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Il testo è sul tavolo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Lo ha messo a punto una commissione presieduta dal presidente del Tar del Lazio, Pasquale de Lise, e non mancherà di far discutere.

Doveva essere un semplice decreto legislativo (previsto da una legge delega dello scorso aprile) per recepire, entro il 31 gennaio prossimo, due direttive comunitarie, che hanno l’obiettivo di introdurre maggiore concorrenza nei lavori pubblici. E invece, con quel pretesto, gli esperti del governo hanno scritto un vero codice degli appalti che ridefinisce da cima a fondo l’intera disciplina del settore. Un coacervo di 278 articoli che non accoglie certamente le ripetute sollecitazioni del presidente della Repubblica Ciampi perché si evitino le normative troppo estese e incomprensibili.

Ma che, soprattutto, potrebbe assestare, se venisse ratificato così com’è, un colpo forse definitivo alla famosa legge sui lavori pubblici che porta il nome dell’ex ministro Francesco Merloni. E per giunta proprio sul finire della legislatura.

Non è un mistero, del resto, che il governo di Silvio Berlusconi, e in particolare il ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, abbiano sempre considerato da superare quelle norme, varate nel 1994 dopo l’emergenza di Tangentopoli. Ma il Parlamento aveva esplicitamente stabilito che nessuna modifica di quel provvedimento sarebbe stata possibile con delega governativa.

Nonostante questo, il nuovo decreto legislativo interviene in profondità proprio sui paletti che la Merloni aveva piantato. Per prima cosa equipara sostanzialmente la trattativa privata alle altre modalità di appalto pubblico. Inoltre rende facoltativa la scelta fra il metodo del cosiddetto “massimo ribasso” e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. E amplia il campo di applicazione delle offerte “anomale”. Sarà quindi prerogativa esclusiva della “stazione appaltante” il ricorso alla licitazione privata e la scelta delle imprese da invitare.

Ma c’è dell’altro. Tutta la procedura delle gare viene di fatto riscritta. È previsto il ricorso alle società miste fra soggetti pubblici e privati come strumento di carattere generale e non, com’è ora, in via eccezionale rispetto all’appalto pubblico o alla concessione. Il decreto legislativo interviene quindi anche sulla materia delle progettazioni, delle concessioni e del contenzioso. Senza contare una nuova disciplina per la valutazione d’impatto ambientale delle grandi opere. Il tutto, se verrà approvato, da lasciare in eredità al futuro governo. Magari con un bel carico di rogne alla Corte costituzionale.

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