TITOLO I - FINALITA', SOGGETTI, STRUMENTI DELLA PIANIFICAZIONE
Art. 1 - Finalità
Art. 2 - Soggetti
Art. 3 - Strumenti e livelli della pianificazione territoriale
Art. 4 - Ambiti di competenza degli strumenti
TITOLO II - LA PIANIFICAZIONE REGIONALE
Art. 5 - Direttive e vincoli regionali, schemi di assetto territoriale
Art. 6 - Servizi per la pianificazione regionale
Art. 7 - Direttiva per i centri storici
Art. 8 - Direttiva per le zone agricole
Art. 9 - Direttiva per le aree urbane
Art. 10 - Piani territoriali paesistici: contenuti
Art. 10 bis - Piano paesaggistico regionale: tutela delle zone di rilevante interesse paesistico-ambientale
Art. 11 - Piano Paesaggistico Regionale - Procedure
Art. 12 - Norme di salvaguardia
Art. 13 - Tutela delle fasce costiere. Norme di salvaguardia e di utilizzazione
Art. 14 - Procedimenti cautelari
Art. 15 - Esecuzione delle ordinanze di demolizione
TITOLO III - LA PIANIFICAZIONE PROVINCIALE
Art. 16 - Pianificazione provinciale
Art. 17 - Procedura di approvazione del piano urbanistico provinciale
Art. 18 - Piano Urbanistico della Comunità Montana
TITOLO IV - LA PIANIFICAZIONE COMUNALE
Art. 19 - Contenuti del piano urbanistico comunale
Art. 20 - Formazione, adozione ed approvazione del piano urbanistico comunale e intercomunale
Art. 21 - Strumenti di attuazione del piano urbanistico comunale
Art. 22 - Strumenti urbanistici attuativi - Norme particolari
Art. 23 - Programma pluriennale di attuazione
Art. 24 - Contenuto e approvazione del programma pluriennale di attuazione
Art. 25 - Concessione edilizia
Art. 26 - Esproprio delle aree
Art. 27 - Comparto edificatorio
Art. 28 - Accordo di programma
Art. 28 bis - Accordi di programma di particolare interesse economico e sociale
Art. 29 - Condotta urbanistica
TITOLO V - ORGANI DI CONTROLLO E CONSULTIVI
Art. 30 - Organi di controllo. Modifica all'articolo 23 della legge regionale 23 ottobre 1978 n. 62
Art. 31 - Organi consultivi
Art. 32 - CTRU - Composizione e funzionamento
TITOLO VI – TUTELA DEL PAESAGGIO E DEI BENI AMBIENTALI
Art. 33 - Commissioni provinciali per la tutela del paesaggio
Art. 34 – Autorizzazioni
TITOLO VII - NORME REGIONALI DI ATTUAZIONE DI DISPOSIZIONI STATALI
Art. 35 - Contributo per la realizzazione delle opere di urbanizzazione
Art. 36 - Adempimenti dell'Amministrazione comunale
TITOLO VIII - DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Art. 37 - Sezioni specializzate per il controllo degli atti in materia urbanistica
Art. 38 - Strumenti urbanistici
Art. 39 - Abrogazione di leggi regionali
Art. 40 - Modifica della legge regionale 11.10.1985, n. 23
Art. 41 - Contributi per la predisposizione degli strumenti urbanistici
Art. 42 - Potenziamento degli uffici periferici dell'Assessorato regionale competente in materia urbanistica
Art. 43 - Norma finanziaria
Art. 44 - Entrata in vigore
Sono vigenti altri due provvedimenti di rilievo. Il primo è la cosiddetta "Legge Floris" (D.A. n. 2266/U/1983, Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei comuni della Sardegna ), cui si addebita la responsabilità di aver introdotto nelle "zone territoriali omogenee" le "zone F", utilizzate per riempire le coste di previsioni di amplissime lottizzazioni turistiche. Il secondo riguarda la normativa delle zone agricole (DPGR 3 agosto 1994 ex art. 8 LR 45/89, n. 228, Direttive per le zone agricole ).
In attuazione del famoso "Decreto salvacoste", e della successiva conversione in legge, si sta provvedendo alla correzione degli effetti delle norme sopra citate mediante la formazione del Piano paesaggistico regionale. E' anche avviata la redazione di una nuova legge urbanistica regionale.
CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1 – Finalità
Art. 2 – La pianificazione territoriale paesistico–ambientale
CAPO II - PIANI TERRITORIALI PAESISTICO-AMBIENTALI DI AREA VASTA
Art. 3 – Oggetto
Art. 4 – Contenuti
Art. 5 – Modalità della tutela e della valorizzazione
Art. 6
CAPO III - FORMAZIONE, APPROVAZIONE ED EFFICACIA DEI PIANI PAESISTICO-AMBIENTALI DI AREA VASTA
Art. 7 – Procedimento di formazione ed approvazione
Art. 8 – Efficacia
CAPO IV - ATTUAZIONE
Art. 9 – Attuazione
Art. 10 – Studi di compatibilità
Art. 11 – Piani paesistici esecutivi di ambito
Art. 12 – Norme transitorie
Art. 13 - Norma finanziaria
Art. 14
TITOLO I - NORME GENERALI
Art. 1 - Obiettivi e finalità della legge
Art. 2 - Soggetti e livelli di pianificazione
TITOLO II - NORME SULLA PIANIFICAZIONE
CAPO I - PIANIFICAZIONE REGIONALE E SOVRACOMUNALE
Art. 3 - Quadro di Riferimento Regionale (Q.R.R.). Contenuti
Art. 4 - Quadro di Riferimento Regionale. Procedimento formativo
Art. 5 - Quadro di Riferimento Regionale. Adeguamenti
Art. 6 - Piani di Settore e Progetti Speciali Territoriali
Art. 6 bis - Procedimento di approvazione dei piani di settore e dei progetti speciali territoriali
Art. 7 - Piano Territoriale
Art. 8 - Piano Territoriale. Procedimento formativo
Art. 8 bis - Disciplina dell'accordo di programma
Art. 8 ter - Contenuti dell'accordo di programma
CAPO II - PIANIFICAZIONE COMUNALE
SEZIONE I - Pianificazione generale
Art. 9 - Piano Regolatore Generale (P.R.G.). Contenuti
Art. 10 - Piano Regolatore Generale. Procedimento di adozione
Art. 11 - Piano Regolatore Generale. Procedimento di approvazione.
Art. 12 - Piano Regolatore Esecutivo. Principi e contenuti
Art. 13 - Piano Regolatore Esecutivo. Procedimento
Art. 14 - Piano Regolatore Esecutivo. Procedimento di approvazione
Art. 15 - Efficacia del P.R.G. e del P.R.E. in attesa di approvazione
Art. 16 - Regolamento Edilizio
Art. 17 - Norme Tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici generali
SEZIONE II - Piani attuativi
Art. 18 - Piani Attuativi di iniziativa pubblica
Art. 19 - Piani particolareggiati. Contenuti
Art. 20 - Procedimento di formazione dei piani particolareggiati di iniziativa pubblica
Art. 21 - Procedimento e limiti di contenuto dei piani attuativi in variante ai piani regolatori generali
Art. 22 - Disciplina della lottizzazione
Art. 23 - Piani di lottizzazione
Art. 24 - Piani delle zone da destinare all'Edilizia di tipo Economico e Popolare
Art. 25 - Piani delle Aree da destinare ad Attività Produttive
Art. 26 - Comparto
Art. 27 - Piano di Recupero del Patrimonio Edilizio
Art. 28 - Zone di Recupero del Patrimonio Urbanistico ed Edilizio esistente. Categorie di degrado
Art. 29 - Elaborati del Piano di Recupero
Art. 30 - Interventi sul patrimonio edilizio ed urbanistico esistente
Art. 30 bis - Programma integrato d'intervento
Art. 30 ter - Programma di recupero urbano
TITOLO III - STRUMENTI URBANISTICI. PRINCIPI IN MATERIA DI FORMAZIONE DEGLI STRUMENTI URBANISTICI
CAPO I - NORME ATTINENTI IL PROCEDIMENTO, LA FORMAZIONE E LA REGOLARITÀ DEGLI ATTI
Art. 31 - Formazione automatica degli atti
Art. 32 - Decorrenza dei termini
Art. 33 - Variazione degli strumenti
Art. 34 - Documentazione e copie
Art. 35 - Norme sulla trasparenza amministrativa
CAPO II - NORME PER LA PROGETTAZIONE
Art. 36 - Disciplinare-tipo di progettazione
TITOLO IV - DISCIPLINA ORGANIZZATIVA E FUNZIONALE DEGLI ORGANISMI TECNICO-CONSULTIVI
CAPO I - CONFORMAZIONE DELLE STRUTTURE
Art. 37 - Comitato Regionale Tecnico Amministrativo
Art. 38 - Comitato Regionale Tecnico Amministrativo. Composizione
Art. 39 - Comitato per il Comitato per il Territorio e l'Ambiente. Compiti e attribuzioni
Art. 40 - Sezione Pianificazione
Art. 41 - Sezione legislativa e Vigilanza
Art. 42 - Sezioni Urbanistiche Provinciali
Art. 43 - Segreteria degli Organismi Consultivi
Art. 44 - Designazione degli esperti e attribuzioni del Presidente del CRTA
Art. 45 - Partecipazione alle sedute a titolo consultivo
Art. 46 - Servizio Urbanistico Provinciale
Art. 47 - Incompatibilità, Astensione e Decadenza
CAPO II - DISCIPLINA FUNZIONALE DEGLI ORGANISMI CONSULTIVI
Art. 48 - Formazione della volontà collegiale
Art. 49 - Calendario e articolazione dei lavori
Art. 50 - Commissione Istruttoria
Art. 51 - Istruttoria
Art. 52 - Ordine del giorno delle sedute
Art. 53 - Verbalizzazione delle sedute
Art. 54 - Parere, efficacia e sospensione dei termini
Art. 55 - Pubblicazione dell'attività degli organismi consultivi
CAPO III - DISCIPLINA DELLA ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE STRUTTURE AMMINISTRATIVE REGIONALI E PROVINCIALI
Art. 56 - Servizi regionali e provinciali in materia di urbanistica ed uso del suolo
TITOLO V - MISURE DI SALVAGUARDIA
Art. 57 - Salvaguardia nei confronti di domande ed istanze
Art. 58 - Salvaguardia nel confronti di provvedimenti rilasciati
Art. 59 - Lavori in contrasto con successive prescrizioni urbanistiche
TITOLO VI - NORME REGOLATRICI DELL'ATTIVITÀ EDILIZIA
CAPO I - CONCESSIONE ED AUTORIZZAZIONE
Art. 60 - Concessione edilizia
Art. 61 - Mappa degli asservimenti di aree
Art. 62 - Controllo partecipativo
Art. 63 - Intervento sostitutivo per mancato rilascio di concessione
Art. 64 - Deroghe degli strumenti urbanistici generali
CAPO II - PROGRAMMA PLURIENNALE DI ATTUAZIONE (P.P.A.)
Art. 65 - Dimensionamento e contenuti
Art. 66 - Formazione ed approvazione
Art. 67 - Effetti
TITOLO VII - TUTELA E TRASFORMAZIONE DEI SUOLI AGRICOLI
Art. 68 - Principi generali ed ambito di applicazione
Art. 69 - Contenuto dei piani territoriali e degli strumenti urbanistici
Art. 70 - Utilizzazione edificatoria dei suoli agricoli ai fini residenziali
Art. 71 - Manufatti connessi alla conduzione del fondo
Art. 72 - Impianti produttivi nei suoli agricoli
Art. 73 - Agriturismo
Art. 74 - Utilizzazione edificatoria dei suoli agricoli in assenza di strumenti urbanistici comunali
TITOLO VIII - ATTRIBUZIONI DI COMPETENZA A PROVINCE E COMUNI
Art. 75 - Funzioni di natura urbanistica esercitate dalle Province
Art. 76 - Delega di funzioni di natura urbanistica ed edilizia ai Comuni
TITOLO IX - NORME TRANSITORIE
CAPO I - NORME PER LA TUTELA E LA TRASFORMAZIONE DELL'AMBIENTE
Art. 77 - Principi generali e norme di rinvio
Art. 78 - Centri Storici
Art. 79 - Tutela delle riserve boschive
Art. 80 - Tutela delle coste
Art. 81 - Tutela dei parchi, delle riserve e della flora
Art. 82 - Tutela dell'ambiente insediato
Art. 83 - Attività estrattive e di escavazione
CAPO II - NORME PER LA TUTELA, CONSERVAZIONE, TRASFORMAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
Art. 84 - Principi generali
Art. 85 - Funzionamento degli Organismi Consultivi
Art. 86 - Prima formazione del Q.R.R.
Art. 87 - Pianificazione di settore
Art. 88 - Prima formazione del P.T.
Art. 89 - Disciplina urbanistica nelle zone prive di strumenti urbanistici generali
Art. 90 - Pianificazione attuativa
Art. 91 - Criteri per la pianificazione comunale
Art. 92 - Norme transitorie sull’approvazione degli strumenti urbanistici giacenti presso la Regione
Art. 93 Prima fase di attivazione delle Sezioni Urbanistiche Provinciali
Art. 94 - Corredo cartografico degli strumenti urbanistici
Art. 95 - Norma finanziarla
Art. 96 - Finanziamenti di opere pubbliche
Art. 97 - Norma finale
Legambiente Sicilia, con l’adesione del coordinamento dei Laboratori Territoriali aderenti alla Rete Nazionale del Nuovo Municipio, denuncia i gravi pericoli contenuti nel disegno di legge di riforma dell’ordinamento urbanistico regionale promosso dall’assessore Francesco Cascio ed in discussione presso il comitato delle professioni tecniche.
Il provvedimento, formalmente motivato dalla volontà di snellire le procedure (Legge Obiettivo, indebolimento della VIA, ecc.), cela in realtà lo smantellamento della logica e degli impianti normativi di gestione, governo e regolazione della attività urbanistica sul territorio siciliano.
Questo presunto riordino si configura come il portato della peggiore deregulation ed è tale da cancellare qualsiasi razionalità normativa per intere aree tematiche di grande rilevanza per lo spazio ambientale regionale.
“Nella gran parte delle altre regioni italiane - afferma Mimmo Fontana, presidente di Legambiente Sicilia - si tenta con la dovuta serietà di riformare il concetto di Piano Regolatore onnicomprensivo andando nella direzione di una pianificazione strutturale che ridisegni il modello di assetto locale in funzione della domanda di riqualificazione del territorio e di sostenibilità ambientale facendo poi seguire l’indispensabile pianificazione operativa. In Sicilia, invece, si pretende di cancellare tout court il concetto di Piano regolatore quale elemento di razionalizzazione e di gestione del territorio per sostituirlo con un elenco di attività dipendenti dalla maggiore o minore disponibilità economica e finanziaria degli enti e, in ogni caso, legato non alle esigenze del territorio, dell’ambiente e del paesaggio, ma alle intenzioni ed agli interessi trasformativi presenti”.
A dimostrazione di ciò, nella proposta di Legge balza agli occhi l’assoluta mancanza di una strumentazione principale di governo qual è il Piano regolatore il quale, al livello comunale, viene sostituito dal regolamento urbanistico - concepito unicamente come conseguenza operativa e normativa di scelte di natura economica, quando non speculativa - mentre, ai livelli più alti, la pianificazione è ridotta sostanzialmente a quadri di riferimento regionale e provinciale senza alcuna forza né competenza di gestione e regolazione sostanziale.
"Altrettanto grave è, inoltre - come sottolinea Salvatore Granata, componente della segreteria di Legambiente Sicilia - la cancellazione di fondamentali organi di controllo regionale, quale il C.R.U., cancellazione emblematica della volontà di smantellamento degli organigrammi che garantivano un minimo di verifica sul piano tecnico scientifica, ma soprattutto un livello di controllo non direttamente condizionato dagli interessi particolaristici locali". La proposta di Legge, peraltro, non è solo il portato della volontà deregolatrice ma contiene anche gravi errori di natura giuridico-programmatica che, ove ribaditi, troverebbero sicuramente le doverose bocciature di legittimità da parte degli organi di controllo esistenti (a meno che con provvedimenti analoghi non si pretenda di cancellarli).
Per i motivi sovresposti, Legambiente Sicilia richiederà di incontrarsi con urgenza con l’assessore regionale al Territorio e Ambiente, Francesco Cascio, ed invita tutti gli organismi, le associazioni culturali e tecnico professionali a mobilitarsi contro i pericoli contenuti in tale provvedimento. Dal canto suo, Legambiente preannuncia una campagna su tutto il territorio siciliano per l’allargamento della denuncia e della mobilitazione.
Sull'argomento si registra un prezioso intervento dell'urbanista Alberto Ziparo, docente dell'Università di Firenze ed animatore dei Laboratori di Ricerche Territoriali avviati in Sicilia in collaborazione con Legambiente.
Allegato in formato pdf: Intervento di Alberto Ziparo
Link a DDL Sicilia Norme per il governo del territorio, contenente la relazione e il testo dell'articolato in formato .doc, nella versione del 12 giugno 2005
Progetto di legge
Norme per il governo del territorio
RELAZIONE
1. Considerazioni generali
Il progetto di una nuova legge urbanistica, descritto nelle pagine che seguono, offre una risposta alle diverse istanze che, ormai da anni, amministrazioni ed amministrati rivolgono al governo del territorio e che riguardano la necessità che i piani urbanistici, anziché costituire ostacoli per gli uni e per gli altri, giungano a perseguire i loro obiettivi di fondo, che riguardano la bellezza delle città e dei territori, l’efficienza dei sistemi insediativi e delle reti che li servono, l’equità o la giustizia distributiva di beni e servizi di cui i cittadini hanno diritto.
La semplicità di questi concetti deve trovare riscontro nella semplicità di una legislazione che sappia cogliere i predetti obiettivi senza sofisticate, inutili o complesse formulazioni. Questo è il compito che il governo regionale si è dato nel momento in cui ha avviato lo studio di una nuova legge sul governo del territorio e che ha portato a compimento con atteggiamento pragmatico di corretta applicazione alla realtà storico - morfologica, culturale, economica e sociale della Sicilia. Una legge che deve assumere, contemporaneamente, due diverse e – apparentemente – opposte metodologie:
- la prima è conseguente alla legge-quadro che si sta portando avanti, pur con notevole lentezza, a livello nazionale. La nuova legge-quadro abrogherà l’insieme delle leggi urbanistiche nazionali, i cui contenuti “ necessari” dovranno essere recuperati dalle leggi regionali. Sotto questo profilo, pertanto, la legge regionale assume connotato
complesso.
- la seconda riguarda invece la necessità di eliminare, nella legislazione regionale, una serie di norme che inutilmente appesantiscono il quadro normativo, facendolo diventare un insieme di costrizioni ed obblighi che sottendono una concezione della pianificazione di tipo aprioristico, che lascia poco spazio al progetto del piano, alla sua ideazione e immaginazione. In sostanza, da questo secondo punto emerge la opportunità di una legge con connotato semplice.
Semplice e complesso possono tuttavia essere assunti in un unico testo, se per il primo si tratta soprattutto di ridurre all’essenziale e per il secondo di non trascurare tutti i contenuti necessari del sistema della pianificazione. Senza dimenticare il tema del linguaggio, per il quale è essenziale massima chiarezza e semplicità.
Gli obiettivi ed i principi che la nuova legge regionale deve perseguire, nell’attuale situazione, sono:
- coprire il vuoto legislativo che potrà nascere dalla abrogazione delle leggi urbanistiche nazionali (standard, tipologie di piani, salvaguardie, ecc.), conseguente all’approvazione della legge quadro;
- riconsiderare il rapporto fra la Regione e l’ente locale. La Regione ha fino ad ora costituito per l’ente locale un “revisore” degli strumenti pianificatori in termini di giudice severo ed intransigente, soffermandosi spesso su questioni di dettaglio che, occorre riconoscere, riguardano scelte proprie dell’ente locale. Così facendo, peraltro, non si sono conseguiti risultati apprezzabili. Forse si è ottenuta una maggior salvaguardia territoriale, ma tempo è venuto che tale salvaguardia possa considerarsi garantita da “altri” strumenti di livello superiore di competenza, ma pur essi concertati con l’ente locale, per ottenere maggiore efficacia di risultati. Occorre dunque delegare all’Ente Locale, come già avviene in alcune legislazioni regionali, il potere di approvazione degli strumenti urbanistici.
- evitare lo spreco edilizio ed ambientale. La situazione urbanistica regionale pone in campo un grave problema di spreco di risorse, sia ambientali, sia edilizie. Non vi può essere dubbio sul fatto che obiettivo di una nuova legge urbanistica sia evitare tale spreco, nella consapevolezza tuttavia che la legge ha poteri limitati in proposito, mentre sono le scelte politiche, che riguardano i diversi campi culturali, sociali ed economici, che possono limitarlo. Si tratta dunque di un tema la cui soluzione riguarda innanzi tutto una scelta di politica urbanistica che sia condivisa, ma anche un metodo di costruzione del piano che renda prioritario il recupero edilizio.
Il progetto di legge predisposto stabilisce i principi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell’ordinamento comunitario e nazionale e della potestà legislativa della Regione Siciliana. La legge si prefigge obiettivi di governo, gestione, tutela, disciplina dell’uso e delle trasformazioni del territorio, anche nelle sue implicazioni di natura paesistica, si ispira ai principi di sussidiarietà (orizzontale e verticale), sostenibilità ambientale, sociale ed economica, partecipazione alle scelte, flessibilità del piano, semplificazione normativa e procedurale, copianificazione fra piani di settore, concertazione fra attori ed enti territoriali e perequazione.
La proposta tiene conto di alcuni mutamenti intervenuti nel quadro sociale e politico nell’ultimo decennio, considerando in particolare:
a. la necessità di una evoluzione dei processi decisionali verso contenuti flessibili, operativi e di sviluppo sostenibile in un quadro di certezze temporali;
b. il modificarsi del ruolo dei soggetti coinvolti nei processi di trasformazione, soprattutto in relazione ai temi della gestione urbanistica;
c. un mutato ruolo degli attori sociali e delle rappresentanze (imprenditori, sindacati) che sempre più spesso assumono un ruolo propositivo nelle politiche territoriali;
d. una sempre più generalizzata domanda di qualità ambientale e sviluppo sostenibile, anche nella accezione di sostenibilità sociale e politica (partecipazione e condivisione delle scelte).
La “copianificazione” costituisce il presupposto fondamentale per il raccordo con le pianificazioni “separate” (Enti parco, Autorità di bacino, Consorzi ASI, Sovrintendenze e altri soggetti oggi titolari di poteri di pianificazione) che confluiscono in un unico processo di pianificazione, con l’obiettivo di coordinare, attraverso sedi di codecisione e di intese, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione.
Il principio di integrazione dà valenza innovativa al progetto di nuova legge regionale: non si intende in alcun modo affermare che ogni pianificazione di settore debba essere abolita, al contrario gli studi settoriali dovrebbero essere sempre più approfonditi ed articolati: tuttavia essi, nell’assumere la configurazione di piano, debbono convergere (e quindi trovare la loro compatibilità) in un unico piano; quale sia il piano: regionale, provinciale, comunale.
Con ciò, si assicurerà quel livello di coerenza e, alla lunga, di semplificazione amministrativa da tutti auspicato.
Vi è, inoltre, una condizione essenziale che occorre rispettare, e che, a sua volta, ha la capacità di conferire una carica estremamente innovativa alla pianificazione urbanistica: la condizione è che il piano, anziché essere, come è oggi, un documento “chiuso” con il procedimento approvativo, sia una sorta di “ scatola aperta” da cui “togliere” o “immettere” contenuti (come i piani di settore, ad esempio) con procedure semplici anche se controllate.
Il principio del piano “scorrevole” riguarda i tempi del piano, che è uno dei temi più critici dell’attuale sistema di pianificazione. Il piano deve contenere programmi, tempi e fasi di attuazione e va aggiornato periodicamente. La successione delle fasi del piano è inflessibile: non si può procedere ad attuare la fase “due” se la fase precedente non è esaurita. La previsione di opere pubbliche nello strumento urbanistico costituisce criterio obbligatorio per la formazione del programma triennale delle Opere Pubbliche e criterio prioritario prescrittivo nel caso di piano attuativo. Questo legame fra le fonti di finanziamento certe e la fase certa di implementazione del piano è da considerarsi essenziale.
Dal principio della sussidiarietà scaturiscono le maggiori innovazioni apportate al quadro legislativo vigente e, per certi versi, attribuiscono al progetto di legge un profilo di originalità anche rispetto alle più innovative leggi regionali; queste riguardano la possibilità di sostituirsi al soggetto titolare di una funzione di pianificazione da parte del soggetto che opera al livello inferiore, nel caso in cui il primo non eserciti le proprie funzioni nei tempi previsti; l’altra riguarda la possibilità offerta ai Comuni di dotarsi di uno strumento di pianificazione molto semplificato nel caso in cui, attraverso il Piano provinciale, si possano considerare già risolte le questioni relativa alla tutela paesaggistica ed ambientale ed alla strutturazione funzionale complessiva del territorio.
2. Il progetto di riforma urbanistica
Il progetto di legge è articolato in 64 articoli, organizzati in dodici Titoli, che identificano i diversi argomenti trattati. In una prima parte (Titoli I e II) vengono enunciati gli obiettivi, le finalità ed i principi della legge; vengono quindi definite (Titolo III) le strutture tecniche, la cui corretta organizzazione, in un rapporto sinergico ai diversi livelli regionale, provinciale e comunale, costituisce condizione essenziale per il raggiungimento delle finalità della legge e per garantire una piena efficacia della azione amministrativa di governo del territorio.
Il corpo centrale del provvedimento ( Titoli IV, V, VI; VII ed VIII) è dedicato alla definizione dei contenuti tecnici e normativi dei diversi strumenti di pianificazione dei quali dovranno avvalersi la Regione, le Provincie ed i Comuni ed alla precisazione dei relativi procedimenti formativi.
Nei Titoli IX e X, con specifico riferimento agli strumenti urbanistici comunali, è affrontata la problematica delle dotazioni territoriali (standard urbanistici) e sono descritte le modalità di gestione del piano; infine gli ultimi due titoli contengono norme atte a regolare la fase di transizione dalla attuale sistema normativo a quello progettato e norme abrogative e finali.
Il progetto di legge è aperto da una chiara definizione degli obiettivi che la nuova legge deve porsi (articoli 1 e 2), riferibili alla promozione di uno sviluppo del territorio ordinato e sostenibile, in una ottica di valorizzazione e miglioramento delle qualità ambientali, architettoniche, culturali e sociali della città e del territorio e della qualità della vita dei cittadini.
Nel Titolo II sono dapprima (articoli da 3 a 10) enunciati i principi generali sui quali deve fondarsi la attività di gestione urbanistica del territorio e successivamente (articoli da 11 a 13) sono definiti i fondamentali strumenti procedurali per attuarli.
Secondo tali disposizioni, il governo del territorio è attività amministrativa che deve assumere i seguenti principi guida:
1) sussidiarietà: principio che regge il rapporto fra gli enti di governo del territorio; è di tipo verticale per quanto concerne la delega delle competenze delle attività amministrative agli Enti locali più vicini ai cittadini, e di tipo orizzontale per quanto riguarda la valorizzazione ed ampliamento degli spazi di libertà e di responsabilità dei cittadini rispetto al ruolo delle istituzioni.
In sostanza si vuole affermare che il sistema piramidale regione/provincia/comune deve essere sostituito interamente dal criterio di sussidiarietà e che, allo stesso modo, è rapporto fra gli enti decentrati dello Stato e della Regione, e gli altri enti (Provincia, Comune) devono essere improntati dallo stesso criterio.
2) sostenibilità: di natura ambientale, sociale ed economica; ciò significa che il principio di sostenibilità in ogni atto pianificatorio deve essere riconosciuto nei contenuti. In particolare deve essere assicurato il recupero del patrimonio edilizio esistente e dimostrata la minimizzazione del consumo di suolo, oltre che la piena salvaguardia paesistico/ambientale. La sostenibilità economica del piano deve essere assicurata attraverso un preciso raccordo del piano con il programma triennale delle opere
pubbliche.
3) partecipazione: per ogni livello di pianificazione si deve garantire una procedura che consenta a tutti i cittadini, singoli o facenti parte di associazioni di interesse collettivo di partecipare al processo decisionale di piano con propri contributi. La procedura partecipativa deve essere un preciso contenuto dello strumento stesso.
4) concertazione: regola i rapporti fra gli enti territoriali e l’ente di pianificazione e i rapporti fra i diversi soggetti portatori di interessi propri e l’ente di pianificazione, dando priorità all’interesse collettivo.
5) semplificazione: riguarda sia la necessità di contenere i tempi del piano, sia la necessità di uno snellimento della procedura, nonché la semplificazione del linguaggio normativo.
6) flessibilità del piano: riguarda metodo e contenuto degli strumenti di pianificazione. Un piano è flessibile quando non si rende necessaria la procedura di variante in numerosi casi di adattamento, nel tempo e nello spazio, delle previsioni di piano. In particolare, se il piano, nella distribuzione delle destinazioni d’uso sul territorio, stabilisce un’ampia gamma di compatibilità di destinazioni d’uso, si ottiene esattamente un livello adeguato di flessibilità; compatibilità significa indifferenza di scelta all’interno di una gamma prefissata, che può essere anche regolata da percentuali di presenza di una specifica destinazione massima e minima.
7) perequazione: principio in ordine al quale gli interessi dei diversi soggetti coinvolti nel governo del territorio sono posti in condizione di equità. Uno dei modi per ottenere tale risultato è certamente quello del comparto edificatorio in cui i soggetti proprietari risultano indifferenti alle destinazioni pubbliche e/o private del suolo, godendo degli stessi diritti e doveri. Perequazione è anche equidistribuzione delle possibilità di trasformazione urbanistica nel territorio secondo “pesi” e densità equitative.
Per attuare tali principi gli strumenti procedurali fondamentali sono le conferenze e gli accordi di pianificazione e gli accordi di programma. La conferenza di pianificazione in particolare (articolo 11) diventa la procedura ordinaria per la approvazione di tutti gli strumenti urbanistici, nel caso in cui occorra acquisire il consenso di diverse amministrazioni pubbliche.
Soggetti fondamentali per la corretta attuazione dei principi enunciati sono le strutture tecniche per il governo del territorio di cui dovranno avvalersi Regione, Provincie e Comuni. La loro costituzione ed il loro funzionamento sono dettagliatamente normati nel Titolo III (articoli da 3 a 10).
Per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione la proposta di legge prevede tre distinti livelli:
Nel Titolo IV (articoli da 22 a 27) è trattato il tema della Pianificazione Regionale, che si avvale dello strumento del Piano Territoriale Regionale (PTR).
Il Piano Territoriale Regionale (articoli 22-25) si configura essenzialmente come strumento di carattere strategico che definisce le finalità generali, gli indirizzi e le scelte in materia di governo del territorio a scala regionale; attraverso tale strumento la Regione si lascia alle spalle il ruolo di mero controllore delle scelte di pianificazione dei comuni, per divenire soggetto attivo della pianificazione. Coerentemente con quanto previsto dal Documento di Programmazione Economica e Finanziaria Regionale, il P.T.R. indica gli elementi essenziali del proprio assetto territoriale e definisce altresì, in coerenza con quest’ultimo, i criteri e gli indirizzi per la redazione degli atti di programmazione territoriale di Province e Comuni.
Il PTR è redatto dall’Ufficio della pianificazione territoriale regionale, istituito presso il Dipartimento regionale dell’urbanistica dell’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente (ARTA), che ha il compito di formare, gestire e aggiornare il piano, operando in connessione con il SITR, nonché con gli altri rami dell’amministrazione regionale interessati. Il Piano è formato attraverso un confronto continuo con gli enti locali, con gli altri rami della Amministrazione regionale, con gli altri Enti regionali, con le associazioni sociali, culturali, ambientaliste, professionali e sindacali e con i soggetti istituzionali responsabili/rappresentanti di iniziative di programmazione negoziata e di programmi complessi operanti nel territorio regionale. Il Piano definitivo è adottato dalla Giunta regionale e approvato dalla stessa Giunta previo parere delle competenti commissioni legislative dell’ARS.
Nel contesto della disciplina del Piano Territoriale Regionale, va sottolineata l’introduzione di un nuovo strumento: il Piano Territoriale Regionale d’Area (articoli 26-27)pensato in riferimento ad aree vaste che siano complessivamente interessate da opere, interventi o utilizzazioni aventi rilevanza regionale. Attraverso i PTRA possono approfondirsi, a scala di dettaglio adeguata, gli obiettivi socio-economici, le opere infrastrutturali e gli interventi di ripristino ambientale, già delineati a livello strategico nel PTR, e possono dettarsi prescrizioni puntuali e coordinate riguardanti l’assetto del territorio interessato, anche con riferimento alle previsioni insediative, al regime vincolistico e alla disciplina attuativa degli interventi sul territorio stesso.
Per la risoluzione di particolari problematiche territoriali emergenti e per finalità di riqualificazione urbanistico-ambientale i PTRA possono essere redatti anche in assenza del PTR, specificando linee guida che potranno successivamente essere sviluppate attraverso la redazione di piani urbanistici attuativi riguardanti ambiti individuati, anche intercomunali.
L’introduzione di tale strumento consentirà, ad esempio, di affrontare in termini radicalmente nuovi i gravi problemi posti dalla diffusione di pratiche di edilizia abusiva in ambiti di particolare interesse paesaggistico, ambientale ed economico (aree costiere, aree naturali protette, centri storici), ovvero in ambiti con particolari connotazioni funzionali e sociali (aree periurbane), avviando processi di riqualificazione condivisi e sostenibili sotto il profilo ambientale ed economico.
Il Titolo V (articoli da 28 a 31) definisce lo strumento del Piano Territoriale Provinciale (PTP), attraverso il quale la Provincia regionale assume un ruolo, sin qui inedito, di protagonista della pianificazione territoriale ed urbanistica.
Il Piano Territoriale Provinciale (PTP) è strumento di carattere essenzialmente strutturale e di coordinamento della pianificazione comunale, che definisce - anche in termini di regolamentazione degli usi del suolo – gli indirizzi e gli orientamenti strategici del Piano Territoriale Regionale (PTR), nonché le scelte e le indicazioni funzionali alle azioni concrete di trasformazione e di governo del territorio a scala provinciale. In quanto strumento di carattere strutturale, il PTP persegue l’obiettivo della costruzione di un quadro conoscitivo completo delle risorse, dei vincoli e del patrimonio pubblico e demaniale, che costituisce un riferimento vincolante per la pianificazione comunale. Il PTP costituisce il sistema di verifica delle coerenze e di riferimento strategico tra gli altri strumenti di pianificazione territoriale, generale o di settore, e urbanistica, generale operativa o attuativa, e quelli di programmazione dello sviluppo economico e sociale provinciale.
Il PTP - in quanto strumento di coordinamento attuativo delle iniziative di tutela attiva del sistema delle risorse culturali e naturalistiche - assume efficacia di piano paesistico-ambientale ai sensi della D.Lgs. 22.01.2004 n. 41.
Per la localizzazione delle infrastrutture per la mobilità e di altre attrezzature di interesse sovracomunale il PTP ha efficacia prescrittiva e prevalente sugli strumenti urbanistici comunali.
Il PTP è redatto dall’Amministrazione della Provincia regionale competente, tramite l’Ufficio della pianificazione territoriale provinciale; il Piano, redatto sulla base di specifiche Direttive predisposte dalla Giunta provinciale, è adottato dalla stessa Giunta previo parere favorevole di una conferenza di pianificazione convocata dal Presidente della Provincia con la partecipazione dell’ARTA, la Soprintendenza BB.CC.AA. competente, l’Ufficio del Genio Civile, i Comuni e gli eventuali Enti di gestione di parchi, riserve e/o aree protette interessati, eventuali consorzi e unioni di Comuni o Provincie, nonché i soggetti portatori di interessi costituiti in materia ambientale.
Il Piano, dopo la pubblicazione, è approvato dal Consiglio provinciale con le eventuali proposte di modifica richieste dalle osservazioni/opposizioni e ritenute accoglibili.
Il PTP va aggiornato per le parti di vincolo sul regime proprietario dei suoli ogni cinque anni.
Nei Titoli VI – VII ed VIII (articoli da 32 a 41) è trattato il tema della Pianificazione comunale, che si avvale di un insieme diversificato di strumenti urbanistici.
Strumento principale della attività di pianificazione comunale è il Piano Urbanistico Comunale (PUC) (articoli da 32 a 35), strumento di carattere operativo che specifica, in termini di regolamentazione degli usi del suolo, le scelte e le indicazioni del Piano Territoriale Provinciale (PTP) e ne assicura l’attuazione.
I contenuti del Piano Urbanistico Comunale hanno carattere vincolante e producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli. Il Piano ha una validità di dieci anni, ed è sottoposto obbligatoriamente a revisioni ogni cinque anni in relazione alla decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione, e comunque quando se ne ravvisi la necessità.
Per la redazione del PUC l’Amministrazione comunale si avvale di un Ufficio del piano appositamente costituito, ma può consorziarsi con altri comuni al fine di procedere alle attività di pianificazione in forma coordinata.
Al fine di assicurare il rispetto dei tempi di formazione ed approvazione tutto il procedimento è guidato e monitorato da un Responsabile che ha il compito di assicurare al pubblico adeguata conoscenza delle varie fasi del procedimento e delle scelte adottate dall’Amministrazione, nonché di segnalare all’Amministrazione eventuali disfunzioni, impedimenti o ritardi nel processo di formazione del piano, di fornire i dati e le informazioni relativi alle fasi di svolgimento del procedimento stesso e di convocare la Conferenza di pianificazione. Il parere espresso dalla Conferenza di pianificazione, ratificato in uno specifico Accordo di programma, sostituisce ogni altro parere previsto da leggi statali e regionali.
Il Piano è adottato dal Consiglio comunale ed approvato dallo stesso Consiglio; con la delibera di approvazione il Consiglio decide sulle osservazioni presentate dai cittadini durante la fase di pubblicazione.
Una disposizione di notevole rilievo, e che potrà dare un contributo risolutivo ad una problematica che ha sinora ostacolato il processo di formazione dei piani urbanistici, è quella che consente ai consiglieri di partecipare alle sedute consiliari nelle quali si delibera l’adozione del piano, prescindendo dalla verifica di compatibilità di cui al vigente ordinamento amministrativo, nel caso in cui con la delibera di adozione non venga modificato in maniera sostanziale l’Accordo di pianificazione sottoscritto dalla Amministrazione.
Nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale il Comune può procedere alla formazione ed approvazione del PUC anche quando il PTP non sia ancora approvato; in questo caso però deve allegare al proprio strumento urbanistico un documento di piano strutturale (DPS) (articolo 35) che assume i contenuti del PTP riferiti all’ambito del territorio comunale interessato.
Le previsioni del documento di piano strutturale hanno validità a tempo indeterminato e devono essere recepite dalla Provincia in sede di formazione del piano territoriale provinciale.
Una tra le innovazioni più significative del progetto di riforma riguarda la possibilità offerta ai comuni di fare a meno del PUC e di dotarsi in alternativa di un semplice regolamento urbanistico ed edilizio (articolo 40). Tale possibilità, che comunque riguarda esclusivamente i comuni che dovranno essere specificatamente individuati nel PTR, scaturisce dal ruolo strutturante assegnato dalla stessa legge al PTP, che consente di considerare già risolte a livello provinciale le questioni relativa alla tutela paesaggistica ed ambientale ed alla strutturazione funzionale complessiva del territorio.
Per disciplinare, a livello di dettaglio, parti del territorio comunale nelle quali si debba procedere alla realizzazione di interventi disposti dal PUC e/o dal PTP e per le quali il PUC non assuma contenuti attuativi, i Comuni o i privati possono avvalersi dei Piani Urbanistici attuativi (PUA) (articoli 36 – 38).
I PUA, sia d'iniziativa pubblica che d’iniziativa privata, devono essere sempre economicamente fattibili ed avere attuazione certa. I PUA impegnano il soggetto promotore e decadono dopo un termine, non superiore a cinque anni dalla data di approvazione, prorogabile di altri cinque anni, stabilito nello stesso piano in relazione alla complessità degli interventi da realizzare ed alle risorse economiche da attivare
I contenuti dei PUA variano in relazione alle diverse caratteristiche del territorio interessato ed ai diversi obiettivi che si prefiggono di raggiungere. Devono comunque sempre contenere un piano finanziario nel quale siano precisati i costi dell’intervento e indicate le risorse economiche.
I PUA sono adottati e approvati dal Consiglio comunale con le procedure previste per l’approvazione del PUC.
Il Titolo IX affronta il tema degli standard urbanistici, in termini aggiornati rispetto al quadro normativo vigente (articoli da 42 a 46).
Lo standard è definito infatti, oltre che attraverso la tipologia e la quantità delle aree per le infrastrutture e i servizi pubblici e/o di interesse pubblico e/o di uso pubblico, anche attraverso le loro caratteristiche prestazionali, in termini di accessibilità, di piena fruibilità e sicurezza per tutti i cittadini di ogni età e condizione.
Al tradizionale standard, riferito ai servizi ed alle attrezzature, che viene definito di qualità urbana, si aggiunge poi lo standard di qualità ambientale, che attiene alla limitazione del consumo delle risorse non rinnovabili e alla prevenzione dagli inquinamenti; alla realizzazione di interventi di riequilibrio e di mitigazione degli impatti negativi determinati dall'attività umana; al potenziamento delle dotazioni ecologiche e ambientali.
Al fine di garantire tali standard gli strumenti urbanistici devono prevedere un sistema di dotazioni territoriali costituito da infrastrutture per l'urbanizzazione degli insediamenti; attrezzature, servizi e spazi collettivi, dotazioni ecologiche e ambientali.
Particolare rilievo ha la innovazione riguardante le dotazioni ecologiche e ambientali del territorio (articolo 46), che sono costituite dall'insieme degli spazi, delle opere e degli interventi che concorrono a migliorare la qualità dell'ambiente urbano, mitigandone gli impatti negativi. Le dotazioni sono finalizzate in particolare:
a) alla tutela e al risanamento dell'aria e dell'acqua e alla prevenzione dall’ inquinamento;
b) alla riduzione dell'inquinamento acustico ed elettromagnetico;
c) al mantenimento della permeabilità dei suoli, al riequilibrio ecologico dell'ambiente urbano e alla costituzione di reti ecologiche di connessione;
d) alla raccolta differenziata dei rifiuti.
Gli strumenti urbanistici comunali dovranno stabilire, per ciascun ambito del territorio comunale, il fabbisogno di dotazioni territoriali, tenendo conto delle eventuali carenze pregresse, presenti nel medesimo ambito o nelle parti del territorio comunale ad esso adiacenti, nel rispetto dei parametri quantitativi e prestazionali che saranno definiti in specifici atti di indirizzo e coordinamento regionali e sulla base delle indicazioni contenute nel PTP.
Il Titolo X (articoli da 47 a 53) è interamente dedicato alla attuazione del piano urbanistico comunale.
L’articolato recepisce sostanzialmente le disposizioni contenute nel progetto di legge quadro nazionale, che a sua volta raccoglie, coordinandoli in un unico quadro normativo, vari istituti per la attuazione dei piani urbanistici, alcuni dei quali di antica origine, come i comparti edificatori, altri di recente introduzione, quali le Società di Trasformazione Urbana, riconducendo la loro utilizzazione al comune obiettivo di assicurare il rispetto di esigenze unitarie nella realizzazione degli interventi, nonché un’equa ripartizione degli oneri e dei benefici tra i proprietari interessati.
Innovativa, anche rispetto al testo di legge nazionale, è la possibilità, offerta dall’articolo 49, di utilizzare la applicazione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) come strumento utile al fine di una corretta applicazione degli strumenti perequativi e compensativi e in generale per creare le condizioni ottimali per un’efficace gestione del piano.
Di particolare rilievo va considerata la disposizione, anch’essa innovativa, che consente di attuare un comparto edificatorio tramite un Progetto Norma, con la finalità di garantire un miglior risultato qualitativo del progetto architettonico complessivo (articolo 48). Il Progetto Norma disegna in scala di dettaglio l’intero comparto e contiene norme di natura indicativa e prescrittiva che riguardano gli elementi inflessibili del progetto del comparto, con riferimento alla ripartizione fra le aree ove si concentra l'edificazione e quelle da cedere al Comune per la realizzazione di pubblici servizi. All'intero comparto regolamentato con progetto norma (PN) è attribuito un indice di edificabilità riferito alla superficie lorda utile (SLU) che deriva dalle scelte perequative adottate nel piano. Altre norme di progetto potranno essere introdotte, purché finalizzate al miglioramento della qualità architettonica.
Per quanto concerne la regolamentazione della attività edilizia, l’articolo 53 impegna l’Amministrazione regionale ad emanare, entro centoventi giorni dell’entrata in vigore della legge urbanistica, norme di recepimento del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, raccordandole con quelle contenute nella proposta di legge.
Nel titolo XI (articoli da 54 a 56) sono elencate le Norme legislative da abrogare in quanto contrastanti o, comunque, incompatibili con la nuova legge. Tra le leggi abrogate, oltre quelle fondamentali regolanti la materia urbanistica, anche tutte quelle che determinano vincoli di varia natura nel territorio regionale, fatto salvo il regime transitorio più avanti definito.
Una particolare esplicitazione è dedicata alle Commissioni edilizie comunali, che vengono abolite, così come il Consiglio regionale dell’Urbanistica.
Infine l’ultimo Titolo detta le norme transitorie e finali (articoli da 57 a 64), alle quali è affidato il compito di regolamentare la delicata fase di passaggio dal vecchio al nuovo regime legislativo. In particolare i primi articoli definiscono le procedure da seguire per la conclusione dei procedimenti approvativi in corso alla data di approvazione della legge. Vengono poi definite (articolo 60) particolari misure di salvaguardia atte a regolamentare la fase di avvio dei procedimenti di formazione dei nuovi strumenti urbanistici, disponendo che, nelle more della approvazione dei Piani aventi valenza strutturale quali i PTP, i Documenti di piano strutturale allegati ai PUC, ovvero i PTRA nei casi previsti, rimangano in vigore i vincoli di inedificabilità e i limiti stabiliti ai sensi delle leggi in atto vigenti. Al fine di sollecitare la formazione dei nuovi piani strutturali è poi previsto un regime di inasprimento di alcuni vincoli e sono posti nuovi limiti alla attività edilizia nel caso in cui tali piani non vengano approvati entro due anni dall’entrata in vigore della legge. Tali vincoli decadranno con la approvazione del relativo piano strutturale.
Concludono il progetto di legge alcune disposizioni finali, tra le quali particolare significato assume quella (articolo 59) che assegna all’ARTA il compito di predisporre, di concerto con gli Assessorati ai BB.CC.AA. e P.I., all’Agricoltura e Foreste, al Turismo e Trasporti, al Commercio, Pesca e Cooperazione, all’Industria e ai Lavori Pubblici, un regolamento per la attuazione del coordinamento territoriale al fine di avviare, in maniera coordinata e condivisa, le procedure di formazione del Piano Territoriale regionale, nonché quella (articolo 62) che assegna allo stesso Assessorato al Territorio ed Ambiente il compito di emanare, entro un anno dalla entrata in vigore della legge, i relativi Regolamenti attuativi della nuova legge.
La patata bollente del riordino delle coste passerà in mano ai Comuni, che con propri piani particolareggiati decideranno autonomamente cosa fare delle costruzioni realizzate entro i 150 metri dalla battigia. Le coop edilizie in graduatoria non dovranno più aspettare decenni per costruire dopo il finanziamento da parte della Regione: se nel Comune oggetto della richiesta ci sarà una comprovata necessità di costruire nuovi alloggi, la concessione edilizia arriverà in tempo record. E anche l´interminabile balletto di competenze e approvazioni incrociate tra Comuni e Regione per l´approvazione dei piani regolatori sarà un ricordo: il Comitato regionale per l´Urbanistica andrà in pensione, e al suo posto Comuni, Province e Regione approveranno le norme urbanistiche con semplici conferenze di servizi. Sono le novità sostanziali della nuova legge urbanistica che ha predisposto Francesco Cascio, assessore regionale al Territorio, e che si trova ai primi posti dell´agenda legislativa dell´Ars, che dovrebbe vararla entro l´estate. Il comitato unitario delle professioni tecniche esaminerà la norma la prossima settimana, e avrà 15 giorni di tempo per esprimere le proprie controdeduzioni. Dopo di che, la legge andrà all´approvazione della giunta.
«È la prima legge urbanistica che si scrive in Sicilia dal 1978 - spiega l´assessore Cascio - e il primo obiettivo che intende raggiungere è quello di snellire le procedure, accelerando i tempi burocratici oggi giganteschi, garantendo l´uniformità dell´espansione urbanistica e assicurando un maggiore controllo del territorio. La competenza urbanistica è suddivisa in tre grandi livelli, regionale, provinciale e comunale. I sindaci neo eletti avranno sei mesi di tempo per decidere se adottare un nuovo piano regolatore o accettare le norme urbanistiche vigenti. Ma soprattutto ci sarà una pianificazione locale decisamente più fluida e più aderente ai fabbisogni del territorio, che eliminerà il rischio di duplicare opere impegnative in Comuni confinanti. Alla Regione resterà il compito di delineare i grandi scenari, mentre gli enti locali avranno competenza operativa nella pianificazione, che avverrà in sede di conferenza di servizi, e sarà dunque infinitamente più agile».
I Comuni potranno così pianificare in base alle proprie esigenze commerciali, abitative, di mobilità e di servizi. Ma nel caso in cui - per esempio - due Comuni confinanti prevedessero la realizzazione di un´opera impegnativa come un palasport, l´anomalia sarebbe corretta nel piano provinciale. «Questo avverrà anche con l´edilizia scolastica - spiega Cascio - e con quella destinata ai servizi pubblici in genere. In Sicilia ci sono situazioni complesse, come per esempio nei Comuni della fascia pedemontana etnea, dove i confini tra i Comuni non hanno soluzione di continuità. In situazioni come quelle, o nelle aree metropolitane, la pianificazione è molto complessa. Così diventerà invece molto più semplice». Infine la questione del riordino delle coste, che doveva essere oggetto di specifica legge ma che la norma invece contempla in un articolo: a determinare la sorte delle costruzioni realizzate entro i 150 metri dalla costa saranno i Comuni, con propri piani particolareggiati, nei quali potrà anche essere prescritta l´eventuale demolizione. A non rimanere del tutto convinti sono gli urbanisti. «Per velocizzare realmente l´iter dei piani regolatori - dice Teresa Cannarozzo, docente universitaria e presidente della sezione siciliana dell´Associazione nazionale centri storici artistici - basterebbe che l´Ars approvasse due articoli di legge. Uno che proibisce ai Comuni di rilasciare concessioni edilizie durante la redazione di piani regolatori, un altro che vieti l´approvazione delle lottizzazioni. Basterebbe questo a evitare che i piani siano trascinati per decenni e che, una volta adottati, trovino il territorio completamente stravolto. In ogni caso, al di là delle considerazioni, la Sicilia sta cercando di mettersi al passo con le altre regioni, che si stanno dotando tutte di proprie leggi urbanistiche. L´importante sarà poi applicarle fino in fondo».
L’impugnativa che il Governo di destra ha deliberato contro la Legge 1.2005 della Regione Toscana, intitolata alle «Norme per il governo del territorio», si presta ad una serie di doverose considerazioni. La prima delle quali - e mi scuseranno gli amici toscani se non comincio da loro - non riguarda la Regione sconfessata, ma il Governo nazionale: il quale ha la sfrontatezza di bacchettare una Regione accusata di violare le norme sui beni culturali e sul paesaggio, dopo essersi reso protagonista, per quattro anni, di clamorose violazioni legislative e operative dei beni culturali e del paesaggio e in generale di un sistematico malgoverno del territorio. Un Governo nazionale che avesse svolto una politica ambientale e urbanistica seria e rigorosa, avrebbe forse avuto il diritto di intervenire sulla questione, anche a prescindere dal merito delle osservazioni.
Questo governo, invece, non ha certamente le carte in regola per affrontare un argomento sul quale si presenta, senza dubbio, come il meno qualificato nella storia della Repubblica.
Una seconda riflessione, sempre di carattere generale, mi preme di fare, proprio nel momento in cui una delle componenti politiche di questo governo nazionale, si pronuncia minacciosamente sul tema del federalismo. Perché, anche in questo caso, il governo che a parole sventola la bandiera del federalismo e dell’autonomia regionale, non perde occasione per mostrare con i fatti, il proprio autoritarismo centralistico; dimostrando la propria sistematica ostilità alle istituzioni che traggono la propria ragion d’essere dal desiderio e dalla capacità di autogoverno delle popolazioni locali. Un governo nazionale che ha ridotto al lumicino i trasferimenti alle istituzioni di base, della quota di entrate fiscali indispensabili per amministrare le loro sempre più onerose competenze. Un governo che - per restare al rapporto tra fiscalità e urbanistica - sta lasciando ai comuni soltanto il gettito dell’Ici e degli Oneri di urbanizzazione; stimolando così, indirettamente, ma perentoriamente, una politica di espansione edilizia sbagliata e dannosa, quale unica fonte autonoma di entrate.
Una terza riflessione riguarda il tema contestato alla regione Toscana dalla impugnativa del governo: cioè il fatto di aver approvato norme «invasive della competenza esclusiva statale, in materia di tutela dei beni culturali». Il che, come ha scritto qualcuno dotato di mentalità confessionale, ha spinto il governo «a punire giustamente lo scatto di superbia della Toscana». Certo, mi pare di sentirli, quei funzionari felici di fare un piacere al governo di destra, bacchettando una regione rossa: «Ma come si permettono, questi toscani». Al contrario, mi sembra assai chiaro che l’unica maniera civile di interpretare il processo di valorizzazione delle autonomie locali, senza svendere l’idea stessa di stato nazionale, è quello della collaborazione, dell’intesa, della concertazione delle rispettive competenze, fra centro e periferia.
Processo che sul tema doveva partire da un’ampia discussione fra il governo, il parlamento e le regioni, sulle possibilità di conservare una concezione unitaria per il governo del paesaggio - ma anche del territorio in genere, perché io non ho mai capito come anche il centro-sinistra abbia potuto separare il territorio, dal paesaggio e dall’ambiente - , concezione unitaria che doveva articolarsi in una necessaria applicazione decentrata. Questo processo politico e culturale è mancato; ed è stato sostituito da un diktat di maggioranza, che siamo in molti a considerare culturalmente e politicamente disastroso. E dopo il diktat centralistico - alla faccia di tutti gli strombazzati federalismi - , sono inevitabilmente arrivate alla regione Toscana le centralistiche bacchettate sui tre articoli «sbagliati per uno scatto di superbia».
A questo punto, il dettaglio della discussione sul contenuto dei tre articoli incriminati, interessa poco. Il problema riguarda piuttosto la questione in generale e la necessità che, in un domani speriamo vicino, l’intera vicenda si riapra nel modo giusto; e ci porti a soluzioni che - prima di essere giuridicamente corrette - siano il frutto di una collaborazione a tutti i livelli e che, per questo, saranno indubbiamente migliori.
Al di là di come la regione Toscana vorrà gestire la vicenda, è questo che io mi auguro per il bene della stessa regione e di tutto il paese.
Postilla
Parole interamente condivisibili. In particolare l’affermazione “che l’unica maniera civile di interpretare il processo di valorizzazione delle autonomie locali, senza svendere l’idea stessa di stato nazionale, è quello della collaborazione, dell’intesa, della concertazione delle rispettive competenze, fra centro e periferia”.
Solo che la legge toscana si è dimenticata di inserire nei suoi meccanismi appunto “l’intesa” con gli organi della Repubblica preposti, dalla legge nazionale, a tutelare l’interesse anche nazionale alla tutela dei beni culturali e del paesaggio (si veda l'articolo di G. De Luca e il documento ivi allegato).
A nascondere gli errori degli amici si arreca loro danno, non vantaggio.
Il 4 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale tre (marginali) disposizioni contenute nella recente legge regionale n. 1 del 2005 sul governo del territorio. Non è stata impugnata la legge che è pienamente valida ed attiva, nonostante i suoi numerosi contenuti innovativi e nonostante l’assenza di una legge nazionale cornice in linea con i cambiamenti introdotti nel 2001 al Titolo V della Costituzione italiana. Forse non tutti sanno che la legge cornice è ancora la gloriosa legge nazionale 1150 del 1942.
I punti impugnati sono tre: due legati alle norme sul paesaggio e uno legato all’inizio dei lavori edilizi in zone classificate come sismiche. Riassumiamoli brevemente. I punti del paesaggio si riferiscono alle norme che regolano la modifica del regime degli immobili e delle aree di notevole interesse paesaggistico, che nella legge regionale toscana, vengono affidate alle procedure di approvazione degli strumenti della pianificazione territoriale, senza il preventivo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali, come indicato nel cosiddetto “Codice Urbani” entrato in vigore nel 2004. Il secondo punto impugnato è legato alle aree dove non richiedere l’autorizzazione paesaggistica, che nella versione della legge regionale è affidata ai Comuni che la esercitano attraverso il Piano strutturale comunale, mentre il “Codice Urbani” prevede che sia il Piano paesaggistico – di cui deve dotarsi la Regione – ad avere questa funzione. Il terzo punto impugnato, infine, si riferisce alla possibilità prevista dalla legge regionale di consentire l’inizio dei lavori in zone classificate sismiche, anche in mancanza di preventiva autorizzazione da parte della struttura regionale competente, contrastando in tal modo il Testo unico sull’edilizia del 2001, le cui norme sono considerate dal Governo materia di esclusiva competenza nazionale.
In fin dei conti, nei tre rilievi fatti dal Governo, sono stati violati: il principio di intesa tra Regione e Stato, per il primo punto; il principio gerarchico tra i livelli di piani, per quanto riguarda il secondo; ed infine il principio della competenza esclusiva della legislazione statale per il terzo.
Sarà la Corte Costituzionale ormai a dirimere questi nodi in nome di quella leale collaborazione oramai necessaria. Tuttavia non si può non richiamare il senso di una politica regionale che tradizionalmente ha fatto della tutela del paesaggio, della sua attiva conservazione e integrazione nelle scelte territoriali e urbanistiche e dei presidi regolativi comunali sugli usi dei suoli, la bandiera di una buona e sana amministrazione della cosa pubblica. Sì perché non bisogna dimenticare che i paesaggi della Toscana, la qualità media del vivere nei suoi territorio territori, le politiche di recupero dei centri antichi e il controllo delle espansioni edilizie, hanno fatto della regione un punto di riferimento mondiale.
Questo è stato possibile per una scelta della Regione, ormai trentennale: il rifiuto di predisporre un piano paesaggistico separato dai piani urbanistici e territoriali, proprio per non considerare il paesaggio (che è un prodotto della storia e delle relazioni che gli uomini hanno con il territorio) come qualcosa di separato e settoriale rispetto all’urbanistica. Non consideralo tale, ha significato affidarlo all’autonoma responsabilità degli enti preposti al governo pubblico del territorio, ma soprattutto ha fatto in modo che l’urbanistica avesse come fine anche quello della tutela e valorizzazione del paesaggio. Se i paesaggi della Toscana sono riconoscibili, e conservano ancora le identità delle comunità locali insediate, lo si deve proprio a questo. Se il territorio in Toscana produce valore aggiunto è proprio per questa decennale attenzione delle popolazione locali e dei loro governi. Non a caso la Convenzione Europea sul Paesaggio è stata firmata proprio a Firenze nel 2000. Nella Convenzione, infatti, si sostiene che il paesaggio è una risorsa, che si estende a tutto il territorio, dagli spazi naturali a quelli rurali fino a giungere a quelli semi-urbani e urbani, in uno spirito di integrazione con tutte le politiche e i piani territoriali e urbanistici.
Meraviglia che il Governo non abbia colto questa caratterizzazione regionale, sottolineando la necessità che solo una intesa Stato-Regione, che metta sotto tutela le autonomie locali, sia garanzia di tutela e conservazione; o abbia fuorviato che le competenze affidate agli enti locali nell’indicare le aree paesaggistiche soggette ad autorizzazione non siano di natura autoritativa, eppure la legge regionale parla di parere regionale vincolante; ed infine che l’impugnatura determini un ritorno indietro di 23 anni nel riproporre una autorizzazione di inizio attività edilizia nelle zone classificate sismiche, che in Toscana – con la legge regionale 88/82 – sono affidate alla certificazione di un professionista, salvo il controllo regionale a valle.
E meraviglia che il Governo si sia soffermato su questi marginali punti della legge, dopo aver perdonato, con il semplice pagamento di qualche centinaia di euro, tutti quelli che il paesaggio e il territorio lo hanno bistrattato e offeso.
Postilla
Un governo serio doveva invitare a correggere un errore, sebbene compiuto per l’orgogliosa autosufficienza di una regione in cui la tutela del paesaggio è sempre stata impegno prioritario (ricordo i primi “gloriosi” assessori Silvano Filippelli, Renato Filippini e Anselmo Pucci degli anni Settanta) e che pensava (secondo me sbagliando) di poter fare a meno della “intesa” con lo Stato, anch’esso depositario della responsabilità della tutela. Ma non è un governo serio quello che censura per “eccesso di tutela” e lascia passare leggi regionali che la tutela aboliscono, con smaccata illegittimità sostanziale e formale, ordinaria e costituzionale: come la Regione Lazio, comandata dal gauleiter Storace. Ma sul fatto che lo Stato italiano è costituito da Repubblica, Regioni, Province e Città metropolitane, Comuni (e non solo da uno o due di questi istituti) occorrerà tornare, perchè gli equivoci sono molti.
Scarica i file allegati
Lupi: Una legge moribonda
Raccogliendo l’invito di Salzano alla discussione propongo le mie riflessioni sul ddl siciliano “Norme per il governo del territorio” approvato dalla Giunta di Governo nei primi di agosto, tenendo conto del dibattito fin qui svoltosi.
Desidero però prima condividere le mie impressioni sul ddl Lupi e dintorni, avendo partecipato ai lavori del Seminario INU del 15 settembre u. s. “Un nuovo passo per la riforma urbanistica”. L’occasione mi ha consentito di fare mente locale sul testo Lupi approvato dalla Camera, di ascoltare alcuni politici presenti coinvolti nella vicenda del ddl (Mantini, Specchia, Giovannelli), la dirigenza nazionale dell’INU, rappresentanti delle Sezioni regionali ed esperti di diritto urbanistico
Francamente aspetto ancora che qualcuno mi spieghi l’utilità dell’entrata in vigore del ddl Lupi, perché dall’andamento del dibattito non è mai emerso con chiarezza; anzi alcuni commentatori hanno sottolineato il contrario.
Mi ha colpito il fatto che, trattandosi di una legge di “principi” non ci sia traccia di principi, degni di questo nome, chiaramente elencati, come ha sottolineato Paolo Urbani e altri che sono intervenuti. Né mi convince che la “perequazione” debba essere considerata un principio fondamentale, come suggeriva Barbieri.
Sono inoltre sbalordita dalla polarizzazione dell’interesse sui diritti edificatori della proprietà immobiliare e sulla loro commerciabilità, come se questo fosse l’aspetto più importante del governo del territorio e della gestione delle trasformazioni urbane.
Mi è stato di conforto verificare che all’interno di molte sezioni dell’INU ci sono forti perplessità sulla qualità e sull’utilità del ddl Lupi e sarà il caso di approfondire le ragioni delle divergenze, anche in relazione alle molte leggi approvate dalle regioni dopo la modifica del titolo V della Costituzione.
Poiché da parte di tutti, anche dai politici presenti è emersa la convinzione che sarebbe necessario comunque introdurre ulteriori emendamenti, dopo i quali il testo dovrebbe ritornare alla Camera, è plausibile che il ddl non venga approvato prima della fine della legislatura.
Il che potrebbe costituire l’occasione per ricominciare daccapo in maniera più convincente.
Sicilia: Una legge velleitaria
Passo ora a trattare del ddl siciliano. Una buona legge (ammesso che il ddl siciliano lo sia) non garantisce di raggiungere automaticamente gli obiettivi che la stessa legge si propone.
A riprova di ciò cito una nota legge speciale siciliana: la n. 70 del 1976 finalizzata al recupero dei centri storici di Siracusa e Agrigento che, a parità di norme, di procedure e di contributi finanziari, ha prodotto a Siracusa, anche se con molta fatica, un buon piano particolareggiato e ha contribuito ad avviare il recupero dell’isola di Ortigia, mentre ad Agrigento non ha prodotto alcun risultato.
Evidentemente la differenza di risultato dipende dal contesto e da una serie di concause che hanno condizionato l’applicazione della legge.
Il problema posto da De Lucia e ripreso da Salzano sul rapporto tra proposta di legge e contesto mi sembra quindi centrale e utile per esaminare correttamente la questione della qualità e dell’efficacia del ddl siciliano.
Salzano si domanda se, per analogia, si può definire buono un progetto di architettura a prescindere dal contesto. Io ritengo di no, pensando proprio ad alcuni progetti “firmati”, calati come meteoriti in realtà precarie e degradate, con le quali non sono riusciti a intessere alcun rapporto positivo in grado di aumentare la qualità urbana e ambientale. Per colpa di chi? Del progetto? Delle amministrazioni? Delle modalità di attuazione? Ho in mente i progetti di Gregotti per Palermo: lo ZEN e i Dipartimenti Universitari a Parco d’Orléans. Nel migliore dei casi si tratta di esperienze a dir poco deludenti.
Uscendo dalla metafora e tornando nello specifico, anche se la proposta di legge come dice Salzano è “migliore di tante altre che sono state approvate di recente dalle regioni o che stanno per esserlo”, purtroppo risulta velleitaria e poco credibile per alcune semplici ragioni che cercherò di riassumere.
Il Governo e il Parlamento regionale, dal dopoguerra a oggi non hanno preso mai alcun minimo provvedimento tendente ad agevolare concretamente la pianificazione urbanistica; anzi, con l’accordo di tutte le forze politiche, sono state approvate norme che consentono tuttora di realizzare edilizia convenzionata e agevolata nel verde agricolo, in deroga alla previsioni dei PRG, tramite commissari che l’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente invia presso i Comuni che volessero ostacolare tali richieste.
Ancora: quando si mette mano a fare un piano regolatore, si scatena nei Comuni una frenetica attività edilizia: vengono richieste valanghe di concessioni e autorizzazioni per lottizzazioni (queste ultime, approvate sollecitamente dall’Assessorato Regionale) che trasformano radicalmente il territorio mentre si disegna il piano; quest’ultimo può al massimo limitarsi a inseguire la realtà, venendone fortemente condizionato (in peggio). Né il Governo, né il Parlamento, né qualche forza politica hanno mai pensato di contrastare efficacemente questo andazzo.
Né le numerose leggi di sanatoria approvate dalla Regione hanno mai risolto il problema dell’abusivismo edilizio dilagante.
Invece, l’unica preoccupazione del governo Cuffaro, esplicitata nel suo programma elettorale, è stata quella di tentare di trovare una soluzione ai problemi dell’abusivismo costiero che ha prodotto insediamenti mostruosi lungo tutte le coste siciliane. Questo obbiettivo ha dato luogo alla formulazione di alcuni disegni di legge, abortiti per strada, che comunque cozzavano sempre con l’esistenza di una norma contenuta nella l. r. 76 del 78: l’inedificabilità assoluta della fascia costiera. entro i 150 metri dalla battigia. Norma che il ddl presentato propone di abrogare.
Vorrei aggiungere qualche altra considerazione che contribuisce a minare la credibilità dell’iniziativa. L’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente non dialoga con l’assessorato Regionale ai BB.CC.AA.AA. che ha competenza sulla pianificazione paesaggistica (la quale per altro è molto indietro). All’interno dell’Assessorato al Territorio e Ambiente vi sono due Direzioni Regionali (Urbanistica e Ambiente) che non dialogano fra loro, considerando (incredibilmente) l’urbanistica e l’ambiente materie rigidamente separate.
L’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente risulta sempre più sguarnito di funzionari competenti: i pochi che sono rimasti si occupano quasi esclusivamente di esaminare e approvare “programmi complessi” e iniziative di programmazione negoziata in deroga agli strumenti urbanistici e non esaminano i piani regolatori inviati in Assessorato, che a un certo punto entrano in vigore attraverso una forma di silienzio-assenso. Questo è accaduto di recente anche per il prg di un capoluogo di provincia come Caltanissetta.
L’Ufficio che dovrebbe fare il Piano Territoriale Regionale non esiste e il SITR di cui si parla nel ddl è solo in fase di impianto. Così come non esistono tutte la “Strutture tecniche per il governo del territorio” elencate nel Titolo III del ddl e chissà quando mai potranno esistere.
Inoltre nel ddl si rinvia all’emanazione di una serie di importanti regolamenti attuativi, in assenza dei quali, il ddl risulta inapplicabile: sono circa una decina e si va da quello relativo all’applicazione della VAS, a quello relativo alle “dotazioni territoriali e standard di qualità urbana e ambientale”. Non risulta per altro che siano in corso da qualche parte studi e ricerche per elaborare tali regolamenti.
L’unica iniziativa di pianificazione che si può avviare in assenza di ulteriori adempimenti riguarda i PTRA (piani territoriali regionali d’area, Art. 26 e Art. 27), (che avevo segnalato a Salzano e a De Lucia) e che sembrano proprio finalizzati ad affrontare i problemi degli insediamenti abusivi costieri.
Infine pare che la Regione non abbia inviato il testo né alle Province né ai Comuni; né che abbia intenzione di farlo; dimostrandosi quindi poco interessata alla consultazione e ai pareri dei soggetti istituzionali destinatari e protagonisti dell’attuazione del ddl.
Entrando ulteriormente nel merito, non è chiaro come si perviene alla redazione Piano Territoriale Regionale che si prevede debba essere approvato solo dalla Giunta di Governo e non dall’Assemblea Regionale.
Ricordiamo inoltre che la legislatura è in scadenza perché in Sicilia si andrà a votare prima delle elezioni nazionali e manca il tempo sia per un serio confronto politico, sia per i necessari approfondimenti tecnici e culturali. Evidentemente un Governo e un Parlamento in scadenza non possono prendere nessun impegno sulle misure necessarie da attivare successivamente per rendere applicabile la legge: costituzione di uffici, coordinamento interassesoriale, regolamenti attuativi, etc…
Che fare dunque? Ipotizzando che il ddl possa compiere il percorso parlamentare entro la fine della legislatura, per dare maggiore credibilità alla proposta, bisognerebbe modificare sostanziosamente le norme di salvaguardia (Art. 60), dicendo, per esempio, che la legge entra in vigore solo quando saranno emanati tutti i regolamenti di attuazione.
Per quanto riguarda le abrogazioni, su cui ci sarebbe ancora da discutere, per dare un segnale di serietà dovrebbero essere abrogate subito le norme che consentono di realizzare programmi costruttivi e quant’altro nel verde agricolo. Pur accettando la logica del testo proposto, non mancano varie formulazioni che sarebbe necessario emendare e precisare a partire, per esempio, dal tema dei centri storici, che vengono evocati solo come “zone A degli strumenti urbanistici”. Come se non sapessimo che la perimetrazione della zona A non coincide quasi mai con il vero centro storico.
La materia meriterebbe comunque un dibattito politico molto ampio e approfondito e l’apporto del maggior numero dei soggetti coinvolti; circostanza che non può essere assicurata nello scorcio di legislatura disponibile.
Sarebbe quindi più saggio che la riforma urbanistica facesse parte del programma elettorale delle forze politiche che andranno a breve a confrontarsi e che ci si potesse lavorare con maggiore serenità e con minore improvvisazione.
Roma 18 settembre 2005
La riforma urbanistica arriverà in commissione la prossima settimana, preceduta da un coro di critiche e di riserve che si preparano a entrare nel dibattito parlamentare. Per gli autori della riforma, Bruno Gabrielli, Giuseppe Trombino e Giuseppe Gangemi gli urbanisti ritrovatisi a lavorare nell´assessorato guidato da Francesco Cascio, si tratta soprattutto di semplificare le procedure di pianificazione per renderle effettive e ancorarle alle risorse disponibili. Per gli ambientalisti e per il cartello di urbanisti ritrovatisi nei Laboratori siciliani di ricerca territoriale l´impianto della legge, piega il territorio a logiche squisitamente economiche e scardina il sistema dei vincoli di salvaguardia dell´ambiente.
Dei tre saggi Bruno Gabrielli, urbanista di fama internazionale e assessore nella giunta di centrosinistra di Genova, ride di gusto e parla di equivoci.
Perché equivoci, professore?
«Noi non ci sogniamo affatto di fare a pezzi il territorio, né tantomeno di favorire nuovi scempi. È una cosa talmente lontana dal vero che non è neppure oggetto di discussione»
Insomma non si aspettava questa levata di scudi?
«Mi aspettavo critiche e riserve ma non con le motivazioni che sono circolate, la lettura della legge non le autorizza, sono prive di fondamento. Sono solo frutto di equivoci nati sulla base di una bozza incompleta poi corretta per evitare proprio dubbi di interpretazione».
Vi accusano di abrogare i vincoli esistenti e la legge ha un articolo apposito, non è così?
«È così, ma ce ne è un altro, quello sulle norme di salvaguardia. Recita espressamente che i vincoli che tutelano coste e boschi restano fino a che non sarà adottata la pianificazione provinciale».
E se la pianificazione non avviene?
«I vincoli sono raddoppiati. Il limite che impedisce qualsiasi cosa entro i 150 metri dalla costa raddoppia».
Con la pianificazione però i vincoli vengono meno. Si obietta che abolite delle certezze per sostituirle con una indicazione che forse tradisce un eccesso di fiducia nella capacità di pianificazione. Trova anche questo inaccettabile?
«È possibile che le critiche vengano da lì, ma è esattamente questo il punto: l´apposizione di vincoli che non tengono conto della realtà territoriale, che corrispondono a una dichiarazione indiscriminata, sono tecnicamente definiti stupidi, cioè ciechi. In altre parole prescindono dalla effettiva rispondenza a principi di pianificazione».
Crede che non ci siano spazi per nuovi abusi?
«La legge in sé non offre margini, né tantomeno crea aspettative di sanatoria, dunque tecnicamente la risposta è no. Poi vi è anche un problema di prospettiva. Se il sistema della pianificazione funziona meglio e più celermente ottiene l´effetto di una maggiore salvaguardia dell´ambiente».
E l´obiettivo della celerità credete di averlo raggiunto?
«La legge fa compiere un balzo in avanti in questa direzione, tuttavia è ancora troppo complicata, si possono sveltire ancora di più le pratiche. È l´assenza di piani a generare i vuoti che producono i guasti, ed è fondamentale avere piani che una volta pronti non siano già vecchi».
Qual è secondo lei il merito maggiore della norma?
«Quello di far chiarezza: una legge contro 29 abrogate, quello di avere una visione unitaria della pianificazione distribuita su più livelli, di garantire l´autonomia delle realtà comunali all´interno di una pianificazione provinciale e di una strategia regionale. Il nostro intento dichiarato è quello di un piano veramente unico. È ovvio che questo incontri resistenze, talvolta anche legate a gelosie sulle competenze dei vari assessorati e rendite di posizione».
Lei è assessore di una giunta di centrosinistra, che effetto le fa essere attaccato soprattutto da quel versante politico?
«Io non solo non ho alcuna simpatia politica per l´assessore Cascio e il governo Cuffaro, ma sono esponente di una giunta di segno contrario, tuttavia in questa vicenda ho messo la mia storia e la mia dignità su una riforma che ovviamente condivido e per la quale non ho subìto pressioni di sorta, né dall´assessore, né dal suo staff».
Le critiche degli ambientalisti
L’opinione di E. Salzano
L’opinione di V. De Lucia
Il testo della legge
Il testo del ddlr, approvato dalla Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia nella seduta del 29 agosto 2005, ricalca in sostanza la bozza già divulgata informalmente da alcuni mesi e disponibile nel sito della Regione (sezione “Trasparente”).
Gli aspetti di maggior problematicità, dovuti anche ad una stesura assai carente sotto il profilo della tecnica legislativa, paiono essere i seguenti.
L’indeterminatezza
Il Titolo I (artt. da 1 a 8), secondo quanto dichiarato al c. 2 dell’art. 1, “esercita la sua efficacia nelle more del riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica”, ma non è chiaro in cosa consista tale “efficacia”, poiché gli artt. da 1 a 8 consistono sostanzialmente in una serie di dichiarazioni di principio o di intenti, da riempire di contenuti mediante successivo provvedimento normativo “di riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica”. Per quest’ultimo non vengono neppure indicate scadenze temporali di sorta.
L’art. 2 elenca ad esempio le “risorse essenziali di interesse regionale”, che appaiono tali (aria, acqua ed ecosistemi ; paesaggio e documenti della cultura ; sistemi infrastrutturali e tecnologici ; sistemi degli insediamenti) da esaurire di fatto l’intero ambito della pianificazione territoriale e che vengono attribuite (art. 3, c. 1), alla competenza della Regione, salvo poi aggiungere che la successiva legge regionale stabilirà “i criteri per individuare le soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni di cui al comma 1 per mezzo del Piano Territoriale Regionale”. Anche il PTR, quindi, in funzione del quale apparentemente il ddlr è stato redatto, viene così rinviato ad un imprecisato domani, come del resto conferma anche l’art. 8, c. 1.
Assolutamente incomprensibile appare tuttavia il c. 2 dell’art. 8, che sembrerebbe sancire l’abrogazione delle procedure di formazione del PTRG previste dalla L.R. 52/1991 (artt. 5 e 6), senza però che tale abrogazione sia esplicita. Né d’altronde è pensabile si possano abrogare norme vigenti, mediante il semplice rinvio alle “disposizioni della presente legge” che, come detto, nulla dicono in merito alle procedure relative al PTR, in quanto si limitano a rinviarle ad una successiva futuribile legge regionale.
Per quanto concerne i livelli di pianificazione, si dichiara d’altronde (art. 1, c. 1) che “la funzione della pianificazione intermedia è svolta dai Comuni”. Concetto ribadito dal successivo art. 4, cc. 2 e 3, che tuttavia non aggiungono nulla in merito alle modalità attraverso le quali il Comune (singolo ? associato ?) potrà esercitare la funzione della pianificazione sovraccomunale, salvo aggiungere l’indicazione circa la possibilità che ciò avvenga “anche con enti pubblici diversi dal Comune”. Enti (anche economici ?) che peraltro non vengono individuati, essendo la materia rinviata alla successiva legge regionale.
Sia la definizione dei confini delle competenze pianificatorie tra Regione e Comuni, sia la strutturazione del ruolo comunale nella pianificazione sovraccomunale, vengono perciò rinviate al successivo atto normativo.
L’economicismo “sviluppista”
L’art. 5, elencando le “finalità strategiche del PTR”, delinea un’impostazione della politica territoriale in Friuli Venezia Giulia completamente sbilanciata sul versante – alquanto obsoleto –dello sviluppo economico inteso in senso tradizionale, cioè come crescita (del PIL).
Vengono infatti citate, nell’ordine, le seguenti finalità :
“le migliori condizioni per la crescita economica del FVG e lo sviluppo della competitività del sistema regionale ;
le pari opportunità di sviluppo economico per tutti i territori della Regione ;
la coesione sociale della comunità nonché l’integrazione territoriale, economica e sociale del FVG con i territori contermini ;
il miglioramento della condizione di vita degli individui, della comunità, della fauna, della flora e in generale l’innalzamento della qualità ambientale;
la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale, storico e paesaggistico”.
Balza altresì agli occhi l’assenza di qualsiasi riferimento a :
- criteri di sostenibilità ambientale dello “sviluppo” (che comporterebbero l’adozione di opportuni indicatori nell’attività di pianificazione e soprattutto nella valutazione degli esiti della pianificazione stessa) ;
- l’individuazione e la tutela delle “reti ecologiche” e del patrimonio naturalistico in genere (che non coincide con il patrimonio “culturale, storico e paesaggistico”) ;
- la necessità di arrestare il consumo di suolo non urbanizzato, agricolo e naturale o semi-naturale, privilegiando per converso il riuso di aree già urbanizzate e degradate o sottoutilizzate.
L’equivocità
Il PTR avrebbe altresì (art. 6, c. 2) valenza di piano paesaggistico, ai sensi del D. Lgs. 42/2004, ma è evidente che l’indeterminatezza su tempi e modalità di redazione (v. sopra) è tale da vanificare alla radice questa indicazione. Nulla si dice, invece, rispetto al destino degli strumenti con valenza di piano paesaggistico già predisposti ai sensi della L.R. 52/1991, come in particolare il PTRP per la costiera triestina. Nulla si dice neppure rispetto alla valenza del PTR, in quanto piano paesaggistico, rispetto agli strumenti di pianificazione di livello locale, laddove il rapporto tra (mancata) pianificazione sovraordinata – in particolare quella con contenuti paesaggistici – e PRGC rappresenta nei fatti uno degli elementi più critici della concreta pratica urbanistica in FVG (come gli esempi della baia di Sistiana e dell’intera costa triestina dimostrano ad abundantiam).
Del tutto privo di effetti concreti appare altresì il richiamo (una sorta di “pro memoria”) alla Direttiva 2001/42/CE sulla V.A.S. ed alle “metodologie di Agenda 21”, che dovrebbero presiedere (art. 7) alla formazione del PTR. Non si comprende, d’altro canto, perché tale richiamo non venga esteso – come la logica e lo stesso contenuto della Direttiva citata vorrebbero – a tutti gli strumenti di pianificazione territoriale.
Balza ancora agli occhi l’assenza di qualsiasi riferimento a norme di salvaguardia, assolutamente indispensabili nel contesto dell’annunciata redazione di uno strumento con valenza di piano paesaggistico, per evitare che lo stesso intervenga “dopo che i buoi sono già scappati dalla stalla”.
Tale assenza è tanto più vistosa ed inspiegabile, alla luce di quanto previsto al Titolo II (“Norme in materia di localizzazione di infrastrutture strategiche”), laddove la salvaguardia – sotto forma di “sospensione temporanea dell’edificabilità” – è prevista (art. 10, c. 1) per tre anni, al fine di salvaguardare da edificazioni incompatibili i progetti dichiarati “di interesse regionale”.
Norme cogenti sono cioè previste nel ddlr, soltanto allo scopo di favorire la realizzazione di opere infrastrutturali (prescindendo, a quanto sembra, dalla compatibilità ambientale delle stesse e dall’esito delle relative procedure di VIA e/o valutazione di incidenza), mentre invece non sono previste per il PTR, nella parte diretta a tutelare valori ambientali e paesaggistici.
Le infrastrutture (di ogni tipo e natura)
Il vero contenuto normativo del ddlr in questione è infatti quello rappresentato dal Titolo II, il cui scopo è chiaramente dichiarato all’art. 9 (“preservare la possibilità di realizzare infrastrutture strategiche ovvero dotare la Regione di strumenti che ne facilitino la realizzazione”).
L’individuazione dei progetti “strategici” (non meglio identificati e non necessariamente soltanto relativi ad infrastrutture) di interesse regionale, viene rinviata a successive delibere della Giunta regionale, previa intesa con i Comuni interessati (art. 10, c. 2). Intesa che dev’essere raggiunta mediante una “conferenza con i soggetti interessati” (art. 10, c. 3). Non viene precisato in alcun modo chi siano tali soggetti, potendosi quindi ipotizzare trattarsi sia – ipotesi “di minima” - dei proponenti (anche privati) dei progetti stessi, sia – ipotesi “di massima” – di tutti i portatori di interessi (compresi quindi gli interessi diffusi), in qualche modo coinvolti dai progetti stessi.
Non viene neppure precisato se la “conferenza” di cui sopra sia da intendersi strutturata e con i poteri di una conferenza dei servizi, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, ovvero rivesta altra natura.
Né viene in alcun modo contemplata l’ipotesi che l’intesa di cui al citato art,. 10, c. 2 non venga raggiunta. Parrebbe quindi di poter dedurre che il mancato raggiungimento dell’intesa comporti l’archiviazione del progetto. Si stabilisce invece (art. 10, c. 4) che l’individuazione dell’”interesse regionale” relativamente ad un progetto, costituisca variante rispetto alle destinazioni d’uso del PRGC (nulla si dice invece rispetto a quelle del PTR).
A sua volta, l’approvazione del progetto (non è chiaro in base a quali procedure) costituisce accertamento di conformità urbanistica e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori (art. 10, c. 5).
Appare evidente che scopo principale del ddlr è quello di costruire una “corsia preferenziale” per qualsivoglia progetto (anche privato) si decida, in sede prettamente politica, di qualificare come “di interesse regionale”, consentendone una sollecita realizzazione anche – ove necessario – in difformità dai PRGC. Sia pure, a quanto sembra, soltanto previa intesa “obbligatoria” (come detto sopra) con i Comuni. Sicuramente la norma è stata pensata anche in funzione dei progetti di nuovi elettrodotti (oltre 20 in FVG), proposti da vari soggetti per lo più privati, per l’importazione di elettricità da Austria e Slovenia. Progetti che, nei casi in cui è già iniziato l’iter di valutazione, stanno incontrando forti resistenze soprattutto da parte delle comunità locali principalmente per ragioni di impatto ambientale e paesaggistico.
Del tutto anomala, ed in alcun modo motivata, appare invece la previsione esplicita (art. 10, c. 1) di norme di “salvaguardia” – sospensione per un massimo di tre anni di ogni determinazione su concessioni o autorizzazioni edilizie in contrasto con i progetti - relativamente ai progetti “di interesse regionale” che si riferiscano alle “opere ferroviarie di attuazione del Corridoio V e quelle ad esso complementari” ed alle “opere del nuovo collegamento stradale Cervignano-Manzano e quelle ad esso complementari”.
Sfugge il motivo per cui un collegamento stradale di caratteristiche abbastanza modeste venga posto sullo stesso piano dell’imponente infrastruttura ferroviaria AV/AC compresa nel Corridoio 5, salvo l’ipotesi maliziosa che si tratti una sorta di “merce di scambio” in vista dell’acquisizione del consenso da parte di alcuni Comuni interessati dal tracciato dalla nuova linea ferroviaria. Attualmente è infatti ancora aperta la procedura di VIA (ex D.Lgs. 190/2002) sul progetto preliminare della linea AV/AC, tratta Ronchi Sud – Trieste (opera di circa 35 km., prevalentemente in galleria, con un costo complessivo di almeno 1.930 milioni di €), mentre si sta lavorando al progetto preliminare della tratta Venezia – Ronchi-Sud (circa 120 km., per un costo approssimativo di almeno 4.200 milioni di €), tratta che attraverserebbe l’intera pianura friulana interessando sia il Comune di Cervignano, sia altri Comuni della “Bassa”.
Va però detto che sul progetto della Ronchi Sud – Trieste è stato espresso, nell’ambito della citata procedura di VIA, parere nettamente contrario da parte del ministro dei beni culturali e ambientali, mentre risulta che anche la Commissione speciale VIA presso il ministero dell’ambiente abbia predisposto un parere decisamente negativo. Da ciò, tra l’altro, la diffida inviata lo scorso luglio dal WWF Italia al presidente del Consiglio dei ministri, al ministro dell’ambiente ed a quello delle infrastrutture, affinché la procedura di VIA tuttora aperta (ben la di là dei limiti temporali previsti dal D.Lgs. 190/2002) venga conclusa con esito – necessariamente - negativo.
La previsione della “salvaguardia” per tre anni, in funzione di un progetto il cui iter appare quanto mai lungo e incerto, potrebbe perciò interpretarsi come un mezzo per guadagnare tempo, in vista della futura approvazione del PTR, che dovrà vincolare definitivamente – sottraendole alla competenza comunale - le aree interessate dal progetto della linea ferroviaria in questione (così come altre aree interessate da “sistemi infrastrutturali e tecnologici”, secondo quanto previsto all’art. 2, c. 1, lett. a), n. 3).
Le STUR
Dulcis in fundo, il ddlr prevede (art. 11) la possibilità che la Regione costituisca Società di Trasformazione Urbana Regionale (STUR), nella forma giuridica della spa (art. 11, c. 3), con il compito di “conseguire gli obiettivi di cui all’art. 3, c. 2” (si tratta probabilmente – almeno si spera ! - di un refuso, trattandosi della norma che rinvia alla futura legge regionale i criteri per l’individuazione delle soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni di pianificazione territoriale con il PTR sulle “risorse essenziali di interesse regionale”), nonchè di “attuare i progetti di interesse regionale di cui all’art. 10”. Vale a dire quelli dichiarati di interesse regionale.
La STUR (art. 11, c. 2) acquisisce gli immobili interessati dall’intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi. L’acquisizione può avvenire consensualmente o tramite esproprio. Alle STUR possono partecipare anche azionisti privati (non viene precisato se i privati possano eventualmente acquisire la maggioranza delle azioni…).
Dario Predonzan, Responsabile settore territorio WWF Friuli Venezia Giulia
31 agosto 2005
Postilla
Ho partecipato ad alcune riunioni di un gruppo di lavoro che ha "affiancato" l'assessore Sonego. Inserisco in allegato una nota che avevo redatto quando ho visto la prima stesura della legge. Alcune parti del primiitivo disegno sono state soppresse, ma mi sembra che rimangano immutate nel didegno di legge quattro elementi gravissimi: la subordinazione d'ogni valore, qualità, risorsa all'idolo dello sviluppo quantitativo delle infrastrutture; l'abolizione delle province come ente cui è attribuita la responsabilità di pianificazione territoriale; l'asservimento del comune alla Regione; la riduzione della pianficazione regionale a mera copertura delle decisioni, prese volta per olta, dalla Regione.