loader
menu
© 2025 Eddyburg

Intendo rivolgervi innanzitutto il benvenuto ed indirizzare un saluto a tutti i convenuti a nome della Federazione dei Verdi e soprattutto a nome del gruppo parlamentare dei Verdi del Senato che ha promosso questa iniziativa.

Ringrazio tutti coloro che hanno accolto il nostro invito per una riflessione comune sulla esigenza di definire una proposta di riforma che riguardi ii governo del territorio, che sia condivisa da tutto il : centrosinistra, secondo il modello sperimentato con la proposta unitaria di riforme istituzionali contenuta nel documento elaborata dal gruppo presieduto da Amato e sottoscritta da tutti i segretari dei partiti del centrosinistra che ha dato ottimi risultati e che ci consente di contrapporre una linea comune a quella del centrodestra che riteniamo addirittura pericolosa per la democrazia nel nostro Paese. `

Abbiamo quindi preso questa iniziativa perché anche sulla questione che riguarda la vita nella città e opportuno aprire un altro fronte contro quanto di peggio sta facendo il centrodestra.

Riteniamo necessario definire una nostra proposta, mi auguro comune, di riforma per il governo del territorio che avvicini lItalia all'Europa, che offra certezze del diritto, che chiarisca funzioni e ruoli degli operatori, che stabilisca chiari ed applicabili criteri di programmazione, pianificazione e controllo.

Negli ultimi due anni la maggioranza ha approvato leggi devastanti, ispirate al principio della deregulation selvaggia, dalla riproposizione del condono edilizio alla super Dia di Lunardi, dalla legge obiettivo alla ulteriore modifica delle conferenze di servizio per far prevalere I'interesse alla realizzazione delle opere, agli obiettivi della tutela del patrimonio storico-artistico, della vendita dei beni culturali con silenzio assenso all'attacco ai principi di tutela paesaggistica operati dal nuovo codice Urbani.

Insieme abbiamo condotto contro tutto cio una strenua battaglia, sia all'interno delle istituzioni sia nel Paese. Non ci siamo limitati a contrastare i provvedimenti sbagliati, che not definiamo ambienticidi: costantemente abbiamo anche avanzato proposte di soluzioni alternative elaborate dalle singole forze politiche di centrosinistra.

Riteniamo si possa fare di più, proprio perché e questo il quadro, cercando di affrontare un altro terra significativo: la questione della riforma urbanistica.

Riforma urbanistica che significa rinnovare le politiche di governo del territorio e portarle ad unitarietà per ammodernare il nostro Paese, tutelandone I'identità, la memoria, gli elementi costitutivi.

In questi anni un fungo elenco di atti ha prodotto una vera e propria controriforma urbanistica, attraverso deregulation, procedure accelerate, leggi speciali, frammentazioni e settorializzazione dell'azione di governo sul territorio, abolizione degli strumenti di programmazione e controllo, riduzione dei livelli di tutela, minaccia dell'integrità dei centri storici, interventi in deroga a cui si e aggiunta come ciliegina sulla torta il condono edilizio. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la vita nelle città, f'organizzazione urbana, le condizioni di vivibilità, di accessibilità e di mobilità hanno subito un degrado intollerabile, mentre il territorio extraurbano, sempre più manomesso, e diventato fonte di rischi crescenti. Il recentissimo nuovo codice Urbani lo dimostra ampiamente: i beni culturali e del paesaggio sono stati sacrificati, in nome di una concezione tutta mercantile, alle esigenze di uno sviluppo senza qualità.

Nella scorsa legislatura, per l'ennesima volta, il tentativo di dotare il nostro Paese di una moderna legge urbanistica e fallito. Da allora sia il nuovo titolo V della Costituzione, che ridisegna le competenze dello Stato e delle regioni, sia i numerosi ulteriori provvedimenti deregolatori introdotti dal governo, hanno ulteriormente mutato il quadro di riferimento e reso ancor più necessaria una riflessione sull'argomento " nuova legge per il governo del territorio ".

Alla Camera e ripartito l'esame di diversi testi di legge presentati da quasi tutti i gruppi parlamentari e, per iniziativa del gruppo di Forza Italia, si sta per giungere ad un pessimo testo unificato.

E' quanto mai opportuno che il centrosinistra affronti un confronto politico approfondito sia sui contenuti di una proposta comune da contrapporre a quella della destra, sia sulle modalità con cui si intende portare avanti il confronto parlamentare e la stessa opposizione.

I Verdi propongono di superare ogni indugio e a fronte della provocazione del condono edilizio che devasterà ulteriormente il nostro Paese ed ai reiterati tentativi di svenderne il patrimonio storico artistico e la memoria stessa, hanno organizzato questo incontro che vuole essere il punto di partenza per la definizione di una chiara alternativa alla politica dei condoni e delta deregulation, che porta ad una proposta unitaria di una nuova legge di .governo del territorio, definita con if concorso di tutte le forze politiche dell'opposizione e con if contributo di un qualificatissimo gruppo di esperti a cui più tardi daremo la parola.

Ora I'amico Fabrizio Vigni, capogruppo alla ottava Commissione della Camera ci farà il

quadro sullo stato dell'arte in Parlamento. In seguito Luigi Scano, presidente dell'Associazione Polis ci indicherà le questioni e i temi più rilevanti per la definizione di quelle linee guida per una nuova legge urbanistica e sull'uso del suolo che sono il nostro obiettivo.

1 Premessa

Condivido l’impostazione generale della legge, così come emerge dalla lettura delle “Schede” che ne anticipano l’articolato, così come gran parte del contenuto. Mi limito ad esprimere osservazioni su quattro punti, sui quali spero che l’elaborazione successiva potrà correggere alcuni difetti che mi appaiono pericolosi, per le ragioni che esporrò.

2 Pianificazione di livello regionale e provinciale

Secondo le “Schede” la pianificazione di livello regionale e provinciale dovrebbe avere, rispetto al metodo impiegato per la pianificazione comunale, alcuni notevoli differenze, che la renderebbero molto meno incisiva di quanto oggi già sia in alcune legislazioni regionali (Piemonte, Veneto, Marche, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Lazio). Secondo le “Schede” la pianificazione sovracomunale non potrebbe produrre “effetti diretti sull’uso e sulla trasformazione del territorio” (punto 3.4), non potrebbe essere articolata in “componente strutturale” e “componente operativa”, non potrebbe attuare direttamente le previsioni operative per gli “oggetti” che rientrino nella sua competenza.

Mi sembra che questo sia in contraddizione con il principio (non esplicitamente formulato nelle “Schede”, ma che ne sostanzia l’ispirazione) secondo il quale ogni ente territoriale a rappresentanza generale che abbia competenza su determinati oggetti e aspetti esprime le proprie scelte relative a questi mediante un atto di pianificazione, di cui sia possibile valutare, in modo trasparente, la coerenza e gli effetti.

Ciò che occorre è definire con chiarezza quali siano, sulla base del principio di sussidiarietà rettamente inteso, gli “oggetti” di competenza di ciascun ente territoriale. Il relazione a questi oggetti l’ente competente deve localizzare le proprie scelte in un atto che abbia la necessaria efficacia e operatività.

Se non si adotta questo criterio, se cioè non si applica una unicità di metodo e di efficacia alla pianificazione ai diversi livelli (tra i quali le uniche distinzioni devono essere quelle che derivano dal principio di sussidiarietà) si toglie ogni efficacia e operatività alle regioni e alle province, e si torna all’arcaico sistema della “pianificazione a cascata” che sembrava del tutto superato. E si corre oltretutto il rischio (o più precisamente, si sconta la certezza) che le scelte concrete delle regioni, delle province (e dello stato) in materia di opere di rilevanza sovracomunale continueranno di fatto a essere collocate sul territorio in modo del tutto arbitrario, discrezionale e sfuggendo a qualsiasi razionalità e trasparenza.

Se questa osservazioni non fosse ritenute convincenti, bisognerebbe almeno garantire la facoltà delle regioni che abbiano già legiferato in termini più moderni di mantenere la loro legislazione.

3. Piano territoriale metropolitano

Le “Schede” prevedono che sia il “piano territoriale metropolitano” sia il “piano urbanistico operativo metropolitano” sostituiscano, a tutti gli effetti, gli omologhi piani comunali.

A me sembra che debba rimanere immutata la logica dell’articolazione dei livelli di governo introdotta dalla 142/1990, dopo alcuni decenni di maturazione e dibattito. Entro questa logica, la Città metropolitana sostituisce, in determinate aree, la Provincia (la quale, infatti, in quelle aree non c’è più), ma non sostituisce i comuni, i quali anzi permangono articolando il comune capoluogo in più unità municipali. La Città metropolitana (i la sua pianificazione) dovrebbero quindi assumere tutte le competenze della Provincia, ma solo quelle del comune che (valga il principio di sussidiarietà) non possono essere governate in modo efficace nell’ambito dei singoli comuni.

4. Concertazione e co-pianificazione

Secondo me è necessario precisare con molta attenzione il ruolo dei diversi soggetti La scheda sembra mettere sullo stesso piano i soggetti istituzionali e gli altri “soggetti interessati operanti nel territorio di competenza”. La distinzione tra soggetti che rappresentano interessi pubblici e soggetti che rappresentano altri interessi (legittimi, e di cui è giusto tener conto: ma in diverso modo e diversa sede) è una distinzione decisiva, se non si vuole correre il rischio di legittimare quelle forme di “urbanistica contratta” che sono state strettamente legate a Tangentopoli.

Vedi anche 7 punti per la legge urbanistica.

Boca (Verdi)

Apertura del convegno

(vedi il testo dell’intervento)

VIGNI (DS)

Riferisce sullo stato dei lavori in VIII Commissione Ambiente della Camera.

Nella scorsa legislatura il tentativo di portare in porto la nuova legge sul governo del territorio (la legge Lorenzetti) non andò a buon fine. Il testo aveva avuto il consenso della casa delle Libertà.

L’VIII Commissione ha ripreso i lavori nel giugno scorso su sette progetti di legge: 1) Bossi; 2) Vigni; 3) Martinat; 4) Scanio; 5) Lupi; 6) Martini; 7) Sandri.

Alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione c’è ancora spazio per una legge statale, legge che dovrà avere la forma di una legge di principi, non ignorando le leggi regionali che nel frattempo sono state emanate e al contempo non invadendo le competenze regionali.

La maggioranza governativa ha unificato la PdL Lupi in un unico testo, inserendo elementi delle altre PP.dd.LL. Il testo così rimaneggiato non è stato né concordato, né condiviso con i gruppi dell’opposizione.

E’ importante che vi siano audizioni con EELL e Regioni, mondo professionale, prima di arrivare alla discussione in sede referente di Commissione.

Ci sono le condizioni per una intesa su un testo comune tra centro-sinistra e centro-destra?

Il quadro politico non agevola alcun dialogo, né è possibile dialogare a fronte delle disposizioni approvate dalla maggioranza: dal condono edilizio, alla svendita del patrimonio, ecc.

Vi sono poi ragioni di merito. Il testo Lupi riconduce il tema del governo del territorio ad una dimensione solo urbanistica e non affronta il governo del territorio in un accezione più ampia. Inoltre i privati diventano attori principali e fanno venire meno l’interesse pubblico su quello privato.

Il centro-sinistra deve proporre un testo di legge unitario da contrapporre a quello della destra, avendo a mente i grandi temi: la città, la tutela dell’ambiente, la sostenibilità ambientale. Però bisogna giocare la partita anche sul piano emendativo, almeno su 7/8 punti pregiudiziali di principio, che costituiscano lo spartiacque irrinunciabile per un testo comune. Questi punti sono:

- intervento legislativo per il governo del territorio e la sostenibilità e non per le sole trasformazioni edilizie-urbanistiche;

- primato del pubblico sul privato;

- territorio come bene comune e non oggetto solo del mercato;

- legalità senza ambiguità; per l’abusivismo bisogna costruire strumenti più forti.

A fronte di questo quadro non si può immaginare di raggiungere a tutti i costi una intesa per un testo comune. E’ quindi necessario: rafforzare con rapidità una proposta di tutto il centro-sinistra; allargare la partita anche al di fuori del solo ambito parlamentare, coinvolgendo EE.LL., Regioni, professioni, organizzazioni ambientaliste, ecc.; il governo del territorio deve diventare uno dei 4/5 temi centrali che devono fare parte del Programma dell’Ulivo per la prossima campagna elettorale; l’Ulivo e il centro-sinistra devono promuovere a breve un convegno nazionale sul governo del territorio.

SCANO (Polis)

(vedi il testo dell’intervento)

IANNUZZI (Margherita)

E’ giusto che il governo del territorio debba essere oggetto dell’azione del centro-sinistra per non lasciarlo alla destra.

La 1150 deve essere superata perché obsoleta; la concezione della pianificazione dal punto di vista disciplinare è modificata.

Il Titolo V della Costituzione, al quale si è riferita espressamente una recente sentenza della Corte Costituzionale, ha chiarito che il governo del territorio è materia a competenza legislativa ripartita tra Stato e Regioni.

Molte regioni non sono rimaste ferme, anche a fronte della staticità del quadro statale.

La legge dello Stato deve coordinarsi con quanto fatto dalle Regioni alla luce delle accresciute competenze locali.

La legge dello Stato deve dettare principi nobili e vincolanti verso le Regioni, nell’ambito delle loro competenze. E’ importante, quindi, che la legge statale sia precettiva.

Bisogna fare i conti con l’accelerazione imposta da Forza Italia con il PdL Lupi. Intendono “calendarizzare” il testo prima della scadenza elettorale di maggio/giugno. Ci dobbiamo confrontare con questa situazione, acquisire le opinioni delle Regioni, degli EE.LL., delle professioni, ecc.

Questa scadenza di riforma deve fare i conti con il fenomeno, molto sviluppato, dell’abusivismo. Bisogna prevedere un potere di vigilanza in capo all’autorità Statale.

La legge statale deve porre il Comune come principale referente.

Se per quanto riguarda il rapporto pubblico/privato non si può prescindere dal quadro legislativo vigente, questo non deve significare azioni casuali, volta per volta: questo modo va contrastato. Gli atti tra pubblico/privato (urbanistica contrattata, perequata, ecc.) non possono scardinare l’assetto strutturale degli strumenti di pianificazione in capo al soggetto pubblico.

Il territorio non urbanizzato va sottratto alla nuova edificazione. Tutte le politiche, anche fiscali, devono puntare ad agevolare il recupero ed il riuso dell’esistente, piuttosto che incentivare il nuovo. Ci devono essere regole chiare: non si può assolutamente continuare lo sviluppo edilizio/urbanistico nel territorio extra-urbano. Il territorio extra-urbano va tutelato.

Va incentivata la qualità urbana.

CERULLI-IRELLI

Il governo del territorio è materia di legislazione concorrente.

La legge quadro di principi sul governo del territorio deve espandersi alla tutela ambientale. Su questa sfera non ci sono limiti. Ci si può estendere con norme cogenti. Gli enti locali sono deboli, dobbiamo aiutarli.

Bisogna affermare il principio che il territorio, in quanto costituisce il complesso dei luoghi della vita comune, è di interesse pubblico, della collettività. Si deve sancirlo come principio. Il territorio non urbanizzato che si è salvato dall’aggressione umana, è diventato tutto un insieme di beni ambientali, universalmente riconosciuto. Cade, quindi, il concetto del bene ambientale come “bello” da vincolare, mentre tutto diventa bene ambientale da salvare. Questo concetto bisogna acquisirlo sul piano giuridico. Bisogna sottrarre queste aree dalla trasformazione urbanistica. In queste aree le politiche e le azioni devono essere rivolte a ripristinare il preesistente.

Ne deriva, tra l'altro, che i beni ambientali, sottoposti a vincolo, anche di totale intrasformabilità, lo sono non per determinazione discrezionale del pianificatore, ma in quanto aventi intrinseco interesse pubblico, per cui i relativi vincoli non sono da indennizzare.

Il condono edilizio è il fallimento della politica della pessima pianificazione. Ci sono norme sbagliate da correggere, non c’è dubbio; ma c’è un Paese incivile. Nessuno demolisce. Gli EE.LL. sono in difficoltà e sono deboli, sottoposti a pressioni di ogni tipo e non effettuano alcuna demolizione. Ci vogliono norme cogenti. Bisogna quindi che i fabbricati abusivi abbiano la vocazione, ex-lege, di essere di proprietà pubblica, separando ciò dal provvedimento amministrativo. Bisogna elaborare una proposta che tenga conto di questo.

Sulla pianificazione territoriale. E’ vero il Comune è soggetto centrale, ma c’è stata anche un eccesso di pianificazione: ogni comune ha una sua zona industriale, 200 comuni = 200 zone industriali. E’ necessario assolutamente un livello sovraordinato, che sia la Provincia o altro. Va però sicuramente rafforzato il ruolo di un livello sovraordinato a quello comunale. Anche le pianificazioni di settore vanno recepite dal livello sovraordinato. E la pianificazione sovraordinata, e questo va scritto con chiarezza nella legge, deve essere cogente, perlomeno per alcuni punti nodali.

Nella legge va poi inserita la tutela dei centri storici, intesi come beni culturali.

Sulla perequazione. Il principio va scritto nella legge quadro, ma la perequazione non va generalizzata a tutto il territorio, ma va applicata solo alle aree di sviluppo e non a quelle esterne. Il principio va quindi circoscritto alle sole zone di sviluppo urbano.

La legge quadro deve stabilire procedimenti chiari e certi, visto che c’è una pluralità di centri di interesse. Forse va anche individuato l’Ente responsabile di questi procedimenti, l’istituzione che costituisca luogo di raccordo anche con la pianificazione di settore. Questo luogo è, a mio avviso, la Provincia.

DE LUCIA

Sottolinea il consenso all’introduzione di Scano e condivide l’intervento di Irelli. Ritiene che sia indispensabile arrivare ad una legge proclama del centro-sinistra che si contrapponga a quella proclama del centro-destra. Bisogna impedire la controriforma Lupi, che, ahimè, piace molto all’INU e a settori professionali del vecchio modo del fare urbanistica. Milano, dove Lupi è stato assessore all’urbanistica, non ha praticamente più il PRG: il PRG è diventato il catasto urbanistico su cui si registrano a posteriori le contrattazioni avvenute. Il caposaldo è l’accordo di programma. Ma la linea milanese non è più il mercato, è solo un formidabile rilancio della speculazione edilizia e urbanistica, ammantata di nomi nuovi.

Scalfari ha scritto su Repubblica di sabato 31 gennaio scorso del tentativo di riforma urbanistica e dei suoli. Nel ' 64 si era anche appena nazionalizzata la produzione dell'energia elettrica, ma il "rumore di sciabole" che si udì, cioé i tentativi di colpo di stato di cui si ebbe sentore, si dovettero piuttosto alle proposte di nuova legge sull'urbanistica e i regime dei suoli. La lezione del ’64 fa paura e da allora la questione dei suoli è stata abbandonata dalla sinistra. E questo è stato confermato anche dal recente numero di Micromega sul quale è apparso una sorta di programma della sinistra, dal quale però manca completamente ogni riferimento alla pianificazione urbanistica. L’appello di Salzano sottoscritto da molti e inviato a D’Arcais non ha ottenuto alcuna risposta. Non scordiamoci mai che la delegittimazione della pianificazione è stata una della cause principali di Tangentopoli.

La pianificazione non è un tabù in sé come tale, ma la buona pianificazione si. Invece c’è la voglia di buttare il bambino con l’acqua sporca. Il bambino è la tutela dell’interesse pubblico.

BUONADONNA (RC)

Denuncia che sta avvenendo un processo di trasferimento dei poteri decisionali della pianificazione, dall’esclusività del pubblico al privato, al mercato, attraverso la contrattazione e la perequazione. Si tratta di un processo di privatizzazione. Teorizzare e praticare i processi negoziali ai quali il PRG si deve adeguare è finalizzato alla sola valorizzazione della rendita fondiaria. Tutto è oggetto di mercanteggiamento. Vedi l’Inu che loda il PdL Lupi: è scandaloso considerare in principio che cancella il primato dell’interesse pubblico su quello privato. Tra il Consiglio comunale e l’impresa è questa seconda che vince. Bisogna in sostanza ricondurre nell’ambito del potere pubblico, nello spirito della legge 1150, la pianificazione urbanistica.

MAMBRIANI

Sottolinea brevemente alcuni oggetti che a suo avviso vanno evidenziati nella legge quadro:

lo standard minimo: va prescritto nella legge;

sulla sostenibilità: va posta meno attenzione agli interessi delle attività produttive;

sulle demolizioni: sono utili, le cose peggiori vanno demolite;

sulla partecipazione della comunità: va impostata sulle politiche ambientali.

PECORARO SCANIO (Verdi)

Quella del governo del territorio è una delle prime riforme da fare.

Bisogna contrastare alcuni ubriacamenti del mercato, dell’uso privatistico ed il mito del profitto. Bisogna chiudere le voragini ma anche le crepe dell’ubriacatura che si sono aperte nel centro-sinistra. Non si può fare la riforma urbanistica se non si fissano paletti etici. Il territorio è un valore: si deve costruire bene e il problema è dove. La politica detta le regole e il mondo imprenditoriale le rispetta.

La riforma urbanistica deve essere uno dei punti qualificanti del programma unitario del centro-sinistra. Il mito che il privato gestisca meglio del pubblico, va contrastato e va corretto anche nel centro-sinistra. Il black-out dell’Enel, gli incidenti ed il malfunzionamento delle FF.SS. per mancata manutenzione sono emblematici.

Le cose che hanno valore pubblico non possono essere gestite dal privato perché questo tiene conto solo del profitto e non del servizio.

L’ambiente e il territorio devono avere una gestione pubblica e un’etica di servizio.

Bisogna poi che il centro-sinistra discuta su cose concrete e serie, sul programma e non su tricicli e simili.

TURRONI (Verdi)

Bisogna contrapporsi agli avversari della CdL con un testo di legge del centro-sinistra, che si contrapponga alla visione mercantile del governo del territorio e dell’uso della città, perché: 1) è una battaglia politico-culturale; 2) bisogna arrivare a un testo comune; 3) bisogna arrivare a un testo condiviso nel centro-sinistra per fissare i punti dell’urbanistica e del governo del territorio nel programma politico del centro-sinistra.

Bisogna quindi arrivare ad un appuntamento per lanciare una proposta e una campagna comune per ripristinare la pianificazione, la tutela e il recupero dei centri storici, la tutela del paesaggio e dell’ambiente.

Mi conforto degli interventi perché mi pare che ci siano le condizioni politiche nel centro-sinistra per arrivare ad un punto comune.

Il principio di pianificazione

Il principio di pianificazione potrebbe essere enunciato così: ogni ente elettivo di primo grado a rappresentanza generale, che abbia competenza circa scelte suscettibili di incidere sull’assetto del territorio (localizzazione e finanziamento di opere, definizione di ambiti territoriali ecc.), deve esprimere tali scelte attraverso un atto di pianificazione. Deve esprimerle cioè in un procedimento trasparente che consenta a tutti gli interlocutori di valutare e verificare la coerenza tra le differenti scelte territoriali e di comprenderne gli effetti. Che sia perciò tradotto in un insieme di precetti riferito al territorio attraverso una cartografia di adeguata precisione: un “piano”.

Solo la piena affermazione di questo principio può consentire di evitare alcune malattie endemiche, in Italia, del governo del territorio. La malattia del conflitto tra interessi statali diversi (ad esempio: ambiente e infrastrutture) che si presentano contrapposti solo perché non si è praticata la procedura di composizione a priori (di sintesi) che la pianificazione rappresenta. La conseguente malattia della paralisi, derivante dal fatto che ciascuno degli interessi, poiché si esprime separatamente dagli altri, gode di un potere di interdizione non vincibile. La malattia della discrezionalità, derivante dal fatto che ciascun ente tratta separatamente dagli altri con i livelli di governo sott’ordinati, senza alcun impegno al coordinamento e all’effettivo mantenimento degli impegni assunti.

Applicare il principio di pianificazione significa, evidentemente, che deve esserci un livello di pianificazione sia nazionale che regionale: a meno che Stato e Regione non deleghino del tutto ai livelli di governo sott’ordinati tutte le loro competenze in merito alla grande viabilità, ai porti ed aeroporti, alle politiche di tutela ecc. ecc.

Il principio di sussidiarietà

Secondo una certa pubblicistica politica, tributaria dell’ideologia separatista di Bossi, sussidiarietà significa “tutto il potere al basso”. Nella fattispecie, attribuire tutte le competenze in materia di governo del territorio all’istanza più vicina alla gente: al comune. Ma il principio di sussidiarietà è osa un po’ diversa.

Esso nasce nell’ambito della cultura politica europea ed è stato formulato per definire la ripartizione delle competenze tra governi nazionali e organi comunitari. Precisamente, i Trattati affermano che “la Comunità interviene, in accordo con il principio di sussidiarietà, solo se, e fino a dove, gli obiettivi delle azioni proposte non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri e, a causa della loro scala o dei loro effetti, possono essere raggiunti meglio dalla Comunità.

Il principio di sussidiarietà significa perciò che, là dove un determinato livello di governo non può efficacemente raggiungere gli obiettivi proposti, e questi sono raggiungibili in modo più soddisfacente dal livello di governo sovraordinato (lo Stato nei confronti della Regione, o l’Unione europea nei confronti degli stati nazionali) è a quest’ultimo che spetta la responsabilità e la competenza dell’azione. E la scelta del livello giusto va compiuta non in relazione a competenze astratte o nominalistiche, oppure a interessi demaniali, ma (prosegue il legislatore europeo) in relazione a due elementi precisi: la scala dell’azione (o dell’oggetto cui essa si riferisce) oppure i suoi effetti.

Così, ad esempio, si può mai ipotizzare che una strada di grande comunicazione, magari connessa a un sistemi di itinerari europei, abbia rilevanza solo regionale? È certamente un’opera di scala almeno nazionale, come lo è un elemento del sistema portuale o aeroportuale nazionale: per la sua scala, appunto, e non per l’ente che vi ha competenza amministrativa o patrimoniale. Forse che la grande rete dei trasporti, che connette le varie parti del paese e i nodi del sistema insediativo e di quello produttivo, non è al servizio della “Azienda Italia” nel suo complesso? E non richiede perciò forse un loro “governo” alla scala dell’intera nazione?

Il principio di sostenibilità

Molti criticano oggi il temine “sostenibile”: in effetti, è diventato un aggettivo passepartout, può essere stiracchiato fino a coprire qualunque contenuto, anche il più devastante. Ma non c’è da meravigliarsi: succede sempre così, quando una parola diventa alla moda. A maggior ragione occorre allora precisarne il significato.

Io mi riferisco all’accezione del termine che ne è stata data nel Rapporto Brundtland, nella Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo dell’ONU, nel 1983. Per “sviluppo sostenibile - si legge nel Rapporto – si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

A ragionarci bene, è un’interpretazione ben severa. Non si tratta di trovare un qualche compromesso tra l’esigenza della conservazione e quella della trasformazione. Non si tratta di scegliere le trasformazioni in qualche modo “compatibili” con la tutela. Si tratta, invece, di rinunciare a quelle trasformazioni che comportino una riduzione delle risorse che riteniamo necessarie, oggi e domani, al genere umano. Oppure (ed è un altro modo di dire la stessa cosa) si tratta di garantire che il bilancio di ogni trasformazione porti a un miglioramento dell’insieme delle risorse disponibili: nel campo che ci interessa, a un miglioramento della qualità del territorio e della vita.

In che modo la pianificazione territoriale e urbana può farsi carico del principio di sostenibilità? Un contributo (certo non esaustivo, ma indispensabile) può esser dato dalla prescrizione che la prima fase della pianificazione, ad ogni livello, deve essere costituita dall’assidua ricognizione delle qualità naturali e storiche del territorio, e delle fragilità che ne mettono a rischio le risorse. È ciò che si tentò di fare nell’esperienza della Regione Emilia Romagna del 1985-86 e in altre esperienze di pianificazione comunale in quegli anni, ed è ciò che in sostanza hanno prescritto, in modi più o meno chiari, le nuove leggi urbanistiche della Toscana e della Liguria, e ovviamente quella del Lazio.

Naturalmente, l’individuazione delle qualità e delle fragilità non è fine a se stessa. La ricognizione del territorio deve condurre precettivamente all’individuazione delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili con le caratteristiche proprie di ogni unità di spazio, come condizione non negoziabile per ogni decisione sulle trasformazione da promuovere o consentire.

Il principio di legalità

“Fatta la legge, trovato l’inganno”: il detto è il frutto di un’antica saggezza popolare, di una lunga italica esperienza. Ma in materia di legislazione urbanistica non sono i malviventi né gli “avvocaticchi” gli autori dell’inganno: è lo stesso legislatore che provvede a scardinare surrettiziamente le regole che lui stesso ha proclamato.

Dai “piani di ricostruzione” dell’immediato dopoguerra (che sospesero l’attuazione della legge urbanistica del 1942 prima ancora di averne iniziata la sperimentazione) fino ai reiterati condoni dell’abusivismo e alla fioritura dei “piani anomali”, la storia dell’urbanistica italiana è la storia della distruzione della legge da parte del legislatore.

Perciò è importante affermare, tra i fondamentali principi della legislazione urbanistica, quello di legalità. È importante stabilire, ad esempio, che “ogni violazione delle norme urbanistiche è punita sulla base della legge nazionale” e che “essa comporta la demolizione dei manufatti abusivi da parte del proprietario e, in caso di inadempienza, il trasferimento a titolo gratuito al patrimonio pubblico del manufatto e dell’area di pertinenza, e la sua demolizione a spese del proprietario medesimo”: come si afferma nelle Schede della Commissione della Camera dei deputati. Ed è importante stabilire che la nuova legislazione abrogherà esplicitamente tutte le norme che, a partire dal 1980 a oggi, hanno promosso le pratiche deregolative e derogatorie nelle procedure del governo del territorio.

Una nota sui "piani anomali"

Sono preoccupato delle fortune che sempre più stanno ricevendo quegli strumenti urbanistici “anomali”, che dall’inizio degli anni Ottanta stanno rendendo via via più complicata – e più perversa – la pratica della pianificazione. Mi riferisco ai programmi integrati, ai programmi di recupero urbano, ai programmi di riqualificazione urbana, ai contratti di quartiere, agli accordi di programma quadro, ai contratti di programma, ai patti territoriali, ai contratti d’area, ai programmi straordinari di edilizia residenziale, e infine ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio. Ciò che accomuna la quasi totalità di questi “piani anomali” è che enfatizzano il circoscritto e trascurano il complessivo, celebrano il contingente e sacrificano il permanente, assumono come motore l’interesse particolare e subordinano ad esso l’interesse generale, scelgono il salotto discreto della contrattazione e disertano la piazza della valutazione corale.

Abbandonando le metafore, caratteristica comune di (quasi) tutti gli strumenti di pianificazione “anomali” è quello di consentire a qualunque intervento promosso da attori privati di derogare dalle regole comuni della pianificazione “ordinaria”. Di derogare cioè dalle regole della coerenza (ossia della subordinazione del progetto al quadro complessivo determinato dal piano) e della trasparenza (ossia della pubblicità delle decisioni prima che divengano efficaci e della possibilità del contraddittorio con i cittadini).

ART. 1.

(Governo del territorio)

1. In attuazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e norme di attuazione, anche con riferimento alle disposizioni del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. Sono fatte altresì salve le disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio.

2. Il governo del territorio consiste nell'insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità. Il governo del territorio comprende altresì l'urbanistica, la localizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche, l'edilizia, la difesa del suolo, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie, con esclusione della tutela dei beni culturali e del paesaggio.

Le politiche di governo del territorio sono improntate agli obiettivi della sostenibilità ambientale, con riferimento:

a) alla gestione del ciclo delle acque, quindi alla presenza di fabbisogni minimi, al contenimento dei consumi e alla completa depurazione;

b) alla limitazione del consumo di territorio;

c) alla gestione efficiente del ciclo energetico, alla riduzione dei consumi, alla promozione delle fonti energetiche rinnovabili.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull'ordinamento civile e penale, sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio, sulla tutela della concorrenza nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

ART. 2.

(Compiti e funzioni dello Stato)

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell'ambiente, l'assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale.

2. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale in ordine all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale, nonché la fissazione dei criteri per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, e per la difesa del suolo.

3-bis. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni relative al governo del territorio, in ordine alle esigenze di tutela delle competenze istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia per l'espletamento delle attività operative ed infrastrutturali per la difesa nazionale e per la gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché delle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione allo svolgimento delle attività di difesa civile e delle competenze per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, da definire con il metodo della cooperazione, mediante intese, accordi procedimentali e comitati paritetici per la concertazione in materia di territorio fra i diversi soggetti istituzionali.

ART. 3.

(Interventi speciali dello Stato)

1. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale economico e sociale, di promuovere l'abbandono di insediamenti esposti al rischio di calamità naturali o di dissesto idrogeologico e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, lo Stato predispone programmi di intervento in determinati ambiti territoriali con l'obiettivo di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

2. I programmi e gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 4.

(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione)

1. I principi di sussidiarietà, della differenziazione e dell'adeguatezza ispirano la ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati, secondo i criteri della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.

2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali e l'istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell'unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità, le sanzioni e le relative modalità di attuazione in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

2-bis. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le Regioni raggiungono intese con le Regioni limitrofe, ai sensi dell'articolo 117, comma 8 della Costituzione.

3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

4. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso ed assicurano le risorse necessarie. Lo Stato definisce, d'intesa con le regioni e le province, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio di base o per la pianificazione del territorio.

5. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l'attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

6. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.

ART. 5.

(Programmazione e pianificazione del territorio)

1. Il comune è l'ente preposto alla pianificazione urbanistica ed è il soggetto primario delle funzioni di governo del territorio.

2. Le regioni, nel rispetto delle competenze e funzioni delle province, individuano gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione del territorio, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale e al fine di soddisfare le nuove esigenze di sviluppo urbano, privilegiando il recupero e la riqualificazione dei territori già urbanizzati. In considerazione della specificità di determinati ambiti territoriali ed in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e adeguatezza, le regioni promuovono forme di cooperazione fra enti territoriali finalizzate alla loro pianificazione ed alla programmazione e gestione integrate dei servizi. Favoriscono altresì l'aggregazione dei comuni e la pianificazione intercomunale. I piani relativi a tali ambiti non possono avere, con esclusione delle sole materie preordinate, un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali.

3. Il piano urbanistico è lo strumento di disciplina complessiva del territorio comunale e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione o piano settoriale o di area vasta concernente il territorio.

4. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree extraurbane a destinazione non agricola di riserva urbanistica.

5. Nelle aree destinate all'agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente. Nelle aree di riserva urbanistica la nuova edificazione è consentita solo se finalizzata al soddisfacimento delle esigenze del fabbisogno di edilizia sociale o qualora non esistano alternative alla riorganizzazione funzionale della edificazione esistente previa valutazione di compatibilità ambientale. Nella formazione del piano urbanistico priorità va riservata al recupero, alla ristrutturazione, all'adeguamento del patrimonio immobiliare esistente, anche attraverso adeguati incentivi fiscali.

6. La pianificazione urbanistica si attua attraverso modalità strutturali e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione.

ART. 6.

(Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L'entità dell'offerta di servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l'obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati. Le regioni determinano i criteri di dimensionamento per i servizi che implicano l'esigenza di aree e relative attrezzature.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.

3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica per la realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche, decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire. Il vincolo preordinato all'espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell'ammontare dell'indennità di esproprio dell'immobile, da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.

ART. 7.

(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.

2. Nell'ambito della formazione degli strumenti urbanistici, deve essere garantita la partecipazione al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo ed adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o al rigetto delle stesse. Nell'attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all'esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l'amministrazione procedente. I soggetti responsabili degli strumenti di piano hanno obbligo di esplicita ed adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell'ambito del procedimento ed ai princìpi di cui alla presente legge.

3. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e di approvazione del piano urbanistico e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione, i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilità con gli strumenti di programmazione economica e con ogni disposizione o piano settoriale o di area vasta concernente il territorio, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonché determinano analoghi termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

4. Con l'adozione dei piani urbanistici gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni ai piani settoriali o di area vasta, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L'atto di approvazione del piano urbanistico contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano settoriale o di area vasta, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare del piano modificato.

5. L'ente di pianificazione urbanistica può concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei principi di imparzialità amministrativa, trasparenza, di concorrenzialità di pubblicità e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all'intervento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.

5-bis. L'ente di pianificazione urbanistica promuove l'adozione di strumenti attuativi che favoriscono il recupero delle dotazioni territoriali di cui all'articolo 6, anche attraverso piani convenzionati stipulati con soggetti privati e accordi di programma.

ART. 8.

(Attuazione del piano urbanistico).

1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L'attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. Le previsioni della pianificazione urbanistica possono essere attuate anche sulla base dei criteri di perequazione e compensazione i cui parametri devono essere fissati nei piani strutturali.

3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese negli ambiti territoriali oggetto di trasformazione urbanistica.

4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali omogenei.

5. Al fine di mantenere il limite massimo complessivo di edificazione dei predetti ambiti omogenei è possibile individuare alcune aree da dotare di indici di edificabilità incrementabili.

6. A fronte di benefici pubblici aggiuntivi rispetto a quelli dovuti e comunque coerenti con gli obiettivi fissati nel piano urbanistico nel medesimo possono essere previste forme di premialità, consistenti nell'attribuzione di indici differenziati, determinati in funzione dei predetti obiettivi, per interventi di riqualificazione urbana e di recupero ambientale.

7. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all'espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.

8. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.

9. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti.

ART. 9.

(Misure di salvaguardia).

1. Con legge regionale sono definite le misure di salvaguardia che devono essere deliberate nelle more dell'approvazione degli atti di contenuto operativo del piano urbanistico.

ART. 10.

(Attività edilizia).

1. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia soggette e quelle non soggette a titolo abilitativo, le categorie di interventi e le condizioni in base alle quali il soggetto interessato ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

2. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi.

3. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

4. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi da parte del soggetto competente, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.

5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civili per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento, nonché per le omissioni nell'esercizio delle funzioni di controllo.

ART. 11.

(Fiscalità urbanistica).

1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico ai sensi dell'articolo 8, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.

2. Le plusvalenze ed i ricavi conseguenti ai trasferimenti degli immobili o dei diritti edificatori di cui al precedente comma, in alternativa al regime ordinario, sono soggetti all'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito pari al 4 per cento del valore dichiarato in atto.

3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali, l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'immobile o del diritto edificatorio così ottenuto.

4. Nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di Comuni, l'ICI può essere ridistribuita tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell'area e in relazione alla partecipazione delle singole Amministrazioni comunali al consorzio.

5. II Governo è delegato ad emanare, entro dodici mesi dell'entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani. Il regime fiscale speciale dovrà prevedere un quadro omogeneo di agevolazioni anche procedurali per tutti gli interventi di recupero di aree urbane degradate, di adeguamento antisismico degli edifici pubblici e privati, nonché di nuova edificazione o adeguamento degli edifici esistenti, secondo criteri di risparmio e di efficienza energetica e di bioedilizia.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - Com'è noto il nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione, assegna la materia del "governo del territorio" alla competenza concorrente tra Stato e regioni.

L'espressione usata dal legislatore del 2001 è del tutto nuova per il contesto costituzionale e politico italiano. In passato, infatti, siano stati abituati a misurarci con temi quali l'"urbanistica", l'"assetto del territorio", l'"edilizia", tali, infatti, erano le locuzioni utilizzate al fine di eliminare le competenze legislative e amministrative regionali.

Oggi, però, nel nostro ordinamento giuridico e istituzionale si pone una esigenza assolutamente non procrastinabile: quella di un intervento legislativo volto a chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata in Costituzione.

In questo senso, l'iniziativa che qui viene proposta ha un valore, senza timore d'enfasi eccessiva, di portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica n. 1150 del 1942.

Pienamente in accordo con l'evoluzione costituzionale avviata nel 2001 ed attualmente ancora in fase di attuazione e correzione, la presente proposta di legge ha l'obiettivo non solo di fissare i princìpi fondamentali della materia, ma anche di individuare il nuovo oggetto di questa competenza, definendo i soggetti, i mezzi e le procedure amministrative che guideranno le regioni nella determinazione delle norme disciplinanti l'oggetto del governo del territorio.

Altro elemento qualificante della proposta che si sottopone all'esame parlamentare è il profondo rispetto per il nuovo ruolo costituzionalmente fissato per le regioni in questo settore. Più volte si è assistito ad una legislazione statale di "ritaglio" delle competenze regionali, finalizzata a differenziare le discipline al solo fine di mantenere allo Stato centrale un ruolo di gestione e di dettaglio, non più coerente con il sistema costituzionale ed, altresì, foriero di duplicazioni e complicazioni burocratiche sempre crescenti.

Centrale, viceversa, dev'essere il ruolo dello Stato nel fissare i valori unificanti e gli elementi strutturali del sistema di azione e governo territoriale.

La scelta del progetto di legge è, dunque, chiaramente quella della legislazione statale di principio, aperta all'apporto ed alla integrazione normativa delle regioni. In questa direzione, essendo consapevoli delle interferenze tra materie concorrenti - quali il governo del territorio - e materie esclusive statali - quali ad esempio la tutela ambientale e degli ecosistemi - si è scelto di concepire unitariamente la regolazione attuativa, assegnando la potestà regolamentare in materia ambientale (che lo Stato avrebbe potuto riservare a sé) alle regioni, a completamento della devoluzione normativa di governo del territorio.

In tal senso, questa proposta di definizione dei princìpi e delle linee essenziali di assetto delle competenze legislative regionali e statali sul governo del territorio, muove da, e allo stesso tempo promuove, una rivoluzione culturale circa il rapporto tra autorità pubblica e territorio, fondato non più su visioni dirigistiche e "statocentriche" dell'azione pubblica ma su una vera e propria sussidiarietà territoriale.

In particolare, il progetto di legge che si propone all'approvazione prevede, nei singoli articoli, quanto segue.

Articolo 1.

La proposta di legge, in primo luogo, definisce il concetto di governo del territorio. Con l'espressione "governo del territorio", usato per la prima volta nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, si è voluto individuare una materia caratterizzata, come altre, da un forte grado di complessità: in essa rientra la regolamentazione dell'aspetto morfologico del territorio e la disciplina delle interazioni tra questo e gli interessi economico-sociali espressi dalla società civile.

Si tratta, quindi, di un insieme complesso di ambiti tra cui rientrano, volendo esemplificare, tanto lo statuto della proprietà immobiliare, quanto il riordino del sistema della fiscalità territoriale, tanto l'espropriazione, quanto i vincoli ricognitivi o quelli a contenuto sostanzialmente espropriativo, tanto i rimedi alle sovrapposizioni tra pianificazione ambientale e urbanistica, quanto l'integrazione delle varie politiche riguardanti il territorio, tanto il coordinamento tra disciplina urbanistica e lavori pubblici, quanto, infine, il rapporto tra servizi pubblici e territorio di riferimento.

Come in precedenza sottolineato, alla regione viene delegata la potestà regolamentare in materia di beni culturali e di tutela dell'ambiente.

La ragione di tale attribuzione è, evidentemente, quella di assicurare una unitarietà normativa, sul piano attuativo, essenziale per la reale efficacia operativa, e per rendere omogenea la disciplina globale del territorio.

Infine, l'appartenenza del nostro territorio nazionale a quello che si definisce lo "spazio comune europeo", oggetto di politiche e di azioni via via sempre più incisive da parte della Unione europea, impone di individuare un nuovo modo di governare l'assetto del territorio e l'uso del suolo, un tempo basato sulla netta ripartizione di poteri e competenze in materia di assetto del territorio - prevalentemente imputati allo Stato - e quello sull'uso del suolo - prevalentemente imputati agli enti territoriali e locali.

Il moderno processo di urbanizzazione ha fatto divenire irrilevante questa distinzione. Il rapporto tra assetto ed uso, un tempo evidente gerarchicamente definito e come tale governabile con attribuzioni di poteri e competenze nettamente ripartite anche per quanto riguardava la pianificazione del territorio e la programmazione degli interventi, oggi lo è molto meno.

Da qui anche le necessità di individuare una serie di politiche nelle quali appunto quella del territorio si sotanzia. Innanzitutto quella rivolta all'Unione europea per la costruzione della politica territoriale comune, ossia di un territorio federatore di Stati.

Quindi la politica di declinazione verso il locale di tale politica, che in questo caso è rappresentato dal territorio dello Stato. Da realizzare in forma coordinata oggetto di esplicita contrattazione con gli altri soggetti istituzionali.

Articolo 2.

La proposta di legge regola le modalità di esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale, fissando il criterio che in materia di governo del territorio, è essenziale un'azione congiunta Stato-regioni, da attuare in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.

Ciò al fine di assicurare unitarietà ed efficacia all'azione amministrativa, spesso resa frammentaria ed improduttiva da contrasti istituzionali.

Inoltre la concertazione preventiva dell'attività di amministrazione costituisce sperimentando metodo di efficacia operativa.

Articolo 3.

La norma, regola, principalmente il rapporto tra pubblico e privato.

All'amministrazione, in tutti i suoi livelli, compete la definizione delle scelte fondamentali, degli obiettivi e dei mezzi per conseguirli; all'operatore privato la cooperazione nelle scelte attuative, in un logica di reciproca responsabilità, avendo ambedue come riferimento il cittadino e la persona, come utente del territorio e della città, che esprime esigenze da soddisfare in termini di vivibilità.

La pianificazione, quindi, deve delineare obiettivi da consesguire cui corrispondono progetti attuativi da confrontare in termini di bilancio socio-economico.

Si deve inoltre cominciare a parlare di negoziazione delle politiche territoriali tra Stato e regioni: ad esempio, gli aspetti localizzativi delle grandi infrastrutture devono essere una conseguenza dell'accordo raggiunto e non la premessa sulla quale scontrarsi.

Infine è di fondamentale importanza la previsione, del tutto innovativa, che l'attività amministrativa dovrà svolgersi, prioritariamente, secondo un modello negoziale anziché, come da secolare tradizione, secondo il consolidato schema autoritativo.

Articolo 4.

L'articolo 4 affaccia il principio dell'unitarietà del livello di pianificazione, secondo un criterio che, per chiarezza e sia pur in modo approssimativo, può essere così esplicitato: un territorio, una autorità, un piano.

E' di tutta evidenza l'importanza e la novità di siffatta previsione. Ovunque, ormai, sul medesimo territorio si sovrappongono piani diversi aventi frequentemente disposizioni incompatibili fra loro (piani urbanistici, piani paesistici, piani di bacino, piani dei parchi e così via). Una babele normativa che oggi genera conflittualità, incertezza applicativa, defatigante contenzioso, in una parola paralisi operativa.

Prevedere dunque che la disciplina degli interventi sul territorio debba trovar sede in un unico piano significa introdurre un profonda modificazione nel nostro sistema normativo dalla quale derivano rilevanti conseguenze.

Affinché, infatti, ciò sia possibile occorre procedere alla individuazione dell'ambito ottimale di pianificazione, non necessariamente coincidente con quello comunale e variabile a seconda delle caratteristiche naturali e socio-economiche dei luoghi, nonché delle esigenze di infrastrutture e servizi il più delle volte trascendenti lo stretto ambito comunale. Occorre poi individuare anche l'autorità cui attribuire il potere di effettuare tale rilevantissima scelta. Autorità alla quale, di conseguenza, competerà anche la determinazione del soggetto titolare del potere di pianificazione urbanistica. Si tratterà della figura soggettiva, fra quelle istituzionalmente presenti sul territorio (comuni, province, città metropolitane, consorzi di gestione, comunità montane ed altre forme associative) che verrà ritenuta maggiormente idonea ad assicurare l'obiettivo di tale unitarietà di pianificazione in relazione, ovviamente, ai criteri secondo i quali è stato determinato l'ambito ottimale di pianificazione stessa.

Secondo le previsioni dell'articolo 4 spetta alle regioni individuare sia l'ambito ottimale di pianificazione sia l'ente competente alla pianificazione territoriale. In attesa delle determinazioni regionali, la proposta di legge individua nel comune tale ente. Il piano urbanistico è redatto nel rispetto delle direttive nazionali e regionali ed è comprensivo di ogni altra previsione di contenuto territoriale, ponendosi come unico strumento di pianificazione del territorio di competenza. Tale caratteristica obbedisce ad una sentitissima esigenza di semplicità e chiarezza, per superare la tradizionale stratificazione dei piani urbanistici che è sicura fonte di incertezza, di paralisi operativa se non anche di abuso. Tale onnicomprensività richiede il raccordo con tutti gli strumenti di pianificazione incidenti su un dato territorio, in specie con quelli di natura settoriale assai numerosi e vari. A tal fine la proposta di legge attribuisce al piano urbanistico il potere di ricomprendere e coordinare le previsioni settoriali introducendo le necessarie modificazioni di adeguamento affinché tale recepimento sia coerente con le scelte di pianificazione locale, ed abbia effettività unificante. E' dunque in tal modo inequivocabilmente affermata la centralità e la unitarietà del piano urbanistico, caratteristiche che sole giustificano l'eventuale sacrificio della tradizionale competenza pianificatoria dei comuni. La proposta di legge, pur lasciando ovviamente alle regioni ampio spazio dispositivo in ordine alla strutturazione del piano urbanistico, ne delinea una generalissima articolazione in un documento di scelte strategiche ed in altro regolatore degli usi del suolo. E ciò in coerenza con i più recenti ed apprezzati sviluppi dell'elaborazione scientifica in materia. A ragione di assicurare uniformità dispositiva, almeno per le aree non urbanizzate, risponde l'obbligo di una loro suddivisione fra quelle destinate all'agricoltura, quelle di pregio ambientale e quelle destinate ad utilizzazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico in atto. Una suddivisione, di certo non esaustiva di tutte quelle possibili, ma fondamentale per garantire, in particolare, rilevanza e tutela alle aree ad utilizzazione agricola ed a quelle ritenute, a vario titolo dal piano urbanistico stesso, come meritevoli di tutela e valorizzazione ambientali.

Articolo 5.

La disciplina delle dotazioni per servizi pubblici ha ricevuto, in anni recenti, copiosissima regolamentazione nelle varie legislazioni regionali, al punto che è parso opportuno limitare l'intervento del legislatore statale alla fissazione di essenziali princìpi, in parte già presenti in alcune disposizioni regionali e già oggetto di esperienze applicative locali.

In primo luogo si afferma il criterio della non necessaria "realità" delle dotazioni per servizi pubblici o di interesse pubblico, potendo le stesse dotazioni trovar traduzione, oltre che nelle tradizionali forme di fruizione di aree ed edifici anche, ad esempio, in servizi resi alla collettività, in base ad atto convenzionale, o in altra forma di prestazione idonea d assicurare il soddisfacimento di un pubblico bisogno.

Altro principio posto è quello del requisito necessario dell'accessibilità e della fruibilità delle dotazioni territoriali e, in ossequio al principio di sussidiarietà, di incentivazione dell'iniziativa dei soggetti interessati, privati e loro forme associative, affinché la individuazione di dette dotazioni nasca da un reale confronto tra soggetti pubblici e privati, questi ultimi valorizzati per gli aspetti propositivi e gestionali.

Infine l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999) ha trovato traduzione nella previsione della durata quinquennale dei cosiddetti vincoli non ricognitivi.

Articolo 6.

La regolamentazione del procedimento di formazione ed approvazione del piano urbanistico è certamente questione di pretta rilevanza regionale. Ne consegue che alla legge di principio compete unicamente la affermazione dei consueti e necessari criteri di partecipazione e di pubblicità, nonché la fissazione e disciplina dei casi di sottoposizione del piano a valutazione di compatibilità da parte di altro ente. Si tratta, quest'ultima, di disposizione che assume particolare rilevanza in quanto esclude ogni forma di approvazione del piano urbanistico da parte di ente diverso da quello cui compete l'approvazione stessa, e che inoltre circoscrive ogni successiva valutazione alla compatibilità del piano urbanistico con altri atti di pianificazione e programmazione escludendo ad esempio ogni riscontro di conformità.

Particolare rilievo è, poi, dato agli atti di programmazione negoziata la cui utilizzazione è via via cresciuta nel tempo come strumenti idonei a collegare, con la necessaria flessibilità, le esigenze delle istituzioni pubbliche con quelle degli operatori privati. A tali atti è riconosciuto un ruolo essenziale nell'attuazione delle scelte strategiche di intervento contenute nel documento programmatico del piano urbanistico.

All'esigenza di evitare vuoti normativi risponde, da ultimo, la previsione dell'obbligatorietà di ripianificazione, in tempi certi, a seguito del venir meno, anche per intervento giurisdizionale, di una previsione urbanistica.

Articolo 7.

Le disposizioni sulla perequazione e compensazione costituiscono la trascrizione normativa dei princìpi fondamentali in tema di regime o statuto della proprietà.

Da decenni si dibatte in merito al problema del contenuto minimo della proprietà in termini di diritto all'edificazione e di indennizzibilità dei vincoli e della loro attualizzazione.

Alla base vi è la finalità di rendere omogeneo il sistema delle prescrizioni urbanistiche relative all'edificabilità privata e dall'acquisizione di aree per il soddisfacimento dei servizi ed infrastrutture funzionali agli insediamenti urbani, evitando perciò situazioni di privilegio e di penalizzazione.

Si intende anche ridurre tendenzialmente il ricorso all'istituto dell'esproprio, fonte di contenziosi giudiziari e di aggravi finanziari per le amministrazioni.

Per conseguire tali finalità, si invitano le regioni ad introdurre nel loro ordinamento normativo i princìpi della perequazione, da utilizzare nella fase di programmazione delle scelte urbanistiche di carattere generale, e della compensazione, cui far ricorso nella fase della gestione urbanistica.

Ne discende che in ambiti omogenei i proprietari hanno gli stessi diritti e doveri in relazione ai diritti edificatori e agli obblighi di soddisfacimento di dotazioni urbanizzative, proprio in una logica di equa distribuzione in ossequi ai princìpi enunciati negli articoli 3 e 42 della Costituzione.

Nel contempo i titolari di aree non ricomprese negli ambiti ed incise da vincoli esporpriativi, potranno, ove l'amministrazione non intenda far ricorso comunque all'esproprio, permutare il proprio bene con uno pubblico, trasferire i diritti edificatori su un'area edificabile ovvero realizzare, previo convenzionamento per la gestione, l'opera privata di interesse generale che soddisfi l'esigenza del servizio individuato dal piano.

Al fine di attivare tali forme di compensazione, le amministrazioni potranno precostituirsi un patrimonio di aree da destinare alla permuta mediante acquisizione finalizzata delle stesse nell'ambito dei piani attuativi.

Le regioni potranno altresì destinare finanziamenti a favore dei territori nei quali ricadono vincoli che limitano lo sviluppo economico, proprio in una logica di compensazione territoriale.

Il ricorso a forme compensative sarà attivabile anche per la valorizzazione ambientale ovvero per la rilocalizzazione di funzioni urbane.

Potranno essere altresì individuati bonus o premialità per gli interventi di riqualificazione urbana a fronte del conseguimento di maggiori utilità anche in termini di servizi aggiuntivi, di qualità urbanistica ed ambientale nonché di edilizia sociale.

Articolo 8.

All'attribuzione della potestà di pianificazione dell'ambito di competenza dell'ente istituzionalmente preposto, è strettamente correlato l'obbligo per lo stesso di esercitare la vigilanza ed il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie realizzate sul proprio territorio, per poter reprimere tempestivamente le forme di illegalità, distinguendo tra abusi formali e sostanziali.

Al fine da rendere efficace e tempestiva tale attività di repressione, le regioni dovranno codificare gli opportuni interventi sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti al dovere di adozione dei provvedimenti cautelari e sostanziali.

In tema di titoli abilitativi, una volta chiarito, nelle disposizioni finali, che è inderogabile la disciplina sanzionatoria penale e civile statale e che la stessa non è ricollegata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla fattispecie di intervento da realizzare ed alla sua incidenza in termini di carico urbanistico, viene totalmente rimessa alla regione la determinazione dell'obbligo o meno dell'acquisizione del titolo abilitativo, dell'alternatività tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività, nonché della spettanza o meno del contributo di edificazione.

Il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo viene connotato dalla previsione di un termine perentorio alla cui scadenza l'istanza si intende accolta. In tal modo è assicurata così la certezza dei tempi per l'inizio dei lavori, in analogia con quanto disposto per la denuncia di inizio attività che acquista piena efficacia dopo il decorso del termine per l'espletamento del controllo da una parte dell'amministrazione.

Articolo 9.

Infine occorre risolvere la pregiudiziale fiscale che rallenta o impedisce i processi di attuazione di nuovi piani di gestione urbanistica, rendendo neutrali sotto il profilo fiscale i trasferimenti intermedi. A tal fine gli scambi di aree e fabbricati interessati all'intervento vengono detassati sia se realizzati da soggetti privati che da esercenti attività commerciale.

In particolare, per quanto attiene le imposte sull'acquisto è previsto che i trasferimenti di immobili e diritti edificatori sono in ogni caso soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dall'acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area.

Per quanto attiene alle imposte sulle plusvalenze, in alternativa al regime ordinario è prevista l'opzione per un regime a tassazione "separato" mediante l'applicazione di una imposta sostitutiva del 4 per cento da applicare sul valore dell'immobile determinato a seguito di una perizia, così come previsto dall'articolo 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002). In tale ambito, è previsto che nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da persone fisiche, l'imposta sia dovuta in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre qualora la stessa sia conseguita da esercenti attività di impresa, la stessa è accantonata in un apposito fondo e risulterà esigibile solo all'atto del trasferimento dell'immobile realizzato (o del diritto edificatorio così ottenuto) in attuazione del piano urbanistico.

Articolo 10.

La disposizione di chiusura richiama gli altri princìpi generali complementari alla materia del governo del territorio e contenuti nelle leggi in materia di edilizia, con le specificazioni sopra evidenziate, espropriazione, difesa del suolo e tutela dei beni culturali ed ambientali in ossequio a quanto disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.

Onorevoli Colleghi! - Com'è noto il nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione, assegna la materia del "governo del territorio" alla competenza concorrente tra Stato e regioni.

L'espressione usata dal legislatore del 2001 è del tutto nuova per il contesto costituzionale e politico italiano. In passato, infatti, siano stati abituati a misurarci con temi quali l'"urbanistica", l'"assetto del territorio", l'"edilizia", tali, infatti, erano le locuzioni utilizzate al fine di eliminare le competenze legislative e amministrative regionali.

Oggi, però, nel nostro ordinamento giuridico e istituzionale si pone una esigenza assolutamente non procrastinabile: quella di un intervento legislativo volto a chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata in Costituzione.

In questo senso, l'iniziativa che qui viene proposta ha un valore, senza timore d'enfasi eccessiva, di portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica n. 1150 del 1942.

Pienamente in accordo con l'evoluzione costituzionale avviata nel 2001 ed attualmente ancora in fase di attuazione e correzione, la presente proposta di legge ha l'obiettivo non solo di fissare i princìpi fondamentali della materia, ma anche di individuare il nuovo oggetto di questa competenza, definendo i soggetti, i mezzi e le procedure amministrative che guideranno le regioni nella determinazione delle norme disciplinanti l'oggetto del governo del territorio.

Altro elemento qualificante della proposta che si sottopone all'esame parlamentare è il profondo rispetto per il nuovo ruolo costituzionalmente fissato per le regioni in questo settore. Più volte si è assistito ad una legislazione statale di "ritaglio" delle competenze regionali, finalizzata a differenziare le discipline al solo fine di mantenere allo Stato centrale un ruolo di gestione e di dettaglio, non più coerente con il sistema costituzionale ed, altresì, foriero di duplicazioni e complicazioni burocratiche sempre crescenti.

Centrale, viceversa, dev'essere il ruolo dello Stato nel fissare i valori unificanti e gli elementi strutturali del sistema di azione e governo territoriale.

La scelta del progetto di legge è, dunque, chiaramente quella della legislazione statale di principio, aperta all'apporto ed alla integrazione normativa delle regioni. In questa direzione, essendo consapevoli delle interferenze tra materie concorrenti - quali il governo del territorio - e materie esclusive statali - quali ad esempio la tutela ambientale e degli ecosistemi - si è scelto di concepire unitariamente la regolazione attuativa, assegnando la potestà regolamentare in materia ambientale (che lo Stato avrebbe potuto riservare a sé) alle regioni, a completamento della devoluzione normativa di governo del territorio.

In tal senso, questa proposta di definizione dei princìpi e delle linee essenziali di assetto delle competenze legislative regionali e statali sul governo del territorio, muove da, e allo stesso tempo promuove, una rivoluzione culturale circa il rapporto tra autorità pubblica e territorio, fondato non più su visioni dirigistiche e "statocentriche" dell'azione pubblica ma su una vera e propria sussidiarietà territoriale.

In particolare, il progetto di legge che si propone all'approvazione prevede, nei singoli articoli, quanto segue.

Articolo 1.

La proposta di legge, in primo luogo, definisce il concetto di governo del territorio. Con l'espressione "governo del territorio", usato per la prima volta nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, si è voluto individuare una materia caratterizzata, come altre, da un forte grado di complessità: in essa rientra la regolamentazione dell'aspetto morfologico del territorio e la disciplina delle interazioni tra questo e gli interessi economico-sociali espressi dalla società civile.

Si tratta, quindi, di un insieme complesso di ambiti tra cui rientrano, volendo esemplificare, tanto lo statuto della proprietà immobiliare, quanto il riordino del sistema della fiscalità territoriale, tanto l'espropriazione, quanto i vincoli ricognitivi o quelli a contenuto sostanzialmente espropriativo, tanto i rimedi alle sovrapposizioni tra pianificazione ambientale e urbanistica, quanto l'integrazione delle varie politiche riguardanti il territorio, tanto il coordinamento tra disciplina urbanistica e lavori pubblici, quanto, infine, il rapporto tra servizi pubblici e territorio di riferimento.

Come in precedenza sottolineato, alla regione viene delegata la potestà regolamentare in materia di beni culturali e di tutela dell'ambiente.

La ragione di tale attribuzione è, evidentemente, quella di assicurare una unitarietà normativa, sul piano attuativo, essenziale per la reale efficacia operativa, e per rendere omogenea la disciplina globale del territorio.

Infine, l'appartenenza del nostro territorio nazionale a quello che si definisce lo "spazio comune europeo", oggetto di politiche e di azioni via via sempre più incisive da parte della Unione europea, impone di individuare un nuovo modo di governare l'assetto del territorio e l'uso del suolo, un tempo basato sulla netta ripartizione di poteri e competenze in materia di assetto del territorio - prevalentemente imputati allo Stato - e quello sull'uso del suolo - prevalentemente imputati agli enti territoriali e locali.

Il moderno processo di urbanizzazione ha fatto divenire irrilevante questa distinzione. Il rapporto tra assetto ed uso, un tempo evidente gerarchicamente definito e come tale governabile con attribuzioni di poteri e competenze nettamente ripartite anche per quanto riguardava la pianificazione del territorio e la programmazione degli interventi, oggi lo è molto meno.

Da qui anche le necessità di individuare una serie di politiche nelle quali appunto quella del territorio si sotanzia. Innanzitutto quella rivolta all'Unione europea per la costruzione della politica territoriale comune, ossia di un territorio federatore di Stati.

Quindi la politica di declinazione verso il locale di tale politica, che in questo caso è rappresentato dal territorio dello Stato. Da realizzare in forma coordinata oggetto di esplicita contrattazione con gli altri soggetti istituzionali.

Articolo 2.

La proposta di legge regola le modalità di esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale, fissando il criterio che in materia di governo del territorio, è essenziale un'azione congiunta Stato-regioni, da attuare in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.

Ciò al fine di assicurare unitarietà ed efficacia all'azione amministrativa, spesso resa frammentaria ed improduttiva da contrasti istituzionali.

Inoltre la concertazione preventiva dell'attività di amministrazione costituisce sperimentando metodo di efficacia operativa.

Articolo 3.

La norma, regola, principalmente il rapporto tra pubblico e privato.

All'amministrazione, in tutti i suoi livelli, compete la definizione delle scelte fondamentali, degli obiettivi e dei mezzi per conseguirli; all'operatore privato la cooperazione nelle scelte attuative, in un logica di reciproca responsabilità, avendo ambedue come riferimento il cittadino e la persona, come utente del territorio e della città, che esprime esigenze da soddisfare in termini di vivibilità.

La pianificazione, quindi, deve delineare obiettivi da consesguire cui corrispondono progetti attuativi da confrontare in termini di bilancio socio-economico.

Si deve inoltre cominciare a parlare di negoziazione delle politiche territoriali tra Stato e regioni: ad esempio, gli aspetti localizzativi delle grandi infrastrutture devono essere una conseguenza dell'accordo raggiunto e non la premessa sulla quale scontrarsi.

Infine è di fondamentale importanza la previsione, del tutto innovativa, che l'attività amministrativa dovrà svolgersi, prioritariamente, secondo un modello negoziale anziché, come da secolare tradizione, secondo il consolidato schema autoritativo.

Articolo 4.

L'articolo 4 affaccia il principio dell'unitarietà del livello di pianificazione, secondo un criterio che, per chiarezza e sia pur in modo approssimativo, può essere così esplicitato: un territorio, una autorità, un piano.

E' di tutta evidenza l'importanza e la novità di siffatta previsione. Ovunque, ormai, sul medesimo territorio si sovrappongono piani diversi aventi frequentemente disposizioni incompatibili fra loro (piani urbanistici, piani paesistici, piani di bacino, piani dei parchi e così via). Una babele normativa che oggi genera conflittualità, incertezza applicativa, defatigante contenzioso, in una parola paralisi operativa.

Prevedere dunque che la disciplina degli interventi sul territorio debba trovar sede in un unico piano significa introdurre un profonda modificazione nel nostro sistema normativo dalla quale derivano rilevanti conseguenze.

Affinché, infatti, ciò sia possibile occorre procedere alla individuazione dell'ambito ottimale di pianificazione, non necessariamente coincidente con quello comunale e variabile a seconda delle caratteristiche naturali e socio-economiche dei luoghi, nonché delle esigenze di infrastrutture e servizi il più delle volte trascendenti lo stretto ambito comunale. Occorre poi individuare anche l'autorità cui attribuire il potere di effettuare tale rilevantissima scelta. Autorità alla quale, di conseguenza, competerà anche la determinazione del soggetto titolare del potere di pianificazione urbanistica. Si tratterà della figura soggettiva, fra quelle istituzionalmente presenti sul territorio (comuni, province, città metropolitane, consorzi di gestione, comunità montane ed altre forme associative) che verrà ritenuta maggiormente idonea ad assicurare l'obiettivo di tale unitarietà di pianificazione in relazione, ovviamente, ai criteri secondo i quali è stato determinato l'ambito ottimale di pianificazione stessa.

Secondo le previsioni dell'articolo 4 spetta alle regioni individuare sia l'ambito ottimale di pianificazione sia l'ente competente alla pianificazione territoriale. In attesa delle determinazioni regionali, la proposta di legge individua nel comune tale ente. Il piano urbanistico è redatto nel rispetto delle direttive nazionali e regionali ed è comprensivo di ogni altra previsione di contenuto territoriale, ponendosi come unico strumento di pianificazione del territorio di competenza. Tale caratteristica obbedisce ad una sentitissima esigenza di semplicità e chiarezza, per superare la tradizionale stratificazione dei piani urbanistici che è sicura fonte di incertezza, di paralisi operativa se non anche di abuso. Tale onnicomprensività richiede il raccordo con tutti gli strumenti di pianificazione incidenti su un dato territorio, in specie con quelli di natura settoriale assai numerosi e vari. A tal fine la proposta di legge attribuisce al piano urbanistico il potere di ricomprendere e coordinare le previsioni settoriali introducendo le necessarie modificazioni di adeguamento affinché tale recepimento sia coerente con le scelte di pianificazione locale, ed abbia effettività unificante. E' dunque in tal modo inequivocabilmente affermata la centralità e la unitarietà del piano urbanistico, caratteristiche che sole giustificano l'eventuale sacrificio della tradizionale competenza pianificatoria dei comuni. La proposta di legge, pur lasciando ovviamente alle regioni ampio spazio dispositivo in ordine alla strutturazione del piano urbanistico, ne delinea una generalissima articolazione in un documento di scelte strategiche ed in altro regolatore degli usi del suolo. E ciò in coerenza con i più recenti ed apprezzati sviluppi dell'elaborazione scientifica in materia. A ragione di assicurare uniformità dispositiva, almeno per le aree non urbanizzate, risponde l'obbligo di una loro suddivisione fra quelle destinate all'agricoltura, quelle di pregio ambientale e quelle destinate ad utilizzazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico in atto. Una suddivisione, di certo non esaustiva di tutte quelle possibili, ma fondamentale per garantire, in particolare, rilevanza e tutela alle aree ad utilizzazione agricola ed a quelle ritenute, a vario titolo dal piano urbanistico stesso, come meritevoli di tutela e valorizzazione ambientali.

Articolo 5.

La disciplina delle dotazioni per servizi pubblici ha ricevuto, in anni recenti, copiosissima regolamentazione nelle varie legislazioni regionali, al punto che è parso opportuno limitare l'intervento del legislatore statale alla fissazione di essenziali princìpi, in parte già presenti in alcune disposizioni regionali e già oggetto di esperienze applicative locali.

In primo luogo si afferma il criterio della non necessaria "realità" delle dotazioni per servizi pubblici o di interesse pubblico, potendo le stesse dotazioni trovar traduzione, oltre che nelle tradizionali forme di fruizione di aree ed edifici anche, ad esempio, in servizi resi alla collettività, in base ad atto convenzionale, o in altra forma di prestazione idonea d assicurare il soddisfacimento di un pubblico bisogno.

Altro principio posto è quello del requisito necessario dell'accessibilità e della fruibilità delle dotazioni territoriali e, in ossequio al principio di sussidiarietà, di incentivazione dell'iniziativa dei soggetti interessati, privati e loro forme associative, affinché la individuazione di dette dotazioni nasca da un reale confronto tra soggetti pubblici e privati, questi ultimi valorizzati per gli aspetti propositivi e gestionali.

Infine l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999) ha trovato traduzione nella previsione della durata quinquennale dei cosiddetti vincoli non ricognitivi.

Articolo 6.

La regolamentazione del procedimento di formazione ed approvazione del piano urbanistico è certamente questione di pretta rilevanza regionale. Ne consegue che alla legge di principio compete unicamente la affermazione dei consueti e necessari criteri di partecipazione e di pubblicità, nonché la fissazione e disciplina dei casi di sottoposizione del piano a valutazione di compatibilità da parte di altro ente. Si tratta, quest'ultima, di disposizione che assume particolare rilevanza in quanto esclude ogni forma di approvazione del piano urbanistico da parte di ente diverso da quello cui compete l'approvazione stessa, e che inoltre circoscrive ogni successiva valutazione alla compatibilità del piano urbanistico con altri atti di pianificazione e programmazione escludendo ad esempio ogni riscontro di conformità.

Particolare rilievo è, poi, dato agli atti di programmazione negoziata la cui utilizzazione è via via cresciuta nel tempo come strumenti idonei a collegare, con la necessaria flessibilità, le esigenze delle istituzioni pubbliche con quelle degli operatori privati. A tali atti è riconosciuto un ruolo essenziale nell'attuazione delle scelte strategiche di intervento contenute nel documento programmatico del piano urbanistico.

All'esigenza di evitare vuoti normativi risponde, da ultimo, la previsione dell'obbligatorietà di ripianificazione, in tempi certi, a seguito del venir meno, anche per intervento giurisdizionale, di una previsione urbanistica.

Articolo 7.

Le disposizioni sulla perequazione e compensazione costituiscono la trascrizione normativa dei princìpi fondamentali in tema di regime o statuto della proprietà.

Da decenni si dibatte in merito al problema del contenuto minimo della proprietà in termini di diritto all'edificazione e di indennizzibilità dei vincoli e della loro attualizzazione.

Alla base vi è la finalità di rendere omogeneo il sistema delle prescrizioni urbanistiche relative all'edificabilità privata e dall'acquisizione di aree per il soddisfacimento dei servizi ed infrastrutture funzionali agli insediamenti urbani, evitando perciò situazioni di privilegio e di penalizzazione.

Si intende anche ridurre tendenzialmente il ricorso all'istituto dell'esproprio, fonte di contenziosi giudiziari e di aggravi finanziari per le amministrazioni.

Per conseguire tali finalità, si invitano le regioni ad introdurre nel loro ordinamento normativo i princìpi della perequazione, da utilizzare nella fase di programmazione delle scelte urbanistiche di carattere generale, e della compensazione, cui far ricorso nella fase della gestione urbanistica.

Ne discende che in ambiti omogenei i proprietari hanno gli stessi diritti e doveri in relazione ai diritti edificatori e agli obblighi di soddisfacimento di dotazioni urbanizzative, proprio in una logica di equa distribuzione in ossequi ai princìpi enunciati negli articoli 3 e 42 della Costituzione.

Nel contempo i titolari di aree non ricomprese negli ambiti ed incise da vincoli esporpriativi, potranno, ove l'amministrazione non intenda far ricorso comunque all'esproprio, permutare il proprio bene con uno pubblico, trasferire i diritti edificatori su un'area edificabile ovvero realizzare, previo convenzionamento per la gestione, l'opera privata di interesse generale che soddisfi l'esigenza del servizio individuato dal piano.

Al fine di attivare tali forme di compensazione, le amministrazioni potranno precostituirsi un patrimonio di aree da destinare alla permuta mediante acquisizione finalizzata delle stesse nell'ambito dei piani attuativi.

Le regioni potranno altresì destinare finanziamenti a favore dei territori nei quali ricadono vincoli che limitano lo sviluppo economico, proprio in una logica di compensazione territoriale.

Il ricorso a forme compensative sarà attivabile anche per la valorizzazione ambientale ovvero per la rilocalizzazione di funzioni urbane.

Potranno essere altresì individuati bonus o premialità per gli interventi di riqualificazione urbana a fronte del conseguimento di maggiori utilità anche in termini di servizi aggiuntivi, di qualità urbanistica ed ambientale nonché di edilizia sociale.

Articolo 8.

All'attribuzione della potestà di pianificazione dell'ambito di competenza dell'ente istituzionalmente preposto, è strettamente correlato l'obbligo per lo stesso di esercitare la vigilanza ed il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie realizzate sul proprio territorio, per poter reprimere tempestivamente le forme di illegalità, distinguendo tra abusi formali e sostanziali.

Al fine da rendere efficace e tempestiva tale attività di repressione, le regioni dovranno codificare gli opportuni interventi sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti al dovere di adozione dei provvedimenti cautelari e sostanziali.

In tema di titoli abilitativi, una volta chiarito, nelle disposizioni finali, che è inderogabile la disciplina sanzionatoria penale e civile statale e che la stessa non è ricollegata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla fattispecie di intervento da realizzare ed alla sua incidenza in termini di carico urbanistico, viene totalmente rimessa alla regione la determinazione dell'obbligo o meno dell'acquisizione del titolo abilitativo, dell'alternatività tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività, nonché della spettanza o meno del contributo di edificazione.

Il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo viene connotato dalla previsione di un termine perentorio alla cui scadenza l'istanza si intende accolta. In tal modo è assicurata così la certezza dei tempi per l'inizio dei lavori, in analogia con quanto disposto per la denuncia di inizio attività che acquista piena efficacia dopo il decorso del termine per l'espletamento del controllo da una parte dell'amministrazione.

Articolo 9.

Infine occorre risolvere la pregiudiziale fiscale che rallenta o impedisce i processi di attuazione di nuovi piani di gestione urbanistica, rendendo neutrali sotto il profilo fiscale i trasferimenti intermedi. A tal fine gli scambi di aree e fabbricati interessati all'intervento vengono detassati sia se realizzati da soggetti privati che da esercenti attività commerciale.

In particolare, per quanto attiene le imposte sull'acquisto è previsto che i trasferimenti di immobili e diritti edificatori sono in ogni caso soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dall'acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area.

Per quanto attiene alle imposte sulle plusvalenze, in alternativa al regime ordinario è prevista l'opzione per un regime a tassazione "separato" mediante l'applicazione di una imposta sostitutiva del 4 per cento da applicare sul valore dell'immobile determinato a seguito di una perizia, così come previsto dall'articolo 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002). In tale ambito, è previsto che nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da persone fisiche, l'imposta sia dovuta in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre qualora la stessa sia conseguita da esercenti attività di impresa, la stessa è accantonata in un apposito fondo e risulterà esigibile solo all'atto del trasferimento dell'immobile realizzato (o del diritto edificatorio così ottenuto) in attuazione del piano urbanistico.

Articolo 10.

La disposizione di chiusura richiama gli altri princìpi generali complementari alla materia del governo del territorio e contenuti nelle leggi in materia di edilizia, con le specificazioni sopra evidenziate, espropriazione, difesa del suolo e tutela dei beni culturali ed ambientali in ossequio a quanto disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.


Dal sito della Camera:

Frontespizio

Relazione

Articolato
In alto Û

Testo articoli

ìArt. 1.

(Governo del territorio).

1. In attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio.

2. Il governo del territorio consiste nella disciplina degli usi del suolo e della mobilità, nel rispetto della tutela del suolo, dell'ambiente e dei beni culturali e ambientali.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, alle quali è delegata la potestà regolamentare sulla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione.

4. Le potestà dello Stato sono esercitate attraverso la predisposizione di politiche generali e di settore inerenti lo sviluppo economico-sociale, il territorio e l'ambiente.

5. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 4, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.

Art. 2.

(Funzioni amministrative dello Stato).

1. Le funzioni amministrative concernenti l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, coerenti con le scelte di sostenibilità economica, e la fissazione dei criteri per la tutela dei beni culturali e ambientali, per la conservazione dell'ambiente, per la difesa del suolo e per l'equilibrio degli ecosistemi, nonché le funzioni amministrative relative all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, sono esercitate dallo Stato d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Art. 3.

(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione).

1. La ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati si svolgono secondo i criteri della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.

2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, sentiti i soggetti interessati.

3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti paritetici in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

4. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.

Art. 4.

(Programmazione e pianificazione del territorio).

1. Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l'ente competente alla pianificazione, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare.

2. L'ente preposto alla pianificazione è il soggetto primario della disciplina e del controllo dell'uso del territorio. Gli atti di governo del territorio assicurano la disciplina della totalità del territorio, il rispetto dei caratteri storici, culturali e sociali, l'integrazione delle funzioni, la riqualificazione urbana e l'equilibrio fra aree urbanizzate e non urbanizzate. Tali atti sono predisposti in conformità agli atti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, nonché alle intese e agli accordi intervenuti.

3. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree effettivamente destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree per ulteriori utilizzazioni.

4. Il piano urbanistico è l'unico strumento di disciplina della totalità del territorio e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione di settore concernente il territorio.

5. Il piano urbanistico è articolato in un documento programmatico delle scelte strutturali e strategiche, e in un documento regolatore degli usi del suolo di interesse collettivo e dei diritti d'uso del suolo esistenti nonché in proposte di trasformazioni urbane attuative dello stesso documento programmatico.

6. Fino alla individuazione degli ambiti territoriali da pianificare, e salva diversa disposizione legislativa regionale, l'ente competente alla pianificazione è il comune.

Art. 5.

(Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche non connessi ad aree e ad immobili.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.

3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire.

Art. 6.

(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.

2. In sede di approvazione del piano urbanistico sono valutate le osservazioni dei soggetti interessati, e su di esse sono prese, previa motivazione, le relative decisioni.

3. L'ente di pianificazione può concludere accordi con i soggetti interessati per recepire nel piano urbanistico proposte di interventi, in attuazione degli obiettivi strategici indicati nel documento programmatico. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione del piano urbanistico che lo recepisce.

4. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e di approvazione del piano e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione, i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilità, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonchè determinano analoghi tempi perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

Art. 7.

(Attuazione del piano urbanistico).

1. L'attuazione delle previsioni del piano urbanistico avviene con piano attuativo o con intervento diretto. Le regioni ne individuano presupposti e modalità. L'attuazione è subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. L'attuazione e la gestione del piano urbanistico possono avvenire attraverso strumenti e modalità di perequazione e di compensazione.

3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica.

4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili.

5. Nelle ipotesi di vincoli di inedificabilità o di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, il proprietario interessato può scegliere fra la cessione dell'area all'ente di pianificazione a un prezzo corrispondente al valore venale dell'area prima del vincolo, il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area prima del vincolo su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.

6. Le regioni assicurano agli enti di pianificazione le adeguate coperture economiche-finanziarie per la realizzazione di aree comunali, per le permute e per ovviare eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio.

Art. 8.

(Attività edilizia).

1. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

2. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia soggette e le attività non soggette a titolo abilitativo, le categorie di interventi e le condizioni in base alle quali il soggetto interessato ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta.

4. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi, salvo quanto previsto dall'articolo 9.

Art. 9.

(Fiscalità urbanistica).

1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico di cui all'articolo 7, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.

2. Agli effetti delle imposte sul reddito, in alternativa al regime ordinario, le plusvalenze derivanti dai trasferimenti degli immobili e dei diritti edificatori finalizzati all'attuazione del piano urbanistico sono soggette all'imposta sostitutiva delle imposte sul reddito pari al 4 per cento del valore di perizia risultante da stime effettuate ai sensi dell'articolo 64 del codice di procedura civile.

3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la pusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'area o del diritto edificatorio così ottenuto.

Art. 10.

(Disposizioni finali).

1. Per quanto espressamente non previsto dalla presente legge, si applicano i princìpi generali stabiliti dalla normativa vigente in materia di edilizia, con particolare riferimento alla disciplina penale e civile dell'abuso edilizio, dell'espropriazione per pubblico interesse, della difesa del suolo e della tutela dei beni culturali e ambientali.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La riforma urbanistica è tra le più urgenti e necessarie per la modernizzazione del Paese.

Nella legislazione statale siamo infatti ancora fermi ai princìpi della legge n. 1150 del 1942 mentre la realtà delle cose è fortemente cambiata.

L'urbanistica di espansione si è arrestata, crescono le esigenze di recupero e di riqualificazione delle città esistenti (si pensi alla conversione delle aree industriali dismesse), aumenta l'esigenza di governare le trasformazioni con strumenti flessibili e non tramite rigide e impraticabili pianificazioni.

Anche alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione sussiste la competenza statale per una legge di soli princìpi che stabilisca contenuti generali e strumenti del governo pubblico del territorio.

D'altra parte, l'ipotesi di una totale regionalizzazione delle competenze urbanistiche può ritenersi irrealistica e criticabile, anche alla luce dei lavori della Commissione parlamentare consultiva in ordine all'attuazione della riforma amministrativa e degli articoli 54-59 del decreto legislativo n. 112 del 1998 attuativo della "legge Bassanini" n. 59 del 1997.

In primo luogo, perché "i programmi innovativi in ambito urbano" nonché i grandi interventi infrastrutturali, i programmi di opere pubbliche statali, gli obiettivi principali di tutela ambientale e paesaggistica, culturale, di promozione dei valori dell'architettura e di difesa del suolo, richiedono certamente l'esercizio di funzioni statali. Occorre, al riguardo, considerare che l'ambiente e l'ecosistema sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato unitamente alla materia "tutela della concorrenza" il che, in una urbanistica sempre più procedimentalizzata e negoziale, non è certo irrilevante.

Appartengono inoltre alla competenza esclusiva dello Stato il regime civilistico delle proprietà, oltre che il regime sanzionatorio.

In secondo luogo perché tali competenze sussistono in tutti i Paesi europei, sebbene con differenti assetti organizzativi, e non vi è ragione per pervenire in Italia a diverse soluzioni. In terzo luogo, realisticamente, non è certo ragionevole lasciare alla scoordinata proliferazione di modelli regionali l'intero onere della riforma, con tempi e modi di attuazione inevitabilmente diversi: ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione vigente, il legislatore statale ha il dovere di offrire un quadro aggiornato e moderno di "princìpi" legislativi, abrogando la legislazione previgente, proprio per favorire l'esercizio consapevole delle prerogative regionali.

Non può poi essere trascurato che la riforma costituzionale del citato articolo 117 conserva nell'ambito della legislazione concorrente il "governo del territorio".

Per queste ragioni, non si può non essere favorevoli alla sollecita emanazione di una legge statale di soli princìpi per la riforma urbanistica con contestuale abrogazione delle leggi previgenti fermo restando che, per ragioni di tecnica legislativa, dovrà tenere conto dei testi unici in materia di espropriazioni e di edilizia, già approvati ma la cui efficacia è attualmente differita.

Nel merito della riforma legislativa un quadro di contenuti può dirsi da tempo definito e da più parti condiviso, come pure alcuni elementi di analisi.

D'altronde non sono mancati, nelle precedenti legislature, tentativi avanzati e maturi di riforma: tra questi è rilevante richiamare il testo elaborato del professor Paolo Stella Richter come pure, nella XIII legislatura, il "testo Lorenzetti", sintesi di un articolato percorso di proposte di legge e di audizioni dei principali soggetti culturali, scientifici, istituzionali, economici operanti nel settore.

Contributi rilevanti ai temi della riforma, sotto molti profili, sono negli anni recenti pervenuti dall'intensa attività dell'Istituto nazionale di urbanistica, con riflessi disciplinari e legislativi ampiamente sperimentati a livello regionale e comunale.

In sintesi non è forse inutile ricordare che in Italia l'urbanistica ed il governo pubblico del territorio hanno conosciuto, in specie negli anni sessanta e settanta, un forte scontro ideologico con connotati peculiari rispetto ad altri Paesi.

Si è affermata, in sostanza, una concezione dell'urbanistica come disciplina di tutte le trasformazioni, gestione e usi del territorio e degli interessi plurimi e diversi che in esso hanno sede ("panurbanistica") e si è ampiamente ritenuto che gli strumenti urbanistici fossero deputati a perseguire fini politici generali.

Si è determinato un notevole conflitto sia all'interno dei diversi soggetti istituzionali titolari di interessi radicati sul territorio e sia tra questi e i soggetti privati (basti pensare alle vicende irrisolte del regime giuridico delle espropriazioni, dei vincoli, della disciplina generale dei suoli edificabili).

Negli anni ottanta, a fronte di una crisi evidente anche sul piano disciplinare dell'urbanistica e ad un parziale arresto della logica dell'espansione edificatoria, si sono affermate le politiche di deregulation o, meglio, di deroga ai piani (localizzazione con legge di opere pubbliche, meccanismi di intese Stato-regioni ai sensi dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, promozione delle "varianti automatiche" anche attraverso i nuovi istituti della "conferenza di servizi" e degli "accordi di programma").

L'effetto di tali politiche, unitamente alle nuove tendenze legislative volte ad affermare la preminenza dell'ambiente sull'urbanistica (vedi leggi n. 183 del 1989, n. 305 del 1989, piani paesistici), è stato quello di determinare la crisi irreversibile del sistema di pianificazione del territorio delineato dalla legge fondamentale n. 1150 del 1942 (in gran parte vigente), sostituendo surrettiziamente al criterio ordinatore della "gerarchia tra i piani" quello della "gerarchia degli interessi" (di volta in volta emergenti).

Peraltro, dinanzi alla stagnazione della riforma legislativa, occorre prendere atto di un fenomeno fortemente innovativo, nella forma e nella sostanza, degli anni recenti: l'affermazione di politiche governative finalizzate al recupero e alla riqualificazione urbana e ambientale, condotte attraverso decreti ministeriali anzichè atti legislativi.

Trattasi delle politiche statali variamente intitolate ai programmi di riqualificazione urbana e ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, ai patti territoriali, ai contratti di quartiere e ai programmi integrati di intervento (questi ultimi anche regionali).

In effetti queste politiche, caratteristiche dell'esperienza più recente, hanno in comune una accentuata eterogeneità dei fini (recupero, riqualificazione, nuove costruzioni) e dei mezzi (attivazione di risorse pubbliche e private).

Esse hanno il merito di affermare una visione integrata e sostenibile delle azioni sul territorio secondo una logica, per così dire, di "piano-progetto" innovando rispetto alla tradizionale scissione tra pianificazione territoriale e programmazione attuativa.

Pur tuttavia permangono molti e rilevanti punti di tensione irrisolti: primi tra tutti, il rapporto con il sistema di pianificazione ordinario e il rispetto dei princìpi di concorsualità e di trasparenza nella scelta dei partner privati per l'esecuzione delle opere pubbliche.

La stagione che potremmo definire dell'"urbanistica dal basso" o dell'"urbanistica per bandi", non sembra in grado di risolvere interamente i principali nodi concettuali e giuridici.

E' necessario un nuovo approccio ai problemi del settore in grado di razionalizzare le principali esperienze regionali e comunali e di giovarsi della dottrina, delle competenze disciplinari e delle analisi che sono emerse nell'intenso dibattito degli anni recenti pervenendo ad un profondo rinnovamento di nozioni, teorie e istituti sul piano giuridico e disciplinare.

Occorre riaffermare la necessità, di principio e tecnico-operativa, di un razionale sistema di pianificazione del territorio senza indulgere in posizioni apologetiche del piano e correggendo gli eccessi statalisti (o comunali) del passato e del presente.

Un tale impegno, che non si attua solo in via legislativa, è ovviamente condizione indispensabile anche al fine del rilancio dell'economia nel settore edilizio e delle opere pubbliche e nella promozione di uno sviluppo ambientalmente sostenibile.

La direzione di marcia emersa dalle esperienze degli anni più recenti e dalle proposte di riforma culturalmente più mature è ben chiara.

Legge di princìpi e revisione normativa; programmazione solo strategica e di coordinamento a livello regionale; principio di copianificazione, sulla scorta dell'esperienza francese, per rendere più efficace il coordinamento intersoggettivo; nuovo piano territoriale provinciale fondato sul sistema ambientale (invariante cogente) e sul sistema delle infrastrutture e dei servizi; revisione della pianificazione comunale attraverso l'affermazione del principio della non obbligatoria estensione del piano regolatore all'intero territorio comunale e la nuova articolazione in piano strutturale-direttore, non vincolistico e di medio periodo, e piano comunale attuativo, vincolistico e, in alcuni modelli, legato al mandato politico-amministrativo; integrazione preventiva di tecniche di tutela ambientale nella pianificazione urbanistica (principio di sostenibilità ambientale); marginalizzazione, per quanto possibile, dell'esproprio e dei vincoli preordinati; perequazione tra le proprietà inserite nei comparti di trasformazione; una più netta distinzione tra regime degli interventi sull'edificato e opere nuove (le regole per gli interventi minori sul costruito non possono essere le stesse dell'urbanistica di espansione e di riqualificazione intensiva); abbandono dell'attuale logica quantitativa degli standard, in mille modi derogata, in favore di standard prestazionali o reali, ossia di volta in volta valutati nell'ambito del piano-progetto operativo o nel piano comunale dei servizi e delle infrastrutture; determinazione di regole per la disciplina del procedimento di negoziazione urbanistica, anche ai fini dell'attuazione del piano-progetto operativo, garantendo trasparenza, partecipazione e par condicio concorsuale tra gli operatori; eliminazione di qualsiasi commistione tra opere di urbanizzazione realizzabili direttamente e a scomputo degli oneri di concessione e opere pubbliche, la cui progettazione e costruzione devono essere soggette alle regole delle gare comunitarie degli appalti; semplificazione amministrativa delle procedure; un nuovo approccio basato su un'"amministrazione per risultati" e una "pianificazione per obiettivi" coerente con il principio della separazione delle funzioni tra organi politici e responsabili della gestione amministrativa; una più ampia previsione dei nuovi strumenti di partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche superando sia il ristretto istituto delle "osservazioni" successive all'adozione che il divieto di partecipazione posto dall'articolo 13 della legge n. 241 del 1990.

I temi indicati costituiscono elementi dell'esperienza di "riforma dal basso", variamente praticata dalle regioni e dagli enti locali pur in presenza di una legislazione statale ormai antica e inadeguata.

La presente proposta di legge nasce dunque dal contenuto della vasta sperimentazione riformistica degli anni recenti, perseguita da governi di diversa connotazione politica, a dimostrazione della sussistenza di un campo di esigenze ampiamente condiviso tra le diverse forze politiche.

Occorre ora inquadrare l'ampio processo riformatore degli anni recenti nell'ambito proprio di una legge statale di princìpi coerente con il nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione.

Il capo I è dedicato all'oggetto della presente proposta di legge richiamando i diversi ambiti di competenza statale: esclusiva, in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e di regime delle proprietà, in materia di tutela della concorrenza nonchè nella definizione dei livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali dei servizi; concorrente, nella definizione dei princìpi del governo del territorio e dei princìpi ispiratori di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, efficacia, efficienza, economicità e imparzialità dell'azione amministrativa.

Il capo II della proposta di legge puntualizza le competenze statali incidenti in materia urbanistica nell'intento di offrire un quadro unitario e realistico delle diverse politiche territoriali, anche alla luce del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 2001, di riordino del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In coerenza con la legislazione più recente in materia di lavori pubblici viene tuttavia affermata l'esigenza di una più specifica precisazione dell'esercizio coordinato delle funzioni statali, attraverso la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, e la necessità di valorizzare il ruolo tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da intendere quale conferenza di servizi ad impronta federalista.

Viene altresì affermato il principio, che deve essere svolto in coerenza dalle legislazioni settoriali, del raccordo delle tutele cosiddette "separate" (parchi, autorità di bacino, sovrintendenze e altri soggetti pubblici titolari di interessi pubblici) con gli atti di pianificazione urbanistica con l'obiettivo esplicito di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione.

Il capo III specifica i princìpi fondamentali del governo del territorio con un'attenzione rilevante per le principali innovazioni culturali e disciplinari emerse negli anni recenti.

L'articolo 4 richiama il fondamentale principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, principio di rango costituzionale, nonchè il criterio di riserva amministrativa degli atti di governo del territorio in capo ai comuni, definiti soggetti primari nel governo del territorio.

Viene in tal modo rimosso il principio di rigida gerarchia dei piani, che caratterizza la legge n. 1150 del 1942, lasciando agli enti territoriali e alla regione un'ampia libertà di autodeterminazione.

L'articolo 5 definisce il governo del territorio una "funzione pubblica" che si attua "attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica".

Si evidenziano, in tal modo, la natura inevitabilmente pubblicistica della funzione e, nel contempo, la flessibilità e l'articolazione dei mezzi e degli strumenti (urbanistica negoziale, programmazione partecipata, società di trasformazione urbana, eccetera) superando gli anacronistici caratteri di unilateralità e di autoritativa tipici degli atti urbanistici tradizionali.

Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalle leggi al perseguimento "dell'interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte".

Devono essere evidenziate altre due rilevanti innovazioni.

La prima riguarda la pianificazione definita "la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio", con ciò superando le tradizionali nozioni.

Vengono inoltre indicati due distinti livelli: gli atti di contenuto strategico strutturale che non hanno efficacia conformativa delle proprietà; e gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, che disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione.

Il comma 4 determina una scelta di grande rilievo: viene stabilito, risolvendo in larga misura una vexataquaestio, che il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente e che le regioni stabiliscono i casi ulteriori di edificabilità, per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

In coerenza con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, e rinviando all'autonomia delle regioni le scelte più specifiche, viene in tal modo posto il principio della non edificabilità "naturale" del territorio non urbanizzato che è conforme alle esigenze di salvaguardia del nostro territorio e del paesaggio, che costituiscono risorse fondamentali per lo sviluppo civile, culturale ed economico del nostro Paese.

L'articolo 6 stabilisce il metodo della cooperazione e della concertazione tra i diversi soggetti istituzionali nell'intento di perseguire il cosiddetto "principio di copianificazione".

Si vuole così superare la logica dei controlli e delle "doppie fasi" procedimentali, che determinano sovraccarichi burocratici e conflitti, realizzando un coordinamento intersoggettivo già nella fase delle scelte più rilevanti che investono, inevitabilmente, una pluralità di interessi pubblici differenziati di cui sono titolari enti diversi.

E' interessante evidenziare che in sede di conferenza di pianificazione possono essere previste forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti e dei territori che risultano penalizzati o comunque gravati dai maggiori oneri di impatto ambientale.

L'articolo 7 stabilisce il fondamentale principio di partecipazione al procedimento di pianificazione.

In una nuova logica di alleggerimento delle previsioni legislative di natura vincolante risulta evidentemente ampliata la discrezionalità amministrativa nelle scelte: la ricerca dell'interesse pubblico concreto si baserà, dunque, sul confronto trasparente tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti che devono essere adeguatamente rappresentati nel corso del procedimento.

D'altronde gli istituti di partecipazione, che acquistano un rilievo anche maggiore nella nuova logica della "legalità procedimentale", sono ampiamente diffusi nel contesto europeo (enquete pubblique in Francia, encuesta previa in Spagna, pubblic inquiry ed examination in pubblic in Inghilterra, legge sul procedimento in Germania, eccetera), ed hanno una cospicua tradizione anche in Italia, che si è arricchita con la stagione degli statuti comunali che contemplano, in diversi casi, l'istituto dell'"udienza pubblica".

Saranno ovviamente le regioni e gli enti locali a definire l'articolazione più proficua dei diversi istituti nel rispetto del principio legislativo fondamentale.

L'articolo 8 disciplina gli accordi con i privati, assai rilevanti in materia urbanistica, nel rispetto del principio di pari opportunità e attraverso procedure di confronto concorrenziale.

L'urbanistica "negoziata" o "consensuale" è parte innegabile dell'attuale esperienza dell' administrationconcertee: ma essa deve svolgersi nel contesto di princìpi, di rango costituzionale e di competenza statale, quali la concorrenzialità, la par condicio, l'imparzialità amministrativa, la pubblicità delle scelte (con la conseguente partecipazione dei cittadini uti cives).

L'articolo 9 è di particolare rilievo poichè viene con esso riformato un antico "idolo" della pianificazione urbanistica: quello dello standard quantitativo che è stato di sicura utilità (e può esserlo tuttora) nella storia dell'urbanistica italiana ma che difficilmente può essere predefinito a livello statale.

Si è registrata a riguardo una tendenza univoca, nella legislazione regionale e nelle esperienze comunali, in direzione di standard qualitativi o prestazionali ossia di attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessari alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonchè all'accessibilità e alla mobilità dei cittadini e degli utenti.

La proposta di legge affida alla pianificazione strutturale, con riferimento ad un periodo non inferiore a dieci anni, la definizione della dotazione complessiva e alle diverse modalità tecnico-operative, individuate dalle regioni e dai comuni, la precisazione più specifica.

E' evidente che, anche per effetto dell'abrogazione normativa della zonizzazione, le regioni e i comuni saranno più liberi di definire, attraverso la "lettura" dei propri territori, i rapporti che necessariamente intercorrono tra sviluppo o riuso edilizio e infrastrutture, opere viarie, parcheggi, servizi ambientali e servizi per l' habitat, nel rispetto del principio fondamentale posto dalla legislazione statale.

L'articolo 10 affronta il delicato tema dei vincoli urbanistici e della perequazione.

Il primo profilo risulta notevolmente depotenziato poichè la scelta compiuta all'articolo 5, con cui si attribuisce l'edificabilità tramite atti comunali solo nell'ambito del territorio urbanizzato, depotenzia notevolmente la problematica dei vincoli "larvatamente" espropriativi di contenuti e di valori delle proprietà.

Anche la sostanziale eliminazione della sistematica dei piani con effetti immediatamente conformativi delle proprietà, ed aventi valore di implicita dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, converge nella medesima direzione alleggerendo di molto i vincoli sulle proprietà.

Viene tuttavia mantenuta, pur nel nuovo e più definito contesto, la previsione del vincolo preordinato all'espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico che ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta (in tal caso è previsto per il proprietario un particolare indennizzo).

Sono inoltre previste ipotesi di permuta dell'area e di trasferimento dei diritti edificatori, nel rispetto del piano comunale.

La perequazione, ampiamente sperimentata nelle esperienze urbanistiche più recenti, è definita il metodo ordinario della pianificazione operativa con l'espresso fine dell'attribuzione dei diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche omogenee.

I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli ambiti urbanistici individuati e, innovazione assai rilevante sul piano operativo, i trasferimenti di cubature sono esenti da imposte.

L'articolo 11, dedicato ai titoli abilitativi, recepisce il recente indirizzo legislativo, regionale e statale, che ha progressivamente esteso la denuncia di inizio attività (dichiarazione di avvio dei lavori e certificazione tecnica di conformità) di interventi edilizi dapprima in funzione sostitutiva delle "autorizzazioni edilizie" e, in seguito, anche di interventi edilizi in precedenza soggetti a concessione edilizia.

La materia è oggetto di revisione nell'ambito del testo unico sull'edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) sicchè la presente proposta di legge si limita a ribadirne i princìpi e le relative competenze regionali.

Merita di essere evidenziata la previsione secondo cui "al fine di favorire il confronto concorrenziale il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell'effettivo valore dell'intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato".

Per rendere più razionale ed operativo tale sistema, in gergo definito dell'"asta delle licenze" (riferita solo a progetti di trasformazione intensiva), viene previsto che i comuni hanno la prelazione civilistica nell'acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico da reimmettere, conseguentemente valorizzate, nel mercato.

L'articolo 12 ribadisce i poteri di vigilanza e di controllo dei comuni sulle trasformazioni urbanistico-edilizie nel proprio territorio.

Sono fatte salve le sanzioni penali, amministrative e civili previste dalle leggi statali, ferma la potestà delle regioni di prevedere ulteriori e diverse sanzioni amministrative di natura non afflittiva.

Vengono inoltre stabiliti gli interventi di natura sostitutiva di competenza delle regioni sulla base delle esperienze consolidate nell'ordinamento.

L'articolo 13 è di notevole rilievo poichè indica le norme statali oggetto di abrogazione.

Le leggi indicate sono di stretto riferimento urbanistico poichè occorre coordinare la legislazione vigente in materia edilizia e di espropriazione con i nuovi princìpi urbanistici.

Il comma 3, infine, stabilisce che la legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale allo scopo di consentire un congruo termine, in specie alle regioni, per l'attuazione consapevole dei nuovi princìpi.

La presente proposta di legge, ispirata alla cultura e alle esperienze dell'"urbanistica riformista", nonchè al mutato contesto costituzionale, intende contribuire, con spirito costruttivo, alla realizzazione di una riforma essenziale per la maggiore equità e competitività dell'Italia nella convinzione che sussistano tutti i presupposti, di natura politica e disciplinare, per una sollecita approvazione nell'attuale legislatura.


Dal sito della Camera

Frontespizio

Relazione

Articolato
In alto Û

Testo articoli

Capo I

DISPOSIZIONI PRELIMINARI XIV LEGISLATURA

Art. 1.

(Oggetto).

1. In attuazione dell'articolo 117 della Costituzione la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell'ordinamento comunitario e della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e del regime delle proprietà, nonché in materia di tutela della concorrenza. La presente legge disciplina, altresì, i livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali nonché dei servizi.

2. Il governo del territorio, oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, disciplina la gestione, la tutela, l'uso e le trasformazioni più rilevanti del territorio nonchè la valorizzazione del paesaggio.

3. La presente legge attua i princìpi di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, efficacia, efficienza, economicità e imparzialità dell'azione amministrativa.

4. Ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, le regioni emanano norme in materia di governo del territorio in conformità ai princìpi fondamentali della legislazione statale stabiliti dal capo III della presente legge.

5. La presente legge stabilisce altresì le principali competenze e funzioni statali in materia di infrastrutture e di grandi reti di trasporto incidenti nella materia del governo del territorio e le modalità di esercizio allo scopo di garantire il migliore coordinamento con le regioni e con le autonomie locali.

Capo II

COMPETENZE E FUNZIONI STATALI

Art. 2.

(Competenze e funzioni statali).

1. Sono esercitate dallo Stato, prevalentemente attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni relative all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale in ordine all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, dei principali interventi ambientali e di trasformazione mineraria nonchè alla promozione di programmi innovativi in ambito urbano che implicano un intervento coordinato da parte di diverse amministrazioni dello Stato e sono dichiarati di interesse nazionale.

2. I progetti delle infrastrutture e delle opere di interesse nazionale previsti al comma 1, sono approvati previo parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

3. Le decisioni statali di approvazione delle opere che modificano atti di programmazione generale e settoriale ne comportano l'aggiornamento anche ai fini dell'interazione con gli atti di pianificazione degli enti territoriali.

Art. 3.

(Esercizio delle tutele separate da parte dello Stato).

1. Le competenze degli enti parco, delle autorità di bacino, delle sovrintendenze competenti per i beni storico-artistici e ambientali nonché dei soggetti titolari di interessi pubblici incidenti nel governo del territorio sono definite dalla legislazione statale e regionale ed esercitate in raccordo con gli atti di pianificazione di cui alla presente legge, con l'obiettivo di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione urbanistica e territoriale.

Capo III

PRINCI'PI FONDAMENTALI DEL GOVERNO DEL TERRITORIO

Art. 4.

(Sussidiarietà, differenziazione, e adeguatezza).

1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonchè i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell'affidamento e della responsabilità.

2. I comuni, soggetti primari nel governo del territorio ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, le regioni, le province e le città metropolitane cooperano ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, secondo il criterio di differenziazione e di adeguatezza nell'esercizio delle funzioni. Sulla base di tali princìpi sono, altresì, individuati gli ambiti territoriali di riferimento.

Art. 5.

(Natura e contenuti della pianificazione).

1. Il governo del territorio è funzione pubblica, esercitata nelle forme stabilite dalla legge, che si attua attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica, con il fine della promozione di progetti di sviluppo sostenibile, in relazione alle risorse sociali, ambientali ed economiche.

2. La pianificazione disciplina il territorio, con atti amministrativi generali, procedendo all'individuazione di ambiti territoriali di riferimento. Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalla legge e al perseguimento dell'interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte.

3. La pianificazione è la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio, che si attua attraverso modalità strategiche, strutturali e operative. Gli atti di contenuto strategico strutturale non hanno efficacia conformativa delle proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione. Gli atti di pianificazione concorrono nel garantire le prestazioni minime dell'insediamento anche attraverso idonee misure di salvaguardia.

4. Il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente. Le regioni stabiliscono i casi di edificabilità, attraverso l'individuazione, per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

5. La pianificazione è ispirata al principio dell'integrazione delle funzioni e della qualità urbana.

Art. 6.

(Concertazione istituzionale).

1. I soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio perseguono il metodo della cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali nell'elaborazione delle scelte fondamentali riferite al territorio, sulla base del principio di competenza, anche mediante intese e accordi procedimentali e l'istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell'unicità del piano territoriale.

2. Gli atti di pianificazione sono approvati da parte dell'ente competente previa certificazione e verifica di compatibilità con il sistema dei vincoli di natura ambientale e paesaggistica, relativi a tutti gli interessi tutelati, nonché verifica di congruenza con la pianificazione vigente e interagente con particolare riferimento alle opere pubbliche e alle infrastrutture per la viabilità.

3. Le verifiche di compatibilità e di coerenza, ove comportino conflitto di previsioni, sono svolte attraverso una apposita conferenza di pianificazione, con la partecipazione degli enti pubblici competenti e dei soggetti concessionari dei servizi pubblici interessati. Fatta salva l'autonomia delle funzioni amministrative di controllo, le decisioni relative al mutamento degli assetti vigenti sono assunte, in difetto di unanimità, a maggioranza dei soggetti partecipanti.

4. In sede di conferenza di pianificazione possono essere previste forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo.

Art. 7.

(Partecipazione al procedimento di pianificazione).

1. Nei procedimenti di impostazione, formazione e approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica sono assicurati:

a) il coinvolgimento delle associazioni economiche e sociali, in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire;

b) le forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi, in ordine ai contenuti degli strumenti stessi.

2. Nell'ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo e adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o meno delle stesse. Nell'attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all'esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l'amministrazione procedente.

4. Le scelte relative alla localizzazione di opere e di infrastrutture di rilevante impatto ambientale e sociale devono essere precedute da udienze pubbliche con la partecipazione dei cittadini e delle associazioni territorialmente radicate.

5. Il responsabile del procedimento, di cui all'articolo 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, cura tutte le attività relative alla pubblicità, all'accesso agli atti e di documenti e alla partecipazione al procedimento di approvazione.

6. Gli organi politici e i funzionari professionali responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle osservazioni o alle proposte presentate nell'ambito del procedimento e ai princìpi di cui al presente capo.

Art. 8.

(Accordi con i privati).

1. Gli enti locali possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione al procedimento per le intese preliminari o preparatorie dell'atto amministrativo e attraverso procedure di confronto concorrenziale per gli accordi sostitutivi degli atti amministrativi, al fine di recepire negli atti di pianificazione proposte di interventi, in attuazione coerente degli obiettivi strategici contenuti negli atti di pianificazione e delle dotazioni minime di cui all'articolo 9, la cui localizzazione è di competenza pubblica.

2. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione dell'atto di pianificazione che lo recepisce.

3. Per quanto non disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, di accordi con i privati e di tutela giurisdizionale di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

Art. 9.

(Infrastrutture e prestazioni minime).

1. Gli atti di pianificazione devono prevedere adeguate dotazioni di parcheggi, di aree verdi e di servizi avendo cura delle effettive esigenze prestazionali.

2. La pianificazione di contenuto strutturale definisce, con riferimento ad un periodo non inferiore a dieci anni, la dotazione complessiva delle attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessaria alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonchè delle infrastrutture che garantiscano le accessibilità e la mobilità dei cittadini e degli utenti.

3. La pianificazione di contenuto operativo specifica e localizza, con atti di perimetrazione, le attrezzature e i servizi relativi agli ambiti specifici di intervento nonchè le reti delle infrastrutture generali e locali, sulla base delle analisi dei fabbisogni di cui al comma 2.

4. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio comunale, gli atti di pianificazione devono documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri reali di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e di fruibilità nonché incentivando l'iniziativa dei privati.

Art. 10.

(Vincoli, perequazione e compensazione).

1. Le previsioni della pianificazione di contenuto operativo sono attuate sulla base dei criteri di perequazione, compensazione ed espropriazione.

2. Il vincolo preordinato all'espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell'ammontare dell'indennità di esproprio dell'immobile da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.

3. In alternativa all'ipotesi di cui al comma 2, il proprietario dell'area vincolata può richiedere di trasferire i diritti edificatori su un'altra sua area o su un'area pubblica in permuta, edificabili ai sensi del piano urbanistico comunale, previa cessione gratuita al comune dell'area di sua proprietà.

4. La perequazione è il metodo ordinario della pianificazione operativa ed è finalizzata all'attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche territoriali omogenee. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in misura percentuale rispetto al complessivo valore detenuto da ciascun proprietario.

5. I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti individuati con la pianificazione comunale.

6. I negozi relativi alle permute di cui al comma 3 e ai diritti edificatori di cui al comma 5 non sono soggetti a imposte e tasse.

Art. 11.

(Titoli abilitativi).

1. Le principali attività di trasformazione urbanistica e edilizia sono in ogni caso soggette a titolo abilitativo rilasciato dal comune.

2. Le regioni stabiliscono: le attività edilizie non soggette a titolo abilitativo; le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l'interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire; l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Al fine di favorire il confronto concorrenziale il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell'effettivo valore dell'intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato.

4. I comuni hanno la prelazione, da esercitare nelle forme previste dal codice civile, nell'acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico sulla base dei valori di mercato.

Art. 12.

(Vigilanza sul territorio e regime sanzionatorio).

1. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche e edilizie ricadenti nel proprio territorio.

2. La violazione alla disposizione di cui al comma 1 è soggetta alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma la potestà delle regioni di prevedere diverse sanzioni amministrative di natura non afflittiva.

3. Le regioni determinano gli interventi sostituitivi e le sanzioni nel caso di mancata adozione dei provvedimenti repressivi, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.

4. In caso di sostituzione del permesso di costruzione con la denuncia di inizio attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.

5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civilistiche per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento nonchè per le omissioni nell'esercizio delle funzioni di controllo.

Art. 13.

(Disposizioni finali).

1. I testi unici in materia di edilizia e di espropiazione per pubblica utilità devono essere coordinati con le disposizioni della presente legge anche ai fini della delegificazione e della semplificazione della materia.

2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;

c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni;

d) legge 6 agosto 1967, n. 765;

e) legge 19 novembre 1968, n. 1187, e successive modificazioni;

f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni;

g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;

h) articoli 27, 28, 29, 30 e 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;

i) articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179;

l) articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, e successive modificazioni.

3. La presente legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Dal sito della Camera

FrontespizioRelazioneArticolato

Relazione

Onorevoli Colleghi! - Nella nostra società è sempre più pressante la richiesta di politiche di qualificazione, volte alla riduzione della congestione del traffico veicolare e quindi dell'inquinamento atmosferico e acustico ma anche ad elevarne i valori estetici, architettonici e paesaggistici, considerati pur essi essenziali per la qualità della vita. Allo stesso modo, è evidente a tutti l'esigenza di sviluppare un significativo sforzo per superare la carenza infrastrutturale del nostro Paese, non soltanto in termini di strade e vie di comunicazione o di reti tecnologiche, ma anche di scuole per l'infanzia, moderne e sicure strutture scolastiche e universitarie, servizi sociali e collettivi. Ed ancora, è ormai diffusa la percezione della necessità di interventi di prevenzione dei rischi naturali a fronte della sempre maggior frequenza con la quale si verificano eventi calamitosi.

Tutto ciò richiede di ripensare le modalità di sviluppo e integrazione di tali iniziative, per evitare che la risorsa territorio continui ad essere oggetto di interventi specifici e unilaterali, non sempre e necessariamente di segno negativo ma pur sempre caratterizzati da episodicità e contraddittorietà. Occorre collocare il governo del territorio al centro dell'insieme delle politiche di intervento, in quanto momento di coordinamento e assetto dell'insieme degli interessi pubblici e privati che comportano scelte che incidono direttamente sul territorio. Non si tratta di tornare alla concezione amplissima di urbanistica propugnata nel passato, quale disciplina comprensiva di tutte le tutele, gli usi e le trasformazioni del territorio, quanto piuttosto di riconoscere la necessità di una funzione pubblica unitaria e coerente di regolazione del territorio, pur nella consapevolezza che la stessa è esercitata da una pluralità di soggetti istituzionali, in continua interazione tra loro e con i soggetti privati, ed attraverso una molteplicità di atti, non soltanto di natura pianificatoria ma anche di natura negoziale e concertativa e attraverso provvedimenti specifici o interventi straordinari. Vi è dunque l'esigenza che i diversi compiti che attengono al governo del territorio siano svolti nell'osservanza di un quadro generale di riferimento che assicuri la razionalità e la funzionalità del sistema, ordinato secondo criteri di sussidiarietà, concertazione, integrazione delle politiche, sostenibilità ambientale e territoriale e con significativi momenti di semplificazione e flessibilità dei processi di pianificazione e di controllo delle trasformazioni.

La presente proposta di legge ha l'obiettivo di definire, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, come riformato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, i princìpi fondamentali che connotano il governo del territorio, disciplinando con maggiore dettaglio i compiti riservati all'amministrazione statale. Nel merito dei contenuti del provvedimento, lo sforzo è stato innanzitutto nel senso di riportare a sistema le più significative esperienze presenti nelle recenti legislazioni regionali in materia, tenendo conto della rilevante elaborazione di queste tematiche operata nel corso della legislatura precedente dalla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, sotto la guida dell'onorevole Lorenzetti. Pur perseguendo l'essenzialità e la concisione del testo legislativo, si è cercato di evitare una vaga e generica elencazione di princìpi generali, cercando piuttosto di fornire una indicazione essenziale della portata che gli stessi devono assumere nel campo del governo del territorio, attraverso l'individuazione degli elementi, di ordine sostanziale e procedurale, che ne costituiscono il contenuto essenziale.

In estrema sintesi si possono individuare quattro linee portanti sulle quali è costruita l'intera trama della proposta legislativa. Innanzitutto la riconduzione nell'ambito del concetto di governo del territorio dell'insieme delle attività e delle competenze che attengono alla disciplina del territorio, con la conseguente necessità di uniformare la legislazione in materia a princìpi e criteri comuni.

In secondo luogo si persegue il riordino istituzionale delle funzioni in materia, fondato sul riconoscimento della competenza generale dei comuni, ma anche sulla attribuzione di funzioni di area vasta, tassativamente individuate, in capo ai livelli territoriali sovracomunali e di compiti specifici ad amministrazioni preposte alla cura di determinati interessi di valenza territoriale. La funzionalità di un sistema così articolato viene ricercata coniugando il rafforzamento della autonomia decisionale e la responsabilità dell'amministrazione competente con l'esigenza di una più ampia collaborazione tra tutti gli attori, pubblici e privati, attraverso lo sviluppo di forme di concertazione e condivisione delle scelte territoriali, ma anche ampliandosi il ricorso a strumenti negoziali per la gestione dei processi di regolazione e di trasformazione, senza trascurare la realizzazione delle condizioni tecniche necessarie per l'integrazione dei processi di pianificazione e più in generale per l'interscambio delle conoscenze e delle analisi del territorio.

La terza esigenza affrontata dalla proposta è relativa alla introduzione di meccanismi di semplificazione e flessibilità del sistema. La principale soluzione si armonizza con la centralità delle funzioni comunali e con lo sviluppo di forme di concertazione ed è incentrata sul concetto del piano urbanistico comunale come "carta unica", inteso quale piano sostitutivo di tutti gli atti di governo del territorio vigenti, in quanto elaborato portando a sistema l'insieme dei piani e degli atti che incidono sul regime giuridico del suolo.

Infine, la proposta realizza l'esigenza di assicurare la sostenibilità delle scelte di sviluppo del territorio, per i profili non solo ambientali ma anche territoriali, cioè infrastrutturali, economici e sociali. A tale scopo si introduce l'obbligo della motivazione delle principali scelte operate e si richiede un significativo sviluppo degli elementi conoscitivi e valutativi degli atti di governo del territorio, attraverso l'elaborazione, quali elementi costitutivi degli stessi, di un quadro conoscitivo dello stato di fatto sul quale si interviene e di una valutazione della compatibilità degli effetti derivanti dall'attuazione delle loro previsioni.

Passando all'esame puntuale dell'articolato, esso precisa, anzitutto, che la nozione di governo del territorio non individua una specifica materia, i cui confini possano essere ben delimitati, con riguardo sia all'oggetto della disciplina che alle competenze agli atti amministrativi che la compongono, costituendo piuttosto una funzione amministrativa, la quale attiene all'insieme degli atti conoscitivi, regolativi e attuativi che incidono direttamente sul territorio e sui valori e le risorse che lo caratterizzano. Il governo del territorio solo in parte è frutto della pianificazione territoriale e urbanistica: sempre più spesso questa funzione è esercitata, per aspetti e tematiche differenti, da tutti i livelli istituzionali (Stato, regioni, province e comuni), sia con piani e programmi aventi carattere settoriale o specialistico, sia con specifici atti di apposizione di vincoli di tutela e valorizzazione di particolari elementi o profili del territorio, sia con provvedimenti che localizzano e abilitano la realizzazione di interventi anche in variante alla pianificazione (articoli 1 e 2).

Per realizzare il riordino di un quadro così articolato e complesso di competenze e di attività la proposta di legge stabilisce al Capo I i criteri generali e gli obiettivi che debbono essere osservati dalla legge nel disciplinare l'attività amministrativa che si esplica nel campo del governo del territorio. Il primo criterio attiene alla allocazione delle competenze in questo campo. Il dibattito degli anni scorsi ha visto, accanto alla richiesta del rafforzamento della tradizionale competenza dei comuni, la constatazione della necessità dello sviluppo di funzioni di area vasta, in ragione dell'esigenza di trovare soluzioni adeguate a questioni di assetto del territorio che esulano dai ristretti confini comunali. La disciplina dei sistemi ambientali, così come la pianificazione e realizzazione delle reti infrastrutturali e tecnologiche necessitano infatti di un livello di governo più ampio. La proposta di legge affronta queste spinte antitetiche dando applicazione al principio di sussidiarietà. Si afferma la competenza generale dei comuni alla regolazione del territorio per tutti gli aspetti che non siano espressamente attribuiti dalla legge ai livelli sovraordinati. Inoltre, nei suddetti casi di conferimento di competenze ad altri enti territoriali la legge deve comunque prevedere forme di partecipazione dei comuni interessati alla formazione e approvazione degli atti conseguenti, affermando il principio secondo cui il riconoscimento dell'esistenza di un interesse nazionale, regionale o provinciale in merito a taluni aspetti regolativi del territorio non può comportare la esclusione delle autonomie locali dai relativi processi decisionali (articolo 3).

Il secondo principio che deve caratterizzare l'attività di governo del territorio è quello della concertazione istituzionale, cioè la necessità di sviluppare forme di consultazione e di cooperazione tra i diversi enti pubblici che concorrono all'esercizio di questa funzione, pur salvaguardando l'esigenza di distinguere, in capo ad una sola amministrazione, la responsabilità dell'assunzione delle determinazioni conclusive (articolo 4). Si persegue in tal modo l'esigenza di rafforzare la condivisione e quindi la coerenza delle scelte, quale condizione indispensabile per la loro effettiva e sollecita realizzazione. Con riguardo al processo di elaborazione e approvazione degli atti di pianificazione, la proposta di legge individua, in particolare, la necessità di una apposita fase, denominata "Conferenza di pianificazione", diretta ad assicurare lo scambio di elementi conoscitivi del territorio e l'espressione delle valutazioni sulle proposte di piano da parte degli altri enti territoriali e delle amministrazioni preposte alla cura di specifici interessi.

L'esperienza di questi anni ha sottolineato che questa esigenza di unitarietà e integrazione delle diverse politiche che attengono al governo del territorio risulta non adeguatamente soddisfatta anche all'interno di ciascuna amministrazione, in quanto si assiste spesso sia a processi di scollamento tra i diversi settori della macchina amministrativa sia ad una gestione episodica della materia, con il succedersi nel tempo di atti poco coerenti gli uni con gli altri e che non appaiono attuativi di un unitario processo decisionale. In questa prospettiva la proposta di legge attribuisce allo strumento di pianificazione generale di ciascun livello istituzionale la funzione di coordinamento e integrazione dell'insieme delle competenze settoriali ad esso attribuite, secondo criteri di coerenza e di organicità (articolo 5).

L'ulteriore requisito di ordine generale, che attiene alle modalità di formazione degli atti in cui si esplica la funzione di governo del territorio, è individuato nella necessità di assicurare la più ampia pubblicità e partecipazione dei soggetti, singoli o associati, portatori degli interessi cui possa derivare un pregiudizio nonché l'onere per l'amministrazione procedente, ai fini dell'assunzione delle determinazioni conclusive, di valutare le osservazioni presentate attraverso una corretta comparazione di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti. Nei casi di atti che comportano la inedificabilità degli immobili ovvero l'apposizione di vincoli preordinati all'esproprio, si richiede, anzi, la comunicazione dell'avvio del procedimento nei riguardi dei soggetti direttamente interessati, con la conseguente necessità di fornire una puntuale motivazione in merito all'accoglimento o meno dei rilievi eventualmente sollevati (articolo 6).

A conclusione della parte che attiene ai princìpi generali del governo del territorio, la proposta fa propri gli obiettivi di sostenibilità ambientale e territoriale e l'esigenza che lo sviluppo delle politiche insediative persegua, anzitutto, il miglioramento della qualità del territorio urbano esistente attraverso processi di riqualificazione (articolo 7). Si recepisce in tal modo l'orientamento delle più recenti leggi regionali che hanno visto il superamento della separatezza, che caratterizzava la legislazione degli anni '70 e '80, tra gli aspetti pianificatori relativi al razionale e coerente sviluppo dei tessuti urbani (e con essi del sistema economico e sociale) e quelli che attengono alla tutela dell'ambiente e del patrimonio naturale e paesaggistico, ricondotti prevalentemente alla disciplina del territorio extraurbano: si vuole che la salvaguardia e il miglioramento della qualità ambientale del territorio costituiscano piuttosto uno degli obiettivi primari degli strumenti di pianificazione e non solo un limite o una condizione allo sviluppo delle comunità locali.

La proposta di legge, inoltre, introduce modalità di verifica del perseguimento di queste finalità, richiedendo che gli atti di governo del territorio presentino una specifica valutazione della realizzazione degli obiettivi di qualità ambientale, nell'ambito della motivazione delle principali scelte operate. In particolare, viene richiesta la dimostrazione della coerenza delle previsioni dell'atto con le caratteristiche e lo stato del territorio secondo criteri di sostenibilità. A tale scopo gli atti di governo del territorio devono presentare un apposito elaborato, denominato "quadro conoscitivo", rappresentativo dello stato di fatto del territorio e dei processi evolutivi che lo interessano e devono contenere una valutazione di compatibilità ambientale e territoriale, cioè un elaborato che esamini gli effetti dell'attuazione delle proprie previsioni ed individui le misure atte ad impedire gli eventuali effetti negativi ovvero idonee a mitigare o compensare gli impatti delle scelte ritenute comunque preferibili. Si introduce, in tal modo, un meccanismo di autovalutazione degli effetti degli atti, che ricomprende in sé la valutazione di impatto ambientale e la valutazione di incidenza richieste dall'ordinamento comunitario anche per gli strumenti di pianificazione.

Con riguardo alle aree urbane la proposta di legge richiede agli atti di governo del territorio di perseguire il miglioramento della qualità dei tessuti urbani esistenti. Si sancisce la conclusione delle politiche di espansione delle aree urbanizzate, stabilendosi piuttosto l'obbligo di contrastare i fenomeni di dispersione insediativa attraverso lo sviluppo prioritario di politiche di riqualificazione dei centri urbani esistenti. In ogni caso, si subordina la previsione di nuovi complessi insediativi alla loro localizzazione in aree limitrofe a quelli esistenti, per concorrere con le nuove realizzazioni alla qualificazione delle periferie, anche sopperendo alle pregresse carenze di infrastrutture e servizi pubblici.

Il capo II della proposta di legge regola le funzioni riservate allo Stato. Ai fini espositivi si possono distinguere tre ordini di compiti amministrativi: a) le attività di programmazione e realizzazione di interventi di rilievo statale; b) l'emanazione di normative tecniche; c) il monitoraggio del territorio e dei processi di pianificazione che lo interessano. In considerazione dei princìpi di sussidiarietà e di pariordinazione tra gli enti che costituiscono la Repubblica si stabilisce che tutti questi compiti debbano essere svolti dallo Stato d'intesa con le regioni e le autonomie locali (articolo 8).

Quanto alla prima tipologia di attività, un particolare rilievo innovativo assume l'applicazione anche alle opere dello Stato del criterio di programmazione pluriennale delle opere pubbliche, richiedendosi la predisposizione e attuazione del "Programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture", cioè di un atto di programmazione relativo alle opere di rilievo internazionale, alle infrastrutture di trasporto e navigazione di interesse nazionale, agli interventi nel campo della sicurezza interna e della giustizia nonché alle azioni di prevenzione dei rischi naturali e di salvaguardia ambientale, degli ecosistemi e dei beni culturali. Il Programma dovrà dare conto della fattibilità economico-finanziaria delle opere, ma anche fornire indicazioni di massima in merito alla localizzazione delle opere e alla loro compatibilità territoriale e ambientale, pur essendo riservato alla pianificazione urbanistica il compito di provvedere alla loro puntuale localizzazione e alla definizione delle condizioni di sostenibilità (articolo 9).

Una ulteriore tipologia di intervento statale attiene all'esigenza di iniziative straordinarie nelle aree del Paese che presentano significative condizioni di squilibrio economico e sociale o gravi situazioni di degrado ambientale. In tali ipotesi si prevede lo sviluppo di interventi statali speciali diretti ad attivare processi di sviluppo economico locale, secondo criteri ecosostenibili, attraverso la previsione e il finanziamento di atti di programmazione negoziata che favoriscano lo sviluppo di una progettualità locale e il pieno coinvolgimento degli operatori economici e sociali (articolo 10).

La seconda categoria di funzioni riservate allo Stato risponde all'esigenza di individuare livelli minimi di qualità che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, attraverso una apposita disciplina di dettaglio. Così si prevede di mantenere in capo all'amministrazione statale l'emanazione della normativa tecnica relativa alle costruzioni nelle zone sismiche ed ai requisiti igienico-sanitari delle abitazioni e degli impianti tecnologici degli edifici, nonché la fissazione degli standard essenziali di qualità dei tessuti urbani, avendo riguardo anche alle dotazioni minime di infrastrutture, spazi e servizi pubblici (articolo 11).

Infine il compito statale di monitoraggio del territorio e dell'ambiente, comporta funzioni di raccolta ed elaborazione dati e la predisposizione di un rapporto annuale sullo stato del territorio, attraverso la costituzione di un sistema nazionale per lo studio del territorio, che vede l'integrazione tra attività statale e regionale e il diretto coinvolgimento degli enti locali (articolo 12).

Il Capo III, relativo ai principi fondamentali della pianificazione territoriale e urbanistica, si apre con il riconoscimento della competenza regionale a individuare e regolare gli strumenti di pianificazione, con l'unica precisazione circa la necessità di distinguere, nell'ambito della pianificazione comunale, un livello di pianificazione strategico strutturale ed uno operativo (articolo 13). Viene, in buona sostanza, recepito il modello proposto dall'istituto nazionale di urbanistica, già fatto proprio, sia pure con differenti accentuazioni, dalle più recenti leggi regionali. La dimensione strategico strutturale è diretta a fissare un quadro di scelte di lungo periodo di qualificazione e sviluppo del territorio comunale, che risulti coerente con la ricostruzione organica dell'insieme dei vincoli, dei limiti e delle condizioni di sostenibilità che gravano sul territorio comunale. Il piano operativo attiene alla disciplina urbanistica delle opere pubbliche e degli interventi di riqualificazione e trasformazione del territorio, da realizzare nei cinque anni di validità del programma. I diversi livelli di pianificazione consentono di introdurre un potente meccanismo di semplificazione costituito dall'attribuzione ai piani urbanistici comunali del valore di "carta unica del territorio", cioè di unico riferimento ai fini della verifica di conformità degli interventi di trasformazione del territorio, con la previsione della contestuale perdita di efficacia degli atti di governo del territorio una volta recepiti dalla pianificazione comunale (articolo 14).

Un ulteriore strumento diretto a superare la rigidità del sistema degli strumenti di pianificazione è relativo alla possibilità per i piani di livello sottordinato di apportare modifiche alla pianificazione sovraordinata, a condizione che sia acquisita l'intesa dell'ente titolare del piano da variare (articolo 15).

Di particolare significato è poi la disposizione relativa ai contenuti conformativi della pianificazione, in quanto diretta a fare chiarezza circa la natura e l'efficacia dei vincoli e delle condizioni alla trasformazione del suolo stabiliti dai piani o dagli atti specifici di governo del territorio, i quali, avendo riguardo a caratteri generali propri del bene, non hanno natura espropriativa e operano a tempo indeterminato. Si specifica inoltre che tali vincoli non solo attengono alle ipotesi ormai pacificamente riconosciute (della esistenza di uno specifico interesse pubblico alla tutela del bene, di ordine ambientale, culturale, paesaggistico, eccetera, ovvero della presenza di fattori di rischio o di caratteristiche morfologiche o geologiche che risultano incompatibili con la trasformazione degli immobili) ma anche alla necessità di assicurare l'effettiva realizzazione delle condizioni di sostenibilità ambientale e territoriale delle nuove previsioni. Rientrano in tali ipotesi le prescrizioni che subordinano l'attuazione degli interventi all'esistenza o alla realizzazione delle opere che ne assicurino l'inserimento ambientale ovvero alle infrastrutture e attrezzature pubbliche necessarie per garantirne l'accessibilità e la funzionalità, nonché le previsioni che condizionano gli interventi di trasformazione al miglioramento di fattori esterni (livelli di inquinamento atmosferico, congestione delle reti viarie, eccettera) la cui stabile evoluzione sia legata a fattori o alla realizzazione di interventi non connessi alle trasformazioni insediative (articolo 16).

Il Capo relativo ai princìpi generali in tema di pianificazione si chiude con una serie di prescrizioni di natura tecnica ma che risultano essenziali per assicurare l'effettiva attivazione dei processi di concertazione con lo scambio di informazioni e di elementi valutativi tra i diversi enti e per addivenire alla carta unica del territorio (articolo 17). Si pone anzitutto in capo a tutti i soggetti pubblici che hanno tra i propri compiti istituzionali la raccolta e l'elaborazione di dati che attengono al territorio l'obbligo di metterli a disposizione degli enti territoriali che procedono all'elaborazione di atti di pianificazione. Il medesimo obbligo grava sui privati che ricevono finanziamenti pubblici per lo svolgimento dei medesimi compiti.

Inoltre, al fine di assicurare il coordinamento dei diversi strumenti, si richiede che gli atti di pianificazione siano elaborati su carte topografiche aggiornate e congruenti tra loro, affidando alla regione la realizzazione di una carta tecnica regionale e la definizione dei requisiti dei sistemi informativi geografici.

Il Capo IV individua i princìpi generali dei sistemi di attuazione della pianificazione urbanistica. Un particolare significato assume la prima disposizione tesa a dare sanzione legislativa ai meccanismi di perequazione urbanistica da tempo oggetto di sperimentazione nei comuni italiani.

Si recepisce a tale fine la metodologia che vede il riconoscimento ai proprietari degli immobili di una quantità proporzionale delle quote edificatorie e degli oneri derivanti dalla realizzazione degli interventi, con la possibilità di una libera circolazione delle suddette quote. Viene stabilito poi che il piano operativo possa riconoscere quote di edificabilità compensativa in ragione degli oneri straordinari posti in capo ai soggetti attuatori degli interventi, in conseguenza di carenze di servizi pubblici, ovvero a favore dei titolari di immobili sottoposti a procedure espropriative (articolo 18).

In alternativa al ricorso ai meccanismi perequativi gli strumenti urbanistici possono prevedere l'attuazione delle previsioni di trasformazione attraverso i comparti urbanistici, dei quali si individuano i princìpi essenziali, in conformità alla disciplina ormai consolidata nella legislazione urbanistica (articolo 19).

In merito alle procedure espropriative - che costituiscono l'ulteriore sistema di attuazione dei piani preso in considerazione - la proposta introduce due importanti precisazioni, circa la competenza regionale a disciplinare le fasi di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e di dichiarazione della pubblica utilità dell'opera, nonché a stabilire i criteri per valutare l'edificabilità legale e di fatto degli immobili, in considerazione, rispettivamente, del significativo rapporto di queste fasi procedurali con il sistema pianificatorio e della natura conformativa della proprietà riconosciuta agli strumenti di pianificazione. Viceversa, si riserva allo Stato la disciplina di dettaglio circa la definizione dell'indennità di esproprio, per l'evidente esigenza di assicurare l'uniformità di trattamento dei cittadini in tutto il territorio nazionale ma, soprattutto, per la stretta connessione con la materia civilistica. In merito alla tematica della indennità di esproprio si introduce la possibilità di accordi bonari che vedano il riconoscimento al proprietario di quote edificatorie su aree diverse.

Allo scopo di favorire anche attraverso la leva fiscale l'attuazione delle previsioni urbanistiche, la proposta di legge introduce significative forme di incentivazione che attengono ai trasferimenti degli immobili e dei relativi diritti edificatori all'interno del comparto urbanistico, attuati dopo l'approvazione del piano operativo e prima dell'inizio dei lavori: essi sono sottoposti a tassazione delle sole plusvalenze realizzate e ne viene riconosciuta l'esenzione dall'IVA e la sottoposizione alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa (articolo 20).

Anche il controllo dell'attività edilizia, di cui si occupa il Capo V della proposta di legge, rientra nell'ambito delle funzioni di governo del territorio e pertanto la sua disciplina è rimessa alla legislazione regionale, nell'osservanza della normativa tecnica statale e dei princìpi fondamentali in materia che, secondo la proposta di legge, attengono:

a) alla necessità di un titolo abilitativo per la realizzazione di attività aventi un significativo effetto urbanistico ed edilizio o che comunque comportano trasformazione del territorio;

b) alla subordinazione del rilascio dei titoli abilitativi all'esistenza delle opere di urbanizzazione necessarie ovvero all'impegno alla loro contestuale realizzazione;

c) all'onerosità dei titoli abilitativi e alla destinazione prioritaria delle risorse che ne derivano alla realizzazione di opere e infrastrutture ovvero a interventi di riqualificazione delle aree urbane ovvero all'acquisizione degli immobili necessari per l'attuazione del piano (articolo 21).

L'esercizio della vigilanza sull'attività urbanistica ed edilizia e la repressione dell'abusivismo edilizio viene mantenuto in capo ai comuni, con il rafforzamento della funzione regionale di supporto alle amministrazioni comunali per l'esercizio ditali funzioni e con la previsione di più penetranti poteri sostitutivi in caso di inerzia nella repressione dell'abusivismo.

Quanto alle sanzioni in campo edilizio e urbanistico, la proposta di legge conferma la distinzione tra sanzioni amministrative rimesse alla legislazione regionale (sia pure nel rispetto dei princìpi generali in materia) e sanzioni penali di competenza dello Stato. Si introducono l'importante prescrizione secondo cui la legge statale deve sanzionare penalmente anche la violazione delle leggi regionali in materia e la possibilità di stabilire norme penali in bianco che, ai fini dell'individuazione delle diverse ipotesi di abuso edilizio, abbiano riguardo alla disciplina in materia di titoli abilitativi dettata dalla legislazione regionale (articolo 22).

Il Capo VI individua i princìpi che attengono alla localizzazione delle opere pubbliche e di interesse pubblico (ivi comprese le opere date in concessione dallo Stato). Viene confermato, anzitutto, il principio per il quale la localizzazione delle opere pubbliche si attua attraverso la previsione degli strumenti urbanistici e previa verifica della loro compatibilità ambientale e territoriale. Ai fini del corretto inserimento delle opere pubbliche nella pianificazione del territorio, è evidenziata la necessità che la progettazione e l'esecuzione delle opere pubbliche sia frutto di un processo di programmazione pluriennale che veda la partecipazione degli enti territoriali alla formazione delle determinazioni conclusive anche al fine di promuovere il sollecito recepimento delle opere negli strumenti urbanistici. Infine si sancisce che il legislatore, nel prevedere procedimenti speciali per la localizzazione di opere in variante agli strumenti urbanistici, debba assicurare: l'osservanza dei principi generali in materia di governo del territorio previsti dal Capo I (articolo 23).

Gli strumenti negoziali di cui si occupa il Capo VII della proposta di legge rappresentano un significativo arricchimento della strumentazione utilizzabile per l'esercizio della funzione di governo del territorio. L'ordinamento urbanistico prevede ormai da numerosi anni apposite convenzioni tra l'amministrazione comunale e i soggetti attuatori, per la regolazione della fase attuativa degli interventi urbanistici ed edilizi. Il testo legislativo proposto amplia considerevolmente il campo di azione del regime convenzionale tra pubbliche amministrazioni e tra esse e i privati, giungendo ad interessare anche il momento della elaborazione delle scelte di piano e della programmazione dell'attuazione degli stessi. Per la prima volta si afferma, così, la possibilità che scelte pianificatorie siano frutto di specifici impegni assunti dall'amministrazione nei riguardi dei soggetti direttamente interessati dal provvedimento.

Lo strumento negoziale più duttile è l'accordo territoriale, con il quale più amministrazioni pubbliche possono conseguire la realizzazione dei seguenti risultati:

a) lo sviluppo di forme di cooperazione per l'esercizio delle funzioni di governo del territorio, relative, ad esempio, alla costituzione di uffici di piano o altre strutture organizzative comuni ovvero alla regolazione delle modalità di elaborazione di piani e programmi intercomunali;

b) la preventiva condivisione e armonizzazione, in ambiti caratterizzati dalla stretta integrazione e interdipendenza funzionale dei territori interessati, delle scelte di piano dei soggetti partecipanti all'accordo ovvero, a valle dei processi pianificatori, il coordinamento delle fasi e modalità attuative degli strumenti vigenti;

c) la definizione di forme di collaborazione dei comuni e delle altre amministrazioni territorialmente interessate, ai fini dell'attuazione degli strumenti di pianificazione regionali o provinciali.

In quest'ultimo caso, la legge prevede la possibilità di stabilire, sempre in via consensuale, misure di perequazione territoriale, aventi lo scopo di assicurare un riequilibrio, anche di natura economica, a favore dei comuni non beneficiati da nuove opportunità di sviluppo o gravati da significativi vincoli di tutela ovvero aventi l'obiettivo di attribuire una compensazione ambientale ai territori gravati dagli impatti negativi di opere di interesse sovracomunale (articolo 24).

Il secondo strumento negoziale attiene agli accordi che le amministrazioni procedenti possono stipulare con i privati interessati preliminarmente all'assunzione degli atti di pianificazione, per recepire le proposte di interventi privati che comportino specifici benefìci per la collettività (oltre a non pregiudicare i diritti dei terzi e a garantire l'osservanza delle leggi e dei piani sovraordinati). L'accordo costituisce parte integrante del piano adottato ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione. Esso non vincola in via definitiva l'amministrazione, essendo subordinato alla conferma delle sue previsioni da parte dell'organo istituzionalmente chiamato all'approvazione dello strumento (articolo 26).

Il terzo istituto negoziale previsto dalla proposta di legge è l'accordo di programma, già introdotto nell'ordinamento statale dall'articolo 27 della legge n. 142 del 1990 (ed ora disciplinato dall'articolo 34 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000). Pur confermandone la natura e la finalità (di accordo tra almeno due pubbliche amministrazioni, con lo scopo di regolare i reciproci impegni per la realizzazione di interventi complessi, programmi di interventi, opere pubbliche e di interesse pubblico che risultino di interesse comune), la proposta introduce due significative correzioni alla disciplina originaria, relative alla possibile partecipazione all'accordo anche di soggetti privati e alla possibilità per l'accordo di apportare variante, non soltanto alla pianificazione urbanistica comunale, ma all'insieme degli strumenti di pianificazione. Inoltre, si dà mandato alla legislazione regionale di integrare l'attuale procedimento di approvazione degli accordi in variante in conformità ai princìpi in materia di governo del territorio di cui al Capo I e in precedenza più volte richiamati, riconoscendo la possibilità di inserire eventuali fasi procedurali dirette all'acquisizione di tutti gli atti di assenso di pubbliche amministrazioni, comunque denominati, necessari per la realizzazione dell'intervento oggetto dell'accordo (articolo 25).

Nel campo della tutela del paesaggio la proposta di legge opera una significativa scelta di campo, chiarendo all'articolo 1 che la materia rientra nell'ambito delle funzioni di governo del territorio, in considerazione del fatto che sia la pianificazione paesaggistica, sia gli atti di apposizione e gestione dei vincoli paesaggistici assumono un considerevole rilievo nella regolazione e salvaguardia del territorio e nella definizione degli usi e delle trasformazioni del suolo ammissibili. Coerentemente, nel Capo VIII si dettano taluni princìpi innovativi tesi a realizzare, in modo progressivo, il superamento dell'attuale compresenza nell'ordinamento di due diverse modalità di tutela del valore paesaggistico del territorio, costituite dal sistema vincolistico e dalla pianificazione. Si afferma, anzitutto che, a seguito dell'approvazione del piano paesistico regionale, l'apposizione di nuovi vincoli paesaggistici assuma un ruolo complementare rispetto alla pianificazione, essendo ammessa solo allo scopo di stabilire una normativa speciale di tutela, confacente alle particolari caratteristiche dell'area interessata e integrativa della disciplina generale dettata dal piano. Si prevede poi l'applicazione anche in questa materia del meccanismo di assorbenza proprio della cosiddetta "carta unica del territorio", di modo che, non appena i vincoli paesaggistici - così come lo stesso piano paesaggistico - siano stati integralmente recepiti dalla pianificazione urbanistica comunale, viene meno la necessità del rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. In tale modo, i titoli abilitativi all'attività edilizia saranno rilasciati in conformità anche alla disciplina di tutela e valorizzazione del paesaggio, costituente parte integrante del piano comunale.

Questa netta scelta per una tutela del paesaggio, prioritariamente attraverso gli strumenti di pianificazione, comporta necessariamente un ridisegno delle funzioni svolte dalle soprintendenze competenti in materia, attualmente incentrate sulle procedure di apposizione e gestione del vincolo paesaggistico e di riesame delle relative autorizzazioni; la proposta prevede che gli organi statali collaborino nella formazione ed approvazione del piano paesistico regionale e degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica di recepimento dello stesso nonché nell'esercizio dei compiti regionali di apposizione dei nuovi vincoli paesaggistici, integrativi della disciplina di piano (articolo 27).

Il Capo IX, dedicato alle norme finali, affronta innanzitutto la definizione delle competenze delle città metropolitane. Dal momento che il ruolo di tali enti nel sistema delle autonomie locali risulta ancora incerto, la proposta di legge rimanda, per la puntuale definizione dei loro compiti in materia di governo del territorio, alle leggi regionali istitutive degli stessi, sia pure nel quadro dei princìpi generali stabiliti dalle disposizioni precedenti (articolo 28).

Infine, si prevede che l'entrata in vigore del testo legislativo proposto sia differita di sei mesi, al fine di consentire alle regioni, che per buona parte hanno provveduto in tempi recenti al rinnovo della propria legislazione in materia, di adeguarla ai princìpi fondamentali introdotti.

Circa gli effetti sulla legislazione statale vigente, viene precisato che il nuovo testo legislativo ha efficacia abrogativa solo nei confronti delle norme contenenti princìpi con esso incompatibili, ma non incide automaticamente sulla restante legislazione statale di dettaglio, la quale può continuare a trovare applicazione, secondo i consueti criteri interpretativi, fino all'approvazione della disciplina regionale attuativa dei nuovi princìpi fondamentali della materia (articolo 29).

Testo

Capo I, PRINCIPI E FINALITA' DEL GOVERNO DEL TERRITORIO

Art. 1.(Oggetto).

1. La presente legge detta i princìpi fondamentali relativi al governo del territorio, ai sensi dell'articolo l17, terzo comma, della Costituzione, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

2. La funzione di governo del territorio attiene alle attività conoscitive, regolative, di programmazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio e la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso. Il governo del territorio comprende altresì l'urbanistica, l'edilizia, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie.

3. L'attività amministrativa nel campo del governo del territorio si esplica, in conformità ai princìpi della presente legge, attraverso i piani generali, settoriali e specialistici, i programmi e i provvedimenti attuativi della pianificazione, gli accordi tra le amministrazioni titolari di funzioni relative al territorio e tra queste e i privati, nonché gli atti di apposizione di vincoli o di limiti all'uso o alla trasformazione del territorio.

4. Le norme della presente legge non possono essere derogate, modificate o abrogate se non espressamente e con specifico riferimento a singole disposizioni.

Art. 2.(Definizioni).

1. Agli effetti della presente legge, si intende per:

a) "governo del territorio": le disposizioni e i provvedimenti per la tutela, per l'uso e per la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono;

b) "piani generali": i piani di comuni, province, regioni e Stato, che definiscono l'assetto della totalità del territorio di competenza di ciascun ente, con riguardo all'insieme delle funzioni di governo del territorio attribuite allo stesso;

c) "piani specialistici": i piani che tutelano un interesse pubblico specifico relativo al governo del territorio;

d) "piani di settore": i piani che approfondiscono particolari tematiche relative al governo del territorio e alle politiche ambientale, urbana, territoriale, infrastrutturale, in conformità alla pianificazione sovraordinata e in coerenza con le disposizioni dei piani territoriali e urbanistici vigenti del medesimo livello istituzionale di governo del territorio;

e) "piani o atti sovraordinati": i piani o gli atti di governo del territorio assunti dallo Stato, dalle regioni, dalle provincie o da altre pubbliche amministrazioni, che devono essere recepiti negli strumenti di pianificazione degli enti aventi competenza territoriale di minore estensione;

f) "norme di salvaguardia": norme statali o regionali che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate attività di trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalla legislazione vigente o da piani specialistici;

g) "misure di salvaguardia": i provvedimenti adottati dalle amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio in attuazione delle norme di salvaguardia vigenti;

h) "quote edificatorie": le possibilità edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico dai piano operativo comunale.

Art. 3.(Sussidiarietà).

1. La funzione di governo del territorio compete ai comuni, fatti salvi i compiti espressamente attribuiti dalla legge regionale alla provincia e alla regione nonché le funzioni riservate allo Stato dalla presente legge per assicurarne l'esercizio unitario.

2. La legge regionale, nell'attribuire alla regione e alla provincia compiti che attengono alla cura di interessi di vasta area o che non possono essere efficacemente svolti a livello comunale, stabilisce le forme di partecipazione dei comuni territorialmente interessati alla formazione degli atti con i quali i medesimi compiti si esplicano.

Art. 4.(Concertazione istituzionale).

1. Gli enti titolari di funzioni relative al governo del territorio adottano il metodo della concertazione con gli altri livelli istituzionali e con le amministrazioni preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti, secondo criteri di leale collaborazione.

2. La legge regionale, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicura l'attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

Art. 5.(Unitarietà e integrazione delle politiche di governo del territorio).

1. Ciascun livello istituzionale esplica le proprie funzioni di governo del territorio primariamente attraverso gli strumenti di pianificazione generale, i quali operano il coordinamento e l'integrazione dell'insieme degli interessi pubblici e privati che incidono sul territorio nell'ambito di competenza.

2. Gli atti di governo del territorio non rientranti negli strumenti di cui al comma 1, integrano le previsioni del piano generale del medesimo livello di pianificazione, secondo criteri di coerenza e di organicità. In particolare, essi sono predisposti e approvati nell'osservanza degli obiettivi strategici del piano generale, sviluppando e specificando le politiche e gli obiettivi tematici o di settore ivi stabiliti.

3. La legge regionale, nel prevedere atti o procedimenti speciali, abilitati ad apportare modificazioni alle previsioni dei piani generali, stabilisce modalità di formazione e di approvazione degli stessi.

Art. 6.(Pubblicità e partecipazione dei cittadini).

1. Nella formazione e nell'approvazione degli atti di governo del territorio, indicati dal comma 3 dell'articolo 1, sono previste forme di pubblicità e di partecipazione dei soggetti portatori di interessi pubblici e diffusi nonché dei cittadini, singoli e associati, ai quali può derivare un pregiudizio dal provvedimento.

2. Qualora gli atti di governo del territorio comportano inedificabilità degli immobili ovvero apposizione di vincoli preordinati all'esproprio, l'avvio del procedimento è comunicato ai soggetti interessati. La legge regionale stabilisce i casi nei quali, in luogo della comunicazione personale, l'amministrazione provvede a rendere noti i contenuti essenziali degli atti in corso di elaborazione mediante idonee forme di pubblicità.

Art. 7.(Sostenibilità).

1. Gli atti di governo del territorio garantiscono la coerenza delle proprie previsioni con le caratteristiche e lo stato del territorio accertati dal quadro conoscitivo previsto dal comma 2. Tali atti, in particolare, fondano le proprie previsioni sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili, di favorire il recupero delle risorse degradate, di garantire una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, di ridurre ed eliminare i danni per il territorio e per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenire i rischi derivanti da calamità naturali o dall'attività umana. Gli atti fondano, altresì, le proprie previsioni sulla tutela dell'assetto idrogeologico e della qualità delle acque, nonché sul bilancio delle risorse idriche.

2. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli atti di governo del territorio, e costituisce riferimento necessario per la valutazione di compatibilità ambientale e territoriale delle previsioni degli atti di governo del territorio. Gli esiti della valutazione di compatibilità sono riportati nella apposita relazione, costituente parte integrante degli atti di governo del territorio che illustra le motivazioni delle principali scelte operate.

3. Gli strumenti per il governo del territorio promuovono il miglioramento della qualità ambientale, architettonica, economica e sociale del territorio urbano e una più equilibrata distribuzione di servizi, attraverso interventi di riqualificazione degli ambiti urbanizzati degradati e il riuso delle aree produttive e di servizio dismesse.

4. L'utilizzazione di nuovo territorio è ammessa solo quando non sussistono alternative derivanti dalla riorganizzazione funzionale dei tessuti insediativi esistenti, dalla qualificazione e dall'integrazione dei servizi pubblici presenti ovvero dalla sostituzione di parti dell'agglomerato urbano.

5. I nuovi complessi insediativi sono localizzati prioritariamente nelle aree limitrofe a quelle esistenti, per concorrere alla loro riqualificazione e sopperire alle eventuali carenze di impianti, di infrastrutture o di servizi. Tali complessi sono sottoposti a progettazione unitaria, assicurando la contestuale realizzazione delle infrastrutture e delle dotazioni territoriali necessarie.

Capo II, FUNZIONI STATALI

Art. 8.(Compiti riservati allo Stato).

1. Nel campo del governo del territorio, sono riservate allo Stato le seguenti funzioni:

a) rapporti con gli organismi internazionali e coordinamento con l'Unione europea in materia di politiche urbane e di assetto del territorio;

b) la predisposizione del programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture previsto dall'articolo 9 e la progettazione, esecuzione e manutenzione delle opere o interventi previsti dallo stesso;

c) la promozione di interventi speciali nei casi previsti dall'articolo 10;

d) la definizione della normativa tecnica, da applicarsi su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 11;

e) il monitoraggio del territorio e dello stato della pianificazione territoriale ed urbanistica, attraverso le strutture di cui all'articolo 12.

2. Le funzioni previste dal comma 1 sono esercitate dallo Stato attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Art. 9.(Programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture).

1. Il programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture definisce le linee fondamentali dell'assetto del territorio e disciplina la previsione e la realizzazione degli interventi statali in materia di:

a) opere di rilievo internazionale e grandi infrastrutture di trasporto e di navigazione di interesse nazionale;

b) opere in materia di sicurezza interna, dogane ed edilizia penitenziaria;

c) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;

d) prevenzione da grandi rischi derivanti da calamità naturali.

2. Il programma di cui al comma 1 fornisce indicazioni di massima circa la localizzazione delle opere e verifica le condizioni di compatibilità ambientale e territoriale nonché di fattibilità economico-finanziaria delle opere e degli interventi ivi previsti e può contenere direttive e indirizzi per i piani territoriali e urbanistici. Il programma, inoltre, tiene conto delle previsioni e dei fabbisogni nazionali nell'arco temporale di almeno un decennio ed è aggiornato ogni cinque anni.

3. Ad esclusione delle opere relative alla sicurezza nazionale o disposte in via d'urgenza nel caso di calamità naturali o di eventi catastrofici, l'inserimento nel programma di cui al comma 1 costituisce condizione necessaria per la realizzazione e il finanziamento degli interventi statali indicati al medesimo comma 1.

4. Il programma di cui al comma 1 e i suoi aggiornamenti sono predisposti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, per i beni e le attività culturali e dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ed è approvato dal Parlamento mediante apposita risoluzione.

Art. 10.

(Interventi speciali dello Stato).

1. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio economico e sociale e di superare gravi situazioni di degrado ambientale, lo Stato effettua interventi speciali in favore di determinati ambiti territoriali, con l'obiettivo di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociali, coerenti con le prospettive di sviluppo ecosostenibile.

2. Gli interventi speciali di cui al comma 1 sono programmati e attuati prioritariamente attraverso atti di programmazione negoziata, promuovendo la collaborazione delle regioni e delle autonomie locali nell'efficace realizzazione di piani pluriennali di intervento, di interesse comune e funzionalmente collegati, che concorrano alla creazione di condizioni favorevoli per lo sviluppo del territorio e delle comunità locali.

3. L'individuazione e l'approvazione degli interventi speciali è operata attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Art. 11.(Funzioni regolative statali).

1. E' riservata allo Stato la funzione di stabilire, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la normativa tecnica e gli standard di qualità che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale nelle seguenti materie:

a) criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e norme tecniche per le nuove costruzioni e per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente nelle medesime zone;

b) requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione e normativa tecnica sugli impianti tecnologici degli edifici;

c) requisiti minimi di qualità dei tessuti urbani e dotazioni minime di infrastrutture, spazi e servizi pubblici.

Art. 12.(Sistema nazionale per lo studio del territorio).

1. Presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito il Sistema nazionale per lo studio del territorio, con compiti di raccolta ed elaborazione degli elementi conoscitivi e valutativi sullo stato del territorio e sull'ambiente necessari per la predisposizione degli atti di governo del territorio. Il Sistema nazionale svolge inoltre funzioni di monitoraggio della pianificazione, operando l'integrazione dei dati riferiti alle risorse territoriali e delle previsioni pianificatorie, secondo criteri di georeferenziazione. Il Sistema nazionale predispone un rapporto annuale sullo stato del territorio, nel quale sono raccolte e analizzate le principali informazioni che attengono alla qualità del territorio e dell'ambiente.

2. Il Sistema nazionale per lo studio del territorio si articola in osservatori regionali, dove sono raccolti ed elaborati l'insieme dei dati e delle informazioni che costituiscono l'organica rappresentazione e valutazione dello stato del territorio regionale e dei processi evolutivi che lo caratterizzano, nonché l'archivio della strumentazione territoriale e urbanistica e dei piani di settore e specialistici. L'osservatorio regionale è organizzato e gestito dalla regione d'intesa con le autonomie locali, sulla base di un accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che definisce i criteri uniformi di individuazione raccolta e trattamento delle informazioni, i reciproci impegni di ordine finanziario e operativo e le forme di collaborazione e di integrazione delle attività.

Capo III, DISCIPLINA GENERALE DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 13.(Strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica).

1. La legge regionale disciplina gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, individuando nell'ambito della pianificazione comunale:

a) il piano urbanistico comunale, il quale stabilisce le scelte strategiche di qualificazione e sviluppo del territorio comunale armonizandole con la disciplina di tutela e valorizzazione dell'integrità fisica ed ambientale e dell'identità culturale dello stesso;

b) il piano operativo, il quale individua e disciplina gli interventi significativi di trasformazione del territorio comunale da realizzare nell'arco temporale di cinque anni, programmando la contestuale realizzazione e completamento degli interventi di trasformazione e delle necessarie attrezzature, infrastrutture per la mobilità e altre opere pubbliche necessarie per la funzionalità dei nuovi insediamenti e per assicurare la sostenibilità ambientale e territoriale degli stessi. Le previsioni del piano operativo sono recepite dal programma triennale delle opere pubbliche comunale e costituiscono riferimento necessario per i programmi e per i piani settoriali comunali da attuare nell'arco temporale della sua validità.

2. La legge regionale definisce, altresì, le procedure di formazione e approvazione dei piani territoriali e urbanistici in conformità ai princìpi generali dettati dalla presente legge. Tutti i piani generali, specialistici e settoriali sono approvati dall'ente pubblico territorialmente competente. I piani generali e settoriali della provincia e del comune possono essere soggetti esclusivamente alla verifica di conformità agli atti di governo del territorio sovraordinati e agli atti di concertazione istituzionale eventualmente stipulati.

Art. 14.(Carta unica del territorio).

1. Il piano territoriale di coordinamento provinciale e il piano urbanistico comunale comprendono e specificano in modo coerente la totalità delle prescrizioni e dei vincoli formulati dai piani, anche aventi carattere settoriale o specialistico, e dagli altri atti di governo del territorio predisposti dagli enti pubblici territoriali sovraordinati e ne forniscono una rappresentazione unitaria.

2. Il piano urbanistico comunale e il piano operativo, predisposti e approvati nell'osservanza dei princìpi stabiliti dalla presente legge, costituiscono nel loro insieme la carta unica del territorio, comprensiva di tutte le disposizioni vigenti riguardanti il territorio comunale.

3. La carta unica del territorio è l'unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità agli strumenti per il governo del territorio. A seguito dell'entrata in vigore dei piani aventi efficacia di carta unica del territorio, gli atti di governo del territorio recepiti cessano di avere autonoma validità nel territorio comunale.

Art. 15.(Flessibilità della pianificazione).

1. Con l'adozione dei piani gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni agli strumenti di pianificazione sovraordinati, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione.

2. Fatto salvo quanto previsto dal comma 3, le proposte di modifica ai piani sono collegate alla sopravvenienza di comprovate esigenze degli enti territoriali, relative alla necessità di garantire il raggiungimento di obiettivi di sviluppo economico e sociale nonché di riequilibrare gli assetti territoriali e ambientali.

3. Le proposte comunali di modifica delle previsioni dei piani di tutela del territorio e dell'ambiente, nei settori del paesaggio, della protezione della natura, delle acque e della difesa del suolo, possono attenere unicamente alla cartografia dei piani ed essere conseguenti a una più approfondita analisi e valutazione delle caratteristiche dei luoghi, non possono in nessun caso, essere conseguenti a esigenze insediative da soddisfare.

4. L'atto di approvazione del piano contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano sovraordinato, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare dello strumento.

Art. 16.(Efficacia conformativa e vincoli urbanistici).

1. La pianificazione territoriale e urbanistica, accerta i limiti e i vincoli all'uso e alle trasformazioni del suolo che derivano:

a) da uno specifico interesse pubblico insito nelle caratteristiche del territorio, stabilito dalla normativa statale o regionale relativa alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici e culturali, alla protezione della natura e alla difesa del suolo;

b) dalle caratteristiche morfologiche o geologiche del territorio, che rendono incompatibile il processo di trasformazione dello stesso;

c) dalla presenza di fattori di rischio ambientale, per la vulnerabilità delle risorse naturali.

2. Al fine di assicurare la sostenibilità ambientale e territoriale delle proprie previsioni, la pianificazione territoriale e urbanistica subordina l'attuazione degli interventi:

a) alla contestuale realizzazione di opere impeditive, di mitigazione o di compensazione degli impatti negativi ovvero delle infrastrutture e dei servizi pubblici necessari per garantire l'accessibilità, la funzionalità e la qualità igienico-ambientale degli insediamenti previsti;

b) ovvero al fatto che si verifichino, per fatti indipendenti dalla trasformazione urbanistica, le condizioni di sostenibilità specificamente individuate dal piano.

3. I vincoli e le condizioni di cui ai commi 1 e 2 sono inerenti alle qualità intrinseche del bene e operano senza alcun limite temporale. Essi sono stabiliti dal piano urbanistico comunale, dalla pianificazione generale, settoriale o specialistica sovraordinata ovvero dagli atti di apposizione di vincoli e sono recepiti dal piano operativo.

4. Il piano operativo individua gli immobili da destinare a infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche o di interesse pubblico e, ove necessario, impone su di essi il vincolo preordinato all'esproprio.

5. Il piano operativo include altresì gli immobili per i quali è disposta la espropriazione, da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici aventi titolo, per la realizzazione di opere di loro competenza previste dal piano urbanistico comunale vigente.

6. Il vincolo preordinato all'esproprio imposto con le modalità di cui al comma 4 ha la durata di cinque anni e può essere reiterato una sola volta per la stessa durata.

Art. 17.(Dati informativi e strumenti cartografici).

1. Le amministrazioni pubbliche che svolgono, quali propri compiti istituzionali, funzioni di raccolta, elaborazione e aggiornamento di dati e di informazioni relativi al territorio e all'ambiente sono tenute, secondo criteri di reciprocità, a metterli a disposizione degli enti territoriali che procedono alla predisposizione dei piani e degli altri atti di governo del territorio, anche ai fini della costituzione del sistema nazionale per lo studio del territorio e degli osservatori regionali previsti dall'articolo 12.

2. Il medesimo obbligo di cui al comma 1 grava sui concessionari di servizi pubblici e sui soggetti privati, relativamente ai dati per la cui raccolta ed elaborazione ricevono, da parte delle amministrazioni pubbliche di cui al medesimo comma 1, un contributo che supera il 50 per cento del costo sostenuto.

3. La legge regionale disciplina le modalità di collaborazione e di interscambio delle informazioni e di implementazione delle stesse, ai fini della elaborazione e dell'aggiornamento del quadro conoscitivo dei piani e del monitoraggio dell'attuazione degli stessi.

4. La regione stabilisce, in raccordo con gli organismi nazionali competenti, le specifiche tecniche per la raccolta, l'elaborazione e la conservazione dei dati, le caratteristiche generali dei sistemi informativi geografici nonché le modalità per assicurare la congruenza di inquadramento delle carte topografiche.

Capo IV, SISTEMI DI ATTUAZIONE DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA

Art. 18.

(Perequazione urbanistica e previsioni compensative).

1. La pianificazione urbanistica realizza l'equa distribuzione delle quote edificatorie e degli oneri derivanti dalla realizzazione degli interventi, tra i proprietari degli immobili interessati dalle trasformazioni.

2. Il piano operativo, nell'individuare e disciplinare gli ambiti destinati a trasformazione urbanistica, attribuisce agli immobili inseriti nei comparti urbanistici quote edificatorie, espresse in metri quadrati o in metri cubi, e obblighi verso il comune o altri soggetti pubblici aventi titolo previsti dal piano operativo medesimo.

3. Le quote edificatorie e gli obblighi di cui al comma 2 sono ripartiti tra i proprietari di immobili in modo proporzionale alla quota detenuta da ciascuno di essi del valore imponibile complessivo degli immobili inclusi nel comparto. Nel caso in cui siano inclusi nel comparto immobili per i quali non risulta accertato il valore dell'imponibile relativo all'imposta comunale sugli immobili, tale valore è determinato dall'ufficio tecnico erariale, sulla base dei valori accertati per altri immobili aventi caratteristiche analoghe.

4. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono liberamente commerciabili, fermo restando il divieto di trasferimento delle stesse in altri comparti urbanistici. Esse sono soggette alle imposte immobiliari previste dall'articolo 20, comma 5.

5. Al fine di attuare processi di riqualificazione delle aree urbane, il piano operativo può prevedere la realizzazione nel comparto urbanistico di quote di infrastrutture, di attrezzature e di spazi collettivi definite in considerazione anche delle carenze pregresse presenti nel medesimo ambito o nelle parti del territorio comunale ad esso adiacenti. In tali casi il piano operativo può assegnare quote di edificabilità compensativa, quale equo ristoro dei particolari obblighi posti in capo ai proprietari degli immobili quale condizione per l'attuazione degli interventi.

6. Quote di edificabilità compensativa possono essere previste dal piano operativo anche a favore dei soggetti titolari di immobili, collocati al di fuori dei comparti edificatori, sui quali il piano operativo provvede alla apposizione di un vincolo preordinato all'esproprio per la realizzazione di un'opera pubblica o di interesse pubblico.

Art. 19.

(Comparti urbanistici).

1. Il comparto urbanistico può essere attuato dai proprietari degli immobili inclusi nel suo perimetro, dal comune, da società miste o da altri soggetti pubblici e privati, ai sensi di quanto stabilito dal piano operativo.

2. Nel caso di attuazione del comparto urbanistico da parte di soggetti privati, devono essere preventivamente ceduti a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici gli immobili necessari per la realizzazione, nel comparto stesso, di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, edilizia residenziale pubblica e altre opere pubbliche o di interesse pubblico, nella quantità prevista dal piano operativo e sulla base delle indicazioni localizzative indicate dal comune.

3. I titolari, singoli o associati, di una quantità superiore al 50 per cento delle quote edificatorie complessive attribuite a un comparto urbanistico, possono procedere all'attuazione forzosa del comparto qualora si verifichi il rifiuto o l'inerzia dei rimanenti proprietari. A tale scopo i medesimi soggetti acquisiscono le quote edificatorie attribuite ai proprietari che hanno deciso di non partecipare all'iniziativa, e i relativi immobili, mediante la corresponsione del controvalore di cui al comma 6 o, nel caso di rifiuto, mediante deposito della somma prevista presso la tesoreria comunale.

Secondo contributo dell’Istituto nazionale di Urbanistica alla definizione del testo di legge sul governo del territorio in discussione presso la VIII Commissione parlamentare

Anche a seguito della riunione del Consiglio direttivo nazionale dell’Istituto tenutasi il 21 febbraio scorso, l’Inu non ha ritenuto di predisporre per l’audizione odierna un ulteriore documento, rinviando senz’altro per l’impostazione e i temi generali al documento inviato alla Commissione stessa nell’ottobre 2003, a seguito della precedente audizione [allegato].

In questa fase l’Inu intende pertanto limitarsi a indicare e suggerire, come sempre con spirito di collaborazione e di servizio, alcune modifiche puntuali al testo esaminato che si ritengono migliorative, e che solo in qualche caso possono essere considerate sostanziali dal punto di vista concettuale.

L’Inu tuttavia intende anche manifestare apprezzamento per alcuni miglioramenti già riscontrabili nella versione più recente della proposta di legge, rispetto alle precedenti, esortando quindi la Commissione a procedere il più celermente possibile nei lavori, in modo da rendere possibile l’approvazione di questa riforma entro la fine della corrente legislatura.

Inutile ricordare infatti che tale riforma è attesa ormai da molti decenni, e che essa appare oggi più che mai necessaria, non solo a seguito della riscrittura del Titolo V della Costituzione, ma anche, e più in generale, a seguito del processo di sviluppo delle autonomie territoriali e amministrative avviato già dai primi anni Novanta, e oggi realmente e diffusamente in corso. Processo che come è noto riguarda anzitutto le Regioni ma, è bene non dimenticarlo, anche Province, Comuni e le future Città metropolitane.

In questo senso, e anche al fine di meglio comprendere alcune delle modifiche puntuali suggerite in questa sede al testo della proposta di legge, l’Inu ritiene utile formulare alcune osservazioni a carattere generale, che meglio specificano e motivano quanto già fatto presente alla Commissione in precedenza con il documento dell'ottobre 2003.

1. Piano “urbanistico” e pianificazione.

L'Inu osserva che, sebbene giustamente ispirato e intitolato al “governo del territorio”, il disegno di legge in discussione restituisce nel suo insieme una visione alquanto asfittica della materia, qui limitata di fatto e sostanzialmente alla “urbanistica” in senso stretto, ovvero alla disciplina, fino ad oggi incarnata dal piano comunale, finalizzata prevalentemente a determinare la edificabilità dei suoli e a gestire le conseguenti attività urbanizzative ed edilizie. È ben vero questa concezione è ormai diffusamente radicata nel Paese, come conseguenza diretta della “urbanistica” che si è effettivamente praticata in Italia per molti decenni, sulla falsariga della legge 1150/1942, e in quasi totale carenza di altre forme di pianificazione. Tuttavia, proprio una recente sentenza della Corte Costituzionale, che scioglie inequivocabilmente alcuni dubbi sorti in merito, chiarisce senz’altro che la “urbanistica” fa parte del “governo del territorio”, ma proprio per questo “far parte” evidentemente non lo esaurisce.

E d’altronde è proprio questa natura più ampia del “governo del territorio”, rispetto alla “urbanistica” tradizionalmente intesa, che giustifica, legittima e richiede necessariamente una legislazione statale di principi e di indirizzi.

Dal punto di vista pratico, si segnala inoltre che fin dai primi anni Novanta, a seguito della legge 142/1990, e più in generale della stessa evoluzione delle singole discipline legislative regionali, anche nel nostro Paese si sono sviluppate forme di pianificazione territoriale, a cominciare da quelle messe in capo alle Province dalla stessa legge 142/1990, fino a diverse esperienze di livello regionale. Tali pianificazioni “territoriali”, di carattere “generale” e non “settoriale” o “specialistico” (questi ultimi già considerati, o almeno allusi dalla proposta di legge in discussione), non hanno ovviamente (e per ragioni tecniche non possono avere) carattere “urbanistico”, per come sopra definito. Tali pianificazioni “generali” mirano invece a definire gli assetti territoriali in “area vasta”, contemperando gli aspetti infrastrutturali e insediativi con quelli ambientali e anche di tutela del paesaggio e dei beni culturali territoriali.

In particolare, i piani territoriali provinciali ex lege 142/1990 sono di fatto quasi sempre improntati a una ricomposizione organica delle cosiddette “tutele separate”, e quindi – “conformando il territorio”, ma non i diritti di proprietà – costituiscono un indispensabile quadro di riferimento sia per le pianificazioni comunali, in particolare per i Comuni minori, sia per i progetti di infrastrutture e, soprattutto, per le relative valutazioni. Obiettivo questo della ricomposizione, se non della reductio ad unum, che giustamente assume e persegue anche la proposta di legge in discussione, seppure facendone carico al “piano urbanistico” locale.

2. Sussidiarietà.

L'Inu condivide pienamente il fatto che la proposta di legge sia basata essa stessa sul principio di sussidiarietà che si sforza poi di introdurre nelle pratiche di governo del territorio, e la cui attuazione costituirebbe più in generale una vera e importante innovazione nel sistema amministrativo nazionale, fino ad ora in gran parte basato su concetti supinamente ereditati da precedenti concezioni dello Stato e della società.

Anche in accordo con gli indirizzi della Unione europea, tuttavia, il principio di sussidiarietà deve essere necessariamente esteso dal rapporto tra Stato e Regioni anche agli altri Enti territoriali e alla stessa cittadinanza. Si osserva invece che la proposta di legge in discussione, mentre appare molto attenta – per certi aspetti fin troppo (v. in seguito) – al rapporto Stato/Regioni, non offre specifici indirizzi, e tanto meno “garanzie” sul rapporto Regioni/Enti territoriali, e tratta forse in maniera ancora parziale il rapporto tra amministrazione pubblica nel suo insieme e cittadinanza.

Come è noto l'Inu sostiene da tempo che nella materia “governo del territorio”, in quanto materia “concorrente” e per la sua stessa natura, lo Stato non può emanare legittimamente altro che una legge di principi e di indirizzi, ma se ciò vale sul piano legislativo nei confronti delle Regioni, non vale invece per quanto di diretta ed esclusiva competenza statale, laddove lo Stato deve invece assumere impegni più definiti, o almeno stabilire tempi e modalità di definizione dei relativi provvedimenti, da assumere auspicabilmente di concerto con Regioni ed Enti locali. Così ad esempio per la definizione dei cosiddetti “requisiti minimi”, e in genere per garantire un omogeneo trattamento dei diritti di cittadinanza sull'intero territorio nazionale.

E spetta senz'altro allo Stato inverare il principio di sussidiarietà prevedendo ove opportuno, o addirittura necessario, “norme argine” per così dire, a tutela di tale principio e a garanzia della sua applicazione anche nei rapporti tra Regioni ed Enti locali. L'esperienza dell'ultima decennio, infatti, rivela fin troppo chiaramente la tendenza di alcune amministrazioni regionali ad arroccarsi sui poteri a vario titoli acquisiti, a danno o comunque con forti limitazioni delle autonomie locali.

Fermo restando che il “governo del territorio” è essenzialmente una funzione pubblica, e che quindi le pratiche di programmazione e pianificazione che lo inverano sono fortemente legate e dipendenti da tale funzione, anche in termini di legittimità sostanziale, l'Inu condivide senz'altro che tale funzione possa essere svolta anche con la partecipazione e il contributo diretto di soggetti privati, singoli o variamente aggregati (cosiddetta “sussidiarietà orizzontale”), sia con modalità di partecipazione estesa, sia attraverso esplicite e trasparenti pratiche negoziali, che abbiano il fine di attuare gli obiettivi dell’amministrazione pubblica espressi dalla programmazione e dalla pianificazione, anche partecipando alla ulteriore definizione degli stessi, e con un ragionevole equilibrio tra interessi privati e appunto interessi pubblici.

Proprio per questa condivisione sostanziale del principio, l'Inu segnala tuttavia la necessità di guardare con la massima attenzione alle formulazioni presenti nella proposta di legge in discussione che riguardano questi aspetti, anche al fine di evitare per quanto possibile critiche pretestuose, ma soprattutto per non indurre eventuali comportamenti equivoci in fase di attuazione di questa ulteriore e fondamentale riforma della nostra amministrazione nazionale.

3. Abrogazioni

L'Inu raccomanda infine che sia introdotto un articolo aggiuntivo alla proposta di legge in discussione, che preveda esplicitamente e puntualmente l'abrogazione delle residue norme della legge 1150/1942 ancora oggi in vigore, e di tutte le leggi e norme da tale legge derivate e su di essa basate. Avendo ormai tutte le Regioni legiferato in materia, non vi è alcun rischio di un “vuoto legislativo”, mentre sarebbe incombente e del tutto prevedibile un incredibile mole di contenzioso amministrativo e giudiziario qualora tali norme restassero in vigore, o peggio qualora si dovesse definire a posteriori quali restino in vigore o meno. La inevitabile inerzia della burocrazia tecnica e amministrativa sarebbe inoltre sollecitata a perpetuarsi, con l'effetto di ritardare grandemente la effettiva attuazione del provvedimento ora in discussione, e forse anche di eroderne progressivamente la portata innovativa.

Proposte di legge in materia di “governo del territorio”. Valutazioni in merito alla “Proposta di testo unificato

1. Secondo Italia Nostra, il comma 3 dell’articolo 4 reca la filosofia essenziale della proposta in esame, e cioè la sostituzione degli “atti autoritativi”, cioè dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica di esclusiva competenza di pubbliche autorità portatrici di interessi collettivi, con “atti negoziali” tra i soggetti istituzionali e i “soggetti interessati" (che finiscono per coincidere con i proprietari degli immobili). Come è stato detto in altra sede, l’attività di governo del territorio dovrebbe quindi ridursi a un “continuo confronto tra ragioni”, nel quale quella del complesso delle istituzioni pubbliche non sarebbe altro che “una voce tra le voci”. Questa concezione trova le sue più immediate traduzioni precettive nei commi 3 e 6 dell’articolo 7 della proposta in esame.

Una siffatta impostazione è pienamente coerente con l’assunto della piena e totale mercificazione del territorio e degli immobili che lo compongono. Vale a dire, con un assunto che è stato respinto dai massimi teorici dell’economia liberale classica dei secoli trascorsi, in considerazione del fatto che il territorio, e gli immobili che lo compongono, non possiedono per nulla, o scarsissimamente, quei requisiti di divisibilità, riproducibilità e fungibilità che costituiscono i presupposti essenziali e irrinunciabili dell’efficiente funzionamento del libero mercato quale ottimale regolatore della produzione e distribuzione dei beni.

2. Un secondo elemento cardine della proposta in esame è quello (enunciato al comma 1 dell’articolo 5) per cui è data piena discrezionalità alle regioni di individuare “gli ambiti territoriali da pianificare” (implicandosi, per converso, che possano sussistere ambiti territoriali non sottoposti a pianificazione) e “l’ente competente alla pianificazione”. Se ne deduce che una regione potrebbe, a esempio, attribuire le competenze pianificatorie soltanto alle province, escludendo sé medesima e i comuni, mentre un’altra regione potrebbe attribuire le medesime competenze a speciali “agenzie”, e limitare la pianificazione solamente agli ambiti di trasformazione morfologica urbana (nuovo impianto o ristrutturazione urbanistica). E così via ipotizzando.

La proposta in esame rifiuta perciò l’assunto, che pareva ormai irreversibilmente fatto proprio dall’ordinamento (si pensi soltanto, e innanzitutto, alla legislazione, di rango immediatamente sub-costituzionale, sulle funzioni degli enti locali), per cui l’attività pianificatoria ordinaria compete a tutti gli enti territoriali dotati di organi elettivi di primo grado (stato, regioni, province o città metropolitane, comuni), potendo la legislazione attribuire competenze pianificatorie specialistiche o settoriali ad altre autorità pubbliche che si configurino come “organi misti” (autorità di bacino, enti di gestione dei parchi naturali, e simili).

Tale interpretazione appare peraltro contraddetta da numerosi riferimenti, presenti nel testo in esame, a “atti [...] di pianificazione sovraordinati”, o a oggetti equipollenti (articolo 5, comma 3; articolo 7, commi 4 e 5; articolo 8, comma 8), che fanno invece pensare a una sostanziale adesione all’assunto, appena sopra sunteggiato, consolidatosi nell’ordinamento.

Sotto questo profilo, la proposta in esame presenta livelli di incoerenza tali da configurare un’inaccettabile incomprensibilità.

3. Nessun accenno si rinviene nella proposta in esame alla tematica, messa a punto dalla giurisprudenza costituzionale a far data dal 1968, dei vincoli, apponibili da qualsiasi soggetto, anche (o soprattutto) in sede di attività pianificatoria, che “riconoscono” l’intrinseco interesse pubblico di determinati beni immobili per ragioni di tutela dell’integrità fisica o dell’identità culturale del territorio, per cui vigono a tempo indeterminato non comportando (anche se implicanti totale immodificabilità degli immobili interessati) obbligo di indennizzo.

Tale carenza, oltretutto, rende assolutamente incomprensibile l’attuabilità di una previsione del testo: quella di considerare il territorio aperto, naturale e coltivato, proprio in forza della sua ormai raggiunta “scarsità relativa”, sostanzialmente vincolato ope legis al mantenimento della sua caratteristica identificativa e identitaria. In proposito, piuttosto, v’è da osservare che, nell’articolato in esame, si aggiunge alle due fondamentali componenti del territorio aperto, le “aree destinate all’agricoltura” e le “aree di pregio ambientale”, una terza componente, le “aree extraurbane a destinazione agricola di riserva urbanistica” (art. 5, comma 5), della quale è arduo intendere i presupposti culturali e tecnici, e facile invece prevedere le ricadute pratico-operative: costituire una componente territoriale fisicamente in stato di abbandono e degrado fino al momento della sua “valorizzazione” insediativa e al contempo finanziariamente oggetto di vertiginose crescite delle rendite posizionali.

Per converso, con riferimento al problema dei vincoli cosiddetti “funzionali” o “additivi” (che attribuiscono interesse pubblico a determinati immobili sulla base delle scelte discrezionali del pianificatore) la proposta in esame non è capace (articolo 6, comma 3) di trovare soluzione più innovativa di quella escogitata (in via transitoria!) dal legislatore del 1969: la durata quinquennale (aggiungendovi – con il comma 7 dell’articolo 8 – le alternative all’esproprio suggerite dalla più recente giurisprudenza costituzionale). Riteniamo invece che proprio la possibilità di ridurre a un novero limitato i casi di irrinunciabile ricorso all’espropriazione per pubblica utilità, consenta di prevedere, secondo una tesi impostata già negli anni ’80 dal sen. Achille Cutrera, che al decorrere di un ragionevole periodo di tempo, in assenza di esecuzione dei procedimenti di esproprio, gli immobili entrino a far parte ope legis del patrimonio del soggetto pubblico interessato, acquisendo il proprietario il diritto al controvalore monetario (per maggiori precisazioni si veda il punto 13 del documento allegato alla presente memoria).

4. Relativamente all’attuazione delle previsioni della pianificazione urbanistica, da un lato si reputa incongruo che il ricorso a tecniche di “perequazione” tra i proprietari immobiliari coinvolti sia (come apparirebbe dalla formulazione letterale del comma 2 dell’articolo 8 dell’articolato in esame) una mera possibilità, posta alla pari di altre, anche nei casi di rilevanti trasformazioni (di nuovo impianto urbanizzativo ed edificatorio, o di ristrutturazione urbana) unitariamente riguardanti interi ambiti territoriali. Dall’altro lato, riteniamo inammissibile che (come invece previsto dal comma 4 del succitato articolo 8) i “diritti edificatori” (termine in merito al quale si nutrono le più ampie riserve) siano, in quanto “liberamente commerciabili”, trasferibili da uno a tutt’altro degli ambiti individuati e definiti dalla pianificazione urbanistica generale: con il risultato di vedere alterati (o quantomeno illimitatamente alterabili), da imperscrutabili giochi “di mercato”, i pesi edificatori e insediativi attribuiti ai diversi ambiti, cioè distribuiti nelle diverse parti del territorio, dalla medesima pianificazione urbanistica generale.

5. Accanto alle osservazioni di merito fin qui esposte, ci si permette ancora di osservare che il testo in esame, più che essere un’organica e compiuta legge quadro statale nella complessa materia denominata governo del territorio – inserita tra quelle enumerate dal comma terzo del novellato articolo 117 della Costituzione tra quelle a competenza legislativa concorrente – costituisce soltanto l’enunciazione di opzioni culturali e politiche essenziali al fine di aprire un confronto nel merito.

Per essere un’effettiva legge-quadro, la proposta in esame dovrebbe recare:

- tutti i principi fondamentali direttamente inerenti alla materia governo del territorio che si ritengano appartenenti alla competenza decisionale quantomeno dello stato nazionale, in applicazione del principio di sussidiarietà rettamente inteso, cioè espresso secondo la lettera e lo spirito degli atti costitutivi dell’Unione europea;

- gli omologhi principi fondamentali nelle materie parimenti a competenza legislativa concorrente e aventi indissolubili e irrinunciabili rapporti con il governo del territorio o, quantomeno, la chiarificazione del coordinamento con tali ulteriori principi fondamentali;

- le disposizioni direttamente precettive attinenti alle materie, o agli argomenti, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, aventi altrettanto indissolubili e irrinunciabili rapporti con il governo del territorio”, o quantomeno la chiarificazione del coordinamento con tali disposizioni.

6. Malauguratamente, il trentennio (circa) di applicazione del previgente titolo V della Costituzione repubblicana, ha fornito scarsissimi esempi in merito alla produzione di leggi statali conformi al modello costituzionale nelle materie a competenza legislativa ripartita. Ciò presumibilmente in conseguenza del precetto, dettato in via generale alle Regioni, per cui queste ultime avrebbero dovuto sceverare i principi fondamentali dal complesso delle disposizioni, spesso di estremo dettaglio, e comunque di tipo direttamente operativo, dettate dalle leggi statali sia già vigenti che successivamente prodotte dal Parlamento nazionale senza alcuna variazione della tecnica espositiva consolidata.

Nel momento in cui si intende mutare realmente il modello di produzione legislativa nelle materie a competenza ripartita, parrebbe necessario disporre di una raccolta unificata e coordinata di tutte le disposizioni aventi forza di legge presenti nella legislazione statale e riconducibili sia, in senso stretto, al governo del territorio, sia, più latamente, alle altre materie aventi, come s’è detto, indissolubili e irrinunciabili rapporti con detto governo del territorio. Tale necessità non è sostenuta per configurare la legge quadro statale nella materia governo del territorio come un tipico “testo unico”, con il svantaggio, anche a prescindere dalla dubbia legittimità di una tale operazione alla luce della nuova stesura del titolo V, di perpetuare le distorsioni del modello di produzione legislativa ripartita sinora realizzatosi. La raccolta delle disposizioni vigenti avrebbe invece l’obiettivo di contribuire a evitare che la nuova legge quadro possa presentare consistenti lacune, o vistose smagliature, nella griglia delle norme che si potrebbe, viceversa, convenire essere di pertinenza statale, alla luce degli interessi unitari nazionali da salvaguardare e del vincolo costituzionale di assicurare un’essenziale uguaglianza di condizioni di vita nell’intero territorio della Repubblica. Ed è parimenti sostenuta in relazione all’opportunità di procedere, quale risultato finale di un processo quale quello configurato, in concomitanza con il varo di un’autentica legge quadro, all’abrogazione esplicita di decine di provvedimenti legislativi statali, ovvero di centinaia di loro specifiche disposizioni, con effetti d’indubitabile chiarificazione dell’ordinamento.

7. Molte altre osservazioni potremmo muovere alla proposta in esame, ma riteniamo preferibile affidarne l’evidenziazione al confronto con i contenuti del già citato documento allegato che le associazioni Italia Nostra e Polis hanno redatto e presentato in numerose occasioni, e consegnano oggi a questa Commissione parlamentare. Un testo, come si può immediatamente riscontrare, che presenta un’irriducibile diversità di impostazione, di irrisolvibile alterità delle opzioni, di non mediabilità dei contenuti rispetto alla proposta in esame.

Roma, 23 febbraio 2003

AllegatoItalia nostra - Associazione PolisIpotesi di principi fondamentali in materia di governo del territorio

0. La materia del governo del territorio, oggetto di legislazione concorrente ai sensi dei commi terzo e quarto dell’articolo 117 della Costituzione, concerne la disciplina delle tutele, degli assetti, delle trasformazioni e delle utilizzazioni del territorio e degli immobili che lo compongono.

Con i principi fondamentali determinati dalla legislazione dello Stato in materia di governo del territorio sono coordinati quelli nelle materie di protezione civile, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, parimenti oggetto di legislazione concorrente ai sensi dei commi terzo e quarto dell’articolo 117 della Costituzione.

L’esercizio della potestà legislativa delle Regioni nella materia del governo del territorio si svolge nel rispetto, oltreché della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, dei principi fondamentali suindicati, nonché delle disposizioni della legislazione dello Stato nelle materie in cui quest’ultimo ha competenza esclusiva, con particolare riferimento:

- alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

- alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

- all’ordinamento civile e penale;

- alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

- alla tutela della concorrenza e alla perequazione delle risorse finanziarie.

1. Al governo del territorio si provvede, oltre che con norme legislative e regolamentari, esclusivamente con strumenti di pianificazione, formati ai sensi delle leggi.

Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare tutte le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono, nonché le azioni suscettibili, singolarmente o nei loro effetti cumulativi, di indurre tali trasformazioni, e a conferire a tali trasformazioni e azioni coerenza, in relazione sia alla loro collocazione nello spazio che alla loro successione nel tempo.

Gli atti delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni e le azioni suindicate devono essere conformi a strumenti di pianificazione, ovvero inseriti in essi secondo procedimenti che ne preservino le coerenze, e che rispettino gli elementi essenziali di quelli ordinari di formazione e variazione dei medesimi strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità di provvedere, con interventi urgenti, alla difesa militare o alla sicurezza della Nazione, ovvero a prevenire il verificarsi di calamità naturali, di catastrofi e di altri eventi calamitosi, o di rimediare ai suddetti eventi, e comunque nel rispetto delle specifiche norme legislative.

2. Il governo del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

La formazione degli strumenti di pianificazione spetta ordinariamente agli enti territoriali: Stato, Regioni, Province o Città metropolitane, Comuni.

Il riconoscimento delle competenze pianificatorie delle Province, delle Città metropolitane, dei Comuni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti la difesa del suolo, le aree naturali protette, l’erogazione di servizi di interesse collettivo, e simili, ad altre autorità pubbliche, che si configurino come organi misti, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale deve spettare all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientri l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni dei primi. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento di intese con le autorità pubbliche competenti conferisca agli ordinari strumenti di pianificazione delle Regioni, delle Province o Città metropolitane, dei Comuni, le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, definiscono comunque i procedimenti tecnici e decisionali di formazione di tutti gli strumenti di pianificazione così da conferire a tali procedimenti la massima unitarietà, attraverso il concorso, in termini di leale collaborazione, di tutte le pubbliche autorità cui siano riconosciuti ruoli, anche differenziati, in relazione agli oggetti degli specifici strumenti di pianificazione considerati.

In ogni caso la definitiva approvazione degli strumenti di pianificazione, da parte del soggetto pubblico pianificatore, è subordinata solamente alla condizione sospensiva della verifica della loro conformità agli strumenti di pianificazione cui è conferita dalle leggi efficacia prevalente. Tale conformità è, di norma, verificata mediante conferenze di amministrazioni.

3. Le attività di governo del territorio hanno per obiettivi prioritari le tutele dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio stesso, da assumere quali condizioni di ogni ammissibile scelta di trasformazione, fisica o funzionale, nonché il conferimento al medesimo territorio, e in particolare al sistema insediativo antropico, di più elevati caratteri di qualità, formale e funzionale, al fine di perseguire uno sviluppo sostenibile, nonché la massima coesione sociale e un sempre maggiore benessere individuale e collettivo.

4. La legislazione regionale può disporre che la pianificazione si esprima attraverso strumenti, o componenti dei medesimi strumenti, aventi efficacia conformativa delle facoltà di operare trasformazioni, fisiche e funzionali, degli immobili, connesse al diritto di proprietà sui medesimi, e strumenti, o componenti dei medesimi strumenti, non aventi tale efficacia, ma soltanto valenza di direttive vincolanti rivolte a successivi atti pianificatori aventi la predetta efficacia conformativa.

5. Le regole conformative delle facoltà di operare trasformazioni, fisiche e funzionali, degli immobili, dettate dagli strumenti di pianificazione, con riferimento alle articolazioni del territorio, o alle categorie di elementi territoriali, definite dai medesimi strumenti, possono essere variate discrezionalmente, seppure motivatamente, dagli strumenti stessi, secondo i procedimenti stabiliti dalle leggi.

Le predette facoltà non possono essere soppresse o modificate dalle variazioni degli strumenti urbanistici soltanto ove sia stato ottenuto il provvedimento abilitativo a operare le trasformazioni, e i relativi lavori abbiano inizio entro un periodo di tempo predeterminato dalle leggi.

6. Le trasformazioni, fisiche e funzionali, degli immobili, sono effettuabili, di norma, previo ottenimento, anche tacito, di un titolo abilitativo comunale.

L’ottenimento dei titoli abilitativi relativi alle trasformazioni, fisiche e funzionali, suscettibili di variare il carico urbanistico puntuale e le necessità di dotazioni di opere di urbanizzazione e di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, è subordinato al versamento di un corrispettivo commisurato ai costi effettivi di realizzazione delle suddette dotazioni.

7. Trasformazioni del territorio non urbanizzato, sia a prevalenza di naturalità che oggetto di attività colturali, al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano, o ampliamenti di insediamenti esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, possono essere definite ammissibili o prescritte dagli strumenti di pianificazione soltanto ove non sussistano alternative consistenti in trasformazioni volte al riuso degli insediamenti ovvero delle infrastrutture esistenti.

Il territorio non urbanizzato, sia a prevalenza di naturalità che oggetto di attività colturali, individuato dagli strumenti di pianificazione come non interessabile da nuovi insediamenti di tipo urbano, o da ampliamenti di insediamenti esistenti, è qualificato bene ambientale in forza di legge, conseguendone ogni relativo effetto. In tale territorio la legislazione regionale, le norme regolamentari, gli strumenti di pianificazione, non possono ammettere nuove edificazioni, demolizioni e ricostruzioni, consistenti ampliamenti di manufatti edilizi esistenti, se non con esclusivo riferimento ai manufatti edilizi strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali ed eventualmente delle attività escursionistiche, nonché alle opere di difesa del suolo e di tutela dell’ambiente e alle infrastrutture alle condizioni suindicate.

8. I provvedimenti abilitativi comunali relativi a trasformazioni, fisiche o funzionali, di beni ambientali, ove siano conformi a disposizioni immediatamente precettive e operative della pianificazione comunale che, anche in adeguamento a strumenti di pianificazione provinciale e regionale, siano state definite d’intesa con la competente Soprintendenza, costituiscono provvedimenti definitivi. In tali casi non trovano applicazione i poteri di controllo e di annullamento riconosciuti all’amministrazione statale per i beni culturali.

9. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, sono qualificati come tali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione delle Regioni, delle Province o Città metropolitane, dei Comuni, nell’ambito delle rispettive competenze, d’intesa con la competente Soprintendenza:

- gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

- le unità edilizie, e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali, ovvero, comunque, costituenti esemplari significativi, sotto il profilo del valore artistico o anche soltanto dell’interesse testimoniale, della cultura architettonica.

Resta ferma la competenza della Soprintendenza di integrare le predette individuazioni con propri provvedimenti amministrativi.

Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili suindicati sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione delle Regioni, delle Province o Città metropolitane, dei Comuni, nell’ambito delle rispettive competenze, come definite dalla legislazione regionale. Laddove e nella misura in cui siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite d’intesa con la competente Soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengono luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

10. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti nel governo del territorio, dello Stato, delle Regioni, delle Province o Città metropolitane, dei Comuni, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

11. Non danno parimenti luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti nel governo del territorio, dello Stato, delle Regioni, delle Province o Città metropolitane, dei Comuni, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovino in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti (come nel caso delle fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti, e simili).

12. Non danno infine luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili, pure se fortemente differenziate nelle diverse articolazioni del territorio riconosciute o definite dalla pianificazione, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti nel governo del territorio, dello Stato, delle Regioni, delle Province o Città metropolitane, dei Comuni, nell’ambito delle rispettive competenze, nell'esercizio del potere di disciplinare il godimento della proprietà privata per assicurarne la funzione sociale, e comunque al fine di perseguire assetti del territorio, e in particolare del sistema insediativo antropico, dotato delle volute qualità, formali e funzionali.

13. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione che siano dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente precettive e operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisite dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle suindicate disposizioni.

Decorso inutilmente il suddetto termine, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue a norma dell’articolo 2946 del codice civile. La somma suindicata è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertate dall’ISTAT. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi, in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data della liquidazione.

Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non abbia applicazione quanto sopra sancito, laddove l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione, e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni per loro natura attivabili e gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, pur se regolata da convenzioni che garantiscano gli obiettivi di interesse generale.

Può essere prevista, dalla legislazione regionale e dagli strumenti di pianificazione, la permuta degli immobili destinati a funzioni pubbliche o collettive con immobili di proprietà del soggetto pubblico competente suscettibili, secondo gli strumenti di pianificazione, di trasformazioni e utilizzazioni nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, e di valore equivalente a quello che sarebbe stato conferito agli immobili destinati a funzioni pubbliche o collettive dall’entità e dalla qualità delle utilizzazioni definite ammissibili dagli strumenti di pianificazione nell’articolazione del territorio nella quale ricadono questi ultimi immobili.

Può altresì essere previsto, dalla legislazione regionale e dagli strumenti di pianificazione, il trasferimento, ad altri immobili di proprietà del medesimo soggetto, dell’effettuabilità di trasformazioni di entità e qualità equivalenti a quelle definite ammissibili dagli strumenti di pianificazione nell’articolazione del territorio nella quale ricadono gli immobili destinati a funzioni pubbliche o collettive, quale compensazione della cessione gratuita di questi ultimi immobili al soggetto pubblico competente alla loro utilizzazione e gestione.

14. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina i requisiti quantitativi, qualitativi e relazionali inderogabili delle dotazioni di opere di urbanizzazione e di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva che devono essere assicurate negli strumenti di pianificazione delle Regioni, delle Province o Città metropolitane, dei Comuni, nell’ambito delle rispettive competenze.

15. Gli strumenti di pianificazione dello Stato individuano, tra l’altro, l’insieme delle grandi opere di rilevanza sovraregionale di competenza dello Stato medesimo. La definizione della localizzazione, o del tracciato, nonché delle caratteristiche, di tali opere, è effettuata mediante conferenze di amministrazioni.

16. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, quali i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane con demolizione e ricostruzione di ingenti quantità di manufatti edilizi esistenti e modificazione della maglia insediativa, e simili, devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

Tali strumenti di pianificazione garantiscono la massima perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefici e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici dei suoli, e a quelle degli edifici eventualmente esistenti, appartenenti ai diversi proprietari.

AC nn. 153, 442, 677, 1065, 3627, 3810, 3860

Governo del territorio

Proposta di testo unificato

presentata dal relatore al Comitato ristretto

(21 gennaio 2004)

Testo proposto dal relatore

Art.1 (Governo del territorio)

1. In attuazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presenta legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio. In attuazione dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, la presente legga disciplina gli usi del suolo per gli aspetti direttamente incidenti sull'ordinamento civile e penala, sulle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, sulla tutela della concorrenza nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Le disposizioni della presente legge fanno comunque salvi i principi e le norme dell'ordinamento comunitario.

2. Il governo del territorio consiste nell'insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità. Il governo del territorio comprende altresì l'urbanistica, l'edilizia, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull'ordinamento civile e penale, sulla tutela della concorrenza nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali..

Art. 2 (Compiti e funzioni dello Stato)

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso la predisposizione di politiche generali e di settore inerenti lo sviluppo economico-sociala, il territorio e l'ambiente.

2. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, in armonia con le politiche definite a livello nazionale e comunitario e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica, in ordine all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché la fissazione dei criteri per la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, per la difesa del suolo.

4. Le opere e gli interventi dichiarati di interesse nazionale sono individuati tramite un programma predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con i Ministeri competenti e con la Conferenza unificala di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il predetto programma è inserito nel Documento di programmazione economica-finanziaria, previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Le opere e gli interventi di cui al predetto programma sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro.

Art. 3 (Interventi speciali dello Stato)

1. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio economico e sociale, di promuovere l'abbandono di insediamenti abusivi esposti al rischio di calamità naturali, di superare gravi situazioni di degrado ambientale, di favorire il recupero di aree urbane degradate, anche attraverso interventi di demolizione e ricostruzione, lo Stato predispone programmi dì intervento ed effettua i relativi interventi in determinati ambiti territoriali con l'obiettivo di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostentile, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

2. I programmi e gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata..

3. L'adozione degli strumenti di programmazione negoziata, a cui hanno partecipato gli enti competenti alla pianificazione, comporta l'automatico adeguamento dal piano urbanistico già approvato

Art. 4 (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione)

1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati, secondo i criterì della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.

2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, sentiti i soggetti interessati, anche mediante intese e accordi procedimentali e l'istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell'unità della pianificazione.

3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto dì partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

4. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l'attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stalo forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.

Art. 5 (Programmazione e pianificazione del territorio)

1. Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l'ente competente alla pianificazione, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare e definiscono modalità d'uso del suolo tali da assicurarne la congruità con le condizioni di mobilità e qualità ambientale, nonché con i rapporti fra spazi aperti e coperti, pubblici e privati.

2. Fino alla individuazione degli ambiti territoriali da pianificare, e salva diversa disposizione legislativa regionale, l'ente competente alla pianificazione è il comune

3. L'ente preposto alla pianificazione è il soggetto primario della disciplina e del controllo dell'uso del territorio. Gli atti di governo del territorio assicurano, attraverso la partecipazione e il controllo degli usi dei suolo e della mobilità, la disciplina della totalità del territorio, il rispetto dei caratteri storici, culturali e sociali, la qualità urbana, l'integrazione delle funzioni, la riqualificazione e l'equilibrio fra aree urbanizzate e non urbanizzate, la difesa del suolo. Tali atti sono predisposti in conformità agli atti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, nonché alle intese e agli accordi intervenuti.

4. Il piano urbanistico è l'unico strumento di disciplina della totalità del territorio e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione di settore concernente il territorio

5. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree extraurbane a destinazione non agricola di riserva urbanistica..

6. Nelle aree destinate all'agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente

7. La pianificazione urbanistica si attua attraverso modalità strutturati e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli aì sensi dell'articolo 42 della Costituzione.

Art. 6 (Dotazioni territoriali)

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L'entità dell'offerta dì servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l'obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.

3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire.

Art.7 (Predisposizione e approvazione del piano urbanistico)

1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.

2. Nell'ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive, deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo ed adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o al rigetto delle stesse. Nell'attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all'esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l'amministrazione procedente.

3. Gli organi istituzionali ed i responsabili amministrativi degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita ed adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell'ambito del procedimento ed ai principi di cui alla presente legge.

4. L'ente di pianificazione può concludere accordi con i soggetti interessati, per recepire nel piano urbanistico proposte di interventi, in attuazione degli obiettivi strategici indicati nel documento programmatico. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione del piano urbanistico che lo recepisce,

5. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e dì approvazione del piano e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione., i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilita con gli strumenti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonché determinano analoghi termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

6. Con l'adozione dei piani gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni agli strumenti di pianificazione sovraordinati, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L'atto di approvazione del piano contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano sovraordinato, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare dello strumento.

7. Gli enti locali possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei principi di imparzialità amministrative, di concorrenzialità e di partecipazione al procedimento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.

Art. 8 (Attuazione del piano urbanistico)

1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L'attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. Le previsioni della pianificazione urbanistica possono essere attuate anche sulla base dei criteri di perequazione e compensazione i cui parametri devono essere fissati nei piani strutturali.

3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese in ambiti territoriali omogenei oggetto di trasformazione urbanistica.

4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali omogenei.

5. Al fine di mantenere il limite massimo complessivo di edificazione dei predetti ambiti omogenei è possibile individuare alcune aree da dotare di indici di edificabilità incrementabile.

6. A fronte di benefici pubblici aggiuntivi rispetto a quelli dovuti e comunque coerenti con gli obiettivi fissati nel piano urbanistico nel medesimo possono essere previste forme di premialità, consistenti nell'attribuzione di indici differenziati, determinati in funzione dei predetti obiettivi, per interventi di riqualificazione urbana e di recupero ambientale.

7. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all'espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.

8. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-ftnanziarie per owiare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.

9. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti

Art. 8 bis (Misure di salvaguardia)

1. Con legge regionale sono definite le misure di salvaguardia che possono essere deliberate nelle more dell'approvazione degli atti di contenuto operativo del piano urbanistico.

Art. 9 (Attività edilizia)

2. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanìstica ed edilizia soggette e quelle non soggette a titolo abilìtativo, le categorie di interventi e le condizioni ìn base alle quali il soggetto interessalo ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatoli degli abusi edilizi.

4. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

5. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatoci degli abusi edilizi da parte del soggetto competente, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia

6. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civili per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento, nonché per le omissioni nell'esercizio delle funzioni di controllo

Art. 10 (Fiscalità urbanistica)

1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico ai sensi dell'articolo 8, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.

2. Le plusvalenze ed i ricavi conseguenti ai trasferimenti degli immobili o dei diritti edificatori di cui al precedente comma, in alternativa al regime ordinario, sono soggetti all'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito pari al 4 per cento del valore dichiarato in atto.

3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali, l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'immobile o del diritto edificatorio così ottenuto.

4. Nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di Comuni, l'ICI può essere ridistribuita tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell'area e in relazione alla partecipazione delle sìngole Amministrazioni comunali al consorzio.

5. Il Governo è delegato ad emanare, entro dodici mesi dell'entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani. Il regime fiscale speciale dovrà prevedere un quadro omogeneo di agevolazioni anche procedurali per tutti gli interventi di recupero di aree urbane degradate, di adeguamento antisismico degli edifici pubblici e privati, nonché di nuova edificazione o adeguamento degli edifici esistenti, secondo criteri di risparmio e di efficienza energetica e di bioedilizia.

Art. 11 (Disposizioni finali)

1. In materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici, di edilizia, di espropriazioni per pubblica utilità, si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, al DPR 6 giugno 2001, n. 380, al DPR 8 giugno 2001, n. 327, e successive modifiche.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - Com'è noto il nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione, assegna la materia del "governo del territorio" alla competenza concorrente tra Stato e regioni.

L'espressione usata dal legislatore del 2001 è del tutto nuova per il contesto costituzionale e politico italiano. In passato, infatti, siano stati abituati a misurarci con temi quali l'"urbanistica", l'"assetto del territorio", l'"edilizia", tali, infatti, erano le locuzioni utilizzate al fine di eliminare le competenze legislative e amministrative regionali.

Oggi, però, nel nostro ordinamento giuridico e istituzionale si pone una esigenza assolutamente non procrastinabile: quella di un intervento legislativo volto a chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata in Costituzione.

In questo senso, l'iniziativa che qui viene proposta ha un valore, senza timore d'enfasi eccessiva, di portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica n. 1150 del 1942.

Pienamente in accordo con l'evoluzione costituzionale avviata nel 2001 ed attualmente ancora in fase di attuazione e correzione, la presente proposta di legge ha l'obiettivo non solo di fissare i princìpi fondamentali della materia, ma anche di individuare il nuovo oggetto di questa competenza, definendo i soggetti, i mezzi e le procedure amministrative che guideranno le regioni nella determinazione delle norme disciplinanti l'oggetto del governo del territorio.

Altro elemento qualificante della proposta che si sottopone all'esame parlamentare è il profondo rispetto per il nuovo ruolo costituzionalmente fissato per le regioni in questo settore. Più volte si è assistito ad una legislazione statale di "ritaglio" delle competenze regionali, finalizzata a differenziare le discipline al solo fine di mantenere allo Stato centrale un ruolo di gestione e di dettaglio, non più coerente con il sistema costituzionale ed, altresì, foriero di duplicazioni e complicazioni burocratiche sempre crescenti.

Centrale, viceversa, dev'essere il ruolo dello Stato nel fissare i valori unificanti e gli elementi strutturali del sistema di azione e governo territoriale.

La scelta del progetto di legge è, dunque, chiaramente quella della legislazione statale di principio, aperta all'apporto ed alla integrazione normativa delle regioni. In questa direzione, essendo consapevoli delle interferenze tra materie concorrenti - quali il governo del territorio - e materie esclusive statali - quali ad esempio la tutela ambientale e degli ecosistemi - si è scelto di concepire unitariamente la regolazione attuativa, assegnando la potestà regolamentare in materia ambientale (che lo Stato avrebbe potuto riservare a sé) alle regioni, a completamento della devoluzione normativa di governo del territorio.

In tal senso, questa proposta di definizione dei princìpi e delle linee essenziali di assetto delle competenze legislative regionali e statali sul governo del territorio, muove da, e allo stesso tempo promuove, una rivoluzione culturale circa il rapporto tra autorità pubblica e territorio, fondato non più su visioni dirigistiche e "statocentriche" dell'azione pubblica ma su una vera e propria sussidiarietà territoriale.

In particolare, il progetto di legge che si propone all'approvazione prevede, nei singoli articoli, quanto segue.

Articolo 1.

La proposta di legge, in primo luogo, definisce il concetto di governo del territorio. Con l'espressione "governo del territorio", usato per la prima volta nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, si è voluto individuare una materia caratterizzata, come altre, da un forte grado di complessità: in essa rientra la regolamentazione dell'aspetto morfologico del territorio e la disciplina delle interazioni tra questo e gli interessi economico-sociali espressi dalla società civile.

Si tratta, quindi, di un insieme complesso di ambiti tra cui rientrano, volendo esemplificare, tanto lo statuto della proprietà immobiliare, quanto il riordino del sistema della fiscalità territoriale, tanto l'espropriazione, quanto i vincoli ricognitivi o quelli a contenuto sostanzialmente espropriativo, tanto i rimedi alle sovrapposizioni tra pianificazione ambientale e urbanistica, quanto l'integrazione delle varie politiche riguardanti il territorio, tanto il coordinamento tra disciplina urbanistica e lavori pubblici, quanto, infine, il rapporto tra servizi pubblici e territorio di riferimento.

Come in precedenza sottolineato, alla regione viene delegata la potestà regolamentare in materia di beni culturali e di tutela dell'ambiente.

La ragione di tale attribuzione è, evidentemente, quella di assicurare una unitarietà normativa, sul piano attuativo, essenziale per la reale efficacia operativa, e per rendere omogenea la disciplina globale del territorio.

Infine, l'appartenenza del nostro territorio nazionale a quello che si definisce lo "spazio comune europeo", oggetto di politiche e di azioni via via sempre più incisive da parte della Unione europea, impone di individuare un nuovo modo di governare l'assetto del territorio e l'uso del suolo, un tempo basato sulla netta ripartizione di poteri e competenze in materia di assetto del territorio - prevalentemente imputati allo Stato - e quello sull'uso del suolo - prevalentemente imputati agli enti territoriali e locali.

Il moderno processo di urbanizzazione ha fatto divenire irrilevante questa distinzione. Il rapporto tra assetto ed uso, un tempo evidente gerarchicamente definito e come tale governabile con attribuzioni di poteri e competenze nettamente ripartite anche per quanto riguardava la pianificazione del territorio e la programmazione degli interventi, oggi lo è molto meno.

Da qui anche le necessità di individuare una serie di politiche nelle quali appunto quella del territorio si sotanzia. Innanzitutto quella rivolta all'Unione europea per la costruzione della politica territoriale comune, ossia di un territorio federatore di Stati.

Quindi la politica di declinazione verso il locale di tale politica, che in questo caso è rappresentato dal territorio dello Stato. Da realizzare in forma coordinata oggetto di esplicita contrattazione con gli altri soggetti istituzionali.

Articolo 2.

La proposta di legge regola le modalità di esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale, fissando il criterio che in materia di governo del territorio, è essenziale un'azione congiunta Stato-regioni, da attuare in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.

Ciò al fine di assicurare unitarietà ed efficacia all'azione amministrativa, spesso resa frammentaria ed improduttiva da contrasti istituzionali.

Inoltre la concertazione preventiva dell'attività di amministrazione costituisce sperimentando metodo di efficacia operativa.

Articolo 3.

La norma, regola, principalmente il rapporto tra pubblico e privato.

All'amministrazione, in tutti i suoi livelli, compete la definizione delle scelte fondamentali, degli obiettivi e dei mezzi per conseguirli; all'operatore privato la cooperazione nelle scelte attuative, in un logica di reciproca responsabilità, avendo ambedue come riferimento il cittadino e la persona, come utente del territorio e della città, che esprime esigenze da soddisfare in termini di vivibilità.

La pianificazione, quindi, deve delineare obiettivi da consesguire cui corrispondono progetti attuativi da confrontare in termini di bilancio socio-economico.

Si deve inoltre cominciare a parlare di negoziazione delle politiche territoriali tra Stato e regioni: ad esempio, gli aspetti localizzativi delle grandi infrastrutture devono essere una conseguenza dell'accordo raggiunto e non la premessa sulla quale scontrarsi.

Infine è di fondamentale importanza la previsione, del tutto innovativa, che l'attività amministrativa dovrà svolgersi, prioritariamente, secondo un modello negoziale anziché, come da secolare tradizione, secondo il consolidato schema autoritativo.

Articolo 4.

L'articolo 4 affaccia il principio dell'unitarietà del livello di pianificazione, secondo un criterio che, per chiarezza e sia pur in modo approssimativo, può essere così esplicitato: un territorio, una autorità, un piano.

E' di tutta evidenza l'importanza e la novità di siffatta previsione. Ovunque, ormai, sul medesimo territorio si sovrappongono piani diversi aventi frequentemente disposizioni incompatibili fra loro (piani urbanistici, piani paesistici, piani di bacino, piani dei parchi e così via). Una babele normativa che oggi genera conflittualità, incertezza applicativa, defatigante contenzioso, in una parola paralisi operativa.

Prevedere dunque che la disciplina degli interventi sul territorio debba trovar sede in un unico piano significa introdurre un profonda modificazione nel nostro sistema normativo dalla quale derivano rilevanti conseguenze.

Affinché, infatti, ciò sia possibile occorre procedere alla individuazione dell'ambito ottimale di pianificazione, non necessariamente coincidente con quello comunale e variabile a seconda delle caratteristiche naturali e socio-economiche dei luoghi, nonché delle esigenze di infrastrutture e servizi il più delle volte trascendenti lo stretto ambito comunale. Occorre poi individuare anche l'autorità cui attribuire il potere di effettuare tale rilevantissima scelta. Autorità alla quale, di conseguenza, competerà anche la determinazione del soggetto titolare del potere di pianificazione urbanistica. Si tratterà della figura soggettiva, fra quelle istituzionalmente presenti sul territorio (comuni, province, città metropolitane, consorzi di gestione, comunità montane ed altre forme associative) che verrà ritenuta maggiormente idonea ad assicurare l'obiettivo di tale unitarietà di pianificazione in relazione, ovviamente, ai criteri secondo i quali è stato determinato l'ambito ottimale di pianificazione stessa.

Secondo le previsioni dell'articolo 4 spetta alle regioni individuare sia l'ambito ottimale di pianificazione sia l'ente competente alla pianificazione territoriale. In attesa delle determinazioni regionali, la proposta di legge individua nel comune tale ente. Il piano urbanistico è redatto nel rispetto delle direttive nazionali e regionali ed è comprensivo di ogni altra previsione di contenuto territoriale, ponendosi come unico strumento di pianificazione del territorio di competenza. Tale caratteristica obbedisce ad una sentitissima esigenza di semplicità e chiarezza, per superare la tradizionale stratificazione dei piani urbanistici che è sicura fonte di incertezza, di paralisi operativa se non anche di abuso. Tale onnicomprensività richiede il raccordo con tutti gli strumenti di pianificazione incidenti su un dato territorio, in specie con quelli di natura settoriale assai numerosi e vari. A tal fine la proposta di legge attribuisce al piano urbanistico il potere di ricomprendere e coordinare le previsioni settoriali introducendo le necessarie modificazioni di adeguamento affinché tale recepimento sia coerente con le scelte di pianificazione locale, ed abbia effettività unificante. E' dunque in tal modo inequivocabilmente affermata la centralità e la unitarietà del piano urbanistico, caratteristiche che sole giustificano l'eventuale sacrificio della tradizionale competenza pianificatoria dei comuni. La proposta di legge, pur lasciando ovviamente alle regioni ampio spazio dispositivo in ordine alla strutturazione del piano urbanistico, ne delinea una generalissima articolazione in un documento di scelte strategiche ed in altro regolatore degli usi del suolo. E ciò in coerenza con i più recenti ed apprezzati sviluppi dell'elaborazione scientifica in materia. A ragione di assicurare uniformità dispositiva, almeno per le aree non urbanizzate, risponde l'obbligo di una loro suddivisione fra quelle destinate all'agricoltura, quelle di pregio ambientale e quelle destinate ad utilizzazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico in atto. Una suddivisione, di certo non esaustiva di tutte quelle possibili, ma fondamentale per garantire, in particolare, rilevanza e tutela alle aree ad utilizzazione agricola ed a quelle ritenute, a vario titolo dal piano urbanistico stesso, come meritevoli di tutela e valorizzazione ambientali.

Articolo 5.

La disciplina delle dotazioni per servizi pubblici ha ricevuto, in anni recenti, copiosissima regolamentazione nelle varie legislazioni regionali, al punto che è parso opportuno limitare l'intervento del legislatore statale alla fissazione di essenziali princìpi, in parte già presenti in alcune disposizioni regionali e già oggetto di esperienze applicative locali.

In primo luogo si afferma il criterio della non necessaria "realità" delle dotazioni per servizi pubblici o di interesse pubblico, potendo le stesse dotazioni trovar traduzione, oltre che nelle tradizionali forme di fruizione di aree ed edifici anche, ad esempio, in servizi resi alla collettività, in base ad atto convenzionale, o in altra forma di prestazione idonea d assicurare il soddisfacimento di un pubblico bisogno.

Altro principio posto è quello del requisito necessario dell'accessibilità e della fruibilità delle dotazioni territoriali e, in ossequio al principio di sussidiarietà, di incentivazione dell'iniziativa dei soggetti interessati, privati e loro forme associative, affinché la individuazione di dette dotazioni nasca da un reale confronto tra soggetti pubblici e privati, questi ultimi valorizzati per gli aspetti propositivi e gestionali.

Infine l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999) ha trovato traduzione nella previsione della durata quinquennale dei cosiddetti vincoli non ricognitivi.

Articolo 6.

La regolamentazione del procedimento di formazione ed approvazione del piano urbanistico è certamente questione di pretta rilevanza regionale. Ne consegue che alla legge di principio compete unicamente la affermazione dei consueti e necessari criteri di partecipazione e di pubblicità, nonché la fissazione e disciplina dei casi di sottoposizione del piano a valutazione di compatibilità da parte di altro ente. Si tratta, quest'ultima, di disposizione che assume particolare rilevanza in quanto esclude ogni forma di approvazione del piano urbanistico da parte di ente diverso da quello cui compete l'approvazione stessa, e che inoltre circoscrive ogni successiva valutazione alla compatibilità del piano urbanistico con altri atti di pianificazione e programmazione escludendo ad esempio ogni riscontro di conformità.

Particolare rilievo è, poi, dato agli atti di programmazione negoziata la cui utilizzazione è via via cresciuta nel tempo come strumenti idonei a collegare, con la necessaria flessibilità, le esigenze delle istituzioni pubbliche con quelle degli operatori privati. A tali atti è riconosciuto un ruolo essenziale nell'attuazione delle scelte strategiche di intervento contenute nel documento programmatico del piano urbanistico.

All'esigenza di evitare vuoti normativi risponde, da ultimo, la previsione dell'obbligatorietà di ripianificazione, in tempi certi, a seguito del venir meno, anche per intervento giurisdizionale, di una previsione urbanistica.

Articolo 7.

Le disposizioni sulla perequazione e compensazione costituiscono la trascrizione normativa dei princìpi fondamentali in tema di regime o statuto della proprietà.

Da decenni si dibatte in merito al problema del contenuto minimo della proprietà in termini di diritto all'edificazione e di indennizzibilità dei vincoli e della loro attualizzazione.

Alla base vi è la finalità di rendere omogeneo il sistema delle prescrizioni urbanistiche relative all'edificabilità privata e dall'acquisizione di aree per il soddisfacimento dei servizi ed infrastrutture funzionali agli insediamenti urbani, evitando perciò situazioni di privilegio e di penalizzazione.

Si intende anche ridurre tendenzialmente il ricorso all'istituto dell'esproprio, fonte di contenziosi giudiziari e di aggravi finanziari per le amministrazioni.

Per conseguire tali finalità, si invitano le regioni ad introdurre nel loro ordinamento normativo i princìpi della perequazione, da utilizzare nella fase di programmazione delle scelte urbanistiche di carattere generale, e della compensazione, cui far ricorso nella fase della gestione urbanistica.

Ne discende che in ambiti omogenei i proprietari hanno gli stessi diritti e doveri in relazione ai diritti edificatori e agli obblighi di soddisfacimento di dotazioni urbanizzative, proprio in una logica di equa distribuzione in ossequi ai princìpi enunciati negli articoli 3 e 42 della Costituzione.

Nel contempo i titolari di aree non ricomprese negli ambiti ed incise da vincoli esporpriativi, potranno, ove l'amministrazione non intenda far ricorso comunque all'esproprio, permutare il proprio bene con uno pubblico, trasferire i diritti edificatori su un'area edificabile ovvero realizzare, previo convenzionamento per la gestione, l'opera privata di interesse generale che soddisfi l'esigenza del servizio individuato dal piano.

Al fine di attivare tali forme di compensazione, le amministrazioni potranno precostituirsi un patrimonio di aree da destinare alla permuta mediante acquisizione finalizzata delle stesse nell'ambito dei piani attuativi.

Le regioni potranno altresì destinare finanziamenti a favore dei territori nei quali ricadono vincoli che limitano lo sviluppo economico, proprio in una logica di compensazione territoriale.

Il ricorso a forme compensative sarà attivabile anche per la valorizzazione ambientale ovvero per la rilocalizzazione di funzioni urbane.

Potranno essere altresì individuati bonus o premialità per gli interventi di riqualificazione urbana a fronte del conseguimento di maggiori utilità anche in termini di servizi aggiuntivi, di qualità urbanistica ed ambientale nonché di edilizia sociale.

Articolo 8.

All'attribuzione della potestà di pianificazione dell'ambito di competenza dell'ente istituzionalmente preposto, è strettamente correlato l'obbligo per lo stesso di esercitare la vigilanza ed il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie realizzate sul proprio territorio, per poter reprimere tempestivamente le forme di illegalità, distinguendo tra abusi formali e sostanziali.

Al fine da rendere efficace e tempestiva tale attività di repressione, le regioni dovranno codificare gli opportuni interventi sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti al dovere di adozione dei provvedimenti cautelari e sostanziali.

In tema di titoli abilitativi, una volta chiarito, nelle disposizioni finali, che è inderogabile la disciplina sanzionatoria penale e civile statale e che la stessa non è ricollegata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla fattispecie di intervento da realizzare ed alla sua incidenza in termini di carico urbanistico, viene totalmente rimessa alla regione la determinazione dell'obbligo o meno dell'acquisizione del titolo abilitativo, dell'alternatività tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività, nonché della spettanza o meno del contributo di edificazione.

Il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo viene connotato dalla previsione di un termine perentorio alla cui scadenza l'istanza si intende accolta. In tal modo è assicurata così la certezza dei tempi per l'inizio dei lavori, in analogia con quanto disposto per la denuncia di inizio attività che acquista piena efficacia dopo il decorso del termine per l'espletamento del controllo da una parte dell'amministrazione.

Articolo 9.

Infine occorre risolvere la pregiudiziale fiscale che rallenta o impedisce i processi di attuazione di nuovi piani di gestione urbanistica, rendendo neutrali sotto il profilo fiscale i trasferimenti intermedi. A tal fine gli scambi di aree e fabbricati interessati all'intervento vengono detassati sia se realizzati da soggetti privati che da esercenti attività commerciale.

In particolare, per quanto attiene le imposte sull'acquisto è previsto che i trasferimenti di immobili e diritti edificatori sono in ogni caso soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dall'acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area.

Per quanto attiene alle imposte sulle plusvalenze, in alternativa al regime ordinario è prevista l'opzione per un regime a tassazione "separato" mediante l'applicazione di una imposta sostitutiva del 4 per cento da applicare sul valore dell'immobile determinato a seguito di una perizia, così come previsto dall'articolo 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002). In tale ambito, è previsto che nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da persone fisiche, l'imposta sia dovuta in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre qualora la stessa sia conseguita da esercenti attività di impresa, la stessa è accantonata in un apposito fondo e risulterà esigibile solo all'atto del trasferimento dell'immobile realizzato (o del diritto edificatorio così ottenuto) in attuazione del piano urbanistico.

Articolo 10.

La disposizione di chiusura richiama gli altri princìpi generali complementari alla materia del governo del territorio e contenuti nelle leggi in materia di edilizia, con le specificazioni sopra evidenziate, espropriazione, difesa del suolo e tutela dei beni culturali ed ambientali in ossequio a quanto disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.


In alto Û

Testo

Art. 1. (Governo del territorio).

1. In attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio.

2. Il governo del territorio consiste nella disciplina degli usi del suolo e della mobilità, nel rispetto della tutela del suolo, dell'ambiente e dei beni culturali e ambientali.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, alle quali è delegata la potestà regolamentare sulla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione.

4. Le potestà dello Stato sono esercitate attraverso la predisposizione di politiche generali e di settore inerenti lo sviluppo economico-sociale, il territorio e l'ambiente.

5. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 4, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.

Art. 2. Funzioni amministrative dello Stato).

1. Le funzioni amministrative concernenti l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, coerenti con le scelte di sostenibilità economica, e la fissazione dei criteri per la tutela dei beni culturali e ambientali, per la conservazione dell'ambiente, per la difesa del suolo e per l'equilibrio degli ecosistemi, nonché le funzioni amministrative relative all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, sono esercitate dallo Stato d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Art. 3. (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione).

1. La ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati si svolgono secondo i criteri della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.

2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, sentiti i soggetti interessati.

3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti paritetici in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

4. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.

Art. 4. Programmazione e pianificazione del territorio).

1. Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l'ente competente alla pianificazione, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare.

2. L'ente preposto alla pianificazione è il soggetto primario della disciplina e del controllo dell'uso del territorio. Gli atti di governo del territorio assicurano la disciplina della totalità del territorio, il rispetto dei caratteri storici, culturali e sociali, l'integrazione delle funzioni, la riqualificazione urbana e l'equilibrio fra aree urbanizzate e non urbanizzate. Tali atti sono predisposti in conformità agli atti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, nonché alle intese e agli accordi intervenuti.

3. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree effettivamente destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree per ulteriori utilizzazioni.

4. Il piano urbanistico è l'unico strumento di disciplina della totalità del territorio e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione di settore concernente il territorio.

5. Il piano urbanistico è articolato in un documento programmatico delle scelte strutturali e strategiche, e in un documento regolatore degli usi del suolo di interesse collettivo e dei diritti d'uso del suolo esistenti nonché in proposte di trasformazioni urbane attuative dello stesso documento programmatico.

6. Fino alla individuazione degli ambiti territoriali da pianificare, e salva diversa disposizione legislativa regionale, l'ente competente alla pianificazione è il comune.

Art. 5. (Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche non connessi ad aree e ad immobili.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.

3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire.

Art. 6. (Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.

2. In sede di approvazione del piano urbanistico sono valutate le osservazioni dei soggetti interessati, e su di esse sono prese, previa motivazione, le relative decisioni.

3. L'ente di pianificazione può concludere accordi con i soggetti interessati per recepire nel piano urbanistico proposte di interventi, in attuazione degli obiettivi strategici indicati nel documento programmatico. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione del piano urbanistico che lo recepisce.

4. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e di approvazione del piano e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione, i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilità, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonchè determinano analoghi tempi perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

Art. 7. (Attuazione del piano urbanistico).

1. L'attuazione delle previsioni del piano urbanistico avviene con piano attuativo o con intervento diretto. Le regioni ne individuano presupposti e modalità. L'attuazione è subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. L'attuazione e la gestione del piano urbanistico possono avvenire attraverso strumenti e modalità di perequazione e di compensazione.

3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica.

4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili.

5. Nelle ipotesi di vincoli di inedificabilità o di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, il proprietario interessato può scegliere fra la cessione dell'area all'ente di pianificazione a un prezzo corrispondente al valore venale dell'area prima del vincolo, il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area prima del vincolo su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.

6. Le regioni assicurano agli enti di pianificazione le adeguate coperture economiche-finanziarie per la realizzazione di aree comunali, per le permute e per ovviare eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio.

Art. 8. (Attività edilizia).

1. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

2. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia soggette e le attività non soggette a titolo abilitativo, le categorie di interventi e le condizioni in base alle quali il soggetto interessato ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta.

4. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi, salvo quanto previsto dall'articolo 9.

Art. 9. (Fiscalità urbanistica).

1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico di cui all'articolo 7, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.

2. Agli effetti delle imposte sul reddito, in alternativa al regime ordinario, le plusvalenze derivanti dai trasferimenti degli immobili e dei diritti edificatori finalizzati all'attuazione del piano urbanistico sono soggette all'imposta sostitutiva delle imposte sul reddito pari al 4 per cento del valore di perizia risultante da stime effettuate ai sensi dell'articolo 64 del codice di procedura civile.

3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la pusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'area o del diritto edificatorio così ottenuto.

Art. 10. (Disposizioni finali).

1. Per quanto espressamente non previsto dalla presente legge, si applicano i princìpi generali stabiliti dalla normativa vigente in materia di edilizia, con particolare riferimento alla disciplina penale e civile dell'abuso edilizio, dell'espropriazione per pubblico interesse, della difesa del suolo e della tutela dei beni culturali e ambientali.

Eddytoriale del 20 maggio 2003

mese di febbraio, la Camera dei deputati potrebbe approvare la nuova legge urbanistica. Una proposta micidiale, che porta il nome di Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di Milano e ispiratore dell’urbanistica contrattata di rito ambrosiano. A Milano non valgono più le antiche regole. Non è il piano regolatore che comanda le scelte edilizie. È vero il contrario, sono i progetti, una volta approvati, a determinare il piano regolatore. Che diventa così una specie di catasto dove si registrano le trasformazioni decise a scala edilizia. È la medesima impostazione della proposta di legge in discussione alla Camera. L’urbanistica non è più competenza esclusiva del potere pubblico, ma dipende dagli “atti negoziali” e dagli accordi fra i soggetti istituzionali e i “soggetti interessati”, che certamente non sono la pluralità dei cittadini ma solo i detentori della proprietà immobiliare.

Un’altra novità riguarda il campo di applicazione dei piani regolatori che non coprono più l’intero territorio comunale, com’è sempre stato dal dopoguerra, ma spetta alle regioni di individuare gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione. C’è ancora di peggio, il disegno di legge Lupi ha snaturato la stessa disciplina urbanistica, scorporando da essa la tutela dei beni culturali e del paesaggio, che nella legislazione del nostro Paese erano state sempre organicamente intrecciate. Alcuni dei risultati più straordinari dell’urbanistica italiana non sarebbero più possibili se fosse approvata la legge in discussione. Mi limito a ricordare la destinazione pubblica dell’intero comprensorio (2.500 ettari) dell’Appia Antica, a Roma, deciso dal piano regolatore del 1965 proprio per tutelare l’enorme patrimonio d’arte e di storia formato dalla regina viarum e dai dintorni. Non sarebbe più possibile la formazione del gran parco delle mura a Ferrara, né la salvaguarda delle colline di Firenze, Bologna, Bergamo, Napoli sfuggite agli energumeni del cemento armato.

Un’altra funesta previsione della proposta riguarda la cancellazione dei cosiddetti standardurbanistici, che sono una sorta di diritto alla città, il riconoscimento a ogni cittadino italiano di disporre di una sufficiente quantità di spazio pubblico per servizi fondamentali: il verde, l’istruzione, i parcheggi, e altre attrezzature. Gli standard,frutto di vaste e prolungate rivendicazioni popolari,esistono nell’ordinamento italiano dal 1968, e da allora hanno rappresentato un riferimento irrinunciabile per l’azione di partiti, comitati, associazioni, movimenti che hanno preteso, e ottenuto, la realizzazione e la gestione di servizi essenziali. Con la legge Lupi non sarà più così, e in nome della flessibilità e della privatizzazione esulta la stampa confindustriale che scrive di “un vero e proprio sblindamento, quello previsto dall’articolo 6, che è destinato a far saltare una delle norme che più hanno irrigidito l’urbanistica italiana degli ultimi venti anni: la disciplina degli standard urbanistici”.

L’opposizione tace. Anzi, ampi settori del centro sinistra, quelli convinti che la modernità consista nell’asservimento dell’interesse pubblico all’interesse privato, collaborano al buon esito dell’iniziativa. La stampa non si occupa dell’argomento. Solo l’associazione Italia nostra, riunita a Roma in un convegno sul paesaggio, ha lanciato l’allarme e ha avviato una raccolta di firme sotto un appello all’opinione pubblica e ai partiti politici. Un appello preoccupato e severo: preoccupato per gli effetti del disegno di legge Lupi, severo nei confronti non solo di chi ha proposto ma anche di chi non l’ha contrastato.

Questa nota è stata pubblicata su Liberazione del 30 gennaio 2005

Cari De Lucia e Salzano, mi rivolgo a voi per l'amicizia e la grande stima che ho nei vostri confronti, ma è chiaro che l'apprezzamento per l'iniziativa della proposta di legge sulla pianificazione del territorio va esteso a tutti coloro che hanno contribuito alla stesura del documento.

Ho letto con molto interesse e piacere la proposta il cui approccio giudico, per quanto modesto possa essere il parere di un neofita della materia, molto utile per affrontare finalmente in modo corretto le questioni sul governo del territorio. Questioni che in questi anni hanno suscitato una scarsa attenzione, tanto scarsa che abbiamo rischiato seriamente che fosse approvata la controriforma urbanistica, contrastata dalla voce autorevole, ma purtroppo quasi isolata, di eddyburg; a cui, in questa sede colgo l'occasione per porgere il mio sentito ringraziamento.

Per ritornare al i contenuti della proposta, devo sottolineare il mio particolare apprezzamento per l'inserimento degli aspetti relativi alla valutazione e anche per quelli legati alla partecipazione. MI fa molto piacere che la disciplina della valutazione; di cui da lungo tempo mi occupo, sia entrata a pieno titolo e con un approccio corretto in una legge sul governo del territorio. La cosa mi fa ancora più piacere se vado con la memoria, e qui mi rivolgo in particolare a De Lucia, ai primi anni della nostra collaborazione in cui esprimeva più di qualche perplessità sull'utilità della valutazione. Il fatto che ora, in una proposta di legge, di cui è uno degli estensori, il ruolo della valutazione assuma una certa importanza, mi potrebbe indurre a pensare, con mal celata presunzione, che siano state le nostre continue discussioni, alle volte anche accese, a farle in un certo qual senso mutare il giudizio.

Oltre agli apprezzamenti vi inoltro alcune note sul contenuto della proposta, che potrebbero rappresentare, se volete, un modesto contributo alla discussione.

Mi sembrerebbe opportuno che una legge sul governo del territorio prendesse in considerazione gli aspetti relativi all'integrità fisica dei luoghi. Nella vostra proposta, mi pare, ma potrei anche sbagliarmi, che tali principi si ritrovino indirettamente laddove si accenna ai piani di settore (art. 4 comma 5) oppure dove si parla della tutela del territorio aperto (art. 7 comma 6); in questo secondo caso solo in termini di ulteriori limitazioni alla trasformabilità, evidentemente del solo territorio aperto. Penso, invece, che forse sarebbe utile trovare il modo di porre un accento più esplicito alla questione più generale della tutela delle risorse naturali, in termini anche di aria, acqua suolo e sottosuolo e non solo di beni direttamente discendenti dall'azione dell'uomo, quali appunto le attività agricole, il paesaggio e gli insediamenti storici. D'altro canto l'aver demandato ai piani di settore, come sembra, questo compito non risulterebbe una scelta efficace. Infatti, se da un lato i piani di bacino prendono in considerazione gli aspetti connessi con le problematiche geomorfologiche e idrauliche (e quindi con il potenziale rischio per le popolazioni e gli elementi ad esse collegati), non dappertutto sono stati predisposti i piani di tutela delle acque, che forniscono indicazioni sulle condizioni alla trasformabilità delle aree in cui la risorsa idrica risulti più esposta ai possibili impatti delle trasformazioni medesime. E' vero anche che le limitazioni alle trasformazioni derivanti da condizioni di fragilità geologiche (in senso lato) non possono solo riferirsi al territorio aperto, come mi sembra si possa evincere da una prima lettura non molto approfondita della proposta. In molti casi sono proprio gli insediamenti (soprattutto i più recenti, come ci insegna la cronaca) ad essere soggetti al rischio derivante dai fenomeni naturali.

Ringrazio, anche a nome di quanti hanno collaborato alla proposta di legge, per le valutazioni. A proposito delle proposte di precisazioni sulla “integrità fisica dei luoghi”, osservo che la questione è delicata almeno per un aspetto (di cui abbiamo già parlato rispondendo a Sergio Brenna): l’equilibrio tra competenze di una legge nazionale e la potestà legislativa delle regioni. Sono convinto che la questione vada approfondita, e personalmente ritengo che sia opportuno esprimere in modo più compiuto l’interesse nazionale a un uso corretto del territorio (riallacciandosi alla esigenza di una preliminare considerazione, in tutti gli atti di pianificazione, della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio). Non è detto che simili approfondimenti debbano far parte di una legge di principio, ma mi sembra evidente che dovrebbero far parte di un’attività di governo (nazionale,e magari d’intesa con le regioni) volta a orientare in modo più penetrante l’azione delle altre componenti istituzionali della Repubblica.

Che bel testo di proposta di legge, bravi ! Chiari e sani principi. Solo alcune domande di dettaglio.

A) comma 2 dell'art. 13, comma 2. Intendete riferirvi anche a: gasdotti, eletrodotti, impianti di tefonia-radio mobile, metanodotti, fasce di rispetto dei cimiteri, degli impianti di depurazione, delle sorgenti idriche, ecc. ?

B) art. 17. Perchè solo la pianificazione territoriale e urbanstica generale rappresenta l'unico riferimento per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia ? Sembra che tale verifica non debba essere effettuata con riguardo agli altri strumenti di pianificazione attuativa e di settore.

C) comma 5 dell'art. 19. Per modificazione dell'assetto del territorio si intende anche l'attività agricola (ad es.: impianti di vigneti, colture specializzate arboree, terrazzamenti, ecc.) ?

A domande precise, risposte precise:

A) l’elenco è esemplificativo, perciò sono usati i termini: "quali" e "e simili",

B) forse la formulazione potrebbe essere più precisa, ma il riferimento essenziale è alla “carta unica”, che dovrebbero riassumere e contenere tutte le scelte della pianificazione su un determinasto territorio

C) le trasformazione degli assetti agricoli implicanti radicali trasformazioni morfologiche, e non rientranti nel concetto di "ordinaria coltivazione del suolo", dovrebbero ricadere tra quelle transitoriamente inibite, ma è meglio lasciare la definizione di queste specificazioni alla legislazione regionale, se non addirittura alla pianificazione regionale e/o provinciale.

Caro Eddyburg, hai ragione: nella foga di denunciare il rischio di un ritorno della Mantini-Lupi, ho mancato di esprimermi nel merito del progetto di legge proposto. L'ho solo scorso celermente e mi riprometto di tornarci sopra con valutazioni più meditate dopo averlo letto più attentamente.

Una prima impressione: non mi pare che vi si affermi con la necessaria chiarezza l'obbligo delle regioni di prevedere nelle proprie legislazioni urbanistico-pianificatorie una fase strutturale a tempo indeterminato e una fase operativa quinquennale, come previsto a suo tempo nella proposta di articolato avanzata dall'INU nel 1995. E' vero che la situazione istituzionale è mutata dopo la modifica costituzionale del titolo V approvata nella penultima legislatura dal centro-sinistra, ma le regioni stanno tutt'ora procedendo in modo disordinato e divergente: la Lombardia, ad esempio, con la LR 12/05 ha scelto di fare solo piani operativi quinquennali- denominati Piani di Governo del Territorio (PGT) - sui quali è pressoché impossibile fare una seria Valutazione Ambientale Strategica (VAS), che necessariamente comporta una visione di lungo periodo. Anche la Super5 della Toscana, che pure prevede i piani strutturali, mi dicono abbia seri problemi a garantire un' effettiva coerenza tra piani operativi e piani strutturali. La legge quadro nazionale dovrebbe imporre strumenti e procedure che garantiscano tale corrispondenza.

Ma soprattutto mi pare che il progetto di legge non affronti il problema di chiudere definitivamente la stagione della cosiddetta "programmazione negoziata" apertasi coi PII dell'art. 16 della 179/92 (il cosiddetto emendamento Botta/Ferrarini) e dilagata coi vari PRU, PRUSST e via denominando in un'urbanistica occasionale che non mi pare tanto diversa dalla deprecata stagione delle "convenzioni" senza piano generale disastrosamente vissuta prima della legge Ponte del 1967. Come diceva Keynes, in economia la moneta cattiva scaccia quella buona: ecco, anche in urbanistica quella cattiva scaccia quella buona. Se continuerà a convivere con la "programmazione negoziata", una ripresa del progetto pubblico e condiviso di città e territorio continuerà a rimanere una pia illusione.

Sulla prima questione che poni (la distinzione della pianificazione in due componenti, una strutturale e una programmatica). Molti di noi ritengono che l’applicazione che è stata fatta di un principio giusto in se sia così confusa, e spesso discutibile, da non rendere opportuno imporre alle legislazioni regionali di adottare un simile modello di pianificazione. Ciò anche a prescindere dalle limitazioni che le modifiche al titolo V della Costituzione pongono alla capacità della legge nazionale di incidere, in materia, su quelle regionali. Io non escludo affatto che sulla questione si possa e si debba tornare, ma prima di farlo in via di proposta legislativa credo che si debba farlo a livello culturale. Perchè non prendi l0’iniziativa di organizzare un seminario sull’argomento? Eddyburg parteciperebbe con entusiasmo. Secondo me occorrerebbe ragionare a tutto campo: partendo dalle proposte iniziali di "articolazione della pianificazione in due componenti" (circa 1983), proseguendo con le proposte dell'INU, esaminando le legislazioni regionali e la loro applicazione.

Per quanto riguarda la seconda questione (gli strumenti della “programmazione negoziata”). È sembrato a noi che il vizio dei deprecati “strumenti urbanistici anomali”,avviati dalla Botta-Ferrarini e proseguiti negli anni successivi, sia nella loro capacità (vorrei dire genetica) di derogare alle procedure ordinarie. In tal senso interviene, nella nostra proposta, l’articolo 12, 2°comma, sugli accordi di programma, che sono lo strumento perverso grazie al quale si sono moltiplicati gli istituti e le occasioni di negoziazione derogatoria. Obbligando a stipulare gli accordi in conformità “alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente” contiamo di aver risolto il problema alla radice.

Ti riungrazio.

Caro Eddyburg, l'interessante progetto di legge che viene offerto alla valutazione del nuovo Parlamento si incrocia nelle stesse ore della formazione del nuovo Governo e con lo svolgimento della campagna elettorale in molti grandi comuni chiamati tra poco al rinnovo delle rispettive amministrazioni, dove il tema delle trasformazioni urbane è spesso argomento di confronto.

Tutto ciò non può non indurre a qualche valutazione e molte perplessità: nel Governo il tema dell'assetto del territorio e delle città appare quanto mai sfuocato, con Di Pietro svogliato ministro delle infrastrutture, quasi a garantire che non si ruberà sugli appalti, ma senza nessuna indicazione strategica chiara e con un incomprensibile sdoppiamento col ministero dei Trasporti (non sono forse infrastrutture ?) e sparito il Ministero dei Beni Comuni, dove poteva rientrare il tema città e territorio; le amministrazioni comunali di ambo gli schieramenti che vedono nelle trasformazioni urbane l'occasione per contrattare qualche contropartita finanziaria con cui tenere in piedi bilanci sempre più smagriti e traballanti, ma spesso a scapito di una qualità urbana considerata "corvéable a merci". Il ragioniere comunale di un piccolo comune del pavese dove con un project financing hanno ripianato il bilancio da sempre deficitario e messo da parte pure un attivo, mi ha scritto di sentirsi (vergognandosene) un piccolo Ricucci (senza la Falchi, purtroppo, mi dice) e chiedendosi se sul guadagno il Comune non dovesse almeno pagarci l'IVA e le tasse. Si sbaglia: depredare il territorio con il consenso del Comune non è più rendita parassitaria. Basta mettersi d'accordo su come ci si spartisce il malloppo. A Milano Albertini consegna alla nuova Amministrazione un Protocollo d'intesa con FS per ripetere su tutti gli scali ferroviari in dismissione (800.000 mq e 4 milioni di mc) la sciagurata operazione in corso su ex Fiera di Milano (50% dell'area a servizi, sull'altro 50% tutto il volume necessario alle aspettative finanziarie della proprietà: oltre 10 mc/mq fondiari; ma il progetto è firmato Hadid-Libeskind-Isozaki, vuoi mettere ?) e sia Letizia Moratti che Ferrante dicono che va bene così; a Roma Veltroni fa qualcosa di simile sulle aree FS attigue a Tiburtina e forse è un modello anche per il riuso dell'ex Fiera di Roma anch'essa migrata in periferia.

In questo clima di pareggio elettorale vorremo mica lasciare a Berlusconi il privilegio di auspicare dal Parlamento provvedimenti condivisi: e quale miglior occasione dopo la fallita legge Lupi- Mantini perché in commissione si discuta ed approvi la Mantini-Lupi che santificherà definitivamente ciò che Comuni di destra e di centro-sinistra stanno già facendo, con buona pace del progetto di città e di territorio ?

La vedo dura per il vostro progetto di legge.

Sono meno pessimista di te. Non solo perché “dum spiro spero ”, ma anche perché penso che gli uomini del centro-sinistra abbiano capito una cosa: come propagandisti (meglio,spacciatori) di una politica “modernizzatrice” e “market oriented ” alla Berlusconi sono certamente più bravi gli altri. Se nostri non l’hanno capito, allora … vuol dire che ci trascineranno in fondo al baratro, noi e il nostro povero Paese.

Ma non m’hai detto nulla del nostro progetto di legge? Lo condividi? Ci aiuterai? Purtroppo l’urgenza di chiudere prima che si formassero Governo ne Commissioni ha impedito una raccolta più ampia di contributi.

1. Con particolare intensità, a partire dall’inizio degli anni ’90, si è sviluppata una critica (a più livelli) dei processi decisionali in materia di urbanistica e pianificazione territoriale, cosiddetti gerarchici o “a cascata”.

A questi processi decisionali era associato sia un modello gerarchico politico/amministrativo (dal generale al particolare – dal più grande, cioè, al piccolo, in termini di scala territoriale di riferimento) sia un modello di piani, programmi e progetti a scatola cinese sia un conseguente modello normativo: la legge statale, quella regionale e le norme locali (comunali).

In tema di Urbanistica e di Pianificazione Territoriale, questo modello si può così sintetizzare: lo Stato, con le sue leggi generali per il governo del territorio, le Regioni con proprie leggi ispirate a quelle nazionali, i Comuni con la propria attività normativa e regolamentare alla scala locale, soggetta al controllo regionale.

Questo impianto normativo è stato declinato nel corso del secondo novecento secondo due fasi: una prima fase, dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni ’70, caratterizzata da una forte centralizzazione e da un rapporto, sostanzialmente, diretto tra Stato e Comuni; una seconda fase, dalla seconda metà degli anni ’70 in poi, caratterizzata dalla nascita della legislazione regionale (conseguente alla istituzione delle Regioni) con un rapporto diretto tra ogni singola Regione ed ogni Comune.

2. A partire dall’inizio degli anni ’90, poi, si è sviluppato un “movimento” (una “lobby”) nazionale di istituzioni accademiche, culturali e professionali, che ha sviluppato una persistente e forte critica alla pianificazione urbanistica fondata sul modello delineato dalla legislazione regionale.

Parte attiva, trasversale dal punto di vista dei referenti politici ed egemone culturalmente. è stata svolta dall’Istituto Nazionale di Urbanistica, in discontinuità con le “campagne progressiste” che a partire dai primi anni ’60 e, con qualche sussulto, ancora fino ai primi anni ’90, hanno caratterizzato l’impegno culturale e politico per la riforma urbanistica nazionale.

Da questo punto di vista è paradigmatico il caso piemontese: le critiche di questa lobby si sono concentrate sulla sistematica demolizione (fondata su una rappresentazione macchiettistica della attività pianificatoria piemontese e del ruolo svolto dai tecnici regionali) della legge regionale 56/1977 ispirata e voluta da Giovanni Astengo: la legge urbanistica regionale, cioè, più fortemente radicata nel clima Olivettiano di Comunità e che nell’INU aveva un referente privilegiato.

Questa critica fondata sulla vulgata della rigidità del modello a cascata (dal Piano Territoriale regionale, al Piano Territoriale di Coordinamento, ai Piano Regolatori Generali), si è, infine, innervata sui due filoni della “SUSSIDIARIETA’” e della “CONCERTAZIONE”.

3. Il primo filone, quello della SUSSIDIARIETÀ, è stato preso in prestito dal nobile principio “europeo” secondo cui ad ogni campo dell’agire umano, a seconda del livello delle questioni e dei problemi, è riservata una forte autonomia di azione.

Questo principio è stato declinato nel nostro Paese in vari modi e con versioni anche estremiste (“ padroni a casa nostra”), che hanno trovato emuli anche nel campo della pratica urbanistica ed edilizia: tra i confini del Comune che io, Sindaco, amministro o tra i confini della mia proprietà, faccio quel che voglio senza alcuna ulteriore autorizzazione.

La declinazione urbanistico/pianificatoria piemontese è stata la legge n. 41/1997, con la quale, tra l’altro, è stato riscritto l’art. 17 della legge urbanistica Astengo (la L.R. 56/1977); con tale articolo è stata introdotta la possibilità di approvazione diretta, da parte dei Comuni, di varianti cosiddette “parziali” e di modifiche (le cosiddette “varianti non varianti”) ai piani regolatori: dietro queste due teste d’ariete si è collocata una innumerevole produzione (migliaia) di modificazioni dei Piani Regolatori, fuori da ogni controllo e da ogni forma di coordinamento da parte della Regione.

4. Il secondo filone, quello della CONCERTAZIONE, è stato, a sua volta, mediato dal mondo delle cosiddette relazioni industriali: anche in questo caso, cioè, il padre è nobile. Anche in questo caso, però, la declinazione urbanistica che se ne è fatta è stata, sostanzialmente, quella di dare dignità a ciò che, in tempi meno sospetti, si sarebbero chiamati “ interessi privati in atti d’ufficio”.

Nel caso del Piemonte, poi, il modello concertativo è stato promosso per svuotare di significato la fase, così centrale nella legge urbanistica astenghiana, delle “osservazioni” ai progetti preliminari degli strumenti urbanistici.

Nel modello astenghiano, cioè, la fase metaprogettuale (la delibera programmatica del PRG) e quella progettuale preliminare degli strumenti urbanistici sono affidate alla mano pubblica che, attraverso delibere del Consiglio Comunale (fino a prova contraria massima espressione della democrazia elettiva), portano alla conoscenza di tutti le proposte sulla tutela e sull’uso del territorio: attraverso le osservazioni, i cittadini, le associazioni, i partiti, tutti quelli che hanno proposte od osservazioni da fare nel pubblico interesse, possono proporre migliorie al Consiglio Comunale attraverso un processo trasparente e, soprattutto, codificato.

Il modello concertativo, come appare essere stato declinato fino ad oggi e come appare trasfuso nelle proposte di legge sia regionali sia nazionali (legge Lupi) in materia di urbanistica, si fonda, viceversa su:

(a) una sostanziale equidistanza della Pubblica Amministrazione dagli interessi privati e dal pubblico interesse , non come bene scarso da tutelare

(c) una delega al Sindaco o alle maggioranze politiche delle decisioni, da fare ratificare dai Consigli Comunali.

5. Si ricava, in conclusione, da un esame dell’attuale stato dell’arte quanto segue:

(1) la critica al cosiddetto modello gerarchico (la pianificazione a cascata) ha prodotto, nel corso degli anni ’90, un progressivo logoramento dell’apparato normativo ed una produzione senza controllo di varianti urbanistiche parziali e di modifiche che hanno “gratificato” interessi particolari

(2) coesistono nel nostro Paese più modelli di pianificazione urbanistica: quello centralistico, con riferimento, soprattutto, alla proliferazione di piani e programmi di nuova generazione (a partire dalla legge Botta/Ferrarini), in cui permane l’antico rapporto diretto tra Stato e Comuni; quello gerarchico in cui permane la potestà autorizzativa della Regione (vale per i PRG, le varianti strutturali, i PTC ecc.); quello ispirato alla sussidiarietà, in cui il Comune adotta ed approva proprie varianti e modifiche

(3) la competizione tra questi modelli, non avviene sul terreno dell’innovazione culturale o politica o disciplinare, ma soltanto sul versante della ricerca della minimizzazione dei controlli di merito e della partecipazione democratica

(4) il dibattito sulla riforma urbanistica sia nazionale sia, nel caso piemontese, regionale dovrebbe, rispetto ai modelli che si stanno affacciando (ad es. la legge Lupi recentemente approvata dalla Camera ed in discussione al Senato), acquisire il tema della inclusione sociale e della conoscenza diffusa quali linee guida contro ipotesi legislative che trasferiscono le decisioni “altrove” rispetto alle sedi democratiche proprie (i Consigli Comunali).

Torino, 20 gennaio 2006

Quando quest’articolo sarà pubblicato, il disegno di legge Lupi (dal nome del deputato firmatario Maurizio Lupi, di Forza Italia) denominato tanto enfaticamente quanto impropriamente “Principi in materia di governo del territorio” sarà stato, si spera, archiviato per via della fine della legislatura [1].

L’argomento merita comunque ulteriori riflessioni anche in vista della riproposizione del tema da parte del nuovo parlamento, che si spera possa occuparsi in maniera più convincente e più qualificata dell’argomento. Al riguardo non si può sottovalutare la posizione dei vertici dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, che, hanno fatto da sponda alla redazione del ddl, manifestando una notevole condivisione dei suoi contenuti. [2] Atteggiamenti critici sono stati espressi invece dalle Sezioni dell’INU di quelle regioni dove c’è una maggiore tradizione di pianificazione e di buon governo supportate da una sistematica produzione di leggi urbanistiche regionali. [3] Per completare il quadro delle posizioni registrate all’interno dell’INU si deve anche segnalare il documento fortemente critico presentato all’ultimo congresso dell’Istituto da autorevoli soci di varie regioni, dal quale è scaturito un vivace dibattito come non accadeva da anni. [4] Dibattito che l’Istituto si è impegnato ad alimentare.

Le critiche e le contestazioni più radicali da parte di architetti, economisti, urbanisti e giuristi, si trovano tutte sul sito diretto da Edoardo Salzano (eddyburg.it) e su un volumetto curato da M. Cristina Gibelli “La controriforma urbanistica” edito da Alinea e presentato a Roma il 15 dicembre 2005. [5]

Gli autori dei contributi pubblicati nel volume concordano nel considerare il ddl un testo raffazzonato e rozzo, privo dei principi fondamentali di interesse nazionale, di connessioni con le più importanti direttive europee in campo ambientale e con gli indirizzi internazionali finalizzati a incrementare la partecipazione dei cittadini e la coesione sociale. Che interpreta riduttivamente il governo del territorio come disciplina degli usi del suolo, senza curare l’integrazione con i temi ambientali, con la tutela del paesaggio, con la protezione della natura, con l’assetto idro-geologico, che, con incredibile arretratezza culturale, vengono invece intesi come ambiti rigidamente separati.

Un provvedimento sostanzialmente inutile a risolvere qualunque problema serio di assetto del territorio che sancisce la vocazione edificatoria del suolo nazionale, enfatizzando la problematica dei diritti edificatori e la loro commerciabilità, che entra in conflitto con le normative regionali e che consacra la “negoziazione” con il privato come metodo esclusivo di individuazione delle scelte urbanistiche.

Passiamo a un rapido esame del testo.

All’art. 1 (Governo del territorio), richiamando la riforma del titolo V della Costituzione (l. 3-2001), dovrebbero essere enunciati i famosi “principi fondamentali in materia di governo del territorio”, precisando subito che sono fatte salve le competenze delle regioni e delle province autonome. Tali principi fondamentali non sono affatto enunciati né chiaramente elencati; sono enunciate invece una serie di attività che identificano (secondo il legislatore) il governo del territorio (attività conoscitive, urbanistica, edilizia, programmi infrastrutturali, etc…) ma che non costituiscono sicuramente “principi fondamentali”. Doppio problema: i principi fondamentali non ci sono, ma se ci fossero non riguarderebbero le autonomie speciali. Il che meriterebbe una seria spiegazione.

In sintesi il ddl ripropone pedissequamente le modifiche al titolo V della Costituzione; indica il governo del territorio come la somma di varie attività di trasformazione del territorio stesso, per altro di competenza regionale, e non esplicita i “principi fondamentali” di competenza statale.

All’art. 2 (Definizioni) con qualche confusione tra pianificazione territoriale e pianificazione urbanistica, viene proposto un glossario con varie definizioni tratte frettolosamente dalle leggi regionali. Viene consacrato il doppio binario del “piano strutturale” e del “piano operativo”, che secondo alcuni operatori, dopo anni di sperimentazione, andrebbe rivisto perché i due strumenti tendono a identificarsi. Viene individuato (e ascritto incredibilmente alla competenza statale) il “rinnovo urbano” comprensivo dell’”adeguamento dell’estetica urbana”. Su quest’ultimo punto non riusciamo a immaginare che cosa abbia avuto in mente il legislatore se non un dialogo ravvicinato con la grande proprietà immobiliare al riparo di qualsivoglia interferenza. In linea generale, se è vero che la produzione delle leggi urbanistiche regionali, ha provocato la proliferazione di strumenti e di termini che indicano con nomi diversi le stesse cose, o con termini uguali, cose diverse, il metodo per riordinare terminologia e contenuti dovrebbe essere meno estemporaneo.

All’art. 3 (Compiti e funzioni dello Stato) si ribadisce ulteriormente la competenza statale sul “rinnovo urbano” e sulle residenze delle forze dell’ordine (v. art. 81 del DPR 61671977), argomento che dovrebbe essere attribuito senza ombra di dubbio alle competenze locali.

All’art. 4 (Interventi speciali dello Stato) si dice che per rimuovere condizioni territoriali di grave degrado, pericolo, e a rischio di calamità si ricorre a interventi speciali “attuati prioritariamente attraverso gli strumenti della pianificazione negoziata”. Il meno che si può dire è che la negoziazione non sembra la formula più adatta per intervenire nella casistica individuata.

Nell’art. 5 (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione) molti commentatori hanno identificato la parte più eversiva del ddl, la dove si afferma che “le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi………..”. In questa frase è stata letta la rinuncia al governo pubblico delle trasformazioni territoriali finalizzato a garantire l’interesse collettivo e quindi lo scardinamento di uno dei principi storici della pianificazione. Anche se il ddl non chiarisce chi siano gli attori della negoziazione si sospetta realisticamente che essi siano i portatori di interessi economici forti, non certo i semplici cittadini o le associazioni portatrici di interessi diffusi. La sussidiarietà, la cooperazione e la partecipazione servono solo a titolare l’articolo; sono enunciate ma non circostanziate, e nel testo non c’è alcuna misura finalizzata alla loro incentivazione. In estrema sintesi, il ddl demolisce il principio fondamentale dell’urbanistica: quello di tutelare l’interesse pubblico e di controllare le pressioni della proprietà immobiliare, cui viene offerto invece un ruolo da protagonista in una negoziazione senza regole [6].

L’art. 6 (Pianificazione del territorio) è un capolavoro di superficialità e di pressappochismo; non si riconosce identità e ruolo alla pianificazione di area vasta, presente in tutta la legislazione regionale, la cui utilità è indubitabile specie nel rapporto con la pianificazione comunale. Si precisa però (incredibilmente) che i piani territoriali …….”non possono avere un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali”. Ma chi proporrebbe il contrario? L’art. 6, in controtendenza con molte leggi regionali, incentiva insensatamente il consumo di suolo proponendo che il territorio non urbanizzato sia distinto (in maniera assai discutibile) in aree “destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale e aree urbanizzabili”, disconoscendo per es. il valore ambientale delle aree agricole e prevedendo comunque che si possa costruire dappertutto nonostante i continui richiami allo sviluppo sostenibile.

L’art. 7 e l’art. 8 sono dedicati rispettivamente alle “Dotazioni territoriali“ e alla “Predisposizione e approvazione del piano urbanistico“. Si tratta di argomenti ampiamente trattati nelle leggi regionali; anzi alcune regioni hanno dedicato molta attenzione al tema delle “Dotazioni territoriali”, specificando quantità e qualità di attrezzature e servizi, o prevedendo in alcuni casi i “Piani dei Servizi” (Lombardia, Emilia Romagna, Umbria). Nel ddl nazionale manca qualunque indicazione innovativa che garantisca anche una dotazione minima inderogabile di “Dotazioni territoriali” ai cittadini dell’estremo nord e dell’estremo sud. Si aggiunga poi che il ddl, all’art. 13, prevede l’abrogazione del D. Int. 1444 del 1968 sugli standard urbanistici; si aggiunga ancora che nelle città del mezzogiorno i cittadini non hanno ancora a disposizione lo standard minimo di servizi e attrezzature previsto dal predetto Decreto. Il tema avrebbe meritato ben altra attenzione.

L’art.9 (Attuazione del piano urbanistico) è dedicato essenzialmente alla perequazione e alla compensazione, considerate come strumenti cui si può ricorrere per l’”attuazione del piano urbanistico” secondo criteri e modalità stabilite dalle Regioni. Si afferma anche che la perequazione si realizza con l’attribuzione di “diritti edificatori” liberamente commerciabili dappertutto. Autorevoli commentatori di formazione giuridica sostengono che l’argomento, di per sé ostico e antipatico, perché considera il territorio come produttore potenziale di metri cubi, è pure trattato peggio che nelle leggi regionali. [7] Inoltre i diritti edificatori potranno essere incrementati “allo scopo di favorire il rinnovo urbano e la prevenzione dei rischi naturali e tecnologici”….. Nella sostanza, nessuno sarà più in grado di fare un bilancio e una valutazione complessiva dei metri cubi, virtuali e non, che aleggeranno su ogni parte del territorio comunale e di verificare la sostenibilità delle previsioni edificatorie.

L’art. 11 (Attività edilizia) propone sostanzialmente alcune modifiche al T. U. dell’Edilizia (DPR 380/2001).

L’art. 12 (Fiscalità urbanistica) prevede la definizione di “un regime fiscale speciale per gli interventi in materia urbanistica e per il recupero dei centri urbani” attraverso la redazione di decreti legislativi da emanare entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge. Anche ai commentatori più benevoli la complessità della materia sembra trattata in modo troppo semplicistico [8].

Conclude il testo l’art. 13 con l’elenco delle abrogazioni e le disposizioni finali. Per essere precisi il ddl propone due tipi di abrogazioni. Al comma 1 l’abrogazione tout-court di una serie di norme pre-vigenti; all’art. 2 una abrogazione “a tempo”: le norme elencate “perdono efficacia nel territorio della regione ove questa abbia emanato o emani normative sul medesimo oggetto”. L’abrogazione del Decreto nazionale sugli standard rientra in questa fattispecie.

Il ddl Lupi, secondo M. C. Gibelli e altri risulta anche in evidente controtendenza con quanto sta avvenendo in Europa, in realtà, sottolinea Gibelli, il ddl costituisce una vera e propria anomalia nazionale nel quadro europeo: infatti in Europa, dopo le esperienze deregolative degli anni ’80 e dei primi anni ’90 si sta assistendo a un rinnovato impegno riformatore e ad un deciso ritorno alle regole, anche se le regole vengono ovunque riattualizzate sulla base delle problematiche e delle sfide emergenti [9].

Nei contributi pubblicati nel volume curato da Gibelli emergono alcuni principi che potrebbero essere inseriti in una legge di riforma urbanistica nazionale e che sono comunque enunciati nelle migliori leggi regionali [10]. Tra questi l’integrità fisica e la stabilità del territorio, inteso come “bene comune”, la salvaguardia della cultura del territorio, il controllo dell’uso delle risorse ambientali, il blocco del consumo di suolo, il contrasto alla dispersione insediativa, il risparmio energetico; la coesione sociale, perseguibile attraverso una adeguata politica della casa e dei servizi; il recupero del patrimonio edilizio storico; una adeguata attenzione alla partecipazione dei cittadini.

Sarà possibile concordare politicamente un simile scenario? Non sarà facile perché come dice Salzano [11]: Se la legge Lupi è morta, non è morto il “lupismo”: cioè quella ideologia così largamente condivisa che ha potuto far esclamare all’onorevole Lupi, all’indomani dell’approvazione della legge, che essa è il prodotto di un lavoro bipartisan. Frase che non ha potuto essere contestata,poiché tutto il lavoro parlamentare testimonia il sostanziale accordo tra i parlamentari della destra e larga parte di quelli dell’opposizione su alcuni punti nodali del provvedimento…………La tesi di Salzano è che la legge Lupi esprime una cultura ormai diffusa, di cui si trovano tracce rilevanti in più d’una legislazione regionale e nel comportamento di molte amministrazioni locali di destra, di centro e di sinistra………In quest’ottica gli interessi immobiliari sono diventati veri protagonisti a attori delle trasformazioni territoriali che meritano un occhio di riguardo; il ruolo del potere pubblico si è trasformato: da regista e garante delle trasformazioni territoriali e urbane, a facilitatore delle negoziazioni; il sistema delle regole è considerato un impaccio fastidioso da cui liberare i portatori di interessi economici forti . Il quadro delineato diventa ancora più allarmante se lo riferiamo a quelle regioni dove gli interessi economici sono fortemente condizionati dalla malavita organizzata.

Palermo, 26 gennaio 2006

[1]Il ddl era stato approvato dalla Camera dei Deputati il 28 giugno 2005 con la frettolosa introduzione di numerosi emendamenti e inviato alla XIII Commissione permanente del Senato (Territorio, ambiente, beni ambientali); la Commissione del Senato, nel mese di novembre 2005 aveva effettuato un ciclo di audizioni di varie associazioni interessate (tra cui ANCSA, Italia Nostra, Legambiente, Urbanistica Democratica, Città Amica) che avevano messo in evidenza gli aspetti più perniciosi e le lacune del ddl, tanto da convincere alcuni senatori della maggioranza della necessità di apportare consistenti modifiche al testo. Si sarebbe quindi palesata la necessità di rinviarlo alla Camera dei deputati.

[2]V. gli articoli di Giuseppe Campos Venuti, Carlo Alberto Barbieri, Federico Oliva, sul n. 203/2005 di Urbanistica Informazioni.

[3] V. l’articolo di Pietro Maria Alemagna sul n. 203/2005 di Urbanistica Informazioni.

[4]Si tratta del XXV Congresso dell’Istituto Infrastrutture, città e territori tenuto a Roma i giorni 1 e 2 dicembre 2005.Questi i passi salienti del documento a proposito del ddl Lupi. …. L’Istituto deve saper ritrovare la capacità di indicare i “principi” che debbono essere inseriti in una Legge nazionale sul governo del territorio, senza accettare come ineluttabile la resa al “mercato immobiliare”, che comporta la perdita di un effettivo controllo delle trasformazioni dei suoli urbani e rende irreversibile il processo di distruzione delle nostre città.

Deve contribuire a superare gli equivoci che hanno suggerito indicazioni preoccupanti nel testo di Legge sul governo del territorio in discussione in Parlamento, in merito a:

- limitazione del principio della attribuzione dei poteri di governo del territorio agli Enti locali, attraverso l’assegnazione di uno spazio privilegiato per le scelte relative alle trasformazioni, a partire dal momento delle scelte strutturali, ad “atti negoziali” tra Enti pubblici e soggetti portatori di interessi connessi alla proprietà di beni, terreni e risorse finanziarie;

- conseguente divisione dei cittadini in due categorie, quelli che posseggono beni per trattare atti negoziali e quelli che chiedono “solo” risposte collettive ai diritti che qualificano l’uso delle città e dei territori;

- perdita del concetto di città - bene collettivo -, attraverso la soppressione del principio che impone una quantità di aree pubbliche destinate a servizi;

- mantenimento di una settorialità di approccio al tema del governo del territorio, che non pone con forza la “tutela dei beni storico-architettonici e del paesaggio” tra i principi fondanti della Legge stessa, né lo addita come strumento per coinvolgere le collettività locali, protagoniste consapevoli della tutela dei valori comuni.

……Il piano urbanistico deve tornare ad essere lo strumento fondamentale per assicurare la preminenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del mercato, che può e deve essere da esso guidato. L’adozione di procedure di tipo prestazionale deve far considerare ogni intervento non soltanto in rapporto ai riflessi diretti ed immediati, ma in rapporto agli assetti complessivi della città.

L’Istituto non può rimanere silente: deve mettere nel proprio programma una solida riflessione sulla stagione che ci attende, additando l’urbanistica come strumento per comprendere ed indirizzare i mutamenti che investono le nostre città e territori. Non può accettare che l’urbanistica resti esclusa dalla competizione culturale, relegata ad una dimensione prettamente tecnica, separata dalla cultura ambientale e da quella architettonica, alle quali è affidata la sopravvivenza di una sensibilità per l’uso del territorio…… (Giuseppe Abbate, Imma Apreda, Roberta Angelini, Piergiorgio Bellagamba, Teresa Cannarozzo, Piero Cavalcoli, Alessandro Dal Piaz, Luisa De Biasio Calimani, Umberto De Martino, Rosalba D’Onofrio, Roberto Gambino, Maurizio Garano, Tommaso Giura Longo, Daniele Iacovone, Manlio Marchetta, Walter Meneghelli, Loredana Mozzilli, Mauro Parigi, Antonio Perrotti, Camillo Pluti,Bernardo Rossi Doria, Domenico Santoro, Massimo Sargolini, Giulio Tamburini, Alessandro Tutino, Maria Rosa Cittadini, Livio Viel).

[5] V. Maria Cristina Gibelli (cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio". Contributi di Roberto Camagni, Luca De Lucia, Vezio De Lucia, Antonio di Gennaro, Alberto Magnaghi, Anna Marson, Edoardo Salzano, Luigi Scano, Paolo Urbani; Firenze, Alinea Editrice, 2005. Era presente il senatore Cesare Salvi (DS), vice presidente del Senato, che, dopo avere ascoltato gli interventi, ha detto di condividere le contestazioni e ha assicurato un impegno politico conseguente.

[6] Questa disposizione è stata in assoluto la più contestata e il commento più diffuso è stato quello di escludere del tutto la negoziazione dalla fase di impostazione dei piani, ma di farvi ricorso solo nella fase attuativa. Anche i vertici dell’INU hanno preso le distanze dalla formulazione contenuta nel ddl.

[7] V. Luca De Lucia La perequazione nel disegno di legge sui “Principi in materia di governo del territorio” in Maria Cristina Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio", op. cit.

[8] V. Simone Ombuen Elementi per la valutazione del Progetto di Legge statale per il governo del territorio, Seminario INU del 15 settembre 2005 “Un nuovo passo per la riforma urbanistica” (mimeo).

[9] Gibelli cita due leggi recentissime emanate in Francia e Spagna: la legge “Solidarité et rénouvellement urbains” approvata in Francia nel 2000, durante il governo Jospin, e la Ley de urbanismo para el fomento de la vivienda asequible, e la sostenibilidad territoriale y de la autonomìa local approvata dal governo socialista catalano nel 2005 sottolineando la distanza abissale di queste leggi dall’ipotesi di riforma urbanistica proposta in Italia. Si tratta infatti di leggi che affrontano alcun problemi che sono cruciali anche per il nostro paese: l’eccessivo consumo di suolo, la crescente doppia velocità urbana, la debolezza della pianificazione di area vasta, etc, e che propongono con coerenza principi volti a dotare i poteri pubblici dei nuovi strumenti necessari per orientare l’attività di pianificazione in difesa dell’interesse generale e, in particolare, per la razionale utilizzazione delle risorse territoriali e la solidarietà sociale. Entrambe le leggi introducono alcune innovative regole non contrattabili in materia di sostenibilità e di risposta alla domanda abitativa dei gruppi più deboli. Cfr. Introduzione di Maria Cristina Gibelli alla presentazione del volume La controriforma urbanistica, Roma, 15 dicembre, ex-albergo Bologna.

[10] Per una puntuale trattazione del tema relativamente ai “principi fondamentali” di competenza statale” e al governo del territorio di competenza regionale rinvio al contributo del giurista Paolo Urbani Osservazioni sul testo di riforma in materia di principi fondamentali del governo del territorio, in Maria Cristina Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio", op. cit.

[11]Edoardo Salzano Relazione al convegno “Elementi imprescindibili di una legge urbanistica regionale”, Gruppi consiliari regionali Verdi, Rifondazione conunista, Comunisti italiani, Torino, 21 gennaio 2006; pubblicato su eddyburg il 22.01.2006.

Firenze, 15 dicembre 2005, sala Foresteria del palazzo della Giunta Regionale, via Cavour 18, ore 17.30

In sala due assessori regionali, buona parte dei docenti di Urbanistica e Pianificazione della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, consiglieri regionali, sindaci, assessori, ricercatori e studenti.

Riccardo Conti (assessore regionale al Territorio e alle Infrastrutture) apre la presentazione ponendo innanzitutto “un tema di carattere politico: c’è stata una sufficiente mobilitazione, innanzitutto culturale, delle forze che si sono opposte al progetto di legge Lupi? C’è stato un fronte, quello delle Regioni e dei Comuni.” Qual è la ragione di ciò?

Le problematiche urbanistiche e di governo del territorio sono sfumate dall’agenda politica nazionale anche perché passate alla competenza delle regioni. Il “modello urbanistico lombardo” (sarebbe un errore non riconoscerlo come tale) nel quale le analogie con il modello liberistico/solidaristico applicato alla sanità sono drammatiche in quanto non c’è mai un punto fermo programmatorio di tipo strategico che non sia il prodotto della negoziazione, è stato assunto dal governo nazionale come riferimento. Alcuni precedenti negoziali sono penetrati anche nella mentalità della sinistra: programmazione contrattata, patti territoriali, accordi di programma ecc.

Il problema deriva dal fatto che lo scambio tra esperienze regionali e riflessioni nazionali s’era bloccato, a fronte di un evidente bisogno di riforma, a partire dal mutato rapporto Stato-Regioni-Enti locali, anche nel governo del territorio. L’epoca è matura per una riforma di insieme: far emergere dal basso come regioni un progetto di riforma. Come Regione Toscana abbiamo avuto 64 contenziosi in Corte Costituzionale contro il governo centrale, tutti vinti dalla Regione. Ma questo non è governare. Il territorio non può essere variabile dipendente, ma un valore patrimoniale anche ai fini delle politiche di sviluppo.

Non penso a una legge che possa essere “modello” per le leggi regionali: in una prospettiva autenticamente federalista, la regione Lombardia deve poter applicare il suo modello, noi il nostro. Che cosa dovrebbe dunque fare una legge statale?

- attivare una cultura federalistica, cooperativa, non gerarchica e solidale che consenta una articolazione fra le diverse realtà, inquadrandole in alcuni requisiti di fondo: quadri conoscitivi, regole, statuti del territorio;

- unificare e dare regole ai diversi interventi settoriali dello Stato;

- superare la separatezza tra istituti di tutela e istituti di gestione;

- arrivare al “se” dopo avere affrontato il “come”;

- dare strumenti di regolazione dell’esercizio dei diritti di proprietà: noi, nella situazione attuale, siamo tutti pianificatori disarmati.

Anche a tal fine, penso andrebbe recuperato il ruolo che l’Istituto Nazionale di Urbanistica ha svolto per decenni, ultimamente venuto meno.

Alberto Magnaghi (Università di Firenze, Presidente Rete del Nuovo Municipio) dopo aver ricordato le due anime del libro, una più aperta alla necessità di innovare, l’altra più difensiva degli strumenti tradizionali della pianificazione, pone alcune domande:

perché i progetti di legge INU (1995), Turroni (1996), Lorenzetti (1999) si sono persi senza che il governo nazionale di centro-sinistra sia riuscito a fare una legge?

perché questa inerzia è stata accompagnata da un processo di liquidazione dei beni comuni in tutte le Regioni, Toscana compresa?

perché non si prende posizione sulla tendenza d’insieme, in Italia, a spostarsi dagli investimenti produttivi a quelli immobiliari, di rendita?

Questo disegno non è isolato: fa parte del sistematico percorso di “liberazione” dei soggetti economici di mercato dal territorio e dall’ambiente intesi come beni comuni non negoziabili e non mercificabili. I condoni edilizi come istigazione a delinquere, la vendita dei beni pubblici demaniali per far cassa, la liquidazione per decreto di anni di legislazioni ambientali, la aziendalizzazione dei servizi pubblici, il taglio della finanza locale che costringe i comuni ad allearsi nel consumo di suolo col blocco immobiliarista per sopravvivere (oneri di urbanizzazione ed ICI), sono i contesti di desolidarizzazione che questo disegno di legge santifica come principi generali di governo del territorio.

Ma il dibattito intorno a questa controriforma richiede un salto in avanti nelle proposte della sinistra. Lo stato dell’arte del territorio italiano, il degrado delle periferie e degli spazi pubblici, la diffusione selvaggia delle urbanizzazioni “legali” di bassa qualità, i gravi squilibri ambientali, le devastazioni paesistiche, non datano dal governo Berlusconi, ma fanno parte di una cultura del territorio che lo ha visto come mero strumento della crescita economica identificata con il benessere. Da tempo questa identificazione è saltata: la qualità degli ambienti di vita, degli spazi pubblici, dei beni comuni e relazionali, dei processi partecipativi; la valorizzazione dei giacimenti patrimoniali locali come elementi fondamentali per la produzione di ricchezza durevole, sono diventati elementi fondativi del benessere e del ben vivere. Il territorio e il suo governo diventano momenti centrali della costruzione del benessere; una nuova legge nazionale dovrà fondarsi sulla valorizzazione di questi cambiamenti in atto nella cultura del territorio.

La discussione di questo instant book assume particolare pregnanza per il dibattito nazionale proprio nei locali della Regione Toscana che, con la legge 1/2005 sul Governo del territorio ha posto alcuni principi fondamentali sulla valorizzazione della qualità territoriale, sul riconoscimento identitario e statutario delle risorse essenziali del territorio come beni comuni, sull’applicazione piena del principio di sussidiarietà e della partecipazione; intesa quest’ultima come modalità fondamentale e necessaria del governo del territorio, tanto che la stessa Regione sta avviando il processo di formazione di una legge ad hoc.

Umberto Allegretti (docente di diritto costituzionale, Università di Firenze) evidenzia come il disegno di legge presenti molti aspetti di incostituzionalità. Sottolinea le convergenze di molti passaggi del libro sul fatto che si riduce il governo del territorio alla disciplina d’uso dei suoli, come se il passaggio da urbanistica a governo del territorio, art.117, non fosse avvenuto e non comportasse il dovere dello Stato di dare principi che inquadrino l’uso dei suoli in una problematica più vasta; principi la cui omissione configura un fatto di l’incostituzionalità, anche a fronte di tutta l’impostazione dell’Unione europea. Per quanto riguarda la possibilità di interventi speciali dello Stato, sono sì previsti all’art.119, ma come risorse aggiuntive, non come intervento diretto nei progetti di rinnovo urbano (negoziati con i privati). Sulla questione degli standard l’incostituzionalità è sfrontata, in quanto è evaso l’obbligo dello Stato di fissare standard minimi. Il silenzio-assenso, ancora, non può diventare un principio generale: sarebbe una rinuncia totale alle competenze e funzioni amministrative.

La diversità tra alcune posizioni del libro è notevole: ma dobbiamo proprio usare il termine negoziazione? Il negoziato giuridico indica vincoli e obbligazioni fra interessi di proprietà, a fronte degli altri interessi. L’art.8 comma 7 chiarisce che gli accordi sono con gli interessi privati (titolari di proprietà). Per i piani operativi posso capire che si arrivi alla negoziazione, ma per il Piano strutturale? Si negozia con i proprietari? Credo dovremmo insistere, nel nostro linguaggio, sulla partecipazione, che non esclude gli “interessati” proprietari o operatori immobiliari, ma riguarda tutti i cittadini. La direttiva europea sulla VAS prevede che la partecipazione anche del pubblico debba intervenire prima dell’adozione delle scelte, superando la concezione delle osservazioni a posteriori, che avvengono dopo l’adozione dei piani. La rivista Democrazia e diritto nel 2003 ha dedicato un fascicolo intero al “sistema Berlusconi”. Quel sistema, che forse richiede di rispolverare il termine “blocco fondiario”, è parte del paese, ahimé.

Ornella De Zordo ( “Un’altra città un altro mondo”, Consiglio comunale di Firenze) nota come questo libro, presentato come instant book, in realtà sia ben più di ciò. Quello che esso delinea è infatti un modello di governo del territorio che va oltre la fase dell’iter legislativo; per questo la sua lettura si rivela assai utile in molti ambiti, non necessariamente specialistici.

Le obiezioni a questa legge, emerge chiaramente dal libro, sono le stesse che molti soggetti, qui a Firenze, hanno mosso al Piano Strutturale in corso di redazione, malgrado l’iter partecipato che lo ha connotato. Non solo noi abbiamo mosso queste critiche, ma la stessa Regione Toscana ha fatto rilievi analoghi (il Comune di Firenze ha utilizzato l’art.25 della LR 5/95, che consentiva l’adozione del piano senza conferenza dei servizi preliminare). Il pericolo che questo “modello” venga adottato anche dal centro-sinistra è dunque ben presente.

Rossano Pazzagli (coordinatore nodo toscano Associazione Rete del Nuovo Municipio) sottolinea che il valore di questo libro non sta solo nella critica alla legge Lupi, ma a un berlusconismo che ha contagiato gran parte del paese, centro sinistra compreso. Come rete del Nuovo Municipio, con i nostri Comuni e le nostre Province si cerca di costruire una modalità condivisa di riconoscimento del territorio come bene comune.

La legge Lupi riflette una fase di decisioni post-democratiche. Con la crisi della rappresentanza in atto, e il sistema delle scelte in mano a lobbies, parlare di urbanistica contrattata oggi è molto peggio di quanto non fosse ieri. E quello che stupisce è il silenzio politico assoluto, cui fanno da contraltare soltanto alcuni enti locali. Dovremmo riaprire questa discussione generale sullo sviluppo: se non si esce dal paradigma della crescita, non si cambia. L’augurio è che la “fabbrica del programma” ne tenga conto.

Claudio Saragosa (Sindaco di Follonica): martedì scorso il libro è stato presentato a Follonica, su invito del Consiglio comunale, da Vezio De Lucia, e in effetti ciò che è emerso è che la legge Lupi ha tanti contenuti non noti ai tanti che potrebbero effettivamente avere buone ragioni per opporvisi. Noi come Comune abbiamo cercato di introdurre negli obiettivi del piano strutturale valori diversi da quelli fondiari, attraverso l’attivazione di processi di partecipazione ex ante (Forum per la città), per le trasformazioni urbanistiche, introducendo i grandi temi multisettoriali con molti attori. Di fronte a questa legge ci sentiamo depredati di un metodo sperimentato, con alto valore pedagogico influente sulle scelte di fondo del piano. Contro questa legge intendiamo deliberare una mozione in consiglio comunale.

Raffaele Paloscia (direttore del Dipartimento di Urbanistica, Università di Firenze): l’articolazione di questa legge assurda è chiara. Io starei attento a dire, come fanno molti, che è una legge liberista: questa legge prevede infatti l’estrazione del plusvalore da parte dello Stato. A chi preferiscono riferirsi Caltagirone e gli altri immobiliaristi per i progetti di rinnovo urbano, dove avvengono le più rilevanti operazioni finanziarie? Allo Stato. Come molti altri provvedimenti, questa legge è un misto di devolution e ricentralizzazione. Se parliamo solo di liberismo, sbagliamo obiettivo.

Monica Sgherri (capogruppo di Rifondazione Comunista in Consiglio regionale) osserva come “anziché esaltarci su quanto avviene in Regione Toscana, dovremmo riconsiderare quanto è avvenuto anche qui”. Ad esempio, il famoso passaggio sul risparmio di suolo (della buona legge regionale n.5/95) ha consentito poi un intervento come quello di Fiat-Fondiaria a Novoli, che non ha una effettiva domanda. Continuano a proliferare interventi che non rispondono a una domanda presente, e come tali “comprano” il futuro. Se già il Comune di Firenze non ha oggi poteri contrattuali sufficienti, rispetto alle grandi trasformazioni messe in moto dai privati, che cosa capiterà ai Comuni più piccoli? E a tutti i Comuni con questa nuova legge? Lo stesso non-consumo di suolo apre un mercato delle possibili dismissioni (ad esempio, ospedali: nuovi interventi di interesse collettivo su aree agricole, e riuso per interessi privati delle aree dismesse). C’è un’assenza di codice che indichi l’interesse collettivo. Credo che nell’urbanistica si sia aperta la frattura più ampia fra rappresentanti e rappresentati. Proprio nell’urbanistica manca il terzo soggetto, ovvero quando si va a trasformare il territorio, insieme all’amministrazione pubblica e al privato, ci sia anche il terzo soggetto che misura la qualità della vita e i bisogni dei cittadini, entrambi con la q piccola e la b piccola del quotidiano e delle sue difficoltà.

Giorgio Pizziolo (docente di urbanistica, Università di Firenze) si dichiara d’accordo nel rilevare l’assenza totale dell’interesse pubblico: nella legge Lupi, ma anche nelle pratiche attuali di trasformazione del territorio. Territorio che va considerato come soggetto vivente. In Toscana si predica bene ma si razzola male: il caso di Firenze è tragico, ma in molti casi la negoziazione è l’unica pratica di fatto. La densità dei comitati in cui la popolazione si organizza è un indicatore di come vengono compiute le scelte.

Anna Marson, data l’ora ormai tarda, rinuncia alle conclusioni previste per dare spazio all’intervento di Gamberini. Prima di passare la parola, richiama tuttavia due questioni.

La necessità e l’urgenza, se l’amministrazione regionale toscana ritiene di avere un modello e un’esperienza diversa (da quella negozial/liberista proposta dalla legge Lupi) da proporre alla riflessione innanzitutto politica del centro-sinistra nazionale, che essa stessa si faccia parte attiva nel sollecitare e promuovere con urgenza un dibattito sul governo del territorio.

L’apporto che questa riflessione sulla legge Lupi può dare a migliorare la stessa legge regionale toscana n.1/05 sul governo del territorio, o i suoi strumenti applicativi. Più in particolare: l’introduzione come obiettivo del consumo zero di suolo e una più attenta considerazione dei carichi urbanistici derivanti dal riuso delle aree già urbanizzate; sviluppare principi di coesione sociale e territoriale nella definizione operativa delle forme di compensazione intercomunale (già previste dalla legge) dei costi e benefici derivanti dai nuovi interventi; la sperimentazione di strumenti operativi per applicare il principio dell’interesse collettivo contro la rendita; la sperimentazione di nuovi standard urbanistici.

Marco Gamberini (dirigente settore Pianificazione, Regione Toscana) annuncia il fatto che si sta lavorando a una proposta di legge nazionale sul governo del territorio di iniziativa delle Regioni. La legge Lupi è infatti innanzitutto una legge arretrata: considera le infrastrutture, gli interventi speciali ecc. come qualcosa di esterno e diverso dal governo del territorio, esternalizzando ogni forma di controllo sui beni di interesse collettivo. E il governo del territorio allora cos’è? Noi abbiamo degli esempi, in Toscana, nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Prato così come nel Piano Strutturale di Follonica, di come il governo del territorio possa tenere insieme i diversi aspetti settoriali in un processo unitario di elaborazione e di decisione. In questa legge non c’è inoltre né partecipazione né valutazione. Tutto l’interesse collettivo è spostato altrove, fuori da quanto disciplinato da questa legge. Forse questa legge non sarà approvata, Ma è comunque necessario riprendere la riflessione su tutta questa materia, usando a tal fine anche l’attuazione della legge

Roma, 15 dicembre, ex-albergo Bologna: presentazione del volume su La controriforma urbanistica, pubblicato da Alinea, Firenze.

Ne discutono, con attenzioni diverse, ma con valutazioni unanimemente critiche nel merito della legge Lupi, Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Vittorio Emiliani, Maria Cristina Gibelli, Cesare Salvi, Patrizia Sentinelli, e Sauro Turroni

La sala è affollatissima di urbanisti, esponenti del mondo della cultura e della politica, amministratori.



M.G. Gibelli, che ha coordinato il volumetto, sottolinea le preoccupazioni da cui ha avuto origine la rapidissima messa a punto della pubblicazione: l’improvvisa accelerazione parlamentare su una legge urbanistica stesa in una forma approssimativa sotto molti aspetti; la disattenzione della stampa; il tentativo di far passare questa legge come bipartisan.

Ma è il clima generale in cui si è sviluppato il dibattito sulla legge Lupi uno dei motivi di maggiore preoccupazione per gli autori del volume collettaneo.

A questo aspetto Gibelli dedica alcune riflessioni introduttive. Sembra infatti che attualmente “un nuovo spettro si aggiri per l’Italia”: si tratta dello spettro del piano che non soltanto viene spesso evocato dalla maggioranza di centro-destra, e in particolare dall’onorevole Lupi, come il principale responsabile del “fallimento” delle nostre città, ma che sembra turbare i sonni anche di molti urbanisti.

In realtà, sottolinea Gibelli, siamo di fronte alla ennesima anomalia nazionale: in giro per l’Europa, lo spettro del piano non sembra incutere soverchio timore; anzi, si sta assistendo ad un rinnovato impegno riformatore e ad un deciso ritorno alle regole, dopo le esperienze deregolative degli anni ‘80/primi anni ’90: anche se le regole vengono ovunque riattualizzate sulla base delle problematiche e delle sfide emergenti.

Gli esempi non mancano. Traendo spunto da due leggi recentissime (la legge “Solidarité et rénouvellement urbains” approvata in Francia nel 2000, durante il governo Jospin, e la Ley de urbanismo para el fomento de la vivienda asequible, e la sostenibilidad territoriale y de la autonomìa local approvata dal governo socialista catalano nel 2005), Gibelli sottolinea la distanza siderale di queste leggi dalla “via italiana” alla riforma urbanistica. .

Si tratta infatti di leggi che affrontano alcun problemi che sono cruciali anche per il nostro paese (l’eccessivo consumo di suolo, la crescente doppia velocità urbana, la debolezza della pianificazione di inquadramento di area vasta,…), e che propongono con coerenza principi volti a dotare i poteri pubblici dei nuovi strumenti necessari per orientare l’attività di pianificazione in difesa dell’interesse generale e, in particolare, per la razionale utilizzazione delle risorse territoriali e la solidarietà sociale. Entrambe le leggi introducono alcune innovative regole non contrattabili in materia di sostenibilità e di risposta alla domanda abitativa dei gruppi più deboli.

La legge Lupi, in evidente controtendenza con quanto sta avvenendo in Europa, sancisce invece un solo principio: la rinuncia al ruolo pubblico come garante del bene collettivo, e il primato del privato (poiché privilegia un modello negoziale senza regole, elitario, corporativo e non trasparente).

Prende poi la parola Vittorio Emiliani (giornalista) che sottolinea come nella Legge Lupi, così come in altre leggi e provvedimenti recentemente approvati, o in corso di approvazione (quali la scandalosa legge delega in materia di ambiente; la vendita delle spiagge demaniali ai privati, concedendo gli arenili pubblici più intatti a chi vi costruirà grandi alberghi contenuta in Finanziaria; il colpo basso inferto alla Legge Merloni in materia di garanzie di concorrenzialità e di trasparenza negli appalti, contenuto nel decreto legislativo che dovrà essere approvato entro il 31 gennaio prossimo) si materializzi un lucido e perverso progetto: non certo di semplificare e flessibilizzare in direzione virtuosa il processo decisionale in materia urbanistica e di pianificazione, ma di affidare il governo del territorio a pochi, grandi detentori di aree, in aperta contraddizione con le moderne esigenze di un capitalismo avanzato.

I dati sui consumi di suolo sono per Emiliani l’indicatore più allarmante: dagli anni ’50, abbiamo consumato, ricoprendolo di cemento, quasi il 40 per cento della superficie non urbanizzata al 1951; superiamo i 100.000 e talora i 200.000 ettari all’anno (un ritmo come minimo doppio di quello tedesco, il quale si attesta sui 47.000 ettari l'anno).

E la legge Lupi, che esalta le opportunità di nuova urbanizzazione, se approvata è destinata ad accelerare questa tendenza perversa.

Paolo Berdini (urbanista) ritorna sul tema dei poteri forti e della esplosione della rendita, citando dati ANCE: dal 1998 al 2005 il valore degli immobili è cresciuto del 60%; e le responsabilità del governo Berlusconi sono state gravissime. Berdini cita lo scudo fiscale che ha consentito il rientro di 70.000 miliardi di lire, reinvestiti ampiamente nel settore immobiliare, in particolare dopo l’attentato alle torri gemelle; la vendita sistematica del patrimonio pubblico e degli enti previdenziali che ha prodotto l’esodo forzato di 300.000 famiglie dalle città; l’infinita serie di condoni, non solo edilizi; il decreto sulla competitività che introduce la possibilità di aumenti di cubatura. La demolizione della pianificazione e il premio al malaffare vanno insieme, conclude Berdini, e il ritorno alle regole, anche se più trasparenti e snelle, dovrà costituire un impegno prioritario del centro-sinistra.

Vezio De Lucia, urbanista e uno degli autori ospitati nel volumetto, ripercorre le tappe più significative dell’urbanistica post-bellica: dalla legge urbanistica del 1942 alle riforme realizzate negli anni del primo centro-sinistra, quando si definirono alcune regole fondamentali per il governo del territorio. Si sofferma poi su alcuni contenuti particolarmente nefandi della proposta Lupi: l’incentivo insensato a favore di ulteriori consumi di suolo (Art. 6, comma 5); l’abrogazione degli standard urbanistici; la separazione della tutela, riservata allo Stato, dall’ordinaria attività di pianificazione comunale .

La parola passa ai politici.

Cesare Salvi, vicepresidente del Senato, dichiara immediatamente di considerare la legge Lupi non emendabile, poiché tira le fila del peggio di un’onda lunga di restaurazione (iniziata con la stroncatura della Legge Sullo) che nel nostro paese ha senza tregua trasferito risorse imponenti a favore della rendita parassitaria.

Patrizia Sentinelli, della direzione del PRC, fa un intervento appassionato: elogia l’iniziativa collettiva che ha reso possibile il volumetto su “La controriforma urbanistica” poiché ha colmato un preoccupante vuoto di riflessione critica e sottolinea in particolare l’alibi fornito alle amministrazioni locali dal taglio drastico delle risorse finanziarie. A fronte di risorse sempre più scarse, le amministrazioni in difficoltà hanno scelto la strada della privatizzazione dei servizi pubblici e della perequazione urbanistica.

La Legge Lupi, anche se non verrà approvata, sottolinea Sentinelli, va analizzata anche per il “dopo”, poiché legittima un disegno perverso che si è manifestato anche in alcune leggi urbanistiche regionali già approvate o in alcune proposte attualmente in discussione (il riferimento va alla legge del Lazio). Si tratta di leggi che introducono il principio dello “scambio di cubatura”: un principio perverso, destinato a peggiorare la vita dei cittadini.

In questo senso la battaglia contro la legge Lupi costituisce un momento di importanza fondamentale per la politica.

Conclude Sauro Turroni (Senatore e Vicepresidente dalla Commissione Territorio, ambiente, beni ambientali) che riferisce dei lavori della Commissione, delle audizioni in corso e della possibilità che i tempi tecnici impediscano di arrivare all’approvazione della legge Lupi durante la legislatura.

Due sono le considerazioni avanzate da Turroni: la prima è che la Legge Lupi affonda le sue radici in anni relativamente lontani. Il riferimento è alla legge 142/1990 che ha legittimato gli accordi di programma come metodo ordinario di governo del territorio; la seconda riguarda la propensione a “fare cassa” che condiziona le politiche urbanistiche comunali. E’ con l’ introduzione del principio di autoapprovazione dei piani urbanistici locali, che ha interpretato in maniera opportunista, localista, di malinteso federalismo il principio di sussidiarietà, che tale propensione a “fare cassa” ha prevalso sui temi cruciali del cauto consumo delle risorse territoriali e della coesione sociale.

Mentre si svolge l’incontro, Turroni riceve una telefonata: il governo ha approvato l’ennesimo condono edilizio (questa volta per le proprietà delle Ferrovie dello stato)…

DISEGNO DI LEGGE A.S. 3519 PER GOVERNO DEL TERRITORIO - AUDIZIONE DEL 22/11/2005 DELLA 13° COMMISSIONE PERMANENTE DEL SENATO SUL DISEGNO DI LEGGE A.S. 3519 CONCERNENTE “PRINCIPI IN MATERIA DI GOVERNO DEL TERRITORIO” - INTERVENTO DI RODOLFO BOSI A NOME DI VAS [...]

[per problemi tecnici è stato sinora impossibile inserire qui le Osservazioni Generali (di cui il titolo dell'articolo è una citazione testuale) per cui faccio riferimento al sito VAS-Online; di seguito le proposte di modifica (f.b.)]

PROPOSTE DI MODIFICHE ED INTEGRAZIONI

Articolo 1

Si propone di invertire al comma 2 il secondo periodo con il primo, al fine di far diventare prioritario il concetto che il governo del territorio comprende l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, a cui sono subordinate o comunque propedeutiche le attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi.

Articolo 2

Si propone di dare al "piano strutturale", previsto alla lettera e), la seguente definizione:

"piano urbanistico con disposizioni aventi validità a tempo indeterminato, relative alla tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio, alla definizione delle linee fondamentali e preesistenti di organizzazione del territorio ed alla indicazione delle trasformazioni strategiche comportanti effetti di lunga durata".

Si propone di dare al "piano operativo", previsto alla lettera f), la seguente definizione:

"piano urbanistico con disposizioni riferite ad archi temporali determinati, dirette alla definizione specifica delle azioni e delle trasformazioni fisiche e funzionali da realizzare e costituenti riferimento per la programmazione della spesa pubblica nei bilanci annuali e pluriennali".

Articolo 5

Si propone di sostituire il periodo del 4° comma da “prioritariamente” ad “atti autoritativi” con il seguente:

"mediante atti autoritativi da perseguire anche con l’adozione di atti negoziali".

Articolo 6

Si propone di integrare il comma 1 con l’espressione seguente:

", da esercitare nel rispetto del piano territoriale regionale e del piano territoriale di coordinamento provinciale".

Si propone di integrare il comma 3 inserendo, dopo il termine “piani paesaggistici”, l’espressione seguente:

"nei piani di assetto delle aree naturali protette e nei piani di bacino".

Si propone di sostituire il comma 7 con il testo seguente.

"La pianificazione urbanistica è attuata mediante disposizioni strutturali e disposizioni operative. Il piano strutturale definisce il quadro generale della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio e non ha efficacia conformativa della proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, stabiliscono le modalità ed i tempi di attuazione delle disposizioni strutturali e disciplinano il regime dei suoli ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione"

Articolo 7

Si propone di integrare il comma 1 inserendo, dopo il termine “pubblico o generale”, il testo seguente:

"nel rispetto delle quantità minime stabilite dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444,"

Articolo 8

Si propone di integrare il comma 6 aggiungendo, dopo l’espressione “piani territoriali o di settore”, il seguente testo:

"fatte salve le parti invarianti dei piani strutturali relative alla tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio,".

Articolo 9

Si propone di cancellare dal comma 2 il termine “e compensativi”.

Si propone di sostituire il periodo iniziale (“La perequazione di realizza”) con il testo seguente:

"In alternativa all’indennizzo monetario previsto per la procedura di espropriazione, si può realizzare la perequazione,"

Si propone di abrogare il comma 5.

Articolo 11

Si propone di integrare il comma 1 inserendo, dopo l’espressione “22 gennaio 2004, n. 42”, il testo seguente:

"nonché dei piani di assetto delle aree naturali protette e dei piani di bacino,".

Articolo 13

Si propone di abrogare le lettere d) e g) del comma 1.

Si propone altresì di abrogare il comma 4.

Roma, 22 novembre 2005

Alla fine li chiameremo “gli anni della rendita”: dei tassi bassi e del mattone alto, delle scorrerie dei ricucci e soci, del grande gioco immobiliare che è dilagato dai vertici della piramide giù giù fino al piccolo risparmiatore. Gli anni nei quali gli imprenditori hanno venduto i macchinari per speculare sui terreni e i grandi gruppi hanno mischiato gomma e cemento, treni e palazzi, occhiali e caseggiati. Gli anni di quello che ha cominciato per primo, a colpi di case e pubblicità.

C’è poco da stupirsi, dunque, se questi anni chiudono e culminano con una legge che - per usare le parole dell’urbanista Edoardo Salzano - “privatizza l’urbanistica”. Cioè “pone esplicitamente il bastone del comando nelle mani di quegli interessi che le amministrazioni oneste (di sinistra, di centro o di destra che fossero) hanno sempre tentato di contrastare: quelli della proprietà immobiliare”. E’ una vera e propria “controriforma urbanistica”, come recita il titolo del libro-pamphlet con il quale un gruppo di urbanisti cerca di rompere il silenzio e intralciarne il cammino. Votata dalla camera, in commissione al senato, la cosiddetta “legge Lupi” (dal nome di Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, area Compagnia delle Opere, già assessore all’urbanistica a Milano e iniziatore del modello ambrosiano dell’”urbanistica contrattata”) porta il pomposo titolo “principi in materia di governo del territorio “. Principi che usano nomi suadenti: sussidiarietà invece che centralismo, atti negoziali in luogo di atti autoritativi.

Non lasciatevi ingannare dalla forma, dicono Salzano e gli altri autorevoli urbanisti e giuristi che scrivono nel libro (Roberto Camagni, Luca De Lucia, Vezio De Lucia, Antonio Di Gennaro, Alberto Magnaghi, Anna Marson, Luigi Scano, Paolo Urbani): il cardine della nuova legge è l’ingresso degli interessi privati nel governo del territorio. Bella novità, si dirà, pensando a Rosi e ad Agrigento e a Milano 2.

Ma la novità c’è, ed è nel fatto che gli interessi privati siedono per legge nella stanza dei bottoni, ossia della pianificazione: che non dovrà avvenire con atti autoritativi, bensì con atti concordati. Gli altri principi, coerentemente, completano l’opera: fine degli standard urbanistici, quella cosa per cui ogni cittadina/o nasceva con un tot di diritti di verde, strade, scuole, etc. Al loro posto, “dotazioni territoriali “ da decidere regione per regione, flessibili e contrattabili, io ti dò cubature a sud-est e tu mi fai un giardinetto a nord-ovest. E ancora: silenzio-assenso per il permesso di costruire - se il comune non risponde entro un tot, via con le ruspe. Il tutto perché il suolo è fatto per essere edificato, e l’intero corpo della legge incentiva le nuove edificazioni, dà ruolo e valore ai soggetti protagonisti del business del momento (e di sempre: la rendita), chiude definitivamente il capitolo di un’urbanistica che - ricorda Salzano - non è socialista né comunista né moralistica né anticapitalista ma è dettata dall’esigenza “di liberare gli interessi di tutti dal dominio degli interessi di sfruttamento immediato di un bene comune”.

Ma c’è qualcosa di peggio di quest’incubo, ben descritto da Vezio De Lucia che sotto il titolo “i peggiori anni della nostra vita” elenca nomi e date degli anni della riforma (‘55-’80: Sullo, Mancini, Bucalossi) e quelli della controriforma (‘80-2005: Prandini, Craxi, Berlusconi, Radice, Tremonti, Lunardi). Il peggio è il silenzio in cui la controriforma cade, silenzio che a volte è un imbarazzo e a volte è davvero un assenso: ripetuti nel libro gli attacchi al centrosinistra e a una parte dell’accademia degli urbanisti, il primo indeciso tra consenso, logica emendativa e (poca) opposizione alla legge, la seconda spesso accodata con entusiasmo al carro dell’urbanistica contrattata.

Il sasso è lanciato, il pamphlet è scagliato sui sonnolenti lavori parlamentari. Qualcuno risponderà?

Cà Tron, sede della facoltà di Pianificazione del territorio dell’Università IUAV di Venezia, ore 15.30

Introduzione di Edoardo Salzano; Cesare De Piccoli, Gianfranco Vecchiato, Luca Romano e Diego Bottacin ne hanno discusso con gli autori Luigi Scano e Anna Marson. Interventi di Augusto Cusinato, Stefano Boato, Francesco Indovina, Maria Rosa Vittadini.

Pubblico insolitamente numeroso, per la presentazione di un libro di argomento apparentemente così ostico: studenti, docenti, funzionari pubblici, architetti, oltre ai discussant invitati e agli autori presenti. L’aula trabocca di persone, molte in piedi, che resistono per ore.

Edoardo Salzano introduce. Sottolinea tre aspetti della legge, che non riguardano l’urbanistica ma la politica, l’economia, i diritti. (1) Dall’inizio dell’XIX secolo i regimi liberali e liberisti si sono resi conto che il mercato non risolveva alcuni problemi e ne hanno affidato il governo alla mano pubblica: tra questi, le trasformazioni urbane. E' nata così la pianificazione urbanistca, rigorosamente gestita dall’autorità pubblica. Con la Legge Lupi ci compie un rovesciamento completo di questa impostazione e si affida l’urbanistica agli interessi privati, cioè – in Italia – agli interessi immobiliari. (2) Grazie a questa sua scelta, la Legge Lupi provoca un forte rafforzamento della componente parassitaria e premoderna del processo di formazione del reddito: la rendita immobiliare. Il prevalere della rendita (immobiliare e finanziaria) è già fortissimo in Italia, ed è una causa importante del declino economico del paese. La legge Lupi rafforza pesantemente questa perversa tendenza. (3) Gli standard urbanistici sono stati un diritto per tutti i cittadini italiani conquistato grazie a movimenti di massa, sperimentazioni politico-amministrative e innovazioni culturali significative negli anni del primo centrosinistra. La Legge Lupi cancella questo diritto affidandone la gestione alle Regioni e al mercato. Salzano conclude dicendo che è il silenzio della politica sulla gravità dell’impianto della Legge Lupi sotto il profilo economico, politico e dei diritti che ha spinto a pubblicare il libro.

Cesare De Piccoli (responsabile infrastrutture segreteria nazionale DS) dichiara che la “stagione d’oro” degli anni ’70 è passata da tempo, e che è fondamentale prenderne atto: il prevalere dell’interesse economico è ormai dilagante; i piani urbanistici sono stati disattesi; l’economia si è ri-orientata sulla rendita immobiliare; l’urbanistica ha perso visibilità anche all’interno dell’accademia, dove conta ormai di più l’ambiente o il segno architettonico; la politica sempre più è diventata amministrazione, e il consenso somma degli interessi particolari.

Ricostruzione indubbiamente arguta, nella quale tuttavia responsabilità della politica e responsabilità di quanti praticano la disciplina dell’urbanistica tendono a confondersi eccessivamente. Se è vero che tutti noi urbanisti siamo anche attori politici, il ri-orientamento dell’economia nazionale verso la rendita immobiliare, piuttosto che la priorità data agli interessi puntuali e a breve termine sono senza dubbio responsabilità maggiore di chi ricopre ruoli politici più significativi dei nostri.

Responsabilità che si giocano anche nelle scelte urbanistiche puntuali, come ricorda Gianfranco Vecchiato (assessore all’urbanistica del Comune di Venezia) citando l’aumento di popolazione e quindi di volumi edificati previsto a Venezia al 2010 (+ 33.000 abitanti), e la domanda di qualità urbanistica che gli standard non garantiscono ma aiutano a raggiungere nelle trattative con i privati proprietari dei terreni in un contesto, come quello italiano, nel quale l’interesse pubblico non è supportato da strumenti operativi adeguati.

Luca Romano (agente di sviluppo territoriale), dopo essersi presentato come vittima della disinformazione relativa a questo progetto di legge, della quale nulla sapeva prima di essere invitato a questa discussione, nota come nel modello di urbanizzazione diffusa il concetto di interesse pubblico rimandi a quello di accessibilità (ai servizi, alla conoscenza, al lavoro), ma come il governo del territorio che dovrebbe darvi risposta richieda un’idea di sviluppo come guida. E se oggi l’idea è quella dello sviluppo locale, inteso come messa in relazione e circuito delle diverse vocazioni dei territori (agricoltura, turismo, saperi ecc.). essa richiede una pianificazione urbanistica che sia in grado di dare corpo a questo intreccio. Cosa che questa legge non soltanto non facilita, ma addirittura impedisce.

Diego Bottacin (consigliere regionale Margherita-Ulivo) invita a “togliere ogni nostalgia dal campo”, ricordando che nei tredici anni trascorsi come Sindaco di Mogliano non ha mai pensato di procedere al governo delle trasformazioni urbane con una Variante generale al PRG. Non solo, ma “le uniche trasformazioni che hanno funzionato su questo territorio sono quelle fatte in barba alla strumentazione urbanistica classica”. Dunque, è necessario prendere atto che il sistema di pianificazione urbanistica vigente non funziona, essendo basato su di un pregiudizio ostile alla capacità delle comunità locali di generare decisioni virtuose. Ciò che ha finora prodotto è il fallimento della pianificazione sovra-locale e la de-responsabilizzazione delle comunità locali. Se le uniche trasformazioni ammissibili sono oggi quelle che costituiscono l’esito della negoziazione, vanno specificati i limiti e le procedure che garantiscano trasparenza alla negoziazione stessa (anche se non basta una buona legge a garantire una buona urbanistica).

Forse, verrebbe da replicare, non è tutto così semplice, dal momento che la negoziazione coinvolge raramente (o mai?) le comunità locali, e sovente i soli sindaci o i sindaci e le rappresentanze di alcuni interessi economici. Una maggiore responsabilizzazione delle comunità locali è senza dubbio decisiva, così come lo sono procedure che garantiscano gli interessi diffusi e di lungo termine contro gli interessi predatori a breve.

Le provocazioni dei relatori scatenano le reazioni di molti fra i presenti.

Augusto Cusinato ricorda che l’urbanistica è sempre stata contrattata. Solo che gli attori erano pochi e riconoscibili. Di quel modello non sta oggi più in piedi neppure il linguaggio, che richiede di essere innovato. E tuttavia, per continuare a usare il linguaggio che abbiamo, i compiti dell’urbanistica rimangono ancor oggi la produzione di beni pubblici e il controllo della rendita.

Ma non è più chiaro cosa sia l’interesse pubblico, dichiara Stefano Boato: tutte le operazioni degli ultimi 15 anni sono operazioni immobiliari guidate da logiche aziendali. I Comuni battono moneta aprendo la contrattazione su tutte le aree. A fronte di questa situazione i veri problemi sono oggi quelli della vivibilità e della tutela ambientale.

Ma chi può garantire che questi problemi acquistino la priorità necessaria? Anche i progetti di legge presentati dal centro-sinistra in materia di governo del territorio non andavano bene, sottolinea Francesco Indovina: la contrattazione dovrebbe infatti seguire la pianificazione, non precederla. Il problema è ce, come dice Bottacin, una legge non basta. Ciò che ci vorrebbe, e non c’è, è l’interesse comune: si riescono a fare le operazioni immobiliari, ma non gli interventi di interesse comune come una strada, un inceneritore o quant’altro. Ma poi bisognerebbe anche riflettere maggiormente sulla scarsa rilevanza dei piani comunali, e sulla rilevanza della pianificazione d’area vasta. Il problema del controllo della rendita è un problema di governo, non può essere demandato alla contrattazione.

Maria Rosa Vittadini cita la Val di Susa quale esempio di come si prendono le decisioni di interesse collettivo, etichettando “interesse collettivo” scelte inadeguate che corrispondono soltanto ad alcuni interessi individuali e non collettivi.

A Gigi Scano e Anna Marson l’arduo compito di tentare delle conclusioni.

I PdL Mantini e Lupi, ricorda Gigi Scano , avevano grosso modo gli stessi contenuti. Non si può in effetti che sottolineare come, dagli anni ’70 in poi, vi sia stato un vero e proprio crollo della cultura di governo. L’attuale cultura di governo trascura ciò che gli economisti liberali classici avevano già chiarito nel secolo XIX, ovvero il fallimento del mercato nel garantire la produzione e la riproduzione dei beni comuni. Se non il mercato, che cosa può garantire questi beni? La “decisionalità politica democratica”, ovvero la pianificazione se non la programmazione. Quando parliamo di contrattazione e negoziazione, dovremmo chiederci almeno che cosa si negozia: le regole o le compensazioni? E con chi? Con il solo proprietario del bene immobile? L’attuale prassi di governo ha buttato a mare secoli di cultura sviluppata in difesa degli interessi collettivi.

Il governo del territorio necessita di due dimensioni, una politica e una tecnica, osserva Anna Marson. Entrambe devono fare la loro parte, perché il governo funzioni, ma certo la dimensione tecnica o accademica non può supplire quella politica, se questa viene meno o si svende ad alcuni interessi di parte. Il contesto fisico, culturale e politico in cui ci troviamo oggi è senza dubbio molto cambiato rispetto a qualche decennio fa, e ciò richiede innovazione, ma a partire da alcuni principi non negoziabili. Le aziende è fondamentale si muovano con una logica aziendale: ma gli enti pubblici territoriali proprio no, se il loro compito è quello di indirizzo e controllo delle trasformazioni in nome dell’interesse collettivo. Se l’interesse collettivo è oggi un concetto sfuggente, e al tempo stesso il territorio è tuttavia al centro di qualsiasi ipotesi di sviluppo, si provi a ridefinire questo interesse collettivo luogo per luogo, e a livello di area vasta, con il concorso degli attori che rappresentano effettivamente gli interessi diffusi. Le riflessioni tecniche, disciplinari, su questa innovazione possibile e oggi più che mai necessaria non mancano. Ciò che sembra mancare davvero è la capacità politica di promuovere innovazione capace di costruire l’interesse collettivo, anziché concepirlo come semplice somma di interessi particolari.

© 2025 Eddyburg