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CAMERA DEI DEPUTATI - XIII LEGISLATURA, Resoconto della VIII Commissione permanente, (Ambiente, territorio e lavori pubblici), Giovedì 11 gennaio 2001, Allegato 2, NORME IN MATERIA URBANISTICA. (C. 407 Nocera ed abbinate C. 518 Turroni, C. 524 Turroni, C. 604 Baccini, C. 677 Sbarbati, C. 1126 De Cesaris, C. 1287 Siniscalchi, C. 1552 Vincenzo Bianchi, C. 2209 De Biasio Calimani, C. 2762 Governo, C. 2790 Testa, C. 2884 Gambato, C. 3116 Nocera, C. 3206 Mussi, C. 3258 Merlo, C. 3449 Galati, C. 3779 Martinat, C. 4026 Matacena, C. 4112 Testa, C. 4134 Casinelli, C. 5456 Tosolini, C. 6575 Cosentino e sentenza Corte costituzionale n. 179 del 20 maggio 1999 documento VII, n. 701, ex articolo 108, comma 5, del Reg.)

CAPO I Princìpi per il governo del territorio.

Art. 1 (Legge di princìpi).

1. La presente legge stabilisce i princìpi e le disposizioni generali relative al governo del territorio da parte dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, in coerenza con le disposizioni adottate dalla Unione Europea e con gli obblighi derivanti da accordi e intese internazionali.

2. I princìpi e le disposizioni di cui alla presente legge costituiscono princìpi fondamentali delle leggi dello Stato ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 117 della Costituzione, nonché princìpi fondamentali di riforma economico-sociale.

Art. 2. (Definizioni).

1. Agli effetti della presente legge, si intende per:

a) «governo del territorio»: le disposizioni e i provvedimenti per la tutela, per l'uso e per la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono;

b) «piani specialistici»: i piani nazionali e regionali che tutelano un interesse pubblico specifico relativo al governo del territorio, e le cui disposizioni vengono recepite nei piani territoriali, urbanistici, metropolitani;

c) «piani di settore»: i piani che approfondiscono particolari tematiche relative al governo del territorio e alla politica ambientale, urbana, territoriale, infrastrutturale, in coerenza con le disposizioni dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani vigenti;

d) «norme di salvaguardia»: norme statali o regionali che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate attività di trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalle leggi o da piani specialistici;

e) «misure di salvaguardia»: i provvedimenti adottati dalle amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio in attuazione di norme di salvaguardia vigenti;

f) «norme suppletive»: norme che entrano in vigore nel territorio della regione, ad una data prefissata dalla legge nazionale, qualora si verifichi la inadempienza normativa della medesima regione, e che restano in vigore sino a quando la regione non abbia provveduto agli adempimenti normativi di propria competenza;

g) «comparto urbanistico»: insieme di immobili perimetrato dal piano operativo comunale, per il quale il medesimo piano operativo definisce le disposizioni riguardanti le possibili trasformazioni urbanistiche, le quote edificatorie attribuite ai proprietari e gli obblighi verso il comune e altri soggetti pubblici;

h) «immobili»: terreni, edifici, costruzioni, aree edificate o non edificate;

i) «quote edificatorie»: le possibilità edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico dal piano operativo comunale;

l) «funzioni urbane»: categorie di destinazioni d'uso degli immobili, raggruppate secondo criteri di omogeneità e compatibilità;

m) «manutenzione urbana»: i provvedimenti idonei a garantire la costante efficienza e funzionalità dei servizi e degli insediamenti urbani, pubblici e privati;

n) «manutenzione del territorio»: i provvedimenti idonei a garantire la costante attuazione delle disposizioni relative alla tutela del territorio, alla prevenzione dei rischi derivanti da calamità naturali, e al contrasto dei fenomeni di degrado del territorio medesimo.

2. Agli effetti della presente legge, si intende altresì per:

a) «regioni»: regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale, e province a statuto speciale;

b) «piano territoriale»: il piano territoriale provinciale, predisposto e approvato dalla provincia;

c) «piano urbanistico»: il piano urbanistico comunale, predisposto e approvato dal comune;

d) «piano metropolitano»: il piano predisposto e approvato dalla città metropolitana;

e) «piano operativo»: il piano operativo comunale, predisposto e approvato dal comune;

f) «conferenza»: la conferenza territoriale provinciale, la conferenza urbanistica comunale, la conferenza metropolitana;

g) «difesa del suolo»: l'assetto idrogeologico e la tutela delle acque;

h) «comparto»: il comparto urbanistico;

i) «proprietari»: i proprietari di immobili o altri soggetti aventi titolo.

Art. 3. (Semplificazione normativa e procedurale).

1. Le norme statali relative al governo del territorio sono raccolte in un testo unico, con le modalità di cui all'articolo 33.

2. Le regioni predispongono, per quanto di loro competenza, un testo unico regionale delle norme in materia di governo del territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del testo unico di cui al comma 1 ed adottano i provvedimenti di semplificazione normativa conseguenti alle disposizioni statali vigenti in materia.

3. I comuni rilasciano i titoli abilitativi alla attività edilizia e di trasformazione urbanistica del territorio mediante un unico atto comprensivo di tutte le altre autorizzazioni, nulla osta, pareri e assensi delle autorità competenti. A tale scopo, le regioni dettano norme e adottano provvedimenti per la istituzione ed il funzionamento di apposite strutture, anche intercomunali, denominate sportello urbanistico, alle quali i soggetti interessati possono rivolgersi per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui al presente comma.

Art. 4. (Certezza attuativa).

1. Le disposizioni della presente legge sono attuate dai soggetti istituzionali titolari di funzioni relative al governo del territorio, nei termini e con le modalità previste dalla legge medesima.

2. In caso di inadempienza si provvede con le seguenti modalità:

a) in caso di inadempienza delle regioni nella adozione, entro i termini stabiliti, di atti normativi di loro competenza previsti dalle leggi statali entrano in vigore, alla data di scadenza dei medesimi termini, le norme suppletive appositamente previste dalle leggi vigenti. Tali norme suppletive restano in vigore sino a quando la regione non abbia provveduto agli adempimenti normativi stabiliti dalla presente legge;

b) in caso di inadempienza di province, comuni, e città metropolitane nella predisposizione e approvazione del piano territoriale, del piano urbanistico, e del piano metropolitano di cui agli articoli 20, 21 e 23, le amministrazioni competenti dispongono le misure di salvaguardia di cui all'articolo 7, nonché la sospensione dei programmi di finanziamento relativi ad opere pubbliche da realizzare nel territorio interessato. La regione nomina inoltre un commissario ad acta per la predisposizione ed approvazione del piano;

c) in caso di inadempienza di province e comuni nella attuazione di disposizioni regionali o statali diverse da quelle di cui alla lettera b), la regione o le autorità statali competenti adottano gli interventi sostitutivi previsti dalle leggi vigenti.

Art. 5. (Sussidiarietà).

1. Sono di competenza del comune le funzioni relative al governo del territorio ad esso attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa, e tutte le funzioni non esplicitamente attribuite alle regioni o alle province dalla presente legge e dalla vigente normativa.

2. La provincia predispone il piano territoriale provinciale di cui all'articolo 20 ed esercita le funzioni ad essa attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa, o delegate dalle regioni.

3. Sono di competenza della regione le funzioni relative al governo del territorio ad essa espressamente attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa.

4. Sono di competenza dello Stato solo le funzioni relative al governo del territorio che sono espressamente attribuite allo Stato medesimo dalla presente legge e dalla vigente normativa.

5. Le regioni attribuiscono o delegano alle province e ai comuni e, ove costituite, alle città metropolitane tutte le funzioni che possono essere dagli stessi enti locali direttamente esercitate, eventualmente anche in forma associata.

6. Lo Stato, le regioni, e le province possono altresì delegare proprie competenze, anche relative a singole opere o interventi, ad enti territoriali ricompresi nel proprio ambito territoriale, eventualmente associati tra loro.

Art. 6. (Sostenibilità ambientale e territoriale).

1. La tutela dell'ambiente, dell'integrità fisica del territorio, della sua identità culturale, e la conservazione e riproducibilità delle risorse naturali sono i presupposti di ogni trasformazione territoriale ed urbanistica.

2. I piani territoriali, i piani urbanistici ed i piani metropolitani fondano le proprie previsioni sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili, di favorire il recupero delle risorse degradate, di garantire una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, di ridurre ed eliminare i danni per il territorioe quelli per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura,di prevenire i rischi derivanti da calamità naturali. Essi fondano altresì le proprie previsioni sulle esigenze di tutela dell'assetto idrogeologico e della qualità delle acque e sul bilancio delle risorse idriche.

3. I piani territoriali, urbanistici, metropolitani prevedono criteri e modalità per favorire la manutenzione del territorio, la manutenzione urbana ed il recupero edilizio e danno priorità alla riqualificazione del territorio già urbanizzato rispetto all'uso e alla trasformazione del territorio non ancora urbanizzato.

4. Le leggi regionali ed i piani territoriali, urbanistici, metropolitani prevedono criteri e modalità per la tutela del paesaggio agrario, per favorire la permanenza e lo sviluppo delle attività agricole, nonché per garantire l'effettivo rispetto della destinazione ad attività agricola delle parti del territorio a tale scopo individuate.

Art. 7. (Salvaguardia).

1. Le leggi statali e regionali possono contenere disposizioni, denominate norme di salvaguardia, che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate trasformazioni del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalle leggi medesime.

2. I piani specialistici, nazionali e regionali, possono disporre misure di salvaguardia.

3. Le misure di salvaguardia di cui al comma 2 restano in vigore sino al recepimento delle disposizioni dei piani specialistici nei piani territoriali ed urbanistici.

4. Specifiche misure di salvaguardia possono essere altresì disposte dalle regioni o dalle amministrazioni statali competenti, nei casi di cui all'articolo 12.

5. Nel periodo di tempo intercorrente tra la data di adozione dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani e dei piani operativi di cui agli articoli 20,21,22 e 23, e la data di approvazione dei medesimi piani da parte dell'ente competente, sono sospese, da parte del comune interessato, tutte le determinazioni relative al rilascio di titoli abilitativi alla attività edilizia in contrasto con le disposizioni contenute nei piani adottati.

Art. 8. (Unicità degli strumenti territoriali ed urbanistici).

1. La tutela, l'uso, la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sono disciplinati esclusivamente dai piani territoriali provinciali, dai piani urbanistici comunali, dai piani metropolitani e dai piani operativi, di cui agli articoli 20, 21, 22 e 23, predisposti ed approvati in conformità alle disposizioni della presente legge.

2. Non è consentito il ricorso ad altri strumenti né ad altre procedure per la predisposizione, l'aggiornamento, la modifica e l'approvazione dei piani di cui al comma 1 nonché per il recepimento nei medesimi piani di previsioni contenute in piani specialistici o di disposizioni statali e regionali o di altri soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio.

Art. 9. (Carta del territorio).

1. Il piano urbanistico comunale ed il piano operativo, predisposti ed approvati con le modalità di cui alla presente legge, costituiscono, nel loro insieme, un documento denominato carta del territorio, comprensivo di tutte le prescrizioni vigenti riguardanti l'intero territorio comunale.

Art. 10. (Cooperazione istituzionale).

1. Tutti i soggetti istituzionali titolari di funzioni relative al governo del territorio operano con il metodo della cooperazione e dell'intesa, con le modalità previste dalla presente legge.

2. Lo Stato si avvale delle conferenze «Stato-regioni» e «Stato-città e autonomie locali», anche nella forma della conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Le regioni prevedono, nell'ambito della propria autonomia legislativa, analoghi e idonei strumenti di raccordo e coordinamento con gli enti locali.

3. Le province, i comuni, le città metropolitane predispongono, rispettivamente, i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani con la cooperazione di tutti i soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio.

4. Le regioni promuovono il coordinamento e la cooperazione tra gli enti locali ed i soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio anche per mezzo di specifiche intese con le amministrazioni interessate, con particolare riferimento all'attività conoscitiva, allo scambio di informazioni, alla definizione di accordi procedimentali.

Art. 11. (Pianificazione coordinata).

1. Gli enti locali competenti predispongono e approvano i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani di cui agli articoli 20, 21 e 23, con le modalità di coordinamento e di intesa previste dalla presente legge.

2. Il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano è adottato dall'ente locale competente e sottoposto alla valutazione della conferenza di cui all'articolo 24, alla quale partecipano tutti i soggetti titolari, in base alla vigente normativa, di funzioni relative al governo del territorio. La conferenza verifica la coerenza del piano con le disposizioni vigenti, provvede al coordinamento di tutte le disposizioni riguardanti il territorio considerato, e si conclude con la definizione dell'intesa tra i soggetti partecipanti con le modalità di cui all'articolo 24.

3. Gli enti locali competenti approvano i piani territoriali, i piani urbanistici e i piani metropolitani dopo la definizione, da parte della conferenza, dell'intesa di cui al comma 3, con le modalità di cui all'articolo 25.

Art. 12. (Autonomia e controllo).

1. I piani territoriali provinciali, i piani urbanistici comunali, i piani metropolitani ed i piani operativi, predisposti ed approvati con le modalità di cui alla presente legge non sono soggetti, successivamente alla loro approvazione da parte dell'ente locale competente, a controllo da parte di altre autorità, fatto salvo quanto previsto dal comma 3.

2. Gli enti locali trasmettono alla regione i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani, nonché i piani operativi entro il termine di trenta giorni dalla data della loro approvazione.

3. La regione compie, entro il termine di novanta giorni dalla data di ricevimento dei piani di cui al comma 2, verifiche sul rispetto, da parte dei piani territoriali, dei piani urbanistici e dei piani metropolitani dell'intesa raggiunta in sede di conferenza territoriale, urbanistica, metropolitana nonché del rispetto, da parte del piano operativo, delle previsioni contenute nel piano urbanistico comunale vigente.

4. Nel caso la regione rilevi il mancato rispetto dell'intesa di cui al comma 3, invita l'ente locale interessato a provvedere, entro un termine di tempo prefissato, alla modifica del piano per garantire il rispetto dell'intesa medesima, trascorso il quale può disporre misure di salvaguardia,

con riferimento alle difformità rilevate. Tali misure di salvaguardia restano in vigore sino a quando l'ente locale interessato non abbia provveduto agli adempimenti richiesti.

Art. 13. (Partecipazione, osservazioni e opposizioni).

1. Le regioni prevedono le modalità per lo svolgimento di adeguate iniziative di informazione e consultazione dei cittadini, di associazioni, di forze economiche e sociali, di operatori economici, sulle proposte di piano territoriale provinciale, di piano urbanistico comunale, di piano metropolitano e di piano operativo, nonché la possibilità, anche per i privati, di avanzare proposte pubbliche per la predisposizione del piano operativo comunale.

2. La consultazione di cui al comma 1, per il piano territoriale provinciale, il piano urbanistico comunale, il piano metropolitano, deve avere luogo e concludersi prima che la conferenza di cui all'articolo 24 concluda i propri lavori.

3. La proposta di piano territoriale provinciale, di piano urbanistico comunale, di piano metropolitano risultante dall'intesa definita dalla conferenza di cui all'articolo 24 della presente legge, è pubblicata dall'ente locale competente.

4. Alle proposte di cui al comma 3 possono essere presentate osservazioni da parte di soggetti pubblici e privati, con le modalità previste dall'articolo 25.

5. Al piano operativo, adottato dal comune, possono essere presentate osservazioni da parte di soggetti pubblici e privati nonché opposizioni da parte di soggetti i cui immobili sono interessati dal piano operativo medesimo o da altri soggetti aventi titolo sulla base della vigente normativa, con le modalità previste dall'articolo 26.

Art. 14. (Legalità urbanistica).

1. Il comune esercita la vigilanza in materia di legalità della attività urbanistica ed edilizia.

2. La mancata irrogazione delle sanzioni previste dalle vigenti disposizioni da parte degli amministratori comporta responsabilità dei medesimi.

Art. 15. (Perequazione urbanistica).

1. Gli immobili per i quali il piano operativo dispone la trasformazione urbanistica nel periodo di tempo della propria validità sono inclusi, dal piano operativo medesimo, in comparti urbanistici, con le modalità di cui all'articolo 27.

2. Nei comparti urbanistici sono attribuiti, alla proprietà conformata dal piano operativo di cui all'articolo 22, quote edificatorie, espresse in metri quadrati o in metri cubi, e obblighi verso il comune o altri soggetti pubblici aventi titolo previsti dal piano operativo medesimo.

3. Le quote edificatorie e gli obblighi di cui al comma 2 sono ripartiti tra tutti i proprietari di immobili in modo proporzionale al valore, accertato dall'Ufficio tecnico erariale ai fini della applicazione dell'imposta comunale sugli immobili, dei beni appartenenti a ciascuno di essi, con le modalità di cui agli articoli 27 e 28.

Art. 16. (Vincoli urbanistici).

1.Il piano operativo può individuare immobili da destinare ad infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche o di interesse pubblico e, tra essi, quelli sottoposti a vincolo finalizzato alla espropriazione.

2. Il piano operativo include altresì gli immobili per i quali sia disposta la espropriazione, da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici aventi titolo, per la realizzazionedi opere di loro competenza previste dal piano urbanistico comunale vigente.

3. Il vincolo finalizzato alla espropriazione imposto dal piano operativo sugli immobili destinati alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere medesime.

4. Il vincolo imposto con le modalità di cui al comma 1 e finalizzato alla espropriazione ha la durata di cinque anni, e può essere reiterato una sola volta per la stessa durata. In tale caso è dovuto al proprietario un indennizzo maggiorato nella misura e con le modalità previste dall'articolo 17.

5. Il piano operativo quantifica le risorse finanziarie occorrenti per l'espropriazione degli immobili vincolati dal piano medesimo, stabilisce i criteri di priorità ed indica in modo documentato la copertura finanziaria degli oneri relativi.

6. Il vincolo finalizzato alla espropriazione può essere apposto esclusivamente su immobili inclusi nel piano operativo.

Art. 17. (Esproprio per pubblica utilità).

1. Le procedure di esproprio sono regolate dalle disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità. L'acquisizione degli immobili destinati alla realizzazione di opere pubbliche da parte dello Stato avviene mediante decreto di esproprio.

2. L'indennità dovuta ai proprietari di immobili espropriati per ragioni di pubblica utilità è stabilita dalle leggi statali sulla base del principio dell'equo ristoro per la perdita del bene espropriato.

3. Il comune, anche su proposta dei proprietari interessati, può definire, in alternativa alla espropriazione, forme di compensazione consistenti nella permuta con altri immobili o con quote edificatorie all'interno di comparti urbanistici, oppure consistenti nella partecipazione dei proprietari medesimi alla realizzazione e alla gestione delle attrezzature e dei servizi pubblici localizzati dal piano operativo su immobili dagli stessi posseduti.

4. Qualora il vincolo urbanistico disposto dal piano operativo sia stato reiterato, come previsto dall'articolo 16, al proprietario è dovuta una indennità aggiuntiva pari ad un terzo dell'ammontare della indennità fissata per l'esproprio dell'immobile sottoposto a vincolo.

Art. 18. (Funzioni dello Stato).

1. Sono riservate allo Stato le seguenti funzioni:

a) indirizzo e coordinamento;

b) legislazione di principio, norme in materia di regime degli immobili e di espropriazione, sanzioni contro gli illeciti edilizi ed urbanistici, norme suppletive, esercizio di poteri sostitutivi;

c) definizione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio;

d) rapporti con gli organismi internazionali e il coordinamento con l'Unione europea in materia di politiche urbane e di assetto del territorio;

e) monitoraggio del territorio e dello stato della pianificazione territoriale ed urbanistica, con la costituzione, a tale scopo, di un apposito Osservatorio nazionale, d'intesa con le regioni e gli enti locali;

f) interventi relativi ad opere statali, alla difesa nazionale, alla sicurezza interna, alla prevenzione da grandi rischi derivanti da calamità naturali;

g) escavazione del sottosuolo nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti;

h) promozione di programmi innovativi in ambito urbano che implichino un intervento da parte di diverse amministrazioni dello Stato.

2. Sono altresì riservate allo Stato:

a) la tutela dei beni culturali e dell'ambiente, la difesa del suolo nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti; l'istituzione di nuove aree naturali protette nazionali e la modifica di quelle esistenti;

b) la occupazione d'urgenza, le concessioni, le autorizzazioni per ricerche archeologiche;

c) l'espropriazione di immobili di interesse storico e artistico;

d) la salvaguardia di Venezia e della zona lagunare e il mantenimento del regime idrico lagunare, nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti.

CAPO II Strumentazione territoriale ed urbanistica.

Art. 19. (Linee fondamentali dell'assetto del territorio).

1. Lo Stato definisce le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo, ai rischi derivanti da calamità naturali, alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, al sistema della mobilità, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane e allo sviluppo delle aree depresse.

2. Fanno parte integrante delle linee fondamentali, di cui al comma 1, i princìpi e le disposizioni contenute nelle norme statali vigenti relative al governo del territorio, le disposizioni dei piani specialistici vigenti, nonché i programmi pluriennali relativi ad opere pubbliche di competenza dello Stato.

3. Le regioni, nell'autonomo esercizio delle proprie funzioni in materia di governo del territorio, provvedono a comporre e ad aggiornare l'insieme delle disposizioni fondamentali, ivi incluse quelle contenute nei piani specialistici, riguardanti l'assetto del territorio di loro competenza in un quadro di riferimento regionale.

4. Il quadro di riferimento regionale è predisposto e aggiornato dalle regioni in coerenza con le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale di cui ai commi 1 e 2.

Art. 20. (Piano territoriale provinciale).

1. Il piano territoriale provinciale definisce l'assetto del territorio della provincia.

2. Il piano territoriale provinciale è coerente con gli indirizzi e le prescrizioni derivanti dalle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale e dal quadro regionale di riferimento di cui all'articolo 19.

3. Il piano territoriale provinciale considera la totalità del territorio provinciale. Esso recepisce, potendo altresì integrare, le disposizioni vigenti riguardanti la protezione della natura, la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, la difesa del suolo, la tutela delle bellezze naturali, la prevenzione dei rischi derivanti da calamità naturali ed indica le linee generali per la conservazione, la manutenzione, e la realizzazione degli interventi previsti. Esso indica inoltre le caratteristiche generali delle infrastrutture, delle vie di comunicazione e delle attrezzature di interesse intercomunale e sovracomunale nonché i criteri generali da utilizzare per la valutazione dei carichi insediativi ammissibili nel territorio di competenza.

4. Il piano territoriale provinciale ha durata indeterminata.

5. Il piano territoriale provinciale è predisposto e approvato dalla provincia con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

6. I piani specialistici riguardanti il territorio provinciale, ivi inclusi i piani riguardanti le aree naturali protette, e i piani specialistici relativi alla tutela dei beni culturali e dell'ambiente, alla difesa del suolo, alla prevenzione di rischi derivanti da calamità naturali vengono recepiti nel piano territoriale con le modalità previste dalla presente legge.

7. I piani di settore riguardanti il territorio provinciale non possono modificare le disposizioni del piano territoriale vigente.

8. Le regioni promuovono, con riferimento a problemi aventi carattere interprovinciale o sovraprovinciale, e con particolare riguardo ai problemi relativi alla difesa del suolo, specifiche forme di cooperazione tra le province interessate e le amministrazioni competenti.

Art. 21. (Piano urbanistico comunale).

1. Il piano urbanistico comunale definisce l'assetto del territorio del comune.

2. Il piano urbanistico comunale, in coerenza con le disposizioni del piano territoriale provinciale:

a) considera la totalità del territorio comunale;

b) definisce gli elementi del territorio soggetti a tutela o considerati comunque costitutivi, invarianti o consolidati;

c) fissa gli obiettivi da perseguire in termini di prestazioni urbane e ambientali, anche con riferimento al sistema della mobilità, nonché quelli relativi allo sviluppo delle attività economiche e produttive;

d) determina i fabbisogni insediativi e le priorità relative alle opere di urbanizzazione;

e) stabilisce le parti del territorio non suscettibili di trasformazione urbanistica, ivi incluse la città storica, le zone di urbanizzazione consolidata, le zone agricole;

f) indica le parti del territorio nelle quali i piani operativi possono prevedere interventi di trasformazione urbanistica, distinguendole secondo caratteristiche di omogeneità, nonché criteri e indicazioni di massima per la localizzazione delle infrastrutture e della rete delle principali vie di comunicazione;

3. Il piano urbanistico comunale contiene una specifica normativa, denominata normativa tecnica di attuazione, riguardante la manutenzione del territorio e la manutenzione urbana, il recupero, la trasformazione e la sostituzione edilizia, il supporto alle attività produttive, la tutela del paesaggio agrario e il mantenimento e lo sviluppo della attività agricola, la regolamentazione della attività edilizia nonché criteri per la definizione delle funzioni urbane e delle loro compatibilità.

4. Il piano urbanistico comunale ha durata indeterminata.

5. Il piano urbanistico comunale è predisposto e approvato con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

6. I piani specialistici riguardanti il territorio comunale, ivi inclusi i piani riguardanti le aree naturali protette e i piani specialistici relativi alla tutela dei beni culturali e dell'ambiente, alla difesa del suolo, alla prevenzione da rischi derivanti da calamità naturali sono recepiti nel piano urbanistico con le modalità previste dalla presente legge.

7. I piani di settore riguardanti il territorio comunale non possono modificare le disposizioni del piano urbanistico vigente.

8. Le regioni promuovono, con riferimento a questioni aventi carattere intercomunale o sovracomunale, specifiche forme di cooperazione tra i comuni interessati e le amministrazioni competenti e disciplinano inoltre i casi nei quali, d'intesa con i comuni interessati, il piano urbanistico può avere carattere e dimensione intercomunale.

Art. 22. (Piano operativo).

1. Il piano operativo individua, con riferimento al territorio comunale e al periodo di tempo della propria validità, gli immobili da assoggettare a trasformazione urbanistica, nonché altri immobili da destinare alla realizzazione di infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche e di interesse pubblico.

2. Il piano operativo:

a) raggruppa tutti gli immobili soggetti a trasformazione urbanistica in comparti urbanistici, con le modalità previste dall'articolo 27;

b) definisce, all'interno dei singoli comparti urbanistici, la quantità di immobili da destinare ad infrastrutture, attrezzature, aree verdi, edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche o di interesse pubblico di cui è prevista la cessione al comune o ad altri soggetti pubblici, nonché le caratteristiche ed il dimensionamento dei relativi interventi edilizi, e ne può anche indicare, ove opportuno, la localizzazione all'interno del comparto;

c) definisce, all'esterno dei comparti urbanistici, la localizzazione delle ulteriori infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e delle altre opere pubbliche o di interesse pubblico, ivi incluse quelle di competenza dello Stato o di altri soggetti pubblici, e individua gli immobili sottoposti a vincolo finalizzato alla espropriazione;

d) quantifica gli oneri finanziari a carico del comune e di altri soggetti pubblici e ne indica in modo documentato le fonti di finanziamento.

3. Il piano operativo comunale ha la durata di cinque anni.

4. Il piano operativo è predisposto e approvato dal comune con le modalità di cui all'articolo 26.

5. Il comune allega al proprio bilancio annuale di previsione una relazione sullo stato di attuazione degli interventi previsti dal piano operativo vigente.

Art. 23. (Piano metropolitano).

1. La città metropolitana predispone e approva, con le modalità di cui agli articoli 24 e 25, il piano metropolitano, il quale sostituisce, a tutti gli effetti, il piano territoriale provinciale e il piano urbanistico comunale con riferimento al territorio di competenza della città metropolitana medesima.

2. I comuni costituenti la città metropolitana adottano e approvano, con le modalità di cui all'articolo 26, i propri piani operativi, in coerenza con le disposizioni del piano metropolitano vigente. L'insieme dei piani operativi di tutti i comuni appartenenti alla città metropolitana costituisce un documento denominato piano operativo metropolitano.

Art. 24. (Conferenza territoriale, urbanistica, metropolitana).

1. Il piano territoriale provinciale, il piano urbanistico comunale, il piano metropolitano sono adottati dall'ente locale competente e sottoposti alla valutazione della conferenza di cui al presente articolo.

2. La conferenza è convocata dall'ente locale proponente il piano.

3. Alla conferenza partecipano tutti i soggetti titolari di funzioni relative a piani specialistici, imposizione di vincoli, tutela e gestione di aree naturali protette, piani di settore, realizzazione e gestione di infrastrutture, rilascio di nulla-osta, espressione di pareri, e partecipano inoltre tutti gli altri soggetti interessati titolari di funzioni relative al governo del territorio.

4. La conferenza esamina il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano adottato dall'ente locale competente, ne verifica la coerenza con le disposizioni vigenti, provvede al coordinamento delle disposizioni riguardanti il territorio considerato, e si conclude con la definizione dell'intesa tra i partecipanti con le modalità di cui al presente articolo.

5. L'intesa della conferenza è definita con il consenso dell'ente locale proponente.

6. L'intesa non è raggiunta qualora si registri il dissenso, motivato con riferimento alla violazione di vincoli o di disposizioni vigenti, da parte delle amministrazioni titolari di funzioni relative a beni culturali, ambiente, difesa del suolo, protezione dai rischi derivanti da calamità naturali. In tal caso, fino a quando si registri il dissenso delle amministrazioni, i vincoli e le disposizioni vigenti sulla cui violazione è stato motivato il dissenso medesimo conservano il valore e gli effetti loro assegnati dalle leggi statali e regionali.

7. Fermo restando quanto previsto dai commi 5 e 6, l'intesa della conferenza è definita con le modalità previste dalla vigente disciplina, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in materia di conferenza di servizi.

8. L'intesa definita dalla conferenza è vincolante per tutti i soggetti partecipanti alla conferenza stessa, e tiene luogo di ogni atto o parere di competenza dei soggetti medesimi

9. I piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani sono approvati dall'ente locale competente dopo la definizione dell'intesa della conferenza, con le modalità di cui all'articolo 25.

10. Le regioni disciplinano, fatto salvo quanto previsto dal presente articolo, le modalità di convocazione, di svolgimento della conferenza ed i termini che gli enti locali competenti stabiliscono per la durata della stessa. Esse possono inoltre prevedere, con riferimento al piano urbanistico comunale, che la conferenza urbanistica si svolga, previa intesa con i comuni interessati, su base intercomunale.

11. Le conferenze convocate per la valutazione del piano territoriale provinciale, del piano urbanistico comunale, del piano metropolitano assumono la denominazione, rispettivamente, di conferenza territoriale, conferenza urbanistica, conferenza metropolitana.

Art. 25. (Approvazione dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani).

1. La proposta di piano territoriale, di piano urbanistico o di piano metropolitano, risultante dall'intesa definita dalla conferenza di cui all'articolo 24, è pubblicata dall'ente locale competente entro quindici giorni dalla data di conclusione della conferenza medesima.

2. Alla proposta di piano di cui al comma 1 possono essere presentate, entro trenta giorni dalla data della sua pubblicazione, le osservazioni di cui all'articolo 13.

3. L'ente locale competente sottopone alla valutazione della conferenza le osservazioni presentate, e si esprime sulle medesime entro novanta giorni dalla data di pubblicazione della proposta di piano di cui al comma 1.

4. L'ente locale competente approva il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano entro il medesimo termine di cui al comma 3, dopo essersi espresso sulle osservazioni presentate.

5. Il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano approvato dall'ente locale competente è sottoposto a controllo solo nel caso previsto dall'articolo 12.

6. L'aggiornamento o la modifica del piano territoriale, del piano urbanistico, del piano metropolitano sono predisposti e approvati con le stesse modalità previste dalla presente legge per la (...) predisposizione e l'approvazione dei piani medesimi.

7. Successivamente alla approvazione del piano territoriale, del piano urbanistico, del piano metropolitano i poteri statali di integrazione degli elenchi dei beni ambientali sottoposti a vincolo sono esercitabili solo in presenza di un fatto sopravvenuto o di una motivata riconsiderazione dell'interesse pubblico.

8. Qualora, dopo l'approvazione del piano territoriale, urbanistico, metropolitano sia approvato un nuovo piano specialistico o ricorrano le circostanze di cui al comma 7, l'amministrazione competente chiede agli enti locali interessati la convocazione della conferenza per procedere al recepimento nei piani medesimi delle nuove disposizioni e dei nuovi vincoli.

Art. 26. (Approvazione dei piani operativi).

1. La proposta di piano operativo è adottata dal comune. Il piano operativo non è sottoposto alla valutazione della conferenza di cui all'articolo 24.

2. Alla proposta di piano operativo adottata dal comune, possono essere presentate, entro trenta giorni dalla data della adozione, le osservazioni e le opposizioni di cui all'articolo 13.

3. Il comune si esprime sulle osservazioni e sulle opposizioni entro novanta giorni dalla data della adozione del piano operativo.

4. Il comune approva il piano operativo entro il termine di cui al comma 3, dopo essersi espresso sulle osservazioni e sulle opposizioni presentate.

5. Il piano operativo è sottoposto a controllo solo nel caso di cui all'articolo 12.

6. Il piano operativo viene aggiornato o modificato con le stesse modalità previste dalla presente legge per la sua predisposizione ed approvazione.

7. Il piano operativo non può essere approvato in assenza di un piano urbanistico comunale vigente, né può modificare il piano urbanistico vigente.Nel caso in cui il piano operativo determini comunque l'esigenza di modifiche al piano urbanistico vigente, la sua approvazione è possibile solo dopo la modifica del piano urbanistico medesimo, approvata con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

Art. 27. (Comparto urbanistico).

1. Il comparto urbanistico è costituito dall'insieme degli immobili perimetrato a tale scopo dal piano operativo, che ne indica le possibili trasformazioni urbanistiche ed edilizie, le tipologie di intervento, le funzioni urbane ammissibili, l'edificazione complessiva consentita e le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi nel perimetro del comparto, la quantità e, ove opportuno, anche la localizzazione, degli immobili da cedere gratuitamente al comune o ad altri soggetti pubblici per la realizzazione nel comparto di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, interventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico.

2. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono espressi in metri quadrati o in metri cubi; le stesse quote edificatorie sono ripartite tra i proprietari in proporzione alla frazione percentuale, da ciascuno di essi detenuta, del complessivo valore imponibile, accertato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili, per l'insieme di tutti gli immobili inclusi nel perimetro del comparto stesso. Nel caso siano inclusi nel comparto immobili per i quali non risulti accertato il valore dell'imponibile relativo alla imposta comunale sugli immobili, tale valore è determinato dall'Ufficio tecnico erariale sulla base dei valori accertati per altri immobili aventi caratteristiche analoghe, entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano operativo.

3. Entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano operativo, il comune determina la quantità di quote edificatorie attribuite dal piano operativo medesimo ai proprietari di immobili inclusi in ciascun comparto, nonché gli obblighi a favore del comune o di altri soggetti pubblici connessi con la attuazione del comparto stesso, e ne dà comunicazione ai proprietari interessati. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono liberamente commerciabili, ma non possono essere trasferite in altri comparti urbanistici.

4. Ferme restando le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili, il piano operativo definisce altresì le caratteristiche ed il dimensionamento degli interventi edilizi relativi alla realizzazione, nei comparti urbanistici, di attrezzature, inteventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche o di interesse pubblico.

5. Le regioni definiscono i criteri ed i limiti per la definizione da parte dei comuni, nei propri piani operativi, degli interventi di cui al comma 4.

Art. 28. (Attuazione del comparto urbanistico).

1. Il comparto urbanistico può essere attuato dai proprietari degli immobili inclusi nel comparto medesimo, direttamente dal comune, ovvero da società miste, o da altri soggetti pubblici e privati.

2. Nel caso di attuazione di un comparto da parte di soggetti privati, devono essere preventivamente ceduti a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici gli immobili necessari per la realizzazione, nel comparto, di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, interventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico, nella quantità prevista dal piano operativo e sulla base delle indicazioni di localizzazione indicate dal comune.

3. I detentori, singoli o associati, di una quantità superiore al cinquanta per cento delle quote edificatorie complessive attribuite ad un comparto urbanistico, possono procedere alla attuazione del comparto qualora si verifichi il rifiuto o l'inerzia dei rimanenti proprietari. In questo caso, i medesimi soggetti procedono alla attuazione del comparto, acquisite le quote edificatorie attribuite ai proprietari che abbiano deciso di non partecipare alla iniziativa, ed i relativi immobili, mediante corresponsione del controvalore di cui al comma 6 o, nel caso di rifiuto, mediante deposito della somma prevista presso la tesoreria comunale.

4. Nel caso di inerzia o di rifiuto all'attuazione di un comparto urbanistico da parte di proprietari di immobili detentori, nel loro insieme, di una quantità superiore al cinquanta per cento delle quote edificatorie complessive attribuite al comparto, il comune fissa un termine per l'attuazione del comparto medesimo, trascorso inutilmente il quale lo stesso comune può decidere di attuare direttamente, anche per mezzo di una società mista, il comparto urbanistico, acquisendone le quote edificatorie ed i relativi immobili con le modalità di cui al comma 6.

5. Qualora il comune decida di non attuare direttamente il comparto secondo quanto previsto dal comma 4, operatori economici possono avanzare specifiche proposte organizzative e finanziarie per la attuazione del medesimo impegnandosi all'acquisizione, con le modalità di cui ai commi 4 e 6, delle quote edificatorie e dei relativi immobili dei proprietari che rifiutino di partecipare all'iniziativa. Le proposte sono indirizzate al comune, il quale procede alla scelta dei soggetti incaricati dell'intervento nel comparto per mezzo di procedure ad evidenza pubblica.

6. Le acquisizioni delle quote edificatorie e dei relativi immobili di cui ai commi 3, 4 e 5 avvengono mediante procedura di esproprio al valore determinato dall'Ufficio tecnico erariale.

Art. 29. (Standard urbanistici).

1. Le regioni indicano i criteri urbanistici, le prestazioni minime richieste ed i parametri, anche pro-capite, per la definizione, da parte dei piani operativi, delle quantità, delle caratteristiche, e della localizzazione di attrezzature, servizi, aree verdi, sia nei comparti urbanistici sia al di fuori degli stessi.

2. Nel caso di interventi edilizi relativi ad immobili non inclusi in comparti urbanistici che comportino modifiche delle funzioni urbane preesistenti, il comune procede ad una verifica dell'eventuale fabbisogno aggiuntivo, determinato da tali modifiche, di immobili per attrezzature, aree verdi ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico e subordina l'autorizzazione dei medesimi interventi alla cessione a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici aventi titolo, da parte dei soggetti interessati, degli immobili occorrenti o al versamento a favore del comune, da parte dei medesimi soggetti, dell'importo determinato dall'Ufficio tecnico erariale per l'acquisizione dei predetti immobili.

3. Le regioni indicano inoltre i casi nei quali, per determinate attrezzature e servizi, i privati possono concorrere alla realizzazione e alla gestione degli stessi secondo modalità disciplinate dalle regioni medesime.

Art. 30. (Titoli abilitativi alla attività edilizia).

1. I comuni provvedono al rilascio dei titoli abilitativi all'attività edilizia mediante lo strumento dello sportello urbanistico di cui all'articolo 3.

2. Le regioni definiscono, nel rispetto delle norme vigenti relative alla tutela e alla sicurezza del territorio e degli immobili che lo compongono, la normativa riguardante il rilascio dei titoli abilitativi all'attività edilizia.

3. Sono in ogni caso subordinate al rilascio di uno specifico titolo abilitativo all'attività edilizia gli interventi di trasformazione urbanistica e gli interventi edilizi che comportino modifiche alle funzioni urbane preesistenti.

Art. 31. (Oneri di concessione e oneri di urbanizzazione).

1. Le regioni indicano i criteri ed i parametri per la determinazione degli oneri di concessione dovuti dai promotori di trasformazioni urbanistiche e di iniziative edilizie, nonché le modalità di pagamento o di esenzione dal pagamento degli oneri medesimi.

2. Le regioni indicano altresì i criteri e i parametri per la determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ed i casi nei quali è consentita, in alternativa al pagamento, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione da parte dei promotori delle iniziative.

Art. 32. (Opere dello Stato, delle regioni, delle province e di altri soggetti pubblici).

1. Lo Stato, le regioni, le province e gli altri soggetti pubblici aventi titolo predispongono e realizzano le opere di propria competenza con il metodo della programmazione pluriennale prevista dalle leggi vigenti. Di tale programmazione viene data tempestiva comunicazione agli enti locali interessati.

2. Le opere programmate di cui al comma 1 sono recepite nei piani territoriali, nei piani urbanistici, nei piani metropolitani, nonché nei piani operativi, con le modalità di cui alla presente legge.

3. Nel caso in cui le opere di cui al comma 1 non risultino già previste nei piani territoriali, nei piani urbanistici, nei piani metropolitani l'amministrazione procedente chiede agli enti locali interessati la convocazione della conferenza di cui all'articolo 24 della presente legge, ai fini del loro recepimento nei piani medesimi.

4. Le opere di cui al comma 1 sono recepite nel piano operativo, su richiesta delle amministrazioni interessate, qualora la realizzazione delle opere medesime sia programmata per il periodo di validità dello stesso piano operativo.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche per le opere date in concessione dallo Stato.

CAPO III Norme finali e transitorie.

Art. 33. (Testo Unico Nazionale).

1. Il Governo della Repubblica è delegato ad adottare, con decreto legislativo, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell'ambiente, per i beni e le attività culturali, dell'interno, dei trasporti e della navigazione, un testo unico nel quale sono riunite e coordinate le disposizioni statali vigenti in materia di governo del territorio. Il decreto è emanato, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite la conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le commissioni parlamentari competenti.

2. Il testo unico è predisposto sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) conformità con i princìpi e le disposizioni della presente legge;

b) competenza dello Stato nella materia oggetto delle disposizioni contenute nel testo unico;

c) abrogazione esplicita di tutte le disposizioni non conformi ai criteri di cui ai precedenti punti a) e b).

Art. 34. (Disposizioni attuative e transitorie).

1. Le regioni approvano le norme e adottano i provvedimenti di propria competenza, definiti dalla presente legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

2. I piani territoriali provinciali, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dalle province entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

3. I piani urbanistici comunali, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dai comuni entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

4. I piani metropolitani, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dalla città metropolitana entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima. Nel caso in cui la città metropolitana sia istituita successivamente alla predetta data, il piano metropolitano è predisposto e approvato entro il termine di due anni dalla data dell'istituzione della città metropolitana medesima.

5. Il piano operativo è approvato dal comune entro un anno dalla data di approvazione, ai sensi della presente legge, del primo piano urbanistico comunale.

6. I piani specialistici e i piani di settore, comunque denominati, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, mantengono la loro autonoma validità sino alla approvazione dei nuovi piani territoriali ed urbanistici di cui ai precedenti commi 2, 3, e 4.

7. In sede di prima applicazione della presente legge, i proprietari di immobili inclusi in comparti urbanistici dal primo piano operativo approvato dal comune ai sensi della presente legge possono chiedere, entro quindici giorni dalla data di approvazione dello stesso, un nuovo accertamento, da parte dell'Ufficio tecnico erariale, del valore imponibile relativo alla applicazione dell'imposta comunale sugli immobili. L'Ufficio tecnico erariale definisce e comunica al comune, entro i successivi trenta giorni, il nuovo accertamento.

8. Nel caso in cui il nuovo accertamento di cui al comma 7 risulti di valore superiore al precedente, le maggiori imposte comunali sugli immobili conseguenti al nuovo accertamento sono dovute anche con riferimento ai cinque anni precedenti alla richiesta di nuovo accertamento da parte del proprietario interessato.

9. Nel caso previsto dal comma 7, i termini stabiliti dall'articolo 27 per la determinazione delle quote edificatorie da parte del comune sono elevati da trenta a sessanta giorni.

10. Restano in vigore, sino alla data di approvazione da parte della provincia, del comune, della città metropolitana rispettivamente, del primo piano territoriale, del primo piano urbanistico, e del primo piano metropolitano di cui alla presente legge, le norme e le misure di salvaguardia vigenti per gli strumenti urbanistici adottati ma non ancora approvati.

Art. 35. (Imposte immobiliari nei comparti urbanistici).

Le imposte sui trasferimenti immobiliari all'interno di un comparto urbanistico, finalizzati alla attuazione del comparto medesimo, si applicano solo alle eventuali plusvalenze realizzate negli atti di trasferimento e di cessione a titolo oneroso, purché gli stessi abbiano avuto luogo dopo l'approvazione del piano operativo e non oltre trenta giorni dalla data di rilascio, da parte del comune, del titolo abilitativo alla realizzazione degli interventi previsti nel comparto.

TESTO STORICO

Articolo unico

A decorrere dalla data della deliberazione comunale di adozione dei piani generali e dei piani particolareggiati di esecuzione previsti dalla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, e fino all'emanazione del relativo decreto di approvazione, il sindaco, su parere conforme della Commissione edilizia comunale, può, con provvedimento motivato da notificare al richiedente, sospendere ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui all'art. 31 di detta legge, quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato.

A richiesta del sindaco, e per il periodo suddetto, il prefetto, con provvedimento motivato da notificare all'interessato, può ordinare la sospensione dei lavori di trasformazione delle proprietà private che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione del piano.

In ogni caso, le sospensioni suddette non potranno essere protratte oltre due anni dalla data della deliberazione di cui al primo comma.

Nei confronti dei trasgressori ai provvedimenti emessi in base alla presente legge sono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 32, terzo e quarto comma, e 41 della suddetta legge urbanistica.



TESTO COORDINATO

(con modifiche e integrazioni - L.1357/1955, art. 4; L. 517/1966, art. 1 - indicate in corsivo)

Articolo unico

A decorrere dalla data della deliberazione comunale di adozione dei piani regolatori generali e particolareggiati, e fino all'emanazione del relativo decreto di approvazione, il sindaco, su parere conforme della Commissione edilizia comunale, può, con prevvedimento motivato da notificare al richiedente, sospendere ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui all'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato.

A richiesta del sindaco, e per il periodo suddetto, il prefetto, con provvedimento motivato da notificare all'interessato, può ordinare la sospensione dei lavori di trasformazione delle proprietà private che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione del piano.

Le sospensioni suddette non potranno essere protratte oltre tre anni dalla data di deliberazione di cui al primo comma.

Per i Comuni che entro un anno dalla scadenza del termine di pubblicazione del piano abbiano presentato il piano stesso all'Amministrazione dei lavori pubblici per l'approvazione, le sospensioni di cui ai commi precedenti potranno essere protratte per un periodo complessivo non superiore a cinque anni dalla data della deliberazione di adozione del piano.

Quando, in seguito alle osservazioni del Ministero dei lavori pubblici, si renda necessaria la riadozione del piano, le sospensioni di cui ai due commi precedenti decorrono, per tutto il territorio interessato dal piano stesso, dalla data della deliberazione comunale di riadozione dei piani regolatori generali e particolareggiati.

Nei confronti dei trasgressori ai provvedimenti emessi in base alla presente legge sono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 32, terzo e quarto comma, e 41 della suddetta legge urbanistica.

INDICE

TITOLO I - ORDINAMENTO STATALE DEI SERVIZI URBANISTICI

Art. 1 - Disciplina dell’attività urbanistica e suoi scopi

Art. 2 - Competenza consultiva del Consiglio superiore dei lavori pubblici

Art. 3 - Istituzione delle Sezioni urbanistiche compartimentali

TITOLO II - DISCIPLINA URBANISTICA

CAPO I - MODI DI ATTUAZIONE

Art. 4 - Piani regolatori e norme sull’attività costruttiva

CAPO II - PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO

Art. 5 - Formazione ed approvazione dei piani territoriali di coordinamento

Art. 6 - Durata ed effetti dei piani territoriali di coordinamento

CAPO III - PIANI REGOLATORI COMUNALI

SEZIONE I – Piani regolatori generali

Art. 7 - Contenuto del piano generale

Art. 8 - Formazione del piano regolatore generale

Art. 9 - Pubblicazione del progetto del piano generale. Osservazioni

Art. 10 - Approvazione del piano generale

Art. 11 - Durata ed effetti del piano generale

Art. 12 - Piani regolatori generali intercomunali

SEZIONE II – Piani regolatori particolareggiati

Art. 13 - Contenuto dei piani particolareggiati

Art. 14 - Compilazione dei piani particolareggiati

Art. 15 - Pubblicazione dei piani particolareggiati. Opposizioni

Art. 16 - Approvazione dei piani particolareggiati

Art. 17 - Validità dei piani particolareggiati

SEZIONE III - Norme per l'attuazione dei piani regolatori comunali

Art. 18 - Espropriabilità delle aree urbane

Art. 19 - Diritto di prelazione degli ex proprietari sulle aree urbane espropriate

Art. 20 - Sistemazioni edilizie a carico dei privati. Procedura coattiva

Art. 21 - Attribuzione ai privati di aree già pubbliche

Art. 22 - Rettifica di confini

Art. 23 - Comparti edificatori

Art. 24 - Aree private destinate alla formazione di vie e piazze

Art. 25 - Vincolo su aree sistemate a giardini privati

Art. 26 - Sospensione o demolizione di opere difformi dal piano regolatore

Art. 27 - Annullamento di autorizzazioni comunali

Art. 28 - Lottizzazione di aree

Art. 29 - Conformità delle costruzioni statali alle prescrizioni del piano regolatore comunale

Art. 30 - Approvazione del piano finanziario

CAPO IV - NORME REGOLATRICI DELL'ATTIVITÀ COSTRUTTIVA EDILIZIA

Art. 31 - Licenza edilizia - Responsabilità comune del committente e dell'assuntore dei lavori

Art. 32 - Attribuzione del Podestà per la vigilanza sulle costruzioni

Art. 33 - Contenuto dei regolamenti edilizi comunali

Art. 34 - Programma di fabbricazione per i Comuni sprovvisti di piano regolatore

Art. 35 - Termine per uniformare i regolamenti edilizi comunali alle norme della presente legge

Art. 36 - Approvazione dei regolamenti edilizi comunali

TITOLO III - DETERMINAZIONE DELL'INDENNITÀ DI ESPROPRIAZIONE

Art. 37 - Rinvio alla legge generale sulle espropriazioni per pubblica utilità

Art. 38 - Valutazione dell'indennità per le aree urbane espropriabili

Art. 39 - Lavori di miglioramento eseguiti dopo l’approvazione del piano particolareggiato

Art. 40 - Oneri e vincoli non indennizzabili

TITOLO IV - DISPOSIZIONI GENERALI E TRANSITORIE

Art. 41 - Sanzioni penali

Art. 42 - Validità dei piani regolatori precedentemente approvati

Art. 43 - Servizi tecnici comunali o consorziali

Art. 44 - Norme integrative e di esecuzione della legge

Art. 45 - Disposizioni finali

TITOLO I - ORDINAMENTO STATALE DEI SERVIZI URBANISTICI

Art. 1 - Disciplina dell’attività urbanistica e suoi scopi

L’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio del Regno sono disciplinati dalla presente legge.

Il Ministero dei lavori pubblici vigila sull'attività urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all'urbanesimo.

Art. 2 - Competenza consultiva del Consiglio superiore dei lavori pubblici

Il Consiglio superiore dei lavori pubblici è l'organo di consulenza tecnica del Ministero dei lavori pubblici per i progetti e le questioni di interesse urbanistico.

Art. 3 - Istituzione delle Sezioni urbanistiche compartimentali

Nelle sedi degli Ispettorati compartimentali del Genio civile e degli uffici decentrati del Ministero dei lavori pubblici sono istituite Sezioni urbanistiche rette da funzionari del ruolo architetti, ingegneri, urbanistici del Genio civile.

Le Sezioni urbanistiche compartimentali promuovono, vigilano e coordinano l'attività urbanistica nella rispettiva circoscrizione.

TITOLO II - DISCIPLINA URBANISTICA

CAPO I - MODI DI ATTUAZIONE

Art. 4 - Piani regolatori e norme sull’attività costruttiva

La disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull’attività costruttiva edilizia, sancite dalla presente legge o prescritte a mezzo di regolamenti.

CAPO II. PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO

Art. 5 - Formazione ed approvazione dei piani territoriali di coordinamento

Allo scopo di orientare o coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale, il Ministero dei lavori pubblici ha facoltà di provvedere, su parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, alla compilazione di piani territoriali di coordinamento fissando il perimetro di ogni singolo piano.

Nella formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio considerato, in rapporto principalmente:

a) alle zone da riservare a speciali destinazioni ed a quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di legge;

b) alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi od impianti di particolare natura ed importanza;

c) alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti e in programma.

I piani, elaborati d’intesa con le altre amministrazioni interessate e previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati per decreto reale su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per le comunicazioni, quando interessino impianti ferroviari, e col Ministro per le corporazioni, ai fini della sistemazione delle zone industriali nel territorio nazionale.

Il decreto di approvazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno, ed allo scopo di dare ordine e disciplina anche all’attività privata, un esemplare del piano approvato deve essere depositato, a libera visione del pubblico, presso ogni Comune, il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte, nell’ambito del piano medesimo.

Art. 6 - Durata ed effetti dei piani territoriali di coordinamento

Il piano territoriale di coordinamento ha vigore a tempo indeterminato e può essere variato con decreto reale previa la osservanza della procedura che sarà stabilita dal regolamento di esecuzione della presente legge.

I Comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale.

CAPO III - PIANI REGOLATORI COMUNALI

SEZIONE I – Piani regolatori generali

Art. 7 - Contenuto del piano generale

Il piano regolatore generale di un Comune deve considerare la totalità del territorio comunale.

Esso deve indicare essenzialmente:

1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e, laddove occorra, navigabili, concepita per la sistemazione e lo sviluppo dell’abitato, in modo da soddisfare alle esigenze del traffico, dell’igiene e del pubblico decoro;

2) la divisione in zone del territorio, con precisazione di quelle destinate all’espansione dell’aggregato urbano, ed i caratteri e vincoli di zona da osservare nell’edificazione;

3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;

4) le aree da riservare a sede della casa comunale e della casa del fascio, alla costruzione di scuole e di chiese e ad opere ed impianti d’interesse pubblico in generale.

Art. 8 - Formazione del piano regolatore generale

Ogni Comune del Regno ha facoltà di formare il piano regolatore del proprio territorio.

La formazione del piano è obbligatoria per tutti i Comuni compresi in appositi elenchi da approvarsi con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per l’interno e per le finanze, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.

Il primo elenco sarà approvato non oltre un anno dall'entrata in vigore della presente legge.

I Comuni compresi negli elenchi di cui ai commi precedenti devono compilare il piano regolatore generale e presentarlo al Ministro per i lavori pubblici per l'approvazione entro cinque anni dalla data del decreto ministeriale con cui è stato approvato il rispettivo elenco.

Trascorso tale termine è in facoltà del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l’interno, di disporre di ufficio la compilazione del piano.

In tal caso il Ministero dell’Interno provvede alla iscrizione d’ufficio della relativa spesa nel bilancio del Comune.

Art. 9 - Pubblicazione del progetto del piano generale. Osservazioni

Il progetto di piano regolatore generale del Comune deve essere depositato nella Segreteria comunale per la durata di 30 giorni consecutivi, durante i quali chiunque ha la facoltà di prenderne visione. L’effettuato deposito è reso noto al pubblico nei modi che saranno stabiliti nel regolamento di esecuzione della presente legge.

Fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito possono presentare osservazioni le Associazioni sindacali e gli altri Enti pubblici ed istituzioni interessate.

Art. 10 - Approvazione del piano generale

Il piano regolatore generale, previa comunicazione a tutti i Ministeri interessati ai sensi e per gli effetti del successivo articolo 45, e sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, è approvato con decreto reale su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per le comunicazioni, quando il piano stesso interessi impianti ferroviari.

Il decreto di approvazione del piano è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno. Il deposito del piano approvato, presso il Comune, e libera visione del pubblico, è fatto nei modi e termini stabiliti dal regolamento.

Nessuna proposta di variante al piano approvato può aver corso se non sia intervenuta la preventiva autorizzazione del Ministro per i lavori pubblici che potrà concederla, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, in vista di sopravvenute ragioni che determinano la totale o parziale inattualità del piano medesimo o la convenienza di migliorarlo.

La variazione del piano è approvata con la stessa procedura stabilita per l'approvazione del piano originario.

Art. 11 - Durata ed effetti del piano generale

Il piano regolatore generale del Comune ha vigore a tempo indeterminato.

I proprietari degli immobili hanno l’obbligo di osservare nelle costruzioni e nelle ricostruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nel piano.

Sono fatti salvi i poteri del Ministero delle corporazioni di autorizzare in caso di necessità nuovi impianti industriali fuori delle zone previste dai piani regolatori.

Art. 12 - Piani regolatori generali intercomunali

Quando per le caratteristiche di sviluppo degli aggregati edilizi di due o più Comuni contermini si riconosca opportuno il coordinamento delle direttive riguardanti l'assetto urbanistico dei Comuni stessi, il Ministro per i lavori pubblici può, a richiesta di una delle Amministrazioni interessate o di propria iniziativa, disporre la formazione di un piano regolatore intercomunale.

In tal caso il Ministro, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, determina:

a) l'estensione del piano intercomunale da formare;

b) quale dei Comuni interessati debba provvedere alla redazione del piano stesso e come debba essere ripartita la relativa spesa.

Il piano intercomunale deve, a cura del Comune incaricato di redigerlo, essere pubblicato nei modi e per gli effetti di cui all’art. 9 in tutti i Comuni compresi nel territorio da esso considerato.

Deve inoltre essere comunicato ai Podestà degli stessi Comuni perché deliberino circa la sua adozione.

Compiuta l’ulteriore istruttoria a norma del regolamento di esecuzione della presente legge, il piano intercomunale è approvato negli stessi modi stabiliti dall’art. 10 per l’approvazione del piano generale comunale.

SEZIONE II – Piani regolatori particolareggiati

Art. 13 - Contenuto dei piani particolareggiati

Il piano regolatore generale è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione nei quali devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati:

- le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze;

- gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico;

- gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia;

- le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano;

- gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare;

- la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future.

Ciascun piano particolareggiato di esecuzione deve essere corredato dalla relazione illustrativa e dal piano finanziario di cui al successivo art. 30.

Art. 14 - Compilazione dei piani particolareggiati

I piani particolareggiati di esecuzione sono compilati a cura del Comune e debbono essere adottati dal Podestà con apposita deliberazione.

È però in facoltà del Prefetto di prefiggere un termine per la compilazione dei piani particolareggiati riguardanti determinate zone.

Contro il decreto del Prefetto il Podestà può ricorrere, entro 30 giorni, al Ministro per i lavori pubblici.

Art. 15 - Pubblicazione dei piani particolareggiati. Opposizioni

I piani particolareggiati devono essere depositati nella Segreteria del Comune per la durata di 30 giorni consecutivi.

L’effettuato deposito è reso noto al pubblico nei modi che saranno stabiliti nel regolamento di esecuzione della presente legge.

Fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito potranno essere presentate opposizioni dai proprietari di immobili compresi nei piani ed osservazioni da parte delle Associazioni sindacali interessate.

Art. 16 - Approvazione dei piani particolareggiati

I piani particolareggiati, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati con decreto reale, su proposta del Ministro per i lavori pubblici.

I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1 giugno 1939-XVII, n. 1809, e alla legge 29 giugno 1939-XVII, n. 1497, dovranno essere preventivamente sottoposti al Ministro dell’educazione nazionale.

Col decreto di approvazione sono decise le opposizioni e sono fissati il tempo, non maggiore di anni 10, entro il quale il piano particolareggiato dovrà essere attuato e i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni.

L'approvazione dei piani particolareggiati equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere in essi previste.

Il decreto di approvazione di un piano particolareggiato deve essere depositato nella segreteria comunale e notificato nelle forme delle citazioni a ciascun proprietario degli immobili vincolati dal piano stesso entro un mese dall'annuncio dell'avvenuto deposito.

Le varianti ai piani particolareggiati devono essere approvate con la stessa procedura.

Art. 17 - Validità dei piani particolareggiati

Decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.

Ove il Comune non provveda a presentare un nuovo piano per il necessario assetto della parte di piano particolareggiato che sia rimasta inattuata per decorso di termine, la compilazione potrà essere disposta dal Prefetto a norma del secondo comma dell’art. 14.

SEZIONE III - Norme per l'attuazione dei piani regolatori comunali

Art. 18 - Espropriabilità delle aree urbane

In conseguenza dell'approvazione del piano regolatore generale i Comuni, allo scopo di predisporre l'ordinata attuazione del piano medesimo, hanno facoltà di espropriare entro le zone di espansione dell'aggregato urbano di cui al n. 2 dell'art. 7 le aree inedificate e quelle su cui insistano costruzioni che siano in contrasto con la destinazione di zona ovvero abbiano carattere provvisorio.

Quelle fra le dette aree che in seguito all'approvazione del piano particolareggiato in cui sono comprese, risultino destinate alla edificazione privata, e vengano richieste dai primitivi proprietari ai sensi del seguente art. 19, saranno dal Comune ricedute ai richiedenti, sempreché essi stessi si impegnino a costruirvi in proprio secondo le destinazioni di piano regolatore, ad un prezzo che, tenuto per base quello di esproprio, sia maggiorato solo di una quota commisurata alle spese incontrate dal Comune per le opere ed impianti di piano regolatore e all'importanza della destinazione.

Le aree espropriate ai sensi del primo comma del presente articolo dovranno dal Comune, verso pagamento di un congruo fitto, essere lasciate in uso ai proprietari espropriati che ne facciano richiesta fino all’approvazione del piano particolareggiato in cui sono compresi.

Se entro dieci anni dall'avvenuta espropriazione di un'area il Comune non provveda alla pubblicazione del piano particolareggiato in cui l'area medesima è compresa, l'espropriato o i suoi eredi avranno il diritto di chiederne la retrocessione.

Art. 19 - Diritto di prelazione degli ex proprietari sulle aree urbane espropriate

Coloro che hanno subito l'espropriazione di aree a termini dell'articolo precedente ed i loro eredi possono esercitare un diritto di prelazione sulle aree stesse quando queste, in seguito alla approvazione del piano particolareggiato in cui sono comprese, divengono disponibili per l'edificazione privata.

Il diritto di cui al comma precedente deve essere esercitato dagli interessati secondo le norme che saranno stabilite dal regolamento di esecuzione della presente legge, nel termine di tre mesi dalla data dell'annunzio dell'avvenuto deposito nella segreteria comunale, a norma dell'art. 16, del decreto di approvazione del piano particolareggiato.

Art. 20 - Sistemazioni edilizie a carico dei privati. Procedura coattiva

Per l’esecuzione delle sistemazioni previste dal piano particolareggiato che consistano in costruzioni, ricostruzioni o modificazioni d’immobili appartenenti a privati, il Podestà ingiunge ai proprietari di eseguire i lavori entro un congruo termine.

Decorso tale termine il Podestà diffiderà i proprietari rimasti inadempienti, assegnando un nuovo termine. Se alla scadenza di questo i lavori non risultino ancora eseguiti, il Comune potrà procedere all’espropriazione.

Tanto l’ingiunzione quanto l’atto di diffida di cui al primo ed al secondo comma devono essere trascritti all’Ufficio dei registri immobiliari.

Art. 21 - Attribuzione ai privati di aree già pubbliche

Le aree che per effetto della esecuzione di un piano particolareggiato cessino di far parte del suolo pubblico, e che non si prestino da sole ad utilizzazione edilizia, accedono alla proprietà di coloro che hanno edifici o terreni confinanti con i detti relitti, previo versamento del prezzo che sarà determinato nei modi da stabilirsi dal regolamento di esecuzione della presente legge, in rapporto al vantaggio derivante dall’incorporamento dell’area.

Il Comune ha facoltà di espropriare in tutto o in parte l’immobile al quale debbono essere incorporate le aree di cui al precedente comma, quando il proprietario di esso si rifiuti di acquistarle o lasci inutilmente decorrere, per manifestare la propria volontà, il termine che gli sarà prefisso con ordinanza podestarile nei modi che saranno stabiliti nel regolamento.

Art. 22 - Rettifica di confini

Il Podestà ha facoltà di notificare ai proprietari delle aree fabbricabili esistenti in un determinato comprensorio l’invito a mettersi d’accordo per una modificazione dei confini fra le diverse proprietà, quando ciò sia necessario per l’attuazione del piano regolatore.

Decorso inutilmente il termine stabilito nell’atto di notifica per dare la prova del raggiunto accordo, il Comune può procedere alle espropriazioni indispensabili per attuare la nuova delimitazione delle aree.

Art. 23 - Comparti edificatori

Indipendentemente dalla facoltà prevista dall'articolo precedente il Comune può procedere, in sede di approvazione del piano regolatore particolareggiato o successivamente nei modi che saranno stabiliti nel regolamento ma sempre entro il termine di durata del piano stesso, alla formazione di comparti costituenti unità fabbricabili, comprendendo aree inedificate e costruzioni da trasformare secondo speciali prescrizioni.

Formato il comparto, il Podestà deve invitare i proprietari a dichiarare entro un termine fissato nell'atto di notifica, se intendano procedere da soli, se proprietari dell'intero comparto, o riuniti in consorzio alla edificazione dell'area e alle trasformazioni degli immobili in esso compresi secondo le dette prescrizioni.

A costituire il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base all'imponibile catastale, i tre quarti del valore dell'intero comparto. I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto mediante la espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti.

Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica il Comune procederà all'espropriazione del comparto.

Per l'assegnazione di esso, con l'obbligo di provvedere ai lavori di edificazione o di trasformazione a norma del piano particolareggiato, il Comune indirà una gara fra i proprietari espropriati sulla base di un prezzo corrispondente alla indennità di espropriazione aumentata da una somma corrispondente all'aumento di valore derivante dall'approvazione del piano regolatore.

In caso di diserzione della gara, il Comune potrà procedere all'assegnazione mediante gara aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara fra i proprietari espropriati.

Art. 24 - Aree private destinate alla formazione di vie e piazze

Per la formazione delle vie e piazze previste nel piano regolatore può essere fatto obbligo ai proprietari delle aree latistanti di cedere, a scomputo del contributo di miglioria da essi dovuto, il suolo corrispondente a metà della larghezza della via o piazza da formare fino a una profondità massima di metri 15.

Quando il detto suolo non gli appartenga, il proprietario dell’area latistante sarà invece tenuto a rimborsare il Comune della relativa indennità di espropriazione, fino alla concorrenza del contributo di miglioria determinato in via provvisoria.

Qualora alla liquidazione del contributo di miglioria, questo risulti inferiore al valore delle aree cedute o dell’indennità di esproprio rimborsata, il Comune dovrà restituire la differenza.

Art. 25 - Vincolo su aree sistemate a giardini privati

Le aree libere sistemate a giardini privati adiacenti a fabbricati possono essere sottoposte al vincolo dell’inedificabilità anche per una superficie superiore a quella di prescrizione secondo la destinazione della zona. In tal caso, e sempre che non si tratti di aree sottoposte ad analogo vincolo in forza di leggi speciali, il Comune è tenuto al pagamento di un’indennità per il vincolo imposto oltre il limite delle prescrizioni di zona.

Art. 26 - Sospensione o demolizione di opere difformi dal piano regolatore

Quando vengono eseguite opere non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore comunale, il Ministro dei lavori pubblici, ove il Comune non provveda, potrà, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, disporre la sospensione o demolizione delle opere stesse.

Art. 27 - Annullamento di autorizzazioni comunali

Le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzino opere non conformi a prescrizioni di piani regolatori, ovvero in qualsiasi modo costituiscano violazione delle prescrizioni stesse, possono essere in qualunque tempo annullati a norma dell'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934-XII, n. 383, mediante decreto reale, su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con quello per l'interno.

Art. 28 - Lottizzazione di aree

Fino a quando non sia approvato il piano regolatore particolareggiato è vietato di procedere a lottizzazione dei terreni a scopo edilizio senza la prevendita autorizzazione del Comune.

Approvato il piano particolareggiato il Podestà ha facoltà di invitare i proprietari di aree fabbricabili esistenti nei singoli isolati, che non siano stati già lottizzati nello stesso piano particolareggiato, a presentare entro un congruo termine, un progetto di lottizzazione tra loro concordato, che assicuri la razionale utilizzazione delle aree stesse. Se essi non aderiscano, provvede alla compilazione di ufficio.

Il progetto di lottizzazione approvato con le modificazioni che l'autorità comunale abbia ritenuto di apportare è notificato per mezzo del messo comunale ai proprietari della aree fabbricabili con invito a dichiarare, entro 30 giorni dalla notifica, se l'accettino. Ove manchi tale accettazione, il Podestà ha facoltà di variare il progetto di lottizzazione in conformità alle richieste degli interessati o di procedere alla espropriazione delle aree.

Art. 29 - Conformità delle costruzioni statali alle prescrizioni del piano regolatore comunale

Compete al Ministero dei lavori pubblici accertare che le opere da eseguirsi da Amministrazioni statali non siano in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore e del regolamento edilizio vigenti nel territorio comunale in cui esse ricadono.

A tale scopo le Amministrazioni interessate sono tenute a comunicare preventivamente i progetti al Ministero dei lavori pubblici.

Art. 30 - Approvazione del piano finanziario

Il piano regolatore generale, agli effetti del primo comma dell'art. 18, ed i piani particolareggiati previsti dall'art. 13 devono essere corredati di un piano finanziario formato dal Comune e approvato, oltre che dai normali organi di tutela, dai Ministeri dell'interno e delle finanze.

CAPO IV - NORME REGOLATRICI DELL'ATTIVITÀ COSTRUTTIVA EDILIZIA

Art. 31 - Licenza edilizia - Responsabilità comune del committente e dell'assuntore dei lavori

Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere apposita licenza al Podestà del Comune.

Le determinazioni del Podestà sulle domande di licenza di costruzione devono essere notificate all'interessato non oltre il sessantesimo giorno della ricezione delle domande stesse.

Il committente titolare della licenza e l'assuntore dei lavori di costruzioni sono entrambi responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza di costruzione.

Art. 32 - Attribuzione del Podestà per la vigilanza sulle costruzioni

Il Podestà esercita la vigilanza sulle costruzioni che si eseguono nel territorio del Comune per assicurarne la rispondenza alle norme della presente legge e dei regolamenti, alle prescrizioni del piano regolatore comunale ed alle modalità esecutive fissate nella licenza di costruzione. Esso si varrà per tale vigilanza dei funzionari ed agenti comunali e d'ogni altro modo di controllo che ritenga opportuno adottare.

Qualora sia constatata l'inosservanza delle dette norme, prescrizioni e modalità esecutive, il Podestà ordina l'immediata sospensione dei lavori con riserva dei provvedimenti che risultino necessari per la modifica delle costruzioni o per la rimessa in pristino. L'ordine di sospensione cesserà di avere efficacia se entro un mese dalla notificazione di esso il Podestà non abbia adottato e notificato i provvedimenti definitivi.

Nel caso di lavori iniziati senza licenza o proseguiti dopo l'ordinanza di sospensione il Podestà può, previa diffida e sentito il parere della Sezione urbanistica compartimentale ordinarne la demolizione a spese del contravventore senza pregiudizio delle sanzioni penali.

Quando l'inosservanza si riferisca a costruzioni eseguite da Amministrazioni statali o dal Partito nazionale fascista ed organizzazioni proprie e dipendenti, il Podestà ne informa il Ministro dei lavori pubblici agli effetti del precedente articolo 29.

Art. 33 - Contenuto dei regolamenti edilizi comunali

I Comuni debbono con regolamento edilizio provvedere, in armonia, con le disposizioni contenute nella presente legge e nel testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934-XII, n. 1265, a dettare norme precipuamente sulle seguenti materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte quelle riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio comunale:

1) la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della commissione edilizia comunale;

2) la presentazione delle domande di licenza di costruzione o trasformazione di fabbricati e la richiesta obbligatoria dei punti fissi di linea e di livello per le nuove costruzioni;

3) la compilazione dei progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzione in armonia con le leggi in vigore;

4) l'altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le zone;

5) gli eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale;

6) l'ampiezza e la formazione dei cortili e degli spazi interni;

7) le sporgenze sulle vie e piazze pubbliche;

8) l'aspetto dei fabbricati e il decoro dei servizi ed impianti che interessano l'estetica dell'edilizia urbana (tabelle stradali, mostre e affissi pubblicitari, impianti igienici di uso pubblico, ecc.);

9) le norme igieniche di particolare interesse edilizio;

10) le particolari prescrizioni costruttive da osservare in determinati quartieri cittadini o lungo determinate vie o piazze;

11) la recinzione o la manutenzione di aree scoperte, di parchi e giardini privati e di zone private interposte tra fabbricati e strade e piazze pubbliche e da queste visibili;

12) l'apposizione e la conservazione dei numeri civici;

13) le cautele da osservare a garanzia della pubblica incolumità per l'esecuzione delle opere edilizie, per l'occupazione del suolo pubblico, per i lavori nel pubblico sottosuolo, per le ribalte che si aprono nei luoghi di pubblico passaggio, ecc.;

14) la vigilanza sull'esecuzione dei lavori per assicurare l'osservanza delle disposizioni delle leggi e dei regolamenti.

Nei Comuni provvisti del piano regolatore il regolamento edilizio deve altresì disciplinare:

- la lottizzazione delle aree fabbricabili e le caratteristiche dei vari tipi di costruzione previsti dal piano regolatore;

- l'osservanza di determinati caratteri architettonici e la formazione di complessi edilizi di carattere unitario, nei casi in cui ciò sia necessario per dare conveniente attuazione al piano regolatore;

- la costruzione e la manutenzione di strade private non previste nel piano regolatore.

Art. 34 - Programma di fabbricazione per i Comuni sprovvisti di piano regolatore

I Comuni sprovvisti di piano regolatore dovranno includere nel proprio regolamento edilizio un programma di fabbricazione, con l'indicazione dei limiti di ciascuna zona, secondo le delimitazioni in atto o da adottarsi, nonché con la precisazione dei tipi edilizi propri di ciascuna zona. Potranno anche indicare le eventuali direttrici di espansione.

Art. 35 - Termine per uniformare i regolamenti edilizi comunali alle norme della presente legge

I Comuni che hanno un regolamento edilizio sono tenuti ad uniformarlo alle disposizioni della presente legge entro sei mesi dalla sua entrata in vigore.

Ove a ciò non sia adempiuto, provvederà di ufficio il Prefetto.

Art. 36 - Approvazione dei regolamenti edilizi comunali

I regolamenti edilizi dei Comuni compresi negli elenchi di cui all'art. 8 sono deliberati dal Podestà ed approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per l'interno, uditi i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio superiore di sanità.

I regolamenti edilizi degli altri Comuni sono deliberati dal Podestà ed approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto col Ministro per l'interno, previo esame della Sezione urbanistica compartimentale e del Consiglio provinciale di sanità.

TITOLO III - DETERMINAZIONE DELL'INDENNITÀ DI ESPROPRIAZIONE

Art. 37 - Rinvio alla legge generale sulle espropriazioni per pubblica utilità

Per le espropriazioni dipendenti dall’attuazione dei piani regolatori approvati in base alla presente legge la relativa indennità sarà determinata a norma della legge 25 giugno 1865, n. 2359, salvo il disposto degli articoli seguenti.

Art. 38 - Valutazione dell'indennità per le aree urbane espropriabili

Per la determinazione dell'indennità di espropriazione delle aree di cui all'art. 18, non si terrà conto degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente che indirettamente all'approvazione del piano regolatore generale ed alla sua attuazione.

Art. 39 - Lavori di miglioramento eseguiti dopo l’approvazione del piano particolareggiato

Agli effetti della determinazione della indennità di espropriazione non si tiene conto degli aumenti di valore dipendenti da lavori eseguiti nell’immobile dopo la pubblicazione del piano particolareggiato, a meno che i lavori stessi non siano stati, con le modalità stabilite dal regolamento di esecuzione della presente legge, riconosciuti necessari per la conservazione dell’immobile e per accertate esigenze dell’igiene e della incolumità pubblica.

Art. 40 - Oneri e vincoli non indennizzabili

Nessuna indennità è dovuta per i vincoli di zona e per le limitazioni e gli oneri relativi all'allineamento edilizio delle nuove costruzioni.

Non è dovuta indennità neppure per le servitù di pubblico passaggio che il Comune creda di imporre sulle aree dei portici delle nuove costruzioni e di quelle esistenti. Rimangono a carico del Comune la costruzione e manutenzione del pavimento e la illuminazione dei portici soggetti alla predetta servitù.

TITOLO IV - DISPOSIZIONI GENERALI E TRANSITORIE

Art. 41 - Sanzioni penali

Salvo quanto è stabilito con l'art. 344 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con legge 27 luglio 1934-XII, n. 1265, per le contravvenzioni alle norme dei regolamenti locali d'igiene, si applica:

a) l'ammenda fino a lire diecimila per la violazione del divieto stabilito nell'art. 28, primo comma, ovvero per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive prevedute nell'art. 32, primo comma;

b) l'arresto fino ad un mese e l'ammenda fino a lire diecimila nei casi preveduti dall'art. 32, terzo comma, per l'inizio dei lavori senza licenza o per la prosecuzione di essi non ostante l'ordine di sospensione dato dal Podestà.

Per le contravvenzioni di cui alla lettera a) è ammessa l'oblazione con l'osservanza delle norme stabilite negli art. 107 e seguenti del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934-XII, n. 383.

Art. 42 - Validità dei piani regolatori precedentemente approvati

Il termine assegnato per l'attuazione dei piani regolatori, approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, resta limitata a dieci anni dalla data stessa nel caso in cui esso venga a scadere oltre detto periodo.

Trascorso tale termine, i Comuni interessati devono procedere alla revisione del piano regolatore esistente od alla formazione di un nuovo piano regolatore secondo le norme della presente legge.

Art. 43 - Servizi tecnici comunali o consorziali

Entro un decennio dall’entrata in vigore della presente legge per i Comuni sprovvisti di personale tecnico, qualora se ne riconosca la necessità, verrà provveduto ad assicurare il disimpegno delle mansioni di carattere tecnico nei modi e nelle forme che saranno stabiliti con separate disposizioni.

Art. 44 - Norme integrative e di esecuzione della legge

Con decreti reali su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto coi Ministri interessati, saranno emanati, a termini degli articoli 1 e 3 della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100, il regolamento di esecuzione della presente legge, nonché le norme complementari ed integrative della legge stessa, che si rendessero necessarie.

Art. 45 - Disposizioni finali

Rimangono ferme le disposizioni di legge che stabiliscono la competenza anche di altri Ministeri ed organi consultivi riguardo ai piani regolatori comunali ed ai regolamenti edilizi, nonché quelle relative ai poteri del Ministero delle corporazioni in materia di impianti industriali.

Sono abrogate tutte le altre disposizioni contrarie a quelle contenute nella presente legge o con essa incompatibili.

Nota: su Eddyburg, anche una "Pagina di Storia" con testi e commenti - d'epoca e non - relativi alle legge urbanistica del 1942 (f.b.)

SENATO DEL REGNO

(N. 204)

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica

(CROCE)

nella tornata del 25 settembre 1920



PER LA TUTELA DELLE BELLEZZE NATURALI E DEGLI IMMOBILI DI PARTICOLARE INTERESSE STORICO

ONOREVOLI COLLEGHI — Che una legge in difesa delle bellezze naturali d'Italia sia invocata da più tempo e da quanti uomini colti e uomini di studio vivono nel nostro paese, è cosa ormai fuori di ogni dubbio; i numerosi voti di accademie artistiche e d'istituti scientifici, che in varie occasioni, ed anche recentemente, sono pervenuti al nostro Ministero, ne sono la più viva dimostrazione. E che una legge siffatta, la quale ponga finalmente un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo, desiderata sia anche dal Parlamento, non è neppure da dubitare, dopo che due ordini del giorno, affermanti la necessità e l'urgenza di essa, furono approvati dalla Camera prima, quando nel 1905 si discusse il disegno di legge sulla pineta di Ravenna, e dal Senato poi in occasione della legge di tutela monumentale del 20 giugno 1909 n. 364.

Aggiungasi che su questa base di preventiva approvazione di massima l'onorevole Rosadi presentò di sua iniziativa un disegno di legge che la Commissione parlamentare accettò integralmente, e che solo per vicende politiche non giunse all'onore della pubblica discussione. Ma v'ha di più, che recentissimamente, discutendosi alla Camera il disegno di legge di “Modificazioni alla dotazione della Corona e riordinamento del patrimonio artistico nazionale” dal Ministro della pubblica istruzione onorevole Baccelli, e dal Presidente, del Consiglio, onorevole Nitti, fu affermata la necessità e per alte ragioni morali e per non meno importanti ragioni di pubblica economia, di difendere o di mettere in valore, nella più larga misura possibile, le maggiori bellezze d'Italia quelle naturali e quelle artistiche.

Bene avvisato, dunque, fu il Sottosegretario di Stato alle belle arti, onorevole Molmenti, il quale, come suo primo atto di Governo, volle che una Commissione di competenti persone presieduta dall'onorevole Rosadi, studiasse il problema della difesa delle nostre bellezze naturali.

In relazione con tale studio, che fu compiuto con encomiabile alacrità, è il presente disegno di legge, che ora sottopongo al Vostro esame e alla vostra approvazione.

È nella difesa delle bellezze naturali un altissimo interesse morale e artistico che legittima l'intervento dello Stato, e s'identifica con l'interesse posto a fondamento delle leggi protettrici dei monumenti e della proprietà artistica e letteraria.

Certo il sentimento, tutto moderno, che si impadronisce di noi allo spettacolo di acque precipitanti nell'abisso, di cime nevose, di foreste secolari, di riviere sonanti, di orizzonti infiniti deriva della stessa sorgente, da cui fluisce la gioia che ci pervade alla contemplazione di un quadro dagli armonici colori, all'audizione di una melodia ispirata, alla lettura di un libro fiorito d'immagini e di pensieri. E se dalla civiltà moderna si sentì il bisogno di difendere, per il bene di tutti, il quadro, la musica, il libro, non si comprende, perché siasi tardato tanto a impedire che siano distrutte o, manomesse le bellezze della natura, che danno all'uomo entusiasmi spirituali così puri e sono in realtà ispiratrici di opere eccelse. Non è da ora, del resto, che si rilevò essere le concezioni dell'uomo il prodotto, oltre che delle condizioni sociali del momento storico, in cui egli è nato, del mondo stesso che lo circonda, della natura lieta o triste in cui vive, del clima, del cielo, dell'atmosfera in cui si muove e respira.

E fuvvi anche chi affermò, con profondo intuito, che anche il patriottismo nasce dalla secolare carezza del suolo agli occhi, ed altro non essere che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli.

Queste idee, del resto, sono da tempo presso tutti i popoli civili il presupposto di ogni azione di difesa delle bellezze naturali, azione che, in Germania, fu appunto detta “di difesa della patria” (Heimatschutz). Difesa, cioè, di quel che costituisce la fisonomia, la caratteristica, la singolarità, per cui una nazione si differenzia dall'altra, nell'aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo, nelle sue curiosità geologiche; e da alcuni si aggiunge, (dai tedeschi stessi e dagli inglesi) negli usi, nelle tradizioni, nei ricordi storici, letterari, leggendari, in tutto ciò insomma, che plasma l'anima della razza, o meglio ha influito o maggiormente influisce allo sviluppo dell'anima nazionale.

Si è insomma compreso come non sia possibile disinteressarsi da quelle peculiari caratteristiche del territorio, in cui il popolo vive e da cui, come da sorgenti sempre fresche, l'anima umana attinga ispirazioni di opere e di pensieri.

Il movimento a favore della conservazione delle bellezze naturali rimonta al 1862, allorquando John Ruskin sorse in difesa delle quiete valli dell'Inghilterra minacciate dal fuoco strepitante delle locomotive e dal carbone fossile delle officine, e si diffuse lentamente ma tenacemente in tutte le nazioni civili, e specie in quelle in cui più progredite sono le industrie e i mezzi di locomozione. Infatti questi mezzi, togliendo più facilmente gli uomini all'affannosa vita delle città, per avvicinarli più spesso alle pure gioie dei campi, han diffuso questo anelito, tutto moderno, verso le bellezze della natura, mentre le industrie, fatte più esigenti dalla scoperta della trasformazione della forza, elettricità, luce, calore, attentano ogni giorno più alla vergine poesia delle montagne, delle foreste, delle cascate.

Il dissidio fra questi nuovi bisogni del senso estetico più raffinato e del godimento materiale eccitatore di una produzione più intensa, fra le ragioni del bello e l'interesse poetico, fra il rispetto alle antiche tradizioni e il bisogno di far luogo alle cose nuove, non poteva non determinarsi; e, dovunque coltura e gentilezza non sono un nome vano, sorsero associazioni potenti per mettere in valore le bellezze naturali, e imporre, premendo sull'opinione pubblica, la necessità di sanzioni positive contro le ingiustificate e spesso inutili manomissioni del paesaggio nazionale: così in Inghilterra, così in Germania, così in Francia, in Austria, in Isvizzera, nel Belgio, ed anche in Italia. In molti di questi paesi, infatti, si promulgarono da tempo (prima della guerra, s'intende) leggi di protezione più o meno efficaci; nel granducato di Hess la legge del 1902 sulla conservazione dei monumenti provvide anche alla tutela dei fenomeni naturali, dei corsi d'acqua, delle rocce, degli alberi; in Baviera, un decreto del 1901 impose la protezione in genere delle bellezze naturali; in Prussia, non solo un decreto del 1904 pose tra i monumenti ciò che serve all'effetto delle scene notevoli e del paesaggio (le rovine, ad esempio), ma un istituto di Stato fu preposto alla difesa della natura; in Austria, dopo un'inchiesta sulle bellezze naturali del paese compiuto dalla Facoltà di filosofia della Università di Vienna, una legge estese ai paesaggi e ai fenomeni naturali la protezione dei monumenti; in Francia è del 21 aprile 1906 la legge “pour organiser la protection des sites et monuments naturels”; in Svizzera, per la quale è noto come i suoi magnifici paesaggi siano la fonte precipua della sua prosperità economica, sono varie le leggi federali e cantonali per la protezione delle bellezze naturali e specialmente delle cascate, e nel 1913 fu creato, col concorso del Governo, il grandioso Parco nazionale della Bassa Engadina.

E in Italia? Abbiamo accennato agli ordini del giorno votati dalla Camera e dal Senato e al disegno di legge Rosadi, e alle ragioni di pubblica economia che stanco a cuore al Presidente del Consiglio per mettere in valore le bellezze naturali, che furono in ogni tempo e sono il vanto e una della maggiore attrattiva dell'Italia nostra. Aggiungiamo adesso che si è discusso se la legge di tutela monumentale potesse estendersi, sic et simpliciter, alle bellezze naturali, ma l'Ufficio centrale del Senato fu di avviso contrario, considerando che per gli effetti legislativi che ne sarebbero derivati e pei mezzi di applicazione di quella legge si correva il pericolo di fare poco più di una semplice affermazione di principio. Fu, insomma, dello stesso parere del Senato francese, il quale, quando si discusse nel 1887 la legge relative à la conservation des monuments et objets d'art avants un inté éts historique et artistique, non credette comprendervi i blocchi erratici, in quanto che, se essi erano interessantissimi come fenomeni naturali non appartenevano né alla storia, né all'arte, e la logica del diritto richiedeva che fossero radiati dall'elenco dei monumenti. Tuttavia, in occasione di minacciate vendite di celebri ville, esistenti anche nel centro di Roma, per farne un'utilizzazione contraria alla loro destinazione, si volle almeno salvare subito queste, in attesa di provvidenze legislative generali per tutte le bellezze naturali; e fu presentata al Parlamento, e il Parlamento approvò, quella che ora è la legge 23 giugno 1912, n. 688 con la quale si estendono le disposizioni della legge di tutela monumentale a ville, parchi e giardini d'interesse storico e artistico.

Il disegno di legge si propone di tutelare le bellezze naturali e panoramiche, anzitutto imponendo l'obbligo ai proprietari, a norma dell'articolo 2, di presentare preventivamente alla Soprintendenza i progetti delle opere di qualsiasi genere che interessano gli immobili vincolati. E ciò, appunto, perché il Ministero sia posto in grado, dopo l'esame tecnico di tali progetti, di dare o di negare il permesso all'esecuzione dei lavori che si intende eseguire.

Ma la bellezza naturale o del paesaggio può essere alterata o danneggiata anche da lavori e segnatamente da nuove costruzioni che si tacciano fuori del perimetro degli immobili vincolati. Nel disegno di legge si è dovuto, quindi, inserire una disposizione speciale la quale valga ad impedire che il godimento delle bellezze naturali e panoramiche sia comunque impedito, che la vista ne sia ostacolata, che la prospettiva ne venga alterata, che nuove opere possano elevare come un sipario dinanzi alla bella scena paesistica o portare in essa una nota stonata e sgradevole.

Si è così sulla via tracciata da antichi provvedimenti, trasfusi poi in regolamenti edilizi e ancora in vigore. È noto che i rescritti borbonici del 19 luglio 1841 e 17 gennaio 1842 e 31 maggio 1853 vietavano di alzare fabbriche le quali togliessero amenità o veduta lungo la via di Mergellina, di Posillipo, di Campo di Marte, di Capodimonte; ed il regolamento edilizio della città di Napoli ne fece tesoro aggiungendovi anche il “Corso Vittorio Emanuele” da cui si scopre il golfo meraviglioso. Nulla di nuovo, quindi, si è escogitato nel presente disegno di legge allorché all'art. 4 si è disposto che l'autorità governativa, affinché non sia danneggiato il godimento delle bellezze naturali e panoramiche, ha facoltà di prescrivere la distanza, le misure e tutte le altre norme che si riterranno necessarie nei casi di regolamenti edilizi e di piani regolatori e di ampliamento, nonché nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni e impianti industriali.

Con le due disposizioni, or ora esaminate, nelle quali si riassume quasi tutta la economia della legge in rapporto ai diritti dei proprietari, nulla di più gravoso si stabilisce di quanto già è in vigore per la tutela dei monumenti. La differenza consiste nel non aver creduto di disporre diversamente (come nella legge 20 giugno 1909 n. 364) a seconda si tratti di cose appartenenti a persone giuridiche o a persone fisiche; e ciò perché non importa, agli effetti di una buona tutela delle bellezze naturali, che queste siano inalienabili quando sono di proprietà degli enti morali. Quel che importa è che non siano distrutte nè alterate, chiunque ne sia il proprietario.

Ma occorre che questi abbia avuta dal Ministero la notificazione dell'importante interesse della cosa da lui posseduta, appunto come impone la legge di tutela monumentale per le cose appartenenti a privati? Si, sebbene quando tale notificazione non sia per anco eseguita, il Ministero, il quale si accorge di lavori che possano distruggere o alterare la cosa, può mediante ingiunzione da farsi al proprietario dal prefetto della Provincia o dalla locale Soprintendenza, far sospendere i lavori iniziati.

Ma, fatta la notificazione, poiché non s'impone al proprietario di fare la denuncia degli eventuali trapassi di proprietà, come potrà il Ministero aver conoscenza del nuovo proprietario, e come si vorrà pretendere che il nuovo proprietario sia edotto del vincolo che, per effetto di quella notificazione, da lui probabilmente ignorata, grava sulla propria cosa? Ad ovviare agli inconvenienti che ne potrebbero derivare, si è provveduto che la notificazione su istanza del Ministero sia inscritta nei registri catastali e trascritta nei registri delle conservatorie delle ipoteche: così essa avrà efficacia in tutti i tempi nei confronti di ogni successivo proprietario. La utilità di questo provvedimento è d'intuitiva evidenza; e la mancanza di esso costituisce per la legge di tutela monumentale ed artistica del 20 giugno 1909, n. 364 una vera lacuna, da tutti lamentata, e che bisognerà presto colmare.

In che cosa dunque consistono le limitazioni al diritto di proprietà che s'impongono con questo disegno di legge? in una servitù per pubblica utilità, per la quale il proprietario è costretto a non fare o a fare in un certo modo che il Ministero approverà, o meglio consiglierà. In questo caso, ognun vede come la servitù abbia perduta ogni asprezza, in quanto potrà avvenire, come spesso è avvenuto pei monumenti, che il progetto delle opere da eseguirsi sia migliorato anche in confronto agli interessi economici del proprietario. Poiché, è bene tenere a mente questo: che nella, pratica tutto si riduce all'esame del caso per caso, esame che; fatto come dev'esser fatto senza preconcetti e priva la mente di ogni idea di sopraffazioni, si concreta in definitiva in un sistema di accordi e di reciproche intese, nel quale saranno contemperate le ragioni superiori della bellezza coi legittimi diritti dei privati. Né si dice che sia gravoso l'obbligo del proprietario a presentare alla competente Soprintendenza dei monumenti i progetti delle opere; giacché esso nulla ha di dissimile da quelli che impongono i regolamenti edilizi per la costruzione di nuovi fabbricati o per la modificazione dei vecchi e contro il quale nessuno ha mai protestato. E, d'altra parte, la nostra civiltà ha costituito una rete di simili obblighi, che risponde ad altrettante esigenze della vita moderna più complessa e sensibile.

Disposizione di ordine sussidiario devesi ritenere quella contenuta nell'art. 5 contro gli abusi della pubblicità industriale e commerciale, che anche in Italia, sebbene in minor misura che all'estero, deturpa paesaggi, e pur troppo, anche edifici monumentali. Da più tempo (prima della guerra) e da più parti si son levate voci di protesta sui giornali e alla Camera dei deputati contro il brutto andazzo di offendere ogni angolo sacro all'arte e alla storia con una lebbra di quadri mastodontici e cartelloni di tutti i colori, e pitture murali e scritte luminose, diffondenti spesso una nota di volgarità, talvolta anche di disgusto, col ricordo di malattie e d'imperfezioni umane. In tutte le Nazioni civili si è sentito il bisogno di provvedere energicamente contro codesti eccessi, e va segnalata sopra tutto la Francia, dove, pure esistendo sin dal 20 aprile 1910 una legge speciale che proibisce l'affissione di avvisi commerciali sui monumenti e nei siti pittoreschi, si credette necessario di colpire con tasse proibitive la esposizione di cartelloni fuori del perimetro di 100 metri dai centri abitati, e il 9 luglio fu approvata con 530 voti su 3 contrari, la legge, che impone una tassa annua proporzionata alla dimensione dei cartelloni e che da 50 lire al metro quadrato si eleva sino a 400!

Noi non si è voluto giungere tanto; ma si è voluto vietare semplicemente l'uso di cartelli e di altri mezzi di pubblicità i quali danneggiano l'aspetto e il pieno godimento delle bellezze naturali e di quelle panoramiche. E vogliamo sperare che il Parlamento approverà questa modesta disposizione, di cui da così lungo tempo si sente il bisogno, imperocché è davvero inammissibile che, per raggiungersi da una sola classe di cittadini una discutibile utilità, che, del resto, può essere raggiunta in vari altri modi, dall'affissione in luoghi autorizzati alla distribuzione di fogli volanti, alla inserzione nei giornali e alla lettera circolare, si deturpi un monumento o si oltraggi una bella scena paesistica, destinati entrambi al godimento di tutti. E non è neppure ammissibile che chi possiede un edificio monumentale, una bella villa, un terreno di per sé di grande bellezza paesistica, o vicino a paesaggi e parchi e monumenti pregevoli, per un piccolo interesse quale può essere quello dell'affitto per l'esposizione di avvisi réclame, affitto che costituisce un uso contrario alla normale destinazione della cosa, sopprima o degradi la vista, che è poi un bene collettivo, di cose belle che sono l'orgoglio del paese e spesso richiamano alla mente le glorie della nostra storia. A nessuno, insomma, può essere lecito anche nell'esercizio di un suo diritto, di danneggiare altrui, o tanto meno la collettività, senza un interesse veramente preponderante ed apprezzabile.

L'articolo 6 stabilisce la pena dell'ammenda per l'inosservanza degli obblighi stabiliti dal disegno di legge. Esso contempla, altresì, la comminatoria della procedura esecutiva per la remozione delle opere eseguite in contravvenzione alla legge stessa dando all'Amministrazione la facoltà di attuare direttamente e immediatamente l’interesse pubblico.

Non sembra necessario soffermarsi sulle disposizioni contenute nell'art. 7 del presente disegno. Esso riguarda gli organi, diremo, di vigilanza che, sparsi in tutto il territorio del Regno, dovranno segnalare alla Soprintendenza o al Ministero tutto ciò che si va proponendo o già si va attuando contro le bellezze naturali della loro circoscrizione; pei monumenti e per le opere di antichità e scavi bastano gli ispettori onorari e le Commissioni provinciali previste dall'art. 47 della legge 27 giugno 1907, n. 386; ma per vigilare in tutti gli angoli più remoti del territorio essi non sarebbero sufficienti e perciò si vuol ricorrere anche agli uffici comunali e provinciali, agli uffici dei dipartimenti forestali e del Genio civile e agli Uffici tecnici di finanza i quali tutti mediante le guardie campestri, le guardie forestali i cantonieri stradali, hanno modo di dare le più sicure e sollecite notizie sui pericoli che minacciano le cose che con questo disegno di legge si vogliono tutelare.

Onorevoli colleghi,

Nulla di eccessivo è nel disegno di legge che si sottopone al vostro esame - nulla che offenda o ferisca il diritto di proprietà o, come da taluni si teme, quello dell'attività industriale della nazione. Anzi quel che in fondo ad ogni disposizione risiede è la preoccupazione di costituire un sistema di accordi fra i privati e l'amministrazione delle Belle arti, e fra questa e le altre amministrazioni pubbliche affinché senza gravi sacrifici di ciò che è in cima a' pensieri di tutti, economia nazionale e conservazione del privilegio di bellezza che vanta l'Italia, siano composti con spirito di conciliazione i vari interessi contrastati.

Voi giudicherete e farete le vostre osservazioni, apportando quelle modifiche che la vostra esperienza crederà opportune e non lesive dei criteri che ispirano il presente disegno di legge, e sarà vostro vanto se in materia così ardua il Parlamento italiano avrà saputo sapientemente provvedere.

Il testo fu poi approvato, con lievi modifiche, e diede luogo alla legge 778/1922

La legge 2359/1865 ha costituito il testo fondamentale in materia di espropri, fino alla sua abrogazione da parte del DPR 327/2001. Già all’avvio dello Stato unitario introduce gli strumenti del “piano regolatore” e dei “piani di ampliamento”. TITOLO II - DISPOSIZIONI PARTICOLARI

CAPO I - CAPO V

(omissis)

CAPO VI - DEI PIANI REGOLATORI EDILIZI

Art. 86

I Comuni, in cui trovasi riunita una popolazione di diecimila abitanti almeno, potranno, per causa di pubblico vantaggio determinata da attuale bisogno di provvedere alla salubrità ed alle necessarie comunicazioni, fare un piano regolatore, nel quale siano tracciate le linee da osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell’abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli edifizi, per raggiungere l’intento.

Art. 87

I progetti dei piani regolatori debbono essere fatti pubblici a cura del Sindaco, a norma degli artt. 17 e 18, ed essere adottati dal Consiglio comunale, il quale delibera sulle opposizioni che fossero presentate.

Se il Consiglio comunale respinge le opposizioni, la Deputazione Provinciale è chiamata a dar parere sul merito del progetto e delle opposizioni.

I piani regolatori sono approvati a norma dell’art. 12, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici ed anche il Consiglio provinciale di sanità, ove occorra.

Nel decreto di approvazione sarà determinato il tempo, non maggiore d’anni 25, entro il quale si dovrà eseguire il piano.

Art. 88

Il decreto di approvazione del piano deve essere a cura del Sindaco pubblicato e notificato entro un mese nella forma delle citazioni a ciascun proprietario dei beni in esso piano compresi.

Art. 89

Diventato definitivo il piano, dal giorno della sua pubblicazione i proprietari dei terreni e degli edifizi in esso compresi, volendo far nuove costruzioni o riedificare o modificare quelle esistenti, sia per volontà loro, sia per necessità, debbono uniformarsi alle norme tracciate nel piano.

Art. 90

I lavori fatti in contravvenzione all’articolo precedente saranno distrutti, ed il proprietario condannato alla multa estensibile a lire 1.000.

Art. 91

L’area degli edifici ed i terreni sui quali è proibito di edificare, come l’area pubblica sulla quale devonsi estendere le fabbricazioni dei privati, non cessano dall’appartenere al rispettivo proprietario, finché non sia eseguito il deposito od il pagamento delle indennità determinate a seconda degli artt. 39 e 40.

Art. 92

L’approvazione del piano regolatore equivale ad una dichiarazione di pubblica utilità, e potrà dar luogo alle espropriazioni delle proprietà nel medesimo comprese, osservate le prescrizioni della presente legge.

CAPO VII - DEI PIANI DI AMPLIAMENTO

Art. 93

I Comuni pei quali sia dimostrata la attuale necessità di estendere l’abitato, potranno adottare un piano regolatore di ampliamento in cui siano tracciate le norme da osservarsi nella edificazione di nuovi edifizi, a fine di provvedere alla salubrità dell’abitato, ed alla più sicura, comoda e decorosa sua disposizione.

A questi piani sono applicabili le disposizioni del precedente capo.

Art. 94

Se per la esecuzione del piano di ampliamento il Comune deve procedere alla costruzione delle vie pubbliche, i proprietari saranno obbligati a cedere il terreno necessario, senz’altra formalità.

Il relativo compenso sarà determinato secondo gli artt. 39, 40 e 41, salvi quei concorsi nelle opere di sistemazione e di conservazione delle vie che dai regolamenti locali fossero per questo caso speciale imposti.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La presente iniziativa legislativa è ispirata in via esclusiva da uno schema redatto da Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sul progetto di legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso, modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano e Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti del cosiddetto “progetto di legge Lupi” (atto Senato n. 3519, XIV legislatura) che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella presente proposta di legge. Tra questi hanno espresso il loro consenso o formulato proposte di correzione e integrazione Piergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi e Francesco Indovina.

La presente proposta di legge ha l’ambizione di determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alla efficacia, nonché ai procedimenti decisionali dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell’assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantiscano a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l’eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte, sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi sia interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come, ad esempio, in merito alla “latitudine” delle facoltà connesse al diritto di proprietà. Già a norma del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione, nel testo entrato in vigore il 1°gennaio 1948, spettava alle regioni emanare, per le “materie” ivi elencate, tra le quali l’”urbanistica”, “norme legislative nei limiti dei princıpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.

Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle “materie” di competenza (senza attendere l’emanazione di leggi statali enuncianti i “principi fondamentali” della disciplina di ognuna di esse) la legge 10 febbraio 1953, n. 62, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi “nei limiti dei princıpi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti” (articolo 9, primo comma, come sostituito dalla legge n. 281 del 1970). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di “principi fondamentali”, relativamente alla materia denominata “urbanistica”, nell’ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.

Con il tempo, l’accezione del termine costituzionale “urbanistica” è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest’ultimo, la definizione data dall’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, per cui l’”urbanistica” concerne “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. L’atto con forza di legge avvicinava il lemma “urbanistica” a quello di “governo del territorio”, ancorché esso potesse e può tuttora avere un significato ancora più vasto.

Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione riportata riconduce nell’ambito dell’“urbanistica”, la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancora più dopo l’enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: per esempio sulla difesa del suolo, sulle aree naturali protette, sulle trasformazioni edilizie, sulle espropriazioni di immobili e sulle opere pubbliche.

Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), iniziarono i tentativi di definire leggi statali innovative, relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica; tentativi che si sono succeduti, fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza, senza successo. Fa eccezione la cosiddetta “legge ponte” n. 765 del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse e si esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge n. 1150 del 1942), e fanno eccezione le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l’obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di impiantistica del territorio e introduceva l’istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).

La presente proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell’urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui si è detto all’inizio di questa relazione, per i fini ivi enunciati, seppure sinteticamente.

Si avverte, infatti, forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare la cultura (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro “equiordinati”, ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.

È sufficiente l’enunciazione dei concetti espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente in controtendenza rispetto alla “cultura” (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni ’80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di “princıpi fondamentali della legislazione dello Stato” grazie al citato disegno di legge noto, dal nome del suo presentatore, come “legge Lupi”, approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica il giorno successivo (atto Senato n. 3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all’impegno di alcuni, pochi, senatori) arenatosi.

È, per converso, doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale organica nella materia che il terzo comma dell’attuale articolo 117 della Costituzione denomina “governo del territorio”. Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura della nozione di “governo del territorio” non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso terzo comma del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto “governo del territorio”, tra quelle parimenti di legislazione concorrente quali: protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, materie nelle quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”, e cioè la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Un provvedimento legislativo statale effettivamente “organico” dovrebbe quindi trattare unitariamente tutte le materie che sono state richiamate, dettando solamente “princıpi fondamentali“ in quelle “di legislazione concorrente“ (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l’intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una “materia-attività”. È possibile si riesca a pervenire ad emanare un siffatto provvedimento legislativo statale, nonostante le gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), ma oggi tale possibilità è remota.

La proposta di legge che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale come, del resto, la medesima “legge Lupi” e gran parte delle leggi regionali che recano, invece, il titolo di “governo del territorio”. Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di princıpi che – si ritiene – dovranno ispirare l’insieme degli atti normativi relativi al “governo del territorio”.

Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivi di ogni atto di conservazione e di trasformazione il benessere dei cittadini, il miglioramento delle condizioni di qualità, sicurezza e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell’architettura e delle infrastrutture. A tale fine gli obiettivi di conservazione, di tutela e di valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.

Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio devono, pertanto, essere informate ai seguenti princıpi:

a) prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e dell’interesse pubblico su quello privato;

b) attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;

c) promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità e l’estensione della partecipazione e della democrazia;

d) consapevolezza del fatto che il territorio è un bene comune e che ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.

Le amministrazioni pubbliche che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso: 1) l’offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali; 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi; 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura e dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

c) affermare il valore imprescindibile dell’unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

La presente proposta di legge, nel determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Tale recepimento non rappresenta un adempimento formale di un obbligo comunitario, ma trova ragione nella profonda adesione allo spirito della direttiva.

Il recepimento della direttiva è realizzato grazie ad una duplice opera. Sottolineando l’obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, nonché dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all’effettuazione della valutazione degli effetti sull’ambiente.

È previsto, poi, che gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, recepiti o specificati tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituiscono la “carta unica del territorio”, cioè l’unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). La citata direttiva comunitaria si realizza altresì con la previsione per cui i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).

Ribadito l’assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede: ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di un organismo decisionale elettivo di primo grado nonché a ricondurre ai suddetti enti territoriali le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia necessariamente affidata ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).

È il caso di sottolineare (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni – nonché delle province e delle città metropolitane – deve essere operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali. In conseguenza di ciò le regioni ordinarie sarebbero inibite nell’esercizio sostitutivo delle predette competenze pianificatorie rispetto a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi statuti speciali abbiano attribuito ogni determinazione in merito all’ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).

È inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato il fatto che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, della efficacia, degli archi temporali di riferimento e dei procedimenti di formazione dei predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena sottolineare come venga esplicitata un’accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea con quella presente nei trattati istitutivi dell’Unione europea. In forza di questa accezione, le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell’attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell’efficienza e dell’efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell’ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).

Quanto all’attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 (successivamente abrogata dal decreto legislativo n. 112 del 1998) e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).

Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità tecnica e politica dell’attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di trasformazione precedentemente attribuita per determinati immobili o complessi di immobili o componenti territoriali, con l’unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).

In piena coerenza concettuale con l’attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l’istituto degli accordi di programma, previsto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione di strumento di coordinamento per l’attuazione di interventi che richiedano l’azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).

Si propone di riconoscere, per la prima volta nell’ordinamento legislativo della Repubblica, quali “diritti dell’uomo”: quelli all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché alla proprietà (articolo 4, comma 1).

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione), posta come fondamento dell’attribuzione alla legislazione statale del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2).

Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti citati, è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).

La prima e fondamentale disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l’utilizzazione del territorio non urbanizzato, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano, ovvero ampliamenti di quelli esistenti, nuove infrastrutture, ovvero attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale. Perciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che “Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. Vengono al contempo dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i princıpi fondamentali da rispettare nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, provincia autonoma di Bolzano) e quindi assunto come ottimale.

L’operazione è rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell’articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e di componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici ai sensi del comma 1 dell’articolo 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quella del “territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”.

La seconda disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni ’60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l’istanza posta da uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministro dei beni e delle attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla parte terza del citato codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, vengono previsti (ex articolo 8) come beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, purché d’intesa con la competente soprintendenza:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non comprese nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

Si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati siano oggetto di disposizioni immediatamente cogenti definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane o delle regioni, d’intesa con la competente soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

La presente proposta di legge ribadisce la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n. 56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n. 179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell’apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).

La presente proposta di legge si fa carico, altresì, di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999) dell’”alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo” che si pone ove i vincoli “siano preordinati all’espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati”, i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.

A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187, consistente nella fissazione di una “durata massima dell’efficacia del vincolo”. Si sostiene invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative devono essere utilizzati solamente per funzioni pubbliche o collettive. Si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell’”espropriazione sostanziale” (assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell’”accessione invertita”).

È infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. Tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici esistenti.

Si stabilisce anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell’acquisizione pubblica dell’insieme degli immobili interessati.

Nel corso della elaborazione della proposta di legge si è più volte posto l’interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell’ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati, infatti, una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha – ci si è domandati – costruire un sistema di norme garantista dell’interesse collettivo se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l’efficacia?

Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una “legge di princıpi” norme che rendessero più efficace la repressione dell’abuso e più tassativo l’obbligo di riduzione in pristino.

Una maggiore efficacia delle norme repressive non è peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario di non modificare le proprie determinazioni. Si è però ritenuto necessario limitarsi, in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introduca, nelle modifiche alla Costituzione, una norma che esplicitamente faccia divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.

Testo degli articoli

CAPO I

FINALITÀ

ART. 1.

(Pianificazione del territorio).

1. La presente legge reca norme in materia di pianificazione del territorio.

2. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nell’ambito delle specifiche competenze.

3. La pianificazione del territorio è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, nonché delle seguenti materie oggetto di legislazione concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo 117 della Costituzione: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, nonché di materie oggetto di legislazione esclusiva delle regioni, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 117 della Costituzione, quali viabilità e opere pubbliche di interesse regionale e locale.

4. La pianificazione del territorio è altresì lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della tutela del paesaggio ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione.

5. Relativamente a ogni aspetto delle materie di cui ai commi 3 e 4 non disciplinato dalle disposizioni della presente legge valgono i relativi atti normativi, nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato.

6. La presente legge provvede altresì al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

ART. 2.

(Titolarità pubblica della pianificazione del territorio).

1. La pianificazione del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

2. La formazione degli strumenti di pianificazione del territorio spetta ordinariamente ai comuni, alle province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato.

3. Il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane.

4. La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette, all’erogazione di servizi di interesse collettivo e similari, ad altre autorità pubbliche, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale spetta all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientra l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

5. La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale di cui al comma 4 sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni specialistiche o settoriali. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento di intese con le autorità pubbliche competenti conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

ART. 3.

(Strumenti di pianificazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono nonché a conferire loro coerenza, in relazione alla loro collocazione nello spazio e alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le azioni delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi a strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità con interventi urgenti utili alla difesa del territorio nazionale, alla prevenzione di calamità naturali e di catastrofi o al ripristino dell’equilibrio preesistente a tali eventi.

3. Le facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili non possono essere annullate o modificate da sopravvenuti strumenti urbanistici quando le medesime trasformazioni sono state attuate sulla base di uno specifico provvedimento abilitativo e poste in essere secondo i tempi previsti dalla normativa in materia.

ART. 4.

(Diritto alla città e all’abitare).

1. La pianificazione assicura che l’impiego delle risorse territoriali non ne comprometta la consistenza. L’utilizzazione di tali risorse è garantita in condizioni equi- valenti a tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché al diritto di proprietà.

2. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurati negli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. In particolare, il comune, per ridurre le condizioni di disagio abitativo, definisce, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione, le localizzazioni e le modalità realizzative per ampliare l’offerta di edilizia sociale.

ART. 5.

(Oneri della trasformazione urbanistica).

1. L’attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie per la mitigazione ambientale.

2. Ogni trasformazione urbanistica concorre alla copertura degli oneri relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste.

3. La legislazione regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti che ne sono sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da pervenire a un equilibrio tra somme introitate dal comune e oneri da sostenere. Le opere di urbanizzazione generale sono ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sulla base dell’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

ART. 6.

(Partecipazione e condivisione delle conoscenze).

1. La partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte della pianificazione del territorio è condizione essenziale per la loro efficacia. Essa ha la sua necessaria premessa nella condivisione di tutte le informazioni riguardanti il territorio, la pianificazione e le trasformazioni.

2. Gli enti pubblici promuovono la costituzione di strutture atte a garantire la diffusione di esaurienti e adeguate forme di conoscenza continua e di monitoraggio attinenti ai processi di pianificazione e di trasformazione urbane, nelle loro premesse, formazione e attuazione.

ART. 7.

(Contenimento dell’uso del suolo e tutela delle attività agro-silvo-pastorali).

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, demolizioni e ricostruzioni o consistenti ampliamenti di edifici, se non strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalla legislazione vigente in materia.

3. Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 2 sono assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali è prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale è assentita la trasformazione.

4. Le leggi regionali stabiliscono l’impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o di loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all’estensione richiesta per la trasformazione ammessa.

5. Le leggi regionali disciplinano, altresì, le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e di risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e di ricostruzione.

6. Le leggi regionali prevedono la demolizione senza ricostruzione dei manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici, qualora tali manufatti perdano la destinazione originaria.

7. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale modificalità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico e storico-testimoniale del patrimonio edilizio esistente.

ART. 8.

(Tutela degli insediamenti storici).

1. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, per effetto dell’individuazione operata dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come beni culturali:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non compresa nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

2. Resta ferma la competenza dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali di integrare le individuazioni operate dagli strumenti di pianificazione ai sensi del comma 1 con propri provvedimenti amministrativi.

3. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati al comma 1 sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, definite ai sensi della legislazione regionale. Qualora tali trasformazioni siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive definite di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni hanno luogo delle speciali autorizzazioni dei competenti organi del medesimo Ministero richieste ai sensi della legislazione vigente in materia.

CAPO II

STRUMENTI E PROCEDURE

ART. 9.

(Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale).

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro delle infrastrutture, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento ogni tre anni, nonché quando se ne presenti la necessità.

2. Nella formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 è inserito e reso coerente il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale e, in particolare, il piano dei trasporti, il piano energetico, i piani delle aree naturali protette e i piani paesaggistici.

3. Ai fini della formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 si tiene altresı` conto della normativa e delle altre deliberazioni emanate dall’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

ART. 10.

(Strumenti e atti di pianificazione).

1. Le leggi regionali stabiliscono l’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti e, in particolare, per ciascuno di essi:

a) la pubblica autorità competente, in base ai princıpi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

b) i contenuti, l’efficacia, l’arco temporale di riferimento e le modalità di attuazione;

c) le procedure di formazione.

2. È attribuita alla pianificazione provinciale e regionale la competenza relativa alle scelte per le quali il livello comunale e, rispettivamente, provinciale, non è adeguato a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. Il presente comma si applica, in particolare, per gli interventi di riordino delle aree conurbate, che devono essere attuati promuovendo il contenimento della dispersione insediativa.

ART. 11.

(Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione).

1. Le leggi regionali, in relazione alla natura degli strumenti di pianificazione e delle trasformazioni da questi disciplinate, stabiliscono, oltre a quanto espressamente previsto dall’articolo 16, le procedure di formazione dei piani specialisti di settore di cui all’articolo 9, comma 2.

2. Le scelte oggetto degli strumenti di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e da atti amministrativi nonché dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione.

3. Precedentemente all’adozione degli strumenti di pianificazione, deve essere assicurata la partecipazione al processo di definizione delle relative scelte degli enti territoriali competenti alla definizione degli atti amministrativi, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione sovraordinati, nonché di qualsiasi altra autorità responsabile della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

4. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di formazione degli strumenti di pianificazione; a tale fine devono essere stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

5. Nel provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione, l’amministrazione procedente illustra il modo in cui ha tenuto conto dei pareri espressi dalle altre amministrazioni nonché dei risultati delle consultazioni dei cittadini previsti dal comma 4.

6. Successivamente al provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurato un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prendere visione degli strumenti di pianificazione adottati e presentare una formale osservazione.

7. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, in contrasto con i predetti strumenti, ovvero tali da comprometterne o da renderne più gravosa l’attuazione. Può essere previsto che, anche in fasi antecedenti del processo di formazione degli strumenti di pianificazione, gli atti amministrativi appartenenti a tale processo possano inibire l’effettuabilità di determinate trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte che si intendano assumere.

8. Deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e con gli strumenti di pianificazione sovraordinati, mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza delle amministrazioni interessate.

9. Nel provvedimento di approvazione, l’amministrazione procedente deve controdedurre alle osservazioni pervenute, motivando le determinazioni assunte.

10. Le eventuali variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente giustificate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

ART. 12.

(Accordi di programma).

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, di programmi di intervento, di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richiedano l’azione integrata e coordinata di comuni, province, città metropolitane, regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma previsti dal comma 1 sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente.

3. Gli accordi di programma stipulati ai sensi del presente articolo che prevedono la partecipazione di soggetti privati devono rispettare i princıpi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti, nonché dimostrare l’interesse pubblico alla loro realizzazione.

ART. 13.

(Vincoli di tutela).

1. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovano in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti e di altri luoghi di pubblico interesse.

3. Non danno, altresì, luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

ART. 14.

(Vincoli a contenuto espropriativo).

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportano la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle citate disposizioni.

2. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi della legislazione vigente in materia, con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile. Tale somma è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati accertate dall’Istituto nazionale di statistica. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data di liquidazione.

3. Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non si applicano le disposizioni di cui al comma 2 quando l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, anche se regolata da convenzioni che garantiscono gli obiettivi di interesse generale.

ART. 15.

(Attuazione degli strumenti di pianificazione).

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specifica unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 garantiscono la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli nonché degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dai piani relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali è coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il comune può dichiararne la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

ART. 16.

(Procedure di valutazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono soggetti alla valutazione ambientale durante il loro procedimento di formazione, ad esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, la valutazione ambientale non è necessaria.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti sull’ambiente delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante l’elaborazione e prima dell’adozione dei suddetti strumenti.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e con il minore impatto negativo sull’ambiente. A tale fine, ove necessario, devono essere sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

a) del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione raggiunti alla data di adozione dello strumento di pianificazione;

b) dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

c) della fase in cui gli strumenti di pianificazione si trovano nel processo decisionale;

d) della misura in cui taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio.

5. Le leggi regionali assicurano che:

a) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, siano previste adeguate forme di consultazione con tale Stato;

b) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, la consultazione sia allargata alle autorità responsabili della tutela dell’ambiente e agli enti territoriali della medesima regione.

6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tale fine le regioni, o gli enti da esse delegate, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali sono evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

7. Al fine di perseguire un’uniforme applicazione della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato uno specifico atto di coordinamento recante criteri e linee guida per lo svolgimento della valutazione ambientale.

ART. 17.

(Carta unica del territorio).

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da disposizioni di legge. Essa costituisce la carta unica del territorio e rappresenta l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

ART. 18.

(Sistema informativo territoriale).

1. I comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato, singoli o associati, partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

a) l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio;

b) la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

c) la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazione del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

CAPO III

NORME TRANSITORIE E FINALI

ART. 19.

(Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

1. Anche ai fini del contenimento dell’uso del suolo previsto dall’articolo 7 della presente legge e della conservazione del paesaggio aperto, per il contributo che esso fornisce a uno stabile assetto del territorio, al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 142:

1) al comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“m-bis) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”;

2) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

“4-bis. I comuni, di intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell’ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis).

4-ter. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 4-bis, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), coincide con l’insieme delle zone comprese nella lettera E) dell’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti.

4-quater. L’utilizzazione del territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali, può essere definita ammissibile, nei nuovi strumenti di pianificazione, di intesa con la competente soprintendenza, soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti”;

b) al comma 2 dell’articolo 143 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“i-bis) previsione degli obiettivi e degli strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato nel territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis)”.

2. Nel territorio individuato ai sensi della lettera m-bis) del comma 1 dell’articolo 142 del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, introdotto dal comma 1, lettera a), numero 1), del presente articolo, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princıpi fondamentali dettati dalla presente legge nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio, fatta eccezione per le modificazioni finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La riforma del governo del territorio è tra le più urgenti e necessarie per la modernizzazione del Paese.

Con questa convinzione si presenta, come rappresentanti della maggioranza di centrosinistra, una nuova proposta di riforma nella attuale legislatura, che tiene conto dei tentativi di riforma maturati anche nella XIV legislatura.

Nella legislazione statale siamo infatti ancora fermi ai princıpi della legge n. 1150 del 1942, mentre la realtà delle cose è fortemente cambiata.

L’urbanistica di espansione si è arrestata, crescono le esigenze di recupero e di riqualificazione delle città esistenti (si pensi alla conversione delle aree industriali dismesse), aumenta l’esigenza di governare le trasformazioni con strumenti flessibili e non tramite rigide e impraticabili pianificazioni.

Anche alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione sussiste la competenza statale per una legge di soli princıpi che stabilisca contenuti generali e strumenti del governo pubblico del territorio. Princıpi che costituiscono appunto delle fondamenta, delle basi comuni, per l’esercizio dell’autonomia regionale, in una stagione in cui è ben avvertita l’esigenza di policies non stataliste, ma coerenti sul piano nazionale.

D’altra parte, l’ipotesi di una totale regionalizzazione delle competenze urbanistiche può ritenersi irrealistica e criticabile, anche alla luce dei lavori della Commissione parlamentare consultiva in ordine all’attuazione della riforma amministrativa e degli articoli 54-59 del decreto legislativo n. 112 del 1998, attuativo della "legge Bassanini” n. 59 del 1997.

In primo luogo, perché “i programmi innovativi in ambito urbano” nonché i grandi interventi infrastrutturali, i programmi di opere pubbliche statali, gli obiettivi principali di tutela ambientale e paesaggistica, culturale, di promozione dei valori dell’architettura e di difesa del suolo, richiedono certamente l’esercizio di funzioni statali. Occorre, al riguardo, considerare che l’ambiente e l’ecosistema sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato unitamente alla materia “tutela della concorrenza”, il che, in una urbanistica sempre più procedimentalizzata e negoziale, non è certo irrilevante. Appartengono inoltre alla competenza esclusiva dello Stato il regime civilistico delle proprietà, oltre che il regime sanzionatorio.

In secondo luogo, perché tali competenze sussistono in tutti i Paesi europei, sebbene con differenti assetti organizzativi, e non vi è ragione per pervenire in Italia a diverse soluzioni. In terzo luogo, realisticamente, non è certo ragionevole lasciare alla scoordinata proliferazione di modelli regionali l’intero onere della riforma, con tempi e modi di attuazione inevitabilmente diversi: ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione vigente, il legislatore statale ha il dovere di offrire un quadro aggiornato e moderno di “princıpi” legislativi, abrogando la legislazione previgente, proprio per favorire l’esercizio consapevole delle prerogative regionali.

Non può poi essere trascurato che la riforma costituzionale del citato articolo 117 conserva nell’ambito della legislazione concorrente il “governo del territorio” e che, nonostante il fallimento della nuova riforma costituzionale della XIV legislatura, a seguito del referendum, vi è ampia convergenza tra le forze politiche e in Parlamento circa la necessità di riconoscere la competenza dello Stato sulle grandi reti infrastrutturali.

Per queste ragioni, non si può non essere favorevoli alla sollecita approvazione di una legge statale di soli princıpi per il governo del territorio con contestuale abrogazione delle leggi previgenti.

L’Italia deve individuare nella ricchezza e nelle peculiarità del proprio territorio, nelle bellezze naturali, nei giacimenti culturali, nelle filiere della qualità “glocale”, nella sinergia con il turismo, non già fattori di compatibilità con lo sviluppo economico, ma una vocazione centrale, un asset forte dello sviluppo del made in Italy.

L’Italia deve inoltre concentrare politiche, azioni e risorse in una grande opera di riqualificazione dell’esistente (dai centri storici alle aree industriali dismesse), frenando il consumo di nuovo territorio e perseguendo i fini primari della realizzazione delle grandi reti dei trasporti e della mobilità e delle nuove esigenze abitative proprie di una società aperta e integrata.

Nel merito della riforma legislativa un quadro di contenuti può dirsi da tempo definito e da più parti condiviso, come pure alcuni elementi di analisi.

D’altronde non sono mancati, nelle precedenti legislature, tentativi avanzati e maturi di riforma: tra questi è rilevante richiamare il testo elaborato del professor Paolo Stella Richter come pure, nella XIII legislatura, il “testo Lorenzetti”, sintesi di un articolato percorso di proposte di legge e di audizioni dei principali soggetti culturali, scientifici, istituzionali, economici operanti nel settore.

Nella XIV legislatura vi è stato un proficuo e comune lavoro intorno alla proposta di legge dell’onorevole Lupi (atto Camera n. 103) di cui tuttavia non abbiamo condiviso carenze e omissioni e un’inaccettabile equiparazione del ruolo del pubblico e del privato anche nelle scelte di programmazione.

Contributi rilevanti ai temi della riforma, sotto molti profili, sono negli anni recenti pervenuti dall’intensa attività dell’Istituto nazionale di urbanistica, con riflessi disciplinari e legislativi ampiamente sperimentati a livello regionale e comunale.

Si osserva, nel dibattito politico, che la legge nazionale di princıpi potrebbe essere di modesto rilievo perché, ormai, la riforma del governo del territorio è già stata fatta dai legislatori regionali.

Se si ha riguardo alla legislazione regionale recente in effetti l’obiezione può apparire fondata poiché molte regioni italiane si sono dotate di propri modelli spesso innovativi e non privi di una coerente sistematicità , sicché una legge nazionale di princıpi non può non avere una natura ricognitiva di princıpi già affermati a livello regionale e, anche, negli ambiti dell’autonomia comunale.

Ma, se si riflette più a fondo, questa natura “ricognitiva” della legislazione di princıpi non deve intendersi come un limite quanto piuttosto, ex adverso, come una conseguenza naturale dell’attuazione del principio di sussidiarietà verticale che predilige lo svolgimento delle funzioni di governo e dunque anche delle scelte legislative, al livello più basso nella scala territoriale.

Questa considerazione non si traduce però in un compiacimento per un certo, diffuso, “federalismo dell’abbandono”, in cui i diversi attori si muovono in solitudine secondo schemi autoreferenziali, meramente rivendicativi di competenze e spesso competitivi.

Nello svolgimento delle politiche di governo del territorio è anzi necessario che tutti gli attori siano in campo: tutti, anche lo Stato.

È agevole constatare l’utilità di questo diverso modello in materia di infrastrutture, di ambiente, di paesaggio e di regole generali sulle proprietà e sulla concorrenza.

Ciò significa che la legge di princıpi fondamentali deve farsi carico di questa visione nazionale, non statale, delle diverse questioni e non deve rinunciare, sulla base dell’assetto costituzionale, a scelte innovative e non meramente ricognitive di princıpi desunti dalla legislazione regionale.

In sintesi non è forse inutile ricordare che in Italia l’urbanistica e il governo pubblico del territorio hanno conosciuto, in specie negli anni sessanta e settanta, un forte scontro ideologico con connotati peculiari rispetto ad altri Paesi.

Si è affermata, in sostanza, una concezione dell’urbanistica come disciplina di tutte le trasformazioni, gestione e usi del territorio e degli interessi plurimi e diversi che in esso hanno sede (“panurbanistica”) e si è ampiamente ritenuto che gli strumenti urbanistici fossero deputati a perseguire fini politici generali.

Si è determinato un notevole conflitto sia all’interno dei diversi soggetti istituzionali titolari di interessi radicati sul territorio sia tra questi e i soggetti privati (basti pensare alle vicende irrisolte del regime giuridico delle espropriazioni, dei vincoli, della disciplina generale dei suoli edificabili).

Negli anni ottanta, a fronte di una crisi evidente anche sul piano disciplinare dell’urbanistica e ad un parziale arresto della logica dell’espansione edificatoria, si sono affermate le politiche di deregulation o, meglio, di deroga ai piani (localizzazione con legge di opere pubbliche, meccanismi di intese Stato-regioni ai sensi dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, promozione delle “varianti automatiche” anche attraverso i nuovi istituti della "conferenza di servizi" e degli “accordi di programma”).

L’effetto di tali politiche, unitamente alle nuove tendenze legislative volte ad affermare la preminenza dell’ambiente sull’urbanistica (vedi leggi n. 183 del 1989, n. 305 del 1989, piani paesistici, eccetera), è stato quello di determinare la crisi irreversibile del sistema di pianificazione del territorio delineato dalla legge fondamentale n. 1150 del 1942, sostituendo surrettiziamente al criterio ordinatore della “gerarchia tra i piani” quello della “gerarchia degli interessi”, di volta in volta emergenti.

Peraltro, dinanzi alla stagnazione della riforma legislativa, occorre prendere atto di un fenomeno fortemente innovativo, nella forma e nella sostanza, degli anni recenti: l’affermazione di politiche governative finalizzate al recupero e alla riqualificazione urbana e ambientale, condotte attraverso decreti ministeriali anziché atti legislativi.

Trattasi delle politiche statali variamente intitolate ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, ai patti territoriali, ai contratti di quartiere e ai programmi integrati di intervento (questi ultimi anche regionali).

In effetti queste politiche, caratteristiche dell’esperienza più recente, hanno in comune una accentuata eterogeneità dei fini (recupero, riqualificazione, nuove costruzioni) e dei mezzi (attivazione di risorse pubbliche e private).

Esse hanno il merito di affermare una visione integrata e sostenibile delle azioni sul territorio secondo una logica, per così dire, di "piano-progetto", innovando rispetto alla tradizionale scissione tra pianificazione territoriale e programmazione attuativa.

Pur tuttavia permangono molti e rilevanti punti di tensione irrisolti: primi tra tutti, il rapporto con il sistema di pianificazione ordinario e il rispetto dei princıpi di concorsualità e di trasparenza nella scelta dei partner privati per l’esecuzione delle opere pubbliche.

La stagione che potremmo definire dell’“urbanistica dal basso” o dell’”urbanistica per bandi” non sembra in grado di risolvere interamente i principali nodi concettuali e giuridici.

In particolare, occorre dare maggiore stabilità ed efficacia giuridica alle intese e agli accordi tra enti pubblici, evitando la proliferazione dei “piani per visioni”, spesso frustranti e dispersivi delle risorse pubbliche, e orientando le politiche alla selezione delle “azioni vincenti” e sostenibili nella realizzazione: le best practices sono utili, ma non sufficienti.

È necessario un nuovo approccio ai problemi del settore in grado di razionalizzare le principali esperienze regionali e comunali e di giovarsi della dottrina, delle competenze disciplinari e delle analisi che sono emerse nell’intenso dibattito degli anni recenti, pervenendo a un profondo rinnovamento di nozioni, teorie e istituti sul piano giuridico e disciplinare.

Occorre riaffermare la necessità, di principio e tecnico-operativa, di un razionale sistema di pianificazione del territorio senza indulgere in posizioni apologetiche del piano e correggendo gli eccessi statalisti (o comunali) del passato e del presente.

Un tale impegno, che non si attua solo in via legislativa, è ovviamente condizione indispensabile anche al fine del rilancio dell’economia nel settore edilizio e delle opere pubbliche e della promozione di uno sviluppo ambientalmente sostenibile.

La direzione di marcia emersa dalle esperienze degli anni più recenti e dalle proposte di riforma culturalmente più mature è ben chiara.

Legge di princıpi e revisione normativa; programmazione solo strategica e di coordinamento a livello regionale; principio di copianificazione, sulla scorta dell’esperienza francese, per rendere più efficace il coordinamento intersoggettivo; nuovo piano territoriale provinciale fondato sul sistema ambientale (invariante cogente) e sul sistema delle infrastrutture e dei servizi; incentivazione delle aggregazioni tra comuni e delle azioni di marketing territoriali; revisione della pianificazione comunale attraverso l’affermazione del principio della non obbligatoria estensione del piano regolatore all’intero territorio comunale e la nuova articolazione in piano strutturale-direttore, non vincolistico e di medio periodo, e piano-progetto operativo, vincolistico e, in alcuni modelli, legato al mandato politico-amministrativo; integrazione preventiva di tecniche di tutela ambientale nella pianificazione urbanistica (principio di sostenibilità ambientale); marginalizzazione, per quanto possibile, dell’esproprio e dei vincoli preordinati; perequazione tra le proprietà inserite nei comparti di trasformazione; una più netta distinzione tra regime degli interventi sull’edificato e opere nuove (le regole per gli interventi minori sul costruito non possono essere le stesse dell’urbanistica di espansione e di riqualificazione intensiva); abbandono dell’attuale logica quantitativa degli standard, in mille modi derogata, in favore di standard prestazionali o reali, ossia di volta in volta valutati nell’ambito del piano-progetto operativo o nel piano comunale dei servizi e delle infrastrutture; superamento dell’antica logica dello zooning monofunzionale; determinazione di regole per la disciplina del procedimento di negoziazione urbanistica, anche ai fini dell’attuazione del piano-progetto operativo, garantendo trasparenza, partecipazione e par condicio concorsuale tra gli operatori; eliminazione della commistione tra opere di urbanizzazione realizzabili direttamente e a scomputo degli oneri di concessione e le opere pubbliche maggiori, la cui progettazione e costruzione devono essere soggette, sopra soglie determinate, alle regole delle gare comunitarie degli appalti; semplificazione amministrativa delle procedure; un nuovo approccio basato su un’”amministrazione per risultati” e una “pianificazione per obiettivi” coerente con il principio della separazione delle funzioni tra organi politici e responsabili della gestione amministrativa; una più ampia previsione dei nuovi strumenti di partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche, superando sia il ristretto istituto delle “osservazioni” successive all’adozione sia il divieto di partecipazione posto dall’articolo 13 della legge n. 241 del 1990.

I temi indicati costituiscono elementi dell’esperienza di “riforma dal basso”, variamente praticata dalle regioni e dagli enti locali pur in presenza di una legislazione statale ormai antica e inadeguata.

Si tratta dunque di rinnovare la dogmatica dell’urbanistica di tradizione e di affermare i nuovi princıpi.

I princıpi di “sussidiarietà, adeguatezza, autonomia e copianificazione”, necessari per la definizione di efficaci sistemi di pianificazione e di adeguate procedure per la formazione degli strumenti; il principio di “equità” con la definizione di strumenti generali « strutturali », vale a dire non prescrittivi, non vincolistici (se non per i vincoli ricognitivi per i quali va confermata la atemporalità e la non indennizzabilità) e non conformativi dei diritti proprietari, e di strumenti “operativi” prescrittivi, vincolistici e conformativi, basati, in via ordinaria, su modalità attuative perequative e solo in via eccezionale su modalità espropriative; il principio di “sostenibilità”, a cui riferire ogni processo di trasformazione territoriale, con la limitazione del consumo di suolo extraurbano non accompagnato da adeguate misure di compensazione ecologica, la subordinazione delle trasformazioni ad una adeguata mobilità di massa e la limitazione del traffico automobilistico individuale, la diffusione della compensazione ambientale come strumento fondamentale della gestione territoriale; il principio della “partecipazione”, per garantire la massima trasparenza e democrazia nella formazione delle decisioni; il principio di “trasparenza” della concorsualità nei procedimenti di negoziazione urbanistica.

Siamo peraltro convinti che le amministrazioni che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso:

1) l’offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali;

2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi;

3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura, dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

c) affermare il valore imprescindibile dell’unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

La presente proposta di legge nasce dunque dal contenuto della vasta sperimentazione riformistica degli anni recenti, perseguita da Governi di diversa connotazione politica, a dimostrazione della sussistenza di un campo di esigenze ampiamente condiviso tra le diverse forze politiche, pur nella diversità delle soluzioni.

Il capo I è dedicato ai diversi ambiti di competenza statale: esclusiva, in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e di regime delle proprietà, in materia di tutela della concorrenza nonché nella definizione dei livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali dei servizi; concorrente, nella definizione dei principi del governo del territorio e dei princıpi ispiratori di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, efficacia, efficienza, economicità, imparzialità e semplificazione dell’azione amministrativa.

Il capo II della proposta di legge puntualizza le competenze statali incidenti in materia urbanistica nell’intento di offrire un quadro unitario e realistico delle diverse politiche territoriali.

In coerenza con la legislazione più recente in materia di lavori pubblici, viene tuttavia affermata l’esigenza di una più specifica precisazione dell’esercizio coordinato delle funzioni statali, attraverso la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, e la necessità di valorizzare il ruolo tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da intendere quale conferenza di servizi ad impronta federalista.

Viene altresì affermato il principio, che deve essere svolto in coerenza dalle legislazioni settoriali, del raccordo delle tutele cosiddette "separate" (parchi, autorità di bacino, sovrintendenze e altri soggetti pubblici titolari di interessi pubblici) con gli atti di pianificazione urbanistica con l’obiettivo esplicito di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione.

È necessario affermare una visione unitaria del governo del territorio.

Il capo III specifica i princıpi fondamentali del governo del territorio con un’attenzione rilevante per le principali innovazioni culturali e disciplinari emerse negli anni recenti.

L’articolo 4 richiama il fondamentale principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, principio di rango costituzionale, nonché il criterio di riserva amministrativa degli atti di governo del territorio in capo ai comuni, definiti soggetti primari nel governo del territorio.

Viene in tale modo rimosso il principio di rigida gerarchia dei piani, che caratterizza la legge n. 1150 del 1942, lasciando agli enti territoriali e alla regione un’ampia libertà di autodeterminazione.

L’articolo 5 definisce il governo del territorio una “funzione pubblica” che si attua “attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica”.

Si evidenziano, in tale modo, la natura inevitabilmente pubblicistica della funzione e, nel contempo, la flessibilità e l’articolazione dei mezzi e degli strumenti (urbanistica negoziale, programmazione partecipata, società di trasformazione urbana, eccetera), superando gli anacronistici caratteri di unilateralità e di autoritativa tipici degli atti urbanistici tradizionali.

Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalle leggi e al perseguimento “dell’interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte”. Devono essere evidenziate altre due rilevanti innovazioni. La prima riguarda la pianificazione, definita “la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio”, con ciò superando le tradizionali nozioni. Vengono inoltre indicati due distinti livelli: gli atti di contenuto strategico strutturale che non hanno efficacia conformativa delle proprietà e gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, che disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà, ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione.

Il comma 5 del medesimo articolo 5 determina una scelta di grande rilievo: viene stabilito, risolvendo in larga misura una vexata quaestio, che il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente e che le regioni stabiliscono i casi ulteriori di edificabilità , per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

In coerenza con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, e rinviando all’autonomia delle regioni le scelte più specifiche, viene in tale modo posto il principio della non edificabilità “naturale” del territorio non urbanizzato, che è conforme alle esigenze di salvaguardia del nostro territorio e del paesaggio, che costituiscono risorse fondamentali per lo sviluppo civile, culturale ed economico del nostro Paese.

È una scelta legislativa di grande rilievo che assicura basi più solide per la tutela del paesaggio e spinge verso l’azione di riqualificazione dei tessuti urbani esistenti.

L’articolo 6 stabilisce il metodo della cooperazione e della concertazione tra i diversi soggetti istituzionali nell’intento di perseguire il cosiddetto “principio di copianificazione”.

Si vuole così superare la logica dei controlli e delle “doppie fasi” procedimentali, che determinano sovraccarichi burocratici e conflitti, realizzando un coordinamento intersoggettivo già nella fase delle scelte più rilevanti che investono, inevitabilmente, una pluralità di interessi pubblici differenziati di cui sono titolari enti diversi.

È interessante evidenziare che in sede di conferenza di pianificazione possono essere previste forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti e dei territori che risultano penalizzati o comunque gravati dai maggiori oneri di impatto ambientale. Un tema di grande rilievo per la maggiore equità nelle azioni di ammodernamento infrastrutturale del nostro Paese.

L’articolo 7 stabilisce il fondamentale principio di partecipazione al procedimento di pianificazione. In una nuova logica di alleggerimento delle previsioni legislative di natura vincolante risulta evidentemente ampliata la discrezionalità amministrativa nelle scelte: la ricerca dell’interesse pubblico concreto si baserà, dunque, sul confronto trasparente tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti che devono essere adeguatamente rappresentati nel corso del procedimento.

D’altronde gli istituti di partecipazione, che acquistano un rilievo anche maggiore nella nuova logica della “legalità procedimentale”, sono ampiamente diffusi nel contesto europeo ( enquête publique in Francia, encuesta previa in Spagna, public inquiry ed examination in public in Inghilterra, legge sul procedimento in Germania eccetera), e hanno una cospicua tradizione anche in Italia, che si è arricchita con la stagione degli statuti comunali che contemplano, in diversi casi, l’istituto dell’”udienza pubblica”. Saranno ovviamente le regioni e gli enti locali a definire l’articolazione più proficua dei diversi istituti nel rispetto del principio legislativo fondamentale.

L’articolo 8 disciplina gli accordi con i privati, assai rilevanti in materia urbanistica, nel rispetto del principio di pari opportunità e attraverso procedure di confronto concorrenziale.

L’urbanistica “negoziata” o “consensuale” è parte innegabile dell’attuale esperienza dell’ administration concertée: ma essa deve svolgersi nel contesto di princıpi di rango costituzionale e di competenza statale, quali la concorrenzialità , la par condicio, l’imparzialità amministrativa, la pubblicità delle scelte (con la conseguente partecipazione dei cittadini uti cives).

L’articolo 9 è di particolare rilievo poiché viene con esso riformato un antico ”idolo” della pianificazione urbanistica: quello dello standard quantitativo che è stato di sicura utilità (e può esserlo tuttora) nella storia dell’urbanistica italiana, ma che difficilmente può essere predefinito a livello statale. Si è registrata a riguardo una tendenza univoca, nella legislazione regionale e nelle esperienze comunali, in direzione di standard qualitativi o prestazionali ossia di attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessari alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonchè all’accessibilità e alla mobilità dei cittadini e degli utenti.

La proposta di legge affida alla pianificazione strutturale, con riferimento a un periodo non inferiore a dieci anni, la definizione della dotazione complessiva e alle diverse modalità tecnico-operative, individuate dalle regioni e dai comuni, la precisazione più specifica, anche sulla base della concreta offerta di servizi da parte dei privati.

È evidente che, anche per effetto dell’abrogazione normativa della zonizzazione, le regioni e i comuni saranno più liberi di definire, attraverso la "lettura" dei propri territori, i rapporti che necessariamente intercorrono tra sviluppo o riuso edilizio e infrastrutture, opere viarie, parcheggi, servizi ambientali e servizi per l’habitat, nel rispetto del principio fondamentale posto dalla legislazione statale.

L’articolo 10 affronta il delicato tema dei vincoli urbanistici e della perequazione.

Il primo profilo risulta notevolmente depotenziato, poiché la scelta compiuta all’articolo 5, con cui si attribuisce l’edificabilità tramite atti comunali solo nell’ambito del territorio urbanizzato, depotenzia notevolmente la problematica dei vincoli “larvatamente” espropriativi di contenuti e di valori delle proprietà.

Anche la sostanziale eliminazione della sistematica dei piani con effetti immediatamente conformativi delle proprietà , ed aventi valore di implicita dichiarazione di pubblica utilità , indifferibilità e urgenza dei lavori, converge nella medesima direzione alleggerendo di molto i vincoli sulle proprietà.

Viene tuttavia mantenuta, pur nel nuovo e più definito contesto, la previsione del vincolo preordinato all’espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico che ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta (in tale caso è previsto per il proprietario un particolare indennizzo).

Sono inoltre previste ipotesi di permuta dell’area e di trasferimento dei diritti edificatori, nel rispetto del piano comunale.

La perequazione, ampiamente sperimentata nelle esperienze urbanistiche più recenti, è definita il metodo ordinario della pianificazione operativa con l’espresso fine dell’attribuzione dei diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche omogenee.

I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli ambiti urbanistici individuati e, innovazione assai rilevante sul piano operativo, i trasferimenti di cubature sono esenti da imposte.

L’articolo 11, dedicato ai titoli abilitativi e alla negoziazione di iniziativa pubblica, recepisce il recente indirizzo legislativo, regionale e statale, che ha progressivamente esteso la denuncia di inizio attività (dichiarazione di avvio dei lavori e certificazione tecnica di conformità) di interventi edilizi dapprima in funzione sostitutiva delle “autorizzazioni edilizie” e, in seguito, anche di interventi edilizi in precedenza soggetti a concessione edilizia.

La materia è oggetto di revisione nell’ambito del testo unico sull’edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) sicché la presente proposta di legge si limita a ribadirne i princıpi e le relative competenze regionali.

Merita di essere evidenziata la previsione secondo cui “al fine di favorire il confronto concorrenziale il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato”.

Per rendere più razionale e operativo tale sistema, in gergo definito dell’”asta delle licenze” riferita solo a progetti di trasformazione intensiva, viene previsto che i comuni hanno la prelazione civilistica nell’acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico da reimmettere, conseguentemente valorizzate, nel mercato.

Si tratta di un principio ampiamente previsto in altri ordinamenti europei e che offre una possibilità in più ai comuni in grado di esercitarla, quella di farsi promotori dei processi di trasformazione urbana svolgendo un ruolo di regia e di promozione.

L’articolo 12 ribadisce i poteri di vigilanza e di controllo dei comuni sulle trasformazioni urbanistico-edilizie nel proprio territorio. Sono fatte salve le sanzioni penali, amministrative e civili previste dalle leggi statali, ferma la potestà delle regioni di prevedere ulteriori e diverse sanzioni amministrative di natura pecuniaria e interdittiva. Vengono inoltre stabiliti gli interventi di natura sostitutiva di competenza delle regioni sulla base delle esperienze consolidate nell’ordinamento.

L’articolo 13 è di notevole rilievo poichè indica le norme statali oggetto di abrogazione. Le leggi indicate sono di stretto riferimento urbanistico poiché occorre coordinare la legislazione vigente in materia edilizia e di espropriazione con i nuovi princıpi urbanistici.

Il comma 3, infine, stabilisce che la legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, allo scopo di consentire un congruo termine, in specie alle regioni, per l’attuazione consapevole dei nuovi princıpi.

La presente proposta di legge, ispirata alla cultura e alle esperienze dell’"urbanistica riformista", al mutato contesto costituzionale e al lavoro svolto nella XIV legislatura, intende promuovere una riforma essenziale per la maggiore equità e competitività dell’Italia, nella convinzione che sussistano tutti i presupposti, di natura politica e disciplinare, per una sollecita approvazione nell’attuale legislatura.

Testo degli articoli

CAPO I

DISPOSIZIONI PRELIMINARI

ART. 1.

(Oggetto).

1. In attuazione dell’articolo 117 della Costituzione la presente legge stabilisce i princıpi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell’ordinamento comunitario e della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e del regime delle proprietà , nonché in materia di tutela della concorrenza. La presente legge disciplina, altresì, i livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali nonché dei servizi.

2. Il governo del territorio, oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, consiste nell’insieme delle attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, i programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie.

3. La presente legge attua i princıpi di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, semplificazione, efficacia, efficienza, economicità e imparzialità dell’azione amministrativa.

4. Ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, le regioni emanano norme in materia di governo del territorio in conformità ai princıpi fondamentali della legislazione statale stabiliti dal capo III della presente legge. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, nonché le forme e le condizioni particolari di autonomia previste ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

5. La presente legge stabilisce altresì le principali competenze e funzioni statali in materia di infrastrutture e di grandi reti di trasporto incidenti nella materia del governo del territorio e le modalità di esercizio allo scopo di garantire il migliore coordinamento con le regioni e con le autonomie locali.

ART. 2.

(Compiti e funzioni dello Stato).

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, l’assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale, il rinnovo e la riqualificazione urbana, le grandi reti di infrastrutture.

2. Per l’attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, programmi di intervento, coordinando la sua azione con quella dell’Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, prevalentemente attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale in ordine alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla difesa del suolo e all’articolazione delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale.

4. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici e alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni.

5. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, di promuovere la rilocalizzazione di insediamenti esposti al rischio di calamità naturali o di dissesto idrogeologico e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, lo Stato predispone programmi di intervento in determinati ambiti territoriali volti a promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

6. I programmi di intervento speciali, di cui al comma 5, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 3.

(Esercizio delle tutele separate da parte dello Stato).

1. Le competenze degli enti parco, delle autorità di bacino, delle sovrintendenze competenti per i beni storico-artistici e ambientali nonché dei soggetti titolari di interessi pubblici incidenti nel governo del territorio sono definite dalla legislazione statale e regionale ed esercitate in raccordo con gli atti di pianificazione di cui alla presente legge, con l’obiettivo di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione urbanistica e territoriale.

CAPO III

PRINCIPI FONDAMENTALI DEL GOVERNO DEL TERRITORIO

ART. 4.

(Sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza).

1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità.

2. I comuni, soggetti primari nel governo del territorio ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, le regioni, le province, le città metropolitane e le associazioni di comuni cooperano ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, secondo il criterio di differenziazione e di adeguatezza nell’esercizio delle funzioni. Sulla base di tali princıpi sono, altresì, individuati gli ambiti territoriali di riferimento, favorendo la collaborazione e la competizione tra territori.

ART. 5.

(Natura e contenuti della pianificazione).

1. Il governo del territorio è funzione pubblica, esercitata nelle forme stabilite dalla legge, che si attua attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica, con il fine della promozione di progetti di sviluppo sostenibile, in relazione alle risorse sociali, ambientali ed economiche.

2. La pianificazione disciplina il territorio, con atti amministrativi generali, procedendo all’individuazione di ambiti territoriali di riferimento. Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalla legge e al perseguimento dell’interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte.

3. La pianificazione è la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio, che si attua attraverso modalità strategiche, strutturali e operative. Gli atti di contenuto strategico strutturale non hanno efficacia conformativa delle proprietà . Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà , ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione. Gli atti di pianificazione concorrono nel garantire le prestazioni minime dell’insediamento anche attraverso idonee misure di salvaguardia.

4. Il piano territoriale di coordinamento previsto dall’articolo 20, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è di competenza delle province, salve diverse previsioni della legge regionale allo scopo di favorire la pianificazione delle aree metropolitane. La regione, con propria legge, in considerazione della specificità di determinati ambiti sovracomunali e omogenei e in attuazione dei princıpi costituzionali di sussidiarietà e di adeguatezza, può disciplinare e incentivare la pianificazione urbanistica intercomunale.

5. Il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente. Le regioni stabiliscono i casi di edificabilità, attraverso l’individuazione, per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

6. La pianificazione è ispirata al principio dell’integrazione delle funzioni e della qualità urbana.

ART. 6.

(Concertazione istituzionale).

1. I soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio perseguono il metodo della cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali nell’elaborazione delle scelte fondamentali riferite al territorio, sulla base del principio di competenza, anche mediante intese e accordi procedimentali e l’istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unicità del piano territoriale.

2. I soggetti pubblici cooperano nella definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali, privilegiando le sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità e le modalità di attuazione, nonché le sanzioni in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

3. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le regioni raggiungono intese con le regioni limitrofe, ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione.

4. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, anche attraverso forme di coordinamento fra i soggetti pubblici, nonché, ai sensi dell’articolo 7, comma 3, fra questi e i cittadini, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l’esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l’attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché alle infrastrutture.

6. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l’attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

7. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso. Lo Stato definisce, di intesa con le regioni e le province autonome, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio e di base ai fini della pianificazione del territorio.

8. Gli atti di pianificazione sono approvati da parte dell’ente competente previa certificazione e verifica di compatibilità con il sistema dei vincoli di natura ambientale e paesaggistica, relativi a tutti gli interessi tutelati, nonché verifica di congruenza con la pianificazione vigente e interagente con particolare riferimento alle opere pubbliche e alle infrastrutture per la viabilità.

9. Le verifiche di compatibilità e di coerenza, ove comportino conflitto di previsioni, sono svolte attraverso un’apposita conferenza di pianificazione, con la partecipazione degli enti pubblici competenti e dei soggetti concessionari dei servizi pubblici interessati. Fatta salva l’autonomia delle funzioni amministrative di controllo, le decisioni relative al mutamento degli assetti vigenti sono assunte, in difetto di unanimità, a maggioranza dei soggetti partecipanti.

10. In sede di conferenza di pianificazione sono previste, di regola, forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo o che sopportano particolari impatti negativi.

ART. 7.

(Partecipazione al procedimento di pianificazione).

1. Nei procedimenti di formazione e approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica sono assicurati:

a) il coinvolgimento delle associazioni economiche e sociali, in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire;

b) le forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi, in ordine ai contenuti degli strumenti stessi.

2. Nell’ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo e adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l’indicazione delle motivazioni in merito all’accoglimento o meno delle stesse. Nell’attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l’amministrazione procedente.

3. Le scelte relative alla localizzazione di opere e di infrastrutture di rilevante impatto ambientale e sociale devono essere precedute da udienze pubbliche con la partecipazione dei cittadini e delle associazioni territorialmente radicate e, ai sensi della legislazione vigente, da procedure di valutazione di impatto ambientale.

4. Il responsabile del procedimento, di cui all’articolo 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, cura tutte le attività relative alla pubblicità , all’accesso agli atti e ai documenti nonché alla partecipazione al procedimento di approvazione.

5. Gli organi politici e i funzionari professionali responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle osservazioni o alle proposte presentate nell’ambito del procedimento e ai princıpi di cui al presente capo.

ART. 8.

(Accordi con i privati).

1. Gli enti locali possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione al procedimento per le intese preliminari o preparatorie dell’atto amministrativo e attraverso procedure di confronto concorrenziale per gli accordi sostitutivi degli atti amministrativi, al fine di recepire negli atti di pianificazione proposte di interventi, in attuazione coerente degli obiettivi strategici contenuti negli atti di pianificazione e delle dotazioni minime di cui all’articolo 9, la cui localizzazione è di competenza pubblica.

2. L’accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione dell’atto di pianificazione che lo recepisce.

3. I procedimenti di negoziazione urbanistica sono retti dai princıpi di trasparenza e di pari opportunità concorsuale. Nei piani strutturali sono indicati i criteri e i metodi per l’individuazione dei corrispettivi richiesti nella negoziazione urbanistica.

4. Per quanto non disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, di accordi con i privati e di tutela giurisdizionale, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

ART. 9.

(Infrastrutture e prestazioni minime).

1. Gli atti di pianificazione devono prevedere adeguate dotazioni di viabilità, di parcheggi, di aree verdi e di servizi, avendo cura delle effettive esigenze prestazionali.

2. La pianificazione di contenuto strutturale definisce, con riferimento a un periodo non inferiore a dieci anni, la dotazione complessiva delle attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessaria alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonché delle infrastrutture che garantiscano l’accessibilità e la mobilità dei cittadini e degli utenti.

3. La pianificazione di contenuto operativo specifica e localizza, con atti di perimetrazione, le attrezzature e i servizi relativi agli ambiti specifici di intervento nonchè le reti delle infrastrutture generali e locali, sulla base delle analisi dei fabbisogni di cui al comma 2.

4. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio comunale, gli atti di pianificazione devono documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri reali di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e di fruibilità nonché incentivando l’iniziativa dei privati.

ART. 10.

(Vincoli, perequazione e compensazione).

1. Le previsioni della pianificazione di contenuto operativo sono attuate sulla base dei criteri di perequazione, compensazione ed espropriazione.

2. Il vincolo preordinato all’espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari a un terzo dell’ammontare dell’indennità di esproprio dell’immobile da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.

3. In alternativa all’ipotesi di cui al comma 2, il proprietario dell’area vincolata può richiedere di trasferire i diritti edificatori su un’altra area di sua proprietà o su un’area pubblica in permuta, edificabili ai sensi del piano urbanistico comunale, previa cessione gratuita al comune dell’area di sua proprietà.

4. La perequazione è il metodo ordinario della pianificazione operativa ed è finalizzata all’attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche territoriali omogenee. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d’uso e in misura percentuale rispetto al complessivo valore detenuto da ciascun proprietario.

5. I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti individuati con la pianificazione comunale.

6. I negozi relativi alle permute di cui al comma 3 e ai diritti edificatori di cui al comma 5 non sono soggetti a imposte e tasse.

ART. 11.

(Titoli abilitativi e negoziazione di iniziativa pubblica).

1. Le principali attività di trasformazione urbanistica e edilizia sono in ogni caso soggette a titolo abilitativo rilasciato dal comune.

2. Le regioni stabiliscono: le attività edilizie non soggette a titolo abilitativo; le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l’interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio di attività in luogo della domanda di permesso di costruire; l’onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Al fine di favorire il confronto concorrenziale, il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato, nell’ambito di procedure di confronto concorrenziale.

4. I comuni hanno la prelazione, da esercitare nelle forme previste dal codice civile e sulla base dei valori di mercato, nell’acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico e inserite nei piani operativi. Il piano strutturale può prevedere indici volumetrici premiali nelle negoziazioni di iniziativa pubblica.

ART. 12.

(Vigilanza sul territorio e regime sanzionatorio).

1. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 è soggetta alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma restando la potestà delle regioni di prevedere sanzioni amministrative di natura pecuniaria e interdittiva.

3. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi e le sanzioni nel caso di mancata adozione dei provvedimenti repressivi, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.

4. In caso di sostituzione del permesso di costruzione con la denuncia di inizio di attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.

5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civilistiche per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento nonché per le omissioni nell’esercizio delle funzioni di controllo.

ART. 13.

(Disposizioni finali).

1. I testi unici in materia di edilizia e di espropriazione per pubblica utilità devono essere coordinati con le disposizioni della presente legge anche ai fini della delegificazione e della semplificazione della materia.

2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;

c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni;

d) legge 6 agosto 1967, n. 765;

e) legge 19 novembre 1968, n. 1187, e successive modificazioni;

f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni;

g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;

h) articoli 27, 28, 29, 30 e 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;

i) articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179;

l) articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, e successive modificazioni.

3. La presente legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge – che riproduce il testo già approvato dalla Camera dei deputati (atto Camera n. 3860 e abbinati; atto Senato n. 3519) nella scorsa legislatura dopo un lungo lavoro in Commissione Ambiente e in Aula – risponde all’esigenza di chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata dalla riforma dell’articolo 117 della Costituzione in materia di “governo del territorio”.

In questo senso l’iniziativa che viene qui riproposta, con l’autorevolezza dell’approvazione di un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura, ha una portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica del 1942.

Testo degli articoli



ART. 1.

(Governo del territorio).

1. In attuazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presente legge stabilisce i principi fondamentali in materia di governo del territorio. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, nonché le forme e le condizioni particolari di autonomia previste ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Sono fatte altresì salve le disposizioni della legge 18 maggio 1989, n. 183, recante norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo.

2. Il governo del territorio consiste nell’insieme delle attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, salvo che per la determinazione dei princıpi fondamentali e ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull’ordinamento civile e penale, sulla difesa, sulle Forze armate, sull’ordine pubblico, sulla sicurezza, sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio, sulla tutela della concorrenza, nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

ART. 2.

(Definizioni).

1. Ai fini della presente legge si intendono per:

a) "pianificazione territoriale": la pianificazione di area vasta, che ne definisce l’assetto per quanto riguarda le componenti territoriali fondamentali;

b) "pianificazione urbanistica": la pianificazione funzionale e morfologica del territorio che disciplina le modalità d’uso e di trasformazione e comprende il piano strutturale, il piano operativo e la regolamentazione urbanistica ed edilizia;

c) “piano di settore”: il piano di uno specifico settore funzionale con effetti sul territorio;

d) “piano territoriale”: il documento che rappresenta l’esito del processo di pianificazione territoriale;

e) “piano strutturale”: il piano urbanistico con il quale vengono operate le scelte fondamentali di programmazione dell’assetto del territorio di un comune o di più comuni in coordinamento fra loro;

f) “piano operativo”: il piano urbanistico con il quale vengono attuate le previsioni del piano strutturale, con effetti conformativi del regime dei suoli;

g) “dotazioni territoriali”: la misura adeguata del complesso delle attrezzature, infrastrutture e reti di cui deve essere dotato un ambito territoriale;

h) “rinnovo urbano”: l’insieme coordinato di interventi di conservazione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione di singoli edifici o di intere parti di insediamenti urbani, finalizzato alla rigenerazione, riqualificazione, riabilitazione, nonché all’adeguamento dell’estetica urbana.

ART. 3.

(Compiti e funzioni dello Stato).

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, l’assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale e il rinnovo urbano.

2. Per l’attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, programmi di intervento, coordinando la sua azione con quella dell’Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale in ordine alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla difesa del suolo e all’articolazione delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale.

4. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici, alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

ART. 4.

(Interventi speciali dello Stato).

1. Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, effettua interventi speciali in determinati ambiti territoriali, ai sensi del quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, superare situazioni di degrado ambientale e urbano, promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, promuovere la rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e tecnologici e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati.

2. Gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 5.

(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione).

1. I princıpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza ispirano la ripartizione delle competenze fra i diversi soggetti pubblici e i rapporti tra questi e i cittadini, secondo i criteri della responsabilità e della tutela dell’affidamento, fatti salvi i poteri sostitutivi previsti dalle norme vigenti.

2. I soggetti pubblici cooperano nella definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali, privilegiando le sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità e le modalità di attuazione, nonché le conseguenze in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

3. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le regioni raggiungono intese con le regioni limitrofe, ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione.

4. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti pubblici, nonché, ai sensi dell’articolo 8, comma 7, fra questi e i cittadini, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l’esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l’attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché alle infrastrutture.

6. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l’attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

7. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso. Lo Stato definisce, d’intesa con le regioni e le province autonome, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio e di base ai fini della pianificazione del territorio.

ART. 6.

(Pianificazione del territorio).

1. Il comune è l’ente preposto alla pianificazione urbanistica ed è il soggetto primario titolare delle funzioni di governo del territorio.

2. Le regioni, nel rispetto delle competenze e funzioni delle province stabilite dalle leggi dello Stato, individuano gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione del territorio, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell’ambito da pianificare, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale e al fine di soddisfare le nuove esigenze di sviluppo urbano, privilegiando il recupero e la riqualificazione dei territori già urbanizzati e la difesa dei caratteri tradizionali. I piani relativi a tali ambiti non possono avere, con esclusione delle sole materie preordinate, un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali. Il piano territoriale di coordinamento, di cui all’articolo 20, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è di competenza delle province, salve diverse previsioni della legge regionale allo scopo di favorire la pianificazione delle aree metropolitane. La regione, con propria legge, in considerazione della specificità di determinati ambiti sovracomunali ed omogenei e in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e di adeguatezza, può disciplinare e incentivare la pianificazione urbanistica intercomunale. Le regioni stabiliscono idonee misure per la compensazione tra comuni limitrofi dei costi sociali generati dalla realizzazione di infrastrutture pubbliche che potrebbero causare squilibri economici o ambientali sul territorio.

3. Il piano urbanistico è lo strumento di disciplina complessiva del territorio comunale e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione o piano di settore o territoriale concernente il territorio medesimo. Esso recepisce le prescrizioni e i vincoli contenuti nei piani paesaggistici, nonché quelli imposti ai sensi delle normative statali in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.

4. Il piano urbanistico privilegia il rinnovo urbano, la ristrutturazione, l’adeguamento del patrimonio immobiliare esistente.

5. Nell’ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale e aree urbanizzabili.

6. Nelle aree destinate all’agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente. Nelle aree urbanizzabili gli interventi di trasformazione sono finalizzati ad assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale.

7. La pianificazione urbanistica è attuata attraverso modalità strutturali e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà . Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione.

ART. 7.

(Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L’entità dell’offerta di servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l’obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati. Nel rispetto di quanto stabilito ai sensi della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, le regioni determinano i criteri di dimensionamento per i servizi che implicano l’esigenza di aree e relative attrezzature.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l’iniziativa dei soggetti interessati.

ART. 8.

(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Le regioni disciplinano il procedimento di formazione, le modalità di approvazione e gli eventuali poteri sostitutivi, la durata e gli effetti dei piani urbanistici e territoriali e delle loro varianti, nonché l’attività edilizia consentita in assenza di piano urbanistico, ovvero nelle more dell’approvazione del piano operativo.

2. Nel procedimento di formazione degli atti di pianificazione sono assicurate adeguate forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali, nonché l’esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l’obbligo di motivazione in merito all’accoglimento o al rigetto delle stesse.

3. Nell’attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio è comunque garantito il contraddittorio degli interessati con l’amministrazione procedente. I soggetti responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell’ambito del procedimento.

4. Le regioni determinano i casi in cui il piano urbanistico è sottoposto a verifica di coerenza con gli strumenti di programmazione economica e con ogni disposizione o piano concernente il territorio, individuando il soggetto responsabile e stabilendone le relative modalità.

5. Le regioni determinano termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

6. Con l’adozione dei piani urbanistici gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni ai piani territoriali o di settore, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L’atto di approvazione del piano urbanistico contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano territoriale o di settore, qualora sulle modifiche sia acquisita l’intesa dell’ente titolare del piano modificato.

7. Gli enti competenti alla pianificazione urbanistica possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei princıpi di imparzialità amministrativa, di trasparenza, di concorrenzialità, di pubblicità e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all’intervento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale, al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.

8. L’ente di pianificazione urbanistica promuove l’adozione di strumenti attuativi che favoriscono il recupero delle dotazioni territoriali di cui all’articolo 7, anche attraverso piani convenzionati stipulati con soggetti privati e accordi di programma.

ART. 9.

(Attuazione del piano urbanistico).

1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L’attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. Il piano urbanistico può essere attuato anche con sistemi perequativi e compensativi secondo criteri e modalità stabiliti dalle regioni.

3. La perequazione si realizza con l’attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese in determinati ambiti territoriali, in percentuale dell’estensione o del valore di esse e indipendentemente dalla specifica destinazione d’uso. I diritti edificatori sono trasferibili e liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali.

4. Anche allo scopo di favorire il rinnovo urbano e la prevenzione di rischi naturali e tecnologici, le regioni possono prevedere incentivi consistenti nella incrementabilità dei diritti edificatori già attribuiti dai piani urbanistici vigenti.

5. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all’indennizzo monetario previsto per la procedura di espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell’area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell’area con area di proprietà dell’ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l’amministrazione per la gestione di servizi.

6. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.

7. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti.

ART. 10.

(Misure di salvaguardia).

1. Le regioni definiscono le misure di salvaguardia che devono essere deliberate nelle more dell’approvazione degli atti di pianificazione.

ART. 11.

(Attività edilizia).

1. Fatte salve le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, le regioni individuano le attività di trasformazione del territorio non aventi rilevanti effetti urbanistici ed edilizi e non soggette a titolo abilitativo. Le regioni individuano altresì le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l’interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire.

2. Le regioni definiscono la disciplina della natura onerosa del permesso di costruire, ivi incluse le ipotesi di esenzione totale o parziale dal pagamento del contributo di costruzione per il perseguimento di finalità sociali, economiche ed urbanistiche.

3. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

4. Gli abusi edilizi sono soggetti alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma la potestà delle regioni di prevedere sanzioni amministrative di natura reale, ripristinatoria, pecuniaria, interdittiva dell’attività edilizia nei confronti dei responsabili degli abusi più gravi.

5. In caso di sostituzione del permesso di costruire con la denuncia di inizio attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.

ART. 12.

(Fiscalità urbanistica).

1. Ai fini dell’avvio delle misure di cui al comma 2, è istituito, a decorrere dall’anno 2006, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Fondo per gli interventi di fiscalità urbanistica, con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2006 e di 20 milioni di euro per l’anno 2007.

2. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per gli interventi in materia urbanistica e per il recupero dei centri urbani, nel rispetto dei seguenti princıpi e criteri direttivi:

a) previsione di agevolazioni in forma di credito d’imposta, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, con riferimento ai trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l’attuazione del piano urbanistico ai sensi dell’articolo 9, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di imposta sul valore aggiunto;

b) possibilità, nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di comuni, di redistribuire l’imposta comunale sugli immobili tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell’area e in relazione alla partecipazione delle singole amministrazioni comunali al consorzio;

c) previsione di una procedura per l’accesso alle agevolazioni di cui alla lettera a) mediante presentazione, da parte dei soggetti interessati, di apposita istanza all’amministrazione finanziaria e successivo esame da parte dell’amministrazione stessa delle istanze secondo l’ordine cronologico di presentazione;

d) possibilità di rideterminazione, anche in riduzione, delle agevolazioni di cui alla lettera a), nonché definizione delle modalità di applicazione delle medesime;

e) previsione dell’obbligo del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di trasmettere una relazione semestrale al Parlamento sull’utilizzo del credito d’imposta, sul numero dei soggetti che se ne sono avvalsi e sulla misura entro la quale ciascun soggetto ne ha fruito.

3. I decreti legislativi di cui al comma 2 sono adottati esclusivamente nel limite delle risorse del Fondo di cui al comma 1 e non possono, in ogni caso, avere efficacia prima della data del 1°ottobre 2006.

4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 2, ciascuno dei quali deve essere corredato di relazione tecnica sugli effetti finanziari delle disposizioni in esso contenute, sono trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario.

5. Entro i trenta giorni successivi all’espressione dei pareri, il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate, esclusivamente con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

6. All’onere derivante dall’attuazione del comma 1, pari a 10 milioni di euro per l’anno 2006 e a 20 milioni di euro per l’anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006- 2008, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2006, l’accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole e forestali e, quanto a 20 milioni di euro per l’anno 2007, l’accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

7. A decorrere dall’anno 2008, al finanziamento del Fondo di cui al comma 1 si provvede ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

8. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

ART. 13.

(Abrogazioni e disposizioni finali).

1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) articoli 1, 4, 7, 18, 29, 35, 42 e 43 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) articolo 2 della legge 6 agosto 1967, n. 765;

c) legge 19 novembre 1968, n. 1187.

2. Le seguenti disposizioni perdono efficacia nel territorio della regione ove questa abbia emanato o emani normative sul medesimo oggetto:

a) articoli 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20, 21, primo comma, 22, 23, 28, 30, 34 e 41-quinquies, commi sesto, ottavo e nono, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;

c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167;

d) decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;

e) articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1968, n. 1187;

f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865;

g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;

h) articoli 27, 28, 29 e 30 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;

i) articoli 6, 8, 16, 17 e 22 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

3. All’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 3 è sostituito dal seguente:

“3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai vincoli e alle destinazioni che il piano deve recepire”;

b) il comma 4 è sostituito dal seguente:

“4. Il vincolo preordinato all’esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato per una sola volta, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1, e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell’ammontare dell’indennità di esproprio dell’immobile, da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo”.

4. All’articolo 20 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, il comma 9 è sostituito dal seguente:

“9. Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, la domanda di permesso di costruire si intende favorevolmente accolta”.

Premessa

Un testo storico, di grande rilevanza culturale: la proposta elaborata dalla Commissione nominata dal Consiglio direttivo nazionale dell’INU, composta da Camillo Ripamonti, Giovanni Astengo, Enzo Cerutti, Gianfilippo Delli Santi, Luigi Piccinato, Giuseppe Samonà e Umberto Toschi: esponenti di una cultura urbanistica che, politicamente, copriva tutta l’area tra liberali di destra, democristiani, socialisti, area comunista. Il Codice dell’urbanistica fu presentato con questo titolo all’VIII Congresso nazionale di urbanistica, Roma 16-18 dicembre 1960. Abbiamo scandito il testo pubblicato in appendice al n. 33, aprile 1961 della rivista Urbanistica; poichè siamo artigiani, il testo è certamente pieno di errori: saremo grati a chi ce li segnalerà.

Fa una strana impressione rileggerlo oggi. Si scopre che – al di là dell’impostazione abbastanza tecnocratica che pervade soprattutto l’ingegneria degli organismi previsti – quel testo è stata la miniera cui hanno attinto tutte le leggi della “piccola riforma” urbanistica faticosamente ottenute negli anni successivi: dal 1962 (aree per l’edilizia residenziale sociale), al 1967-68 (pianificazione urbanistica, standard urbanistici, oneri di urbanizzazione, lottizzazioni convenzionate), al 1971 (intervento pubblico nell’edilizia, espropriazioni), al 1977 (oneri di concessione, programma pluriennale di attuazione) e al 1978 (piani di recupero). Poi cominciò la controriforma, che prosegue.

PROPOSTA DI LEGGE GENERALE

PER LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA

Sommario

Principi generali

Titolo I - Ordinamento amministrativo statale, regionale e locale della pianificazione

Titolo II - Programma nazionale e programmi regionali

Titolo III Pianificazione comprensoriale

Titolo IV - Pianificazione comunale

Titolo V - Attuazione dei piani comunali

Titolo VI - Norme regolatrici dell’attività costruttiva edilizia

Titolo VII - Disposizioni finali

Titolo VIII - Disposizioni transitorie.

Art. 1 - Principi generali.

La previsione e il coordinamento nel tempo e nello spazio degli interventi pubblici sul territorio e delle destinazioni d’uso del suolo, la disciplina urbanistica e la propulsione degli interventi privati su di esso si realizzano con la formazione e l’attuazione di programmi a lungo e medio termine e di piani generali ed esecutivi.

TITOLO I

ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO STATALE, REGIONALE E LOCALE DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 2 - Comitato Nazionale di Pianificazione.

Tutti gli investimenti pubblici sul territorio devono essere periodicamente predisposti e coordinati secondo le previsioni di un programma nazionale a lungo termine, formulato da un Comitato di Ministri e rappresentanti regionali.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, è formato dai Ministri del Bilancio, Finanza e Tesoro, Industria e Commercio, Agricoltura, Partecipazioni Statali, Lavoro e Previdenza Sociale, Lavori Pubblici, Pubblica Istruzione, Trasporti, Sanità, Turismo e Difesa. Ne fanno parte, altresì, con voto consultivo, i Presidenti delle Regioni.

Esso ha il compito di definire ed aggiornare le linee programmatiche a lungo termine della politica economica e degli interventi di interesse nazionale sul territorio, di indicare le linee fondamentali del loro coordinamento in sede regionale, di formulare il programma annuale degli investimenti statali, di proporre l’inserimento nel bilancio dello Stato degli stanziamenti ad essi relativi, di esaminare ed approvare i programmi delle singole Regioni e di vigilare sulla loro attuazione.

Art. 3 - Consiglio Tecnico Centrale.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione è affiancato da un Consiglio Tecnico Centrale per la pianificazione urbanistica, presieduto dal Ministro dei LL.PP. e costituito da una rappresentanza dei Consigli Superiori dei vari Ministeri, di cui all’art. 2, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e delle Associazioni Nazionali delle Province e dei Comuni ed integrato da esperti, fra cui non meno di sei architetti ed ingegneri urbanisti.

Il Consiglio Tecnico Centrale effettua gli studi e le ricerche di carattere economico ed urbanistico del territorio nazionale occorrenti al Comitato Nazionale di Pianificazione per la formazione delle linee programmatiche di cui al precedente articolo, procede all’istruttoria ed all’esame tecnico dei programmi e dei piani sottoposti all’ approvazione del Comitato Nazionale di Pianificazione, ed esprime il proprio parere nei casi previsti dalla presente legge

Art. 4 - Organo di Pianificazione Regionale

In ciascuna Regione elencata nell’art. 131 della Costituzione è istituito, con decreto del Presidente della Regione, un Organo di Pianificazione Regionale.

Esso ha il compito di formare il programma ed il piano d’insieme degli interventi su tutto il territorio regionale individuare il perimetro dei comprensori di Pianificazione territoriale e di definirne il carattere, di proporre all’Assemblea Regionale le leggi istitutive dei relativi Enti Comprensoriali di pianificazione territoriale, di esaminare coordinare i programmi ed i piani degli Enti Comprensriali e locali e di vigilarne l’attuazione.

Le funzioni attribuite dalla presente legge ad organi rappresentanze regionali sono demandate, nelle Regioni non costituite con statuto ordinario o speciale e finchè non lo siano, a Consorzi obbligatori fra le Province da fomarsi entro 6 mesi dalla promulgazione della presente legge, mentre l’emanazione dei relativi decreti o provvedimenti legislativi spetta al Presidente della Repubblica. La pubblicazione ne è fatta sulla Gazzetta Ufficiale

Art. 5 - Composizione dell’Organo di Pianificazione Regionale.

L’Organo di Pianificazione Regionale è formato:

a) dagli assessori regionali o, in mancanza, dai presidenti delle Provincie;

b) dal Provveditore regionale alle OO. PP., dai Soprintendenti ai Monumenti della Regione e da un rappresentante di ognuno degli altri Ministeri facenti parte del Comitato Nazionale di Pianificazione;

c) da due architetti o ingegneri urbanisti, designati dalla Regione su proposta dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.

Istituiti gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale, i relativi presidenti sono chiamati a fare parte dell’Organo di Pianificazione Regionale della Regione cui appartengono.

L’Organo di Pianificazione Regionale è presieduto dal Presidente della Regione. Esso istituisce un ufficio tecnico esecutivo e può avvalersi dalla consulenza anche continua di esperti per la redazione dei programmi e dei piani.

Art. 6 - Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale.

Gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale sono Enti di diritto pubblico, istituiti dall’Assemblea Regionale ed interessanti ciascuno il territorio di un gruppo di Comuni. Organi dell’Ente Comprensoriale sono

1. - un’assemblea formata da:

a) non meno di sette consiglieri provinciali, di cui almeno due rappresentanti di minoranza, designati dalle Provincie interessate;

b) non meno di quindici rappresentanti dei Comuni interessati, eletti dai Consigli comunali in base a criteri di proporzionalità, che saranno stabiliti nella legge istitutiva;

c) un rappresentante per ognuno dei Ministeri dei LL.PP., dei Trasporti, dell’Agricoltura, dell’Industria, della Pubblica Istruzione e del Turismo, designati dai rispettivi Ministeri;

d) un rappresentante della Camera di Commercio interessata.

L’assemblea elegge il suo Presidente tra i rappresentanti dei Comuni facenti parte dell’assemblea stessa.

2. - Un organo tecnico esecutivo, formato da un urbanista, direttore dell’ufficio di pianificazione comprensoriale, nominato dall’Organo di Pianificazione Regionale e da non meno di due tecnici laureati, scelti dall’assemblea fra quelli proposti dal direttore.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale si avvale della consulenza e dell’opera di esperti esterni: urbanisti, economisti, sociologi, geografi, funzionari comunali e provinciali ecc., designati dall’assemblea. La sede dell’Ente è presso la residenza comunale del Presidente.

Art. 7 - Compiti degli Enti Comprensoriali.

Gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale sono sottoposti alla vigilanza e tutela della Regione, nei modi stabiliti dalla legge istitutiva. Essi hanno il compito di realizzare la cooperazione fra le Amministrazioni pubbliche locali e decentrate dello Stato, ai fini della pianificazione del territorio comprensoriale; di fissare, in base alle direttive regionali, i programmi a lungo termine; di formare i piani regolatori territoriali e di promuovere la formazione dei Consorzi per la loro attuazione; di coordinare e controllare l’attività urbanistica comunale; di formulare periodicamente agli Organi regionali criteri e proposte per l’aggiornamento ed il perfezionamento delle direttive programmatiche. I perimetri della giurisdizione degli Enti Comprensoriali possono essere modificati dalla Assemblea Regionale su proposta dell’Organo di Pianificazione Regionale o degli stessi Enti interessati.

TITOLO II

PROGRAMMA NAZIONALE E PROGRAMMI REGIONALI

Art. 8 - Funzionamento e bilancio.

Le modalità per il funzionamento dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e per il suo finanziamento, con congruo apporto degli Enti rappresentati nell’assemblea, e per la formazione del relativo bilancio saranno stabilite dalla stessa legge istitutiva.

Art. 9 - Programma annuale degli investimenti statali.

Il programma annuale degli investimenti statali sul territorio nazionale ha il carattere di un quadro di insieme articolato per Regioni e per settori, che dovrà essere annualmente predisposto dal Comitato Nazionale di Pianificazione, sentito il proprio Consiglio Tecnico Centrale, in base alle linee programmatiche a lungo termine e sulla scorta dei programmi regionali.

Esso è sottoposto all’approvazione del Parlamento unitamente al bilancio dello Stato. I singoli dicasteri interessati a programmi di intervento sul territorio nazionale dovranno coordinare ed adeguare i propri bilanci, e quindi la dimensione ed il carattere degli interventi, alle linee del programma nazionale anche in sede regionale e locale.

Art. 10 - Programmi e piani regionali.

In relazione alle direttive del programma nazionale e sentiti gli Enti Comprensoriali, l’Organo di Pianificazione Regionale formula nel programma regionale le previsioni generali degli investimenti pubblici, in relazione ai fabbisogni per settore ed all’utilizzazione delle risorse, e traccia in un piano le grandi linee della trasformazione del territorio regionale con la successione degli interventi ed il coordinamento delle fasi di attuazione.

Art. 11 - Approvazione dei programmi e dei piani regionali.

Il programma regionale ed il piano degli interventi, entro un anno dall’istituzione dell’Organo di Pianificazione Regionale, sono sottoposti all’adozione dell’Assemblea Regionale ed entro i 3 mesi successivi trasmessi al Comitato Nazionale di Pianificazione per l’approvazione.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, entro i 6 mesi successivi, emana il decreto di approvazione con gli eventuali emendamenti.

Programma e piano sono annualmente aggiornati dall’Organo di Pianificazione Regionale e presentati all’Assemblea Regionale ed al Comitato Nazionale di Pianificazione con la stessa procedura.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, sentiti gli Organi di Pianificazione Regionale, emanerà disposizioni generali per la formazione tecnica dei programmi e dei piani alla scala regionale.

TITOLO III

PIANIFICAZIONE COMPRENSORIALE

Art. 12 - Programma poliennale.

Il programma poliennale, stabilito di norma per un decennio dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, contiene per tutto il territorio comprensoriale:

a) l’indirizzo generale per le fondamentali operazioni di trasformazione e di salvaguardia del territorio e degli insediamenti urbani e per lo sviluppo e la propulsione delle principali attività economiche, pubbliche e private;

b) le previsioni sull’ampiezza, la distribuzione territoriale e la successione . degli investimenti ed interventi statali, regionali e degli enti locali;

c) la suddivisione del territorio comprensoriale ai fini della formazione di piani regolatori territoriali, in relazione al programma degli investimenti pubblici, con l’indicazione in prima approssimazione dei caratteri e degli scopi di tali piani e dell’ordine di urgenza della loro formazione ;

d) l’elenco dei Comuni obbligati alla formazione dei piani comunali e l’ordine d’urgenza della loro formazione in relazione ai corrispondenti piani regolatori territoriali.

Art. 13 - Formazione e approvazione.

Il programma poliennale dei comprensori deve essere formato entro un anno dall’istituzione dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e sottoposto all’esame dell’Organo di Pianificazione Regionale che lo propone all’approvazione del Presidente della Regione, che lo sancisce con proprio decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale Regionale.

Esso è annualmente aggiornato ed integrato in stretta collaborazione con l’Organo di Pianificazione Regionale, tenendo conto dei piani di investimento annuale del Comitato Nazionale di Pianificazione.

Coll’aggiornamento annuale il programma poliennale viene prorogato nella sua scadenza di anno in anno.

Art. 14 - Piani regolatori territoriali.

Il programma poliennale approvato si attua mediante piani regolatori territoriali.

Essi sono formati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, in collaborazione con tutti i Comuni interessati, salvo i disposti dell’art. 28.

L’Ente Comprensoriale mediante il piano regolatore territoriale:

1. - fissa le principali destinazioni d’uso del territorio;

2. - individua e localizza le conseguenti opere pubbliche egli interventi di trasformazione e di sviluppo;

3. - promuove le opere di miglioramento fondiario e di razionale coltivazione del suolo e fissa i criteri per la suddivisione o ricomposizione particellare del suolo in unità poderali;

4. - coordina e adegua l’attività degli Enti di riforma e bonifica agraria e ne promuove l’iniziativa nelle zone suscettibili di valorizzazione;

5. - promuove e coordina le iniziative per la formazione di zone industriali, ne indica ubicazione e dimensione, determinando l’applicazione delle agevolazioni di carattere fiscale, in base ai criteri generali della distribuzione regionale delle iniziative industriali, private e di partecipazione statale, forniti dall’Organo di Pianificazione Regionale;

6. - attribuisce l’attuazione degli interventi agli Organi statali ed agli Enti locali e ne fissa l’ammontare in base ad una previsione di larga massima dei costi delle opere, da allegare al piano;

8. - sovrintende alla formazione dei piani comunali per i Comuni obbligati alla loro redazione ed all’adeguamento di quelli esistenti, ne enuclea le linee programmatiche di insieme, e fissa i tempi delle varie operazioni. Il piano regolatore territoriale è formato da rappresentazioni cartografiche, da norme di attuazione e da una relazione esplicativa.

Art. 15 - Adozione ed approvazione dei piani regolatori territoriali.

I piani regolatori territoriali e i loro aggiornamenti sono adottati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e, dopo il parere dell’Organo di Pianificazione Regionale, posti in pubblicazione per giorni 30 negli albi della Regione e delle Provincie e Comuni interessati. Entro i 30 giorni successivi, le Amministrazioni pubbliche e gli Enti morali hanno facoltà di presentare osservazioni all’Ente Comprensoriale il quale, nei successivi 90 giorni, formula le controdeduzioni e trasmette il tutto all’Organo di Pianificazione Regionale.

L’Organo di Pianificazione Regionale, qualora confermi il proprio parere favorevole sul piano, lo sottopone all’approvazione del Presidente della Regione.

In caso di parere negativo rinvia il piano all’Ente Comprensoriale per gli emendamenti.

Il piano emendato dovrà essere riadottato e ripubblicato secondo la precedente procedura.

Dalla data dell’adozione fino a quella del decreto di approvazione non è consentita alcuna costruzione, trasformazione o lottizzazione in contrasto con le prescrizioni del piano adottato.

Art. 16 - Validità dei piani regolatori territoriali; controllo dell’Ente Comprensoriale.

Prescrizioni e vincoli del piano regolatore territoriale hanno validità a tempo indeterminato e carattere di obbligatorietà per tutte le Amministrazioni centrali e locali e per i privati.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale ne coordina e vigila l’attuazione nel tempo e nello spazio e promuove la formazione di Consorzi misti tra Comuni, Provincie, Regioni e Stato, ai fini della realizzazione di determinati interventi ed opere di comune interesse, comprese quelle per la valorizzazione agricola e lo sviluppo industriale.

Eventuali varianti al piano regolatore territoriale devono essere preventivamente autorizzate dall’Organo di Pianificazione Regionale e sono formate ed approvate seconde la procedura stabilita per i piani regolatori territoriali

Art. 17 - Piani assorbiti dal piano regolatore territoriale.

Tutti i programmi e piani di intervento vigenti all’atto di entrata in vigore della presente legge, quali i piani regolatori comunali generali e particolareggiati, quelli di tu tela ambientale e paesistica, di riforma agraria, di bonifica di sviluppo industriale, di viabilità a carattere statale, regionale, provinciale e comunale, approvati o in corso di elaborazione, saranno assorbiti dal piano regolatore territoriale con gli eventuali opportuni adeguamenti.

TITOLO IV PIANIFICAZIONE COMUNALE

Sezione 1 - Piano generale

Art. 18 - Piano comunale generale.

Il piano comunale generale disciplina l’intero territorio comunale e consta di due elementi: un piano d’insieme e un piano di trasformazione e di sviluppo.

Art. 19 - Piano d’insieme:

Il piano d’insieme, esteso a tutto il territorio comunale., contiene obbligatoriamente:

a) le indicazioni per l’espansione del capoluogo e degli altri centri abitati, oltrechè per l’eventuale formazione di nuovi insediamenti, in rapporto alle varie esigenze di carattere storico-ambientale e paesistico, demografiche ed economiche del Comune e del territorio circostante;

b) le indicazioni per le soluzioni di viabilità principale in collegamento con la viabilità regionale;

c) le indicazioni per la valorizzazione del territorio agricolo e per lo sviluppo industriale e per i nuovi impianti ad esso relativi, in connessione con i programmi comprensoriali e con le prescrizioni dei corrispondenti piani regolatori territoriali formati o in formazione;

d) le modalità di compartecipazione del Comune ai Consorzi di cui all’articolo 16.

Art. 20 - Adozione ed approvazione del piano d’insieme.

II piano d’insieme è deliberato dal Consiglio comunale entro un anno dall’approvazione del programma poliennale del comprensorio e trasmesso per l’approvazione all’Organo di Pianificazione Regionale per il tramite e sentito il parere dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale.

L’Organo di Pianificazione Regionale, constatato che i criteri del piano d’insieme corrispondono a quelli dei programmi regionali e comprensoriali, convalida i principi in esso contenuti e dispone che il Comune completi il piano generale con la formazione del corrispondente piano di trasformazione e di sviluppo degli insediamenti.

Art. 21 - Piano di trasformazione e di sviluppo.

Il piano di trasformazione e di sviluppo, esteso a tutti gli insediamenti ed attrezzature di qualunque tipo compresi nel territorio comunale, stabilisce e contiene obbligatoriamente:

a) la destinazione d’uso del suolo per le aree urbanizzate e da urbanizzare con i relativi caratteri ,e vincoli;

b) le attrezzature e gli impianti di uso pubblico e la loro ubicazione;

c) la rete delle comunicazioni;

d) la indicazione di immobili singoli e di zone a carattere storico-ambientale e paesistico, distinguendoli in immobili e zone soggette a vincolo di intangibilità, e suscettibili di parziali trasformazioni con particolari vincoli, ivi compreso il risanamento conservativo, ed i relativi elenchi catastali;

e) la suddivisione del territorio interessato in zone soggette ad obbligatoria formazione di piani esecutivi, il loro carattere e la successione in relazione all’ordine di priorità;

f) lo stato di previsione di larga massima dei costi per la realizzazione del piano, per quanto compete agli investimenti pubblici e l’indicazione della presumibile partecipazione dell’iniziativa privata alle operazioni di espansione, risanamento e rinnovamento urbano;

g) le norme di attuazione del piano;

h) una relazione generale esplicativa dei criteri e delle soluzioni adottate.

Art. 22 - Adozione del piano comunale generale.

Il piano comunale generale, comprensivo dello stato di previsione dei costi e delle norme di attuazione, elaborato di concerto con gli Enti pubblici interessati facenti parte dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e dell’Organo di Pianificazione Regionale, oltrechè con gli Enti ed Istituti per l’edilizia popolare e sovvenzionata, è adottato dal Consiglio comunale entro un anno dall’autorizzazione data dall’Organo di Pianificazione Regionale a norma dell’articolo 20.

Art. 23 - Pubblicazione, osservazioni e controdeduzioni.

Il piano adottato è integralmente posto in pubblicazione per giorni 30 e nei 30 giorni successivi saranno raccolte le osservazioni di carattere generale presentate da Enti e da privati e le opposizioni relative agli elenchi catastali di cui all’art. 21 d).

Alle osservazioni presentate il Comune controdeduce con deliberazione consigliare. Entro 6 mesi dalla data di adozione, il piano, unitamente alle controdeduzioni, è trasmesso dal Sindaco all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale che, dopo averlo esaminato, in relazione anche al corrispondente piano regolatore territoriale, lo sottopone, congiuntamente a questo, all’Organo di Pianificazione Regionale, non oltre i 6 mesi dal ricevi. mento di esso.

Art. 24 - Approvazione:

L’Organo di Pianificazione Regionale, esaminato il piano comunale generale e constatata la rispondenza al relativo piano regolatore territoriale ed ai programmi di sviluppo regionale, esprime il giudizio di merito e, in caso di parere favorevole, sottopone il piano all’approvazione del Presidente della Regione. L’Organo di Pianificazione Regionale ha facoltà di respingere il piano o di stralciarne delle porzioni da rinviare, per emendamento, ai Comuni.

Gli emendamenti saranno successivamente adottati, pubblicati ed approvati con la stessa procedura del piano. Nel caso in cui i piani comunali generali non ricadano in territorio dotato di piano regolatore territoriale formato, l’Organo di Pianificazione Regionale li esamina ponendoli in relazione alle indicazioni di prima approssimazione, relative ai piani stessi, contenute nel programma comprensoriale poliennale, secondo il disposto del comma c) dell’articolo 12.

Qualora in sede di Organo di Pianificazione Regionale il giudizio di merito sul piano non raggiunga una maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea, o su ricorso, avverso il deliberato dell’Ordine di Pianificazione Regionale, presentato dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale od anche da Associazioni nazionali a carattere culturale erette in Ente morale, il piano deve essere sottoposto al parere del Consiglio Tecnico Centrale. Il Consiglio Tecnico Centrale, entro 60 giorni dal ricevimento di esso, esprime il proprio parere, che ha carattere vincolante per l’Organo di Pianificazione Regionale, il quale predispone l’approvazione secondo le modalità dei commi precedenti.

Art. 25 - Validità dei piani comunali generali; vincoli su immobili; decadenza di licenze e di lottizzazioni in contrasto; varianti.

Le Amministrazioni comunali delle città, che per la loro dimensione e per la dinamica dei fenomeni demografici ed economici investono e caratterizzano un intorno che si estende notevolmente oltre i confini comunali, possono richiedere all’Organo di Pianificazione Regionale la costituzione di un Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, esteso a tutto il territorio interessato.

Di analoga facoltà possono fruire gruppi di Comuni che ne facciano collegialmente motivata domanda. In ogni caso, l’Organo di Pianificazione Regionale, istruite le domande, si pronuncia inappellabilmente su di esse entro il termine di sei mesi.

Le prescrizioni del piano generale hanno validità tempo indeterminato e carattere di obbligatorietà per tutte le Amministrazioni centrali, ivi comprese quelle demaniali, per le locali e per i privati.

I vincoli relativi alla conservazione degli immobili di carattere storico ed ambientale e paesistici, sono notificati dal Comune ai singoli proprietari entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto di approvazione sul Bollettino ufficiale della Regione e trascritti, nei successivi 30 giorni, nei registri immobiliari.

Le licenze edilizie e di lottizzazione e le altre concessioni e autorizzazioni materia edilizia comunque rilasciate dai Comuni prima dell’approvazione dei piani comunali generali, se ed in quanto in contrasto con questi, decadono dalla data dell’approvazione stessa.

Le eventuali varianti al piano devono essere preventivamente autorizzate dall’Organo di Pianificazione Regionale su proposta dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, in relazione a mutate esigenze nell’ambito territoriale; esse devono essere formate ed approvate secondo la stessa procedura stabilita per il piano comunale generale.

Art. 26 - Norme di salvaguardia.

Dalla convalida rilasciata a norma dell’art. 20 dall’Organo di Pianificazione Regionale sul piano d’insieme e fino al decreto presidenziale di approvazione del piano generale, non potranno essere rilasciate licenze per trasformazioni e costruzioni in contrasto con le previsioni del piano in progetto.

Analogo divieto è operante anche nelle zone stralciate a norma dell’art. 24.

Art. 27 - Provvedimenti economici e finanziari.

L’Organo di Pianificazione Regionale, in base allo stato di previsione dei costi per i piani in tutto o in parte approvati, invia annualmente al Comitato Nazionale di Pianificazione l’elenco delle opere pubbliche che ritiene debbano effettuarsi, indicandone i costi presunti e l’ordine di priorità.

Il Comitato Nazionale inserisce annualmente. nel bilancio dello Stato, le spese a carico dei Ministeri interessati, emana disposizioni per gli stanziamenti a carico degli Enti o Società a partecipazione statale, e stabilisce un fondo di anticipazioni e contributi per la realizzazione dei piani e lo ripartisce per Regioni, Comprensori e Comuni.

Art. 29 - Piani esecutivi; obbligatorietà.

I piani comunali generali, là dove prevedano trasformazioni d’uso per espansioni, per risanamento o per altri interventi, si attuano esclusivamente a mezzo dei piani esecutivi nel quadro del programma di attuazione redatto dai Comuni interessati a norma del successivo art. 30.

Art. 30 - Programma di attuazione.

Entro due mesi dal decreto di approvazione del piano generale, il Consiglio comunale delibera il programma di attuazione, per la durata del suo periodo amministrativo, in conformità ai disposti del piano generale e in base alle proprie risorse ed agli stanziamenti, alle anticipazioni ed ai contributi assegnatigli, e ne inserisce le previsioni nel bilancio comunale.

Il programma comprende essenzialmente:

a) l’indicazione dei piani esecutivi formati o da formare., da attuarsi in tutto o in parte nel periodo amministrativo ;

b) l’elenco e la distribuzione di tutte le opere, le attrezzature e gli impianti pubblici da realizzare o da iniziare nel detto periodo;

c) la specificazione delle aree da acquisire per le trasformazioni previste dal piano generale e da quelli esecutivi e, in particolar modo, delle aree destinate ad edilizia popolare e sovvenzionata e di quelle per la formazione del patrimonio immobiliare comunale di cui all’art. 47.

Art. 31 - Approvazione e aggiornamenti del programma di attuazione.

Il programma di attuazione è operante quando abbia ottenuto dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale il parere di conformità al piano generale.

Esso può essere annualmente integrato e revisionato con le stesse modalità.

A ciascun rinnovo di Amministrazione, il Consiglio comunale, entro due mesi dal suo insediamento, delibera il programma di attuazione per il proprio periodo amministrativo.

Sezione 2° - Piani esecutivi

Art. 32 - Piani esecutivi; principi generali.

Il piano esecutivo contiene tutte le prescrizioni tecniche per l’utilizzazione del suolo con le specificazioni planimetriche e volumetriche degli edifici, i progetti di massima delle opere e delle attrezzature pubbliche, e quanto altro necessario alla disciplina edilizia, oltrechè il piano finanziario di attuazione.

A seconda delle finalità, i piani esecutivi possono caratterizzarsi in piani di espansione, di trasformazione o di risanamento.

L’approvazione del piano esecutivo, a norma dei successivi articoli, comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da eseguire entro i termini di tempo in esso fissati. Le prescrizioni del piano esecutivo relative alle trasformazioni d’uso ed i vincoli sulla proprietà immobiliare hanno validità a tempo indeterminato. Le aree destinate ad attrezzature pubbliche saranno acquisite dalle Amministrazioni interessate entro i tempi previsti dal piano finanziario.

A. Piani esecutivi di espansione e di trasformazione.

Art. 33 - Piani esecutivi di espansione.

1 piani esecutivi di espansione riguardano le zone di ampliamento dei centri abitati ed i nuovi insediamenti. Essi contengono:

a) la rappresentazione planimetrica ed altimetrica dello stato di fatto catastale;

b) il tracciato della rete stradale pubblica, comprensiva del piano viario, dei posteggi, delle canalizzazioni, dell’arredo di superficie ecc., i progetti di massima degli edifici pubblici e la specificazione delle zone a verde;

c) la caratterizzazione delle ione residenziali, con la eventuale suddivisione in comparti e lotti di edificazione o di trasformazione, ivi compresi quelli riservati all’edilizia popolare e sovvenzionata, con la rispettiva attribuzione di volumi e con la specificazione delle opere di urbanizzazione primaria (strade residenziali, passaggi pedonali, piazzuole, fognatura, acquedotto, illuminazione pubblica ecc.);

d) la caratterizzazione planivolumetriea ed architettonica delle zone direzionali e dei centri civici di nuovo impianto e le modalità per l’utilizzazione di aree edificate da trasformare per tale destinazione;

e) la caratterizzazione delle zone industriali, comprendente essenzialmente la suddivisione in lotti con i relativi vincoli, come l’indicazione del tipo di industria e gli inombri massimi planivolumetrici degli stabilimenti, oltrehè la specificazione degli edifici di servizio generale alla zona stessa;

f) un quadro dei tempi di attuazione suddiviso in periodi amministrativi;

g) l’indicazione dei progetti esecutivi di tutti gli edifici, delle attrezzature e degli impianti pubblici da eseguire nel periodo amministrativo in corso;

h) l’elenco delle proprietà vincolate dal piano, o dal Ministero della Pubblica Istruzione a norma dell’art. 77, ai fini della tutela dell’ambiente e del paesaggio;

i) il piano dell’eventuale ricomposizione particellare e delle rettifiche dei confini;

l) il piano finanziario esecutivo di tutte le opere del periodo amministrativo in corso e quello di massima dei periodi successivi;

m) le norme particolareggiate di attuazione;

n) una relazione esplicativa di tutti i punti precedenti.

Il piano esecutivo, al subentro di un nuovo Consoglio comunale, è integrato con l’indicazione dei progetti esecutivi di cui al comma 1) e con il piano finanziario esecutivo per il successivo periodo amministrativo.

Art. 34 - Piani esecutivi di trasformazione.

I piani esecutivi di trasformazione concernono le zone urbane non contemplate negli artt. 33 e 35., e che il piano comunale generale destina a trasformazione, sia per ragioni di risanamento igienico-edilizio, sia per diversa destinazione d’uso con ristrutturazione planivolumetriea.

Essi contengono

a) l’indicazione planivolumetriea dello stato di fatto con le indicazioni catastali e dei vincoli esistenti;

b) il piano d’insieme planivolumetrieo delle trasformazioni, con le destinazioni d’uso;

c) il progetto della rete viaria e dell’arredo stradale, compresi autoposteggi ed autorimesse;

d) il progetto della rete di impianti;

e) il progetto dei giardini pubblici e l’indicazione di quelli privati;

f) l’eventuale suddivisione della zona in comparti e l’indicazione di quelli per i quali è obbligatoria la formazione di consorzi tra i proprietari con l’elenco dei medesimi;

g) il piano delle eventuali ricomposizioni particellari e rettifiche di confine;

h) l’elenco delle proprietà vincolate ai fini della tutela dell’ambiente e del paesaggio;

i) il piano finanziario;

l) le norme tecniche e i tempi di attuazione;

m) una relazione esplicativa di tutti i punti precedenti.

B. Piani esecutivi di risanamento conservativo.

Art. 35 - Definizione.

I piani di risanamento conservativo riguardano le zone storico-ambientali intangibili o suscettibili di parziali tra. sformazioni con gli speciali vincoli di cui all’art. 21, d).

Art. 36 - Contenuto.

Il piano di risanamento conservativo consta di

a) una relazione programmatica, accompagnata da grafici, compilata a cura della commissione di esperti, di cui all’art. 37, e preventivamente approvata dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale;

b) la planimetria catastale d’insieme con l’indicazione dei vincoli esistenti;

c) il rilievo dello stato di fatto di tutti gli edifici compresi nella zona interessata dal piano, alla scala non inferiore ad 1:200;

d) il piano d’insieme delle trasformazioni, alla scala non inferiore ad 1:200., contenente:

1. l’indicazione delle opere di consolidamento delle strutture essenziali;

2. le modalità di restauro interno ed esterno degli elementi originari;

3. l’eliminazione delle sovrastrutture recenti dannose all’ambiente ed all’igiene;

4. la ricomposizione delle unità immobiliari per miglioramento funzionale ed igienico-edilizio;

5. le demolizioni;

6. la sistemazione a terra degli spazi liberi;

e) la distribuzione delle destinazioni d’uso per le aree inedificate e per gli immobili nella zona risanata, con particolare riguardo alle pubbliche attrezzature che possono essere ospitate in edifici storico-ambientali ;

f) il progetto dell’arredo stradale, della rete degli impianti e dell’illuminazione pubblica;

g) l’eventuale piano di rifusione particellare;

h) l’eventuale formazione di consorzi obbligatori;

i) l’elenco catastale degli edifici vincolati dal piano ad intangibilità e delle aree non edificabili;

l) il piano finanziario delle opere pubbliche suddiviso per quadrienni;

m) le norme tecniche ed i tempi di attuazione secondo una graduatoria d’urgenza.

Art. 37 - Commissione regionale di esperti.

Il risanamento conservativo è programmato e diretto da una commissione di esperti, nominata dall’Organo di Pianificazione Regionale, e comprendente:

- il Soprintendente ai Monumenti, Presidente;

- due urbanisti, di cui uno docente universitario ;

- un docente di storia dell’arte o dell’architettura;

- un igienista;

con il compito di definire i caratteri, i limiti ed i tempi di elaborazione dei singoli piani di risanamento conservativo.

Ognuno di tali piani è elaborato da uno o più architetti o ingegneri scelti dal Consiglio comunale su proposta della commissione di esperti.

Art. 38 - Obblighi e facoltà dei proprietari.

Entro i tempi fissati dalla notifica secondo la graduatoria d’urgenza di cui all’art. 36, m), i proprietari degli immobili compresi nel piano di risanamento conservativo e gli eventuali consorzi obbligatori dovranno presentare al Comune il progetto esecutivo di risanamento eseguito secondo le prescrizioni notificate e corredate dalle stime del valore degli immobili prima e dopo la trasformazione e dei costi di trasformazione.

È in facoltà dei proprietari o dei consorziati richiedere, entro 60 giorni dalla notifica, la compilazione d’ufficio del progetto esecutivo, da parte di progettista scelto dalla commissione di esperti, e di proporre, entro lo stesso termine, la cessione dei diritti di proprietà.

Trascorso il termine fissato dalla notifica per la presentazione del progetto, per i proprietari che non abbiano provveduto a detta presentazione, il Comune procede d’ufficio alla compilazione del progetto, all’esproprio degli immobili ed all’esecuzione delle opere.

Art. 39 - Commissione di periti.

In ogni comprensorio, l’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale nomina una commissione di periti per la stima degli immobili da risanare.

La commissione è composta da

- il Provveditore regionale alle 00. PP., Presidente;

- l’ingegnere capo del Genio civile;

- l’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Erariale;

- un tecnico designato dalla commissione provinciale delle imposte dirette;

- un ingegnere o architetto designato dagli ordini.

Per ogni tipo di risanamento sono aggregati alla commissione dei periti due ingegneri o architetti designati dall’assemblea dei proprietari che hanno ricevuto notifica, entro 60 giorni da tale data, su convocazione del Comune; in caso di mancata designazione, il Comune procede di ufficio..

Art. 40 - Compiti.

La commissione dei periti ha il compito di accertare il valore dichiarato nelle stime di cui all’art. 38, in base a verifiche eseguite dall’Ufficio Tecnico Erariale per quanto concerne i valori dell’immobile e dal Genio Civile per quanto riguarda i costi di trasformazione.

In tutti i casi in cui la trasformazione comporta una diminuzione di valore rispetto al valore iniziale più i costi di trasformazione, la commissione delibera modalità ed importi per compensare la perdita subita, secondo i disposti dell’articolo seguente.

Art. 41 - Agevolazioni ai privati proprietari.

Sono ammesse le seguenti agevolazioni ai proprietari degli immobili di cui all’articolo precedente:

a) sgravio fiscale dell’immobile trasformato, fino alla durata massima di 30 anni;

b) sgravio totale o parziale dall’imposta sul dazio per i materiali da costruzione occorrenti per la trasformazione;

c) contributi a fondo perso, per i casi in cui la trasformazione comporti una diminuzione di valore o particolari oneri per opere di consolidamento e di restauro in edifici storici o artistici di notevole importanza.

Art. 42 - Ricorso contro le deliberazioni della commissione dei periti.

Tutte le deliberazioni della commissione dei periti sono sottoposte all’approvazione dell’Organo di Pianificazione Regionale; le deliberazioni approvate sono pubblicate sull’albo regionale e di esse è data notizia sui quotidiani locali.

Avverso alle deliberazioni della commissione dei periti è ammesso, entro 30 giorni dalla pubblicazione, il ricorso alla magistratura ordinaria.

Il ricorso non sospende la procedura di trasformazione.

Art. 43 - Ente nazionale per il finanziamento del risanamento conservativo.

Nel termine di un anno dalla promulgazione della presente legge sarà istituito; con apposito provvedimento legislativo, un Ente nazionale per il finanziamento del risanamento conservativo dotato di congrui fondi per l’erogazione di crediti a lungo termine a favore dei Comuni per le operazioni di risanamento conservativo, per le anticipazioni ai privati e per l’erogazione dei contributi a fondo perso di cui all’art. 41, c).

Ai crediti ed ai contributi possono accedere i proprietari di immobili ricadenti in zona soggetta a piano di risanamento conservativ, muniti di licenza di trasformazione e della relativa deliberazione dei periti, e che ne facciano domanda al Comune

C. Approvazione dei piani esecutivi

Art. 44 – Termini

I piani esecutivi sono adottati dal Consiglio comunale e posti in pubblicazione per la durata di 30 giorni. Qualora essi prescrivano obblighi di costituzione di comparti, l’avvenuta pubblicazione sarà notificata ai proprietari interessati entro i primi 10 giorni dalla pubblicazione stessa. Nel termine di 30 giorni dall’avvenuta pubblicazione, i proprietari interessati potranno chiedere al Comune la variazione del perimetro del comparto.

Nel termine dei successivi 30 giorni possono essere presentate osservazioni e opposizioni.

Le osservazioni e le opposizioni, oltrechè le richieste di modifica del perimetro dei comparti, sono trasmesse all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale unitamente alle deduzioni del Comune deliberate in Consiglio comunale.

Art: 45 - Procedura.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, entro e non oltre 30 giorni dal ricevimento delle osservazioni ed opposizioni e delle relative deduzioni comunali, esprime il parere di merito e lo trasmette, assieme al piano, all’Organo di Pianificazione Regionale che entro i successivi 60 giorni delibera l’accoglimento o il rigetto totale o parziale del piano stesso, delle osservazioni ed opposizioni e delle modifiche di perimetro.

Il piano è approvato dal Presidente della Regione con decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale.

Qualora in sede di Organo di Pianificazione Regionale il giudizio di merito sul piano non raggiunga una maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea, o su ricorso, avverso il deliberato dell’Organo di Pianificazione Regionale, presentato dall’Ente Comprensoriale od anche da Associazioni nazionali a carattere culturale erette in Ente morale, il piano deve essere sottoposto al parere del Consiglio Tecnico Centrale. Il Consiglio Tecnico Centrale, entro 60 giorni dal ricevimento di esso, esprime il proprio parere, che ha carattere vincolante per l’Organo di Pianificazione Regionale, il quale predispone l’approvazione secondo le modalità dei commi precedenti.

I vincoli imposti dai piani esecutivi sono notificati dal Comune ai singoli proprietari entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto di approvazione sul Bollettino Ufficiale della Regione.

I piani esecutivi di risanamento conservativo, oltrechè all’Albo comunale, saranno pubblicati contemporaneamente, per uguale periodo, agli Albi provinciale e regionale. Per essi l’Organo di Pianificazione Regionale, prima di proporli all’approvazione del Presidente della Regione, dovrà sentire il parere del Consiglio Tecnico Centrale.

I vincoli relativi alla conservazione degli edifici di carattere storico ed ambientale e quelli paesistici sono trascritti a cura del Comune nei registri immobiliari entro 30 giorni dalla notifica.

D. Lottizzazione

Art. 46 – Piani di lottizazione.

Nei Comuni dotati di piano generale possono essere presentati, dagli interessati, progetti di oottizzazione limitatamente alle zone di espanzione indicate dal piano. Il progetto di lottizzazione ha, in tal caso, le stesse caratteristiche tecniche dei piani esecutivi previsti per dette zone ed è approvato con le stesse procedure..

Nei Comuni sprovvisti di piano generale comunale, il frazionamento di aree a scopo di trasformazione d’uso è subordinato alla formazione di un piano di lottizzazione, conforme alle indicazioni del relativo piano regolatore territoriale vigente o in formazione. Esso consta di:

a) un grafico dimostrante l’ubicazione della lottizzazione ed il suo inserimento nel P.R.T.;

b) un piano planivolumetrico comprensivo delle opere edilizie con la loro destinazione, della rete stradale e degli impianti primari;

c) una relazione indicativa dei costi delle opere di urbanizzazione e dei tempi di attuazione.

Il piano di lottizzazione deve essere redatto da un architetto o ingegnere; esso è un piano esecutivo a tutti gli effetti e segue la procedura di approvazione dei piani esecutivi.

TITOLO V

ATTUAZIONE DEI PIANI COMUNALI

Art. 47 - Patrimonio comunale di aree.

Il Comune forma, in base al piano e conformemente ai programmi di attuazione, un patrimonio comunale di aree da urbanizzare, destinandovi obbligatoriamente un’aliquota dei contributi concessigli in base all’art. 27, fissata nello stesso decreto di concessione.

Al medesimo fine deve essere investita un’aliquota delle somme a qualunque titolo rivenienti al Comune dalla attuazione del piano.

Realizzata l’urbanizzazione, il Comune può cedere il diritto di superficie dei lotti edificabili ad Enti e privati che si impegnino a realizzare l’edificazione secondo le prescrizioni del piano. Può altresì cederne la proprietà nei casi previsti dagli artt. 58 e 60.

Art. 48 - Cessione gratuita di aree da parte dei privati. Assunzione dei costi di urbanizzazione. primaria.

Nelle zone di espansione entro il perimetro di ciascun piano esecutivo grava sul complesso delle proprietà, escluse quelle vincolate a carattere monumentale o paesistico. l’obbligo di cessione gratuita al Comune di un’aliquota del 30% dell’area totale per le attrezzature pubbliche (articolo 33, b), mentre le spese per quella parte di esse che costituisce urbanizzazione primaria (art. 33, c) gravano sulle aree edificatorie interessate.

L’esecuzione di dette opere può essere fatta dal Comune stesso con rimborso rateato delle relative spese, oppure essere dal Comune affidata ai proprietari singoli, o riuniti in consorzio, mediante convenzione.

Art. 49 - Consorzi coattivi per l’attuazione del piano esecutivo.

I comparti di cui agli articoli precedenti costituiscono unità comprensive di aree destinate all’edificazione, alla viabilità ed alle altre indispensabili attrezzature pubbliche e degli eventuali edifici e manufatti esistenti.

I proprietari di tutte le aree ed edifici ricadenti nel comparto, sono tenuti a costituirsi in consorzio per l’attuazione del piano, compresa la realizzazione e la manutenzione delle relative opere di urbanizzazione primaria.

Entro i 45 giorni successivi alla notificazione di cui all’art. 44, i consorzi stabiliti dal piano debbono essere giuridicamente costituiti.

A costituire il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base alla consistenza immobiliare, i due terzi del valore dell’intero comparto. I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto mediante l’espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti.

Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell’atto di notifica, il Comune procederà, secondo le stesse norme dell’art. 58, all’espropriazione del comparto.

Per l’assegnazione di esso, in blocco o in parti, con l’obbligo di provvedere ai lavori di edificazione e di trasformazione a norma del piano esecutivo, il Comune indirà una gara fra i proprietari espropriati sulla base del prezzo di espropriazione maggiorato del 5%.

In caso di diserzione della gara, il Comune potrà procedere all’assegnazione mediante gara aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara fra i proprietari espropriati.

Art. 50 - Consorzi volontari.

È ammessa la formazione di consorzi volontari raggruppanti il complesso delle proprietà ricadenti in un determinato perimetro per la realizzazione di piani esecutivi su progetti elaborati secondo le norme degli artt. 33, 34, 36, 48 e 49.

Analoga facoltà è concessa all’eventuale unico proprietario dell’area di un intero comparto.

I relativi progetti, presentati al Comune, sono esaminati, entro 60 giorni, da una commissione formata dal Sindaco, presidente, da tre consiglieri comunali, di cui uno di minoranza, e da tre esperti urbanisti designati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale. La commissione provvede all’istruttoria del progetto e, con gli emendamenti eventualmente concordati con i proponenti, lo sottopone, assieme col proprio parere, al, Consiglio comunale.

L’approvazione avviene secondo le modalità degli articoli 45 e 46.

Art. 51 - Agevolazioni.

I consorzi, comunque costituiti, i quali operino trasformazioni con carattere di prevalente risanamento igienicosociale, non costituenti in complesso operazioni economicamente attive, possono fruire delle agevolazioni di cui agli artt. 41 e 43, facendone richiesta alla commissione dei periti del relativo comprensorio.

Nei casi in cui il Comune o altri Enti pubblici si sostituiscano ai privati ed ai Consorzi per l’attuazione di opere di risanamento conservativo e di risanamento non economicamente attivo, in esecuzione all’art. 38, i subentranti usufruiscono delle stesse agevolazioni.

Art. 52 – Ricomposizione particellare.

Alla ricomposizione particellare di sui agli artt. 33 i), 34 g), si precede là dove la ripartizione attuale delle aree non consenta la realizzazione delle prescrizioni c piano esecutivo.

Il Comune invita i proprietari delle singole partite a concordare, entro un termine fissato, una ricomposizio aderente alle prescrizioni stesse, mediante permute o compravendite. Decorso inutilmente il termine stabilito, Comune procede nei loro confronti secondo le norme d l’art. 49.

Art. 53 - Rettifica dei confini.

Nei casi in cui l’andamento dei confini di proprietà ostacoli la strutturazione edilizia prevista dai piani esecutivi, il Comune invita i proprietari limitrofi a rettificare linee di confine. Trascorso il termine all’uopo assegnato il Comune promuove l’espropriazione delle necessarie porzioni di area a favore e per conto delle proprietà che tal modo si regolarizzano.

Art. 54 - Diritti reali, servitù, ipoteche.

Nella formazione dei comparti, nella ricomposizione particellare e nella rettifica di confini, i diritti reali, servitù ed ipoteche esistenti sulle precedenti particelle, graveranno, nello stesso ordine, sulle nuove particelle att buite al medesimo proprietario, salvo per quanto concerne le servitù, per le quali il piano può disporre diversamen

Art. 55 - Perequazione dei volumi edificabili.

Entro il perimetro dei piani esecutivi, di espansione e di trasformazione, tutti i proprietari ed i titolari di diri di superficie compresi nei diversi comparti del pian hanno diritto alla perequazione dei volumi edificabili.

Tale perequazione verrà computata, per ogni particella, dalla differenza tra il volume effettivamente attribuito dal piano esecutivo ed il volume teorico-medio, ottenuto dall’uniforme distribuzione del volume edificati complessivo ammesso sull’intero territorio incluso nel perimetro.

Le particelle cui è attribuito un volume effettivo inferiore a quello teorico-medio, riceveranno, a perequazione, un compenso di diritto di volume da parte delle particelle cui è stato attribuito dal piano un volume maggiore quello teorico-medio.’

La localizzazione dei volumi spettanti alle particelle in difetto viene definita, mediante sorteggio da parte del Autorità comunali, secondo le forme di legge, entro 60 giorni dal decreto di approvazione del piano esecutivo e notificata al proprietario entro i 30 giorni successivi. Il diritto di volume è commerciabile.

Art: 56 - Addebito ai proprietari delle spese p opere di urbanizzazione primaria.

Le spese per eventuali opere di urbanizzazione primaria, in tutto o in parte già eseguite a spese del Comune, saranno dal Comune stesso addebitate, in relazione al relative spettanze, ai proprietari singoli o riuniti in consorzio; essi sono tenuti a completare tali opere entro e non oltre i due anni a partire dalla notifica dell’addebito,

Non sono in ogni caso addebitabili le opere di urbanizzazione primaria eseguite anteriormente a 10 anni dal l’entrata in vigore della presente legge.

Art. 57 - Lottizzazioni sprovviste di opere di urbanizzazione primaria.

Nelle lottizzazioni, iniziate entro il periodo di cui all’ultimo comma dell’articolo precedente, tuttora sprovviste delle opere di urbanizzazione primaria, queste dovranno essere eseguite a carico del consorzio, secondo le modalità dell’art. 48, entro e non oltre i due anni dalla entrata in vigore della presente legge.

Per gli intasati urbani e per le lottizzazioni completamente edificate anteriori al detto periodo e sprovviste in tutto o in parte delle opere di urbanizzazione primaria, il Comune, entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge, dovrà provvedere a proprie spese alla dotazione di tali opere.

Art. 58 - Acquisizione degli immobili per l’attuazione dei piani.

Il computo del valore delle aree, edifici e manufatti la cui proprietà debba essere trasferita a norma degli articoli precedenti per l’attuazione dei piani generali ed esecutivi e per la formazione del patrimonio immobiliare comunale, di cui all’art. 47, è effettuato sulla base del prezzo di mercato degli immobili stessi, nella loro destinazione d’uso precedente all’approvazione dei piani, con esclusione di qualsiasi incremento o decremento derivante dalle differenti destinazioni stabilite dai piani stessi.

Per la procedura di stima .e di corresponsione del relativo prezzo si applicano le norme degli artt. 24 e seguenti della legge 25 giugno 1865, n. 2359, con reciproca facoltà, per il Comune e per gli interessati, di compensazione meliante cessione di proprietà di lotti edificabili nelle aree li cui all’art. 47.

Art. 59 - Occupazione temporanea.

Nei casi in cui il Presidente della Regione, su proposta dell’Organo di Pianificazione Regionale, consenta eccezionalmente l’occupazione temporanea o d’urgenza degli imnobili da acquisire, il decreto che autorizza l’immissione in possesso dovrà stabilire un congruo indennizzo per il periodo di occupazione da corrispondersi anticipatamente ,1 proprietario degli immobili stessi.

Contro la determinazione dell’ammontare dell’indennizzo è ammesso gravame innanzi alla magistratura ordinaria.

Art. 60 - Perequazione dei valori.

Le proprietà immobiliari che, per effetto dell’attuazione dei piani esecutivi, durante un periodo amministravo beneficiano di un incremento di valore, sono tenute a orrispondere al Comune, entro il successivo periodo e seondo modalità da stabilirsi, la metà di esso, dedotto il alore delle aree cedute a norma dell’art. 48, e le spese er le opere di urbanizzazione, sopportate a norma dello ‘esso articolo e salve le perequazioni già effettuate in base all’artiicolo 54.

I valori d’incremento o decremento vanno computati rieptto al valore d’uso degli immobili precedente alla data di adozione del piano d’insieme, di cui all’art. 20.

Le proprietà immobiliari che subiscano un decremento di valore per effetto di mutamenti di destinazione rispetto a precedenti piani regolatori particolareggiati, formati in base a leggi precedenti alla presente, o piani esecutivi formati ai sensi della presente, o piani di lottizzazione, tutti regolarmente approvati secondo le rispettive procedure, hanno diritto ad un indennizzo pari al danno subito. Tale indennizzo, è corrisposto dal Comune o mediante corrispettivo in danaro secondo modalità da stabilirsi, o mediante cessione di proprietà di lotti edificabili nelle aree di cui all’art. 47, e comunque entro un periodo non superiore a 5 anni dalla data dell’accertamento.

L’accertamento è promosso dalle parti ed eseguito dall’Ufficio Tecnico Erariale, per quanto concerne le aree, e dall’Ufficio del Genio Civile per gli edifici e manufatti.

Avverso l’accertamento è ammesso gravame innanzi alla magistratura ordinaria.

Art. 61 - Aree destinate . ad edilizia popolare statale o sovvenzionata.

Le aree destinate ad edilizia popolare statale o sovvenzionata, specificate nel programma di attuazione, di cui all’art. 30, sono acquistate dagli Enti interessati alle stesse condizioni contemplate dall’art. 58. Le cessioni di dette aree è obbligatoria; l’obbligo è notificato dal Sindaco entro 30 giorni dall’approvazione del programma stesso.

Art. 62 - Fondo regionale per l’urbanizzazione.

La Regione provvede alla costituzione di un Fondo regionale per l’urbanizzazione, formando un consorzio fra Enti pubblici ed Istituti di Credito, al fine di anticipare ai privati ed Enti obbligati alle opere di urbanizzazione primaria, di cui agli articoli precedenti, le somme occorrenti, con rimborso decennale ed al tasso ufficiale maggiorato del 2% per spese di gestione. Analoghe anticipazioni potranno essere consentite ai Comuni per le opere di urbanizzazione di loro spettanza.

Art. 63 - Termini per l’attività edilizia privata.

I proprietari delle aree comprese in un piano esecutivo, o in un piano di lottizzazione approvato, sono obbligati ad eseguire le opere di trasformazione nel tempo fissato dai piani. I proprietari inadempienti, al termine del periodo fissato dal piano, sono messi in mora dal Comune per un periodo non superiore a mesi 12, trascorso il quale, il Comune procede all’esproprio dell’area attribuendole un valore inferiore del 25% a quello di mercato, con ulteriore deduzione delle spese per l’urbanizzazione primaria di loro competenza non ancora corrisposte. L’area espropriata viene messa all’asta per l’edificazione. Gli eventuali ricavi dall’operazione sono devoluti al fondo di cui all’articolo 47.

Art. 64 - Poteri di vigilanza dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale ha potere di vigilanza sulla fedele attuazione dei piani generali ed esecutivi; esso si sostituisce all’Autorità comunale nei casi in cui questa operi in contrasto o in deroga con le prescrizioni dei piani approvati.

TITOLO VI

NORME REGOLATRICI DELL’ATTIVITÀ COSTRUTTIVA EDILIZIA

Art. 65 - Licenza di costruzione e di trasformazione edilizia.

Su tutto il territorio nazionale la costruzione di edifici e la trasformazione di quelli esistenti non potrà iniziarsi senza il preventivo rilascio di apposita licenza edilizia da parte delle Autorità competenti.

Ogni demolizione di immobile o di alberatura vincolata ai fini paesistici, a norma dell’art. 33 h), deve essere preventivamente autorizzata.

Art. 66 - Rilascio della licenza edilizia.

Il rilascio della licenza è subordinato all’accertamento del pieno rispetto delle prescrizioni dei piani generali ed esecutivi, ove esistano; nel qual caso essa è di competenza del Sindaco su conforme parere della commissione edilizia comunale, sentito altresì il parere vincolante della commissione degli esperti, di cui all’art. 37, nel caso di progetti ricadenti nelle zone di risanamento conservativo.

Nei Comuni non obbligati a redigere i piani comunali e facenti parte di un comprensorio, essa è rilasciata dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale per i nuovi insediamenti di edilizia popolare e sovvenzionata, per le lottizzazioni e le nuove costruzioni in zone soggette a vincolo storico. ambientale e paesistico, per i nuovi insediamenti industriali e per gli ampliamenti superiori al 30% del volume degli edifici industriali esistenti, per l’appoderamento agrario di estensione pari o superiore alle 10 unità poderali minime; dal Sindaco per le restanti opere pubbliche e private, sentito il parere della commissione edilizia competente.

La licenza è rilasciata, in ogni caso, entro e non oltre 90 giorni dalla domanda; entro la stessa data sono notificate, con motivazione, le domande respinte o sospese in attesa di emendamento o per effetto di salvaguardia, ai sensi dell’art. 26.

I progetti sottoposti all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale per il rilascio di licenza debbono raggiungere l’unanimità di giudizio; in caso contrario il progetto, unitamente al giudizio espresso dall’Ente Comprensoriale, è sottoposto all’esame dell’Organo di Pianificazione Regionale; in caso di particolare importanza l’Organo di Pianificazione Regionale ha facoltà di rimettere il giudizio definitivo al Consiglio Tecnico Centrale.

Art. 67 - Licenza di abitabilità.

Nessun edificio di nuova costruzione o trasformato ricadente nel perimetro dei piani esecutivi potrà avere alcuna utilizzazione se non dopo il rilascio della licenza di abitabilità che dovrà attestare la rispondenza dell’edificio al progetto e l’avvenuta esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria ad esso connesse.

Per gli immobili non ricadenti nel perimetro dei piani esecutivi e fuori dalle lottizzazioni approvate può essere concessa la licenza di abitabilità soltanto se siano garantiti almeno la provvista di acqua potabile ed uno smaltimento igienico delle acque luride.

Art. 68 - Regolamento edilizio comunale.

Ciascun Comune dotato di piano generale provvede. entro 6 mesi dalla pubblicazione del decreto di approva zione, alla compilazione di un proprio regolamento edili zio, in armonia con le disposizioni contenute nella presente legge e nel testo unico delle leggi sanitarie R. D. 27 lu glio 1934, n. 1265, e suoi aggiornamenti, oltrechè con le prescrizioni del piano generale.

Esso detta norme essenzialmente sulle seguenti materie:

1. - formazione, attribuzioni e funzionamento della commissione edilizia comunale;’

2. - procedura di presentazione delle domande di licenza per costruzione o trasformazione edilizia e lottiz zazioni;

3. - caratteristiche tecniche dei progetti, di cui alla domanda precedente, e degli elaborati obbligatori (plani metria quotata; rilievo degli eventuali edifici da trasfor mare; piante, prospetti e sezioni degli edifici in progetta con i particolari costruttivi ed architettonici e l’indica zione dei materiali e dei colori; impianti tecnici ecc.);

4. - particolari prescrizioni dimensionali costruttive ed estetiche ad integrazione delle norme dei piani generali ed esecutivi per determinate zone urbanizzate o da urba nizzare ;

5. - norme igieniche di interesse edilizio;

6. - arredo stradale e sistemazione a terra dello sco perto pubblico e privato e loro manutenzione;

7. - occupazione temporanea di suolo pubblico, lavori nel sottosuolo, garanzia per la pubblica incolumità;

8. - vigilanza sull’esecuzione dei lavori per assicurare l’osservanza delle disposizioni di legge, dei regolamene e dei piani.

Art. 69 - Regolamento edilizio comprensoriale.

A cura dell’Ente Comprensionale per la pianificazioni territoriale saranno redatti regolamenti edilizi, da valere per i Comuni del comprensorio non dotati di piano o non obbligati a redigerlo. Esso, oltre a dettare norme sulle materie di cui al precedente articolo, salvo i punti 1 e 4, determina i tipi edilizi e ne fissa le caratteristiche. L’Ente Comprensoriale, sentite le Amministrazioni interessati provvede alla costituzione di una o più commissioni edilizie competenti per gruppi di detti Comuni.

Art. 70 - Approvazione dei regolamenti edilizi.

I regolamenti edilizi comunali sono adottati dal Consiglio comunale e trasmessi al competente Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale che li presenta con il proprio parere all’approvazione dell’Organo di Pianificazione Regionale.

I regolamenti edilizi comprensoriali sono adottati dall’assemblea dell’Ente Comprensoriale e, dopo la pubblicazione nei Comuni interessati per un periodo di 30 giorni, sono trasmessi, con le eventuali osservazioni, all’Organo Pianificazione Regionale per l’approvazione.

Gli uni e gli altri sono resi esecutivi con decreto e Presidente della Regione.

Art. 71 – Vigilanza sulle costruzioni nel territorio comunale.

CAPO 1. FINALITà

Articolo 1. La pianificazione del territorio

1. La presente legge detta norme relative alla pianificazione del territorio.

2. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze.

3. La pianificazione del territorio è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione denominata: tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Nonché delle seguenti materie oggetto di legislazione concorrente a norma dei commi terzo e quarto del medesimo articolo 117 della Costituzione: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Nonché infine di materie oggetto di legislazione esclusiva delle Regioni, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 117 della Costituzione, quali viabilità e opere pubbliche di interesse regionale e locale. La pianificazione del territorio è altresì lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della tutela del paesaggio ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione.

4. Relativamente a ogni aspetto delle materie di cui al comma 3 non disciplinato dalle norme della presente legge valgono i relativi atti aventi forza di legge, nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite dei Comuni, delle Province; delle Città metropolitane, delle Regioni, dello Stato.

5. La presente legge provvede altresì al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

Articolo 2. La titolarità pubblica della pianificazione del territorio

1. La pianificazione del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

2. La formazione degli strumenti di pianificazione spetta ordinariamente agli enti territoriali: Comuni, Province o Città metropolitane, Regioni, Stato.

3. Il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province, Città metropolitane.

4. La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette, all’erogazione di servizi di interesse collettivo, e simili, ad altre autorità pubbliche, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale deve spettare all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientri l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

5. La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni dei primi. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento d’intese con le autorità pubbliche competenti conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

Articolo 3. La pianificazione come metodo

1. Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono, e a conferire loro coerenza, in relazione sia alla loro collocazione nello spazio che alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le azioni delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi a strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità di provvedere, con interventi urgenti, alla difesa militare o alla sicurezza della Nazione, ovvero a prevenire il verificarsi di calamità naturali, di catastrofi e di altri eventi calamitosi, o a rimediare ai suddetti eventi, e comunque nel rispetto delle specifiche norme legislative.

3. Le facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili non possono essere annullate o modificate da sopravvenuti strumenti urbanistici unicamente ove sia intercorso l’ottenimento del provvedimento abilitativo a operare le trasformazioni, e le relative attività abbiano avuto inizio entro un periodo di tempo predeterminato dalle leggi.

Articolo 4. Il diritto alla città e all’abitare

1. La pianificazione assicura che l’impiego delle risorse territoriali non ne comprometta la consistenza. La loro utilizzazione è garantita in condizioni equivalenti a tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali ed ambientali e del patrimonio culturale, alla dignità umana nonché al diritto di proprietà.

2. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva, e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurate negli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. In particolare, il Comune, per ridurre le condizioni di disagio abitativo, definisce, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione, le localizzazioni e le modalità realizzative per ampliare l’offerta di edilizia sociale.

Articolo 5. Onerosità della trasformazione urbanistica

1. L’attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie per la mitigazione ambientale.

2. Ogni trasformazione urbanistica concorre al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste. La legislazione regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da pervenire ad un equilibrio tra somme introitate dal comune e costi da sostenere e che le opere di urbanizzazione generale siano ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sull’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

Articolo 6. La partecipazione e la condivisione delle conoscenze

1. La partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte della pianificazione è condizione essenziale per la loro efficacia. Essa ha la sua necessaria premessa nella condivisione di tutte le informazioni riguardanti il territorio, la pianificazione e le trasformazioni.

2. Anche al fine di cui al precedente comma 1, gli enti pubblici promuovono la costituzione di strutture atte a garantire la diffusione di esaurienti ed adeguate forme di conoscenza continua e di monitoraggio attinenti ai processi di pianificazione e di trasformazione urbana, nelle loro premesse, formazione e attuazione.

Articolo 7. Il contenimento dell'uso del suolo

e la tutela delle attività agro-silvo-pastorali

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, né demolizioni e ricostruzioni, o consistenti ampliamenti, di edifici, se non strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all'estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalle leggi.

3. Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 2 siano assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali sia prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale viene assentita la trasformazione, nonché l'impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o delle loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all'estensione richiesta per la trasformazione ammessa.

4. Le leggi regionali disciplinano altresì le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e ricostruzione.

5. Le leggi regionali prevedono la demolizione senza ricostruzione dei manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici, qualora perdano la destinazione originaria.

6. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale intrasformabilità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell'ambiente, dell'ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico, storico-testimoniale, del patrimonio edilizio esistente.

Articolo 8. La tutela degli insediamenti storici

1. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, d’intesa con il competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come tali:

- gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

- le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

2. Resta ferma la competenza dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali di integrare le predette individuazioni con propri provvedimenti amministrativi.

3. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili suindicati sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, come definite dalla legislazione regionale. Laddove siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite d’intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengono luogo delle speciali autorizzazioni dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

CAPO II. GLI STRUMENTI E LE PROCEDURE

Articolo 9. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per l’ambiente e la tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e acquisiti i pareri delle competenti commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, entro diciotto mesi dall’approvazione della presente legge. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento, e alla loro eventuale variazione, almeno ogni tre anni, nonché, comunque, ove se ne presenti la necessità.

2. Nella formazione delle linee suddette è inserito e reso coerente il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale quali: il piano dei trasporti, il piano energetico, i piani delle aree naturali protette, i piani paesaggistici.

3. Si tiene altresì conto degli atti ufficiali dell’Unione europea, comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

Art. 10. Gli strumenti e gli atti di pianificazione

1. Le leggi regionali stabiliscono l’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti e, per ciascuno di essi:

- la pubblica autorità competente, in base ai principi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

- i contenuti, le efficacie, l’arco temporale di riferimento, le modalità di attuazione;

- le procedure di formazione, nel rispetto dell’articolo 11.

2. E’ attribuita alla pianificazione provinciale e, rispettivamente, regionale, la competenza relativa alle scelte per le quali la scala del comune e, rispettivamente, della provincia, non è adeguata a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. Ciò vale, in particolare, per il riordino delle aree conurbate, promuovendo il contenimento della dispersione insediativa.

Articolo 11. Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione

1. Le leggi regionali, in relazione alla natura degli strumenti di pianificazione e delle trasformazioni da questi disciplinate, stabiliscono, oltre a quanto espressamente previsto nel successivo articolo 16, le procedure di formazione nel rispetto delle disposizioni di cui ai seguenti commi.

2. Le scelte oggetto degli strumenti di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e atti amministrativi, dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione.

3. Precedentemente all’adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurata la partecipazione al processo di definizione delle relative scelte degli enti territoriali competenti alla definizione degli atti amministrativi, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione, sovraordinati, nonché di qualsiasi altra autorità responsabilie della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

4. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di formazione degli strumenti di pianificazione; a tal fine devono essere stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

5. Nel provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione, l’amministrazione procedente illustra in che modo ha tenuto conto dei pareri espressi dalle altre amministrazioni nonché dei risultati delle consultazioni dei cittadini.

6. Successivamente al provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurato un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prendere visione degli strumenti di pianificazione adottati e presentare una formale osservazione.

7. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, che siano in contrasto con i predetti strumenti, ovvero tali da comprometterne o renderne più gravosa l’attuazione. Può essere previsto che anche in fasi antecedenti del processo di formazione degli strumenti di pianificazione, atti amministrativi appartenenti a tale processo possano inibire l’effettuabilità di determinate trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte che si intende assumere.

8. Deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e gli strumenti di pianificazione sovraordinati, mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza di amministrazioni.

9. Nel provvedimento di approvazione, l’amministrazione procedente deve controdedurre alle osservazioni pervenute, motivando le determinazioni assunte.

10. Le eventuali variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente giustificate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

Articolo 12 Gli accordi di programma

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, programmi di intervento, opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richieda l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province o Città metropolitane e Regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, secondo quanto disposto dall’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente.

3. Gli accordi di programma con la partecipazione dei privati devono rispettare i principi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti, e devono dimostrare l’interesse pubblico alla loro realizzazione.

Articolo 13. I vincoli di tutela

1. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno parimenti luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovino in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti, e simili.

3. Non danno infine luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

Articolo 14. I vincoli a contenuto espropriativo

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione che siano dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisite dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle suindicate disposizioni.

2. Decorso inutilmente il suddetto termine, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue a norma dell’articolo 2946 del codice civile. La somma suindicata è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertate dall’ISTAT. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data di liquidazione.

3. Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non abbia applicazione quanto sopra sancito, laddove l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione, e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni e gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, pur se regolata da convenzioni che garantiscano gli obiettivi di interesse generale.

Articolo 15. Attuazione degli strumenti di pianificazione

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, quali i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e significative variazioni funzionali devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 garantiscono la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefici e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli, e degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dai piani relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il Comune può dichiarane la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

Articolo 16. Le procedure di valutazione

1. Gli strumenti di pianificazione sono soggetti alla valutazione ambientale durante il loro processo di formazione, a esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, la valutazione ambientale non è necessaria.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti sull’ambiente delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante l’elaborazione e prima dell’adozione dei suddetti strumenti.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e il minore impatto negativo sull’ambiente. A tal fine, ove necessario, devono essere sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

- del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione attuali;

- dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

- della fase in cui i suddetti strumenti si trovano nel processo decisionale;

- della misura in cui taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio, onde evitare duplicazioni della valutazione.

5. Le leggi regionali assicurano che:

- qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione Europea, siano previste adeguate forme di consultazione transfrontaliera;

- qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, la consultazione sia allargata alle autorità responsabili della tutela dell’ambiente e agli enti territoriali della regione confinante.

6. Il Ministero per l’ambiente e la tutela del territorio e le Regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tal fine le Regioni, o gli enti da esse delegate, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali siano evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

7. Al fine di perseguire un’uniforme applicazione della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, è emanato, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e sentita la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, uno specifico atto di coordinamento recante criteri e linee guida per lo svolgimento della valutazione ambientale.

Articolo 17. La carta unica del territorio

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da previsioni legislative. In tal modo, essa costituisce la carta unica del territorio e rappresenta l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

Articolo 18. Il sistema informativo territoriale

1. I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato, singoli o associati, partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

- l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio, articolata nelle fasi della individuazione e raccolta dei dati riferiti alle risorse essenziali del territorio, della loro integrazione con i dati statistici, della georeferenziazione, della diffusione, conservazione e aggiornamento;

- la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

- la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazioni del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

CAPO III. NORME TRANSITORIE E FINALI

Articolo 19. Modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio

1. Anche ai fini del contenimento dell’uso del suolo di cui articolo 7 e a quelli della conservazione del paesaggio aperto, per il contributo che esso fornisce a uno stabile assetto del territorio, si stabiliscono le seguenti modifiche al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

2. All'articolo 142, comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

"n) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale".

3. All'articolo 142 sono aggiunti i seguenti commi:

“5. I comuni, d'intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell'ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui al comma 1, lettera n)”.

“6. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 5 il territorio di cui al comma 1, lettera n), coincide con l’insieme delle zone di cui alla lettera E) dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1968, n. 97, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti”.

“7. L’utilizzazione del territorio di cui al comma 1, lettera n), al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali può essere definita ammissibile, nei nuovi strumenti di pianificazione, d’intesa con la competente soprintendenza, soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti”.

4. All'articolo 143, comma 2, è inserita la seguente lettera:

"d) per il territorio di cui al precedente articolo 142, lett. n), il piano paesaggistico prevede obiettivi e strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato".

5. Nel territorio di cui al comma 1, lettera n), dell’articolo 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come modificato e integrato per effetto dei commi 2, 3 e 4, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai principi fondamentali dettati dalla presente legge nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio, eccezione fatta per quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

Crediti

L’iniziativa di questa proposta di legge è di Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sulla legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso,modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano, Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti della “Legge Lupi” che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella proposta. Tra questi hanno espresso consenso e/o formulato proposte di correzione e integrazionePiergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina; delle loro proposte si è tenuto conto nell’ultima stesura del testo e,dove ciò non è stato ritenuto possibile od opportuno, se ne è fatto cenno nella relazione.

Il testo della legge proposta da un gruppo di amici di Eddyburg.it nel maggio 2006 è stata presentata al Senato l’8 novembre 2006, con il titolo ”Principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio” (S 1144) da un gruppo di senatori di Rifondazione comunista-Sinistra europea (Tommaso Sodano, Salvatore Bonadonna, Giovanni Russo Spena, Daniela Alfonzi, Maria Celeste Nardini, Tiziana Valpiana, Milziade Caprili), dell’Ulivo (Cesare Salvi, Paolo Brutti, Giovanni Bellini), del Gruppo Insieme con l'Unione Verdi - Comunisti Italiani (Dino Tibaldi). Alla Camera dei deputati la proposta è stata presentata il 19 dicembre 2006 con il titolo “"Riforma della legislazione urbanistica" (C 2086), dal deputato Gennaro Migliore e altri (Rifondazione comunista – Sinistra europea).

Il testo e altri documenti nella cartella Una proposta di Eddyburg; in particolare qui il testo della legge e qui la relazione, come presentate dagli amici di eddyburg.

Inseriamo qui di seguito la parte iniziale della relazione introduttiva di Patrizia Colletta al convegno nazionale “Il governo del territorio: la sfida della qualità e della innovazione”, Firenze 16 ottobre 2006, il cui testo integrale è allegato in formato .pdf. In calce le osservazioni di E. Salzano

VERSO LA RIFORMA DEL GOVERNO DEL TERRITORIO

Il tema del governo del territorio ha una grande rilevanza per far esprimere al “sistema Paese” le sue potenzialità, determinate dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando questi temi in un’ottica di sviluppo sostenibile è possibile costruire una ipotesi di modernizzazione e di innovazione del Paese.

Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l’azione del Governo è rappresentato dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle infrastrutture la qualità dell’ambiente urbano, la riconversione ecologica del sistema produttivo.

Per vincere questa sfida è necessario pensare alla qualità del territorio, delle città e della produzione, come uno dei “motori” per far ripartire l’Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall’aria e dall’acqua con le politiche di solidarietà, di equità e di inclusione sociale.

Per affrontare il tema del governo del territorio, dei suoi principi e delle sue regole, è necessario partire dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli strumenti che abbiamo utilizzato per “governare il cambiamento”. Significa anche oggi rendere esplicito e positivo il tema della “leale collaborazione” tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare le decisioni democratiche, condivise e trasparenti sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell’effetto di tali scelte.

Il ruolo delle Regioni è stato determinante, molte di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.

Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo, si sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza, passaggi istituzionali e di mutamento della società italiana; questi elementi sono utili per l’impostazione del nostro ragionamento e riguardano:

- il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla Legge 1150 del 1942, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei successivi periodi di contrazione economica, con la modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una “stratificazione” normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l’azione di pianificazione del territorio;

- il progressivo e sempre più deciso riformismo regionale ha visto dal 1995 ad oggi l’introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti, regole e istituti che possono costituire una solida base di partenza;

- in ultimo, l’esperienza – con aspetti positivi e negativi – prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all’interno delle regole di pianificazione delle regioni.

Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina che vede coinvolte tutte le istituzioni dello Stato e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi territoriali.

Un passaggio importante lo abbiamo fatto nel programma dell’Unione nel quale si considera il territorio un grande patrimonio per … la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici. Rappresenta quindi una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.

L’ampio dibattito nelle sedi politiche e culturali che si è aperto sui diversi disegni di legge ha prodotto elementi di informazione, di conoscenza e di esplicitazione dei diversi temi che formano la disciplina del governo del territorio.

Le stesse iniziative politiche svolte nell’ambito delle attività del Dipartimento Politiche della sostenibilità dei DS negli ultimi due anni e il dibattito alla Festa nazionale dell’Unità di Pesaro, del settembre scorso, hanno contribuito in modo sostanziale all’ulteriore avanzamento della proposta programmatica.

L’approccio è stato quello di elaborare le scelte con il contributo e il sostegno di chi, come le nostre amministrazioni e istituzioni, si cimentano quotidianamente sulle scelte politiche di governo locale, valorizzando le esperienze e il patrimonio del confronto politico e culturale, rappresentato anche dai contenuti delle nostre proposte di riforma presentate nelle scorse legislature.

Proponiamo quindi, di consolidare il percorso di confronto e di dialogo con i nostri rappresentanti nelle istituzioni a partire dagli enti locali, nella comunità scientifica e accademica, nel mondo della rappresentanza sociale e ambientalista, oltre che nel mondo economico e dei portatori di interessi diffusi, al fine di predisporre una legge sul “governo del territorio” che rappresenti un punto di vista avanzato e condiviso di una questione così complessa.

Alcuni temi di riflessione:

- la necessità di coordinare e allineare la normativa nazionale sul “governo del territorio” alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali, aree protette…, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso di “principi”;

- l’esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la partecipazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane per costituire un “sistema unico coordinato” del governo del territorio;

- la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte delle Amministrazioni locali per la riqualificazione della città, la manutenzione del territorio, per lo sviluppo dell’impresa agricola multifunzionale e la prevenzione dai rischi naturali e antropici.

La riforma costituzionale del Titolo V, approvata dal centrosinistra, ha costruito un sistema complesso di materie e funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e alla trasformazione del territorio, con una diversa attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale nazionale, regionale e locale coeso che agisca con programmi, piani, misure e strumenti coerenti e sinergici.

I soggetti protagonisti di questa azione di rinnovamento e di nuova capacità di gestione del territorio sono principalmente le regioni e gli enti territoriali i quali devono trovare in una legge quadro per il governo del territorio gli elementi costitutivi e i principi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e omogeneità, ma dotati della necessaria flessibilità per consentirne la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.

Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comporta tuttavia, una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.

In questo senso, il disegno di legge sul governo del territorio dovrà essere il risultato di un processo di discussione dal “basso verso l’alto” volendo costruire, anche nel metodo di formazione della legge, quegli elementi di condivisione e di concertazione indispensabili e ineludibili di qualsiasi scelta riguardante lo sviluppo e la trasformazione del territorio.

Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle Regioni vi sono alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato, che devono essere espressi con norma di dettaglio, si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.

Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti.

La legge non deve prefigurare modelli “astratti” o standardizzati, ma favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire il complesso delle normative, degli strumenti, dei metodi e dei processi di governo del territorio.

Infatti, l’attuazione della funzione di “governo” alla luce della nuova Costituzione risiede nella capacità di governare il territorio programmandone lo sviluppo, l’assetto e l’uso del suolo, in connessione con le tematiche di tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e delle risorse ambientali.

La proposta di riforma del governo del territorio dovrà allora contenere:

- la definizione dei principi e delle finalità del governo del territorio;

- il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali, dell’ambiente nonché la programmazione economica e quella del sistema infrastrutturale;

- la disciplina della pianificazione, i contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;

- la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio.

Il documento di Patrizia Colletta prosegue sviluppando i punti ora elencati; si veda il testo integrale allegato in formato .pdf. Qui di seguito la nota di Edoardo Salzano

OSSERVAZIONI ALLA RELAZIONE DI PATRIZIA COLLETTA

Cara Patrizia, hai cortesemente chiesto il mio parere sul tuo documento del 13 ottobre. Ho colto lo sforzo di tener conto di tutte le posizioni, anche quelle che finora sono state tenute ai margini. Ma leggo anche molte ambiguità, e qualche passaggio francamente preoccupante. Ecco qualche rapida osservazione, seguendo l’ordine del tuo testo.

Sostenibilità ambientale, economica e sociale

Fin dall’inizio del tuo testo ti riferisci alla “sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio ecc.”. Mi sembra che con questa espressione il termine “sostenibilità” perde il significato, compromissorio ma severo, che aveva nell’accezione della Commissione Brundtland, e diventi sinonimo di “sopportabile”.

Non è questione solo terminologica. Mentre nell’accezione ONU rinvia a una precisa nozione di limite non superabile nell’uso delle risorse ambientali, e pretende la giustificazione di ogni utilizzazione di una risorsa ambientale non sostituibile, nell’accezione che adoperi le risorse ambientali, indipendente da ogni loro limite e sostituibilità, diventano qualcosa che va adoperato tenendo conto di non gravare sulle simmetriche esigenze dell’economia (quale?) e della società (quale?).

Insomma, nell’accezione che tu adotti “sostenibile”, divenuto “sopportabile”, è attributo a qualsiasi meccanismo di crescita indefinite di alcunché: dalla crescita nasceranno anche le risorse utili per mitigare, addolcire, imbellettare, rendere “sopportabili”, gli effetti degli sprechi di risorse che episodicamente commuovono i direttori dei giornali.

Programmi complessi e integrati

Più avanti (p. 2) ti riferisci a “l’esperienza – con aspetti positivi e negativi - prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all’interno delle regole di pianificazione delle regioni”.

Mi sembra un giudizio troppo neutrale. Non credo che si possa dimenticare che lq stragrande maggioranza di quegli strumenti è stata adoperata per violare le regole urbanistiche, avvantaggiare la proprietà immobiliare, ottenendo contropartite sociali irrisorie e mobilitando risorse private del tutto marginali.

Se si vuole continuare ad adoperare strumenti simili (invece di dare analoghi contenuti agli strumenti tipici della pianificazione attuativa) occorrerebbe ribadire con forza che essi devono essere rigorosamente conformi gli strumenti urbanistici formati con le procedure garantiste ordinarie.

“Parità fra diritti pubblici e diritti privati”

A proposito delle “funzioni esclusive dello Stato” (p. 3-4) affermi la necessità di garantire la “parità nel processo di pianificazione e attuazione fra diritti pubblici e diritti privati”. Mi sembra un evidente scivolone lessicale. La titolarità pubblica della pianificazione, e quindi l’originaria disparità tra diritti pubblici e diritti privati in questo campo, mi sembra implicito nel concetto stesso di pianificazione urbanistica democratica.

Del resto tu stessa, poco più avanti, affermi (con parole limpide) che “il principio di pianificazione, espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e consentendo l’uguaglianza dei diritti e dei doveri all’uso e al godimento degli stessi beni”.

Consumo di suolo

Scrivi che “gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili e essenziali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e l’incremento dell’efficienza energetica (p. 5).

Giusto, ma adoperare – a proposito del concumo di suolo – il termine “limitando” mi sembra di una debolezza estrema, se si tiene conto dei processi reali. Vogliamo davvero arrestare lo sprawl, la dispersione insediativi, l’espansione indefinita della “repellente crosta di cemento e asfalto”. E allora bisogna prescrivere e rigidamente applicare regole che prescrivano la rigorosa dimostrazione della necessità sociale di ogni sottrazione di un metroquadrato di terra alle utilizzazioni non urbane.

Assetto territoriale nazionale

Parli giustamente della necessità di una “stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità con la pianificazione del territorio”. Sostieni che “sarebbe utile pensare che annualmente il Governo, nella sede della Conferenza Stato-Regioni, possa concertare un Documento di programmazione del territorio, assegnando le priorità di intervento e di investimento per il perseguimento degli obbiettivi di coesione territoriale, dando così certezza sia agli enti territoriali che alle imprese e ai cittadini”. Ma credo che prima della programmazione annuale sia necessario quello che le leggi dello Stato già prevedono fin dal 1977, cioè la formazione di un documento che definisca “i lineamenti dell’assetto territoriale nazionale”, dove le diverse esigenze (tutele, infrastrutture di vario tipo, altre politiche territoriali nazionali) trovino la loro composizione.

Pianificazione strutturale

Scrivi che “é ormai consolidata l’esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà e l’altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni”.

Sono stato tra i primi a proporre e a sperimentare il “doppio livello”, quindi figurati se non sono d’accordo. Ma credo che prima di promuoverne la generalizzazione bisognerebbe verificare in che modo è stato applicato nelle diverse legislazioni regionali. Secondo me malissimo (almeno a considerare l’esperienza della Toscana, che conosco meglio), nonostante le potenzialità della proposta.

Il fatto è che la pianificazione strutturale dovrebbe essere rigida per quanto riguarda le tutele, partire dal livello regionale e provinciale, essere verificata nell’attuazione dei suoi precetti. Tieni conto che nella pratica viene impiegata per evitare qualsiasi verifica regionale sulle scelte concrete di trasformazione del suolo.

Pubblico/privato

Scrivi: “è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, il partenariato pubblico-privato per l’attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regia pubblica definita dal piano, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e l’efficienza, il miglioramento e l’innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia” (p. 7).

Il piano non deve dare solo “un quadro di riferimento strategico”: deve dare localizzazioni, quantità, regole, modi e tempi per l’insieme delle trasformazioni territoriali. Non deve essere solo “a regia pubblica”, nel senso che non deve comporre interessi diversi (ciooè gli interessi forti dei diversi poteri immobiliari), ma deve essere “pubblico” tout court, ed esprimere l’interesse generale.

Diritti edificatori

Scrivi: “anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e l’equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva della materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali” (p. 8).

Secondo me non ha senso fare un passo indietro rispetto alla situazione di diritto attuale. E oggi una giurisprudenza costante conferma che i diritti edificatori nascono SOLO con il rilascio dell’atto abilitativo. Piani generali e attuativi non conferiscono OGGI alcun “diritto”, tanto meno “edificatorio”. Vogliamo fare questo regalo alla rendita? Non ne riesco a comprendere la ragione. Magari la ragione c’è, e io non la vedo: discutiamone.

“Modalità espropriative, perequative e compensative”

Scrivi ancora che le amministrazioni locali “ tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative” (p. 8). Questo è un punto chiave: non giuridico né tecnico, ma prima d’ogni altra cosa politico.

L’unica perequazione e compensazione pulita è quella che si fa, a partire dal 1967, all’interno dei piani attuativi conformi ai piani urbanistici generali. Le “dotazioni territoriali” si ottengono accollandole agli utilizzatori mediante la cessione delle aree e gli oneri di urbanizzazione, i quali devono essere vincolati alla realizzazione delle urbanizzazioni previste dai piani. Tutto questo c’era già nelle “leggi di riforma” (quando le riforme erano una cosa abbastanza seria), occorre ricordarlo e, là dove il berlusconismo lo ha appannato, restaurarlo.

Quando gli espropri si devono fare si fanno: le leggi relative all’indennità espropriative erano state progressivamente migliorate, non so se poi le cose sono cambiate ma anche qui, se è necessario, vanno restaurate e fatte funzionare quelle che c’erano. Il problema vero è come far sì che i costi delle urbanizzazioni (che devono essere interamente pagate dall’operatore immobiliare) non vengano accollate al consumatore finale (affitto) in aggiunta alla rendita immobiliare: ma questo è un problema di prelievo fiscale. Il Governo Prodi sembrava voler andare in questa direzione: imbocchiamo la strada opposta?

Già, perchè l’altra “perequazione” è semplicemente un regalo alla rendita immobiliare. Esamina i numerosissimi casi. L’operazione che sta andando avanti in larga scala, in tutte le regioni d’Italia, è questa: il regalo di edificabilità agli immobiliaristi in cambio di “crescita”, e della cessione di qualche pezzo d’area destinato a standard: qualche pezzo cui magari per qualche anno si potrebbe rinunciare, lasciandola (o destinandola) a verde agricolo (che non è un vincolo “di tipo espropriativo”, e che spesso può essere un vincolo “ricognitivo”). Pezzi storici di “aree a standard” saranno sottratti per sempre alla fruizione pubblica per consentire alla città di “crescere” inutilmente: guarda la mia nota su Carta di domani).

Su questo argomento (l’uso perverso della perequazione) aprirò una campagna in eddyburg. Mi piacerebbe se anche tu vi partecipassi.

Edoardo Salzano, Venezia 25 ottobre 2006

Giusto un anno fa, la Camera dei deputati approvò un disegno di legge in materia di governo del territorio che aveva preso il nome da Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di Milano e ispiratore dell’urbanistica contrattata di rito ambrosiano. Il disegno di legge Lupi, è un esempio significativo del “riformismo eversivo” perseguito dalla maggioranza di centro destra. Esso prevedeva infatti la cancellazione del principio stesso del governo pubblico del territorio. Gli atti cosiddetti “autoritativi”, vale a dire quelli propri del potere pubblico, si proponeva di sostituirli con “atti negoziali”. L’interesse collettivo era uno solo degli attori, alla pari con gli altri interessi in gioco, che in primo luogo sono evidentemente quelli immobiliari. Altri inaccettabili contenuti della proposta erano l’insensata incentivazione del consumo del suolo, la cancellazione degli standard urbanistici e i limiti posti alla tutela nell’ambito della pianificazione a scala locale.

Il disegno di legge Lupi fu approvato dalla Camera con il consenso di alcuni esponenti del centro sinistra, con l’accordo dell’Istituto nazionale di urbanistica e nel silenzio della stampa, salvo il manifesto, Liberazione, l’Unità. Per fortuna, c’è eddyburg, il sito di Edoardo Salzano, ormai un riferimento irrinunciabile per chi si occupa di urbanistica e di pianificazione del territorio. Il sito raccoglie contributi e consensi ogni giorno più importanti, soprattutto da parte di studiosi e di operatori che fanno riferimento alla cultura urbanistica di sinistra, cultura trascurata da quelle associazioni e istituzioni, un tempo attente ad essa, ma che negli ultimi anni sono finite nell’orbita del berlusconismo.

Contro la legge Lupi, eddyburg è stato implacabile: un appello diffuso nel gennaio 2005 fu sottoscritto da circa 400 lettori e nel mese di novembre il sito ha patrocinato la pubblicazione di La controriforma urbanistica, un pamphlet curato da Cristina Gibelli, dove sono ospitati molti materiali del sito, e altri inediti, contro il disegno di legge. Nelle settimane che hanno preceduto la conclusione della XIV legislatura, La controriformaurbanistica è stato presentato a Milano, Firenze, Roma, Venezia, Napoli, Pisa, Livorno e altri luoghi, con notevole partecipazione di pubblico. È stato presentato anche in audizione nell’apposita commissione Lavori pubblici del Senato e ha sicuramente contribuito a evitare la definitiva approvazione di quel micidiale disegno di legge. Nel corso degli incontri ci siamo impegnati, ove la legge Lupi non fosse stata approvata, a proporre un testo alternativo, che partisse dalla riaffermazione della titolarità pubblica della pianificazione. Non è stata una promessa di marinaio. Un gruppo a mano a mano più vasto di urbanisti e di giuristi raccolto intorno a eddyburg ha messo a punto il testo che si trova sul sito e che nei prossimi giorni sarà illustrato a Roma in un incontro al quale partecipano anche i partiti dell’unione. Nel sito si trova anche una dotta e approfondita relazione al testo di legge, e si dà conto delle risposte date a chi ha chiesto chiarimenti o esposto dubbi.

Qui mi limito a ricordare solo i contenuti essenziali della proposta, che è titolata: “Principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio”. Il testo riguarda infatti solo la pianificazione e non tutto il “governo del territorio”, termine che comprende un complesso di materie (dalla protezione civile alla difesa del suolo, dagli aeroporti alle reti di navigazione, dalla produzione dell’energia alla opere pubbliche) che devono essere oggetto di una pluralità di provvedimenti legislativi di competenza statale e regionale. Il primo principio è che “il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. La autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze”. Segue la dichiarazione della titolarità esclusivamente pubblica della pianificazione. Si confermano poi una serie di principi già presenti nella legislazione statale e regionale: la pianificazione come metodo generale per il governo del territorio; l’onerosità per l’operatore immobiliare delle opere necessarie alla trasformazione urbanistica; la non indennizzabilità dei vincoli di tutela; il diritto agli standard urbanistici (integrati dal “diritto alla città e all’abitare”).

Una novità sono invece le norme che recepiscono la normativa europea in materia di valutazione ambientale strategica, il che fornisce l’occasione per rafforzare i diritti dei cittadini alla partecipazione alle scelte. Altrettanto nuove le prescrizioni che impongono un rigoroso contenimento del consumo del suolo. In questo campo l’Italia è stata finora completamente assente, mentre in tutti i più importanti paesi europei nell’ultimo decennio sono state avviate politiche concretamente mirate a impedire la dissipazione del territorio. È stata poi ripresa una proposta (per la prima volta formulata in un disegno di legge d’iniziativa di Walter Veltroni quando era ministro dei Beni culturali) per il vincolo di tutela ope legis sui centri storici e su tutte le strutture insediative storiche (anche non urbane). La vexata questio circa la decadenza dei vincoli a contenuto espropriativo è risolta imponendo ai comuni l’obbligo ad acquisire entro un termine perentorio i beni che i piani assoggettano ad esproprio.

In totale sono solo 19 articoli. Speriamo che il legislatore al quale affidiamo la nostra proposta ne faccia buon uso.

Presiede e conclude: Edoardo Salzano

Introduce: Paolo Berdini

intervengono: i senatori Salvatore Bonadonna, Anna Donati, Loredana De Petris, Francesco Ferrante, Mario Gasbarri, Giorgio Mele, Edo Ronchi, Cesare Salvi, ei deputati Maurizio Acerbo, Fulvia Bandoli, Angelo Bonelli, Paolo Cacciari, Giacomo De Angelis, Sergio Gentili, Angelo Lo Maglio, Gennaro Migliore, Walter Tocci, Roberto Villetti, dei gruppi parlamentari Democratici di sinistra, Margherita, Rifondazione comunista, Verdi, Partito dei comunisti italiani;

inoltre Luisa Calimani ( Città amica), Vittorio Emiliani ( Comitato per la bellezza), Claudio Falasca ( Cgil), Mirko Lombardi ( Rifondazione comunista), Desideria Pasolini dall’Onda (fondatrice di Italia Nostra), Domenico Fontana (Legambiente), Gianni Mattioli ( Fondazione DI Vittorio), Sauro Turroni (Verdi), Fabrizio Vigni ( Democratici di sinistra), Silvia Viviani (presidente Inu Toscana).

Sono stati invitati i ministri Antonio Di Pietro (Infrastrutture), Alfonso Pecoraro Scanio (Ambiente e tutela del territorio), Alessandro Bianchi (Trasporti).

Sono inoltre presenti: Mauro Baioni, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Vezio De Lucia, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina, Luigi Scano, Giancarlo Storto, Giulio Tamburini, che hanno collaborato alla proposta di legge.

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In particolare proponiamo di varare una nuova legge quadro per il governo del territorio che operi secondo i seguenti criteri: evitare il consumo di nuovo territorio senza aver prima verificato tutte le possibilità di recupero, di riutilizzazione e di sostituzione”. Questo concetto, contenuto nella proposta di programma del governo Prodi, è stato fondamentale per costruire la proposta di legge in materia di pianificazione del territorio.

Uno dei principi cardine della proposta è infatti quello di limitare al massimo il consumo di suolo. In questo ambito non si partiva da zero: la Regione Toscana ha da tempo inserito nella propria legge articoli che tentano di fermare il dilagare dell’urbanizzazione. Il territorio agricolo toscano è, in molte sue parti, tra i migliori esempi in Italia di conservazione dei caratteri storici del paesaggio: la tutela, dunque, non è soltanto un’esigenza astratta, ma una realtà concretamente perseguita da una delle regioni maggiormente sviluppate e dinamiche.

E mentre altre regioni, come il recente esempio della Sardegna in materia di tutela dell’integrità del territorio costiero, tentano di porre un argine alla dissipazione del territorio, siamo convinti che sia specifico compito dello Stato assumere come principio generale valido su tutto il territorio nazionale quello del risparmio di una risorsa ormai rara: il territorio. E’ peraltro un modo, crediamo, per rendere l’Italia uguale a tutti gli altri paesi d’Europa che attuano da anni rigorose politiche di contenimento della diffusione urbana.

Più in generale, la proposta di legge riafferma alcuni fondamentali principi dell’urbanistica. “Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze”, così recita il secondo comma del primo articolo della legge. Nel successivo articolo di riafferma il concetto – troppo spesso contraddetto nell’ultimo periodo dalla legislazione nazionale e di alcune Regioni - che la titolarità della pianificazione compete esclusivamente alle istituzioni pubbliche. Ancora più avanti si precisa che tale titolarità si esercita attraverso atti di pianificazione.

La proposta di legge tenta inoltra di ampliare i principi cui deve essere soggetta la pianificazione urbanistica. Il primo riguarda il “diritto alla città e all’abitare”, un tentativo di estendere la storica conquista degli standard urbanistici al diritto ad un’abitazione, ai servizi, alla mobilità e alle risorse territoriali. Il secondo riguarda la partecipazione sociale alle scelte del governo del territorio. E’ un tema che in qualche modo esula dallo specifico campo della pianificazione, poiché riguarda l’esercizio della democrazia; ma per il loro carattere “statutario”, le scelte di sviluppo del territorio e delle città rappresentano uno dei campi fondamentali in cui deve essere perseguita la più ampia partecipazione sociale. Il terzo riguarda l’assunzione di nuove categorie derivanti dalla legislazione europea, quali la direttiva sulla Valutazione ambientale strategica, che viene formalmente recepita nella legislazione del nostro paese.

La proposta di legge è stata discussa in questa prima fase con un ristretto numero di interlocutori, i cui suggerimenti hanno prodotto una proficua evoluzione dell’originario testo di legge. Il 28 di giugno verrà presentata ai parlamentari che hanno la responsabilità di costruire il percorso della nuova legge sull’urbanistica e di altri esperti della disciplina. Anche in questo caso ci attendiamo che vengano suggerimenti, integrazioni e critiche in grado di migliorare ulteriormente i contenuti della legge. La proposta presentata da eddyburg può compiere dunque un altro passo avanti, nell’obiettivo di contribuire a delineare un profilo riformatore dell’azione del nuovo governo in materia urbanistica.

L’insediamento d’un nuovo governo alimenta sin troppi sogni e spinte corporative. Da quasi ogni settore dell’opinione pubblica emergono suggerimenti, indicazioni richieste. Il Giornale non vuole partecipare alla costruzione di altri, interminabili elenchi, che pure i diversi settori che ne scandiscono la vita sin dalla sua fondazione potrebbero costruire. Come fa su questo numero Edoardo Salzano, il Giornale si apre a chi voglia isolare una questione sulla quale ritenga si debba concentrare l’impegno, non solo normativo o economico, di una legislatura. Lo fa nella convinzione che la complessità e l’intreccio dei problemi sul tavolo rischiano di immobilizzare il processo decisionale, e che la cultura italiana debba ritrovare in questo momento il coraggio della sfida intellettuale e di scelte nette. In questa direzione, tra le tante possibili, ci pare utile suggerire due questioni a una più ampia discussione.

La prima è la tassazione delle plusvalenze immobiliari. Luigi Einaudi, raccontando un secolo fa la parabola del quarto di acro nel centro di Chicago, ne aveva già fornito le ragioni insieme economiche e morali. Oggi, forse, il problema è anche e in primo luogo sociale. In un'Italia che ha perso il coraggio del rischio, che «vive bene» perché vive di rendite, o meglio di rendite e patrimoni, se si vuole riportare al centro della vita sociale il valore del lavoro, della sfida, persino dello stesso spirito protestante del capitalismo, questa partita è decisiva. Werner Oechslin ricorda, sempre in questo numero, la fatica dello studio e dell'apprendere, il valore del merito e della cultura come bene arduo ma universale. Quell'eremo di ricerca costituito dalla sua biblioteca di Einsiedeln bene riassume i valori oggi in gioco.

La seconda questione è il superamento di autonomie locali oggi controproducenti. Nel 1952, in occasione del convegno dell'Inu storicamente più importante, si pose, da parte dei più di 5.000 partecipanti, come problema essenziale, non solo per il corretto governo del territorio, la precisazione della funzione e dei poteri delle autonomie locali. Ridiscutendo, come si farà, di devoluzione, si colga l'occasione per una vera ridefinizione di competenze e riduzione delle burocrazie. Ancora oggi, dopo 54 anni, quell'auspicio è rimasto sostanzialmente tale; e governare, con queste istituzioni, territori che si vogliono dispersi e insieme sempre più integrati in sistemi a scale nazionali o internazionali, appare quasi voler affermare il primato dell'economia sulla società e sulla politica.

Due casi utili forse anche per un rilancio di una politica in grado di compiere scelte (e di renderle esplicite nei suoi obiettivi) nelle quali si provi almeno a tenere assieme sviluppo, funzionalità, etica e giustizia sociale. Se le scelte che si faranno saranno connotate (e praticate) con questa tensione, forse anche la partecipazione dei cittadini alla vita politica tornerà a essere meno stanca e casuale. Salvaguardando le diversità delle opinioni, anzi facendone un valore; in un confronto esplicito e trasparente sugli obiettivi sociali e non solo economici di politiche che comunque - su un ponte come su un piano paesistico - hanno impliciti interessi, attori sociali e, spesso, valori differenti.

PREMESSA

La cosiddetta “legge Lupi” è il nuovo disegno di legge nazionale intitolato “Principi in materia di governo del territorio”, approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005 e ora iscritto al Senato con il n. 3519. Il testo votato è destinato a sostituire buona parte delle leggi urbanistiche vigenti, dalla legge 1150 del 1942 a quelle che negli anni ’60 trattano dell’interesse pubblico nelle azioni urbanistiche, prevedendone l’abrogazione diretta[1] o la decadenza ove le Regioni emanino normative sui medesimi oggetti[2].

Il disegno di legge risulta dall’unificazione di otto disegni di legge diversi, presentati da gruppi di deputati che vanno da AN e Forza Italia a Margherita, DS, Verdi e Rifondazione, e da numerosi emendamenti approvati alla Camera prima del voto sul provvedimento complessivo. Oggetto di un voto segreto parzialmente bipartisan[3] difficilmente comprensibile, spiegabile forse soltanto con la scarsa cultura urbanistica e dei beni comuni che caratterizza gran parte degli attuali deputati[4], è caduto nell’assordante silenzio[5] della stampa, occupata a fornirci quotidianamente notizie il più possibile inessenziali.

Lo scandalo non sta tanto nei voti della sinistra a una legge di destra, al di là del fatto che questi termini abbiano ancora un significato in molte scelte relative al rapporto tra pubblico e privato, ma nell’ampia approvazione data a uno strumento il cui impianto e i cui contenuti, malgrado dichiarazioni sfacciate che l’hanno definito “una delle riforme più importanti per la modernizzazione del nostro paese”[6], sono assai arretrati e confusi rispetto alle discipline in essere nei principali paesi occidentali avanzati, senza neppure costituire una legge quadro che riorganizzi l’intera materia in modo sistematico. La legge in effetti si limita a disciplinare la sola materia urbanistica[7], non affrontando né la definizione di governo del territorio né gli altri temi che la sostanziano: paesaggio, ambiente, assetto idrogeologico, ecc.[8].

Le valutazioni politiche più sobrie evidenziano la confusione di ruoli tra soggetti pubblici e privati[9]; il riferimento ad alcuni contenuti di leggi regionali già vigenti anziché l’elaborazione di principi adeguati a una legge nazionale, quali la partecipazione democratica dei cittadini alla formazione degli atti di governo e la sostenibilità ambientale[10]; l’intrusione del governo nazionale in materie delegate alle Regioni, la scarsa innovazione e l’eccessiva flessibilità, l’assenza di contenuti relativi alle funzioni settoriali proprie dello Stato e alla loro necessaria integrazione nelle azioni di programmazione e pianificazione, la mancata soluzione della dipendenza finanziaria dei Comuni dall’ICI e quindi la loro condanna a perseguire immotivate politiche di espansione dell’urbanizzato per far quadrare il bilancio[11] in una perversa alleanza con le forze immobiliariste.

Dei diversi contenuti del disegno di legge tentiamo un commento il più possibile ragionato, con l’augurio di vederlo pubblicato e letto prima del voto in Senato.

Per poter dare una valutazione non tattica del testo normativo è tuttavia necessario delineare per sommi capi il contesto in cui esso interviene, caratterizzato da profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni: a quali problematiche relative alle trasformazioni territoriali occorre far oggi riferimento? Quali nuovi ruoli può giocare il territorio nelle scelte di sviluppo locale? Come cambiano le funzioni di governo del territorio e degli enti pubblici territoriali?

1. QUALE È IL TERRITORIO IN QUESTIONE?

Il contesto fisico in cui la legge si trova oggi a operare è profondamente cambiato rispetto al 1942: sembra un’osservazione ovvia, eppure la legge Lupi non ne sembra cosciente.

Le aree urbanizzate erano all’epoca in Italia ben delimitate e definite dall’armatura urbana di lunga durata con i suoi equilibri ambientali e territoriali, e rappresentavano soltanto una minima parte del territorio complessivo. Gran parte del territorio non urbano, compreso quello collinare e montano, era presidiato da agricoltori che ne garantivano sia la manutenzione quotidiana che il mantenimento della destinazione d’uso rurale. L’urbanistica si occupava essenzialmente della città, dei centri urbani, in quanto la riproduzione della campagna era comunque garantita dai suoi abitanti/produttori.

Se osserviamo la cartografia redatta dall’IGM[12] nella metà degli anni ’50, le relazioni di lunga durata fra sistemi urbani e spazi aperti risultano ancora leggibili, benché l’esodo della popolazione rurale verso le fabbriche della pianura padana fosse ormai avviato e aprisse la strada all’abbandono del territorio montano e collinare, ormai considerato inessenziale per lo sviluppo del paese, e al consumo di territorio agricolo di pianura e di fondo valle per nuove urbanizzazioni per l’industria agro-alimentare.

Questo processo, che si compie nei decenni successivi, cambia profondamente l’organizzazione del territorio: l’industrializzazione accelerata basata sul modello fordista della grande impresa svuota le valli alpine e appenniniche di abitanti e risorse, e fa crescere le medie e grandi città industriali del centro-nord, che si espandono nella prima e nelle successive “cinture” saldandosi di fatto con i comuni contermini fino alla costruzione di conurbazioni metropolitane. Al sud e lungo le coste, a fianco delle “cattedrali nel deserto” rappresentate dai poli dell’industria chimica e siderurgica, e allo spopolamento di interi paesi per i massicci movimenti migratori, lo sfruttamento della rendita fondiaria ai fini di un modello turistico di massa acquista un ruolo economico primario. I processi di decentramento industriale, conseguenti alla crisi del modello fordista, in atto dalla metà degli anni ’70 nei tessuti regionali di città piccole e medie della terza Italia “periferica” si fondano su relazioni più attive e sinergiche fra sistema produttivo e contesti locali come nel caso dei distretti; gli esiti sono tuttavia un’ulteriore erosione degli equilibri di lunga durata tra armatura urbana e spazi rurali, un territorio che alla fine del XX secolo non è più in molte zone del paese né città né campagna, bensì una successione disordinata, priva di ogni logica funzionale (per tacere dell’estetica) di lottizzazioni residenziali, case isolate, capannoni, discariche, svincoli stradali, servizi pubblici e centri commerciali raggiungibili solo in auto, terreni abbandonati in attesa di diventare urbanizzabili, ricordi di città e fazzoletti di campagna residua[13]. L’urbanizzazione è dilagata, grazie a politiche sia centrali che locali poco previdenti e ai numerosi condoni, negli ambiti di pertinenza di fiumi e torrenti, nelle aree geologicamente instabili, sulle pendici dei vulcani attivi, su dune litoranee e spiagge in erosione. I territori male urbanizzati sono territori a rischio, come emerge sempre più spesso in seguito agli eventi meteorici intensi[14] e ai crescenti dissesti idrogeologici, e non a caso altri governi nazionali europei hanno dedicato leggi e altre azioni recenti per impedirne l’ulteriore occupazione e promuoverne la de-urbanizzazione[15].

Rispetto al territorio nazionale complessivo, pur mancando dati statistici attendibili che ne garantiscano una copertura soddisfacente[16], le aree urbanizzate sono cresciute in misura abnorme, raggiungendo in alcune aree incrementi superiori al 270% dagli anni ’50 agli anni ‘90[17]. La crescita dei suoli urbanizzati si concentra principalmente nei territori di pianura e fondovalle, non soltanto in prossimità dei grandi centri, arrivando in alcune aree a coprire oltre la metà del territorio complessivo[18]. Il paradosso sta nel fatto che questa crescita abnorme dei suoli urbanizzati continua e aumenta in anni recenti, quando il saldo demografico naturale e i grandi trasferimenti di popolazione, dal Sud al Nord e dalle zone rurali alle grandi città, si sono prima ridotti e poi quasi annullati, sia in Italia che nel resto d’Europa[19]. Un così elevato consumo di suolo, a fronte di una popolazione quasi ovunque stabile, quando non in diminuzione[20], riflette solo in minima parte un miglioramento della condizione abitativa, comportando invece seri problemi collettivi, che altri paesi avanzati hanno tematizzato e cercano di trattare attraverso politiche di governo del territorio appropriate[21].

In tutte le trasformazioni fin qui descritte il territorio è stato principalmente utilizzato come mero supporto fisico per la localizzazione delle attività economiche e come oggetto privilegiato per la produzione di rendita. Il suo governo attraverso l’urbanistica, nei casi migliori ha rappresentato un tentativo di contenere l’urbanizzazione selvaggia e di riequilibrare il rapporto tra rendite individuali, profitti d’impresa e benefici collettivi attraverso politiche pubbliche per la casa e la produzione di servizi alla persona (salario indiretto), anche grazie all’applicazione degli standard urbanistici[22]. L’urbanistica non si misurava quindi in quella fase con la definizione delle linee di sviluppo economico (se non nei casi in cui alimentava, con decisioni di piano, i meccanismi della rendita fondiaria, gonfiando il mercato immobiliare e il settore edilizio come settore economico), ma con la mitigazione dei suoi effetti, in termini di riduzione degli squilibri tra crescita degli insediamenti e servizi. Non sempre questa mitigazione ha avuto successo, ma la nuova legge abbandona anche tale obiettivo minimo per promuovere la rendita immobiliare a interesse collettivo.

2. NUOVO RUOLO DEL TERRITORIO NELLA PRODUZIONE DI RICCHEZZA DUREVOLE

Nel contesto post-industriale attuale, l’ormai conclamata crisi del modello di sviluppo della crescita economica illimitata ha messo in luce effetti disastrosi sul piano sociale (crescente polarizzazione e segregazione, aumento della povertà), ambientale (esaurimento delle risorse vitali, crisi degli ecosistemi, inquinamento, effetti dei cambiamenti climatici), economico (crisi di produttività da dumping ambientale e salariale) e urbanistico (degrado territoriale, abbassamento della qualità della vita).

La consapevolezza di questi effetti ha prodotto negli ultimi anni, da una parte a scala planetaria i noti processi di “neoliberismo armato” di tipo imperiale per governare autoritariamente fattori di crisi ormai ingovernabili, nel contesto di una crescente privatizzazione dei beni comuni, in primo luogo del territorio; dall’altra, a livello locale, una profonda e crescente riconsiderazione da parte di molte regioni, municipi e, in parte dell’Unione Europea, del “territorio” (inteso come insieme di fattori ambientali, sociali, culturali locali, di pratiche, saperi, economie ecc. che definiscono l’identità di un luogo) e dei suoi giacimenti patrimoniali quale potenziale fattore di sviluppo sostenibile, di coesione economica e sociale, e di produzione di relazioni globali solidali e non gerarchiche. In sostanza, in questa seconda linea di tendenza, il territorio assurge a fattore primario di resistenza agli effetti distruttivi e omologanti della competizione globale e di innovazione dei modelli di sviluppo, di fronte alla crisi strategica del modello precedente.

Il percorso politico-culturale che interpreta questa seconda linea di tendenza non considera più il territorio come oggetto di consumo e come mero supporto delle attività economiche, bensì come soggetto complesso che costituisce la base primaria della produzione di ricchezza durevole, grazie alle peculiarità identitarie e alle risorse patrimoniali che caratterizzano ogni luogo.

Rispetto a questa prospettiva il “consumo” di territorio attraverso nuove urbanizzazioni non soltanto non aiuta in generale le attività economiche, ma si rivela addirittura controproducente per le stesse, come osserva il Presidente della Regione Sardegna a proposito delle attività turistiche nella sua isola: “Il turismo […] non è attività edilizia, è uso attento del territorio per l’offerta di servizi […] che vuol dire la costa, la spiaggia, il terreno circostante, ma vuol dire anche il paesaggio, la storia, la cultura, i suoi abitanti, tutto quello che c’è attorno, i mestieri che si sanno fare e altre attività economiche”[23]

Mettere in valore saperi locali - peculiarità produttive, artistiche, artigiane, capitale sociale locale – nella costruzione di paesaggi e prodotti autentici che scaturiscono dalla storia irripetibile di ogni luogo significa affrontare un processo di ri-territorializzazione, di differenziazione degli “stili di sviluppo”, di produzione di relazioni di scambio fra luoghi tendenzialmente non gerarchiche e cooperative.

Un simile processo di ridefinizione delle forme di sviluppo in termini di crescita di sistemi socioeconomici fondati sulla valorizzazione dei giacimenti patrimoniali di ogni luogo non si da senza il coinvolgimento pieno delle energie sociali ed economiche locali. Affinché queste energie assumano la guida di questo percorso è essenziale che esse siano valorizzate attraverso processi partecipativi che mobilitino la società locale in tutte le sue componenti, verso l’autogoverno.

I cambiamenti nell’organizzazione del territorio, il nuovo ruolo potenziale del territorio stesso e l’esigenza di trasformare in senso partecipativo gli istituti decisionali richiedono di riconsiderare in modo radicale il ruolo e la definizione stessa di ciò che è azione effettiva di “governo” del territorio.

3. IL GOVERNO DEL TERRITORIO NEL CONTESTO ATTUALE

Se assumiamo il territorio come potenziale produttore di ricchezza durevole il suo governo dovrà promuovere politiche per valorizzarne le peculiarità, trasformare i giacimenti in risorse, garantendone la riproducibilità, attivando in questo percorso la società locale[24]. In questo contesto gli enti locali in quanto enti di governo del territorio acquistano nuovi ruoli nel governo dell’economia, nell’ipotesi in cui essa si fondi sul governo dei fattori produttivi e riproduttivi costituiti dai giacimenti patrimoniali locali, ivi comprese le attività economiche a valenza etica sempre più diffuse e diversificate rispetto a ciascun contesto locale. L’urbanistica, come strumento che disciplina l’uso dei suoli e delle risorse territoriali, diviene parte integrante di questi nuovi compiti: da regolatore dei fattori riproduttivi e della rendita, a strumento che governa l’uso delle risorse endogene per la loro valorizzazione in sistemi economici a base locale.

Questi nuovi ruoli del governo del territorio e dell’urbanistica nella valorizzazione dellerisorse territoriali e ambientali finalizzata ad attivare modelli di sviluppo locale “autosostenibile”[25], si intrecciano con i cambiamenti istituzionali intervenuti tra e nei diversi livelli degli istituti di governo[26].

Se ciò che si intende designare con il termine di “governo” è stato oggetto, negli ultimi anni, di notevoli cambiamenti, la stessa parola è stata da alcuni considerata superata, contrapponendole una “governance” che avrebbe dovuto rispecchiare in maniera più esplicita la complessità degli attori che concorrono a garantire questa attività, oggi sempre più multilivello[27]. Il “governo” come attività di un attore pubblico sovraordinato a tutti gli altri non è oggi più concepibile: l’accezione minima di “governance” è quella di mettere insieme, nel decidere, perlomeno i diversi enti pubblici competenti su un medesimo territorio, e tra questi è compresa ovviamente[28] anche l’Unione Europea.

La “cornice” di qualunque azione di governo è oggi disegnata dall’Unione Europea attraverso le proprie direttive, piani d’azione, documenti preparatori e interlocutori; entro questa cornice operano, con ruoli diversi e complementari, Comuni, Regioni e Stati. Curiosamente, l’attore UE non è mai richiamato esplicitamente dalla legge[29], e neppure lo sono indirizzi fondamentali da esso promossi: il territorio quale bene/risorsa trasversale (non gestita da un’unica DG, al contrario, ad esempio, dell’ambiente[30]) presente nel progetto di Convenzione europea, la coesione territoriale[31], l’attenzione a contenere gli sprechi della risorsa suolo.

Non solo: la scarsa attenzione prestata nei contenuti sostanziali della legge “Lupi” agli effetti che le trasformazioni territoriali esercitano sull’ambiente e sul patrimonio culturale è decisamente in controtendenza rispetto alle politiche recenti dell’Unione Europea.

Lo sviluppo sostenibile come obiettivo da garantire nelle azioni di trasformazione territoriale e urbana, presente nel documento COM(1998) 605 “Sustainable Urban Development in the European Union: A Framework for Action”, ha prodotto l’inclusione di considerazioni ambientali nelle linee guida della Commissione per i programmi di sviluppo regionale 2000-2006, ha contribuito al rinnovo del programma URBAN e supportato una serie di programmi di ricerca, fra cui “City of Tomorrow and Cultural Heritage”. La Strategia Tematica in preparazione per il 2006 dovrebbe dare nuovo vigore all’integrazione degli aspetti della sostenibilità in diverse politiche specifiche, con particolare attenzione a quelle relative alla pianificazione degli usi del suolo[32], integrazione già portata avanti con la disciplina della VAS, con le varie certificazioni EMAS, con la direttiva 2000/60 sull’acqua, con il Codice europeo del paesaggio. La recente Comunicazione “Towards a thematic strategy on the urban environment” COM(2004)60 offre infine una visione d’insieme dell’approccio che guiderà l’azione europea in questo campo nei prossimi anni: assicurare lo sviluppo sostenibile delle regioni in cui le aree urbane sono inserite, “minimizzare gli impatti negativi delle aree urbane sui cicli ecologici a tutti i livelli, applicando il principio di precauzione, e migliorare le condizioni ecologiche.”, anche attraverso azioni di “riqualificazione (retrofitting) delle aree urbane per aumentarne la sostenibilità”. Nello stesso documento vengono sottolineati i temi della Progettazione urbana sostenibile[33], dell’Integrazione tra politiche comunitarie[34] e dell’Integrazione tra livelli diversi dell’amministrazione pubblica. L’adozione di questi indirizzi come guida per progettare la trasformazione delle città e ancor più delle regioni urbane[35] è ormai diffusa a livello europeo, producendo una serie di scenari innovativi[36].

Si va tuttavia diffondendo ormai da tempo anche un’altra interpretazione, più estesa, del termine “governance”, che a fronte di competenze pubbliche sempre più frammentate e concorrenti, e di attori economici sempre più capaci di muoversi opportunisticamente da un territorio all’altro negoziando separatamente con i diversi enti pubblici competenti condizioni più favorevoli ai loro affari, riconosce ai cittadini che abitano un determinato territorio il diritto a partecipare alla costruzione delle diverse scelte, superando così il deficit di democrazia effettiva in cui si trovano di fatto in gran parte delle occasioni. La partecipazione dei cittadini, di fatto, garantisce anche l’effettiva concorrenza fra tutti gli eventuali attori economici interessati a fronte di possibili pratiche lobbistiche fra alcuni attori. A maggior ragione, questa partecipazione è essenziale per garantire agli enti pubblici territoriali nuovi ruoli nel governo dell’economia, nell’ipotesi sopra tratteggiata in cui essa si fondi sul governo dei fattori produttivi e riproduttivi costituiti dai giacimenti patrimoniali locali

Le accezioni più mature di governo del territorio o di governance riconoscono quindi l’importanza di far partecipare alle decisioni sia la molteplicità degli enti pubblici competenti che i cittadini, estendendo i tavoli negoziali a comprendere rappresentanze degli interessi deboli e attivando nuovi istituti di partecipazione deliberativa da parte dei cittadini[37].

La legge 1150/42 era stata scritta con attenzione alle più avanzate esperienze europee dell’epoca, pur essendo poi stata oggetto di interpretazioni spesso riduttive nella sua applicazione. La nuova legge Lupi sembra prescindere totalmente anche dalla raccomandabile pratica di guardare riflessivamente alle altre esperienze, riconoscendo i diversi problemi fin qui richiamati e offrendo risposte pertinenti agli stessi.

In conclusione nel disegno di legge Lupi nonostante il pomposo titolo “Principi in materia di governo del territorio” e i richiami puramente allusivi qui e là utilizzati, oltre a non contenere traccia di “principi” di governo rispetto ai problemi che abbiamo evidenziato, non prevede né tradizionali azioni di governo, in quanto vengono abrogati i tradizionali strumenti di regolazione urbanistica (atti autoritativi, standard minimi ecc.) e neppure innovazioni che spostino l’azione di governo verso effettive pratiche di governance, che da un lato integrino la disciplina dell’urbanistica con le azioni relative al paesaggio, all’ambiente, all’assetto idrogeologico ecc., e che dall’altra amplino le tipologie degli attori aprendo alla rappresentanza degli interessi diffusi.

Quali sono le questioni che una legge nazionale per il governo del territorio dovrebbe proporsi di affrontare e indirizzare?

Le grandi questioni che una legge nazionale dovrebbe proporsi di affrontare sono, come già richiamato:

- il riconoscimento dei patrimoni e delle risorse territoriali [38] che costituiscono bene comune non negoziabile;

- le modalità di messa in valore dei giacimenti patrimoniali locali che ne garantiscano la riproduzione nel tempo(durevolezza e sostenibilità);

- la necessità di un’equa distribuzione sociale e intergenerazionale dei costi e dei benefici delle trasformazioni territoriali operate;

- le modalità per garantire il diritto di partecipazione delle popolazioni interessate alle decisioni relative al territorio in cui vivono.

A tal fine, una legge nazionale di governo del territorio dovrebbe organizzare le seguenti materie:

- interpretare e integrare per l’azione degli enti pubblici territoriali il corpus delle Direttive, indirizzi e riflessioni più avanzate prodotte dall’UE e dalle diverse Carte internazionali in materia di territorio [39], inteso nelle sue molteplici dimensioni urbane, ambientali, culturali e paesistiche ecc.; la legge non cita una sola volte un atto comunitario ufficiale, per non parlare della Carte ecc.

- definire principi generali che l’esercizio delle competenze regionali, provinciali e comunali deve contribuire a sviluppare e arricchire tenendo conto dei contesti specifici.

Nel definire i principi generali il Parlamento italiano aveva a disposizione un’ormai ampia casistica di leggi regionali recenti. Se, come osservato, “Occorre prendere atto che lo Stato sta di fatto rincorrendo le regioni”[40], questa rincorsa era auspicabile assumesse perlomeno i riferimenti più innovativi.

Questo disegno di legge, che richiama i “principi” soltanto nel titolo, applica di fatto il principio di assumere le procedure più destrutturanti il governo pubblico del territorio già introdotte in alcune leggi regionali fra cui quella calabrese e soprattutto quella lombarda[41], o previste dal controverso PdL della Regione Sicilia[42], con la volontà di imporle in futuro anche alle altre regioni. Al contrario, alcune leggi regionali recenti[43], oltre a unificare materie settoriali (infrastrutture, ambiente, edilizia, attività produttive, commercio ecc.) all’interno di procedure integrate di governo del territorio, hanno rafforzato il significato del governo pubblico del territorio dando centralità alla valorizzazione dei giacimenti patrimoniali e identitari come beni comuni, hanno introdotto criteri di valutazione preventiva della sostenibilità delle trasformazioni proposte e interpretato la sussidiarietà come chiara ripartizione delle competenze fra.enti territoriali che concorrono a esercitare la funzione di governo del territorio.

5. I CONTENUTI PIÙ NEFASTI DEL DISEGNO DI LEGGE

A partire dalle prime critiche fin qui esposte, che riguardano l’impostazione generale della legge rispetto alle principali poste in gioco nel governo del territorio, verifichiamo ora più puntualmente i contenuti specifici che maggiormente contribuiranno a legittimare azioni lesive del territorio italiano, inteso come patrimonio collettivo.

a. Un disegno di de-regolazione generalizzata

Vediamo più nel dettaglio come la legge introduca indebitamente[44] molte procedure puntuali di de-regolazione rispetto alle norme attualmente vigenti, che esprimono implicitamente un progetto di destrutturazione del governo pubblico del territorio. Essa prevede ad esempio:

- la possibilità che un “intervento diretto” proposto da privati possa diventare prima piano urbanistico e poi variante al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale[45] (art.8, comma 6e art.9, comma 1), configurando il processo di pianificazione pubblica come sommatoria dei progetti incrementalmente proposti da operatori immobiliari;

- il riconoscimento di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricompresse in determinati ambiti “indipendentemente dalla specifica destinazione d’uso”, diritti “trasferibili e liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali” art.9, comma 3), delegittimando qualunque controllo funzionale, paesistico e ambientale nei diversi ambiti[46];

- la sostituzione degli standard urbanistici minimi nazionali[47], con livelli minimi di dotazioni non meglio precisati e definibili caso per caso con il concorso dei privati (art.7, comma 1);

- la generalizzazione della procedura del silenzio-assenso per le concessioni edilizie[48] (art.13, comma.4).

b. Incongruenze tra enunciati e contenuti

Un’incongruenza diffusa è rilevabile nell’insieme del testo tra enunciati di carattere generale e disposizioni specifiche. Ad esempio, la priorità enunciata relativamente al recupero dei territori urbanizzati (art.6, comma 2), è smentita da disposizioni specifiche che invece mettono sullo stesso piano recupero e urbanizzazioni ex novo (art.6, commi 5 e 6).

Il testo sembra riflettere nel suo insieme una profonda indifferenza per il significato del linguaggio tecnico utilizzato, come si può evincere da una serie di incongruenze anche lessicali fra le definizioni di cui all’art.2 e i termini usati all’6: all’art. 2 la “pianificazione territoriale” e la “pianificazione urbanistica” sono attribuite ad enti diversi, senza chiarirne le differenze di contenuti, mentre all’art.6 la “pianificazione urbanistica” diventa “pianificazione del territorio”[49] e compare una “pianificazione delle aree metropolitane” non meglio attribuita. All’art. 5 “sussidiarietà, cooperazione e partecipazione” diventano alla riga successiva “sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”.

E ancora, all’art.6, comma 2 viene sottolineata l’importanza della “difesa dei caratteri tradizionali” (?) quando poi all’art.5, comma 7 si prescrive un quadro conoscitivo unitario e criteri omogenei per le cartografie: se è evidente la necessità di rendere i quadri conoscitivi comparabili fra loro, l’”omogeneità” nega di fatto la possibilità di rappresentare adeguatamente le peculiarità di ciascun luogo e dei suoi specifici giacimenti patrimoniali che costituiscono appunto i cosiddetti “caratteri tradizionali”.

c. La sussidiarietà tradita

La legge interpreta in modo curioso il principio di sussidiarietà. Oltre alla richiamata ingerenza nei confronti della competenza legislativa regionale in materia, la sbandierata autonomia attribuita ai Comuni, nel contesto degli attuali rapporti tra Stato centrale ed enti pubblici territoriali in materia di risorse finanziarie, si risolve (grazie allo strumento della negoziazione con gli attori economici), nell’incitare i Comuni alla svendita del patrimonio territoriale per recuperare un po’ di risorse finanziarie attraverso l’ICI e gli oneri di urbanizzazione. Il ruolo potenzialmente rilevante assegnato dal disegno di legge ai Comuni avrebbe un senso diverso se i Comuni avessero una autonomia finanziaria e decisionale rilevante, mentre in questi anni sono stati svuotati di entrambe (taglio dei trasferimenti statali, obbligo di trasformare le municipalizzate in grandi aziende di diritto privato non più gestibili come servizi pubblici[50]). L’autonomia dei Comuni nel governo del proprio territorio, largamente auspicabile in un’ottica di reale applicazione del principio di sussidiarietà e del federalismo municipale, richiederebbe peraltro dei principi guida, definiti a livello sovracomunale e condivisi dai diversi livelli istituzionali, e dei criteri di valutazione delle azioni locali da applicare nei rapporti interistituzionali[51]. Infine, una reale autonomia richiede, a sua garanzia, l’attivazione di un forte processo partecipativo in grado di mobilitare la pluralità e la complessità degli interessi sociali contro i pochi poteri forti di cui il Comune solitamente è ostaggio o complice.

Un’altra evidenza del modo distorto di interpretare la sussidiarietà è all’art.6, comma 2 dove si prescrive che i piani di ambito (aree di pianificazione sovracomunale definite dalle Regioni) “non possono avere […] un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali”: ciò significa che possono averlo eguale, il che vanifica ogni distinzione di competenze fra i diversi livelli di pianificazione, e aggiunge elementi di farsa alla succitata autonomia dei Comuni. Una pianificazione d’ambito (sovracomunale) efficace richiederebbe peraltro una compensazione generalizzata tra Comuni dell’ICI[52], mentre il testo di legge la prevede (art.12, comma 2 b) soltanto per la localizzazione di specifiche “attrezzature”[53].

d. La partecipazione negata

La legge prevede che le funzioni amministrative siano esercitate prioritariamente mediante “l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi” (art.5, comma.4). Ad una prima lettura superficiale, la valutazione non può che essere positiva: il riconoscimento dei limiti degli strumenti autoritativi nell’implementazione delle scelte è quasi unanime, così come l’esigenza di attivare strumenti di condivisione multiattoriale nei processi di piano. A un esame più approfondito viene tuttavia da chiedersi: atti negoziati fra quali attori? I requisiti necessari affinché questo passaggio comporti effetti positivi per la collettività riguardano sia l’allargamento dei tavoli negoziali a rappresentanze di interessi in grado di far interagire gi attori deboli, sia la promozione di istituti di partecipazione dei cittadini con effettivo ruolo decisionale.

Qui, come si suole dire, casca l’asino: nel disegno di legge la partecipazione dei cittadini viene solo enunciata (art.8 comma 2) e non sostanziata da alcun procedimento effettivo che la garantisca maggiormente di quanto già previsto dalla legge 1150/42 con riferimento al procedimento di approvazione dei piani (osservazioni); mentre per quanto riguarda i tavoli negoziali si fa unicamente riferimento agli operatori economici (finanziari) privati la cui partecipazione è la sola a essere pienamente garantita[54], in particolare nei richiamati “interventi diretti” che assumono valore di piano urbanistico[55].

Dagli atti autoritativi del passato, i cui difetti sono noti, si passa dunque ad atti negoziali in cui l’interesse collettivo è ancora meno garantito, sia per alcune caratteristiche proprie del settore immobiliare (asimmetria informativa tra pubblico e privato sui margini di guadagno, concorrenza fra Comuni a fronte di un oligopolio territorialmente ampio dei grandi operatori) che per le condizioni specifiche del nostro contesto nazionale (scarsa trasparenza, scarsa presenza nel settore pubblico di professionalità adeguate alla gestione dei processi)[56].

La partecipazione, enunciata e non sostanziata, serve dunque da alibi per demolire gli strumenti esistenti senza sostituirli con modalità più efficaci nell’attribuire ai cittadini il diritto di tutela dei loro interessi non particolari, ma comuni a chi abita e si prende cura di un determinato territorio.

e. gli standard urbanistici aboliti

Anche in questo caso, i limiti degli standard tradizionali, puramente quantitativi (mq/abitante di servizio), sono noti, non avendo questa dotazione impedito la produzione di insediamenti privi di qualità e densi di squilibri ambientali e territoriali, anzi avendola in alcuni casi addirittura promossa[57]

La nuova legge prevede l’eliminazione degli standard urbanistici minimi finora vigenti, affidando la garanzia della “dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici” (art. 7, comma 1) a “criteri prestazionali” non ulteriormente specificati, in relazione a un “livello minimo dell’offerta di servizi” non meglio definito (né il livello, né i servizi[58]). L’unico punto specificato è la possibilità che i servizi pubblici vengano garantiti anche con il concorso dei soggetti privati[59], mentre la definizione dei criteri di dimensionamento è affidata alle singole Regioni.

Anche qui, chi non riconosce il valore del considerare la dimensione prestazionale dei servizi? Il problema è che la valutazione prestazionale da sola, peraltro non definita e quindi aperta a tutte le interpretazioni del caso, non è una garanzia sufficiente. Gli effetti anche negativi dei “vecchi” standard e loro parziale inadeguatezza attuale, non giustificano la loro soppressione tout court, ma ne richiederebbero una rinnovata definizione.

A livello nazionale non c’è più invece neppure un criterio unitario, né quantitativo né prestazionale, riferito agli standard urbanistici o alle “dotazioni territoriali”. L’unico elemento che accomunerà obbligatoriamente, in virtù di una legge nazionale, Piemonte e Puglia, Veneto e Campania è l’apertura ai privati nella fornitura delle dotazioni necessarie di attrezzature e servizi pubblici.

f. la promozione di ulteriore consumo di suolo

Come già richiamato, in molti paesi europei il “consumo di suolo” viene attentamente monitorato e la sua riduzione costituisce un chiaro obiettivo dell’azione di governo. Non si tratta tanto di bloccare le attività immobiliari, quanto di dirigerle verso il riuso e la riqualificazione delle aree già urbanizzate e oggi dismesse o sottoutilizzate, creando un sistema che incentivi questo tipo di interventi e disincentivi invece l’urbanizzazione di suoli agricoli e naturali.

In questa legge la priorità del recupero e della riqualificazione dei territori già urbanizzati è prima enunciata (art.6, comma 2), e poi di fatto negata (art.6, comma 5), prevedendo una suddivisione del territorio non urbanizzato in tre categorie, una delle quali è quella delle “aree urbanizzabili”! La versione del testo licenziato dalla Commissione prevedeva perlomeno una procedura di verifica dell’assenza di alternative attraverso “la riorganizzazione funzionale dell’edificazione esistente”, e la valutazione di compatibilità ambientale per la nuova edificazione di aree non urbanizzate. Il testo votato alla Camera non si preoccupa nemmeno di salvare le apparenze formali, aprendo di fatto la strada a qualsivoglia espansione. Non solo: se leggiamo questa norma insieme alla successiva “Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale” (art.9, comma 6), appare chiaro il vero principio che informa implicitamente questa legge, insieme al ruolo affidato ai privati, è quello dell’edificabilità di tutti i suoli. Rispetto a questo principio teorico, spetta al pianificatore l’onere di dimostrare il contrario, capovolgendo così anni di dibattito sull’utilità collettiva di distinguere tra proprietà dei terreni e diritto a edificarli, e azzerando la conquista del passaggio dalla “licenza” alla “concessione” a costruire (per la quale, in effetti, questa legge introduce il silenzio-assenzo, riconducendola ad atto dovuto). I costi collettivi derivanti dalla promozione del consumo di una risorsa come il suolo, notoriamente non rinnovabile, non interessano evidentemente a nessuno di coloro che ha votato la legge.

g. il governo del territorio come politica settoriale

Infine, sono assenti (anzi negati) principi e indicazioni più puntuali relativi alla necessaria integrazione fra una serie di azioni settoriali che concorrono in modo essenziale a garantire il governo del territorio. Se il territorio è un oggetto complesso, il cui governo efficace richiederebbe l’integrazione di molte materie gestite dallo Stato in modo settoriale (lavori pubblici, difesa idrogeologica, agricoltura, economia ecc.), stride il fatto che neppure l’ambiente, piuttosto che i beni culturali e il paesaggio, siano considerate materie da far interagire.

Senza entrare nel merito delle ragioni per cui lo Stato si è riservato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché dei beni culturali e del paesaggio, come materie di propria esclusiva competenza, considerando invece il governo del territorio[60] materia concorrente di Stato e Regioni, colpisce la mancanza di indirizzi, o anche solo di richiami, all’indispensabile integrazione di queste materie nell’azione di governo locale (ferme restando le rispettive competenze legislative in capo rispettivamente a Stato e Regioni).

Il ribadire (art.1, comma 3) soltanto la competenza statale in materia di beni culturali, paesaggio e ambiente, in assenza di qualsiasi principio di integrazione, legittima l’inerzia o la devastazione da parte degli enti locali; non vengono assolutamente richiamate le indispensabili (e ormai relativamente diffuse) dimensioni ambientali e paesistiche dei piani urbanistici e territoriali, che quindi retrocedono allo status di opzione non necessaria. Il rapporto tra piano urbanistico e norme paesistiche e ambientali sovraordinate diventa di semplice recepimento, impedendo quindi qualunque arricchimento e specificazione della materia dal basso e dallo specifico del territorio in questione. La stessa “valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale” (art.3, comma 4) è riservata allo Stato: il che, come dimostrato di recente, rischia di tradursi in vendita (o concessione a lunga scadenza) dei beni demaniali per ragioni di cassa, senza prevedere alcun riconoscimento del diritto delle comunità locali a vederne riconosciuta la proprietà comune e di conseguenza la non alienabilità.

Così ridotto a politica settoriale, il cosiddetto governo del territorio diventa attività di promozione pubblica, a favore dei proprietari dei terreni e delle imprese immobiliari, e a danno della collettività (i cui interessi non sono più tutelati da nessuno), di nuove urbanizzazioni.

6. INDICAZIONI PER UNA PROPOSTA DIVERSA

Come abbiamo più volte affermato nel testo che precede, una legge nazionale sul governo del territorio dovrebbe, in coerenza con il Titolo V della Costituzione, esplicitare una serie di principi capaci di interpretare il ruolo del territorio come garante del benessere collettivo. Le diverse competenze istituzionali e i diversi contesti territoriali avrebbero il compito, nel quadro di una base comune di diritti, regole e garanzie, di declinare questi principi arricchendone e specificandone i contenuti rispetto alle diverse accezioni di benessere collettivo coerenti con ciascun modello di sviluppo locale.

Proviamo a enunciare, coerentemente con le questioni fin qui richiamate (lo stato del territorio italiano e i suoi problemi; il nuovo ruolo del territorio nella produzione di ricchezza durevole; i conseguenti cambiamenti nel governo del territorio), alcuni dei principi che dovrebbero informare una legge nazionale e le conseguenze che l’adozione di questi principi comporta per una nuova definizione degli standard urbanistici.

6.1 I principi

Territorio come bene comune

Il principio basilare dovrebbe affermare la centralità del territorio come bene pubblico e collettivo, o meglio come “bene comune”[61] essenziale al benessere delle comunità su di esso insediate[62].

Questo principio si fonda sul presupposto che il territorio costituisca l’ambiente essenziale alla riproduzione materiale della vita umana, e al realizzarsi delle relazioni sociali e della vita pubblica. Territorio non è quindi soltanto il suolo o la società ivi insediata, ma il patrimonio (fisico, sociale e culturale) costruito nel lungo periodo, valore aggiunto collettivo che troppo spesso viene distrutto, anche da amministrazioni di centro-sinistra, in nome di un astratto e troppo spesso illusorio sviluppo economico di breve periodo.

Mettere al centro il bene comune “territorio” ci consente di considerare la dimensione qualitativa, non soltanto quantitativa, dei singoli beni che lo sostanziano: acqua, suolo, città, infrastrutture, paesaggi, campagna, foreste, spazi pubblici e così via[63]. L’insieme di questi beni comuni, con la loro specifica identità, dovrebbe costituire il nucleo fondativo, collettivamente riconosciuto, dello “statuto” di ciascun luogo e dei diritti dei cittadini rispetto ai beni che lo costituiscono .

I piani che regolano le trasformazioni del territorio, a tutte le scale, dovrebbero pertanto essere preceduti e coerenti con un corpus statutario[64] che definisce, con riferimento a un orizzonte temporale di medio-lungo termine, i caratteri identitari dei luoghi, i loro valori patrimoniali, i beni comuni non negoziabili, le regole di trasformazione che consentano la riproduzione e la valorizzazione durevole dei patrimoni ambientali, territoriali e paesistici.

Diritto di partecipazione dei cittadini

Immediata conseguenza del definire il territorio come bene comune è il riconoscimento del diritto di partecipazione dei cittadini alla definizione degli elementi statutari di questi beni e al loro governo.

Il principio esplicita il diritto alla partecipazione in tutte le fasi del processo di costruzione di una decisione di governo del territorio (quadro conoscitivo, statuto dei luoghi, progetti di trasformazione, gestione delle trasformazioni) e a tutti i livelli della competenza istituzionale relativa al governo stesso. Gli istituti di partecipazione devono garantire sia la produzione “sociale” del territorio che l’esercizio del controllo su azioni (locali e sovralocali) lesive dei diritti collettivi.

Il presupposto di una reale democrazia partecipativa è costituito dalla presenza di chiare regole procedurali e sostanziali, condivise dai diversi livelli istituzionali, definite in anticipo. A questo fine i principi devono in particolare garantire agli enti pubblici territoriali[65] e all’insieme dei cittadini ruoli privilegiati rispetto agli attori privati portatori di interessi economico-finanziari.

Integrazione fra politiche settoriali (verso il governo unitario del territorio)

La progettazione e la gestione delle trasformazioni del territorio come bene comune e i nuovi ruoli degli enti locali nel governo dell’economia richiedono il superamento di una pianificazione che, ai vari livelli, risulta troppo spesso come un collage di interessi e progetti settoriali. Occorre affermare il principio della integrazione fra politiche settoriali, chiamate a contribuire a progetti unitari costruiti e gestiti collettivamente con riferimento a strategie di medio-lungo periodo riferite anche alle future generazioni[66].

Una legge nazionale dovrebbe, oltre a enunciare questo principio per gli altri livelli istituzionali di governo, impegnare direttamente e concretamente lo Stato a mettere in atto forme adeguate di integrazione fra le proprie politiche settoriali[67]. Essa dovrebbe inoltre impegnare lo Stato nella promozione di integrazioni fra i contenuti più avanzati delle diverse politiche europee (in materia di territorio, ambiente, coesione sociale, agricoltura ecc.) e delle Carte internazionali promosse da enti territoriali in materia di sostenibilità urbana e territoriale, partecipazione, clima, trasparenza dell’azione pubblica, valorizzazione dei patrimoni, paesaggio e altri temi centrali nel governo del territorio.

Consumo zero di suolo

Il principio del blocco dell’ulteriore consumo di suolo è indispensabile per consentire la riqualificazione del tessuto urbanizzato esistente, ricomponendone la frammentazione, dotandolo di servizi e infrastrutture adeguate, ricostruendone un rapporto con gli spazi aperti e rurali che aumenti sia la qualità urbana che quella rurale. Se il territorio in cui realizzare e mantenere infrastrutture e servizi si estende sempre più, a parità di abitanti e quindi di contribuenti e utenti, queste dotazioni collettive non potranno che ridursi, perdere qualità e costare più care. La dipendenza dall’auto individuale e l’invecchiamento progressivo della popolazione italiana prefigurano, in caso di ulteriore dispersione delle aree urbanizzate, un quadro di isolamento sociale e difficoltà crescente a garantire servizi indispensabili.

L’erosione continua e l’interclusione degli spazi agricoli e forestali minaccia la riproduzione collettiva (negli ultimi 50 anni i territori agricoli e forestali sono scesi da 28 a 19,6 mio ettari), riducendo la capacità di rigenerazione del sistema ambientale (acqua e aria comprese), la mitigazione degli eventi meteorici intensi, la almeno parziale autosufficienza (e quindi sicurezza) alimentare.

L’obiettivo del consumo zero di suolo si può sostanziare in due forme complementari: dichiarando tutte le aree non urbanizzate aree di riserva agricola e ambientale (salvo necessità collettive che non è possibile soddisfare altrimenti, da dimostrare e sostenere pubblicamente), e prevedendo un sistema di incentivi procedurali e sostanziali che rendano decisamente più conveniente intervenire nelle aree già urbanizzate. Tra gli incentivi possibili per interventi in aree già urbanizzate, a titolo di esempio: tempi di istruttoria garantiti e brevi (vs tempi aleatori e procedure di approvazione oggi più complesse che per gli interventi ex novo: il rapporto andrebbe chiaramente invertito), oneri di urbanizzazione fortemente ridotti rispetto agli interventi in area agricola e differenziati in relazione alle effettive necessità di re-infrastrutturazione, ICI differenziata, e così via.

Coesione sociale e territoriale

Una legge nazionale deve porsi il problema di promuovere la coesione sociale e territoriale.

Ciò significa in primo luogo garantire condizioni soddisfacenti, di tutela del territorio come bene e risorsa collettiva, sull’intero territorio nazionale, anche prevedendo forme di compensazione fiscale interregionale e intercomunale tra territori oggetto di intensa trasformazione edilizia e territori che si impegnano a conservare gli spazi agricoli e naturali con funzione compensativa.

Si tratta altresì di affrontare le dimensioni fisiche e territoriali della crescente polarizzazione sociale: quartieri blindati, territori pattumiera, periferie fonte di disagio sociale e fisico. La produzione di questi luoghi va penalizzata, contrapponendole una concezione di città come luogo d’interazione e integrazione sociale, dotata di adeguati spazi pubblici e aperta alle diverse culture, percorribile in modo privilegiato a piedi o con il trasporto pubblico collettivo. Il principio della coesione territoriale richiede altresì che ogni sistema locale sia capace di gestire i propri diversi cicli ambientali senza danneggiare territori esterni[68], ovvero di ridurre la propria impronta ecologica sviluppando la multifunzionalità del proprio territorio aperto di pertinenza, e di promuovere equilibri ambientali complessivi ricostruendo la continuità ecologica degli spazi aperti. Per promuovere l’attuazione di questi principi, la legge dovrebbe relazionare esplicitamente i trasferimenti finanziari ai Comuni almeno in parte al raggiungimento di questi obiettivi.

6.2 Una nuova definizione degli standard urbanistici

Rispetto alle problematiche territoriali e ambientali che abbiamo descritto, i tradizionali standard urbanistici, nati per garantire quantità minime di servizi rispetto a una fase di tumultuosa urbanizzazione da tempo conclusa in tutta Europa, lungi dall’essere eliminabili, vanno al contrario arricchiti in molteplici direzioni che esplorino il passaggio dalla quantità alla qualità, all’equità, alla bellezza, all’inclusione.

La prima riguarda una maggiore capacità di specificazione rispetto ai diversi contesti morfologici e sociali[69] e alle differenti componenti degli abitanti di riferimento (bambini, anziani, single, immigrati di diverse etnie e culture ecc.), per ognuno dei quali il rapporto tra spazi pubblici e privati, e la connotazione qualitativa dei servizi si presenta in forme differenziate[70].

In secondo luogo gli standard quantitativi, applicati per zone omogenee del territorio comunale, non tengono conto della necessità attuale di integrazione delle funzioni in una città sempre più policentrica, che richiede il superamento di una rigida separazione tra funzioni di fatto prodotta dall’applicazione degli standard, anche quando la zonizzazione è stata abbandonata come principio nella città post-industriale. A tal fine, l’insieme degli standard andrebbe articolato in standard generali di riferimento che accolgano anche requisiti minimi a livello europeo in campo ambientale e territoriale, e standard quali-quantitativi specifici relativi alla peculiarità di ciascun contesto territoriale per interpretarne e elevarne la qualità funzionale, estetica e relazionale[71].

In terzo luogo, l’integrazione degli standard urbanistici con obiettivi ambientali e sociali può avvenire accogliendo e articolando territorialmente una serie di indicatori previsti dalle politiche europee più recenti: qualità dell’acqua, dell’aria, dei suoli; indicatori che misurano la sostenibilità ambientale delle trasformazioni urbane e territoriali proposte: consumo di suolo, accessibilità al e dotazioni di trasporto collettivo, accesso pedonale privilegiato ai servizi collettivi di interesse primario quali scuole, municipi e piazze, commercio, trasporto pubblico[72]; indicatori di benessere che integrano fattori materiali e relazionali, quali qualità e sicurezza degli spazi pubblici e dei luoghi dedicati alle relazioni civiche, riconoscibilità identitaria dei luoghi e qualità dei paesaggi urbani e rurali, dotazione di spazi agricoli di pertinenza dell’insediamento urbano, diritto di accesso e di percorribilità degli spazi rurali[73], delle riviere fluviali e dei litorali;

Una ulteriore direzione consiste nel fornire indicazioni in relazioni all’ecosistema urbano e territoriale, ovvero nel sottoporre a standard quali-quantitativi la riproduzione dei cicli ecologici: ciclo delle acque a livello di bacino o sottobacino idrografico, ciclo dei rifiuti, dell’alimentazione, produzione locale di energie rinnovabili ecc., tendendo alla relativa chiusura locale dei cicli per la riduzione dell’impronta ecologica.

Una nuova concezione degli standard dovrebbe trattare l’intero territorio, urbano e rurale, dal punto di vista delle reti ecologiche, con l’obiettivo di ricostituire il funzionamento e la continuità delle stesse (gravemente danneggiate e degradate dalla proliferazione recente dell’urbanizzazione) come grande armatura che supporta, oltre alla riproduzione e circolazione delle specie animali e vegetali, la qualità ambientale degli insediamenti urbani che vi sono inseriti. A tal fine, ogni tipo di trasformazione urbana dovrebbe concorrere, attraverso una nuova concezione degli “oneri di urbanizzazione”[74], all’aumento dell’equilibrio ambientale complessivo.

Infine, il trattare il territorio come insieme di beni comuni dovrebbe consentire di includere nella materia delle dotazioni livelli minimi riguardanti la gratuità di accesso sia ai beni materiali di riproduzione della vita (es. 50 litri di acqua a persona per usi domestici) sia i beni relazionali (es. mezzi pubblici per l’accesso ai servizi primari).

Queste trasformazioni nel concetto di standard urbanistico, dal momento che non riguardano soltanto le dotazioni degli spazi urbanizzati, ma soprattutto le relazioni fra questi e gli spazi aperti, richiedono di ridefinire radicalmente il carattere multifunzionale degli spazi rurali in quanto produttori di beni e servizi pubblici, definendo requisiti prestazionali, oneri e remunerazioni che riconoscano la nuova centralità del mondo rurale nella costruzione di benessere, ricchezza durevole e capacità di autogoverno dei sistemi territoriali locali.

[1]. Il nuovo testo abroga parzialmente o totalmente leggi relative ad atti autoritativi in materia di requisiti procedurali, oneri di urbanizzazione, standard urbanistici, interventi di edilizia economica e popolare: la legge 765/67, in toto la 1187/68. Prevede inoltre la perdita di efficacia di numerosi altri provvedimenti (l’intero decreto 1444/68, buona parte della legge 167/62 e numerosi articoli di altre leggi, , in presenza di legislazioni regionali che ne trattino i relativi temi.

[2]. Senza ahinoi, come vedremo in modo specifico nel testo che segue, definire i principi di riferimento per l’azione regionale.

[3]. Nonostante le dichiarazioni di voto contrario a nome di tutti i gruppi della minoranza, il voto finale ha registrato 205 sì, 32 più dei 173 deputati di maggioranza presenti e votanti.

[4]. A differenza di quanto accadeva in passato (cfr. ad esempio Camera dei deputati, Ricerca sull’urbanistica. Servizio Studi Legislazione e Inchieste parlamentari, Roma 1965) sembra totalmente mancare oggi l’interesse a promuoverne l’approfondimento.

[5]. Tra le poche significative eccezioni a questo silenzio, forse non privo di relazioni con la partecipazione di molti cosiddetti “immobiliaristi” alla proprietà dei mezzi di informazione, è utile richiamare un meditato articolo di Roberto Camagni su Edilizia e Territorio (rivista del gruppo Il Sole 24 ore) n.30 del 1 agosto 2005, oltre agli articoli in merito raccolti sul sito www.Eddyburg..it insieme all’appello “Fermiamo la legge Lupi” , promosso in occasione del convegno di Italia Nostra del 28.1.2005 a Roma, di cui sono primi firmatari (di 399 complessivi) D. Pasolini dell’Onda, E. Salzano, V. De Lucia, P. Bevilacqua, V .Emiliani, G .Pallottino, G. Barbera, G. Gisotti, A. Magnaghi.

[6]. Dichiarazione di voto dell’on.A. Mereu, a nome del gruppo Unione democratici cristiani.

[7]. Peraltro in una concezione largamente superata dell’urbanistica stessa, come mera disciplina dell’uso dei suoli.

[8]. “Compito del Parlamento, in attuazione del Titolo V, sarebbe quello di procedere alla riunificazione degli oggetti e non come si sta facendo ad una pedissequa ripetizione di discipline separate: il Codice del paesaggio, i decreti delegati in materia di Vas, di difesa del suolo, di rifiuti, di VIA: in breve occorrerebbe un codice di governo del territorio”. Relazione di Paolo Urbani al convegno INU “Un nuovo passo per la riforma urbanistica”, Roma 16.9.2005.

[9]. Dichiarazione di voto dell’ On.G.Nuvoli a nome del gruppo Popolari-Udeur.

[10]. Dichiarazione di voto dell’ On.D.Pappaterra a nome del gruppo Misto-SDI-Unità Socialista.

[11]. Dichiarazione di voto dell’ On.A.Sandri, DS-Ulivo e Margherita-DL-Ulivo.

[12]. Istituto Geografico Militare: fino a tutti gli anni ’70, e. alla comparsa delle cartografie tecniche elaborate dalle singole Regioni, il riferimento imprescindibile per le basi cartografiche utilizzate nella redazione di strumenti di pianificazione.

[13]. Per una descrizione dei risultati attuali di questo processo nell’area metropolitana milanese, vedasi A.Bonomi e A.Abruzzese, La città infinita, Milano, Bruno Mondadori 2005.

[14]. E’ significativo il fatto che nel recente caso dell’inondazione di New Orleans l’unica zona non sommersa dalle acque sia il “Vieux Carré”, l’area dell’insediamento storico precedente alle grandi espansioni recenti in aree ad alto rischio idraulico.

[15]. In Italia, come previsto dalla legge 183 del 1989, ciò avrebbe dovuto essere garantito dai Piani di bacino riferiti all l’equilibrio idrogeologico dell’intero bacino come precondizione della pianificazione territoriale; come noto, a oggi nessuna Autorità di Bacino si è dotata di questo strumento, ma soltanto di PAI (piani di assetto idraulico) che prevedono, attraverso la realizzazione di casse artificiali di espansione fluviale, azioni limitate alle aree di stretta pertinenza dei fiumi anziché estese all’intero bacino. Una volta realizzate queste opere, costose e all’elevato impatto ambientale e paesistico, i rimanenti territori di pertinenza fluviale saranno considerati pienamente urbanizzabili. Quest’approccio, tra l’altro estremamente costoso per l’insieme dei contribuenti, va in direzione opposta a una legge recente dello Stato federale tedesco (Hochwasserschutzgesetz del 3.5.2005: BGBI, parte 1, nr.26, pp.1224 e segg.) che prevede invece il divieto di edificare in aree che possono servire come aree naturali di esondazione, o nelle aree interessate al deflusso delle acque, e il ripristino delle aree di libera esondazione, o all’azione Making Space for water: a new strategy for flood and coastal erosion risk management lanciata in Gran Bretagna dal Defra (Department of Environment, Food and Rural Affaire).

[16]. E’ significativo notare come gli stessi annuari ambientali nazionali italiani, a differenza di quanto avviene in molti altri paesi europei, non riportino alcun dato relativo al cosiddetto “consumo di suolo”, ovvero ai suoli resi artificiali, dalle diverse forme di urbanizzazione, mentre alcuni annuari regionali riconoscono perlomeno la scarsa attenzione finora prestata a questo fenomeno .

[17]. Vedasi il database prodotto dal progetto Moland del Joint Research Centre di Ispra, nel quale i dati riferiti ad alcune città o regioni urbane italiane vengono comparati ad analoghe situazioni europee. L’incremento riportato nel testo è riferito alla regione urbana compresa tra Padova e Mestre, nella quale le aree urbanizzate sono cresciute dal 13,5 al 36,6 della superficie complessiva; nell’area milanese le stesse aree sono passate dal 35,2 al 71,8. In entrambi i casi le percentuali di incremento delle aree artificiali dovute alla dispersione dell’urbanizzato sono molto elevate rispetto alla media europea, collocandosi tra il 100 e il 171 %.

[18]. Nella parte pianeggiante del Comune di Prato le aree urbanizzate rappresentano ad esempio oltre il 60% della superficie territoriale totale: vedasi A.Magnaghi, Esercizi di pianificazione identitaria, statutaria e partecipata: Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Prato, in Urbanistica n.125, Roma 2004.

[19]. Con rare eccezioni, fra le quali l’esodo anche recente da molte città dell’Europa centro-orientale verso occidente.

[20]. L’entità degli attuali processi migratori extracomunitari verso l’Italia e l’Europa presenta dimensioni quantitativamente modeste rispetto alle migrazioni avvenute nella seconda metà del secolo scorso, tali da compensare al più il saldo demografico naturale negativo.

[21]. Tre esempi fra i molti possibili: in Germania, sono state attuate azioni federali (e successivamente di singoli Laender) per diminuire il consumo di suolo dai 120.ettari al giorno rilevati tra il 1997 e 2000 a30 ettari, con l’obiettivo di un consumo pari a 0 nel medio-lungo periodo; in Francia il Plan Local d’Urbanisme previsto dalla Legge Solidarité e Renouvellement Urbain del 2000, oltre a dover integrare le dimensioni ambientali e paesaggistiche, è richiesto esplicitamente di contenere il consumo di suolo; negli Stati Uniti, il governo federale blocca i finanziamenti per le nuove infrastrutture alle regioni in cui, per la dispersione degli insediamenti, il traffico è tale da inquinare l’aria oltre le soglie definite dal Clean Air Act.

[22]. Quantità minime obbligatorie a livello nazionale, espresse in mq/ab, di servizi collettivi.

1. Una delle più forti critiche che sono state fatte al testo di riforma è quella di aver disciplinato solo la materia urbanistica - la disciplina dei suoli - obliterando i temi più ampi che attengono al governo del territorio.

In sostanza se il costituente ha voluto indicare come materia il governo del territorio siginifica che ha voluto introdurre nella costituzione un concetto di materia più ampio e diverso della mera disciplina degli assetti.

Con l’espressione governo del territorio il costituente non ha inteso riferirsi solo alla disciplina dei suoli (l’urbanistica) ma ha voluto ricomprendervi tutte discipline che in qualche modo incidono sugli usi del territorio, lo preservano, ne prevedono un uso misurato, un equilibrio.

La dottrina giuridica non si è subito domandata cosa fosse il governo del territorio ma ha approfondito il tema in rapporto al 4 comma dell’art.117 Cost. che ci dice che “spetta alle regioni la potestà legislativa per ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello stato”, poiché l’art.117 2 co. individua il numero chiuso delle materie oggetto di compenza esclusiva dello stato o quelle concorrenti (3 co).

Cosicché il dibattito dottrinario si è concentrato per lo più sul ritenere se l’urbanistica, l’ediizia, la difesa del suolo, il paesaggio fossero materie residuali o concorrenti, se cioè rientrassero o meno nel governo del territorio, (ed anch’io l’ho fatto e scritto) senza entrare tuttavia nel merito di cosa fosse il governo del territorio come materia a sé.

A rafforzare la portata dell’innovazione costituzionale basta riferirci al metodo usato dal costituente nella definizione delle materie di rilevanza costituzionale. Per l’individuazione della materia ha fatto ricorso non al metodo storico-normativo che cristallizza le definizioni basate sul solo linguaggio legislativo ma al metodo storico-evolutivo per il quale le definizioni vanno si individuate dalla legislazione ordinaria ma tenendo conto che la sua evoluzione è capace di aver determinato anche l’evoluzione delle stesse definizioni giuridiche costituzionali. In sostanza con il termine governo del territorio non si è fatto altro che prendere atto di tutto l’ordinamento pregresso, ma come risultava anche dagli apporti dottrinali e giurisprudenziali e dalla loro capacità di colmare ermeneuticamente la distanza tra la realtà e le norme.

Nel dare attuazione al dettato costituzionale che individua il governo del territorio come materia concorrente spetta quindi al legislatore ordinario definire il concetto ed i contenuti della materia governo del territorio individuandone poi i principi fondamentali. Ovviamente su questi aspetti resta sempre aperto il giudizio di costituzionalità della Corte Cost.

A mio parere però l’intuizione del costituente di riferirsi al governo del territorio senza citare in cost. l’urbanistica, la difesa del suolo, il paesaggio,(l’art.9 è un pregevole retaggio della Cost. del ’48) la protezione della natura, l’edilizia ha come obiettivo proprio la riunificazione di queste discipline in una materia unitaria sotto il profilo della sua governabilità (non a caso questa è l’unica materia che il legislatore costituzionale definisce con la locuzione “governo” del territorio, li dove invece in altri casi aggiunge l’espressione “tutela” dell’ambiente, della salute, dei beni culturali ad indicare la finalità cui deve attenersi la disciplina) prescindendo dalla separatezza delle normative nelle varie materie, ma anzi dando una indicazione precisa al legislatore ordinario quella di riunificare e riordinare quelle discipline in funzione del concetto unitario di governo del territorio. Arrivo a dire che proprio in tale prospettiva compito del parlamento in attuazione del titolo V sarebbe quello di procedere alla riunificazione degli oggetti e non come si sta facendo ad una pedissequa ripetizione di discipline separate: il codice del paesaggio, i decreti delegati in materia di vas, di difesa del suolo, di rifiuti, di VIA : in breve occorrerebbe un codice del governo del territorio.

Ora credo che se si vuole identificare un concetto giuridico di governo del territorio non si può prescindere dai temi della sostenibilità sui quali dalle elaborazioni concettuali si è passati a delinearne in più modi una attenta disciplina giuridica.

Attraverso un ricco strumentario la disciplina comunitaria sullo sviluppo sostenibile mira a condizionare le trasformazioni territoriali compatibilmente con la sensibilità del territorio: alludo qui alla disciplina della Vas, alle varie certificazioni EMAS, ai problemi della disciplina della risorse idriche (direttiva 2000/60), alla nuova disciplina del paesaggio esteso al’intero territorio regionale, alle strategie da applicare all’ambiente urbano, (Comunicazione della comm. al Consiglio, al parlamento europeo del 11 02 2004). Disciplina non più eludibile il cui recepimento è in grande ritardo e che ancor oggi, tranne alcuni rari casi regionali – alludo alla bella legge della Toscana n.1/2005) – viene considerata o come fastidio o come ulteriore aggravio delle possibilità di trasformazione del territorio.

2. Possiamo prescindere da queste tematiche delineando il contenuto del governo del territorio?

Se si entra in questa ottica comunitaria largamente praticata nei paesi europei, la definizione del 2 co. dell’art.1 del testo apporvata dalla Camera dei Deputati appare a mio parere molto ma molto riduttiva e non da conto del fatto che sia l’ordinamento comunitario ma anche la stessa costituzione rovesciano il principio che pone al centro la destinazione d’uso dei suoli ponendo invece al centro le “invarianti territoriali” derivanti da una lettura sistematica degli equilibri sostenibili del territorio – la VAS risponde a tale principio – che delimita a monte le condizioni complesse ed interrelate di trasformazione degli usi del territorio in rapporto alla sostenibilità degli usi dei beni pubblici quali l’acqua, l’aria, il suolo, la natura. In questa prospettiva vi è pure l’urbanistica che però si riduce ad una tecnica giuridica relativa alla destinazione d’uso dei suoli ed alla loro gestione nelle aree nelle quali la trasformabilità non incontra incompatibilità con le invarianti territoriali.

La scelta adottata del legislatore ordinario è stata invece quella di non definire il concetto di governo del territorio (o meglio di dare quello dell’urbanistica) cui poi aggiunge “rientrano nel governo del territorio il paesaggio la difesa del suolo, l’edilizia, i programmi infrastrutturali (che non sono una materia)”: in tal modo è come se ci dicesse che comunque queste materie sono altro dal governo del territorio. Ora non sono d’accordo con questa impostazione proprio perché la legge è legge (di principi) sul governo del territorio.

Ma anche a voler seguire il metodo adottato di operare un “collage” delle varie materie afferenti al territorio non si può lasciar fuori la normativa antisismica, la salvaguardia idrorgeologica, e come tener fuori l’ambiente almeno nell’accezione di protezione della natura o di equilibrio tra habitat naturale e presenza antropica dal momento che la Corte cost ha affermato che la tutela dell’ambiente dell’art.117 2 co lett.s) oltre ad essere un valore è comunque materia trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse che ben possono essere regionali spettando allo stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale? E dove esprimere queste competenze regionali se non nel governo del territorio alla luce di principi fondamentali che determinino l’ambito di azione regionale? Le leggi regionali in materia di governo del territorio devono ricomprendere anche questi profili o li mantengono separati? E come non considerare che sono strettamente legate al governo del territorio materie di legislazione concorrente come la tutela della salute o la protezione civile espressamente richiamate dal titolo V?

Manca in sostanza nel testo l’identificazione di un concetto unitario (di governo del territorio) cui il legislatore statale deve dare adeguato contenuto pregnante riassorbendo in esso i profili del paesaggio, della difesa del suolo, della protezione della natura, della sostenibilità, della difesa idrologica, dell’urbanistica, dell’edilizia.

Ovviamente quanto sto dicendo non è questione di mera tecnica legislativa ma è un fatto culturale, un processo di maturazione delle scelte giuridiche che né tra gli estensori della proposta né in parlamento c’è stato. Il testo esprime quindi un ritardo culturale a mio avviso assai grave. E’ permettemi di dire che questo ritardo c’è anche nelle facoltà di architettura che in molti casi continuano a tenere separate le discipline dell’urbanistica, dell’ambiente, del paesaggio come se questi dovessero essere considerati percorsi formativi diversi, specialistici, li dove invece vanno considerati in modo integrato ed unitario altrimenti produciamo tanti tecnici con competenze separate che non comunicano sull’oggetto unitario delle loro prestazioni che è il territorio.

L’assenza di questa impostazione giuridica coinvolge così tutto il testo di riforma che enuclea i principi fondamentali dell’urbanistica non quelli del governo del territorio.

Per farmi capire o meglio perché sia chiara la mia opinione quando parlo di principi sul governo del territorio non posso esimermi dal fare qualche esempio: come quello che affermi che le trasformazioni territoriali sono subordinate all’effettivo approvigionamento idrico ed alla depurazione delle acque, alla difesa del suolo, alla gestione dei rifiuti, alla disponibilità dell’energia, all’inquinamento zero, o quello che afferma – riprendendo la bella legge toscana n1/2005 – che nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti sono qualora non sussitano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degl’insediameiti e delle infrastrutture esistenti. O ancora che negli atti di pianificazione dev’essere perseguita la tutela della salute, salvaguardati gli equilibri tra presenza antropica e habitat naturale, perseguiti gli obiettivi di tutela del paesaggio.

Perché vedete il piano paesaggistico non è qualcosa che sta sopra la pianificazione comunale ma la permea non si tratta solo di recepire i vincoli del piano ma di pianificare paesaggisticamente il territorio secondo le precrizioni del piano che spesso non possono essere conformative della proprietà ma determinano indirizzi pregnanti al pianificatore comunale.

Mi vengono in mente a questo proposito i principi della l.36/94 sulle risorse idriche lì dove si afferma che l’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo divenuto ormai parametro di valutazione da parte dell’amministrazione nel rinnovo o nella concessione di derivazione di acque pubbliche ma anche da parte dei giudici di legittimità. O ancora quello che afferma che qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i dirittti delle generazioni future.

Mancano cioè nel testo i principi fondamentali cui deve attenersi il legislatore regionale per garantire il governo del territorio inteso quindi nelle sue accezioni più diverse di trasformazione, di conservazione di riproduicibilità dei beni etc.

Si tratta cioè di principi fondamentali che devono essere espressione di valori, scelte di fondo sui fini e sui mezzi, sui diritti dei cittadini, sulle relative garanzie sostanziali e procedimentali, in breve devono essere scelte politiche di civiltà giuridica.

Fate queste osservzioni generali è quindi inutile esaminare nel settaglio il testo di riforma che contiene anche qualche principio condivisibile ma è per altri versi pasticcato, sgrammaticato dal punto di vista istituzionale ed in qualche caso anche controproducente rispetto all’esigenza di dettara principi applicabili su tutto il territorio nazionale.

Roma 16 settembre 2005

"Libera riduzione dei verbali della Camera dei Deputati, per l'esame del DdL unificato in materia di governo del territorio"

Dal testo rpesentato dal relatore on. Maurizio Lupi, tutti i resocondi della commissione parlamentare e della discussione in Asssemblea, i pareri delle altre Commissioni, il testo rpesentato in Assemblea, gli emendamenti proposti e quelli approvati,

Data la lunghezza del testo (293 pagine in formato word), si riporta in allegato scaricabile. E' disponibile nel sito ufficiale dell'INU.

Premessa

Nel precedente documento, da me presentato alla VIII Commissione il 20 aprile 1999, si delineavano i temi generali che avrebbero dovuto essere alla base del successivo lavoro parlamentare per la predisposizione di una nuova legge-quadro per il governo del territorio

Il dibattito che ne è seguito in Commissione, e le audizioni svolte a partire dall’inizio del mese di settembre, hanno apportato importanti e approfonditi contributi alla discussione e, al tempo stesso, registrato l’esistenza di un ampio consenso sulla impostazione generale del problema che tale documento prospettava.

Questo secondo documento è articolato in "schede" che cercano di sviluppare, per ora senza una specifica veste normativa, ma con linguaggio discorsivo (e qualche inevitabile ripetizione, dovuta alla natura omogenea delle schede) i temi proposti e di affrontare in modo più ravvicinato ed analitico i molti problemi da risolvere. Esso vuole quindi rappresentare un ulteriore e più elaborato contributo del relatore alla riflessione del Comitato Ristretto e di tutta la Commissione, con l' obbiettivo di giungere, dopo un approfondito confronto di merito, e con l'apporto sostanziale del governo, alla formulazione di un testo in forma di articolato che sia in grado di raccogliere il più vasto consenso tra i gruppi parlamentari e di evidenziare gli eventuali nodi residui emersi nella discussione.

Sommario

SCHEDA 1 : CARATTERE DELLA LEGGE NAZIONALE

SCHEDA 2 : STATO, REGIONI, PROVINCIE, COMUNI, CITTA' METROPOLITANE

SCHEDA 3 : I PRINCIPI GENERALI

SCHEDA 4 : STRUMENTAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA

SCHEDA 5 : DELEGHE AL GOVERNO (TESTO UNICO E RIORDINO FISCALE)

SCHEDA 6 : NORME TRANSITORIE E SUPPLETIVE

SCHEDA 1CARATTERE DELLA LEGGE NAZIONALE

1.1 Legge-quadro

1. La legge riconosce e promuove l’autonomia delle Regioni e degli Enti Locali.

2. Essa è dunque una legge che definisce i princìpi fondamentali ai quali tale autonomia si deve ispirare, le modalità per la concertazione e la semplificazione normativa a tutti i livelli istituzionali, le caratteristiche metodologiche essenziali nella predisposizione della strumentazione urbanistica in tutto il territorio nazionale, le disposizioni fondamentali in materia di tutela del territorio e degli immobili che lo compongono, le norme in materia di regime giuridico e fiscale degli immobili, il ruolo dello Stato e dei suoi organi nelle materie di residua competenza statale, ed il ruolo di Regioni, Provincie, Comuni, Città metropolitane.

1.2 Direttive europee e accordi internazionali

I princìpi nazionali sono coerenti con le direttive e gli orientamenti generali assunti dall’Unione Europea e con gli obblighi derivanti da accordi internazionali con riferimento ai temi del territorio e dell’ambiente.

1.3 Semplificazione normativa

1. La nuova legge-quadro nazionale dovrebbe carattere fondativo rispetto alla futura legislazione in materia di territorio. Ciò comporta, naturalmente, la esplicita abrogazione di tutte le norme nazionali attualmente vigenti che non risultino coerenti con i princìpi da essa dettati o che non appartengano più al campo delle competenze dirette dello Stato.

2. La legislazione statale così residuata verrà ricomposta in un Testo Unico Nazionale.

Anche le Regioni dovranno dotarsi di un Testo Unico delle proprie leggi e disposizioni, ed adottare provvedimenti di semplificazione e di delegificazione coerenti con le disposizioni delle leggi nazionali in materia. (vedi anche scheda 3.10 "Testi Unici", pag. 9)

1.4 Inadempienza e legislazione concorrente

1. L’esigenza di garantire ai cittadini e agli operatori economici e sociali, operanti in qualunque parte del territorio nazionale, una effettiva certezza dei diritti e dei doveri in materia di tutela e di trasformazione del territorio, è incompatibile con la inadempienza, comunque motivata, da parte delle Regioni e degli Enti Locali, nella attuazione dei princìpi e delle disposizioni nazionali.

2. A fronte di tale eventuale inadempienza, si può pensare - utilizzando la logica della "legislazione concorrente" tipica di vari Stati federali - alla predisposizione da parte del Parlamento di "norme suppletive", intendendo con tale termine norme attuative dei princìpi nazionali, la cui entrata in vigore in una determinata Regione è automatica se, entro una data prefissata dalla legge nazionale, la medesima Regione non abbia provveduto a legiferare in modo autonomo, e la cui efficacia cessa quando la Regione stessa provveda a sanare la propria inadempienza.

3. Le Regioni potranno, a loro volta, prevedere "norme suppletive" nel caso di inadempienza degli Enti Locali nell’esercizio di specifici poteri normativi loro trasferiti o delegati.

4. Analogamente, nel caso di mancata predisposizione degli strumenti territoriali e urbanistici da parte degli Enti Locali preposti, Stato e Regioni - con riferimento alle rispettive competenze - possono emanare "norme di salvaguardia" in grado di inibire determinate trasformazioni del territorio sino a quando i medesimi strumenti non siano stati predisposti e approvati.

SCHEDA 2STATO, REGIONI, PROVINCIE, COMUNI, CITTA' METROPOLITANE

2.1 Compiti dello Stato

- Indirizzo, coordinamento, legislazione di principio, norme suppletive e di salvaguardia, poteri sostitutivi;

- Recepimento delle direttive e degli indirizzi formulati dall'Unione Europea, nonché da altri accordi e intese internazionali (ad esempio "Agenda 21");

- Determinazione del Quadro Nazionale di riferimento (oppure "Linee fondamentali") dell’assetto del territorio con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle aree urbane.[cfr. art. 52, primo comma, D.Lg.vo n.112/1998)

- Interventi relativi alla difesa nazionale o alla prevenzione da grandi rischi;

- Istituzione di nuovi parchi nazionali o modifica dei parchi nazionali esistenti;

- Emanazione diretta di norme nelle residue materie di specifica competenza statale; (cfr. art. 54, D.Lg.vo n. 112/1998)

- Istituzione di un Osservatorio Nazionale sullo stato del territorio, d ' intesa con le Regioni e gli Enti Locali, che predisponga e tenga aggiornata una banca dati sulla pianificazione del territorio, sullo stato di attuazione dei piani urbanistici, sulle disposizioni in materia di tutela, sui rischi connessi al verificarsi di calamità naturali, e aperta alla consultazione di soggetti pubblici, operatori, associazioni. L’Osservatorio predispone e presenta al Parlamento, ogni tre anni, una relazione sullo stato del territorio nazionale.

- Nell'esercizio delle proprie funzioni lo Stato utilizza il metodo dell'intesa con le Regioni e gli Enti Locali, avvalendosi delle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città e autonomie locali.

2.2 Compiti delle Regioni e delle Provincie autonome

- Emanano autonome leggi nel rispetto dei princìpi dettati dalla legge nazionale;

- Definiscono norme suppletive, norme di salvaguardia, e poteri sostitutivi per i casi di inadempienza degli Enti Locali;

Esercitano le funzioni di indirizzo e coordinamento;

- Determinano il Quadro Regionale di riferimento per la tutela del territorio, dell’ambiente,

dei beni culturali, e per la realizzazione delle infrastrutture di interesse regionale, ed i criteri generali della pianificazione territoriale ed urbanistica.

- Istituiscono parchi e aree protette;

- Sono trasferite alle Regioni e agli Enti Locali tutte le funzioni amministrative non espressamente mantenute allo Stato dal D.Lg.vo n. 112/1998.

- Delegano o trasferiscono agli Enti Locali tutte le funzioni che possono essere da essi

direttamente esercitate, e ne verificano il corretto utilizzo.

- Istituiscono l’Osservatorio Regionale sullo stato del territorio con modalità coerenti con

quelle utilizzate per l’istituzione dell’Osservatorio Nazionale;

- Nell’esercizio delle proprie funzioni, le Regioni e le Provincie autonome utilizzano il metodo della concertazione con gli Enti Locali.

2.3 Compiti delle Provincie

- Predispongono e approvano il piano territoriale provinciale;

- Convocano la Conferenza Territoriale Provinciale. (vedi scheda 3.3 "Concertazione", pag. 7)

2.4 Compiti dei Comuni

- Predispongono e approvano i piani urbanistici comunali;

- Convocano la Conferenza Urbanistica Comunale; (vedi scheda 3.3 "Concertazione", pag. 7)

- Rilasciano le concessioni e le autorizzazioni previste dalle leggi;

- Definiscono entità e modalità di corresponsione degli oneri di urbanizzazione, sulla base

delle disposizioni regionali;

- Esercitano la vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia;

Attuano i piani urbanistici comunali con interventi diretti, con interventi dei privati e con società miste;

- Possono esercitare le proprie funzioni anche in forma associata con altri Comuni,sia utilizzando Enti già istituiti (ad esempio le Comunità montane), sia con nuove forme associative finalizzate alla pianificazione del territorio, dei servizi, dei trasporti.

2.5 Città Metropolitane

- Ove costituite, esercitano le funzioni attribuite a Provincie e Comuni con riferimento al territorio di propria competenza;

- Convocano la Conferenza Metropolitana, sostitutiva della Conferenza Territoriale e Urbanistica.

SCHEDA 3I PRINCIPI GENERALI

3.1 Sussidiarietà

Sono di competenza del Comune tutte le funzioni non esplicitamente attribuite dalla legge, nazionale e regionale, alla Regione o alla Provincia.

Inoltre Stato e Regioni, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, attribuiscono a Provincie e Comuni tutte le funzioni che possono essere dagli stessi direttamente esercitate, eventualmente anche in forma associata..

3.2 Sviluppo Sostenibile

1.La tutela dell’ambiente, dell’integrità fisica del territorio e della sua identità culturale sono il presupposto di ogni trasformazione territoriale ed urbanistica.

2.L’uso e la trasformazione del territorio, definiti per mezzo di piani territoriali e urbanistici, trovano i propri limiti nella necessità di preservare le risorse non rinnovabili, di favorire il recupero di risorse rinnovabili andate perdute o degradate, di ridurre i danni per il territorio e per l’ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura.

3. L’uso e la trasformazione del territorio devono dare priorità alla riqualificazione del territorio già urbanizzato rispetto all’utilizzo di territorio non urbanizzato, e fondarsi su un documentato bilancio delle risorse naturali disponibili. (Ad esempio bilancio idrico)

4. I Quadri di riferimento nazionale e regionale sulla tutela del territorio, dell’ambiente, dei beni culturali, delle infrastrutture, definiscono e aggiornano i criteri sulla base dei quali deve essere predisposta la pianificazione territoriale ed urbanistica, ed i limiti consentiti per le possibili trasformazioni, in modo tale che il relativo bilancio ecologico risulti positivo.

5. I piani di settore ed i vincoli relativi alla tutela ambientale e dei beni culturali, alla difesa del suolo, al rischio sismico, sono recepiti dalla pianificazione territoriale ed urbanistica e armonizzati tra loro con le procedure di concertazione previste dalla legge.

3.3 Concertazione (Co-pianificazione)

1. La concertazione è il metodo adottato da tutti i soggetti istituzionali per la predisposizione delle previsioni territoriali ed urbanistiche, per il loro aggiornamento e la loro modifica.

2. Lo Stato si avvale, a questo scopo, delle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città e autonomie locali.

3. Le Regioni istituiscono, al medesimo scopo, apposite Conferenze Regione-Enti Locali.

4. La predisposizione dei piani territoriali ed urbanistici è realizzata, dall’Ente titolare di questa funzione, con il concorso e la concertazione (co-pianificazione) con tutti i soggetti aventi titolo ad apporre vincoli, predisporre piani di settore, realizzare e gestire infrastrutture fondamentali, amministrare parchi nazionali e regionali, esprimere pareri, e con tutti i soggetti interessati operanti nel territorio di competenza.

5. La sedi istituzionali della concertazione sono la Conferenza Territoriale,convocata dalla Provincia, per l’esame dei piani territoriali provinciali, e la Conferenza Urbanistica, convocata dal Comune, per l’esame dei piani urbanistici comunali.

6. La Conferenza Territoriale e la Conferenza Urbanistica esaminano e discutono la proposta di piano presentata, rispettivamente, dalla Provincia e dal Comune,provvedono al recepimento e al coordinamento di tutte le disposizioni vigenti riferite al territorio in questione, e assumono decisioni con le stesse modalità previste dalle leggi vigenti per la Conferenza di Servizi.

7. Tali decisioni sono impegnative per tutti i soggetti convenuti, e tengono luogo di ogni parere o atto di competenza dei medesimi soggetti.

8. Le decisioni della Conferenza Territoriale e della Conferenza Urbanistica non possono modificare, senza il consenso delle amministrazioni interessate, le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali, dell’ambiente, e quelle relative al rischio idrogeologico e al rischio sismico.

9. Qualora un piano territoriale provinciale o un piano urbanistico comunale siano stati approvati con le procedure di concertazione previste dalla presente legge, i poteri statali di integrazione degli elenchi dei beni ambientali sottoposti a vincolo sono esercitabili solo in presenza di un fatto sopravvenuto o di una motivata riconsiderazione dell’interesse pubblico, e recepiti dai medesimi piani con la stessa procedura di concertazione.

3.4 Unicità della pianificazione

1. I soli piani che producono effetti direttisull’usoe sulla trasformazione del territorio sono i piani urbanistici comunali, nei quali sono esplicitamente previste tutte le disposizioni riguardanti la tutela del territorio e degli immobili che lo compongono e tutte le norme e le prescrizioni, anche di carattere settoriale, relative alla loro conservazione e adeguamento funzionale o alla loro possibile trasformazione urbanistica, nonché le disposizioni relative alle infrastrutture, alle attrezzature, e ai servizi pubblici.

2. Esso rappresenta dunque la "Carta unica" delle previsioni e delle disposizioni relative al territorio del Comune.

3.5 Sportello unico

1. Le concessioni e le autorizzazioni sono rilasciate dal Comune con un unico atto comprensivo di altre autorizzazioni, nulla osta, pareri e assensi di tutte le altre autorità, anche statali, eventualmente competenti.

2. La legge regionale disciplina le modalità per la costituzione e il funzionamento dello sportello unico per le concessioni e le autorizzazioni da parte dei Comuni, a tale scopo eventualmente anche associati tra loro, e fornisce loro tutta l’assistenza necessaria.

3.6 Autonomia e responsabilità

1. La pianificazione territoriale ed urbanistica predisposta con le modalità della presente legge non è soggetta, dopo la sua approvazione da parte dell’Ente Locale competente, ad alcun controllo di merito da parte di Enti pubblici di scala territoriale maggiore, che possono esercitare soltanto una verifica di conformità del piano alle disposizioni dagli stessi Enti emanate e alle determinazioni delle Conferenza Territoriale e della Conferenza Urbanistica.

2. Non è ammessa inadempienza nella attuazione delle leggi nazionali e regionali.

3. Nel caso in cui, per qualunque motivo, si verifichi una inadempienza, si possono ipotizzare le seguenti forme di intervento:

- Nel caso di inadempienza rispetto alla emanazione di norme, l’entrata in vigore di norme suppletive.

- Nel caso di inadempienza rispetto ad atti determinati, l’adozione di interventi sostitutivi.

- Nel caso di inadempienza rispetto alla approvazione di piani territoriali e urbanistici, l’emanazione di norme straordinarie di salvaguardia in grado di inibire determinate attività di trasformazione del territorio sino alla approvazione dei piani medesimi, la sospensione dei finanziamenti per opere pubbliche, nonché la nomina di commissari ad acta.

3.7 Partecipazione

1. La procedura di formazione dei piani territoriali ed urbanistici deve prevedere adeguate occasioni di informazione e di consultazione delle forze economiche e sociali, delle associazioni operanti sul territorio, e di tutti i cittadini.

2. Le leggi regionali prevedono lemodalità per lo svolgimento della consultazione, che avviene sulla base di una proposta di piano formulatadall’Ente locale interessato, la quale evidenzi in modo esplicito le scelte fondamentali e la valutazione delle loro prevedibiliconseguenze sull’assetto del territorio considerato, e che deve avere luogoprima della conclusione delle Conferenze Territoriali o Urbanistiche.

3.8 Legalità urbanistica

1. Il Comune esercita la vigilanza in materia di attività urbanistica ed edilizia.

2. Ogni violazione delle norme urbanistiche è punita sulla base della legge nazionale.

3. Essa comporta la demolizione dei manufatti abusivi da parte del proprietario e, in caso di inadempienza, il trasferimento a titolo gratuito al patrimonio pubblicodel manufatto e dell’area di pertinenza, e la sua demolizione a spese del proprietario medesimo.

3.9 Perequazione immobiliare

1. Il piano urbanistico operativo comunale individua gli immobili suscettibili di trasformazione urbanistica nel periodo di tempo corrispondente alla durata della propria validità, e li include in comparti urbanistici, nei quali i diritti edificatori e le obbligazioni verso il Comune sono ripartiti sulla base del valore dei beni da ogni proprietario posseduti in rapporto al valore totale degli immobili inclusi nel comparto.(vedi scheda 4.8 "Comparto urbanistico", pag. 13)

2. Nelle parti del territorio incluse nel piano urbanistico operativo, ma non incluse in comparti urbanistici, possono essere vincolati immobili per la realizzazione di infrastrutture, attrezzature, servizi pubblici e aree verdi. Tali immobili sono espropriati dal Comune prevedendo, entro tempi certi fissati dalla legge nazionale, un equo ristoro a favore degli aventi diritto, o forme di indennizzo compensativo.

3. Nelle parti del territorio comunale non incluse nel piano urbanistico operativo, il Comune acquista immobili, da includere nel proprio demanio, al valore corrente del mercato.

3.10 Testi Unici

1. Le norme statali in materia di territorio e urbanistica sono raccolte in un Testo Unico Nazionale.

2. Esso raggruppa le norme vigenti che siano relative a competenze dello Stato e conformi ai princìpi della legge, ed abroga esplicitamente le norme non aventi tali requisiti.

3. Le leggi nazionali emanate dopo la data di entrata in vigore del Testo Unico Nazionale devono esplicitamente abrogare, modificare, integrare le norme del Testo Unico medesimo.

4. Le Regioni raccolgono e coordinano la propria legislazione in materia di territorio e urbanistica in un Testo Unico Regionale, aggiornato con le stesse modalità previste per il Testo Unico Nazionale.

SCHEDA 4STRUMENTAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA

4.1 Quadro Nazionale di riferimento (oppure "Linee fondamentali")

1. Indica gli indirizzi generali ai quali si deve ispirare la pianificazione territoriale ed urbanistica, gli elementi fondamentali per la tutela del territorio, dell’ambiente, del paesaggio, dei beni culturali, le caratteristiche delle grandi infrastrutture e del sistema dei trasporti, le misure di prevenzione nei confronti dei rischi idrogeologici e sismici, le previsioni in materia di parchi nazionali e di aree protette, le politiche settoriali.

2. Fanno parte integrante del Quadro Nazionale i princìpi e le disposizioni contenute nelle norme nazionali vigenti in materia di tutela e pianificazione del territorio.

4.2 Quadro Regionale di riferimento

1. Indica, con riferimento al territorio regionale, gli indirizzi relativi alle materie previste dal Quadro Nazionale, precisando inoltre gli ulteriori elementi di tutela del territorio, dell' ambiente, della natura e delle bellezze naturali, nonchè le scelte infrastrutturali considerate fondamentali, le politiche settoriali regionali, e le direttive sulle quali si deve basarela pianificazione degli Enti Locali.

2. Il Quadro Regionale indica inoltre i criteri per la localizzazione delle infrastrutture, per il dimensionamento delle previsioni urbanistiche, per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, per la definizione degli standard urbanistici.

3. Il Quadro Regionale deve essere coerente al Quadro Nazionale.

4. In caso di conflitto tra Quadro Nazionale e Quadro Regionale, decide sulle questione il Consiglio dei ministri, sentita la Regione interessata e la Conferenza Stato-Regioni.

4.3 Piano Territoriale Provinciale

1. Il Piano Territoriale Provinciale ha carattere strutturale, definisce gli elementi fondamentali dell’assetto del territorio e del sistema infrastrutturale, ed i criteri per la valutazione del dimensionamento delle previsioni urbanistiche.

2. Esso ha il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle acque, e della difesa del suolo, e della tutela delle bellezze naturali (cfr. art. 57, D.Lg.vo n. 112/1998), e recepisce gli indirizzi e le prescrizioni derivanti dal Quadro Nazionale, dal Quadro Regionale, o da altri piani di settore.

3. Il Piano Territoriale ha una durata a tempo indeterminato.

4. Il Piano Territoriale predisposto dalla Provincia, è approvato dalla Provincia medesima dopo la conclusione della Conferenza Territoriale prevista dalla legge.

5. L 'aggiornamento o la modifica del Piano Territoriale sono predisposti ed approvati con le stesse modalità previste per la prima predisposizione e approvazione.

4.4 Piani Urbanistici Comunali (Piano strutturale e Piano operativo)

Il Comune predispone il piano urbanistico strutturale e il piano urbanistico operativo.

a) Il Piano Urbanistico Strutturale

1. Il piano urbanistico strutturale ha il medesimo valore e gli effetti del Piano Territoriale Provinciale, di cui recepisce le disposizioni, definisce gli elementi del territorio comunale considerati costitutivi, invarianti, o consolidati, ed ha durata a tempo indeterminato.

2. Esso indica gli obbiettivi generali in termini di prestazioni urbane e ambientali, i criteri per la valutazione del fabbisogno abitativo, per la individuazione di immobili idonei a soddisfare il fabbisogno arretrato di servizi, e le parti del territorio non suscettibili di trasformazione urbanistica o di consolidata urbanizzazione, nonché gli immobili assoggettati a tutela.

3. Esso indica le parti del territorio nelle qualii piani urbanistici operativi possono invece prevedere interventi di trasformazione urbanistica, distinguendole secondo caratteristiche di omogeneità (aree dismesse, da ristrutturare, interstiziali, di nuovo insediamento, ecc.).

4. Esso definisce inoltre le regole per gli interventi di manutenzione urbana e la normativa tecnica (o "regolamento") relativa agli immobili assoggettati a tutela, agli interventi e alle funzioni urbane ammissibili nelle parti del territorio comunale di consolidata urbanizzazione, o non suscettibili di trasformazione urbanistica, o comunque non incluse nei piani urbanistici operativi, anche distinguendole per categorie omogenee. (ad esempio: città storica, aree di consolidata urbanizzazione, aree agricole, aree di particolare pregio ambientale, ecc.).

5. Il piano urbanistico strutturale viene approvato dal Comune dopo la conclusione della Conferenza Urbanistica Comunale. Esso viene aggiornato o modificato dal Comune con le stesse modalità previste per la sua prima predisposizione,e non sono ammesse altre modalità di aggiornamento o modifica. [Ciò comporta la esplicita abrogazione di tutti gli istituti derogatori alla pianificazione urbanistica stratificatisi nella legislazione nazionale].

b) Il Piano Urbanistico Operativo

1. Recepisce gli indirizzi e le prescrizioni del piano urbanistico strutturale. Esso individua gli immobili soggetti a trasformazione urbanistica e li include in comparti urbanistici fornendo, per ogni comparto, indicazioni specifiche sulle trasformazioni ammissibili, le loro quantità in termini edificatori, le riserve a favore del Comune. Esso inoltre, nelle parti del territorio comunale non soggette a trasformazione urbanistica, può individuare gli immobili da sottoporre a vincolo finalizzato alla espropriazione per la realizzazione di infrastrutture, di attrezzature, di servizi pubblici e di aree verdi.

2. Il piano urbanistico operativo include gli interventi previsti dal programma pluriennale per le opere pubbliche, quantifica gli oneri finanziari a carico del Comune per la realizzazione degli interventi di propria competenza, e ne indica le fonti di finanziamento.

3. Il piano urbanistico operativo viene approvato dal Comune, ed ha la durata di cinque anni.

4. Il Comune può, qualora ciò risulti opportuno, convocare la Conferenza Urbanistica per sottoporre alla medesima il piano urbanistico operativo prima della sua approvazione.

5. Il piano urbanistico operativo viene aggiornato o modificato dal Comune con le stesse modalità previste per la sua prima predisposizione, non può modificare il piano urbanistico strutturale,enon sono ammesse altre modalità di aggiornamento o modifica.

4.5 Piano Metropolitano

1. Ove costituite, le Città metropolitane predispongono il Piano Territoriale Metropolitano, il quale sostituisce, a tutti gli effetti e con le stesse modalità, con riferimento al territorio di competenza, il Piano Territoriale Provinciale e il Piano strutturale comunale.

2. Esse predispongono inoltre il Piano Urbanistico Operativo Metropolitano che sostituisce, a tutti gli effetti, il Piano Urbanistico Operativo Comunale.

4.6 Piani di settore

1. I piani di settore, comunque denominati, mantengono la loro autonoma validità sino alla approvazione, con le modalità di concertazione previste dalla legge, dei piani territoriali provinciali e dei piani urbanistici comunali, i quali includono anche tutte le prescrizioni di carattere settoriale.

2. Qualora un nuovo piano di settore sia approvato dalla autorità competente successivamente alla approvazione del piano territoriale o dei piani urbanistici, a seguito di un fatto sopravvenuto o di una motivata riconsiderazione dell’interesse pubblico, la medesima autorità chiede alla Provincia e al Comune interessati la convocazione della Conferenza Territoriale e della Conferenza Urbanistica per l’immediato recepimento negli strumenti urbanistici delle direttive in tale piano di settore contenute.

4.7 Vincoli urbanistici

1. I vincoli finalizzati alla espropriazione sono previsti esclusivamente dal piano urbanistico operativo e la loro validità decade al termine della durata dello stesso piano, se entro tale data non sia stato deliberato l’esproprio dell’immobile sottoposto a vincolo.

[ ALTRA SOLUZIONE: Il vincolo può essere reiterato una sola volta. In tale caso la legge prevede un indennizzo, anche in forma compensativa, a favore del proprietario per il pregiudizio che la reiterazione del vincolo può comportare a danno del proprietario medesimo].

2. Il bilancio del Comune prevede uno specifico stanziamento per l’acquisizione degli immobili vincolati e le fonti di entrata che ne assicurano la copertura finanziaria.

3. Nei comparti urbanistici, in luogo della apposizione, su specifici immobili, di vincoli finalizzati alla espropriazione, il Comune indica la quantità e, ove necessario, la localizzazione degli immobili da cedere gratuitamente al Comune medesimo per la realizzazione di attrezzature, servizi pubblici, e di aree verdi.

4.8 Comparto urbanistico

1. Il comparto urbanistico è un insieme di immobili perimetrato dal Piano urbanistico operativo comunale, che ne fissa le possibili trasformazioni urbanistiche ed edilizie, la volumetria complessiva, le tipologie di intervento, le funzioni urbane ammissibili, i diritti edificatori e la quantità di immobili da cedere gratuitamente al Comune per la realizzazione di attrezzature, servizi, aree verdi, edilizia residenziale pubblica, ed altre disposizioni ritenute utili.

2. I diritti edificatori attribuiti al comparto, espressi in termini volumetrici o di superficie sono certificati dal Comune, e sono ripartiti tra i proprietari in proporzione alla quota, da ciascuno di essi detenuta, del complessivo imponibile accertato ai fini della Imposta Comunale sugli Immobili (eventualmente anche calcolato come media di alcuni anni precedenti, ad esempio cinque anni)di tutti gli immobili inclusi nel comparto. Nel caso siano inclusi nel comparto suoli precedentemente classificati come non edificabili, l’imponibile ICI è determinato dall’Ufficio Tecnico Erariale sulla base dei valori accertati per altri immobili aventi caratteristiche analoghe.

3. Fermi restando i diritti edificatori spettanti ai proprietari inclusi nel comparto, il piano urbanistico operativo attribuisce al Comune, a titolo gratuito, una quota aggiuntiva di diritti edificatori, finalizzata alla realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, nonché di edilizia residenziale pubblica.

4. La Regione fissa i limiti minimi e massimi della quota di diritti edificatori attribuiti gratuitamente al Comune nei comparti da parte del piano urbanistico operativo comunale.

5. Il comparto urbanistico può essere attuato direttamente dal Comune mediante acquisizione dei diritti edificatori, oppure da privati, e da società miste costituite dal Comune e dal altri soggetti pubblici e privati, sulla base di apposito convenzionamento.

6. I detentori, singoli o tra loro associati, di una quota superiore al 50 % dei diritti edificatori complessivi attribuiti ad un comparto urbanistico, possono decidere la attivazione del comparto stesso. In tale caso essi acquisiscono mediante procedura di esproprio, al prezzo fissato sulla base del valore venale dall’Ufficio Tecnico Erariale, i rimanenti diritti edificatori da quei detentori che abbiano rifiutato di partecipare alla attivazione del comparto.

7. Nel caso di inerzia dei proprietari del comparto, il Comune può decidere l 'esproprio degli immobili inclusi del comparto medesimo e procedere alla sua attuazione direttamente, o per mezzo di società miste, o di operatori privati scelti con procedure di evidenza pubblica.

8. In occasione della attuazione di comparti urbanistici, o della realizzazione di opere pubbliche, è inoltre prevista la facoltà, per gli operatori, di avanzare specifiche proposte organizzative e finanziarie al Comune il quale decide, ove le ritenga meritevoli di attenzione, per mezzo di procedure di evidenza pubblica, dando priorità - a parità di altre condizioni - alle proposte avanzate dai proprietari di immobili sottoposti a vincolo o inclusi nel comparto interessato.

9. I diritti edificatori sono liberamente commerciabili, ma non possono essere trasferiti in altri Comparti diversi da quello al quale sono stati attribuiti. [La limitazione nasce dalla necessità di evitare trasferimenti volumetrici da un comparto ad un altro, in violazione del dimensionamento edificatorio dei comparti e dei servizi pubblici definito dal piano urbanistico operativo]

4.9 Standard urbanistici

1. I piani urbanistici dei Comuni devono prevedere una adeguata dotazione di immobili per attrezzature e sevizi pubblici, che le Regioni definiscono in termini di prestazioni e, ove ritenuto necessario, in termini quantitativi minimi.

2. Le Regioni possono anche prevedere, per particolari attrezzature di interesse pubblico

(ad es. parcheggi), la possibilità per i privati di concorrere alla loro realizzazione e gestione.

3. In tale caso il privato opera sulla base di una convenzione con il Comune oppure per mezzo di una società mista con il Comune medesimo.

4. Nei comparti urbanistici gli standard sono inclusi nella quota di immobili e di diritti edificatori di cui è prevista la cessione al Comune.

4.10 Società miste

Per la realizzazione degli interventi previsti dal piano operativo nei comparti urbanistici, il Comune può costituire, con altri soggetti pubblici e privati, apposite società, alle quali può anche essere delegata la realizzazione delle attrezzature e dei servizi pubblici previsti nel comparto stesso, e le relative procedure di esproprio degli immobili interessati, nonché la attuazione di comparti, sia per iniziativa del Comune, sia in caso di inerzia da parte dei proprietari o di un loro rifiuto di partecipare all’iniziativa.

4.11 Procedure

1. I Comuni provvedono al rilascio di titoli abilitativi alla attività edilizia mediante lo strumento dello sportello unico.

2. Le Regioni possono prevedere i casi nei quali l’attività edilizia non richieda specifiche autorizzazioni preventive, specificando le modalità di vigilanza sulla medesima attività, anche mediante apposite agenzie.

3. Sono in ogni caso soggette a concessione le opere relative a trasformazioni urbanistiche e gli interventi su immobili oggetto di specifica tutela da parte del piano urbanistico strutturale.

4.12 Normativa fiscale

1. Nel comparto urbanistico sono esenti da ogni imposta sui trasferimenti di proprietà tutti gli atti di compravendita finalizzati alla realizzazione del comparto medesimo. Tali imposte si applicano, al momento della approvazione del progetto relativo al comparto da parte del Comune, solo alle eventuali plusvalenze finali derivanti da atti di compravendita intervenuti per consentire l’attivazione del comparto medesimo.

4.13 Opere dello Stato, delle Regioni, delle Provincie

1. Qualora le opere risultino già inserite nel piano urbanistico strutturale dei Comuni interessati, il progetto delle medesime è recepito nei piani urbanistici operativi dei Comuni stessi.

2. In caso contrario, la amministrazione competente chiede la convocazione della Conferenza Urbanistica per il recepimento del progetto delle opere in questione nel piano urbanistico strutturale e, ove del caso, nel piano urbanistico operativo dei Comuni interessati.

SCHEDA 5DELEGHE AL GOVERNO

5.1 Delega per la predisposizione del Testo Unico Nazionale

Il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge-quadro un Testo Unico Nazionale delle leggi nazionali in materia di territorio e urbanistica sulla base dei seguenti principi:

a) conformità con i principi e le disposizioni della legge-quadro

b) si tratti di materie appartenenti alle residua competenza dello Stato

Il Testo Unico abroga in modo esplicito tutte le norme nazionali non aventi i due requisiti precedenti.

[AVVERTENZA: Il governo sta già predisponendo Testi Unici delle leggi attualmente vigenti in materia di ambiente e tutela del territorio, e di urbanistica ed espropriazione, sulla base di una specifica delega del Parlamento prevista dalla legge 8 marzo 1999, n. 50. Tali Testi Unici devono essere predisposti entro il 31 dicembre 2001. Poiché la nuova legge-quadro potrebbe restringere in modo significativo le norme nazionali di residua competenza dello Stato e rendere incompatibili con i suoi princìpi talune norme vigenti, è necessaria una tempestiva azione di coordinamento.]

5.2 Delega per il riordino della fiscalità immobiliare

Il governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge-quadro, nuove norme relative alla fiscalità immobiliare sulla base dei seguenti principi:

a) progressiva eliminazione di ogni imposta sui trasferimenti di proprietà

b) affidamento ai Comuni di tutte le funzioni relative all’ICI, inclusa la possibilità di una graduazione delle aliquote in funzione della rilevanza sociale delle trasformazioni urbanistiche o degli oneri derivanti da vincoli urbanistici, e mantenendo allo Stato le funzioni di indirizzo e di vigilanza.

c) progressivo allineamento del trattamento fiscale dei redditi derivanti dalla locazione di immobili a quello definito per i redditi derivanti da investimenti finanziari.

SCHEDA 6NORME TRANSITORIE E SUPPLETIVE

6.1 Norme transitorie

La Legge-quadro, prevede norme transitorie aventi per oggetto le seguenti materie:

- I tempi per l’approvazione, da parte delle Regioni e degli Enti Locali, dei provvedimenti normativi o attuativi previsti dalla legge-quadro.

- Norme di raccordo tra la legislazione vigente e le disposizioni della legge-quadro, in attesa della emanazione del Testo Unico Nazionale (questione dei vincoli di inedificabilità ultra quinquennali e loro indennizzabilità, permanenza delle norme e dei piani sovra-ordinati sino alla attivazione della procedura di Concertazione, ecc.).

6.2 Norme suppletive

Allegate alla legge-quadro sono emanate norme suppletive la cui entrata in vigore è differita e subordinata al verificarsi di determinate inadempienze da parte delle Regioni e degli Enti Locali.

Le norme suppletive avranno per oggetto le seguenti materie:

- Sussidiarietà

- Concertazione

- Unicità del piano urbanistico

- Sportello unico e procedure

- Piani Territoriali e Piani Urbanistici

- Comparti Urbanistici

Il testo è sul tavolo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Lo ha messo a punto una commissione presieduta dal presidente del Tar del Lazio, Pasquale de Lise, e non mancherà di far discutere.

Doveva essere un semplice decreto legislativo (previsto da una legge delega dello scorso aprile) per recepire, entro il 31 gennaio prossimo, due direttive comunitarie, che hanno l’obiettivo di introdurre maggiore concorrenza nei lavori pubblici. E invece, con quel pretesto, gli esperti del governo hanno scritto un vero codice degli appalti che ridefinisce da cima a fondo l’intera disciplina del settore. Un coacervo di 278 articoli che non accoglie certamente le ripetute sollecitazioni del presidente della Repubblica Ciampi perché si evitino le normative troppo estese e incomprensibili.

Ma che, soprattutto, potrebbe assestare, se venisse ratificato così com’è, un colpo forse definitivo alla famosa legge sui lavori pubblici che porta il nome dell’ex ministro Francesco Merloni. E per giunta proprio sul finire della legislatura.

Non è un mistero, del resto, che il governo di Silvio Berlusconi, e in particolare il ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, abbiano sempre considerato da superare quelle norme, varate nel 1994 dopo l’emergenza di Tangentopoli. Ma il Parlamento aveva esplicitamente stabilito che nessuna modifica di quel provvedimento sarebbe stata possibile con delega governativa.

Nonostante questo, il nuovo decreto legislativo interviene in profondità proprio sui paletti che la Merloni aveva piantato. Per prima cosa equipara sostanzialmente la trattativa privata alle altre modalità di appalto pubblico. Inoltre rende facoltativa la scelta fra il metodo del cosiddetto “massimo ribasso” e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. E amplia il campo di applicazione delle offerte “anomale”. Sarà quindi prerogativa esclusiva della “stazione appaltante” il ricorso alla licitazione privata e la scelta delle imprese da invitare.

Ma c’è dell’altro. Tutta la procedura delle gare viene di fatto riscritta. È previsto il ricorso alle società miste fra soggetti pubblici e privati come strumento di carattere generale e non, com’è ora, in via eccezionale rispetto all’appalto pubblico o alla concessione. Il decreto legislativo interviene quindi anche sulla materia delle progettazioni, delle concessioni e del contenzioso. Senza contare una nuova disciplina per la valutazione d’impatto ambientale delle grandi opere. Il tutto, se verrà approvato, da lasciare in eredità al futuro governo. Magari con un bel carico di rogne alla Corte costituzionale.

Lo scontro si annuncia aspro e di merito. Di qui al voto politico, nel paese e in Par­lamento, centrodestra e centrosi­nistra parleranno soprattutto con i “fatti”. Sul piano istituzionale le due questioni più grandi fino alla fine dell'anno sono la finan­ziaria 2006 e l’eventuale riforma elettorale. La prima si deve co­munque fare, la seconda non si dovrebbe comunque fare (non si cambiano le regole, da soli e alla vigilia del voto). C’è una terza questione alla quale vi invito a dare uno sguardo non troppo di­stratto: il governo Berlusconi propone di riformare l'intera le­gislazione ambientale italiana. Questa settimana avrà il parere formale della commissione scel­ta da Matteoli, poi inizierà il suo iter fino ad avere il bollo delle compiacenti maggioranze di centrodestra delle commissioni parlamentari. Infine raccoglierà osservazioni pubbliche (varie amministrazioni) e private (alcu­ni gruppi d'interesse), subirà un ultimo passaggio parlamentare per un parere definitivo; poi do­vrebbe emanare i decreti con i nuovi testi. Tutto questo percor­so potrebbe essere chiuso in cir­ca cento giorni.

Le bozze circolano da neanche un mese, le strutture ministeriali competenti non le hanno mai vi­ste: sono affidate, finora, solo ad amici e consulenti fidati. Sono state inviate ai 24 commissari il 2 settembre, via email. Se le hanno stampate occupano migliaia di fogli e vari chili di carta. La ri­unione della commissione era prevista per il 7 settembre, la maggioranza dei presenti non le aveva nemmeno sfogliate, il mi­nistero ha chiesto di an­dare avanti comunque, una settimana per le osservazioni, quindici giorni per il varo, previsto a giorni. Con coraggio e intelligenza il Wwf ha fatto circolare in rete i testi già dall’8 settembre, inviandoli anche agli ignari deputati e senatori. Già li avevo scorsi ma è stata una scel­ta intelligente. Pensate, ho con­tato in 5 decreti 214 articoli e ol­tre 30 allegati. Dovevano essere 7 decreti, ma due sono stati ac­corpati (tutela delle acque e di­fesa del suolo) e uno non è pronto (gestione delle aree protette). Articoli spesso molto lunghi, con tanti commi. Allegati enormi pieni di schede ed elenchi. E come si fa? Immagino i 24 commissari, almeno quelli davvero competenti, con un po’ di coscienza. Che osservazioni possono fare? Conosceranno bene alcune ma­terie, si limiteranno a qualche articolo di un solo decreto. Avrebbero bisogno di consulta­re altri esperti, di simulare alcu­ni effetti, di verificare stati di at­tuazione della legislazione vi­gente, nelle regioni ad esempio, di comparare direttive comuni­tarie e norme di altri paesi, di raccogliere spunti di docenti, ri­cercatori, amministratori, operatori. La democrazia parlamentare serve a questo. C’è un percorso trasparente: istruttoria in commissione, tempi per gli emendamenti, audizioni, dos­sier dei servizi studi, note degli uffici, comitati ristretti, valuta­zioni politiche nei gruppi, pareri delle altre commissioni, lettura in aula, discussione, sì discus­sione, su ogni tema, su ogni arti­colo, su ogni comma. Solo alla fine di tutto questo dovrebbe es­serci un voto. Poi passaggio al­l’altra Camera, stesso iter, mo­difiche. Ci si arriva lentamente a norme generali ed astratte. Non sempre perfette o coerenti, limitando però il rischio di pia­ceri frettolosi, di passaggi se­greti, di interessi privati. E si è arrivati così alle decine di leggi che ora Berlusconi e Matteoli vogliono cambiare per intero, in legislature diverse, con finalità specifiche, correggendo e affi­nando, attraverso complesse at­tuazioni. Quei soli 24 commis­sari hanno avuto 20 giorni per tutti i testi, le commissioni par­lamentari avranno un solo mese. Su testi che già si dicono di vo­ler cambiare, su testi che per ora nemmeno ci sono. Chi ha stu­diato i decreti ha già denunciato i pericoli di sostanza, sui rifiuti come sulla valutazione di im­patto ambientale. Magari ci sarà anche qualche osservazione che verrà recepita. Ma è l’impianto che ha bisogno di una lunga, ap­profondita, discussione. Sugge­risco alla commissione e al mi­nistro di riflettere bene. La leg­ge dice che nei due anni succes­sivi all'emanazione il (nuovo) governo e il (nuovo) Parlamen­to possono riscrivere tutto. For­se è meglio allora prendersi qualche mese in più, predispor­re schemi sui quali Camera e Senato possono lavorare con calma nei primi due anni della prossima legislatura. Altrimenti, se dovremo prendere o lasciare, dovremo proprio lasciare.

Ddl Senato 1753-B - Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione. Emendamento Governo 1.100

Art. 1. - (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici:

a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;

b) tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche;

c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;

d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna;

e) tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente;

f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC);

g) tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1, nel disciplinare i settori e le materie di cui al medesimo comma 1, definiscono altresì i criteri direttivi da seguire al fine di adottare, nel termine di due anni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, i necessari provvedimenti per la modifica e l’integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione e dei decreti ministeriali per la definizione delle norme tecniche, individuando altresì gli ambiti nei quali la potestà regolamentare è delegata alle regioni, ai sensi del sesto comma dell’articolo 117 della Costituzione.

3. I decreti legislativi di cui al comma 1 recano l’indicazione espressa delle disposizioni abrogate a seguito della loro entrata in vigore.

4. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro per le politiche comunitarie e con gli altri Ministri interessati sentito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

5. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo trasmette alle Camere gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, accompagnati dall’analisi tecnico-normativa e dall’analisi dell’impatto della regolamentazione, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari. Ciascuna Commissione esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla data di assegnazione degli schemi dei decreti legislativi, indicando specificamente le eventuali disposizioni ritenute non conformi ai princìpi e ai criteri direttivi di cui alla presente legge. Al fine della verifica dell’attuazione del principio di cui al comma 8, lettera c), i predetti schemi devono altresì essere corredati di relazione tecnica. Il Governo, tenuto conto dei pareri di cui al comma 4 ed al presente comma, entro quarantacinque giorni dalla data di espressione del parere parlamentare, ritrasmette alle Camere, con le sue osservazioni e con le eventuali modificazioni, i testi per il parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro venti giorni dalla data di assegnazione. Decorso inutilmente tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Il mancato rispetto, da parte del Governo, dei termini di trasmissione degli schemi dei decreti legislativi comporta la decadenza dall’esercizio della delega legislativa.

6. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge, il Governo può emanare, ai sensi dei commi 4 e 5, disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell’intervento normativo proposto.

7. Dopo l’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, eventuali modifiche e integrazioni devono essere apportate nella forma di modifiche testuali ai medesimi decreti legislativi.

8. I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei princìpi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarietà, ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione della salute umana, dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello locale, regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come indicato dall’articolo 174 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni;

b) conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonché certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell’ambiente;

c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;

d) sviluppo e coordinamento, con l’invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere più efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali;

e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza;

f) affermazione dei princìpi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga";

g) previsione di misure che assicurino la tempestività e l’efficacia dei piani e dei programmi di tutela ambientale, estendendo, ove possibile, le procedure previste dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443;

h) previsione di misure che assicurino l’efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il miglioramento dell’efficienza delle autorità competenti;

i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge;

l) semplificazione, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle procedure relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale. Resta fermo quanto previsto per le opere di interesse strategico individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni;

m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, nell’attuazione dei princìpi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del controllo preventivo del sistema agenziale rispetto al quadro sanzionatorio amministrativo e penale, nonché alla promozione delle componenti ambientali nella formazione e nella ricerca;

n) adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e medie imprese ad aderire ai sistemi di certificazione ambientale secondo le norme EMAS o in base al regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 e introduzione di agevolazioni amministrative negli iter autorizzativi e di controllo per le imprese certificate secondo le predette norme EMAS o in base al citato regolamento (CE) n. 761/2001 prevedendo, ove possibile, il ricorso all’autocertificazione.

9. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono essere informati agli obiettivi di massima economicità e razionalità, anche utilizzando tecniche di raccolta, gestione ed elaborazione elettronica di dati e se necessario, mediante ricorso ad interventi sostitutivi, sulla base dei seguenti princìpi e criteri specifici:

a) assicurare un’efficace azione per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità; semplificare, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e razionalizzare le procedure di gestione dei rifiuti speciali, anche al fine di renderne più efficace il controllo durante l’intero ciclo di vita e di contrastare l’elusione e la violazione degli obblighi di smaltimento; promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi, nonché il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, relativa all’incenerimento dei rifiuti, ed innovando le norme previste dal decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni con particolare riguardo agli scarti delle produzioni agricole; prevedere i necessari interventi per garantire la piena operatività delle attività di riciclaggio anche attraverso l’eventuale transizione dal regime di obbligatorietà al regime di volontarietà per l’adesione a tutti i consorzi costituiti ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all’interno dei quali siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure di evidenza pubblica; prevedere l’attribuzione al presidente della giunta regionale dei poteri sostitutivi nei confronti del soggetto competente che non abbia provveduto ad espletare le gare entro sei mesi dalla data d entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, tramite la nomina di commissari ad acta e di poteri sostitutivi al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio senza altri obblighi nel caso in cui il presidente della giunta regionale non provveda entro quarantacinque giorni; prevedere possibili deroghe, rispetto al modello di definizione degli ambiti ottimali, laddove la regione predisponga un piano regionale dei rifiuti che dimostri l’adeguatezza di un differente modello per i raggiungimento degli obiettivi strategici previsti; assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani; assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una più razionale definizione dell’istituto; promuovere la specializzazione tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di assicurare la complessiva autosufficienza a livello nazionale; garantire adeguati incentivi e forme di sostegno ai soggetti riciclatori dei rifiuti e per l’utilizzo di prodotti costituiti da materiali riciclati, con particolare riferimento al potenziamento degli interventi di riutilizzo e riciclo del legno e dei prodotti da esso derivati; incentivare il ricorso a risorse finanziarie private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi dei siti contaminati, in applicazione della normativa vigente; definire le norme tecniche da adottare per l’utilizzo obbligatorio di contenitori di rifiuti urbani adeguati, che consentano di non recare pregiudizio all’ambiente nell’esercizio delle operazioni di raccolta e recupero dei rifiuti nelle aree urbane; promuovere gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da amianto; introdurre differenti previsioni a seconda che le contaminazioni riguardino siti con attività produttive in esercizio ovvero siti dismessi; prevedere che gli obiettivi di qualità ambientale dei suoli, dei sottosuoli e delle acque sotterranee de siti inquinati, che devono essere conseguiti con la bonifica, vengano definiti attraverso la valutazione dei rischi sanitari e ambientali connessi agli usi previsti dei siti stessi, tenendo conto dell’approccio tabellare; favorire la conclusione di accordi di programma tra i soggetti privati e le amministrazioni interessate per la gestione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza;

b) dare piena attuazione alla gestione del ciclo idrico integrato, semplificando i procedimenti, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400, al fine di renderli rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36; promuovere il risparmio idrico favorendo l’introduzione e la diffusione delle migliori tecnologie per l’uso e il riutilizzo della risorsa; pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi; accelerare la piena attuazione della gestione del ciclo idrico integrato a livello di ambito territoriale ottimale, nel rispetto dei princìpi di regolazione e vigilanza come previsto dalla citata legge n. 36 del 1994, semplificando i procedimenti, precisando i poteri sostitutivi e rendendone semplice e tempestiva l’utilizzazione; prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell’acqua, l’obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte, sia interni che esterni; favorire il ricorso alla finanza di progetto per le costruzioni di nuovi impianti; prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, le modalità per la definizione dei meccanismi premiali in favore dei comuni compresi nelle aree ad elevata presenza di impianti di energia idroelettrica;

c) rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacolino il conseguimento della piena operatività degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale dell’attività di pianificazione programmazione e attuazione di interventi di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel rispetto delle linee direttrici del piano di bacino; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale della normativa e delle iniziative finalizzate a combattere la desertificazione, anche mediante l’individuazione di programmi utili a garantire maggiore disponibilità della risorsa idrica e il riuso della stessa; semplificare il procedimento di adozione e approvazione degli strumenti di pianificazione con la garanzia della partecipazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di conclusione dell’iter procedimentale;

d) confermare le finalità della legge 6 dicembre 1991, n. 394; estendere, nel rispetto dell’autonomia degli enti locali e della volontà delle popolazioni residenti e direttamente interessate, la percentuale di territorio sottoposto a salvaguardia e valorizzazione ambientale, mediante inserimento di ulteriori aree, terrestri e marine, di particolare pregio; articolare, con adeguata motivazione, e differenziare le misure di salvaguardia in relazione alle specifiche situazioni territoriali; favorire lo sviluppo di forme di autofinanziamento tenendo in considerazione le diverse situazioni geografiche, territoriali e ambientali delle aree protette; favorire l’uso efficiente ed efficace delle risorse assegnate alle aree protette dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali; favorire la conclusione di accordi di programma con le organizzazioni più rappresentative dei settori dell’industria, dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio e del terzo settore, finalizzati allo sviluppo economico-sociale e alla conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale delle aree; prevedere che, nei territori compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, i vincoli disposti dalla pianificazione paesistica e quelli previsti dall’articolo 1-quinquies del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, decadano con l’approvazione del piano del parco o delle misure di salvaguardia ovvero delle misure di salvaguardia disposte in attuazione di leggi regionali; nei territori residuali dei comuni parzialmente compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, provvedere ad una nuova individuazione delle aree e dei beni soggetti alla disciplina di cui all’articolo 1-quinquies del citato decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985; armonizzare e coordinare le funzioni e le competenze previste dalle convenzioni internazionali e dalla normativa comunitaria per la conservazione della biodiversità;

e) conseguire l’effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l’adeguamento delle procedure d’irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l’efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l’ambiente, anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per il miglioramento della qualità dell’ambiente sul territorio nazionale;

f) garantire il pieno recepimento delle direttive 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, e 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997, in materia di VIA e della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, in materia di VAS e, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, semplificare, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le procedure di VIA che dovranno tenere conto del rapporto costi-benefici del progetto dal punto di vista ambientale, economico e sociale; anticipare le procedure di VIA alla prima presentazione del progetto dell’intervento da valutare; introdurre un sistema di controlli idoneo ad accertare l’effettivo rispetto delle prescrizioni impartite in sede di valutazione; garantire il completamento delle procedure in tempi certi; introdurre meccanismi di coordinamento tra la procedura di VIA e quella di VAS e promuovere l’utilizzo della VAS nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e sovracomunali; prevedere l’estensione della procedura di IPPC ai nuovi impianti, individuando le autorità competenti per il rilascio dell’autorizzazione unica e identificando i provvedimenti autorizzatori assorbiti da detta autorizzazione; adottare misure di coordinamento tra le procedure di VIA e quelle di IPPC nel caso di impianti sottoposti ad entrambe le procedure, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni; accorpare in un unico provvedimento di autorizzazione le diverse autorizzazioni ambientali, nel caso di impianti non rientranti nel campo di applicazione della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, ma sottoposti a più di un’autorizzazione ambientale settoriale;

g) riordinare la normativa in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, mediante una revisione della disciplina per le emissioni di gas inquinanti in atmosfera, nel rispetto delle norme comunitarie e, in particolare, della direttiva 2001/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, e degli accordi internazionali sottoscritti in materia, prevedendo:

1) l’integrazione della disciplina relativa alle emissioni provenienti dagli impianti di riscaldamento per uso civile;

2) l’incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili o alternative anche mediante la disciplina della vendita dell’energia prodotta in eccedenza agli operatori del mercato elettrico nazionale prolungando sino a dodici anni il periodo di validità dei certificati verdi previsti dalla normativa vigente;

3) una disciplina in materia di controllo delle emissioni derivanti dalle attività agricole e zootecniche;

4) strumenti economici volti ad incentivare l’uso di veicoli, combustibili e carburanti che possono contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni e al miglioramento della qualità dell’aria;

5) strumenti di promozione dell’informazione ai consumatori sull’impatto ambientale del ciclo di vita dei prodotti che in ragione della loro composizione possono causare inquinamento atmosferico;

6) predisposizione del piano nazionale di riduzione di cui all’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, che stabilisca prescrizioni per i grandi impianti di combustione esistenti.

10. Per l’emanazione dei regolamenti ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei casi previsti dalle lettere a), b) ed f) del comma 9, si intendono norme generali regolatrici della materia i principi previsti dalle medesime lettere per le deleghe legislative.

11. Ai fini degli adempimenti di cui al comma 1 il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio si avvale, per la durata di un anno, di una commissione composta da un numero massimo di ventiquattro membri scelti fra professori universitari, dirigenti apicali di istituti pubblici di ricerca ed esperti di alta qualificazione nei settori e nelle materie oggetto della delega.

12. La commissione di cui al comma 11 è assistita da una segreteria tecnica, coordinata dal Capo dell’ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio o da un suo delegato e composta da venti unità, di cui dieci scelte anche tra persone estranee all’amministrazione e dieci scelte tra personale in servizio presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, con funzioni di supporto.

13. La nomina dei componenti della commissione e della segreteria tecnica di cui ai commi 11 e 12, è disposta con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che ne disciplina altresì l’organizzazione e il funzionamento. Nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui al comma 18, con successivo decreto dello stesso Ministro, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti i compensi spettanti ai predetti componenti.

14. Ai fini della predisposizione dei decreti legislativi, con atto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sono individuate forme di consultazione delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali e delle associazioni nazionali riconosciute per la protezione ambientale e per la tutela dei consumatori.

15. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, ogni quattro mesi dalla data di istituzione della commissione di cui al comma 11, riferisce alle competenti Commissioni parlamentari sullo stato dei lavori della medesima commissione.

16. Allo scopo di diffondere la conoscenza ambientale e sensibilizzare l'opinione pubblica, in merito alle modifiche legislative conseguenti all’attuazione della presente legge, è autorizzata la spesa di 250.000 euro per l’anno 2004.

17. All’onere derivante dall’attuazione del comma 16, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

18. Per l’attuazione dei commi 11 e 12 è autorizzata la spesa di 800.000 euro per l'anno 2004 e di 500.000 euro per l’anno 2005. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando, per gli anni 2004 e 2005, l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

19. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione dei commi 17 e 18.

20. All’articolo 36 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

"1-bis. Nei processi di elaborazione degli atti di programmazione del Governo aventi rilevanza ambientale è garantita la partecipazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio".

21. Qualora, per effetto di vincoli sopravvenuti, diversi da quelli di natura urbanistica, non sia più esercitabile il diritto di edificare che sia stato già assentito a norma delle vigenti disposizioni, è in facoltà del titolare del diritto chiedere di esercitare lo stesso su altra area del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilità a fini edificatori.

22. In caso di accoglimento dell’istanza presentata ai sensi del comma 21, la traslazione del diritto di edificare su area diversa comporta la contestuale cessione al comune, a titolo gratuito, dell’area interessata dal vincolo sopravvenuto.

23. Il comune può approvare le varianti al vigente strumento urbanistico che si rendano necessarie ai fini della traslazione del diritto di edificare di cui al comma 21.

24. L’accoglimento dell’istanza di cui ai commi 21 e 22 non costituisce titolo per richieste di indennizzo, quando, secondo le norme vigenti, il vincolo sopravvenuto non sia indennizzabile. Nei casi in cui, ai sensi della normativa vigente, il titolare del diritto di edificare può richiedere l’indennizzo a causa del vincolo sopravvenuto, la traslazione del diritto di edificare su area diversa, ai sensi dei citati commi 21 e 22, è computata ai fini della determinazione dell’indennizzo eventualmente dovuto.

25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.

26. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q-bis), dell’articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.

27 I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall’estero sono riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con le modalità specificate al comma 28.

28. È istituita una sezione speciale dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, alla quale sono iscritte le imprese di Paesi europei ed extraeuropei che effettuano operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi, elencate nell’allegato C annesso al medesimo decreto legislativo, per la produzione di materie prime secondarie per l’industria siderurgica e metallurgica, nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche riportate nell’allegato 1 al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998. L’iscrizione è effettuata a seguito di comunicazione all’Albo da parte dell’azienda estera interessata, accompagnata dall’attestazione di conformità a tali condizioni e norme tecniche rilasciata dall’autorità pubblica competente nel Paese di appartenenza. Le modalità di funzionamento della sezione speciale sono stabilite dal Comitato nazionale dell’Albo; nelle more di tale definizione l’iscrizione è sostituita a tutti gli effetti dalla comunicazione corredata dall’attestazione di conformità dell’autorità competente.

29. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:

"q-bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra menzionate;

q-ter) organizzatore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l’impresa che effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati ricorrendo e coordinando anche altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L’impresa che intende svolgere l’attività di organizzazione della gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell’Albo previsto dall’articolo 30, nonché nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite dall’allegato A annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34";

b) all’articolo 8, comma 1, dopo la lettera f-quater) è aggiunta la seguente:

"f-quinquies) il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF di qualità elevata), utilizzato in co-combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 14 dicembre 1999, come sostituita dall’articolo 1 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 25 marzo 2002, in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002";

c) all’articolo 10, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

"3-bis. Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di rifiuti, indicate rispettivamente ai punti D 13, D 14, D 15 dell’allegato B, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di trasporto, di cui al comma 3, lettera b), abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12 del citato allegato B. Le relative modalità di attuazione sono definite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio";

d) all’articolo 40, comma 5, le parole: "31 marzo di ogni anno" sono sostituite dalle seguenti: "31 maggio di ogni anno".

30. Il Governo è autorizzato ad apportare modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002, conseguenti a quanto previsto al comma 29, lettera b).

31. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio è autorizzato ad apportare le modifiche e integrazioni al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, finalizzate a consentire il riutilizzo della lolla di riso, affinché non sia considerata come rifiuto derivante dalla produzione dell’industria agroalimentare, nonché dirette a prevedere, oltre ai cementifici, le seguenti attività di recupero della polvere di allumina, in una percentuale dall’1 al 5 per cento nella miscela complessiva:

a) produzione di laterizi e refrattari;

b) produzione di industrie ceramiche;

c) produzione di argille espanse.

32. In considerazione del grave pregiudizio arrecato al paesaggio da vasti interventi di lottizzazione abusiva realizzati nella località denominata Punta Perotti nel comune di Bari, il direttore generale per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero per i beni e le attività culturali, verificato il mancato esercizio del potere di demolizione delle opere abusive già confiscate a favore del comune con sentenza penale passata in giudicato, diffida il comune medesimo a provvedere entro il termine di sessanta giorni, invitando la regione Puglia ad esercitare, ove occorra, il potere sostitutivo. Il direttore generale, accertata l’ulteriore inerzia del comune, nonché il mancato esercizio del potere sostitutivo da parte della regione, provvede agli interventi di demolizione, avvalendosi a tal fine delle strutture tecniche del Ministero della difesa, previa convenzione.

33. Per l’esecuzione della demolizione di cui al comma 32 il Ministero per i beni e le attività culturali si avvale delle anticipazioni e delle procedure di cui all’articolo 32, comma 12, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Per le medesime finalità, possono essere utilizzate le somme riscosse ai sensi del comma 38, secondo periodo, nonché, previa intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la regione Puglia, le somme riscosse dalla regione ai sensi dell’articolo 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 e ai sensi dell’articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

34. Il Ministero per i beni e le attività culturali, d’intesa con la regione Puglia ed il comune di Bari e sentito il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, effettuata la demolizione, procede all’elaborazione del progetto di recupero e di riqualificazione paesaggistica dell’area. Per l’esecuzione di tali interventi la regione o i comuni interessati utilizzano le somme riscosse ai sensi dell’articolo 167 del decreto legislativo n 42 del 2004, ovvero altre somme individuate dalla regione.

35. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, o della regione interessata, sono individuati ulteriori opere o interventi realizzati da sottoporre ad interventi di demolizione, secondo le procedure e le modalità di cui ai commi 32, 33 e 34. Sono fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 9 dicembre 1998, n.426.

36. Al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 167, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Laddove l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d’ufficio, il direttore regionale competente, su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero, decorsi centottanta giorni dall’accertamento dell’illecito, previa diffida alla suddetta autorità competente a provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi delle modalità operative previste dall’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a seguito di apposita convenzione stipulata d’intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero della difesa".

b) all’articolo 167, il comma 4 è sostituito dal seguente:

"4. Le somme riscosse per effetto dell’applicazione del comma 1, nonché per effetto del comma 38, secondo periodo, sono utilizzate, oltre che per l’esecuzione delle rimessioni in pristino di cui al comma 3, anche per finalità di salvaguardia nonché per interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati dalle rimessioni in pristino. Per le medesime finalità possono essere utilizzate anche le somme derivanti dal recupero delle spese sostenute dall’amministrazione per l’esecuzione della rimessione in pristino in danno dei soggetti obbligati, ovvero altre somme a ciò destinate dalle amministrazioni competenti".

c) all’articolo 181, dopo il comma 1, sono aggiunti i seguenti:

"1-bis. La pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1:

a) ricadano su immobili od aree che, ai sensi dell’articolo 136, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;

b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.

1-ter. Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative ripristinatorie o pecuniarie di cui all’articolo 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;

c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

1-quater. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.

1-quinquies. La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1".

37. Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l’accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all’autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l’estinzione del reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni:

a) che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico;

b) che i trasgressori abbiano previamente pagato:

1) la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, maggiorata da un terzo alla metà;

2) una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall’autorità amministrativa competente all’applicazione della sanzione di cui al precedente punto 1), tra un minimo di tremila euro ed un massimo di cinquantamila euro.

38. La somma riscossa per effetto della sanzione di cui al comma 37, lettera b), punto 1), è utilizzata in conformità a quanto disposto dall’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004. La somma determinata ai sensi del comma 37, lettera b), punto 2), è riscossa dal Ministero dell’economia e delle finanze e riassegnata alle competenti unità previsionali di base dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali per essere utilizzata per le finalità di cui al comma 33 e del comma 36, lettera d).

39. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati all’intervento, presenta la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica all’autorità preposta alla gestione del vincolo entro il termine perentorio del 31 gennaio 2005. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda, previo parere della soprintendenze.

40. All’articolo 34 del codice della navigazione, le parole: "dell’amministrazione interessata" sono sostituite dalle seguenti: "dell’amministrazione statale, regionale o dell’ente locale competente".

41. A decorrere dall’anno 2004 le spese di funzionamento delle autorità di Bacino di rilievo nazionale sono iscritte in una specifica unita previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

42. Al fine di migliorare, incrementare ed adeguare agli standard europei, alle migliori tecnologie disponibili ed alle migliori pratiche ambientali gli interventi in materia di tutela delle acque interne, di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, nonché di aumentare l’efficienza di detti interventi anche sotto il profilo della capacità di utilizzare le risorse derivanti da cofinanziamenti dell’Unione europea, è istituita, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, una segreteria tecnica composta da non più di ventuno esperti di elevata qualificazione, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il quale ne è stabilito anche il funzionamento. Per la costituzione ed il funzionamento della predetta segreteria è autorizzata la spesa di 450.000 euro per l’anno 2004, di 500.000 euro per l’anno 2005 e di un milione di euro a decorrere dall’anno 2006.

43. All’onere derivante dall’attuazione della disposizione del comma 42 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando per gli anni 20042006 l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

44. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione del comma 43.

45. Al fine di consentire la prosecuzione degli accordi di programma in materia di sviluppo sostenibile e di miglioramento della qualità dell’aria, anche attraverso l’utilizzo e l’incentivazione di veicoli a minimo impatto ambientale, è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2003, 2004 e 2005.

46. All’onere derivante dall’attuazione del comma 45 si provvede quanto a 50 milioni di euro per l’anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 7004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

47. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione del comma 46.

48. All’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:

a) dopo il comma 1, è inserito il seguente:

"1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni";

b) dopo il comma 2, è inserito il seguente:

"2-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane".

49. Dall’attuazione del comma 48 non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

50. Al fine di adeguare le strutture operative dell’Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) alle esigenze di una maggiore presenza sul territorio anche a supporto tecnico degli enti locali nel coordinamento delle attività a livello locale nelle aree marine protette, negli scavi portuali e nella pesca, anche attraverso l’apertura di sedi decentrate ovvero di laboratori locali di ricerca, è autorizzata per il triennio 2003-2005 la spesa di 7.500.000 euro annui.

51. All’onere derivante dall’attuazione del comma 50 si provvede quanto a 7,5 milioni di euro per l’anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 7,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

52. Al fine di garantire la messa in sicurezza di emergenza e per la bonifica dei terreni e delle falde delle aree ex depositi POL della Marina Militare, zona "Celle" e zona "Cimitero" e della Aeronautica Militare, zona "Vecchia delle Vigne", nell’ambito dell’attuazione del piano intermodale dell’area Flegrea, è autorizzata la spesa di 4 milioni di euro per l’anno 2003 di 10 milioni di euro per l’anno 2004 e di milioni di euro per l’anno 2005.

53. All’onere derivante dall’attuazione del comma 52 si provvede quanto a 4 milioni di euro per l’anno 2003, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2004 e a 5 milioni di euro per l’anno 2005 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

54. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l’attuazione dei commi 53 e 55.

Gruppo parlamentare VerdiINVITO3 febbraio 2004, ore10, presso la Sala del Refettorio - Palazzo S.Macuto,via del Seminario n.76, 00186 ROMA

Introduzione

Stefano Boco : Una proposta unitaria del centrosinistra

Fabrizio Vigni : Lo stato dell' arte in parlamento

Luigi Scano : I punti fondamentali per le linee guida per una nuova legge urbanistica

Interventi

Gavino Angius, Dario Franceschini, Alfonso Pecoraro Scanio, Marco Rizzo, Antonio Di Pietro, Luigi Malabarba , Giovanni Crema

Partecipano

Vezio De Lucia, Pierluigi Cervellati, Francesco Indovina , Luigi Scano, Paolo Berdini, Maria Pia Ranza, Alberto Mambriani, Paolo Rigamonti, Elio Garzillo, Vincenzo Cerulli Irelli, Guido Alborghetti, Edoardo Salzano , Giuseppe Papagno, Giancarlo Paba, Filippo Ciccone

Conclusioni

Sauro Turroni

Coordina

Francesco Mezzatesta

Sono stati invitati rappresentanti delle associazioni ambientaliste, professionali, di categoria, delle aree protette, dei sindacati.

Nella scorsa legislatura, per l’ennesima volta, il tentativo di dotare il nostro paese di una moderna legge urbanistica è fallito. Da allora il nuovo titolo V della costituzione che ridisegna le competenze dello Stato e delle regioni, i numerosi ulteriori provvedimenti deregolatori introdotti dal governo, da ultimo il condono edilizio, hanno ulteriormente mutato il quadro di riferimento e reso ancor più necessaria una riflessione sull’argomento “ nuova legge per il governo del territorio “.

Alla Camera è ripartito l’esame di diversi testi di legge presentati da quasi tutti i gruppi parlamentari per iniziativa del gruppo di Forza Italia e si sta per giungere ad un testo unificato senza che nel centrosinistra vi sia stato un confronto politico approfondito sia sui contenuti di una proposta comune da contrapporre a quella della destra, sia sulle modalità del confronto parlamentare e della stessa opposizione.

I Verdi propongono di superare questo ritardo e a fronte della provocazione del condono edilizio che devasterà ulteriormente il nostro Paese ed ai reiterati tentativi di svenderne il patrimonio storico artistico e la memoria stessa, hanno organizzato questo incontro che vuole essere il punto di partenza per la definizione di una chiara alternativa alla politica dei condoni e della deregulation che porti ad una proposta unitaria di una nuova legge di governo del territorio, definita con il concorso di tutte le forze politiche dell’opposizione e con il contributo di un qualificatissimo gruppo di esperti .

Segreteria del convegno : tel. 06/67064327- 3327 , fax 06/68808856

1. Posizione e rilevanza gerarchica dei principi generali (schede n. 1 e 3)

I Principi generali (attualmente trattati dalla scheda n. 3)dovrebbero trovare collocazione - a un tempo logica e topografica - in apertura del testo di legge

Per quanto riguarda i contenuti specifici, si assiste all’equiparazione ed omologazione di principi fra loro indubbiamente difformi per la portata giuridica (principi di riferimento per norme a carattere generale e principi di riferimento per legislazioni settoriali e specifiche) e dunque per il livello gerarchico.

Secondo quanto proposto alla Scheda 3 sono infatti allo stesso titolo “principi generali” della legge i seguenti:

- sussidiarietà

- sviluppo sostenibile

- concertazione (co-pianificazione)

- unicità della pianificazione

- sportello unico

- autonomia e responsabilità

- partecipazione

- legalità urbanistica

- perequazione immobiliare

- testi unici

Occorre di conseguenza procedere ad una disamina di quanto elencato ed argomentato, che porti a distinguere i principi fondamentali cui si ispira la legge, in armonia con altre fonti normative a carattere generale, sia sul piano internazionale(recepimento di trattati internazionali (trattato sull’Unione europea), adesione ad organismi internazionali (Nazioni Unite), sia su quello nazionale ( nuovo ordinamento delle autonomie locali, riforma della pubblica amministrazione e semplificazione amministrativa).

Tali principi generali sono:

- sviluppo sostenibile (sulla base delle definizioni maturate in sede di Nazioni Unite)

- sussidiarietà (sulla base della definizione del trattato per l’Unione Europea, secondo la lettura datane dal comma 3 lettera a) dell’art. 3 legge 59/97); per quanto riguarda l’assunzione di tale principio e del precedente, qui si può fare riferimento alla “coerenza” esplicitata al punto 1.2. delle schede relativo a Direttive europee ed oaccordi internazionali;

- adeguatezza (che specifica il precedente, in relazione all’idoneità dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni; nel caso delle tematiche legate alla pianificazione del territorio, è ovvio che tale idoneità riferita dalla legge 59/97 a fattori meramente organizzativi, debba estendersi anche ai contenuti degli atti di pianificazione ed alle relative scale adeguate per predisporre interventi efficaci);

- differenziazione (che specifica i due precedenti, prevedendo un’allocazione delle funzioni che tenga conto delle diverse caratteristiche degli enti riceventi);

- concertazione (co-pianificazione), da rubricare nella categoria della cooperazione istituzionale, anch’essa presupposta dalla legge 59/97.

- autonomia e responsabilità, ciò che riassume anche il principio dell’unicità della pianificazione, quale specifica modalità dell’attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni;

- partecipazione.

Detti principi a carattere generale dovrebbero trovare sede nella prima parte della legge (una sorta di scheda 0, da inserire), ancor prima che ne sia data specifica traduzione normativa (ad es., per ciò che riguarda la sussidiarietà: ai Comuni compete..., ecc.)

Per quanto riguarda i principi specifici, e dunque quelli di:

- legalità urbanistica

- perequazione immobiliare

- testi unici

essi potranno opportunamente trovare luogo tra gli enunciati relativi al carattere della legge nazionale. In questo senso si propone di inserire una parte dedicata agli obiettivi della legge, che potrebbe riprendere quanto detto al punto 1.1, corredandolo altresì dei temi seguenti:

- promozione della semplificazione normativa anche attraverso la redazione di testi unici (da affermare come programma generale di riordino normativo del complesso della materia)

- garanzia della legalità urbanistica e predisposizione di adeguate sanzioni (da affermare come principio generale della materia);

- promozione della perequazione immobiliare (come sopra).

Per ciò che riguarda la voce sportello unico, non si ritiene affatto che questa corrisponda a un principio, trattandosi piuttosto di uno strumento destinato a dare attuazione al principio di responsabilità ed unicità delle attività di amministrazione e per questa via di pianificazione. Pertanto si propone la sua contestualizzazione in questo senso.

Sempre nella parte relativa a caratteri ed obiettivi della legge, manterrei senz’altro le norme riferite ad inadempienza e legislazione concorrente, ivi compreso quanto previsto in materia di norme di salvaguardia, per dare l’opportuno giusto rilievo alla cogenza dei disposti di una legge quadro che fa propria una serie di principi.

2. Scheda n. 2 riferita ai compiti rispettivi di Stato, Regioni e Province autonome, Province, Comuni, Città metropolitane

2. a Carta unica del territorio

Per quanto riguarda i compiti di cui alla scheda 2, si sottolineano le funzioni individuate per ciascun livello di governo in materia di pianificazione, ed in particolare:

- Stato: redazione di un Quadro Nazionale di Riferimento (altrimenti denominato “Linee fondamentali”) dell’assetto del territorio, con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali; a questo si aggiungono “interventi” (che possono anche assumere forma normativa, e disciplinare autonomamente strumenti di pianificazione sottordinati, come nel caso della legge 267/98, in materia di prevenzione del rischio idrogeologico) per la “prevenzione da grandi rischi”;

- Regioni e Province autonome: redazione di un Quadro Regionale di Riferimento o Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale per la tutela del territorio, dell’ambiente, dei beni culturali, e per la realizzazione delle infrastrutture di interesse provinciale;

- Province e Città Metropolitane: redazione del piano territoriale provinciale o metropolitano

- Comuni: redazione dei piani urbanistici comunali.

Alla luce dei contenuti minimi indicati dalle schede, si propone che l’insieme di tali contenuti trovi relazione con quanto proposto dalla Scheda 3 punto 4 comma 2 in materia di carta unica del territorio.

In particolare, è necessario un chiarimento su alcuni punti:

per ciò che riguarda la pianificazione provinciale o metropolitana: deve essere esplicitato che, qualora adeguato ai disposti di legge ed al complesso di previsioni dei piani e/o quadri di riferimento sovraordinati, anche sulla base di specifici accordi del tipo di quelli previsto all’art. 57 del dlg 112/98 (per esempio con le Autorità di Bacino competenti), il PTCP rappresenta la carta unica del territorio ai fini della, e come riferimento per la, pianificazione sottordinata (piani regolatori dei Comuni, ma anche strumenti a valenza urbanistica disposti da altri enti, come i piani di sviluppo delle Comunità montane, cfr. art. 29 comma 4 legge 142/90 modificata dalla legge 265/99).

per ciò che riguarda la pianificazione comunale, e in conseguenza di quanto detto, deve essere chiarito (poichè ora è un po’troppo implicto, e potrebbe suggerire una sussidiarietà un po’ ‘distorta’) che solo i piani urbanistici comunali adeguati, non solo ai disposti di legge, ma al complesso delle previsioni degli strumenti sovraordinati (ivi compresi quelli disposti da amministrazioni della Regione o dello Stato), costituiscono e possono costituire la carta unica del territorio nei confronti del cittadino.

in assenza di tali adeguamenti, debitamente certificati in forma di verifica di conformità nelle opportune sedi (Accordi bilaterali fra soggetti dotati di diverse competenze agenti sul territorio, Conferenze Territoriali di pianificazione), nessuno strumento è abilitato ad assumere nei confronti del cittadino il valore di carta unica del territorio.

Si suggerisce, a titolo di esempio, e con le sottolineature indicate a proposito della Provincia e dell’operatività dell’art. 57 dlg 112/98, il testo proposto nell’ambito della discussione, in corso da parte del Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna, della nuova legge urbanistica regionale:

Carta unica del territorio

1. La pianificazione territoriale ed urbanistica recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici ed ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi ovvero da previsioni legislative.

2. Quando la pianificazione urbanistica comunale abbia recepito e coordinato integralmente le prescrizioni ed i vincoli di cui al comma 1, essa costituisce la carta unica del territorio ed è l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni ed i vincoli sopravvenuti, anche ai fini dell’autorizzazione per la realizzazione, ampliamento, ristrutturazione o riconversione degli impianti produttivi, ai sensi del DPR 20 ottobre 1998, n.447.

3. La deliberazione di approvazione del piano comunale dà atto del completo recepimento di cui al comma 2 ovvero del recepimento parziale, indicandone le motivazioni. Dell’approvazione della carta unica del territorio è data informazione ai cittadini anche attraverso lo sportello unico per le attività produttive di cui al DPR n. 447 del 1998.

2.b. Cogenza e prescrittività del solo piano comunale (scheda n. 3 punto 4 comma 1)

L’enunciazione, anche a seguito di quanto sottolineato in materia di carta unica, è contestabile immediatamente, in quanto ha come conseguenza l’impossibilità, da parte di ogni e qualsiasi strumento di pianificazione sovraordinato al livello comunale, di esprimersi in determinati casi con previsioni e prescrizioni immediatamente prevalenti sul piano comunale.

Al contrario si ritiene che ogni livello di pianificazione, per quanto attiene gli oggetti ed i contenuti a questo assegnati dalla legge (o che la legge nazionale o regionale potrebbe opportunamente specificare), proprio in virtù degli assunti principi di sussidiarietà ed adeguatezza, possa intervenire con prescrizioni da recepirsi obbligatoriamente da parte della pianificazione sottordinata, sulla quale prevalgono immediatamente, direttamente cogenti nei confronti del sistema di diritti dei cittadini.

In questo senso si tratta di riconoscere tale facoltà agli strumenti sovracomunali - fermo restando l’obbligo, da parte dei Comuni, di recepire tali prescrizioni all’interno dei propri piani, anche ai fini della semplificazione e di una più corretta informazione della cittadinanza.

3. Piano territoriale provinciale (scheda 4.3)

Non appaiono recepiti neppure i contenuti minimi di cui alla lettera della legge 142/90, la quale all’art. 15 prevede dettagliatamente una serie di aspetti del Piano di coordinamento provinciale cui non può supplire il richiamo all’art. 57 del dlg 112/98.

Si ricorda infatti che i contenuti di cui alla 142, quali fra l’altro:

- le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;

- la localizzazione di massima d’infrastrutture e linee di comunicazione

- le linee d’intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

- le aree in cui istituire parchi naturali;

sono da riferirsi alla titolarità piena della Provincia quale soggetto di pianificazione, mentre i contenuti di cui all’art. 57 del dlg 112/98 pertengono la titolarità di amministrazioni diverse, con le quali è appunto obbligo della Provincia giungere a definire accordi.

Mentre si ritiene limitativa la pur sintetica indicazione data dei contenuti del PTCP, non si condivide il fatto che esso debba fornire, secondo previsione di legge, i “criteri per il dimensionamento delle previsioni urbanistiche”.

E’ IMPORTANTE prevedere che il Piano Territoriale Provinciale possa, su richiesta e in ogni caso d’intesa con i Comuni interessati, assumere il valore e gli effetti di Piano Strutturale Comunale.

Si tratta del medesimo concetto espresso dalla scheda 4.4. lettera a), punto 1, là dove afferma che “il piano urbanistico strutturale ha il medesimo valore e gli effetti del Piano Territoriale Provinciale, di cui recepisce le disposizioni, ecc”, declinato però secondo un principio di sussidiarietà “ascendente”, che potrebbe e forse dovrebbe trovare applicazione in situazioni della realtà italiana tuttora caratterizzate da estrema frammentazione della maglia comunale, tali da rendere non proponibile una pianificazione strutturale di livello comunale.

In questo senso appaiono improprie attribuzioni, tuttora presenti nelle legislazioni regionali, (quella della Regione Piemonte, per esempio) che individuano nella Comunità montana il soggetto deputato alla pianificazione intercomunale per l’ambito territoriale di competenza; la semplificazione e il riordino delle norme urbanistiche dovrebbe avere ragione anche di tali improprietà in ordine a ruoli istituzionali e corrispondente attribuzione di funzioni.

4. Piano territoriale metropolitano (scheda 4.5)

In relazione alle differenze esistenti tra le diverse realtà italiane disciplinate dalla legge 142/90, ed alla persistente incertezza circa gli esiti territoriali della loro perimetrazione, mentre si condivide il fatto che il Piano territoriale metropolitano sostituisca per i Comuni facenti parte dell’area il Piano strutturale comunale, non sembra opportuno prevedere in forma coattiva e generalizzata che ciò avvenga anche in relazione al piano operativo comunale.

Si propone pertanto di demandare la facoltà di prevedere tale sostituzione alla diretta assunzione di accordi specifici, anche territorialmente diversificati ed articolati, fra Città metropolitana e Comuni metropolitani interessati.

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