostrino interesse al parco, e sembrano esserci segnali positivi», dice Gianluigi Forloni, oggi assessore all’ambiente a Rho, e già presidente del coordinamento di associazioni che spinge per salvare ciò che resta del verde: Comitato del quartiere Figino (Milano), Gruppo Salute (Pero), Italia Nostra Nord Ovest (Cornaredo), La Risorgiva (Settimo Milanese) e la sezione di Legambiente a Rho.

L’unica area già riqualificata, nei 180 ettari che si vogliono recuperare, è il piccolo parco dei Fontanili di Rho. Ora si tratta di tutelare e collegare fra loro anche le risorgive, la Cascina Ghisolfa, l’area che lambisce la cava Bossi a Pero. Il sogno è fare del "Parco dei cinque Comuni" un corridoio verde, per quanto possibile, che colleghi il parco del Ticino a Bosco in Città. «Il progetto è interessante, ha il nostro appoggio, e in tutte le sedi possibili ci spenderemo per sostenerlo», dice Rosario Pantaleo, uno dei vicepresidenti del Parco Sud. In passato, l’unica amministrazione che non ha dimostrato di appoggiare il progetto è stata quella di Milano, ma la speranza delle associazioni è che con il cambio di giunta le cose cambino. Per questo i cittadini dei comitati due settimane fa hanno presentato il progetto al sindaco Giuliano Pisapia, intervenuto a un incontro con i residenti del quartiere Figino, alla presenza dei sindaci degli altri Comuni coinvolti. «Quello che manca, come sempre, sono i soldi - dice Forloni - la speranza è che il piano possa essere finanziato anche con le opere compensative di Expo».

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È dagli anni ’20-’30, ovvero da quando con la prima timida diffusione del trasporto motorizzato si accelerano le spinte a un confuso decentramento insediativo, che nell’area milanese (come del resto in tutte le regioni urbane simili d’Europa e del mondo) si pone il problema dell’ intercomunalità. Da subito chi vuol capire capisce che esistono due percorsi, non necessariamente alternativi, per governare i processi: quello discendente dell’organo di governo metropolitano, e quello ascendente dell’associazione di Comuni. Mentre per decenni il primo provoca al massimo qualche dibattito politico e parlamentare (dal coordinamento urbanistico territoriale, ai comprensori, ai piani provinciali di altalenante efficacia) il secondo fa sentire molto di più gli effetti di un’alleanza via via commisurata all’estensione dei problemi.

Si comincia da alcuni consorzi promossi dagli organismi del PNF, attraverso un vero e proprio piano intercomunale per l’area Groane immediatamente successivo all’introduzione dello strumento nella legge del 1942, fino al noto PIM nell’epoca più fertile di sperimentazioni e risultati. Non va dimenticato che anche il Parco del Ticino nasce a cavallo degli anni ’60-’70 da una spinta dal basso, e non per una decisione propulsiva di organi superiori.

È quindi un ottimo segnale quello del gruppo di Comuni che si alleano per quello che dovrebbe essere un cosiddetto Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS) a tutela della qualità del territorio e dell’abitabilità di un’area dove ormai le grandi trasformazioni a casaccio stanno letteralmente affettando gi ultimi brandelli di spazio aperto lasciati dallo sprawl produttivo e residenziale degli ultimi decenni.

Meglio ancora sarebbe, se a queste iniziative “di reazione” ad aggressioni dall’esterno se ne aggiungessero altre di carattere più propulsivo, di coordinamento dello sviluppo e non solo di resistenza. È auspicabile che il solo accenno da parte della nuova giunta Pisapia di farsi promotrice di politiche di cooperazione metropolitana (indipendentemente da quelle che sono forse solo le ennesime chiacchiere di partiti e istituzioni sull’Ente sovraordinato) possa, magari col traino dell’Expo e delle sue complesse tematiche intrecciate al territorio, essere la scintilla in grado di innescare qualcosa di simile allo storico PIM (f.b.)

Sopite nel crepuscolo della giunta Moratti, le idee sul futuro del Meazza e dei due ippodromi tornano a fermentare. Trovando i primi punti di contatto, tra Consorzio San Siro e Trenno, e tra gestori e giunta. Che mostra di gradire, già ieri alla presentazione della seconda "Notte Bianca dello stadio" (si farà la sera del 2 settembre), la volontà di Milan e Inter di rilanciare l’area esterna alla vecchia Scala del calcio, figlia di quel vecchio progetto del "quarto anello" commerciale che aveva in Stefano Boeri uno dei suoi padri. «Il progetto di rilancio dell’area c’è, il Comune lo seguirà - assicura proprio l’assessore alla Cultura, sfidando le possibili accuse di conflitto d’interessi - e sarà coinvolto nell’Expo anche perché l’area è in un punto strategico nell’asse tra il sito di Rho-Pero e il centro di Milano. Arriveranno fra poco la metropolitana, servizi ricettivi, sportivi e commerciali, può essere il volano di un parco molto più ampio per tutti i cittadini».

Schizzi, non ancora quadro completo, ma già le possibili intese tra i due club calcistici e Trenno per lo sfruttamento commerciale di alcuni spazi inutilizzati dell’ippodromo del trotto possono essere l’inizio di una saldatura. Milly Moratti, punto di congiunzione tra calcio e Palazzo Marino, benedice il progetto: «Questo è un quartiere che i milanesi non conoscono, dietro i muri e il grigio dello stadio c’è un polmone verde da riscoprire: potremmo rilanciare il progetto di un biglietto d’accesso per tutte le aree, ippodromi e Meazza».

Anche l’assessore a Benessere e Sport, Chiara Bisconti, alla prima uscita pubblica con i rappresentanti dello stadio, approva: «Proprio la Notte bianca è l’esempio più ficcante e nobile - spiega - di quello che intendiamo fare, aprendo gli spazi sportivi ai cittadini». L’evento è appunto il primo banco di prova della collaborazione tra consorzio e ippodromi, visto che quello del galoppo sarà aperto per mercatini, caccia al tesoro per i piccoli e discoteca per i grandi, e all’esterno sarà interamente ridisegnato: il chilometro di muro di cinta in viale Caprilli sarà interamente colorato da 12 crew di writers dell’associazione Stradedarts.

Novità anche dentro lo stadio: «Partirà Radio San Siro - annuncia Pierfrancesco Barletta, ad del consorzio in quota Inter - che trasmetterà musica in settimana e sarà personalizzata per le squadre la domenica». Nella Notte bianca anche tornei di biliardino e trisball, la mostra "Scatti a San Siro" dei fotografi di Contrasto, corsi di guida sicura e stand di Slow Food. «Ovviamente - aggiunge Barletta - sarà aperto il museo. Che quest’anno ha portato i suoi visitatori da 94mila, al 90% stranieri, a 153mila con un 30% di italiani». Museo il cui ampliamento è imminente. «Sempre con l’idea - chiude Alfonso Cefaliello, l’ad dello stadio in quota Milan - di restituire l’area alle famiglie, anche se noi ci occupiamo di pallone e cavalli».

postilla

Nonostante il trionfale concerto a sostegno della candidatura di Giuliano Pisapia, per fortuna ci sono orientamenti del cantante Roberto Vecchioni non tradotti in realtà, come l’inopinato spostamento del polo sportivo-servizi altrove, dove non darebbe fastidio agli abitanti. Magari qualche abitante dei quartieri a ridosso dello stadio poteva anche esserne entusiasta, della proposta di decentramento, ma molto, molto meno, il resto della popolazione metropolitana. Spostare gli impianti, soprattutto ma non solo nella nuova logica del complesso multifunzionale sportivo-commercial eccetera, da un lato avrebbe aperto la strada a chissà quali ingovernabili trasformazioni nell’area dismessa, dall’altro innescato (accoppiato all’idea del nuovo anello di tangenziali) un doppione del caso Cerba. E polo di eccellenza dopo polo di eccellenza, addio fascia agricola metropolitana, sostituita al massimo da un po’ di parchi con piste ciclabili e cascine trasformate in centri congressi. Teniamoci stretti, con tutte le contraddizioni del caso, la localizzazione centrale, con buona pace degli abitanti inferociti per il rumore e il traffico: a quelle cose un rimedio si trova, alla scomparsa della terra su cui mettere i piedi no (f.b.)

Affaritaliani.it

Un immobiliarista accusa Penati. Da Risanamento a Sesto Immobiliare, ecco come nasce l'inchiesta

All’origine dell’inchiesta che vede Filippo Penati indagato assieme ad altre 15 persone per corruzione e concussione, ci sono le dichiarazioni di Giuseppe Pasini, costruttore sestese, proprietario delle aree Falck dal 2000 al 2005, come rivela Il Fatto Quotidiano. Circa un anno fa, Pasini si è presentato spontaneamente alla Procura di Milano, denunciando di essere “vittima di soprusi da parte di alcune amministrazioni locali”, racconta il suo legale Carlo Enrico Paliero. Il costruttore - che è anche un consigliere di area centrodestra del Comune di Sesto ed ex sfidante dell'attuale sindaco Oldrini alle ultime amministrative - si dichiara concusso e fa il nome di Penati, quindi gli atti sono trasmessi alla Procura di Monza, competente su Sesto. Nell’inchiesta sarebbero finite anche altre vicende, e lo stesso Pasini potrebbe essere indagato.

L’area finita sotto la lente degli investigatori riguarda buona parte delle zone ancora occupata dai padiglioni industriali. I lotti di proprietà della Falck a fine anni Novanta vengono acquistati da Giuseppe Pasini, il cui gruppo però fallisce. Nel marzo 2005 La Risanamento, società del gruppo Zunino, si impegna ad acquisire, per 88 milioni di euro, il 100% di Immobiliare Cascina Rubina, azienda del Gruppo Pasini e proprietaria dell’area ex Falck.

L’operazione, secondo la società (poi coinvolta nell’inchiesta sulla bonifica di Santa Giulia) dovrebbe permette alla società immobiliare di inserire nel proprio portafoglio un’area industriale dismessa dall’estensione di 1.300.000 metri quadrati sita nel comune di Sesto San Giovanni dove sorgevano, un tempo, le Acciaierie Falck.

Nel 2010 l’area passa ufficialmente di mano. Dopo un mese di rinvii tecnici, Risanamento chiude l’operazione, vendendo l’asset di Sesto San Giovanni (Milano) alla cordata Sesto Immobiliare, capitanata dal costruttore Davide Bizzi. E all’orizzonte si intravede l’apertura, entro il 2013, del più grande cantiere d’Europa.

A sbloccare la vendita da 405 milioni di euro. In quell’anno la cordata di Bizzi versa l’85% del prezzo complessivo, vale a dire 345 milioni: di cui circa 274 milioni attraverso l’accollo del debito di Cascina Rubina nei confronti di Intesa Sanpaolo (circa 274 mln) e la restante parte in ‘cash’ (71 milioni). Gli altri 60 milioni verrano pagati dopo aver ottenuto le approvazioni, rispettivamente, al programma di intervento da parte del Comune di Sesto San Giovanni e al progetto definitivo di bonifica dal Ministero dell’Ambiente.

La Repubblica ed. Milano

Quindici anni di piani e fallimenti

di Luca Pagni

DAGLI anni d’oro della siderurgia al declino della grande industria. Dalla bolla immobiliare che ha garantito per qualche stagione ricche plusvalenze, alla polvere che da quindici anni si accumula in attesa del via ai lavori del più grande cantiere d’Europa. C’è poco da dire: il progetto che dovrebbe trasformate le aree ex Falck, oltre un milione e mezzo di metri quadrati, nei nuovi quartieri di Sesto San Giovanni non è proprio nato sotto una buona stella. Nonostante tre diversi proprietari e un’archistar come Renzo Piano.

Più che con la coda della parabola, però, l’inchiesta aperta dalla magistratura sulle ex aree Falck ha a che fare con il classico peccato originale. I magistrati, infatti, si stanno concentrando sui rapporti tra i vertici dell’amministrazione comunale di Sesto e Giuseppe Pasini, l’imprenditore che per primo si era cimentato nel "sogno" di ridare un volto e un disegno urbanistico alle aree industriali dismesse tra le più famose d’Italia.

Un progetto che ha rivelato, fin da subito, tutte le sue difficoltà. Per l’enormità dell’impresa, innanzi tutto. Basti ricordare che la Pirelli - più o meno negli stessi anni - è quasi fallita nel tentativo di trasformare l’ex città del pneumatico alla Bicocca. Salvata poi dal trasferimento della nuova sede della Statale, in un primo tempo pensata al quartiere Porta Vittoria.

Ma le aree Falck sono grandi una volta e mezza l’ex Pirelli. Una parete di sesto grado da scalare, e Pasini non riesce a trovare la quadra. Ci ha provato per quasi nove anni: nel 1996 si ferma l’ultimo altoforno e i cancelli si chiudono per l’ultima volta alle spalle dei 970 dipendenti superstiti dei 16mila degli anni Sessanta, massima espansione della siderurgia italiana, quando gli impianti Falck sono arrivati a produrre fino all’8 per cento della produzione di acciaio in Italia.

Pasini - che ha comprato le aree dai Falck per 367 miliardi di vecchie lire - prima si scontra con le regole dell’urbanistica comunale. Poi, dopo nove anni, quando le banche cominciano a temere di non rientrare dai debiti contratti per l’acquisto delle aree per un cantiere che non parte mai, si trova costretto a passare la mano. Sono sempre le banche - in testa Intesa Sanpaolo, la più esposta - a individuare il successore. E lo trovano, corre l’anno 2005, in Luigi Zunino, astro emergente degli "sviluppatori urbanistici", uno che pensa in grande come ha dimostrato nel progetto per certi versi gemello a Rogoredo.

Per le ex aree della Montedison a Rogoredo, oltre un milione di metri quadrati, ha scelto l’architetto Norman Foster per disegnare il quartiere, ribattezzato Santa Giulia, e i nuovi palazzi da diecimila euro al metro quadrato. Sono gli ultimi fuochi della bolla immobiliare che ha causato la grande crisi scoppiata nel 2007: Zunino compra per 218 milioni di euro i terreni, fa abbattere un po’ di muri diroccati, lasciando gli scheletri delle fabbriche di maggior pregio per la storia dell’architettura industriale e chiama Renzo Piano a disegnare il nuovo masterplan.

Ma la crisi lo travolge: si scopre che la maggior parte delle proprietà immobiliari controllate dalla sua Risanamento sono in pegno alle banche e i debiti sono stati garantiti solo da un vorticoso scambio di immobili con altri immobiliaristi, sfruttando plusvalenze e la salita dei prezzi che per qualche stagione è sembrata non avere mai fine. Quando il giochino si esaurisce arriva la bancarotta, e Risanamento rischia di diventare il peggior dissesto italiano dopo Parmalat. Per scongiurare il pericolo di un fallimento - come richiesto dai magistrati - alle banche non rimane che cercare un nuovo soggetto cui affidare il progetto. Lo trovano in Davide Bizzi, uno di quei classici imprenditori che è cresciuto lontano dai riflettori e che si è fatto le ossa nel turismo (ha costruito, tra gli altri complessi, un albergo a Cuba). Il cui progetto più grande è un grattacielo di 60 piani a New York, e che ha come socio un fondo pensionistico coreano.

Bizzi compra nell’ottobre del 2010 per 405 milioni (ma 300 sono di crediti delle banche) e conferma Renzo Piano, il quale rivede il progetto riducendo il numero di nuovi appartamenti e ridisegnando la viabilità. I cantieri non sono ancora partiti. Ma con questo la magistratura non c’entra.

Corriere della Sera

´ I milioni bruciati nel grande affare dell’ex Stalingrado

di Sergio Bocconi

Progetti faraonici, futuribili, sostenibili: l’area da circa 1,4 milioni di metri quadrati dell’ex Falck di Sesto San Giovanni è dal Duemila oggetto di compravendite e piani di investimento. Il giro di soldi è impressionante: dai 341 miliardi di lire pagati per il terreno dal costruttore Giuseppe Pasini undici anni fa e i 3 miliardi di euro ipotizzati allora per lo sviluppo, ai 400 milioni di euro per l’area e i 2,6 miliardi per i progetti urbani pianificati dalla cordata guidata da Davide Bizzi.

Un pool eterogeneo, al quale partecipano investitori coreani, americani, gli alleati di Bizzi Paolo Dini (Paul&Shark) e Mario Bandiera (Les Copains) e il Consorzio cooperative costruzioni, che l’anno scorso ha rilevato gli asset dalla Risanamento che prima era stata di Luigi Zunino e, dopo un fallimento chiesto dalla Procura e sventato in extremis, è passata alle banche creditrici. Milioni, miliardi, montagne di idee ma soprattutto montagne di debiti. In pratica «passati di mano» con rendering e terreni.

Per un caso, proprio ieri l’ultimo compratore, la Sesto immobiliare di Bizzi, immobiliarista diventato famoso per un grattacielo a New York e che ha «fatto la scuola» presso il raider Ernesto Preatoni, ha nominato presidente Piero Gnudi, professionista che ha seguito fin dall’inizio l’acquisto di Bizzi ed è stato fino ad aprile presidente dell’Enel, e vicepresidente Mario Resca che, dopo aver guidato fra l’altro la McDonald’s Italia, è stato dirigente del ministero dei Beni Culturali e oggi commissario straordinario dell’Accademia di Brera.

Nomi che danno conto delle ambizioni di una riqualificazione e valorizzazione dell’area che una volta era la capitale delle acciaierie italiane e che ora è di nuovo affidata per disegni, progetti e sogni allo studio del super architetto Renzo Piano. Il giro di miliardi, passaggi e debiti comincia dunque verso la fine del Duemila quando Pasini rileva (con finanziamenti bancari forniti in particolare da Intesa) l’area da Alberto Falck, che ormai ha abbandonato colate e altoforni. Filippo Penati, allora sindaco della ex Stalingrado d’Italia, accoglie in modo favorevole il passaggio di mano: «La vendita delle aree è un segnale positivo per accelerare lo sviluppo della città» .

Un applauso ovvio, anche perché più che accelerare lo sviluppo si trattava di fermare il declino di un ex polo industriale, ormai dismesso. Pasini si muove su più fronti. Per una delle aree acquistate, la ex Ercole Marelli, confida nel trasferimento della sede centrale di Banca Intesa. Progetto che però muore in fretta nei fatti ma il cui tramonto è ufficializzato dall’amministratore delegato Corrado Passera qualche tempo dopo. Il costruttore costituisce poi una commissione scientifica per l’ex area Falck che viene presentata a fine 2001 quando sindaco è ancora Penati: ci sono l’architetto Mario Botta, autore del primo grande progetto di riqualificazione, e altre personalità di spicco fra cui il rettore del Politecnico Adriano De Maio e il docente Alessandro Balducci, lo storico Giulio Sapelli e l’economista Marco Vitale.

Che subito si convince di almeno due cose: il costruttore non ha le spalle adeguate alle ambizioni; per personalità e professionalità non è adatto a «fare corridoio» in Comune: lo invita perciò a non andarci e a cercare al più presto un partner adeguato ai progetti come un fondo immobiliare internazionale. Consigli che Pasini non segue finché, dopo aver presentato nel maggio 2002 (pochi giorni prima dell’elezione di Giorgio Oldrini a sindaco di Sesto) il superprogetto firmato Botta, nel marzo 2005 vende tutto alla Risanamento di Zunino, che compra l’area per 88 milioni finanziato ancora una volta da un pool di banche guidato da Intesa.

Altro megaprogetto, affidato a Renzo Piano e presentato anche in consiglio comunale introdotto da Ermanno Olmi e da un suo filmato sulla vita delle accierie. Questa volta però il destino di Sesto viene segnato dalla fine della «bolla» degli immobiliaristi. Il «maggior investimento mai fatto in un’area dismessa» , come l’aveva definito Pasini (che nel 2007 sfida con il centrodestra Oldrini per la poltrona di sindaco e perde) ancora una volta non va in porto. Zunino è travolto dai debiti e Risanamento viene salvata in extremis dalle banche che, Intesa Sanpaolo capofila, diventano poi gli azionisti della società oggi guidata da Claudio Calabi. L’area ex Falck passa alla cordata Bizzi. Che di nuovo mette in campo tre miliardi per ridare a Sesto la «missione» perduta.

Corriere della Sera ed. Milano

Il tesoro dell’urbanistica

di Edoardo Segantini

L a vicenda che vede indagato per concussione e corruzione l'ex sindaco di Sesto San Giovanni e alto esponente pd Filippo Penati suggerisce alcune riflessioni generali sul modo in cui vengono gestiti i grandi progetti di trasformazione urbanistica in Italia. Riflessioni che vanno al di là del «caso Sesto» — dove è stato da poco presentato un bellissimo progetto di Renzo Piano per l'ex area Falck— e prescindono dal merito giudiziario dei fatti, su cui si pronuncerà la magistratura. Lasciamo da parte per una volta il basso livello della classe politica. La prima riflessione è che l'equilibrio tra amministrazioni locali e immobiliaristi è troppo sbilanciato a favore di questi ultimi.

Roberto Camagni, economista urbano del Politecnico di Milano, ha messo a confronto il beneficio che le operazioni urbanistiche trasferiscono al pubblico in Europa, in termini di oneri di urbanizzazione e contributi di costruzione. I risultati sono impressionanti. A Milano e in altre città italiane questo beneficio arriva, al massimo, all'8 per cento del valore del costruito. A Monaco di Baviera raggiunge il 30. Che, tradotto, significa migliori trasporti, parchi, strutture di svago. Grazie a queste risorse, i bavaresi vedono realizzarsi buona edilizia pubblica e social housing per i ceti meno abbienti.

È vero, si obietterà, sono tempi duri anche per il mattone. Ma i costi della crisi devono essere ripartiti più equamente fra i privati e la comunità. Oggi la filiera degli immobiliaristi incamera una quota troppo grande: in questo modo — è un ragionamento del tutto teorico — aumenta proporzionalmente anche la sua capacità corruttiva potenziale. Un'altra considerazione riguarda le tecnostrutture che presiedono alla realizzazione delle opere.

Dal confronto internazionale emerge che le città più dotate— da Monaco a Barcellona (in passato si sarebbe potuto aggiungere anche Milano) hanno apparati di primissima qualità. Ovvio che la tecnostruttura non è un antidoto alla corruzione. Tuttavia un buon ufficio tecnico, orgoglioso della sua reputazione, può portare, se non proprio deterrenza, maggiori capacità di controllo. E qualità. In urbanistica si è passati dai piani regolatori alla trattativa con le forze del mercato. Un passaggio che troppo spesso avviene senza trasparenza. Aprendo nuovi spazi alla corruzione. Serve perciò un meccanismo che fissi l'obbligo di una più alta ricaduta per la comunità e imponga trattative alla luce del sole. Come in Germania, dove le operazioni vanno su Internet. O come in Spagna, dove l'obbligo che una quota consistente delle plusvalías urbanistiche vada a beneficio della Comunidad è scritto addirittura in un articolo della Costituzione.

Milano, via libera all’accordo sulle aree di Expo

Tregua armata tra Boeri e Pisapia

di Gianni Barbacetto

La rottura tra il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il suo assessore più ingombrante, Stefano Boeri, diventa ufficiale nel giorno in cui trova una composizione provvisoria. Ieri, la riunione straordinaria di giunta sull’Expo si è conclusa con l’approvazione all’unanimità dell’Accordo di programma per le aree di Expo 2015, sottoscritto martedì da Comune e Provincia di Milano, Regione Lombardia, Comune di Rho e Poste Italiane.

Boeri, che aveva già convocato una conferenza stampa dopo la giunta per comunicare il suo disaccordo su un Expo trasformato in mera operazione immobiliare, l’ha fatta saltare dopo aver incassato l’impegno di Pisapia a far sorgere sull’area il più grande parco d’Europa, con almeno il 56 per cento dei terreni destinati al verde, e l’incarico di stilare il testo di un ordine del giorno e di un documento di indirizzo che accompagnerà la ratifica dell’Accordo di programma.

Che tra Pisapia e Boeri ci sia un disaccordo pesante sull’Expo è un segreto di Pulcinella. Loro negano, ma è chiaro che sull’esposizione universale del 2015 hanno idee ben diverse. Pisapia, ereditato l’evento da Letizia Moratti, ha subito trovato un accordo con il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, per approvare l’Expo del cemento. Indice di edificabilità 0,52: un diluvio di circa 750 mila metri quadri.

Per Formigoni è un’operazione immobiliare necessaria per far quadrare i conti della Fondazione Fiera, proprietaria di due terzi dell’area. Per Pisapia è una proposta che non si può rifiutare: o così o niente, gli ha fatto intendere Formigoni. L’alternativa è passare alla storia come il sindaco che appena arrivato a Palazzo Marino fa perdere l’Expo a Milano. Boeri, che da architetto aveva progettato l’Expo del grande parco planetario delle biodiversità, è andato in questi giorni sostenendo che è invece ancora possibile cambiare rotta. Ridurre il volume di cemento innanzitutto. E poi cercare di portare sull’area funzioni pubbliche (dalla nuova facoltà di Agraria all’Ortomercato), invece che residenza privata e uffici. Gli hanno fatto eco Carlin Petrini, di Slowfood, e anche Elio (di Elio e le Storie tese), che ha rivolto un appello a Pisapia proprio sul Fatto affinché non cadesse “nel tranello di Formigoni”. Legambiente aveva poi ricordato al sindaco che i milanesi si sono espressi per il parco con il referendum consultivo del 12 e 13 giugno. Vedremo se Boeri riuscirà a far quadrare il cerchio.

Smiracolo a Milano

di Marco Travaglio

Era il 4 novembre 2010 quando Giuliano Pisapia ruppe gli indugi e annunciò al corriere.it   la sua candidatura alle primarie di Milano per l’aspirante sindaco del centrosinistra. Disse di farlo per “far tornare Milano una città che sorride, che dà case e lavoro, dove l’aria è respirabile e le esigenze di tutti hanno diritto di cittadinanza”. Quando gli domandarono che differenza c’era fra lui e l’architetto-urbanista Stefano Boeri, candidato ufficiale del Pd, Pisapia dichiarò: “Boeri parla molto bene di progetti e di cose; io parlo delle persone e dei loro bisogni, delle loro necessità: su questo ho impegnato tutta la mia vita”. Chissà se immaginava che, di lì a sette mesi, una volta vinte le primarie e poi le comunali, avrebbe nominato proprio Stefano Boeri, quello che parla molto bene di progetti e molto meno delle persone, ad assessore alla Cultura, Moda, Design ed Expo. Un omonimo dello Stefano Boeri che aveva seguito il “concept plan” dell’Expo 2015, regolarmente retribuito per il suo incarico professionale? No, proprio lui.

Si dirà: almeno Boeri di Expo se ne intende. Certo, almeno quanto s’intende Berlusconi di televisioni, visto che ne controlla tre da trent’anni. Il che non è un buon motivo per fargli fare il concessore e il concessionario delle stesse. Ora l’assessore Boeri deve pronunciarsi su un progetto di Expo fatto (anche) dall’architetto Boeri. E, guarda un po’, esplode fra il sindaco e il suo assessore un conflitto, solo apparentemente superato ieri, proprio sul destino dei terreni dell’Expo.

L’oggetto del contendere è noto (ne abbiamo parlato più volte sul Fatto, con gli articoli di Gianni Barbacetto e con l’appello al sindaco del cantante Elio): da un lato l’idea tradizionale e speculativa di un’esposizione tutta cemento e asfalto, caldeggiata dalla lobby dei costruttori e subìta passivamente da Pisapia, nel solco delle decisioni già prese dal duo Formigoni-Moratti e dall’amministratore delegato della società Expo 2015, Giuseppe Sala; dall’altro il progetto, davvero affascinante e innovativo, degli “orti planetari” sostenuto da Boeri: un gigantesco parco verde, unico al mondo, destinato a ospitare per sempre una rassegna delle “biodiversità” esposte da tutti i paesi ospiti. Chiunque abbia un minimo di sale in zucca, a meno che non si chiami Cabassi o Ligresti o non abbia interessi nella mega-colata di cemento del piano Formigoni-Moratti, non può che auspicare la seconda soluzione. Ma ecco il paradosso: il principale alfiere della soluzione di gran lunga migliore è proprio l’assessore Boeri, che aveva collaborato a pensarla e a disegnarla nella Consulta di Architettura dell’Expo, affidandola poi ai professionisti della società che trasformarono il concept plan in masterplan.

Cioè: Boeri ha ragione da vendere a difendere il parco contro il cemento, ma è l’unica persona che non ne dovrebbe parlare. Un paradosso che, è inutile girarci intorno, si chiama “conflitto di interessi” (non di soldi, ma d’immagine e gloria personale). L’altroieri Boeri ha scritto nella sua bacheca Facebook: “Stasera sono in grande difficoltà. Mi aspetta una giunta su Expo, una giunta in cui credo moltissimo che deve decidere su un accordo di programma che non condivido. Difficile”. Si era pensato che avrebbe rimesso almeno la delega all’Expo. Invece l’ha mantenuta e, pur borbottando, ha votato pure lui, insieme al resto della giunta Pisapia, l’accordo di programma sulle aree espositive (che fino all’altroieri non condivideva) che è una penosa resa senza condizioni ai poteri forti e alla linea Formigoni-Moratti. Linea clamorosamente bocciata dai milanesi non solo alle amministrative, ma anche al referendum comunale sulla destinazione a parco di quelle aree anche dopo la fine dell’Expo. Un mese dopo la cosiddetta “rivoluzione arancione”, sulle speranze di cambiamento dei milanesi cala una doccia gelata. Cambiare la faccia del sindaco è una bella cosa. Uscire dal berlusconismo, che divora la politica tutta, resta un sogno.

La Repubblica

Una pietanza indigesta

di Roberto Rho

La variante che consentirà ai futuri proprietari dei terreni dell’Expo di costruire su oltre 400mila metri quadrati (quasi metà dell’intera area) con un indice di edificabilità pari a 0,52 metri quadrati di cemento per ogni metro quadrato e che, sulla base di questi coefficienti, moltiplica il valore di quei terreni acquistati dagli attuali proprietari come terreni agricoli, era una pietanza indigeribile quando a servirla erano Letizia Moratti e Roberto Formigoni e non ha cambiato sapore oggi che in fondo al menu c’è pure la firma di Giuliano Pisapia.

Davvero non si poteva intervenire per modificare quell’accordo, che è il fiocco sul pacco regalo da diverse decine di milioni di euro per i Cabassi e per Fondazione Fiera, e che – chiunque ne sia il proprietario – dopo il 2015 affollerà di palazzoni alti e invadenti quelle terre alle porte di Milano? Davvero non c’era qualche mese di tempo per studiare una soluzione migliore, dopo che per tre anni e mezzo i signori del Bie si sono bevuti senza fare una piega le menzogne e le eterne promesse non mantenute della Moratti, inzuppate con i veleni della sorda guerra di potere tutta interna alle amministrazioni di centrodestra?

La giunta Pisapia, che ha dimostrato coraggio scegliendo di fermare e riavvolgere il nastro del Pgt per ascoltare e discutere le osservazioni dei cittadini cestinate dalla Moratti, nel caso dell’Expo ha deciso di deglutire tutto d’un colpo, senza neppure rimasticarlo, il boccone immangiabile cucinato dall’ex sindaco e, soprattutto, da Formigoni. Che è già oggi il dominus incontrastato dell’Expo.

Dice Pisapia che il Comune metterà «paletti fortissimi», che «intende salvaguardare il territorio da qualsiasi tipo di speculazione edilizia», che nella governance della società proprietaria dei terreni (Arexpo) «i soggetti istituzionali dovranno avere quote uguali per avere nella governance le stesse possibilità di intervento». Ma al di là delle buone intenzioni, che non sono in discussione, dopo la firma dell’accordo di programma e la sua approvazione in giunta (oggi) e in Consiglio comunale, il sentiero per evitare che il dopo-Expo si trasformi in una colossale operazione immobiliare diventerà strettissimo e tortuoso. Per non dire impraticabile.

Formigoni – che questa soluzione ha fortemente voluto, a costo di grigliare la Moratti per mesi – ha ormai in mano tutte le leve. Partecipa alla società Expo 2015, che gestirà l’evento. Presiede il tavolo infrastrutture, con una dotazione superiore alla decina di miliardi di euro. Partecipa alla società che sta acquistando i terreni dai Cabassi e, comunque vadano le cose, resterà il socio dominante. Per due ragioni. Alla quota della Regione, quale che ne sia la dimensione, si sommerà di fatto quella della Fondazione Fiera: è pur vero che Cantoni (berlusconiano) non è Roth (appendice del governatore), ma l’infrastruttura dirigenziale della Fondazione risponde a Formigoni, e comunque la Fondazione ha interesse a massimizzare il reddito del suo investimento. La seconda: tra gli azionisti di Arexpo (così come di Expo 2015) Formigoni è l’unico che ha fieno (soldi) in cascina. In Comune c’è aria di carestia, in Provincia già muoiono le vacche.

Il resto è appeso alle nuvole. Quale società immobiliare, potendo costruire con un indice di 0,52 (più o meno lo stesso che il Pgt morattiano prevedeva come media per le nuove aree di sviluppo urbano) si accontenterebbe di meno? Quale soluzione consentirà un più facile realizzo delle plusvalenze (350-400 milioni) previste dal piano d’investimento? Una bella infilata di palazzi residenziali o commerciali, oppure un insediamento immobiliare destinato a funzioni pubbliche? L’ipotesi del centro di produzione Rai, ventilata ancora ieri, è realistica? Quali sono le alternative? E che ne sarà del grande parco agroalimentare, già decurtato di orti e serre a vantaggio dei padiglioni?

Comunque la si rigiri, incrociare il percorso imboccato da Regione e Comune con quello indicato dai risultati del referendum di metà giugno, nel quale 470mila milanesi hanno esplicitamente chiesto che l’area Expo non sia cementificata e che il parco agroalimentare resti in eredità alla città, pare veramente una scommessa temeraria.

Corriere della Sera

Pisapia firma per Expo, la sinistra lo attacca

di Andrea Senesi

Almeno su una cosa, tutti d’accordo: «È il passo della svolta» . I cantieri apriranno in ottobre, la corsa contro il tempo è scattata. L’accordo di programma farà nascere un parco pubblico da 400 ettari («Il più grande d’Europa» , secondo i protagonisti dell’accordo), «che s’estenderà sul 56 per cento delle aree a disposizione» . Ma anche un nuovo quartiere residenziale con un indice di edificabilità piuttosto alto: 0,52. «Senza questa firma avremmo affossato Expo» , spiega Pisapia. Che davanti a telecamere e taccuini difende la «linea» e rassicura: «Non ci saranno né speculazioni né colate di cemento» . A Palazzo Marino la speranza è che la partita, quella vera, inizi con la costituzione della società che acquisirà i terreni e nella quale il Comune avrà una quota identica a quelle della Regione, con un significativo potere d’interdizione (la Provincia entrerà invece con una quota molto bassa, inferiore al cinque per cento). Roberto Formigoni rivendica il (lungo) percorso fatto.

La scelta della newCo al 100 per cento pubblica («I privati li abbiamo tenuti fuori dai piedi, più di così?» ), soprattutto. E però, con buona dose di realismo, il governatore disegna pure uno scenario post 2105 non esattamente «bucolico» : «Oltre al grande parco urbano nascerà un nuovo quartiere. D’altra parte dovremo pur rientrare dagli investimenti sostenuti?» . Il rischio, spiega il governatore, è quello di Torino, che dopo le sue Olimpiadi si è svegliata con le casse pubbliche vuote. Stamani la giunta di Palazzo Marino è chiamata a ratificare l’accordo. In sofferenza, oltre agli assessori della sinistra radicale, c’è Stefano Boeri, che oggi potrebbe addirittura rimettere sul piatto le deleghe ad Expo, conservando invece quelle alla Cultura. La battaglia si trasferirà poi in aula, lunedì 25 luglio. Lì i malumori della sinistra radicale e di parte del Pd si faranno sentire. L’antipasto è però tutto nelle primissime reazioni alla notizia dell’accordo firmato.

I referendari sono i più delusi. Secondo il radicale Marco Cappato, per dire, «mancano garanzie contro la speculazione» . Del tutto analoga la posizione di Edoardo Croci, ex assessore alla Mobilità della giunta Moratti e presidente del comitato per i referendum milanesi. «Oltre all’elevato indice di edificabilità, costituisce un elemento di preoccupazione l’indeterminatezza del piano complessivo sul futuro dell’area, per quanto riguarda la tipologia degli insediamenti e la distribuzione dei volumi» . «Preoccupato» anche Antonello Patta, della Federazione della Sinistra: «Se lo 0,52 fosse realizzato, rappresenterebbe una gigantesca speculazione rispetto ad un'area agricola dal valore dieci volte inferiore a quanto convenuto. Ma anche prendendo come buono il valore delle aree definito dall’agenzia delle entrate, un indice intorno allo 0,15 sarebbe stato più che sufficiente a remunerare il valore stabilito per i terreni di 120 milioni» .

Il sindaco incassa invece in serata il sostegno a distanza di Nichi Vendola: «Sta resuscitando il cadavere di Expo» Sul fronte opposto, «stuzzica» il capogruppo della Lega Matteo Salvini: «Pisapia inganna i cittadini. Che fine hanno fatto gli ambientalisti e i loro referendum?» . La discontinuità c’è, assicura Pisapia. Per i risultati raggiunti, non fosse altro: «La Moratti per tre anni ha litigato, noi in un mese abbiamo fatto partire Expo» . Chiusura affidata a Diana Bracco, presidente della società che gestirà l’appuntamento del 2015: «Con la firma di oggi , Expo non è più un sogno. È un fatto» .

Il Sole 24 Ore

«In agosto partono le gare Expo»

di Attilio Geroni

Expo 2015 al giro di boa? Giuseppe Sala, manager, amministratore delegato della società di gestione dell'evento internazionale, ne è convinto. Soprattutto dopo la firma (si veda l'articolo a fianco) dell'Accordo di programma, che formalizza il conferimento dei terreni alla newco Arexpo: «Una questione, quella dei terreni – ammette Sala in questa intervista al Sole 24 Ore – che in passato ha dato qualche mal di pancia ai funzionari del Bie, ma la cui soluzione ci permette di passare finalmente alla fase operativa».

Ed è fatta di numeri inediti – date e impegni finanziari – questa fase che prenderà il via in agosto, più o meno in linea con i tempi sollecitati dal segretario generale del Bureau International des Exposition, Vicente Loscertales. Aveva chiesto entro luglio, in tono più o meno perentorio, quand'era venuto in visita nei giorni scorsi a Milano, per l'avvio delle prime gare. Stavolta ci siamo, giorno più giorno meno: il "d-day" per il passaggio dalla fase di una gestazione faticosa a quella dell'operatività è stato fissato. E non solo quello.

Dottor Sala, la suspence eterna sui terreni è finita, almeno quella. Siete pronti a partire con le gare, come richiesto dal Bie?

Siglato l'Accordo di programma entriamo nel vivo della fase operativa di Expo 2015. Da qui a fine anno abbiamo preparato tre momenti fondamentali. Il primo è fissato per il 5 agosto, giorno in cui, ufficialmente, pubblicheremo la prima gara, quella sulle interferenze, per un valore complessivo di 91 milioni. Pensiamo che l'assegnazione possa arrivare ai primi di ottobre. Dopodiché, il 25 dello stesso mese, in concomitanza con l'International Participant Meeting che si terrà a Milano con i Paesi aderenti all'Expo, organizzeremo una cerimonia simbolica di posa della prima pietra. Quel giorno daremo formalmente il via ai lavori di Expo 2015. Terzo momento importante, entro la fine di novembre, quando lanceremo la seconda gara, da 310 milioni.

È la gara per la realizzazione della piastra, di tutto ciò che riguarda i lavori di superficie e i servizi collegati, quindi sistemi energetici e tecnologici, per preparare la piattaforma sulla quale poggeranno le strutture.

Il calendario è impegnativo e soprattutto in passato si è spesso avuta l'impressione di un certo affanno nel rispettare i tempi. Cosa la porta a dire, oggi, che Expo 2015 rispetterà i tempi?

Prima di tutto il nostro piano di lavoro, tarato per farci arrivare all'Expo nei tempi giusti. Poi il fatto che gran parte delle architetture che vedremo saranno architetture leggere: molte opere, una volta chiuso l'evento, saranno smontate. L'aspetto più complesso è nella preparazione della base, della cosiddetta piastra, ma anche lì non dobbiamo pensare a opere mastodontiche da un punto di vista infrastrutturale.

Nota: per farsi un'idea, la Variante Urbanistica disponibile sul sito del Comune di Milano (f.b.)

La Repubblica

Se sui campi dell´Expo nascerà solo cemento

di Carlo Petrini

L’hidalgo Vicente Loscertales, segretario generale del Bie in visita a Milano qualche giorno fa, avrebbe «messo una pietra tombale» sul masterplan dell’Expo 2015, il progetto che contemplava tanti orti e altri esempi di produzioni alimentari per rappresentare la biodiversità globale e come si nutre il Pianeta. «No a una ripetizione di campi», ha detto. Ha usato queste parole: «Non è per vedere tanti orti tutti uguali che 150mila visitatori al giorno pagheranno un biglietto. Le distese di melanzane sono uguali in Italia o in Togo. Il tema di Expo, "Nutrire il Pianeta", è più complesso: per vivere serve più di un orto, non vuol dire che dobbiamo essere tutti vegetariani». Detto da uno che si è sempre occupato di cooperazione internazionale e ha approvato il tema con cui Milano ha vinto l’Expo a Parigi nell’ormai lontano 2008 suona come una rivelazione d’incompetenza, sufficienza e ignoranza colossale.

Non aver capito niente del masterplan dopo così tanto tempo è sconcertante, ma bisogna prenderne atto. Siccome al Bie l’unica cosa che interessa sono le royalties che prenderanno su ogni biglietto staccato durante l’Expo, è chiaro che la sua visionarietà - e quella di tutti coloro che gli sono andati dietro sottoscrivendo la sua pochezza - si riduce a quello: pecunia. Ciò che ha guidato sin qui ogni mossa, ogni parola, ogni intendimento lasciando la macchina organizzativa senza uno straccio d’idea su come si farà questa imponente manifestazione. E i tempi stringono come non mai.

«Bisogna dare un’accelerata», dicono, e infatti nel mese di luglio consiglio comunale e giunta milanese dovranno fare alcuni passaggi decisivi e molto delicati per quei nuovi equilibri politici che hanno fatto sognare molti milanesi nel dopo-elezioni. L’area dove sorgerà l’Expo, a meno di quattro anni dalla manifestazione, è ancora in mano ai privati. Il Comune dovrebbe cambiare l’indice di edificabilità, perché altrimenti il prezzo sarebbe quello agricolo: si propone un indice che calcolato sugli ettari totali darebbe origine, nel dopo-Expo, o a una piccola Manhattan (se edificata in altezza) o alla costruzione su tutta l’area di un nuovo quartiere. Peccato che questo vada contro la volontà dei cittadini, che si sono espressi con un referendum che parla chiaro: i milanesi lì sopra ci vogliono un parco agroalimentare e la salvaguardia dalla cementificazione. La patata in mano al consiglio comunale non è bollente, di più. I contratti vanno fatti adesso perché le ruspe dovranno entrare in azione a ottobre.

Questa fretta nel decidere e le casse vuote del Comune non sono imputabili ai nuovi eletti. Perché dovrebbero digerire la polpetta avvelenata di una becera speculazione che non rappresenta il nuovo corso milanese? Intanto, gli abitanti di Milano stanno iniziando a mobilitarsi. È difficile prevedere cosa succederà, ed è anche comprensibile che nessuno stia paventando di lasciar perdere l’Expo (cosa che pur avrebbe i suoi perché): sarebbe una sconfitta politica e sarebbe come dire che ci sono soltanto due alternative, le speculazioni edilizie o il nulla. La terza via invece c’era sin dall’inizio, e non era soltanto un orto. Un parco complesso come complesso è il tema che si è data la manifestazione, un nodo cruciale per il futuro di tutto il Pianeta. Era l’occasione unica per l’Expo di diventare qualcosa di nuovo in un mondo che ha bisogno di nuovi paradigmi. Si è persa l’occasione per mobilitare grandi masse di giovani e meno giovani per interrogarsi sulla domanda crescente di cibo, sul cambiamento del clima e sull’avanzare delle zone aride, sulla sicurezza alimentare, sul complesso rapporto città-campagna; tutto questo non in una dimensione bucolica o poetica, ma con il pieno coinvolgimento della piccola produzione, dell’artigianato e dell’industria alimentare. Chiamando in causa anche il mondo della ricerca, delle nuove tecnologie, e garantendo comunque quel piacere alimentare che tutte le comunità del mondo hanno saputo esprimere nei secoli. Questo era l’Expo da auspicare, che avrebbe fatto di Milano un laboratorio del futuro.

Ma sono mancate la politica, la cultura, il progetto, il coraggio, e con il falso pragmatismo che chiede di costruire una kermesse turistica e intanto si sono persi il tempo e il sogno. L’Expo è così diventata una mastodontica macchina invecchiata su se stessa, valida per le masse cinesi, ma che ha perso da decenni la capacità di essere fulcro d’innovazione.

Giunti a questo punto, chiederei che almeno cambino il tema e che ognuno faccia il suo mestiere. Perché c’è spazio per un grande progetto politico nella nuova Milano, partendo dall’agricoltura periurbana di questa grande città, per poi guardare al mondo nel 2015 con una grande chiamata alle reti di donne, giovani, contadini e cittadini che rivolgono lo sguardo a un futuro basato su un concetto di alimentazione che rispetti la terra e i suoi figli. Il giocattolo Expo sarà altra cosa e, viste le figure che stanno facendo mentre il tempo passa e resta un vuoto colossale d’idee, la figura da peraccottai diventerà presto globale. Quella sì, è uguale in Italia come in Togo.

La Repubblica

Pisapia firma l’Expo della Moratti

di Alessia Galione

La firma all’accordo urbanistico di Expo verrà firmato oggi: nella variante c’è lo stesso indice e la stessa quota di costruzioni (400mila metri quadrati) già previste ai tempi della giunta Moratti. Il Pdl esulta: «Scelta la continuità». Basilio Rizzo annuncia, se non ci saranno cambiamenti, un voto contrario. Ma è proprio sull’eredità del 2015 che Giuliano Pisapia inizierà la vera trattativa anche attraverso le quote della newco: «L’importante - dice il sindaco - è che la maggior parte dell’area resti verde». Il Pd presenterà un ordine del giorno per limitare l’impatto del cemento.

E a siglare il verbale conclusivo del documento che darà il via libera alla trasformazione dei terreni di Rho-Pero e ai cantieri del 2015 saranno tutti i protagonisti della partita: da Palazzo Marino alla Regione, dal Comune di Rho alla Provincia fino alle Poste. È il passo atteso, dopo l’ultimatum del Bie, per far partire la macchina dell’Esposizione, sbloccare le gare e permettere l’arrivo (a ottobre) delle ruspe su quel milione di metri quadrati.

Eccolo, il documento atteso che oggi verrà siglato e che, domani, dovrà essere votato dalla giunta comunale per poi (entro 30 giorni) sbarcare in Consiglio per l’approvazione finale. «Arriva a termine un altro percorso essenziale per la realizzazione di Expo - dice il presidente della Regione Roberto Formigoni - l’accordo è forte, solido e va nella direzione giusta». In tutto sono 35 pagine di articoli e premesse e 11 allegati tra cui uno fondamentale: è la variante urbanistica che rende edificabile il milione di metri quadrati oggi agricoli e mette le basi per «la riqualificazione dell’area successivamente allo svolgimento dell’evento». Ed è proprio attorno a questa variante che si è giocata e si giocherà una battaglia politica. Impossibile, dicono da Palazzo Marino, cambiarla in corsa: troppo il pericolo di bloccare tutto l’Expo. Anche se la corsa non è finita qui. Ma cosa si prevede per il post-2015? Quando i padiglioni verranno smontati, su quell’area si potrà costruire sfruttando un indice di edificabilità di 0,52 metri quadrati su metro quadrato: in tutto oltre 400mila metri quadrati, senza contare gli edifici dell’Esposizione permanenti. Le costruzioni non potranno essere distribuite sull’intera superficie, ma il 56 per cento dei terreni dovrà essere mantenuto a verde. Contenuti identici a quelli studiati dalla giunta di centrodestra, sottolinea l’ex assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli: «È una decisione positiva di continuità con il passato. Finalmente un passo indietro dell’estrema sinistra e di Boeri». Anche l’ex sindaco Letizia Moratti lo sottolinea non senza un fondo polemico: «Vuol dire che avevamo fatto le cose per bene». Dal Pd, la capogruppo in consiglio comunale Carmela Rozza in questo momento punta però sull’importanza di non bloccare il percorso verso il 2015: «La strada maestra è fare in modo che Expo parta il prima possibile perché sono stati già persi tre anni», dice. Ma, dopo la giunta che si riunirà domani per dare il via libera all’accordo, la discussione è destinata a spostarsi in Consiglio.

Il documento che verrà siglato oggi nella sede di Expo è considerato da tutti il passo concreto verso le gare e le ruspe. All’interno si cita anche la newco che dovrà acquisire i terreni e si mettono le basi dell’interno percorso. A vigilare su impegni e accordi sarà un "Collegio di vigilanza" presieduto dal sindaco Giuliano Pisapia che potrà apportare anche modifiche in corso. A firmare sarà anche il neo sindaco di centrosinistra di Rho, Pietro Romano. Che esprime la soddisfazione per una serie di nodi - dalla viabilità ai parcheggi - che si sono sciolti. «Sono state rispettate le condizioni che il territorio aveva richiesto», dice. E sulla variante urbanistica: «Non c’era più tempo per cambiarla, ma la vera partita sul dopo-Expo si giocherà successivamente attraverso la newco».

Pisapia gioca l’ultima carta "Nella newco la vera trattativa"

Si giocherà tutta sul post-2015 la partita di Expo. Su quanto cemento colerà sul milione di metri quadrati di Rho-Pero e, soprattutto, su cosa verrà realizzato dopo che i padiglioni verranno smontati. Perché è quello il nodo centrale attorno a cui ruotano anche tutti i dubbi e i tormenti di pezzi importanti del centrosinistra. E perché è lì, sull’eredità che l’Esposizione dovrà lasciare la città, che Giuliano Pisapia punterà per lanciare un segnale di discontinuità rispetto alla giunta Moratti. Un tentativo di migliorare tutto quello che si potrà migliorare, salvaguardando il parco e vincolando il futuro a una funzione pubblica per tutta la città. Che viene affidato, però, a due passi successivi rispetto all’accordo di programma che verrà firmato oggi: il voto in consiglio comunale e, soprattutto, le trattative all’interno della società a maggioranza pubblica che acquisirà le aree. Ed è proprio la newco la vera chiave per decidere le sorti di Expo.

Alla fine è toccato al sindaco, ieri pomeriggio, scandire una rassicurazione politica sullo sviluppo dell’area. Un messaggio che Giuliano Pisapia ha voluto dare alla sua maggioranza che avrebbe voluto un cambiamento più profondo sulla variante urbanistica avviata dalla Moratti. È toccato a lui ribadire: «L’importante è che la maggior parte delle aree resti a verde: una quota dal 52 al 58 per cento, come hanno chiesto i milanesi con il referendum e come dicono le linee politiche dell’attuale maggioranza». La promessa di una discussione (futura) sulla quantità di costruzioni del post 2015: quello 0,52 previsto nell’accordo «è un indice massimo, ma non significa che sarà quello utilizzato». Sarà oggetto di trattative all’interno della newco. Perché, spiega ancora Pisapia, «chi ha la proprietà dei terreni farà le valutazioni sugli indici di edificabilità». Ed è per questo che sarà importante «avere lo stesso potere di veto» degli altri soggetti. Affidata al futuro è anche la decisione su cosa potrà essere costruito dopo: nell’accordo si parla di 30mila metri quadrati - su 400mila - di housing sociale. Ma per il resto? Arriverà la Rai? Torneranno in ballo le ipotesi di trasferimento dell’Ortomercato e della Cittadella della giustizia?

Parole necessarie, quelle del sindaco. Perché i dubbi del centrosinistra hanno tormentato un’altra vigilia di Expo. Il presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo lo dice chiaramente: «Se l’accordo è quello del sindaco Moratti contro cui mi ero battuto, non penso che potrò cambiare opinione. Spero che si possano introdurre cambiamenti significativi perché non possono nascere operazioni speculative». In pratica: se sull’area arriverà un quartiere residenziale di lusso, lui non voterà l’accordo. Ma anche il Pd, con in testa Stefano Boeri, da tempo sta cercando margini di miglioramento. Un piano che la giunta Pisapia ha ereditato e che sembrava impossibile bloccare senza paralizzare gare e cantieri. Con un’unica via d’uscita per il sindaco: puntare le carte su passi successivi. Si inizia dal consiglio comunale, dove il Pd presenterà un ordine del giorno che impegnerà politicamente la giunta a vincolare lo sviluppo futuro a una funzione pubblica, riducendo il più possibile l’indice edificatorio.

La Repubblica

Ermolli: niente rischi per il 2015 ma bisogna comunicare meglio

intervista a Bruno Ermolli della Camera di Commercio,

di Andrea Montanari

Bruno Ermolli, presidente di Promos, l’azienda speciale della Camera di Commercio, e uno dei consiglieri più ascoltati da Silvio Berlusconi, coglie l’occasione della conferenza euro-araba sulle piccole e medie imprese, per fare il punto su Expo 2015.

Presidente Ermolli, il Bie di recente ha lanciato una sorta di allarme. Bisogna nominare un nuovo commissario?

«In politica preferisco sempre non entrare. Esiste una società di gestione. Però, se c’è stato prima un commissario, o era inutile e io non credo o è utile anche oggi. Il fatto che ci sia è benvenuto. Perché dovrebbe avere dei poteri per accelerare ciò che è ritenuto indispensabile».

Il Bie, però, per la prima volta sembra preoccupato.

«Non siamo in ritardo. Andiamo a vedere che cosa è successo in Cina. Abbiamo iniziato a dire che eravamo in ritardo quasi a sette anni data. Poi a sei, a cinque. In realtà, è un discorso sistemico. Se c’è una progettazione esecutiva estremamente chiara la realizzazione fisica si fa in un anno e mezzo come a

Shanghai. Noi magari ce ne metteremo due e mezzo, ma non precipitiamo».

Parigi dice che le prime gare devono partire entro luglio.

«È una deadline che viene posta dal Bie e dobbiamo rispettarla. Ma in chiave organizzativa non siamo in ritardo».

Vede dei rischi?

«C’è la necessità di comunicare di più e meglio. Bisogna far metabolizzare l’importanza dell’organizzazione di un’Expo di questo genere ai milanesi e poi se possibile al resto degli italiani. Non si tratta solo di una grande fiera, ma di una grandissima occasione di vetrina per tutte le nostre eccellenze che possono essere presentate al mondo in un modo molto più facile».

Che cosa intende dire?

«Ci si sofferma sempre sul numero dei visitatori, ma è l’indotto quello che conta. La ricaduta che potrà avere. Le imprese che potranno nascere».

Per esempio?

«L’alimentazione italiana è salubre. Se la paragoniamo a quella statunitense ci rendiamo subito conto che la nostra sembra quasi predisposta da un dietologo. In questo campo noi possiamo diventare ufficialmente i leader nel mondo. È un’occasione da cogliere. Altro esempio. Abbiamo una Milano inquinata. Con i nove tavoli spontanei che abbiamo organizzato abbiamo coniato lo slogan Milano come Saint Moritz nel 2030. Ci sono dei brevetti che non sarebbero mai nati se non ci fossimo posti il problemi di come sarà il traffico all’epoca di Expo. A2A si è addirittura fatta coinvolgere in un progetto per produrre di aria pulita. Queste sono le ricadute. Invece si continua solo a parlare del resto».

Cioè?

«Ora che la vicenda dei terreni è stata risolta, bisogna concentrarsi su come saper cogliere tutte le ricadute economiche e culturali dell’Expo».

Corriere della Sera

Continuità per Expo Ma la sinistra critica Pisapia

di Andrea Senesi

L' ex sindaco Letizia Moratti lo dice con una punta di perfidia: «Stanno per firmare un accordo di programma che ricalca gli impegni presi dalla mia amministrazione. Evidentemente non abbiamo lavorato così male» . La firma è attesa per stamani alle nove in via Rovello, la sede della società Expo 2015.

L’accordo che le parti sottoscriveranno e che servirà a modificare la destinazione d’uso dei terreni di Rho-Pero prevede certo la realizzazione del grande parco urbano da 800 ettari, ma allo stesso modo mette nero su bianco la quantità di volumetrie da edificare dopo l’evento del 2015. Con l’indice dello 0,52 come tetto massimo.

«Expo non si può fermare, gli impegni presi davanti al Bie vanno rispettati» , è la linea scelta da Palazzo Marino. Dove però si conta di modificare in corso d’opera alcuni contenuti del protocollo. Anche perché dietro la firma di stamani si nasconde una vigilia di tensioni, anche all’interno del Pd. Alla fine il compromesso raggiunto è che si lavorerà in Consiglio per emendare alcune passaggi dell’accordo. Il presidente dell’aula, Basilio Rizzo (Federazione della Sinistra), mette però le mani avanti: «Se fossero confermati i contenuti di aprile, io per coerenza non potrei votare la delibera» . Il sindaco Giuliano Pisapia preferisce invece mettere l’accento sulla futura governance della società che acquisirà i terreni.

Conferma che il Comune entrerà con una quota di minoranza, tra il 25 e il 33, ma sottolinea l’opportunità di ottenere dagli altri soci un significativo potere di veto all’interno della newCo. «Noi lavoriamo per avere lo stesso potere di veto degli altri soggetti su qualsiasi decisione, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione nella società» . Lo strumento per ottenere il potere di veto, ha aggiunto ieri Pisapia a margine del Consiglio comunale, «possono essere patti parasociali, così come accordi sulla governance» . Anche il neocapogruppo del Pdl (ed ex assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli) plaude però alla scelta dell’amministrazione Pisapia: «Finalmente un passo indietro dell’estrema sinistra e di Boeri. Siamo contenti che si sia scelta la continuità con il passato» .

Expo 2015, Elio scrive a Pisapia:

“Niente cemento, o si finisce all’inferno”

In un articolo scritto per il Fatto, il cantante degli Elio e le storie Tese invita il sindaco di Milano e Roberto Formigoni a non snaturare il progetto dell'esposizione del 2015 e a realizzare gli orti planetari

Nei prossimi giorni, il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, firmeranno l’Accordo di programma per l’Expo. Elio, di Elio e le Storie tese, lancia a Pisapia questo appello: non accetti il cemento, non cada nella trappola che sta snaturando il progetto degli orti planetari per trasformare l’Expo 2015 in affari cementificazione.



Roberto Formigoni andrà all’inferno. Uno come lui, che appartiene a Comunione e liberazione e dice di credere in Dio, deve sapere che la cementificazione è uno dei peccati più gravi che possono essere commessi. Certo, quando sono state scritte le Tavole della Legge, quel peccato non esisteva ancora e non era neppure immaginabile, ma se fossero scritte oggi, le Tavole della Legge, la cementificazione sarebbe uno dei peccati più gravi in assoluto, perché ha conseguenze pesanti sulla vita nostra, dei nostri figli e dei figli dei figli.

Io sono nato in una zona di Milano in cui negli anni Ottanta sono state costruite quattro torri, orribili. Sono ancora lì. E sono vuote. Vogliamo continuare così? L’Expo di Milano 2015 era nato con una idea bellissima: creare degli orti planetari con le coltivazioni di tutto il mondo. Finita l’esposizione universale, sarebbe rimasto alla città un grande parco con le biodiversità del pianeta: una cosa che non esiste in nessuna altra parte del mondo. Ma ora l’Expo si sta invece dimostrando un trucco: prendere aree che oggi sono agricole e trasformarle in aree edificabili, cementificando e costruendo l’equivalente di venti nuovi Pirelloni, il grattacielo di via Melchiorre Gioia detto Formigone, costruito come nuova sede della Regione dopo aver abbattuto il Parco di Gioia, altro grave crimine o peccato.

La volontà dei cittadini milanesi si è espressa in modo molto chiaro nel referendum del 12 e 13 giugno. Oltre ai quattro referendum nazionali, a Milano ce n’erano altri cinque, consultivi, sull’ambiente. Uno di questi chiedeva: volete che resti a parco l’area dell’Expo, una volta finito l’evento del 2015? Hanno vinto i sì. Dunque Formigoni non può andare contro la volontà dei cittadini. I milanesi che hanno espresso la loro volontà in modo tanto chiaro, adesso devono farsi sentire.

Altrimenti continuerà a succedere quello che è successo in questi vent’anni di cattiva amministrazione della città. In questi decenni sono scomparse tante cose che caratterizzavano Milano: la Centrale del latte, la Fiera campionaria… E la Scala? È stata oltraggiata dal restauro. Non è stata restaurata: le hanno aggiunto sul tetto una clinica svizzera. L’anima di una città è fatta di tante cose concrete. Ebbene, la cosa più grave successa a Milano in questi anni è che ha perso la sua anima. E i cittadini hanno così perso il legame con la loro città.

La grandezza della idea dell’Expo era poter fare qualcosa che mostrasse la città com’era, collegandola alla città che sarà. Invece si è passati alla furbata di prendere prati e trasformarli in cantieri e poi in palazzi e grattacieli. Così un’area che valeva uno viene trasformata in un affare che vale mille. Soldi e cemento. Ma chi ci guadagna? Non certo noi cittadini, non certo i nostri figli e i figli dei nostri figli. Allora, milanesi, alzate la voce! Facciamo rispettare la nostra volontà espressa nel referendum. E tu, caro sindaco Giuliano Pisapia, non cadere nel tranello di Formigoni, che ti dice: o fai come dico io, oppure l’Expo non si fa e Milano farà una figuraccia planetaria. Così dicono: o si fa come vogliono loro, o niente. Ma è possibile? Non si riesce davvero a salvare il parco degli orti, o almeno a costruire di meno? Io credo che se i cittadini faranno sentire la loro voce, potremo evitare una nuova, inutile supercementificazione, fatta con la scusa dell’Expo. Formigonideve pensarci, altrimenti l’inferno lo aspetta.

Affaritaliani.it

Aree Expo, la firma dell'accordo. Pd: ormai è tardi per cambiarlo

"L'Expo è una partita in corsa, ormai è tardi per cambiare il programma".Carmela Rozza, capogruppo del Pd o in Consiglio, spiega adAffaritaliani.itla posizione del partito rispetto all'accordo sui terreni Expo firmato da Comune e Regione.

Malumori nel Pd?

"La questione è un'altra: non ci sono i tempi per fare grandi cambiamenti. E' la stessa posizione di coerenza che ho preso anche sul Pgt. L'Expo è un treno in corsa, abbiamo già buttato via tre anni. Oggi non ci sono i tempi per fare le cose come avremmo voluto. Piuttosto che arrivare tardi o non farla proprio si fa avanti così. Poi il Pd abbinerà alla delibera un ordine del giorno dove cercheremo di stabilire degli impegni per la giunta nella fase posteriore al progetto il cui obiettivo sarà il rispetto dell'ultizzo dell'area per una grande funzione pubblica. Cercando di dare un senso migliore. E poi...".

Dica?

"Anche attraverso il Pgt si può cercare di limare l'accordo di programma".

Che cosa pensa dei 400 metri quadrati edificabili?

"Potrebbe farsi housing sociale che è una grande funzione pubblica".



Stessa quota di cemento e stessa percentuale di verde pubblico.

Il sindaco Pisapia e il governatore Roberto Formigoni firmano l'accordo sui terreni dell'Expo. È il passo atteso, dopo l’ultimatum del Bie, per far partire la macchina dell’Esposizione,sbloccare le gare e permettere l’arrivo (a ottobre) delle ruspe su quel milione di metri quadrati. Ma che cosa prevede l'accordo? Dopo l'Expo su quell’area si potrà costruire sfruttando un indice di edificabilità di 0,52 metri quadrati su metro quadrato: in tutto oltre 400mila metri quadrati, senza contare gli edifici dell’Esposizione permanenti. Le costruzioni non potranno essere distribuite sull’intera superficie, ma il 56 per cento dei terreni dovrà essere mantenuto a verde.



Contenuti identici a quelli studiati dalla giunta di centrodestra

Lo sottolinea l’ex assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli: "È una decisione positiva di continuità con il passato. Finalmente un passo indietro dell’estrema sinistra e di Boeri". Anche l’ex sindaco Letizia Moratti lo sottolinea non senza un fondo polemico: "Vuol dire che avevamo fatto le cose per bene".

Malumori a sinistra e nel Pd.

La capogruppo democratica in consiglio comunale Carmela Rozza punta sull’importanza di non bloccare il percorso verso il 2015: "La strada maestra è fare in modo che Expo parta il prima possibile perché sono stati già persi tre anni", afferma. IL presidente dell'Aula Basilio Rizzo (Federazione della Sinistra) non è però dello stesso avviso e mette le mani avanti: "Se fossero confermati i contenuti di aprile, io per coerenza non potrei votare la delibera", precisa. La partita Expo è solo all'inizio.

il Giornale

Expo, Pd e sinistra vogliono demolire l’intesa sull’edificabilità delle aree

Expo? «Abbiamo ancora dei punti di criticità ma io sono convinto che si possano risolvere oggi stesso». Parola di Giuliano Pisapia, alla vigilia della firma dell’accordo di programma sulle aree che ospiteranno la manifestazione del 2015. L’«oggi» di Pisapia era ieri, perché questa mattina in via Rovello è attesa la sigla finale sugli impegni. Promotore il Comune di Milano con Regione, Provincia, Comune di Rho e Poste Italiane spa, aderiscono la società di gestione Expo 2015 e Arexpo, la newco a maggioranza pubblica al momento interamente della Regione. Poi mercoledì il testo arriverà in giunta e infine in consiglio comunale per l’approvazione finale. Ma il tempo promette burrasca.

Così com’è, l’accordo non piace al Pd, che è pronto a dare battaglia in giunta, né al suo assessore Stefano Boeri e neanche alla sinistra radicale. Tutti chiedono modifiche. Basilio Rizzo, presidente del consiglio comunale, annuncia il suo voto contrario: «Se, e sottolineo se, il testo è uguale a quello di aprile della Moratti, io voterò no per coerenza». Il capogruppo del Pdl, Carlo Masseroli, ironizza: «Ho l’impressione che si arrampichino sui vetri inventando soluzioni inopportune. Qualsiasi passo indietro sarebbe fatale per l’Expo».

L’indice edificatorio di 0,52, cioè 400mila metri quadrati edificabili, i 30mila metri quadri destinati all’edilizia privata, i 42 milioni di euro da versare ai Cabassi per l’acquisto delle aree sono i numeri più importanti sul piatto. Pd e Boeri sono a caccia di una soluzione per non cedere su tutta la linea. Il problema riguarda il dopo Expo e la linea Boeri-Pd sarebbe destinare le aree a una funzione pubblica. Tra le ipotesi, il trasferimento dell’Ortomercato e della Facoltà d’Agraria.

Lo 0,52, ovvero l’indice edificatorio, è ritenuto difficilmente modificabile, anche se il referendum ha chiesto di mantenere integralmente il parco agroalimentare dell’Expo. Pisapia dice che si tratta di «un limite massimo, non è detto che sarà quello utilizzato successivamente». Ma se si acquistano le aree dai Cabassi e poi si abbassa l’indice, facendo perdere di valore all’area, si rischia una contestazione da parte della Corte dei conti. Si sta anche valutando di ricorrere alla perequazione, strumento urbanistico che prevede di trasferire altrove il diritto di costruire. In quel caso, però, bisognerebbe indicare l’area in cui si vuole costruire. E sarebbero nuovi guai.

La Repubblica

Verde e nuovi grattacieli un anno per cambiare il Pgt

di Teresa Monestiroli

Il Piano di governo del territorio «non rispecchia l´idea di città dell´attuale maggioranza». Quindi, all´unanimità, la giunta ha deciso «di mettere alcuni paletti al documento» prima che entri in vigore, in attesa di «riscrivere le regole dello sviluppo del territorio». In particolare: verrà tutelato di più il Parco Sud, verrà data priorità al verde, saranno rivisti i volumi previsti all´interno degli ex scali ferroviari e gli indici di costruzione negli ambiti di trasformazione urbana perché «in alcuni casi spaventano». Un anno per la revisione. Nel frattempo, il Comune lavorerà a un nuovo Piano che «rispecchi meglio «la città dei nostri sogni».

È Ada Lucia De Cesaris, il nuovo assessore all´Urbanistica, a illustrare la strada che ieri la nuova amministrazione ha scelto per modificare il Pgt, ancora in attesa di pubblicazione. Scartate le ipotesi di revocare l´adozione - ci vorrebbe troppo tempo - e di pubblicare il Piano avviando contestualmente le procedure per la variante - come chiesto da una parte del Pd - , la giunta Pisapia torna alla valutazione dei pareri degli enti e delle 4.765 osservazioni presentate dai cittadini per modificare, dove è possibile, il documento il più in fretta possibile in modo da rispettare la scadenza del 31 dicembre 2012 fissata dalla Regione.

La revoca dell´approvazione, che prima sarà votata dalla giunta poi passerà al vaglio del consiglio comunale, «ripristina il diritto di partecipazione dei cittadini - spiega De Cesaris - e consente di superare i ricorsi presentati al Tar», permettendo al contempo «di apportare alcune importanti modifiche al Piano, anche tenendo conto degli indirizzi usciti dai recenti referendum cittadini». Un processo che prenderà tempo ed energie. Il primo passo sarà quello di rileggere tutte le osservazione e stabilire quali accogliere. Il secondo il passaggio in consiglio comunale, seguendo il metodo dell´accorpamento per gruppi questa volta «davvero omogenei» assicura l´assessore. Un iter lungo e che preoccupa il Pd, con il capogruppo Carmela Rozza che dice: «Continuiamo ad avere le preoccupazioni evidenziate al sindaco sui tempi di questo percorso, ma prendiamo atto della decisione e sosterremo i provvedimenti lavorando affinché siano approvati nei tempi più brevi possibili».

Timori a cui risponde lo stesso Pisapia: «Ci impegniamo a concludere entro la prossima estate - garantisce - . La nostra decisione non bloccherà lo sviluppo dell´economia né i lavori già approvati o che possono essere approvati, ma soprattutto impedirà quella carneficina che avrebbe significato nuovi grattacieli e nuove case per soggetti che non sono in grado di pagarle». Al contrario, «sarà un passo avanti perché eviterà quei ricorsi, del tutto fondati, che sarebbero arrivati se il Pgt fosse stato pubblicato così come l´ha pensato il centrodestra». Non a caso, conclude Pisapia, la precedente amministrazione ha deciso di rinviare l´atto di pubblicazione. «O erano convinti di perdere le elezioni - ironizza - oppure non erano convinti del Piano». «La scelta della giunta - commenta Basilio Rizzo, presidente del consiglio comunale - corrisponde bene alla doppia esigenza di consentire agli operatori di svolgere la loro attività in un sistema garantito di regole e rispettare l´impegno assunto da Pisapia con i cittadini».

La Repubblica

Coraggio

di Roberto Rho

Con il primo gesto di coraggio di un inizio mandato guardingo, la giunta Pisapia ha ufficializzato lo stop al Piano di governo del territorio. Annunciando contestualmente il riesame delle osservazioni dei cittadini e soprattutto l´avvio di una riflessione per redigere un piano radicalmente nuovo. È una scelta equilibrata e coraggiosa insieme, che supera d´un balzo l´obiezione falsa e strumentale della destra – che da mesi continua a camuffare la fretta di immobiliaristi e costruttori di veder subito in vigore il Piano, confezionato su misura dei loro interessi, come una necessità imprescindibile della città – e anche le molte resistenze di un´ala del centrosinistra (del Pd, in particolare), che ancora ieri preferiva sottolineare le perplessità per il percorso scelto dalla giunta. È la stessa ala che più o meno dodici mesi orsono, assecondando probabilmente le pressioni degli interessi immobiliari "rossi", lasciò cadere centinaia di emendamenti spianando la via all´adozione del Pgt in Consiglio Comunale. I milanesi, con il voto di metà e fine maggio e con i referendum di metà giugno, hanno detto esplicitamente come la pensano.

Il Pgt Masseroli-Moratti, che attribuisce indici di edificazione anche alle aree agricole del Parco Sud, salvo poi trasferire i diritti in altre zone della città (con ciò regalando rivalutazioni milionarie ai proprietari) non va. Gli indici di edificazione attribuiti agli ex scali ferroviari e ad altre zone di prossima cementificazione non vanno. Ma non va l´intero Pgt, perché è costruito su principi sbagliati: la previsione di un aumento della popolazione di diverse centinaia di migliaia, l´assunto secondo cui sarà l´offerta (esorbitante) a muovere la domanda, e non viceversa, la sproporzione tra nuove costruzioni di fascia alta – largamente prevalenti – e nuovi alloggi a prezzi popolari o calmierati, il disinteresse per le migliaia di appartamenti e uffici vuoti, perché sfitti o invenduti.

Dunque, revocare l´approvazione del Pgt e riesaminare le osservazioni dei cittadini frettolosamente cestinate dalla Moratti è, oltre che doveroso, utile per intervenire chirurgicamente sui punti nevralgici del Pgt. Ma è politicamente ancor più rilevante l´intenzione espressa dal sindaco di voler scrivere un Pgt nuovo, costruito su un´idea di città radicalmente diversa da quello della Moratti (ammesso e non concesso che ne avesse una). È il mandato che la maggioranza dei milanesi – con la loro partecipazione al voto entusiasta e contagiosa – hanno affidato al nuovo sindaco. E sarebbe bene che tutti i partiti di centrosinistra ne tenessero conto.

La Repubblica

"Hanno deciso di fermare tutto così saranno travolti dai ricorsi"

Intervista all’ex assessore Carlo Masseroli, di Rodolfo Sala

«Tra le scelte possibili, hanno fatto quella peggiore». È il commento a caldo dell´ex assessore all´Urbanistica Carlo Masseroli, padre del Pgt revocato dalla nuova giunta. «Così - aggiunge - ha vinto l´élite borghese e ha perso la politica».

Spieghiamo, consigliere Masseroli?

«Il nostro Piano non piace al sindaco e ai suoi assessori? Bene, allora sarebbe stato molto più onesto da parte loro buttarlo via e rifarlo daccapo. E invece non dicono che cosa vogliono cambiare del Pgt, lo modificheranno in base alle osservazioni che sono pervenute. Si va alle calende greche».

Anche riscrivere daccapo il Pgt comporta tempi molto lunghi.

«C´era un´altra strada, la stessa che aveva suggerito il Pd. In sintesi: alcune cose le condivido, altre voglio cambiarle, quindi si può depositare il Pgt approvato dalla vecchia giunta e fare una variante».

Però Pisapia assicura che Milano avrà il nuovo Pgt entro il termine di legge del 31 dicembre 2012...

«Mi sembra alquanto improbabile. Non solo si allungano i tempi, ma si apre una fase di ricorsi da parte degli operatori che non potranno cominciare a lavorare. Quando prevalgono gli aspetti giuridici, la politica è finita, si ferma tutto e vince l´élite borghese composta da quanti non hanno alcun interesse all´housing sociale».

Scusi, ma allora perché il Pgt non l´ha fatto entrare in vigore lei?

«Perché, come scrive il nuovo assessore De Cesaris nella sua informativa, non si è ancora concluso il lavoro di adeguamento dei documenti alla luce delle osservazioni arrivate in Comune. La verità è un´altra».

E cioè?

«Può anche starci che alla nuova giunta non piaccia la modalità con la quale noi volevamo restituire il Parco Sud alla città, attraverso il meccanismo delle perequazione. Ma quel metodo era stato condiviso almeno dal Pd. E poi i grattacieli: vanno bene solo i due progettati da Boeri a Porta Garibaldi? Ripeto, era meglio la variante. Ma non l´hanno fatta per ragioni politiche».

Quali?

«Avrebbero dovuto far ritirare il ricorso contro il nostro Pgt presentato da Rizzo e compagni. Non sono stati in grado di convincerli, vuol dire che non sono compatti. E che il Pd è stato sconfitto».

La Repubblica

Il Parco Sud appeso a un indice la giunta prepara il salvataggio

di Teresa Monestiroli

Se si vuole preservare il Parco Sud come area agricola, perché assegnare ai terreni verdi un indice volumetrico da riversare altrove? E ancora: tutto quel cemento "in potenza" accumulato nel parco dove atterrerà? La città sarà in grado di assorbirlo? Il futuro del Parco Sud si gioca tutto intorno a queste domande, riassunte in una delle tante osservazione al Pgt che la giunta Moratti ha respinto.

Osservazione che ora la nuova amministrazione vuole riprendere in mano e valutare di nuovo. Perché se l´obiettivo è quello di «tutelare la vocazione agricola del Parco Sud», come dichiarato dal sindaco Pisapia e dal suo assessore all´Urbanistica Ada Lucia De Cesaris, la prima cosa da fare sarà quella di rivedere una ad una le decine di richieste di modifiche al Piano che riguardano proprio l´area verde alle porte della città. E se le risposte alle richieste di privati, come Salvatore Ligresti e la Fondazione Policlinico, che vogliono costruire all´interno del Parco non cambieranno - le respinse anche la giunta Moratti - sarà accolta quella presentata da Legambiente, Libertà e Giustizia, Acli e Arci che pone proprio quelle domande, centrali per la salvaguardia dell´area. Chiedendo l´azzeramento dei diritti volumetrici generati dai singoli proprietari, in cambio della cessione dei terreni al Comune di Milano.

Per salvare il polmone verde alle porte della città, dunque, e rilanciare l´agricoltura bisogna partire da lì, dall´esclusione del Parco Sud dal meccanismo della perequazione che permette lo spostamento delle volumetrie da una parte all´altra di Milano. A chiederlo sono proprio le associazioni che, in una delle sedici osservazioni al Piano presentate (e respinte), scrivono: «Del tutto incomprensibile e irrazionale appare in particolare l´applicazione di indici trasferibili generati da superfici agricole che, in seguito a cessione di tali edificabilità, divengono patrimonio pubblico». Che in termini meno tecnici significa semplicemente che non ha senso assegnare un diritto volumetrico là dove comunque resta il divieto di costruire, solo per incentivare i privati a cedere all´amministrazione degli appezzamenti di terre affinché vi si svolga un´attività agricola.

L´intenzione della nuova giunta, ora, è quella di una marcia indietro radicale, nel limite delle possibilità previste dalla legge. Se infatti non sarà possibile cancellare completamente la perequazione nelle aree del parco - gli uffici stanno verificando tutte le ipotesi - , si cercherà comunque di limitare il più possibile l´assegnazione delle volumetrie. Rivedendo comunque quell´indice assegnato dall´ex assessore Carlo Masseroli (0,15) pari a venti volte quello attuale. «La perequazione nel parco è stata pensata per regalare diritti di costruzione - commenta Stefano Pareglio, del consiglio di presidenza di Libertà e Giustizia - e non per realizzare un progetto organico di città e di parco. Il Parco Sud invece ha bisogno di una valutazione complessiva, magari prevedendo anche una perequazione differenziata a seconda delle aree e della loro vocazione». Un esempio? «A Est, nella zona del fiume Lambro, dove non c´è molta agricoltura, si potrebbe mantenere anche un piccolo indice volumetrico, mentre a Sud bisognerebbe spingere solo l´agricoltura».

Una sola osservazione, dunque, che se verrà accolta potrebbe stravolgere completamente i piani della precedente giunta e di tutti gli imprenditori - in primis Ligresti - che con il giochino della perequazione avrebbero guadagnato "diritti" dal nulla. Una strategia che l´ex sindaco Moratti ha concordato con il presidente della Provincia Guido Podestà che, nel dare il suo benestare al Pgt pochi giorni prima dell´approvazione in consiglio comunale, ci tenne a sottolineare che l´ultima parola sul futuro del parco spetta al direttivo del Parco Agricolo Sud di cui è il presidente. Un dettaglio che ora potrebbe trasformarsi in uno scontro tra il nuovo sindaco e la Provincia, dal momento che i Piani di cintura urbana, di competenza appunto di Palazzo Isimbardi e ancora in via di definizione, comprendono anche quelle aree del Parco all´interno del Comune di Milano.

Corriere della Sera

Pisapia blocca il Pgt della Moratti

di Rossella Verga

Il Pgt riparte dalle osservazioni dei cittadini, ma per la giunta non è un passaggio indolore. Alla fine vince la linea Pisapia-De Cesaris: revoca dell’approvazione per correggere dove possibile lo strumento ereditato dall’amministrazione Moratti e dare a Milano, entro un anno, un piano «partecipato» . Non mancano malumori da parte del Pd preoccupato per i ritardi ma costretto a battere in ritirata per intervento del sindaco. Timori sui tempi sono stati espressi anche dall’assessore Bruno Tabacci, che nei prossimi mesi impegnerà l’aula con una discussione non facile sul bilancio.

La giunta, dopo la relazione dell’assessore all’Urbanistica, Lucia De Cesaris, ha deciso «all’unanimità» di revocare la delibera di approvazione del piano di governo del territorio e di rivalutare le 4.765 osservazioni presentate dai cittadini, senza ammetterne tuttavia di nuove. La delibera di revoca arriverà in giunta la prossima settimana e poi passerà all’esame del consiglio comunale. Obiettivo finale: inserire alcuni paletti, come il fatto che non verranno assegnati indici volumetrici, sia pure da spalmare altrove, al parco Sud, che manterrà in tutto e per tutto la caratteristica agricola.

Più tutele e riduzioni dei volumi per scali ferroviari (per esempio Farini e Romana) e negli ambiti di trasformazione urbana. Tutto ciò, promette la giunta, rispettando la scadenza di legge, cioè la necessità di varare il nuovo piano entro il 31 dicembre 2012, data oltre la quale si rischierebbe il commissariamento. «Il nostro impegno — precisa il sindaco, Giuliano Pisapia— è fare molto più in fretta, per avere il nuovo piano entro l’estate del prossimo anno» . Per ora, insomma, sul Pgt si mette una toppa, ma si comincia già a lavorare a un nuovo piano (magari sotto forma di variante) che rifletta l’idea di sviluppo della città del centrosinistra e tenga anche conto del risultato dei referendum. «Il verde è una priorità» , ribadisce l’assessore.

E ancora: più housing sociale, indici volumetrici più bassi e ritorno alle destinazioni d’uso. «Questo piano — sottolinea Lucia De Cesaris — sicuramente non esprime la nostra visione di città» . E in ogni caso, non essendo pubblicato «non è efficace» , quindi nessuno può vantare diritti. La scelta di rivalutare le osservazioni, rincara il sindaco, permette di impedire la «carneficina di Milano» limitando i grattacieli, nonché di tener fede alle promesse di ascolto fatte in campagna elettorale.

Senza «bloccare l’economia e lo sviluppo della città— assicura Pisapia—. Esattamente il contrario, perché, se fosse stato pubblicato il Pgt adottato dal centrodestra, i ricorsi, del tutto fondati, sarebbero stati accolti e si sarebbe tornati indietro» . L’assessore Stefano Boeri, reduce da una riunione con il Pd che avrebbe preferito una scelta diversa (pubblicazione per non rischiare ritardi e variante di piano), insiste sulla fase due: «Abbiamo concordato — sottolinea — di elaborare un documento di indirizzo che deve essere la stella polare delle politiche del territorio e dovrà essere presentato a ottobre» .

Ma la capogruppo del Pd, Carmela Rozza, conferma le sue «preoccupazioni» sui tempi. «Comunque prendiamo atto della decisione del sindaco— dice— sosterremo i provvedimenti in aula e lavoreremo perché siano approvati nei tempi più brevi possibili» . Plaude alla decisione il presidente del consiglio comunale, Basilio Rizzo: «Risponde bene — commenta— alla doppia esigenza di consentire agli operatori di svolgere senza ostacoli la loro attività in un sistema garantito di regole e di rispettare l’impegno esaminare le osservazioni» . Bocciatura totale da Pdl e Lega. «E’ una scelta irresponsabile — attacca anche MariolinaMoioli, capogruppo di Milano al Centro — Significa bloccare la città e rinunciare agli oneri di urbanizzazione» .

Corriere della Sera

«Si cambi una volta sola oppure la città si blocca»

Intervista a Claudio De Albertis rappresentante del costruttori, di Sacchi

«Cambino pure, ma una volta sola e in tempi certi» . Lo ripete più volte, chiede che «non ci siano ritardi o altri intoppi» , che il quadro normativo sia chiaro e definitivo nel giro di un anno. Claudio De Albertis, presidente di Assimpredil, numero uno dei costruttori milanesi (nella foto), è visibilmente preoccupato.

Non si aspettava questa svolta da parte della giunta? «In realtà un cambio di rotta era previsto, prevedibile e legittimo. Milano ha una nuova amministrazione ed è giusto che voglia dare una sua impronta al governo del territorio. Però una volta sola» .

Teme una serie di modifiche in corsa?

«Se vogliono riaprire l’iter di variante, significa che per un anno, un anno e mezzo, avremo un periodo di salvaguardia in cui valgono le norme più restrittive tra vecchio Prg e nuovo Pgt. Poi si passerà alle regole del "Pgt con osservazioni"e, infine, si avrà una terza rivoluzione con altre norme» . Troppo? «E insomma... Se tutta questa operazione avviene in cinque anni e noi operatori dobbiamo confrontarci su tre regolamenti diversi, la prospettiva diventa davvero preoccupante» .

Per chi?

«Per tutti. Per i costruttori e per gli investitori» .

Ha ragione chi dice che la città si blocca?

«Se non c’è più una certezza di riferimento, allora il rischio c’è» .

Auspicio?

«Lo ripeto, cambino le cose una volta sola, rispettando le scadenze e senza ulteriori colpi di scena. Milano ha bisogno di stabilità. Anche da questo punto di vista» .

il GiornalePisapia scontenta tutti e affossa il Pgtdi Mario Sorbi

Guai a chiamarlo blocco. Quello sul Pgt è «un passo avanti». E il sindaco Pisapia ci tiene perfino a scandire il concetto: «A-van-ti». Sarà. Di fatto la revoca della delibera di approvazione del piano di governo del territorio provoca uno slittamento di un anno. Se va bene. Di un anno e mezzo se le discussioni si prolungheranno, come è prevedibile. Si ferma tutto, compresi gli investimenti immobiliari. La città potrà avere il suo Pgt la prossima estate e ci saranno solo due anni di tempo per prepararsi ad Expo.

Alla fine è prevalsa la linea strong sostenuta dall’assessore all’Urbanistica Lucia De Cesaris, autrice dell’informativa presentata ieri alla giunta: da avvocato aveva paralizzato l’attività del Comune con 150 ricorsi, da assessore blocca tutto fermando la delibera sul Pgt. A nulla sono serviti i tentativi del Pd più moderato per evitare l’azzeramento del piano. La linea prudente è stata scalzata da quella più estremista creando non pochi mal di pancia nella maggioranza.

«Manteniamo la nostra preoccupazione - spiega il capogruppo del Pd Carmela Rozza - pur rispettando la scelta del sindaco. Lavoreremo in aula per velocizzare il più possibile e creare meno disagio possibile». Entro la fine dell’anno il Pgt dovrebbe tornare in aula. Se il piano non dovesse essere pubblicato entro la fine del 2012, il Comune rischierebbe infatti il commissariamento.

In questi mesi non sarà scritto un nuovo documento ma verrà rivisto e corretto quello esistente, ripartendo dalla fase delle 4.765 osservazioni dei cittadini e dai pareri degli enti. Poteva andare peggio. Cioè, si poteva rifare tutto daccapo revocando il piano per riscriverlo. «Il nostro - spiega il sindaco Giuliano Pisapia - è un passo avanti e non indietro. Ci sono infatti due ricorsi che pendono sul Pgt che avrebbero allungato i tempi molto di più. Assicuro che non bloccheremo la città». I due ricorsi contestano uno il metodo con cui sono state accorpate le osservazioni sul piano, e l’altro il procedimento con cui si è arrivati all’approvazione.

E se dovessero essere presentati nuovi ricorsi? «Cercheremo di operare nel massimo rispetto della legittimità» puntualizza Pisapia che, da avvocato, si appella a un «vizio di forma»: «I ricorsi saranno tutti inammissibili perché si riferiscono a un testo mai pubblicato. La legge ci consente di fare tutto ciò e vogliamo anche lanciare un grande messaggio agli imprenditori». La De Cesaris, che già (a amministrazione appena cominciata) pensa a un nuovo piano territoriale, ammette: «Non avremo mai il Pgt dei nostri sogni, ma almeno qualcosa che ci assomigli, che valorizzerà di più il verde».

Tra i punti cardine su cui la giunta intende lavorare ci sono il Parco Sud («l’indice di edificabilità indicato da pgt ci spaventa»), gli scali ferroviari e gli indici volumetrici: niente grattacieli e un ritorno all’indicazione delle destinazioni d’uso dei terreni.



Il Sole 24 Ore

La Giunta Pisapia revoca il Pgt varato dalla Moratti. Il Pd è «preoccupato», ma appoggia il sindaco

di Sara Bianchi

LaGiunta Pisapiaha deciso la strada da seguire per modificare, come promesso in campagna elettorale, il Piano di governo del territorio della passata amministrazione: il provvedimento di approvazione sarà revocato -come anticipava sul nostro sito Lucia De Cesaris, assessore all'urbanistica del Comune di Milano - e si tornerà alle osservazioni dei milanesi che verranno rivalutate. La decisione è stata presa all'unanimità. La proposta di delibera di revoca sarà portata in Giunta già la prossima settimana e sottoposta successivamente all'esame del Consiglio comunale.

Lo hanno comunicato il sindacoGiuliano Pisapiae l'assessore all'Urbanistica Ada Lucia De Cesaris. La quale ha sottolineato che il piano «non è stato pubblicato dalla precedente amministrazione e non era neppure pubblicabile. È stata una loro scelta». Adempimenti che erano «necessari affinchè il piano potesse acquisire efficacia e quindi divenire operativo esplicando i suoi effetti». Secondo il sindaco Pisapia l'ex maggioranza di centrodestra «ha fatto degli errori che avrebbero comportato l'annullamento» del piano. Se fosse stato pubblicato il Pgt adottato dal centrodestra «ci sarebbero stati decine di ricorsi, del tutto fondati - ha sostenuto Pisapia - e sarebbero stati accolti, facendoci tornare indietro».

Non si ricomincia da capo, ma si torna comunque indietro. Per riportare in aula il nuovo documento, si dovrà attendere la fine dell'anno, mentre per l'approvazione definitiva, secondoil sindaco Giuliano Pisapia, «il nostro impegno é quello di arrivare quantomeno entro l'estate del 2012». Se così fosse i tempi globali di approvazione del documento sarebbero rispettati, essendo la scadenza di legge fissata al 31 dicembre 2012, scadenza oltre la quale si rischierebbe il commissariamento. Nel frattempo vigerà il regime di salvaguardia e il vecchio Piano regolatore generale.

Il comune dovrà tenere conto anche del rischio di possibili ricorsi, specialmente riaprendo la fase delle osservazioni di cittadini ed enti, anche se, ha sottolineato il sindaco, «due ricorsi già pendevano sul vecchio piano di governo presso il Tar, due ricorsi - ha detto Pisapia - che secondo i nostri rilievi sono fondati».

Nelle intenzioni della Giunta, gli uffici comunali dovranno rileggere e rivalutare le 4.765 osservazioni giunte dai milanesi entro l'autunno, per poi portare il nuovo pacchetto in Consiglio, con le modifiche proposte dai cittadini accorpate per uniformità tematica, entro fine anno. «Il nostro impegno è di fare molto in fretta e di approvarlo entro l'estate prossima», è stata l'assicurazione di Pisapia. Nel mirino delle osservazioni al pgt ci sono in particolare l'indice di edificabilità nel parco Sud, la partita degli scali ferroviari e l'indice unico volumetrico.

Una decisione che il Pd non ha preso a cuor leggero. Il capogruppo democratico a Palazzo Marino, Carmela Rozza precisa che il partito ha espresso la propria preoccupazione a Pisapia. Preoccupazione, dice Rozza che «manteniamo pur rispettando la scelta del sindaco». A questo punto «lavoreremo in aula - ha aggiunto - per velocizzare il più possibile» i tempi. Faccenda alla quale guarda con attenzione anche il segretario metropolitano dei democratici,Roberto Cornelli. «Per il Pd - precisa -la questione veramente cruciale è quella dei tempi».

Per l'ex assessore Mariolina Moioli, oggi all'opposizione come consigliere comunale di Milano al Centro si tratta di «una scelta irresponsabile». Che significa «bloccare lo sviluppo della città a tempo indeterminato», ma anche rinunciare nel bilancio di quest'anno ai soldi che sarebbero arrivati dagli oneri urbanistici. Secondo l'ex assessore è «una presa di posizione ideologica e contro gli interessi dei milanesi, della città, ma anche dello sviluppo di tutto il Paese».

Per una questione che si apre, il sindaco prova a chiuderne un'altra, quella con il ministro della Difesa,Ignazio La Russa, sulla presenza dei militari in città. Che rimarranno per presidiare i siti sensibili, mentre per il resto la sicurezza sarà garantita dalla polizia e da una maggiore presenza dei vigili sul territorio con 500 nuovi vigili di quartiere. Al riguardo, «alla prossima riunione con il prefetto e con i soggetti interessati porteremo la nostra indicazione», ha spiegato Pisapia.

Poco prima il ministro La Russa aveva annunciato che i militari a Milano passeranno dagli attuali 653 a poco più di 200.

LA NOTIZIA/La giunta ha deciso "unanimemente nonostante gli approfondimenti di intraprendere la strada della revoca della delibera di approvazione del Pgt". Lo ha annunciato l'assessore all'Urbanistica Lucia De Cesaris dopo la riunione della giunta di palazzo Marino.

RUMORS

Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, la riunione di giunta che ha portato alla decisione di riportare indietro le lancette al momento della pubblicazione del Pgt, rimettendo quindi sul piatto tutte le osservazioni che erano state presentate, è stata tutt'altro che tranquilla. La discussione è stata accesa, da una parte non solo Stefano Boeri e il gruppo del Pd ma anche altri assessori, hanno sostenuto con forza che la scelta del sindaco di tornare indietro alle osservazioni avrebbe comportato rischi enormi. Il primo, legato ai tempi: ridiscutere tutto vorrebbe dire tornare in aula per un anno e mezzo, con tutti i pericoli del caso. Il secondo rischio: andare a ridiscutere il Pgt senza un documento politico di indirizzo, già condiviso, sul piano di governo, vorrebbe dire non sapere quali osservazioni accettare e quali no. Il terzo rischio: che dopo 18 mesi di discussione, i cambiamenti all'impianto profondo del Pgt sarebbero comunque poco rilevanti. Il quarto rischio (che ha "colpito" soprattutto Tabacci): ridiscutere il Pgt vuol dire rinunciare agli oneri di urbanizzazione già iscritti a bilancio, aggravando così una situazione già difficile.

LA DICHIARAZIONE AD AFFARI

Carmela Rozza, capogruppo del Pd a Palazzo Marino, commenta così la decisione della Giunta: "Il Pd ha espresso al sindaco la propria preoccupazione, manteniamo la nostra preoccupazione pur rispettando la scelta del sindaco. Lavoreremo in aula per velocizzare il più possibile e creare meno disagio possibile, ripeto: rispettando la scelta del sindaco"

GIULIANO PISAPIA

La scelta della giunta sul Pgt "permette di impedire" la "carneficina di Milano". Lo ha detto il sindaco Giuliano Pisapia, spiegando la decisione dell'esecutivo di palazzo Marino di revocare la delibera di approvazione del Piano di governo del territorio votata il 4 febbraio dal consiglio comunale. Per Pisapia la scelta di oggi non "bloccherà" l'econmomia e lo sviluppo della città ma "esattamente il contrario. Se fosse stato pubblicato il Pgt adottato dal centrodestra ci sarebbero stati decine di ricorsi, del tutto fondati, sarebbero stati accolti e si sarebbe tornati indietro. Invece la scelta che abbiamo fatto - ha spiegato - permette di sviluppare economia a Milano, di continuare i lavori già fatti, di proseguire lavori già approvati o che possono essere approvati e soprattutto permette di impedire quella carneficina di Milano, scusate il termine, che significherebbe nuovi grattacieli e nuove case per soggetti che non sono in grado di pagarle. Noi invece vediamo la necessità che a Milano ci sia più verde, più housing sociale, più edilizia popolare, quello di cui hanno bisogno i cittadini di Milano".

MARIOLINA MOIOLI

“È una scelta irresponsabile quella di ridiscutere il Piano di Governo del territorio, pronto dopo la conclusione del suo iter burocratico per essere pubblicato”. Questa la prima reazione del capogruppo di Milano al Centro, Mariolina Moioli alla revoca della delibera di approvazione del Pgt. “Significa bloccare lo sviluppo della città a tempo indeterminato – incalza Moioli - rinunciare agli oneri di urbanizzazione già previsti in entrata di bilancio 2011, aggravare la situazione già difficile di tutte le imprese del settore e di tutto l’indotto. Ma quello che è più grave è il blocco dell’occupazione nei settori trainanti per l’economia”. “Si tratta – conclude - di una presa di posizione ideologica e contro gli interessi dei milanesi, della città, ma anche dello sviluppo di tutto il Paese. Non ci limiteremo a posizioni contrarie ma faremo, come opposizione, tutto quello che è possibile”.

La Repubblica

Meno cemento, più tutele al Parco Sud la giunta oggi decreta lo stop al Pgt

di Teresa Monestiroli

Il comune è pronto a revocare il provvedimento di approvazione del Piano di governo del territorio e tornare all’analisi delle osservazioni presentate dai cittadini. In particolare, di quelle 4.765 richieste di modifica respinte quasi interamente dalla scorsa giunta, Palazzo Marino vuole ripensare la perequazione - il meccanismo che permette di spostare le volumetrie da una parte all’altra della città - soprattutto all’interno del Parco Sud, e limitare la quantità di nuovi palazzi in quelle zone di Milano in cui non è sostenibile come il centro storico e alcuni scali ferroviari.

Dopo aver studiato le carte con attenzione, e dopo aver preso in considerazione tutti i possibili intoppi di una retromarcia, oggi l’assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris porta in giunta un’informativa spiegare ai colleghi il percorso scelto per rivedere, almeno in parte, il Piano del territorio che fissa le regole urbanistiche per i prossimi vent’anni. La strada che oggi verrà proposta alla giunta, già concordata con il sindaco Pisapia, è quella di ritornare indietro alla discussione in consiglio comunale delle osservazioni in modo da ritoccare, dove è possibile, il Pgt. L’idea, visto il numero delle richieste di modifica, resterebbe quella di fare degli accorpamenti in modo da ridurre sia le discussioni in aula che le votazioni, ma questa volta rispettando il criterio dell’omogeneità delle osservazioni all’interno di ogni singolo gruppo. In questo modo, ha detto Pisapia qualche giorno fa, «ci sarà un Piano sicuramente migliorato rispetto a quello attuale».

L’intenzione di rivedere il documento scritto dall’ex assessore Carlo Masseroli era stata annunciata già in campagna elettorale. Il problema, però, era capire in che modo, visti i tempi lunghissimi di ogni passaggio burocratico del Piano e visto che la Regione fissa al 31 dicembre 2012 il limite massimo per l’approvazione. Sul tavolo c’erano tre opzioni: la revoca dell’approvazione, la revoca dell’adozione, la pubblicazione del Piano e la votazione di possibili varianti una volta entrato in vigore. La giunta oggi dovrebbe accordarsi sulla prima, escludendo la seconda perché implicherebbe troppo tempo e la terza per una questione politica. Lo stesso Pisapia, infatti, nel suo primo discorso in consiglio comunale, disse parole molte esplicite: «Ci impegniamo fin d’ora a esaminare e a valutare le osservazioni presentate da cittadini e da numerose associazioni al Pgt - disse in aula Pisapia - , non solo per rispetto di quella democrazia partecipativa alla quale crediamo fermamente ma anche perché siamo profondamente convinti che, in quelle osservazioni, vi sia una grande ricchezza per il futuro della città».

Corriere della Sera

Pgt all’esame dei cittadini Tutele per centro e parco sud

di Rossella Verga

Il Pgt torna un passo indietro e riparte dalle osservazioni dei cittadini. Verranno discusse tutte e 4.765, accorpate per aree omogenee di contenuto. Per raggiungere nell’arco di qualche mese (l’amministrazione spera non più di 4-5) due obiettivi: ascoltare quello che i milanesi hanno voluto dire al Comune senza riuscirci e mettere qualche paletto qua e là per evitare la «cementificazione selvaggia» . In arrivo, in concreto, più tutele per centro storico, scali ferroviari e Parco sud rivedendo in particolare la perequazione. Previsti ritocchi verso il basso per gli indici volumetrici in alcune zone. Il tutto, assicurano in Comune, nel rispetto dei tempi fissati dalla Regione per completare le procedure (31/12/2012) e delle direttive di legge.

Questa la strada maestra individuata da Palazzo Marino per rivedere il piano di governo del territorio e gettare basi solide per le pianificazioni del futuro. Il Pgt dunque non verrà pubblicato adesso, anche se sull’argomento continua il gelo tra una fetta del Pd tra cui la capogruppo Carmela Rozza e l’assessore all’Urbanistica, Lucia De Cesaris. In ogni caso, la pubblicazione in questo momento non sarebbe tecnicamente possibile anche per la mancanza di alcuni documenti. Non verrà messa in discussione, comunque sia, l’adozione del piano.

Oggi l’assessore porterà sul tavolo della giunta una relazione e una proposta. Non ancora una delibera. Si aprirà il dibattito, ma la linea indicata da Lucia De Cesaris ricalcherà nella sostanza quella espressa dal sindaco, Giuliano Pisapia, nell’aula consiliare. «Per il Pgt si tornerà alla possibilità per il consiglio comunale di esaminare e votare le osservazioni dei cittadini— aveva preannunciato il sindaco — Sulla base di queste osservazioni ci sarà un Pgt sicuramente migliorato rispetto a quello attuale» . In giunta verranno ripresentate stamattina le tre opzioni valutate nelle ultime settimane dall’assessorato. Revoca degli atti di adozione, pubblicazione del piano così com’è, revoca del provvedimento di approvazione con ritorno al momento delle osservazioni.

Quest’ultima è appunto la soluzione preferita dal sindaco e dall’assessore all’Urbanistica: la «mediazione» trovata tra la necessità di ridurre al minimo ritardi e non bloccare la città, l’esigenza di tutelarsi dai possibili ricorsi e l’intenzione di garantire ai milanesi un Pgt migliore e più «partecipato» . Resta da capire quali saranno le modifiche sostanziali al piano. L’idea è di mettere una serie di paletti a tutela del territorio, ma non è ancora del tutto chiaro quanti e quali saranno. Gli uffici comunali stanno studiando cosa è possibile rivedere nel rispetto dei tempi dei vincoli già fissati dalla precedente giunta. Lucia De Cesaris è abbottonatissima. Unico messaggio che filtra: ogni decisione sarà collegiale.

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