Se volete ascoltare la registrazione della discussionea proposito del libro
LA CONTRORIFORMA URBANISTICA
Critica al disegno di legge “Principi in materia di governo del territorio”(approvato dalla Camera dei Deputati il 28 giugno 2005)
Contributi di Roberto Camagni, Luca De Lucia, Vezio De Lucia, Antonio Di Gennaro, Alberto Magnaghi, Anna Marson, Edoardo Salzano, Luigi Scano, Paolo Urbani, coordinamento di Maria Cristina Gibelli
Alinea editrice
andate nel sito della Casa della cultura di Milano, cercate l'avvenimento del 6 febbraio e cliccate su Ascolta. Ascolterete Maria Cristina Gibelli, Roberto Camagni, Bruno Gabrielli, PietroMezzi, Alfredo Viganò, e gli interventi di Carlo Cerami e di Gianni Beltrame
Un appello sul Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio è apparso sulla stampa giovedì 10 gennaio. Apparentemente un appello come tanti, fra i tanti che si rincorrono, costretti ad inseguire l'emergenza sempre più pressante del degrado del territorio. Magari un po' retorico nel linguaggio, dai toni di deferente appello al Presidente del Consiglio e al Ministro dei Beni Culturali, nel quale quell'unico richiamo ad un intervento di Prodi, suonerebbe persino ironico nell'arcaicità della datazione (marzo 2006), se il sospetto non fosse repentinamente smentito dalla seriosa magniloquenza verbale del contesto oratorio. E poi, via, lo stile è esercizio soggettivo ed appartiene piuttosto a quelle virtù non obbligatorie, come il coraggio di manzoniana memoria. Stupisce un po' anche l'insolita compagnia dei firmatari che vede radunate associazioni assai diverse per storia, tradizione, obiettivi, ambito e metodo di azione (ad esempio, chi avrebbe mai sospettato di spirito sì appassionatamente filopaesaggistico una società come Civita, tanto per non far nomi), ma si sa, alla bisogna, tutto fa brodo.
Una prima lettura conferma, però, come i contenuti rientrino a pieno titolo in quel filone della difesa del nostro patrimonio paesaggistico, assolutamente meritevole della massima attenzione e assiduamente frequentato da eddyburg, come ben sanno i nostri venticinque lettori. Che poi uno degli strumenti atti a questa difesa possa a piena ragione essere considerato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, anche questo è argomento sul quale eddyburg si è esercitato in numerosi interventi.
E però c'è in questo testo qualcosa che stride: irreparabilmente. Lo stesso genere letterario cui i firmatari lo ascrivono – l'appello - contrasta con l'evidente allusività, lievemente omertosa, dei contenuti. Vi si rimanda ad un altro testo, quello con i nuovi e definitivi emendamenti che dovrebbero interessare, in particolare, la terza parte del Codice dedicata al Paesaggio, documento preannunciato e atteso da ormai molti mesi, ma non ancora reso di pubblico dominio e ancora circoscritto ad una circolazione riservata a conventicole di iniziati. E' questa la principale, anche se non la sola, lacuna politica da evidenziare in questo appello: invece di giocare quali attori di una farsa poco chiara, in cui si contrappongono e si intersecano obliquamente posizioni, schieramenti, interessi di vario tipo - dalle considerazioni di opportunismo istituzional-politico, ai narcisismi personali di estensori passati e presenti, ministeriali e non - occorreva piuttosto richiedere un atto di trasparenza.
Pare che il testo con gli emendamenti sinora predisposto sia stato bloccato perchè si scontrerebbe con l'ostilità durissima da parte del fronte compatto delle regioni da un lato e dall'altro perchè subirebbe la fronda revanchistica interna dei fautori del primigenio impianto del Codice del 2004.
Sbagliato, ancora una volta, come già lo fu il tentativo di ugual segno della prima redazione, è stato sicuramente il metodo che ha escluso la controparte regionale da qualsiasi condivisione in fase di elaborazione: sbagliato prima di tutto perchè costituzionalmente scorretto, perchè ideologicamente inefficace, perchè politicamente velleitario. Il momento del confronto con le Regioni, componente imprescindibile di quella Repubblica cui la Costituzione affida la tutela del nostro paesaggio e a cui, piaccia o meno, ha, nel tempo, assegnato deleghe non tangenziali nell'ambito del governo del territorio, è ineludibile e aver assecondato chi ha propugnato la strada di una sorta di prova di forza centripeta (pulsione che le associazioni firmatarie paiono sottoscrivere in quel loro reiterato richiamo al mantenimento della purezza del testo sinora elaborato), è invece indizio di evidente debolezza. Debolezza politica, prima di tutto, questa, in quanto spia di un'incapacità di fondo del Ministero di agire sul piano del sostegno palese e della contrapposizione aperta (laddove occorresse) di posizioni che, a quel che è dato sapere, appaiono culturalmente ampiamente condivisibili: la paralisi quasi generalizzata delle funzioni di programmazione su vasta area da parte delle regioni ha accellerato in modo sempre meno arginabile nefasti effetti di degrado territoriale, sui quali eddyburg, fra gli altri, svolge la sua azione di denuncia quotidianamente.
Complementare a questa, e non meno grave, è quindi, d'altro lato, la debolezza di tipo culturale mostrata da chi, all'interno del Ministero, fin dalla prima ora, ha sposato una linea di apparente colloquio con l'interlocutore regionale che però si è attestata quasi sempre su posizioni di compromissione ideologica e cedimento istituzionalmente illegittimo: la prima versione del Codice, nell'ambito paesaggistico conteneva alcune sfasature culturali, quando non veri e propri arretramenti e brillava, in alcuni passaggi, per ambiguità, quando non omertà laddove avrebbe dovuto stabilire regole e paletti certi: nei tempi, nelle modalità, negli attori chiamati a intervenire.
Così che, a ben vedere, queste contrapposte pulsioni di centralismo rivendicato quasi vendicativamente, da un lato, e acquiescenze rinunciatarie dall'altro, divengono, nel loro micidiale saldarsi, la dimostrazione di una debolezza strutturale ed ideologica davvero pericolosa.
Strutturale perchè in entrambi i casi si sottace su quello che rappresenta uno dei punti di snodo della discussione, ovvero sia l'adeguamento in termini di mezzi, risorse, approccio metodologico, alle nuove istanze che il codice, in qualunque versione, verrebbe a richiedere al Ministero: apparentemente arbitro della partita, ma, nell'attuale struttura, completamente inadeguato a sostenere un ruolo di tale portata. Nessuna legge, per quanto giuridicamente “perfetta”, ha qualche speranza di efficacia laddove la struttura chiamata a renderla operativa sia di fatto in una situazione di paralisi e di impotenza.
Ma si tratta anche di debolezza ideologica, perchè è soprattutto nel confronto aperto che la contrapposizione che indubitabilmente esiste con il fronte regionale e locale in genere, può essere superata e non semplicemente rimossa, non certo nella rincorsa di un compromesso coûte que coûte che tutelerebbe solo le sicurezze di carriera di taluni grands commis e lascerebbe tutte le questioni irrisolte. E' sul piano della sfida culturale e politica nel senso più alto, che ci si può contrapporre a istanze di corto respiro quali a volte appaiono quelle sul tappeto: non solo di parte regionale, per verità, perchè la partita è davvero complessa, e va affrontata attraverso una disamina attenta e puntuale alla ricerca di una mediazione di più alto livello che può legittimare solo un Ministero che interpreti senza incertezze e ambiguità il ruolo di garante di un interesse superiore e di più ampio orizzonte di quello elettorale.
Quello che eddyburg chiede al Ministro Rutelli, adesso, è di rendere pubblico, con un atto di trasparenza e coraggio politico, un testo ormai ampiamente elaborato, aprendolo finalmente alla discussione e al confronto più ampi possibile.
Il nostro paesaggio è un bene comune fragilissimo che si può salvare solo attraverso un'azione collettiva condivisa dalla grande maggioranza della comunità che lo ha in custodia. E' solo attraverso una lenta, faticosa, tenace, ma aperta operazione di coinvolgimento culturale che si potrà perseguire un'opera di tutela duratura ed efficace nel tempo.
Onorevole Presidente, Signore e Signori, l'introduzione della Dott.ssa Caporaso è stata di una estrema chiarezza quando ha messo in luce l'esigenza che i servizi sociali siano riconosciuti obbligatori fin dalla formazione degli stessi piani regolatori.
L'esigenza discende dalla nuova situazione della società, che si trova oggi in un periodo di rapido trapasso verso una nuova sistemazione generale di cui già intravediamo gli elementi essenziali. Una riduzione molto elevata del numero dei lavoratori nell'agricoltura, un'accentuazione del lavoro nei settori secondari e terziari, e soprattutto nei settori terziari ed altamente qualificati e un apporto considerevole, in tutto questo, del lavoro femminile, sono gli elementi dinamici del processo in atto.
Per questa società che si sta configurando vi è un travaglio veramente profondo, in tutto il Paese, per l'adeguamento di strutture estremamente antiquate a quella che, è la realtà presente ed a quella che sarà la realtà di domani, di un domani che si sta rapidamente avvicinando ai nostri occhi.
Nel problema di questo adeguamento si inserisce molto bene il discorso delle attrezzature e servizi sociali, di cui qui si è già cominciato a parlare, come di uno degli elementi di spinta, di ossatura che possono caratterizzare la nuova Società con maggiore o minore qualificazione, a seconda della loro maggiore o minore presenza, e, soprattutto, della loro qualità.
Mi pare che sia oltremodo interessante notare come l'intuito femminile che raggiunge immediatamente il bersaglio, passando spesso oltre alle lunghe e faticose elaborazioni della logica, abbia qui centrato il problema sostanziale, cioè che questi servizi si debbono inserire nei programmi economici ed urbanistici e, soprattutto, che per questi servizi occorre riservare i luoghi e cioè le aree che sono necessari per poterli edificare.
Questo mi sembra il punto veramente fondamentale e, in un certo senso, l'elemento nuovo e integrativa di un discorso già ampiamente svolto per quello che concerne le esigenze dei servizi stessi e la loro caratterizzazione; discorso che si impone in questo momento e si colloca nel giusto istante della formazione della nuova legge urbanistica in preparazione secondo gli accordi di Governo.
Farò un breve accenno a quello che rappresentano i servizi sociali nell'ambito di un piano regolatore.
Per mettere a fuoco il problema occorre partire da quel personaggio che è l'utente del piano regolatore, l'utente della città. Ogni individuo, uomo e donna, domanda alla città almeno un vano per sè; ma non basta, occorre per tutti i cittadini una quantità di servizi di vario genere, sanitari, educativi, ricreazionali, ecc. A questi si aggiungono quei servizi che sono quelli relativi alla donna che partecipa all'attività produttiva e che richiede nuovi servizi di tipo aggiuntivo e particolare, sostitutivi di gran parte di quelle attività che un tempo erano svolte nell'ambito della casa come lavoro domestico.
Ogni utente del piano regolatore e della città ha dunque le sue specifiche esigenze; tutti assieme pongono le loro domande. Interessa qui vedere quanto questi servizi di carattere sociale incidano nel complesso delle domande che i cittadini pongono alla città. Non sono purtroppo in grado di dare delle risposte precise, perchè queste potranno venire attraverso degli approfondimenti svolti dagli Istituti di Ricerca che oggi non hanno ancora affrontato, nella loro complessità e in tutti gli elementi, questo tema. Ma dirò soltanto che l'infrastruttura sociale è da considerarsi uno degli elementi di base per la valutazione del grado di efficienza di un agglomerato urbano, di una città o di un territorio, di un insieme di agglomerati urbani, alla stessa stregua delle infrastrutture tecniche ed economiche. E cioè se l'equipaggiamento in strade; in reti di distribuzione dell'energia, in impianti industriali che forma l'infrastruttura tecnica ed economica, rappresenta l'ossatura sulla quale si svolge l'attività produttiva, e caratterizza l'efficienza di uno sviluppo produttivo maggiore o minore, così alla stessa stregua, la rete infrastrutturale dei servizi sociali caratterizza l'efficienza di un agglomerato urbano e quindi di una società.
Questo concetto è da tener presente perchè la infrastruttura tecnica ed economica è ormai considerata da tutti gli economisti come l'elemento necessario per il passaggio dalle società primitive alle società che tendono ad un processo di sviluppo economico.
La rete infrastrutturale sociale è così l'elemento fondamentale per consentire il decollo verso una vita associativa di maggiori prospettive.
Dello sviluppo demografico e dei fenomeni di accentramento sono state fornite alcune considerazioni. Vorrei soltanto aggiungere, a quanto egregiamente è stato detto nella introduzione, che questo è un fenomeno mondiale.
L'accrescimento di popolazione, in questi ultimi decenni, ha infatti avuto un'accelerazione che sta diventando sempre più grande. Un documento delle Nazioni Unite rileva che sulla terra erano occorsi 200.000 anni per raggiungere i due miliardi e mezzo di uomini, ma che è presumibile che nei prossimi trenta anni si aggiungano altri due miliardi a quelli attuali.
Ma questa espansione demografica - è a tutti noto - si accompagna a processi di concentrazione urbana, cosicchè mentre all'inizio del secolo, su tutta la superficie terrestre, solo il 2,4% di popolazione era concentrata nelle agglomerazioni con più di 20.000 abitanti, oggi abbiamo una percentuale del 20% ed è presumibile che alla fine del secolo questa concentrazione raggiunga il 40%.
In questo duplice processo di espansione demografica e di contemporanea concentrazione urbana, il rischio di una espansione incontrollata della città e di una assenza di strutture, e soprattutto di una assenza di infrastrutture sociali, è enorme, nel nostro come negli altri Paesi in rapido sviluppo. Per cui, mentre l'infrastruttura tecnica ed economica è richiesta per dare avvio al processo di sviluppo economico e trova quindi i suoi sostenitori in quanto costituisce il binario su cui cammina lo sviluppo economico, l'infrastruttura sociale dipende unicamente dalla richiesta degli utenti e molte volte, assai spesso, la voce degli utenti è troppo debole.
Tutto ciò rientra nello studio dei costi dell'uomo. Siamo tutti convinti che ogni individuo ha un suo costo sociale, ma questo costo deve essere tale da consentirgli di raggiungere determinati fini, e precisamente di aprire a tutti una prospettiva di sviluppo. I sociologhi hanno individuato
a) un gruppo di spese per rendere massima la speranza di vita alla nascita di ogni individuo, spese che comprendono varie previdenze e provvidenze nel settore igienico-sanitario, ospedaliero, ecc.;
b) un gruppo di spese per consentire all'uomo le migliori condizioni di efficienza fisica e mentale ed urbanistica, in cui i servizi sociali entrano di pieno diritto per una grossa aliquota;
c) le spese per l'accesso alla cultura ed al tempo libero ed anche qui le spese riguardano infrastrutture a carattere sociale;
d) le spese per le migliori probabilità di maggiore sviluppo delle proprie capacità creative.
Quest'ultimo scopo dipende da tutti i precedenti, dalle condizioni igienico-sanitarie e soprattutto dalla presenza, maggiore o minore, delle infrastrutture sociali e dal loro grado di efficienza.
Rileviamo dunque che nel costo di formazione dell'uomo i servizi sociali entrano per una grossa aliquota e che, per garantire il conseguimento di questi fini è necessario premunirsi, al più presto possibile, delle aree, su cui poter effettivamente impiantare i servizi :sociali. I servizi sociali entrano dunque nel quadro di sviluppo della città ed in quelle previsioni dello sviluppo della città che sono i piani regolatori.
Nei piani regolatori fin qui allestiti le aree per i servizi sono entrate quasi sempre in modo estremamente vago, attraverso a delle indicazioni piuttosto sommarie e generiche; per esse si sono individuate la quantità, la ubicazione e la distribuzione spaziale. Ma la quantità e la distribuzione spaziale erano, fino ad oggi, condizionate da una situazione di carattere generale, perchè i piani regolatori sono stati formati nel quadro di una legge, la legge urbanistica del '42, la quale, pur ammettendo la ubicazione delle aree per i servizi nel piano regolatore, non ne garantiva l'attuazione.
Infatti il piano regolatore, secondo la legge del '42, agisce in modo indiretto. Esso indica tutto ciò che non si deve fare, e ciò che si può fare, ma non stabilisce ciò che si deve fare. Attraverso ad un miscuglio di negazioni, di vincoli e di possibilità. si formano i piani regolatori che vigono attualmente nelle nostre città.
La possibilità di fare risultava sempre amplissima: i cittadini, le Amministrazioni, le Autorità chiamate ad esprimere il loro parere sul piano, erano indotti a presumere che lo sviluppo potenziale di un agglomerato urbano potesse essere sempre assai grande.
Ma l'inconveniente era questo che appena fatto il piano, o per meglio dire, ancor prima del piano, in quell'ambito di potenzialità, ogni proprietario era e si sentiva libero di costruire, o di non costruire, quando e come, sia pure entro alcuni limiti, ma sempre secondo il suo gradimento.
Questo era l'elemento che infirmava tutto il meccanismo, tutto il processo di formazione del piano. Esso serviva, unicamente, a fornire alcune norme tecniche da seguire nel caso in cui, Tizio in un punto e Caio nell'altro, avessero desiderato di costruire.
Costruire che cosa? Abitazioni o industrie, ma non certamente servizi sociali che non sono, tranne qualche eccezione, di iniziativa privata.
Da questo meccanismo sono nate situazioni veramente paradossali; nei piani erano anche indicati i servizi, ma le aree ad essi destinate venivano, via via, consumate attraverso le continue richieste, fino a scomparire. Mi sto occupando, in questo periodo, della revisione del piano di Genova; abbiamo, come prima constatazione, misurato la ricettività del piano vigente, approvato con decreto del '59; ebbene, il piano di Genova consente una ricettività di oltre 7 milioni di abitanti, con dei servizi sociali quasi inesistenti. Prendiamo ad esempio le scuole: per le scuole vi sono 140 aree per una totale ricettività di 40.000 studenti; oggi essi sono 38.000 per una città di 800.000 abitanti.
Queste distorsioni che raggiungono livelli assurdi, sono state determinate dal fatta che i privati, proprietari di aree, si cautelavano tutti circa la possibilità di poter utilizzare il terreno a fini abitativi determinando una pressione di richieste che si acquetava solo con la garanzia di aver consacrata la possibilità di utilizzazione futura.
La situazione di Genova è poi peggiorata dal fatto che le condizioni particolari orografiche hanno creato una città, abbarbicata sulle colline. Le aree per i servizi non esistono nel piano; il Comune, disperato, oggi cerca aree per collocare delle scuole e non le trova, e contende ai privati frammenti di aree a prezzi altissimi.
Ma anche nei piani in cui le aree per i servizi erano indicate, queste venivano erose o scomparivano inghiottite dall'edilizia privata.
A contrastare questo stato di cose vi è stato un duplice processo di studio: uno è quello che tende a risolvere il problema alla radice. eliminando il sistema di pianificazione indiretta e scalzando alla base la pressione dei privati, che deriva dallo stato di potenziale utilizzazione generalizzata delle aree. L'altro è stato un parallelo processo di ricerca per quelli che sono i caratteri qualitativi e quantitativi dei vari servizi che formano il tessuto connettivo, il supporto della vita associativa in una città.
Quest'ultimo è lo studio sugli standards. Su questo argomento è mia opinione personale che gli standards possano essere utilmente studiati, ma non mai in astratto. Io preferirei che Istituti di ricerca o Commissioni Parlamentari potessero studiare nella realtà dei fatti, nelle situazioni così differenziate del nostro Paese, quelle che sono le attuali situazioni dei servizi sociali, quali sono i gradi di efficienza che si riscontrano nelle situazioni reali, per individuare quali sono i provvedimenti da attuare.
Io non ritengo infatti che tutto l'argomento si riduca a fare una somma algebrica di 0,05 mq. per abitante per questo servizio, di 1,2 mq. per quest'altro servizio, ecc., per arrivare ad un totale di tanti mq. di servizio per abitante. Questi possono essere degli elementi indicativi, a carattere didattico, ma non sono sufficienti. Ritengo che sia indispensabile studiare, per i singoli servizi, le caratteristiche interne che rappresentano il grado di efficienza della loro utilizzazione.
Faccio due esempi. Sono stato ad Amburgo circa due anni fa, in una visita rapidissima, per l'esame del piano regolatore; ed ho visti alcuni progetti di scuole elementari negli uffici del piano. Grossi uffici, che non hanno nulla a che vedere con i piccoli ufficetti dei nostri Comuni (ad Amburgo, nell'ufficio per l'urbanistica e l'edilizia pubblica, vi sono 40 urbanisti e 70 architetti). Nella visita, dunque, questi progetti di scuole mi venivano presentati con una certa titubanza; i tecnici comunali si sentivano quasi in colpa perchè le loro scuole sono troppo costose, mi hanno spiegato che ad Amburgo c'è una tradizione popolare che richiede che le scuole siano ben finite, dotate di giardino e di biblioteca, ecc. perchè le scuole sono aperte la sera a disposizione della popolazione, con un doppio uso quindi. Altro esempio. A Vienna ho visitato una casa del popolo, dotata di biblioteca e di sale trasformabili per molti usi: conferenze, riunioni, musica, ballo etc. Di queste case del popolo esiste a Vienna non solo un prototipo, ma un piano per dotare tutta la città di tali servizi, in modo che sorgano entro un raggio di non più di 600 metri uno dall'altro Questi complessi, estremamente duttili, hanno quasi nessun riscontro da noi, salvo l'iniziativa della Biblioteca Einaudi a Dogliani. Ecco, questi, a mio avviso, dovrebbero essere dei modelli per i servizi sociali, in una prospettiva molto più elastica, più ricca di quella in cui oggi è ancora concepita l'attrezzatura sociale di settore., limitata, ad all'uso di settore. Con questo spirito, potremmo calcolare per ogni città non solo la sommatoria delle aree dei singoli addendi, ma soprattutto riferirci alla qualità dei servizi stessi.
Dirò ora qualcosa sulla nuova legge urbanistica predisposta secondo gli accordi di Governo. Il progetto di legge urbanistica ha degli elementi innovatori anche rispetto alla stessa legge Sullo.
Vi è, infatti, una ricerca per trovare sistemi che consentano la messa in moto graduale del processo di pianificazione, tenendo conto però dell'urgente intervento nelle zone di accelerata urbanizzazione. La programmazione economica è impegno di prossima scadenza, ed al primo, sia pure embrionale e grezzo, ma reale programma economico, si dovrebbe agganciare anche il piano urbanistico nazionale. Ma ciò che è veramente innovatore è il fatto che tutto il processo di urbanizzazione sia pubblicizzato, attraverso quello ormai definito l'esproprio generalizzato; il piano particolareggiato è infatti l'elemento esclusivo di attuazione dei piani regolatori comunali e comprensoriali (entrambi sono allo stesso livello; il piano regolatore comunale è ammesso per i Comuni dotati di gestione urbanistica, capaci cioè di autoregolarsi, e i comprensori sono raggruppamenti di Comuni dotati di organi e di uffici tali da garantire la gestione urbanistica). Il processo di urbanizzazione consta delle seguenti fasi: individuazione delle aree; loro espropriazione, urbanizzazione e, quindi, utilizzazione di quelle edificabili attraverso differenti forme. Il Comune può cioè riservare a se stesso le aree, o cederle in affitto, a tempo indeterminato, cederle allo Stato o a Enti Pubblici, oppure metterle all'asta per la cessione a privati.
Questo è il meccanismo che è stato congegnato per la pubblicizzazione dello sviluppo della città, che esclude ogni altra alternativa, ciò è necessario perchè se si immaginasse un doppio regime di licenza in talune zone e di esproprio in altre si determinerebbe una situazione insostenibile di concorrenza e di conflitto, con sperequazioni e con l'insorgenza di pressioni. I mali del sistema attuale non sarebbero curati. Solo l'esproprio generalizzato preventivo garant:isce l'efficienza della espansione urbanistica, della organizzazione lei territori e delle città, degli insediamenti in generale e della riorganizzazione di tutto un territorio.
In questo processo continuo la gestione urbanistica diventa una gestione specifica, separata da quella che è la gestione comunale, che continuerà ad esistere per tutti gli altri settori della vita pubblica; in tal modo si renderanno fattibili dei bilanci nei quali siano effettiramente visibili tutti gli addendi dei costi e dei ricavi delle operasioni, dove i ricavi dell'operazione siano reimpiegati per garantire il processo di miglioramento dello stesso sviluppo di urbanizzazione.
Questa è la innovazione fondamentale che era già presente in 'orma grezza nella precedente formulazione del progetto Sullo ma che ha avuto un chiarimento preciso solo in questo studio. La gestione urbanistica si traduce, nella proposta in atto, in un programma annuale che consente, di poter predisporre tutti i mezzi finanziari adeguati per le operazioni e che impegna tutte le amministrazioni. mezzi, o provengono dallo stesso processo, che una volta acceso si sviluppa, oppure possono essere frutto di apporti esterni, di contributi dello Stato, di contributi previsti da varie leggi; ecc. In questo programma i servizi sociali si possono collocare, avranno la loro individuazione ed il loro capitolo.
Nel programma annuale saranno individuate tutte le opere che verranno attuate, iniziate o compiute durante l'anno e le singole amministrazioni che eventualmente concorressero a queste operazioni, sono chiamate a legare il proprio bilancio a quello della gestione urbanistica.
Ecco che allora il piano urbanistico, in questa prospettiva, cessa di essere un piano unicamente di possibilità; diventa un piano che in certi casi è anche di vincoli, ma è soprattutto di cose che si fanno. E' il piano di ciò che si fà, non. un piano di ciò che si potrebbe fare e poi non si fà. Allora penso che la vostra richiesta che l'infra struttura sociale sia tenuta presente, ha una possibilità, una prospettiva, di essere accettata ed inserita in piani che vincoleranno tutte le Amministrazioni interessate. Una prospettiva dunque si apre: che i servizi sociali possano effettivamente concretarsi.
La prospettiva della nuova legge urbanistica contrappone al vecchio mondo possibilista, leggermente vincolistico, ma soprattutto aperto a qualsiasi iniziativa privata, un mondo di amministrazioni responsabilizzate, che decidono ciò che si farà.
Sarà allora possibile istituire un più ampio bilancio, oltre a quello della gestione urbanistica, ma che è possibile soltanto quando esista la gestione urbanistica: ed è il bilancio economico di una intera città e di un intero territorio. Oggi è impossibile pensarvi, perchè sfugge completamente il campo dei costi sociali, delle infrastrutture, dipendenti in parte da iniziative dello Stato, in parte da possibilità di applicazione di infinite leggi, senza che sia possibile prevedere quando i fondi richiesti possano arrivare, ciascuno dopo un lunghissimo iter, nella più disordinata, nella più incredibile delle situazioni di caos amministrativo che si possa immaginare.
Si abbandona questa situazione e si passa ad una situazione più metodica e forse un pochino ragionieristica - qualcuno potrà anche dire - ma certamente chiara -, della gestione della cosa pubblica, come ossatura di una economia che comprenda tutte le attività di una città e di un territorio. A quel momento sarà possibile impostare il bilancio fondamentale che fino ad oggi non siamo mai riusciti ad ottenere, tra ciò che la città offre ai suoi cittadini e ciò che i cittadini chiedono, e di stabilire con precisione ciò che i cittadini devono pagare per ottenere un certo tipo di città.
Questo bilancio chiaro, portato all'attenzione degli utenti, consentirà precisamente di confrontare ciò che da una parte i cittadini chiedono e ciò che sono disposti a pagare e dall'altra ciò che la città offre. I risultati urbanistici non saranno più soltanto il frutto delle pressioni dei privati che spingono l'espansione verso un lato o verso l'altro lato della città per il loro esclusivo interesse, ma l'abilità tecnica degli urbanisti sarà chiamata a far sì che la domanda dei cittadini ottenga il massimo grado di efficienza, a parità di costo. Questa è la prospettiva, veramente nuova ed innovatrice che ci si offre, quando sia stato sgombrato il campo della proprietà privata del suolo e di tutte quelle che sono le implicazioni e le pressioni che essa crea.
In questa prospettiva, mi pare che il pilone fondamentale dell'infrastruttura sociale, studiato nella sua consistenza, nella sua qualificazione, e nelle possibilità di rendere vivo il tessuto sociale, finora trascurato, possa ora essere progettato e costruito.
L'UDI (un'associazione militante di donne, in prevalenza aderenti ai partiti della sinistra)organizzò questo convegno sulla base di una iniziativa sociale e politica che era partita da un documento "Per l'obbligatoriertà della programmazione dei servizi sociali in un nuovo assetto urbanistico", del dicembre 1963, e si era prolungata nella raccolta di firma per una proposta di legge d'iniziativa popolare. E' l'avvio di un'azione che condurrà, nel 1968, al Decreto interministeriale sugli standards urbanistici, che imporrà di riservare, in ogni piano urbanistico, aree in misura idonea per la costituzione di spazi pubblici o di uso pubblico. Le altre relazioni sono state svolte da Elena Caporaso(Il lavoro della donna nella società moderna), Alberto Todros (La legislazione per l’attuazione dei servizi sociali), Edoardo Detti (I servizi sociali nei piani di zona della legge 167), le conclusioni da Luciana Viviani.
Il testo di Astengo rivela come già da allora (cioè prima del decreto sugli standard) fosse chiaro che una previsione meramente quantitativa, sebbene indispensabile, non fosse però sufficiente: i temi della qualità dei servizi erogati, della loro connessione e accessibilità, del loro compiuto significato urbanistico, infine della loro gestione apparivano già allora temi altrettanto rilevanti. (es)
" Dopo oltre quaranta giorni dalla trasmissione da parte del Governo, un primo stop del Presidente della Repubblica e affrettate e marginali correzioni, è stato emanato il decreto legislativo "in materia ambientale".
Restano unanimi tutte le critiche, di metodo e di merito, della Conferenza delle Regioni e delle Autonomie locali, per esproprio di competenze istituzionali, centralizzazione impropria, rovesciamento dei principi di cooperazione e di sussidiarietà; come del mondo scientifico, delle associazioni ambientaliste, sociali, e di gran parte di quelle economiche; delle opposizioni in parlamento: per eccesso di delega, stravolgimento di un quindicennio di riforme che avevano invece bisogno di "riordino, coordinamento e integrazione" come richiedeva la legge di delega 308/2005; e per contrasto con diverse direttive comunitarie.
A Camere sciolte e a meno di una settimana dalle elezioni, a fronte di un periodo di vuoto istituzionale fino all'insediamento del nuovo Parlamento e alla formazione del prossimo Governo, il decreto legislativo apre già nell'immediato una condizione di ingovernabilità dell'ambiente, aggravato ulteriormente - per acque e suolo - dallo scioglimento delle Autorità di bacino, addirittura entro la fine del prossimo mese (anche delle Autorità regionali e interregionali? E con quale copertura degli oneri finanziari per il loro funzionamento, che passerebbero allo Stato centrale?). "
Il resto di questo articolo, e i materiali scaricabili dei testi approvati, al sito del Gruppo 183
Di seguito la relazione; in allegato il testo completo dell'articolato, in formato .pdf
Disposizioni per la tutela e la valorizzazione del paesaggio rurale
Relazione
Onorevoli Senatori. – L’esigenza di un intervento legislativo per la tutela e la valorizzazione del paesaggio rurale italiano nasce dalla constatazione che il processo di consumo e di abbandono del territorio agricolo nazionale non si arresta ed ha anzi conosciuto nel decennio trascorso una ulteriore e preoccupante accelerazione.
Vorrei avviare l’illustrazione del presente disegno di legge proprio con i dati diffusi recentemente dall’Associazione nazionale bonifiche e irrigazione (ANBI) relativi all’evoluzione nazionale della superficie agricola utilizzata (SAU). Nel periodo intercorso fra il 1990 ed il 2003 la SAU si è ridotta del 20,4 per cento passando da oltre 15 milioni di ettari a poco più 12, con 3 milioni di ettari (10 per cento del territorio nazionale) conquistati dalla cementificazione o dai processi di abbandono e desertificazione. Un’analisi su base regionale dei dati del «bollettino di guerra» aiuta ad interpretare le tendenze in atto: impressionante il calo della SAU nel Lazio (dal 48 per cento al 35 per cento della sup. regionale), nell’Abruzzo (dal 48 per cento al 27 per cento), nella Liguria (dal 17 per cento all’8 per cento), nella Campania (dal 48 per cento al 36 per cento), nella Sardegna (dal 56 per cento al 42 per cento) con un trend che interessa peraltro, anche se in modo disomogeneo, l’intero territorio nazionale. Ad agire sono spinte all’urbanizzazione diffusa, che interessano le aree periurbane ma anche comprensori di grande pregio agricolo, una politica delle infrastrutture disordinata e con crescente impatto territoriale, e il procedere di fenomeni di marginalizzazione di aree agricole periferiche, dove le difficili condizioni di redditività e il forte tasso di invecchiamento dei conduttori accelerano l’abbandono dell’attività.
Sono recentemente assurti all’onore delle cronache, per le caratteristiche di particolare valore paesaggistico delle aree interessate, i casi della Val d’Orcia e della Valpolicella. Il Ministro per i beni e le attività culturali, in una conferenza stampa tenutasi il 4 aprile scorso, ha parlato di «sfregio silenzioso del paesaggio italiano», denunciando alcuni casi particolarmente eclatanti, ma anche evidenziando la preoccupante quotidianità di una pressione continua sulle zone vincolate, ad esempio con oltre 30.000 richieste di trasformazione all’anno inoltrate all’esame delle competenti Soprintendenze nella sola Lombardia. Andrea Zanzotto, uno dei massimi poeti italiani viventi, ha avuto modo di affermare di recente, con riferimento ai processi in atto nel natìo Veneto: «una volta esistevano i campi di sterminio, oggi siamo allo sterminio dei campi».
Eppure a soccombere è un patrimonio di storia, cultura e natura di importanza inestimabile per il nostro Paese. Una secolare evoluzione che ha incontrato condizioni particolarmente favorevoli nella diversità geografica, litologica, climatica e biologica della penisola, dando sostanza a quelle «cento agricolture» e a quella pluralità e qualità dei paesaggi rurali ammirata dai viaggiatori di tutto il mondo fin dal secolo XVIII, arricchita dalla varietà delle tipologie dell’architettura rurale regionale. Non si può non sottolineare in questo contesto il ruolo insostituibile degli agricoltori nel determinare la straordinaria ricchezza di forme del «Bel Paese», laddove è stato l’ingegno e la capacità di adattamento dell’attività produttiva ad ambienti naturali a volte ostili a consentire la strutturazione del mosaico delle campagne italiane. Un mosaico ancora vivo nel quale si leggono però i segni di una riduzione delle caratteristiche identitarie, della tendenza all’impoverimento delle componenti arboree, arbustive ed erbacee, dell’abbandono del pascolo brado e delle colture promiscue.
L’urgenza di agire per la conservazione di questo patrimonio nasce dalla consapevolezza del suo carattere multifunzionale che travalica la dimensione, pure di eccezionale rilevanza, concernente il valore estetico e di identità nazionale, riconosciuto dal dettato costituzionale. Il mantenimento del paesaggio rurale e delle attività che lo supportano è la più efficace forma di contrasto del dissesto idrogeologico, che interessa attualmente il territorio di 5.500 comuni, e di prevenzione dei processi indotti dal cambiamento climatico ed in particolare della tendenza alla desertificazione, già così evidente in alcune regioni. Il territorio rurale svolge inoltre un ruolo ambientale insostituibile a partire dai cicli biogechimici, con il mantenimento di superfici fotosinteticamente attive che metabolizzano l’anidride carbonica e contribuiscono ad ammortizzare l’effetto serra e con il ruolo di «serbatoio» della diversità genetica rappresentato dalle varietà vegetali agricole e dalle razze animali autoctone, un patrimonio ancora ricco nel nostro Paese che merita una politica mirata di protezione.
Ma il paesaggio rurale può essere anche il volano di un nuovo sviluppo economico-territoriale, duraturo e sostenibile, che si va affermando in alcune aree del Paese. Il riferimento è a quella offerta integrata di prodotti agricoli tipici e dell’artigianato alimentare con servizi culturali e di fruizione del paesaggio che conosce, con l’agriturismo e il turismo enogastronomico, una importante fase di crescita nell’attenzione degli utenti. L’offerta integrata di risorse del territorio, che si incentra sulla conservazione attiva e non sul consumo irreversibile, rappresenta oggi l’unica alternativa effettivamente praticabile in molte realtà del nostro Paese, altrimenti destinate al degrado urbanistico o all’abbandono. Le stesse produzioni alimentari di qualità si identificano oggi con sempre maggiore frequenza con il territorio dal quale provengono, in tutto il mondo la qualità dei sapori italiani, purtroppo anche quando è contraffatta, si accompagna con le immagini-simbolo dei paesaggi di pregio ed è questa una grande opportunità di crescita per il nostro comparto agroalimentare.
Una nuova prospettiva nelle politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio rurale si è del resto già manifestata a partire dal contesto internazionale. L’UNESCO, con l’adozione e l’applicazione della World Heritage Convention, ratificata in Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184, ha avviato il riconoscimento, quali parti integranti del patrimonio culturale dell’umanità, di sistemi di paesaggio profondamente modellati dall’attività umana, con i primi esempi in Italia costituiti dai comprensori delle Cinque Terre (1997), della costiera amalfitana (1997) e della Val d’Orcia (2004). La Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha riscoperto il valore per il futuro dell’alimentazione umana di pratiche agricole tradizionali che vengono studiate e salvaguardate con il progetto GIIAHS (Globally Important Ingenious Agricultural Heritage Systems). L’Unione europea ha aperto alla firma dei Paesi membri nell’ottobre del 2000 la Convenzione europea sul paesaggio, quale strumento di indirizzo per le politiche comuni in materia di salvaguardia, gestione e pianificazione dei paesaggi, ratificato dall’Italia ai sensi della legge 9 gennaio 2006, n. 14, ed ha adottato nel corso del 2003, nel quadro della riforma di medio termine della politica agricola comune, importanti orientamenti innovativi finalizzati a promuovere il carattere multifunzionale dell’agricoltura. La scelta di adottare il disaccoppiamento totale degli aiuti e l’ecocondizionalità, nonché di incrementare progressivamente le risorse per il «secondo pilastro» dello sviluppo rurale, ha aperto la strada ad un orientamento ormai irreversibile nella politica agricola europea che pone al centro dell’attenzione la qualità delle produzioni e l’integrazione con le politiche di sostenibilità ambientale.
Le politiche italiane per il paesaggio rurale nascono nel segno della separatezza fra la pianificazione urbanistica e gli interventi di sostegno del mercato agricolo. Una incomunicabilità che ha coniugato per tutta una fase storica normative di conservazione statica, peraltro inefficaci, con interventi prevalentemente rivolti alla politica dei prezzi, alla specializzazione intensiva e alla standardizzazione delle colture. Più recente è il tentativo di sistematizzare il quadro giuridico in materia, condotto con l’approvazione del codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), e l’avvio di esperienze innovative di integrazione riconducibili alla pianificazione paesaggistica regionale e ad alcuni piani di assetto delle aree naturali protette, in un quadro generale comunque inadeguato a fronteggiare le dinamiche di erosione del paesaggio rurale. Di notevole interesse in questo campo anche alcune iniziative di regolazione concertata, avviate in collaborazione fra enti locali e categorie rappresentative del mondo agricolo, fra le quali si segnala in particolare la «Carta per l’uso sostenibile del territorio rurale del Chianti», recentemente ufficializzata, e il piano regolatore della Città del Vino, un compendio di linee etodologiche per la pianificazione nei comuni a forte vocazione viticola, promosso dall’Associazione «Città del Vino».
Il disegno di legge qui proposto muove dall’assunto che la storicità del paesaggio rurale debba essere considerata una risorsa preziosa per il futuro e che occorra dedicare maggiore attenzione alle condizioni concrete di esercizio di quelle attività di conduzione agricola a cui tuttora è affidata la manutenzione del 40 per cento del territorio nazionale e la sopravvivenza di alcuni dei contesti ambientali più rappresentativi del Paese. Un obiettivo che si può perseguire solo determinando la convergenza delle politiche urbanistiche, agricole e fiscali verso una strategia comune e avviando una più proficua sinergia nell’azione dei molteplici attori istituzionali competenti, in grado di determinare un salto di qualità nelle politiche nazionali e locali per la tutela del paesaggio.
L’articolo 1 del disegno di legge attiene alle finalità generali dell’intervento legislativo, che si propone, in attuazione dell’articolo 9 del dettato costituzionale, di collocare le politiche di tutela del paesaggio rurale, in quanto componente fondante del patrimonio naturale e culturale del Paese, fra le priorità delle politiche ambientali, di pianificazione urbanistica e di sviluppo rurale e di dare nuovo impulso all’azione dei diversi livelli istituzionali, nel rispetto delle competenze attribuite.
L’articolo 2 sostanzia le modifiche che si intendono apportare al codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. In primo luogo si interviene sull’articolo 142 del citato provvedimento, concernente le aree tutelate per legge, per inserire in tale ambito una nuova categoria sottoposta ope legis alla tutela paesaggistica: il territorio che supporta l’agricoltura tipica e di qualità del nostro Paese, vale a dire le aree interessate da colture agricole o pratiche zootecniche finalizzate all’ottenimento di prodotti a denominazione d’origine geografica di cui al regolamento (CE) n. 510/2006, del Consiglio, del 20 marzo 2006, i comprensori coinvolti nella coltivazione di vitigni finalizzata alla produzione dei vini tipici a denominazione geografica di cui alla legge 10 febbraio 1992, n. 164, e le aree che ospitano coltivazioni biologiche ai sensi del regolamento (CE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991. Si tratta concretamente di meglio tutelare i 159 riconoscimenti comunitari già assegnati a prodotti italiani DOP (denominazione d’origine protetta) e IGP (indicazione geografica protetta), i 477 vini nazionali di qualità registrati come denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), denominazione di origine controllata (DOC) e indicazione geografica tipica (IGT) e circa un milione di ettari riservati dalle aziende agricole italiane a produzioni biologiche certificate, nel suo complesso un patrimonio di produzioni gastronomiche di alta qualità che ci pone all’avanguardia in merito a livello europeo. Una più accorta vigilanza preventiva quindi sui processi di trasformazione urbanistica delle aree agricole di pregio, laddove occorre meglio proteggere attività che svolgono un ruolo di rilievo nelle formazione del paesaggio e della stessa identità culturale delle comunità locali, ma anche assumono una valenza crescente a livello economico, con un valore sul mercato, per i soli prodotti DOP e IGP, di 9 miliardi di euro, con il primato delle esportazioni vinicole italiane a livello mondiale e circa 1,5 miliardi di euro di prodotti biologici e biodinamici consumati sul mercato interno.
La seconda importante innovazione legislativa introdotta dall’articolo 2 concerne la previsione della possibilità, ricondotta sia alle competenze dello Stato che delle regioni e delle province autonome, di individuare «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale», definiti come quei comprensori che presentano eccezionali relazioni di qualità fra paesaggio e pratiche agronomiche e che si intendono tutelare in via prioritaria in quanto rappresentativi di quelle caratteristiche irripetibili storicamente consolidatesi nel paesaggio rurale italiano. Per questi sistemi territoriali viene introdotta una disciplina di salvaguardia urbanistica finalizzata a prevenire il consumo di territorio agricolo: in sede di approvazione degli strumenti di pianificazione si prescrive una valutazione prioritaria della sussistenza di alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti a fronte di eventuali proposte di espansione delle residenze e delle infrastrutture, con l’obiettivo di privilegiare e mantenere l’utilizzazione agricola dei suoli. È stata inoltre inibita la localizzazione in queste aree degli impianti di deposito e smaltimento dei rifiuti, degli impianti di produzione elettrica a generazione eolica di potenza superiore a 50 Kw e delle linee ad alta tensione di portata superiore a 220 Kv. Sono fatti salvi gli interventi funzionali all’esercizio dell’attività agricola e agrituristica e, qualora compatibili con l’indirizzo dettato dalle suddette norme di salvaguardia, i piani paesaggistici di cui all’articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, già adottati o approvati alla data di entrata in vigore della legge. Nella consapevolezza di agire in una materia di delicato rilievo costituzionale, si è scelto pertanto, nella formulazione dell’articolo 2, di fornire allo Stato e alle regioni una opportunità ulteriore di intervento per una più efficace tutela del paesaggio quale patrimonio culturale della Repubblica nel contesto degli articoli 9 e 117 della Costituzione, senza scardinare il quadro giuridico vigente, nel solco della recente sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 5 maggio 2006.
Con l’articolo 3 si concretizza l’esercizio da parte dello Stato di tale nuova opportunità mediante individuazione sul territorio nazionale di una selezione di 19 «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale» che si ritengono solo parzialmente rappresentativi dell’eccezionale mosaico del paesaggio rurale italiano, alla cui perimetrazione sul territorio dovranno provvedere le regioni competenti; a tal fine ci si è avvalsi del prezioso lavoro scientifico, tuttora in corso, condotto dal gruppo di ricerca nazionale GECOAGRI-LANDITALY, coordinato dalla Prof.ssa Maria Gemma Grillotti docente di Geografia presso l’Università Roma Tre, finalizzato alla costruzione di un Catalogo nazionale dei paesaggi rurali, così come auspicato dalla Dichiarazione finale del Colloquium internazionale «Quality Agriculture», accolta in sede FAO in data 5 luglio 2005. Si tratta con ogni evidenza di una elencazione non esaustiva, tendente a definire una prima rete delle tipologie più rappresentative dei diversi paesaggi agricoli in relazione alle colture e alle tecniche di allevamento tradizionali del nostro Paese, che le regioni potranno ampiamente integrare con una autonoma attività di individuazione, anche in rapporto ai propri strumenti di pianificazione paesistica e di sviluppo rurale. Questa prima «rete» di protezione dei paesaggi rurali irrinunciabili colma peraltro, a nostro avviso, un vuoto reale nel sistema nazionale di tutela delle aree di interesse ambientale e paesaggistico e pone le premesse per valorizzare a pieno la dimensione storica del lavoro agricolo nella formazione dell’immagine del Paese.
Con l’articolo 4 si definiscono un serie di interventi rivolti alla valorizzazione delle attività agricole e alla promozione del paesaggio nei «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale», nella convinzione che il mantenimento dell’integrità di questi comprensori non possa essere affidata solo a politiche di tutela passiva, ma debba contemporaneamente fondarsi sulle condizioni reali di conduzione e di redditività delle aziende agricole, di attrattività culturale e di vivibilità delle aree. È necessario pertanto determinare una convergenza degli strumenti di sostegno per le imprese agricole e degli strumenti delle politiche di coesione e sviluppo locale verso questi obiettivi, nonché una nuova finalizzazione di alcune opportunità di investimento oggi non adeguatamente orientate. Il riferimento è in primo luogo a quelle risorse della politica agricola comunitaria specificamente riservate alla qualità e all’ambiente (articolo 69 del regolamento (CE) 1782/2003) che, in sede di applicazione nazionale, il nostro Paese ha scelto ad oggi di distribuire a pioggia, senza alcuna reale efficacia di orientamento verso pratiche apprezzabili in termini di sostenibilità ambientale. L’articolato proposto prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, d’intesa con le regioni, provveda ad una nuova formulazione del decreto attuativo per l’impegno di tali risorse, orientandole parzialmente a sostegno delle attività agricole e zootecniche in atto nei «sistemi prioritari di paesaggio storico rurale», dove potrebbero trovare un impiego più coerente con lo spirito della riforma, con particolare riferimento ad alcuni seminativi e alla zootecnia. Il comma 3 dell’articolo 4 introduce inoltre l’integrale deducibilità dal reddito imponibile a fini IRPEF e lRES per le erogazioni liberali effettuate quale contributo alla realizzazione di interventi di recupero ambientale e paesaggistico, approvati dagli enti locali, nei sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale. Si tratta di una misura innovativa, che risponde ad alcune sollecitazioni provenienti dal mondo associativo del vino, ed intende facilitare l’investimento privato in opere di miglioramento ambientale, laddove le imprese possono trarre proprio dal rapporto con le qualità territoriali le ragioni fondanti del proprio sviluppo.
Gli articoli 5, 6, e 7 sono destinati ad introdurre misure specifiche di tutela e valorizzazione per tre pratiche tradizionali di grande valore storico per l’agricoltura mediterranea, che rivestono un ruolo primario nella definizione dei paesaggi rurali più tipici: l’olivicoltura, la viticoltura e il pascolo di alta quota.
Per quanto concerne la coltura dell’ulivo si intendono salvaguardare in primo luogo quei complessi arborei che rivestono particolare interesse dal punto di vista botanico, paesaggistico o di tutela dell’assetto idrogeologico ed arginare il fenomeno dell’espianto e del commercio degli ulivi secolari. Si tratta di interventi che depauperano del loro patrimonio ambientale aree consistenti della Puglia, della Toscana e di altre regioni, rivolti a fornire a vivai e giardini privati piante di eccezionali qualità estetiche, in gran parte destinate a deperire in breve tempo. Un censimento degli esemplari e delle aree interessate effettuato dalle regioni consentirà di vietare, con sanzioni adeguate, il danneggiamento, l’espianto e il commercio delle piante tutelate, mentre gli esercizi florovivaistici dovranno esibire, a richiesta degli organi di controllo idonea documentazione atta a risalire all’origine. Per eventuali interventi di manutenzione e gestione delle aree olivicole di particolare pregio le regioni, le province autonome e gli enti locali possono ricorrere a convenzioni con gli imprenditori agricoli ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, anche per promuovere progetti di agricoltura sociale finalizzati al recupero produttivo.
Il nostro Paese presenta una grande varietà di vitigni autoctoni e forme tradizionali di viticoltura di eccezionale valenza agronomica ed ambientale, come la viticoltura «eroica» dei versanti montani, la viticoltura isolana e quella praticata sulle terrazze costiere. Per tutelare questo patrimonio l’articolo 6 propone che le regioni provvedano a censire sul territorio di rispettiva competenza le aree viticole di interesse storico e ambientale, ad introdurre eventuali disposizioni specifiche per il recupero e la corretta conduzione colturale e a promuovere convenzioni con gli imprenditori agricoli per la gestione delle aree anche con forme di agricoltura sociale.
La pratica dell’alpeggio e della transumanza sui pascoli in quota hanno contribuito a determinare alcuni dei paesaggi alpini e appenninici di maggiore pregio del nostro Paese, nonché prodotti derivati dal latte di grande qualità, apprezzati con sempre maggiore interesse dai consumatori e spesso ad alto rischio di estinzione, unitamente ad alcune razze bovine e ovicaprine autoctone. La forte diminuzione dei piccoli allevamenti in altura procede di pari passo con l’espansione indiscriminata di insediamenti turistici non rispettosi del delicato equilibrio della montagna e con la riduzione della biodiversità vegetale delle praterie alpine. L’articolo 7 intende introdurre indirizzi per le regioni, le province autonome e gli enti locali rivolti a contrastare l’abbandono, la frammentazione e il cambio di destinazione dei pascoli montani e a facilitare la prosecuzione sul posto delle attività di trasformazione del latte. Sono previste fra l’altro una maggiore attenzione alle razze animali autoctone nelle procedure di concessione dei pascoli demaniali e il trasferimento alle regioni e alle province autonome delle competenze in materia di deroghe igienico-sanitarie per le produzioni alimentari tradizionali di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, al fine di consentire una più adeguata valutazione delle problematiche concernenti le tecniche artigianali in altura. Anche in questo caso le province e gli enti locali possono promuovere convenzioni con gli imprenditori agricoli per la conduzione conservativa dei pascoli, sulla scorta di alcune interessanti esperienze già avviate.
Le misure di contrasto della tendenza all’abbandono delle aree agricole marginali devono entrare a pieno titolo nelle politiche finalizzate alla prevenzione del dissesto idrogeologico, della desertificazione e del degrado dei paesaggi rurali e sono all’ordine del giorno in diversi paesi europei. In Francia la nuova legge d’orientamento in agricoltura (legge n. 157 del 23 febbraio 2005) ha definito le cosiddette «zone di rivitalizzazione rurale», che godono di un particolare regime di esenzione fiscale per le attività agricole ed artigianali, mentre interventi analoghi sono in discussione in Spagna nell’ambito delle politiche nazionali a favore delle aree svantaggiate. Con l’articolo 8 si intende introdurre nel nostro Paese una prima forma di fiscalità di vantaggio per le aree rurali a più forte rischio di abbandono, da identificarsi, con successivi atti, in quei comuni nei quali si registra contemporaneamente declino demografico e forte riduzione della superficie agricola utilizzata. In queste aree si prevede, a decorrere dall’anno 2009, l’applicazione di aliquote IRPEF e IRES ridotte del 25 per cento per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile e per le società agricole, come definite dall’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, misure che possono entrare in sinergia con quelle previste dall’articolo 4 del presente disegno di legge per i «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale».
Nei commi 3 e 4 dello stesso articolo viene inoltre introdotta una premialità nei trasferimenti erariali allo Stato per quei comuni dove si registrino risultati significativi in termini di conservazione della superficie agricola utile, al fine di riequilibrare lo stato di fatto che vede avvantaggiati nelle entrate gli enti locali che facilitano le trasformazioni a fini edificatori.
Nell’articolo 9 vengono definite le disposizioni per la copertura finanziaria. Per l’agevolazione fiscale di cui all’articolo 4, comma 3 (deducibilità integrale delle erogazioni liberali per interventi di recupero ambientale) è concessa la spesa di 10 milioni di euro all’anno, per l’attuazione delle convenzioni con gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 5, comma 4 e all’articolo 6, comma 3, finalizzate alla gestione delle aree olivicole e vitivinicole di interesse storico e paesistico, è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro all’anno, per la fiscalità di vantaggio per le aree rurali a rischio di abbandono (articolo 8) è prevista una copertura annua pari a 20 milioni di euro. Da notare infine che una parte della copertura finanziaria del provvedimento viene reperita attraverso la soppressione di ingiustificate agevolazioni IVA attualmente concesse a prodotti alimentari riconosciuti dannosi per la salute, quali i grassi idrogenati e le bibite analcoliche di fantasia, che godono tuttora di aliquota ridotta al 10 per cento.
Di seguito la relazione e il testo dell’articolato, con link al documento ufficiale, nel formato .pdf.
Disposizioni concernenti gli strumenti di programmazione territoriale e urbanistica
Relazione
Onorevoli Colleghi! - Nell'ambito del nostro sistema il rapporto tra forma e uso dello spazio fisico è stato affidato alla rigidità della pianificazione sia in termini di elaborazione che in termini di gestione.
L'inadeguatezza del sistema si è mano mano aggravata con l'accrescersi della sensibilità nei confronti dei temi legati alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale.
Risulta quindi evidente come sia nodale risolvere le questioni legate alla forma delle città e del territorio ( urbis et orbis). Una relazione diretta tra forma urbis (città) e forma orbis (territorio) si riflette evidentemente nella fruibilità del territorio stesso e, dunque, direttamente sulla sua produttività in generale e indirettamente sul valore aggiunto del turismo che si rivolge ai beni culturali e ambientali.
A tale proposito è utile osservare cosa è stato fatto nei maggiori Paesi europei. E, al di là delle singole soluzioni, emerge un elemento comune, ovvero che proprio nelle culture più evolute si tende a gestire il problema con continui aggiustamenti, senza cercare astratte formule risolutive. Le differenze tra il nostro e gli altri sistemi ci sono e sono evidenti, risiedono in fattori che potremmo definire di secondo livello rispetto al quadro normativo o, come afferma l'analisi comparata, rispetto al formante legale:
1) organizzazione del testo normativo ed efficacia del «codice»;
2) la presenza amministrativa è importante presupposto per la costruzione dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione amministrativa. Il nostro istituto del «silenzio assenso» misura l'impotenza dei nostri uffici ed è il sintomo della presa di coscienza della incapacità di porvi rimedio;
3) « public department» cui potersi rivolgere ordinariamente al fine di costituire i migliori presupposti per l'ottenimento delle autorizzazioni. Il rapporto con la pubblica amministrazione dei singoli privati e, soprattutto, dei soggetti investitori è in queste realtà generalmente più facile. La pubblica amministrazione trae credibilità proprio da questa facilità e pubblicità del rapporto con i privati.
Anche per ciò che riguarda il contenuto delle leggi, la lezione europea ci parla di maggiore attenzione verso le procedure attuative piuttosto che nei confronti della ricerca di nuovi princìpi o istituti amministrativi. I vari sistemi hanno rivolto particolare attenzione nel chiarire esattamente i limiti e le funzioni della pianificazione generale rispetto a quelli della pianificazione attuativa. In tale senso il sistema italiano risulta molto arretrato: il piano regolatore generale è oggi un istituto indefinito in molti suoi connotati essenziali, secondo le scelte dell'amministrazione esso diventa strumento di indirizzo o documento di dettaglio.
Lo spazio tra noi e le migliori realtà europee non è fatto dunque di leggi risolutive o di meccanismi tecnicamente perfetti. Esso piuttosto è fatto di una attenzione costante a quelli che abbiamo chiamato problemi amministrativi di secondo livello, di cura nel pensare i passaggi procedurali, di organizzazione e di «pulizia» dei testi di legge, di funzionalità degli uffici, di tutto ciò che costituisce la costante presenza dell'amministrazione nella vita sociale, senza la quale non è pensabile attendersi risultati di rilievo dalla pianificazione, quale che ne sia il livello tecnico di elaborazione.
Analisi comparata
Preliminarmente è necessario procedere alla ricerca degli elementi fondativi dei vari sistemi. Per elementi fondativi non si intende solo il focalizzare le questioni di principio, ma più concretamente si intende la ricerca dei passaggi più importanti che connotano un sistema e ne assicurano il funzionamento. Una sorta di memorandum per il legislatore che vorrà mettere mano alla materia.
In questo quadro occorre subito porre l'accento su un primo risultato: la produzione legislativa della materia oggetto del nostro interesse è sempre ampia, articolata e complessa.
Questo significa abbandonare le suggestioni di ipotetiche «delegiferazioni» e rassegnarsi ad avere a che fare con un gran numero di parole scritte. Tale conclusione porta in evidenza la questione, apparentemente solo tecnica e di contorno, dell'attenzione posta alla redazione dei testi e alla relazione che si stabilisce tra loro.
L'organizzazione del quadro normativo
La Germania e la Francia si sono date un codice organico. Ogni nuova legge così entra a fare parte del testo, secondo un meccanismo semplice di doppia numerazione degli articoli: il primo numero è quello relativo alla collocazione nel testo ed il secondo è esclusivamente riferito all'articolo di nuova promulgazione.
Il Regno Unito utilizza un sistema detto di « Consolidation», attraverso il quale compatta, ogni dieci anni, tutte le leggi in materia urbanistica in un solo testo, che prende il nome di « Town & Country Planning Act», e in quella sede provvede anche a modificare le parti dei precedenti testi la cui applicazione sia stata deludente o negativa.
Lo strumento a disposizione del legislatore spagnolo è il « Testo Refundido», che pur essendo il testo base non esaurisce la materia.
Da questa panoramica pare evidente l'arretratezza del sistema italiano. Lo strumento per ovviare a tale situazione è già presente nel nostro ordinamento ed è il testo unico, che consiste nella raccolta sistematica delle leggi relative a una certa materia. Ricordiamo che il testo unico viene emanato dal Governo, su parere del Consiglio di Stato, nell'esercizio di una delega del Parlamento. Il testo unico può avere valore amministrativo, ossia non modificare nulla di quanto in vigore, ovvero legislativo, e in tale caso, proprio come avviene per la « Consolidation», può anche apportare modifiche, eliminare incongruenze sostanziali, perfezionare aspetti attuativi delle leggi considerate.
La legislazione aperta
È chiaro che l'adozione di un codice dell'urbanistica non è solo un esempio di buona amministrazione, ma è anche un importante connotato di una cultura giuridica diversa il cui principale carattere è un sorprendente pragmatismo: il pragmatismo giuridico.
Se il problema è di rilevanza sociale, e se la soluzione prevista è in grado di risolverlo, si determina una condizione di fattibilità giuridica che non richiede, come invece nella cultura italiana, la verifica della congruenza formale con i princìpi generali che regolano la materia o addirittura l'intero sistema istituzionale.
« Enterprise zone», aree degradate perché zone ex industriali, sottratte d'autorità alla competenza degli enti locali, sottoposte a regime fiscale agevolato e governate, di fatto, da società di capitale pubblico. Il giudizio su tale istituto è oggi prevalentemente negativo. Esso però viene attaccato in patria non perché illegittimo, ma in quanto inefficace, cioè per non avere prodotto i risultati previsti in termini economici e di qualità urbana.
In tale senso il pragmatismo giuridico favorisce una legislazione «aperta», che non è costituita da una serie di provvedimenti speciali o eccezionali, ma incentiva l'attitudine ad occuparsi dei problemi posti dall'evoluzione della realtà, isolandoli, identificandoli e cercando la loro specifica soluzione.
Condizione essenziale, perché il pragmatismo mantenga una dimensione istituzionalmente accettabile, e perché una legislazione «aperta» abbia caratteri di coerenza complessiva, è da un lato che il quadro normativo mantenga una grande compattezza formale e leggibilità sostanziale; dall'altro, che gli strumenti attuativi siano sempre innescati su di una griglia di indicazioni di ampia scala, che assicuri razionalità alle scelte che connotano la politica territoriale. E ciò si ottiene con il doppio livello di pianificazione che, come vedremo, ha un diverso significato nel nostro Paese rispetto ad altre realtà comunitarie.
Il doppio livello di pianificazione
La cultura urbanistica moderna si è mossa sempre e dovunque accettando il principio che debba esserci un doppio livello di pianificazione.
Nell'adottare questo modello tutti i Paesi indagati si sono trovati di fronte al medesimo problema, che potremo definire della invadenza dello strumento generale di piano, ossia della tendenza ad attribuire un sempre maggiore livello di dettaglio tecnico al momento pianificatorio generale, al fine di rafforzarne il significato. I piani così concepiti si sono però rivelati di difficilissima produzione e, soprattutto, gestione. Lenti nell'elaborazione, tecnicamente incapaci di occuparsi di tutto in modo accettabile, hanno finito con il provocare la reazione dei proprietari e del settore economico interessato in genere. Il legislatore ha posto rimedio costringendo il piano generale entro limiti precisi, secondo tecniche giuridiche diverse. In Francia si è fatto leva ad esempio sulla scala: lo strumento generale che è oggi lo «Schema Directeur» è redatto al 50.000, e solo per le realtà minori è consentito scendere al 20.000. In Germania il piano generale ( Flachennutzungplan) è un atto interno all' amministrazione: pure se pubblico, esso non ha effetti sul regime dei suoli e non determina diritti o doveri per i privati.
Nel Regno Unito il pragmatismo anglosassone portò al divieto di accompagnare la relazione illustrativa dello Structure Plan con mappe o con carte. Oggi tale divieto è di fatto caduto, ma lo structure plan è di fatto abolito per le aree maggiori.
Al contrario, in Italia il piano regolatore generale ha continuato a espandere il suo ambito di applicazione che è sostanzialmente discrezionale. Il fatto che in molti casi sia usato come strumento di dettaglio non è infatti previsto dalla legge n. 1150 del 1942, che sembrerebbe anzi attribuirgli un significato assai più «europeo». Tuttavia, mentre in altri Paesi si è ritenuto opportuno specificare dettagliatamente, a mezzo di legge nazionale, cosa lo strumento generale deve o non deve disciplinare, in Italia tale limite è lasciato alla cultura locale. Esistono così oggi realtà pianificatorie assai disomogenee, anche se la tendenza prevalente è quella di dilatare le conseguenze dirette del piano regolatore generale.
Sistema amministrativo e amministrazione del territorio
Nel dopoguerra si è assistito alla crescita del ruolo e delle funzioni attribuiti agli enti locali, cui di diritto è stato trasferito il compito di redigere e di attuare i principali strumenti di piano. Negli ultimi decenni la pianificazione su base locale si è quindi dovuta confrontare con la realizzazione delle grandi reti di infrastrutture, con problemi di equilibrio ambientale e di gestione della risorsa idrica, insomma con una serie di questioni affrontabili solo a livello sovracomunale o addirittura solo a livello nazionale. E il livello nazionale ha dovuto cedere il passo alla scala internazionale, si pensi ad esempio ai sistemi dei trasporti.
Tale problema naturalmente è risultato più facilmente gestibile in Francia, in cui il Governo centrale ha conservato una sostanziale priorità amministrativa. Quel che sembra sorprendente, almeno apparentemente, è che i modelli federalisti hanno dimostrato maggiore elasticità e adattabilità di quelli autonomisti, la cui rigidità ha generato un continuo conflitto di competenze, e in genere è risultata un ostacolo alle politiche territoriali nazionali.
Nei fatti notiamo che vi è stata una differenza sostanziale tra la Germania, in cui i Lander hanno di fatto riattribuito potestà al Governo federale, e il Regno Unito, dove le Camere tale potere lo hanno evocato d'autorità, non senza provocare reazioni e resistenze. Ci aiuta a comprendere tale vicenda storica, di grande interesse, il fatto che il Bund tedesco è il luogo di coordinamento dell'azione governativa dei Lander, e tra le due istituzioni vi è quindi una sostanziale identità di fondo. Al contrario, l'assetto istituzionale anglosassone non ha tali caratteristiche, e il livello di relazioni tra centro e periferia è di, seppure fisiologica, contrapposizione. Questa vicenda, se comporta un ulteriore interesse di studio verso il sistema tedesco, ne denuncia tutta la distanza dalla tradizione italiana, evidenziando come lo stesso concetto di organizzazione di tipo federalista sia praticamente assente dalla nostra cultura.
Il sistema autonomista articolato sulle deleghe amministrative alle regioni, male sembra adattarsi invece alla evoluzione delle esigenze poste dalla pianificazione di grande scala. Italia e Spagna hanno vissuto e vivono gravi conflitti di competenza, che portano troppo spesso a una sostanziale incoerenza tra i diversi livelli di pianificazione. Si è così venuta a creare la paradossale situazione di amministrazioni che si comportano come fossero equiordinate, pianificando in modo indipendente, e spesso incongruente, la stessa porzione di territorio.
Attuare il piano: i conflitti di interesse
Una delle ragioni sostanziali che rendono difficile l'attività di pianificazione è certamente data dalla stratificazione degli interessi su aree e su immobili da parte di soggetti privati, società ed enti pubblici. Il comune deve predisporre il piano regolatore generale, prescindendo dagli interessi dei singoli e senza considerare le propensioni dei proprietari. Le stesse osservazioni che le parti pubbliche e sociali possono esporre una volta che il piano sia stato presentato devono avere carattere generale e non possono riguardare interessi precisi od opporsi a soluzioni economicamente penalizzanti per i singoli. Negli angusti spazi lasciati da questo quadro istituzionale, che risente delle aspirazioni ottocentesche di disporre di una amministrazione comunque « super partes», sono stati in realtà tentati a più riprese esperimenti di maggiore coinvolgimento diretto delle parti economiche e sociali. Ma è certo che l'assoluta mancanza di copertura istituzionale di questi meccanismi di relazione tra pubblico e privato ne ha frenato assai lo sviluppo. Il legislatore spagnolo nell'ambito della stessa posizione ha previsto la possibilità per il privato di assumere un ruolo determinante, tramite la «giunta di compensazione».
L'esperienza britannica vede nel conflitto di interessi, economici e non, una situazione fisiologica, che viene gestita in modo ordinario. Ogni decisione che sposti interessi legati alle aree, e comunque ogni modifica sostanziale delle previsioni di piano, è sottoposta a un vero processo, detto « Pubblic Inquire», in cui l'autorità locale può assumere una posizione di parte, e la cui decisione è rimessa al Governo centrale.
Il legislatore francese concentra i maggiori investimenti in zone perimetrate e sottoposte a regime di accordo con i privati investitori (le «ZAC»), attuando così un regime differenziato nei confronti degli operatori economici con cui concordare investimenti sul territorio, e della piccola proprietà distribuita cui assicurare la tutela dei diritti essenziali compatibilmente con l'interesse comune.
Il sistema tedesco fa costante, quasi caparbio, riferimento a strumenti di amministrazione ordinaria. Il piano edilizio attuativo (« Bebauungsplan») può essere di iniziativa privata, naturalmente intendendo per privati i costruttori, le società immobiliari o finanziarie, e in tale modo si innesca un meccanismo di contrattazione, il cui eventuale esito favorevole viene recepito in sede di pianificazione attuativa.
In conclusione le esperienze esaminate ci forniscono due indicazioni abbastanza chiare: la prima è che l'amministrazione del territorio porta con sé inevitabilmente il rischio di provocare conflitti di interesse anche fra privati; la seconda è che esistono due interlocutori separati dell'amministrazione, i privati cittadini, proprietari e no, ed i soggetti investitori, quali le imprese di costruzioni, finanziarie, immobiliari, e che è utile assumere atteggiamenti e darsi strumenti diversi per regolare i rapporti con essi. È utile dirigere l'investimento sugli obiettivi che la politica territoriale adottata ritiene prioritari: espansione, recupero, riuso.
Pare opportuno sottolineare che in Inghilterra e in Francia è istituzionalmente accettato e formalizzato il regime giuridico differenziato per i soggetti investitori, rispetto a quello riservato a tutti gli altri soggetti amministrati.
Le proposte si muovono sempre all'interno di quanto stabilito dallo strumento generale di piano, e riguardano l'assetto definitivo di un'area preventivamente e genericamente dichiarata trasformabile da parte dell'ente locale. L'attenzione si sposta sui contenuti di tali proposte e sulla loro effettiva vantaggiosità per l'ente pubblico.
Attuare il piano: la politica fondiaria
In ogni esperienza pianificatoria è presto o tardi emersa la tendenza a porre l'accento sulla necessità, per l'autorità di piano, di controllare direttamente una porzione significativa delle aree oggetto dell'azione amministrativa. La costituzione e la gestione di una congrua riserva fondiaria pubblica diventano elemento strategico essenziale della politica territoriale anche in funzione antispeculativa. La fine, o comunque il forte rallentamento della crescita urbana, ha tolto a questo tema priorità, in Italia come in altri Paesi.
Tuttavia la questione relativa alla formazione della riserva fondiaria trova di volta in volta una sua attualità come ad esempio nel caso delle aree ex industriali. Così in Francia la «legge di orientamento delle città» rilancia la politica di acquisizione fondiaria in modo deciso ed esplicito.
Il tema pone comunque due ordini di problemi: l'acquisizione dei terreni e la loro gestione. Per quel che riguarda il primo punto i metodi sono tre, l'espropriazione, l'esercizio del diritto di prelazione e l'acquisto.
Più rilevante è il problema delle risorse economiche che tale politica richiede, per fare fronte alle quali la politica francese, ad esempio, ha introdotto una specifica tassa, che grava sui proprietari delle aree comprese nelle zone destinate alla valorizzazione urbana.
Le espropriazioni
La questione delle espropriazioni è negli altri Paesi considerata questione di secondo piano. La pratica della specializzazione degli strumenti attuativi e della contrattazione con i principali attori economici riduce di molto il problema del controllo diretto delle aree, inoltre vige il sempre più utilizzato diritto di prelazione. A ciò si aggiunga che alcune amministrazioni, controllando il meccanismo delle previsioni urbanistiche, hanno acquistato aree in netto anticipo sull'espansione urbana, pagandone quindi il solo valore agricolo. Infine si consideri che quando la facoltà espropriativa può essere esercitata con relativa facilità si ha come effetto la comprensibile propensione dei proprietari a ricercare celermente una transazione. Ciò è garantito dalla disponibilità finanziaria e dal buon funzionamento degli uffici.
Diritto di trasformazione dell'immobile: ius aedificandi
Separabilità del diritto a edificare rispetto al diritto di proprietà.
Nel modello tedesco l'edificabilità costituisce un diritto puro, solitamente non soggetto a scadenza, e con l'unico limite dato dal fatto che parte degli oneri a esso relativi vanno pagati indipendentemente dall'esercizio di tale diritto. Diametralmente opposta è la tendenza rilevata in Spagna, dove la figura del proprietario di un lotto edificabile tende sempre di più al tipo di diritto dovere. Il diritto dovere presuppone infatti capacità di sostituzione da parte dell'amministrazione pubblica. Ritornano le esigenze di avere uffici capaci di controllare e di intervenire, il che richiede dotazioni tecniche, capacità professionali e risorse economiche, tre elementi tanto preziosi quanto difficili da ottenere.
Ancora una volta si profila la differenza tra i sistemi italiano, spagnolo e francese, in cui l'amministrazione viene impegnata da leggi riferendosi esclusivamente ai suoi compiti istituzionali, come definiti dai princìpi generali, e gli altri due sistemi, dove i compiti istituzionali sono dati da una sorta di mediazione tra ciò che i princìpi generali prevedono e ciò che in realtà può essere fatto. L'adattamento dei princìpi alle capacità attuative della funzione amministrativa costituisce una ennesima prova del più volte richiamato pragmatismo giuridico.
L'abusivismo
In Francia il fenomeno è ridotto ai minimi termini.
La Germania ha conosciuto nel passato una diffusa forma di abusivismo nelle aree rurali, abbastanza tollerata.
Sono tipici dell'esperienza britannica abusi minori essenzialmente configurantisi come ampliamenti non autorizzati di immobili esistenti.
La Spagna presenta invece una situazione più vicina a quella italiana, con una ampia e diffusa presenza del fenomeno. Sono soprattutto le periferie delle maggiori città e le coste a essere aggredite dall'attività illegale. Avendo raggiunto livelli sostenuti che ne rendono impensabile la sistematica repressione, l'abusivismo ha potuto beneficiare di provvedimenti di sanatoria a carattere generale, a seguito dei quali hanno fatto la loro comparsa provvedimenti legislativi, quali la legge delle coste, diretti a determinare una auspicabile inversione di tendenza. La fase di sanatoria di una parte del pregresso è stata però accompagnata dal passaggio delle competenze alle regioni, che sono intervenute con diversi livelli di determinatezza.
Il contenzioso
L'amministrazione del territorio, per il livello e per la quantità di interessi che colpisce, pare attività inevitabilmente destinata a suscitare contenzioso in misura rilevante. Di fronte a questo problema, fino ad oggi, solo l'esperienza inglese e quella tedesca sembrano avere prodotto soluzioni positive, anche se di carattere diverso, riuscendo a sopportare il peso di un forte incremento del contraddittorio derivante dalla crescita dei movimenti ecologisti e di difesa ambientale. Negli altri tre Paesi il problema ricade sul funzionamento della macchina giudiziaria con le note patologie che affliggono tale branca del sistema, prime fra tutte la lentezza e la contraddittorietà nella emanazione delle sentenze.
I temi critici
La compatibilità con il ciclo di investimento evidenzia come le amministrazioni più efficienti sono quelle delle aree più ricche del Paese, e ciò configura la pericolosa tendenza a concentrare gli investimenti nelle aree economicamente più mature, con gli enti locali più affidabili ed i mercati immobiliari più reattivi. Il sistema così concepito rischia di assecondare, aggravandoli, gli squilibri già così fortemente presenti nel Paese.
In considerazione di quanto esposto, la presente proposta di legge prevede, quindi, una serie di nuove disposizioni finalizzate a stabilire adeguati strumenti di programmazione territoriale e urbanistica.
Testo degli articoli
CAPO I
DENOMINAZIONE, NATURA E FUNZIONI DEGLI STRUMENTI DI PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA
Art. 1.
(Princìpi generali).
1. Gli strumenti di programmazione territoriale e urbanistica, di seguito denominate «strumenti», hanno funzioni di indirizzo e sono distinti in strumenti di previsione generale e in strumenti di previsione attuativa.
2. La formazione degli strumenti è costituita da due fasi distinte: le previsioni di massima e le previsioni esecutive.
3. Ai fini dell'applicazione degli strumenti, il governo del territorio è realizzato mediante i seguenti schemi di previsione:
a) schema generale di massima;
b) schema generale esecutivo;
c) schema attuativo di massima;
d) schema attuativo esecutivo.
4. Le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale e princìpi della legislazione dello Stato ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, anche ai fini degli obblighi internazionali dello Stato.
Art. 2.
(Ambito dello schema generale).
1. Lo schema generale ha valenza territoriale e urbana.
2. Nell'ambito territoriale dello schema generale la zona rurale deve essere sud divisa per bacini idrografici, per i quali, con apposita legge regionale, si prevedono adeguati interventi di forestazione lungo gli impluvi e presso i parchi suburbani e territoriali, con appositi programmi di utilizzazione, realizzati anche mediante incentivi in termini di indici edificatori con distanza minima tra fabbricati di 20 metri. Lo schema generale è attuato nei rispettivi territori dalle province e dai comuni, fermo restando il divieto, da parte di tali enti, di derogare alle indicazioni dello schema stesso.
3. Nell'ambito urbano, oltre le eventuali zone di espansione residenziali e non residenziali, lo schema generale individua nell'ambito delle zone con spiccata vocazione edificatoria apposite aree per l'insediamento di attività turistiche, commerciali, artigianali e direzionali. L'utilizzazione di tali aree può avvenire mediante schemi esecutivi predisposti dagli operatori e con densità territoriale assegnata dallo schema generale, o attraverso iniziative particolari quali contratti d'area, patti territoriali e programmi urbani complessi.
4. Alle zone residenziali di espansione viene attribuita dallo schema generale la sola densità territoriale, e l'edificazione può essere determinata da appositi schemi attuativi di iniziativa privata, assoggettati alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria, alla cessione delle aree per urbanizzazione primaria e secondaria, e al versamento dei soli oneri di urbanizzazione secondaria. L'edificazione può altresì avvenire con il concorso di tutti i proprietari interessati, ovvero attraverso l'istituto del comparto; partecipano alla volumetria realizzabile anche i proprietari delle aree destinate a urbanizzazioni primarie e secondarie. Ove ritenuto utile, in base alla valutazione dell'autorità statale competente di concerto con l'autorità di programmazione, è consentita la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione secondaria.
5. Non è obbligatorio, nell'ambito dello schema generale, redigere gli schemi attuativi e individuare strutture e zonizzazioni di competenza degli schemi territoriali regionali e provinciali.
6. I comuni costituiscono un fondo di volume edificabile in regime di quote volume al quale possono attingere ai fini dell'attuazione delle previsioni dello schema generale.
CAPO II
FORMAZIONE
Art. 3.
(Aggiornamento dello schema generale).
1. Ai fini dell'aggiornamento dello schema generale, in conformità a quanto previsto per i piani regolatori generali resi conformi al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, con deliberazione consiliare, può essere confermata o variata la titolazione delle zone «A» e «B».
2. Ai fini di cui al comma 1, la titolazione delle zone «A» e «B» è approvata con deliberazione del consiglio comunale, esaminate le osservazioni e le opposizioni. Tale deliberazione è inviata, entro due mesi, all'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente.
3. Con la deliberazione di cui al comma 2 viene confermata o modificata la previsione degli standard urbanistici previsti dallo schema generale.
4. Preso atto dell'avvenuta edificazione della zona «C» si procede al conseguente cambio di titolazione in zona «B».
5. L'ambito dell'aggiornamento del piano regolatore generale, ove il fabbisogno abitativo non sia già soddisfatto dalle zone «A» e «B», è limitato alla individuazione di nuove zone residenziali anche attraverso l'individuazione di ambiti urbani da riqualificare attraverso schemi esecutivi di riassetto urbanistico per entrambe le zone citate.
Art. 4.
(Procedura di formazione dello schema generale).
1. I comuni, indipendentemente dal procedimento di aggiornamento dello schema generale di cui all'articolo 3, sono tenuti alla redazione della fase di analisi che costituisce supporto alla redazione dello stesso schema in quanto strumento conoscitivo e di tutela del rispettivo territorio. I comuni sono altresì tenuti all'aggiornamento costante di tali analisi.
2. Lo schema generale, corredato delle norme di attuazione, è sottoposto al parere preventivo dell'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente, che solo in questa fase può esprimere un giudizio di merito impartendo le eventuali prescrizioni.
3. Successivamente all'espressione del parere di cui al comma 2, lo schema generale prosegue il suo iter normale ai fini della redazione finale. A tale scopo è previsto il solo giudizio di conformità, da parte dell'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente, ai criteri fissati nello schema generale di massima.
4. Per gli strumenti generali non sono previste cause di incompatibilità nei confronti dei consiglieri comunali.
Art. 5.
(Strumenti attuativi).
1. Ai fini dell'approvazione degli strumenti attuativi dello schema generale i consiglieri comunali sono obbligati a dichiarare le proprie cause di incompatibilità.
2. Per l'approvazione degli strumenti attuativi il numero legale per rendere valida la seduta deliberante del consiglio comunale è pari al numero dei consiglieri che non hanno dichiarato situazioni di incompatibilità e comunque non inferiore a un terzo dei componenti il consiglio.
3. I comuni, dopo avere acquisito il giudizio di merito dell'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente, procedono, secondo le indicazioni dello schema generale di massima, alla redazione di prescrizioni esecutive, le quali, una volta approvate, sono trasmesse al medesimo assessorato.
4. L'approvazione degli strumenti attuativi è di competenza dei comuni. L'approvazione diventa esecutiva dopo quarantacinque giorni dall'invio della relativa deliberazione all'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente ai fini del giudizio di conformità allo schema generale di massima.
Art. 6.
(Zone urbane consolidate).
1. Nell'ambito delle zone urbane consolidate si interviene tramite appositi schemi attuativi, che devono essere successivi all'approvazione dello schema generale. Gli schemi attuativi devono prevedere:
a) la conferma o l'integrazione degli standard urbanistici;
b) l'assetto urbanistico.
2. Nell'ambito della zona «A», ai sensi della legislazione vigente in materia, sono stabilite le modalità di intervento sugli isolati con l'individuazione delle parti da assoggettare a interventi diretti, ovvero a schemi di recupero di iniziativa pubblica e privata estesi almeno a una unità edilizia, nonché delle parti da assoggettare a interventi diretti di recupero quali la manutenzione straordinaria, il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione. Tali previsioni sono fissate con un apposito regolamento edilizio che assicura la coerenza degli interventi.
3. Nella zona «B», oltre all'esecuzione di interventi diretti, in analogia alla zona «A», possono essere oggetto di iniziativa privata ambiti di riqualificazione urbana individuati dal comune, prevedendo adeguati incentivi per gli interventi di nuova edificazione, anche sotto forma di volumetria, al fine di favorire il riassetto urbanistico e il riuso dei volumi attraverso apposite demolizioni e ricostruzioni.
Art. 7.
(Definizione degli interventi edilizi).
1. Il rinnovo degli elementi costitutivi previsti dall'articolo 3 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni, comprende l'intervento di smontaggio totale degli edifici esistenti e il successivo rimontaggio con gli stessi materiali e le stesse tecniche costruttive al fine di adeguare le strutture delle fondazioni ai moderni standard di sicurezza statica e antisismica.
Art. 8.
(Edilizia economica e popolare).
1. I finanziamenti pubblici per la dotazione della prima casa sono assegnati direttamente ai soggetti in possesso dei prescritti requisiti, sia per l'acquisto che per la costruzione in economia; in entrambi i casi si può procedere in forma associata cooperativa. In quest'ultima ipotesi i soggetti si fanno promotori della presentazione dell'intervento di nuova edificazione attraverso la richiesta di concessione edilizia o di approvazione del piano costruttivo nell'ambito delle aree residenziali.
2. Per gli interventi di nuove edificazioni la regione concede un contributo in conto capitale pari al 20 per cento della differenza tra il prezzo di esproprio e il valore catastale dell'immobile.
Art. 9.
(Assegnazione dei compiti di governo. Programmazione e realizzazione).
1. I compiti di governo del territorio sono attribuiti agli enti pubblici competenti per territorio e per materia secondo le specifiche articolazioni interne.
2. Le attività di programmazione sono attribuite agli uffici tecnici degli enti pubblici.
3. Gli enti pubblici individuano gli obiettivi e verificano la coerenza degli schemi di programmazione territoriale e urbanistica redatti dai rispettivi uffici tecnici.
4. Gli uffici tecnici degli enti pubblici redigono gli schemi di programmazione territoriale e urbanistica e verificano la conformità ai medesimi delle attività di realizzazione.
5. Le attività di realizzazione degli schemi di cui al comma 4 sono attribuite esclusivamente ai tecnici liberi professionisti. I medesimi tecnici rilasciano le autorizzazioni e le concessioni edilizie previo deposito negli archivi degli enti pubblici di tutta la documentazione e degli studi specialistici relativi alla loro attività di progettazione, direzione dei lavori, attestazione di coerenza con le normative vigenti e con gli strumenti urbanistici.
6. I lavori relativi a tutti gli interventi di realizzazione asseverati da tecnici abilitati ai sensi del comma 5 possono essere iniziati dopo il termine di trenta, di sessanta, di novanta o di centottanta giorni dal loro deposito allo sportello unico comunale per l'edilizia, in relazione alla complessità dei lavori stessi. Entro i medesimi termini, gli enti pubblici possono comunicare le proprie prescrizioni o l'esistenza di motivi ostativi.
7. Al fine di facilitare la sorveglianza e il controllo da parte degli uffici tecnici degli enti pubblici sui lavori di cui al presente articolo, il tecnico libero professionista deposita la documentazione dello stato di avanzamento dei lavori stessi. La documentazione è fotografica e descrittiva. Le dichiarazioni infedeli sono denunciate dal responsabile del procedimento immediatamente all'Ordine o al collegio professionale competente. La denuncia determina la contestuale sospensione del tecnico dall'albo professionale in attesa dei successivi provvedimenti definitivi che, nei casi più gravi, possono arrivare alla radiazione dal medesimo albo.
Presentato in data 19 giugno 2007; ora all'esame della XIII Commissione “Territorio, ambiente, beni ambientali” assieme ai disegni di legge nn. 1298 (Sodano) e 1691 (Ronchi). Di seguito la relazione, con link al documento ufficiale, completo dell'articolato, in formato .pdf.
Principi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare
Relazione
Onorevoli Senatori. – Il tema del governo del territorio ha una grande rilevanza per far esprimere all’Italia le sue potenzialità, determinate dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando questi temi in un’ottica di sviluppo sostenibile è possibile costruire un’ipotesi di modernizzazione e di innovazione del Paese.
Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l’azione di governo è rappresentato dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle infrastrutture, la qualità dell’ambiente urbano e la riconversione ecologica del sistema produttivo.
Per vincere questa sfida è necessario pensare alla qualità del territorio, delle città e della produzione, come uno dei motori per far ripartire l’Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall’aria e dall’acqua, e con le politiche di solidarietà, di equità e di inclusione sociale.
Per affrontare il tema del governo del territorio, dei suoi princìpi e delle sue regole, è necessario partire dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli strumenti utilizzati per governare il cambiamento. Affrontare questo tema significa, anche oggi, rendere esplicito e positivo il tema della leale collaborazione tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare le decisioni democratiche, condivise e trasparenti sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell’effetto di tali scelte.
Il ruolo delle regioni è stato determinante, molte di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.
Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo si sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza, passaggi istituzionali e di mutamento della società italiana; questi elementi sono utili per l’impostazione del nostro ragionamento e riguardano:
a) il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei successivi periodi di contrazione economica, con la modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una stratificazione normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l’azione di pianificazione del territorio;
b) il progressivo e sempre più deciso riformismo regionale che ha visto dal 1995 ad oggi l’introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti, regole e istituti che possono costituire una solida base di partenza;
c) in ultimo, l’esperienza – con aspetti positivi e negativi – prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all’interno delle regole di pianificazione delle regioni.
Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina che vede coinvolte tutte le istituzioni della Repubblica e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi territoriali.
Al riguardo, la coalizione dell’Unione si è assunta un esplicito impegno con i propri elettori con il programma depositato ai sensi del comma 3 dell’articolo 14-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel quale il territorio è indicato quale grande patrimonio per la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici, e rappresenta, quindi, una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.
Tale impostazione presuppone alcune priorità di indirizzo:
1) la necessità di coordinare e di allineare la normativa nazionale vigente sul governo del territorio alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali, aree protette, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso di «princìpi»;
2) l’esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la partecipazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane per costituire un sistema unico coordinato del governo del territorio;
3) la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte delle amministrazioni locali per la riqualificazione delle città, per la manutenzione del territorio, per lo sviluppo dell’impresa agricola multifunzionale e per la prevenzione dai rischi naturali e antropici.
La riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione ha costruito un sistema complesso di materie e di funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e alla trasformazione del territorio, con una diversa attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale, nazionale, regionale e locale, coeso e che agisca con programmi, piani, misure e strumenti coerenti.
I soggetti protagonisti di questa azione di rinnovamento e di nuova capacità di gestione del territorio sono principalmente le regioni e gli enti territoriali, i quali devono trovare in una legge quadro per il governo del territorio gli elementi costitutivi e i princìpi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e di omogeneità, ma dotati della necessaria flessibilità per consentirne la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.
Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comportano, tuttavia, una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.
Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle regioni, vi sono però alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato che devono essere espressi con norma di dettaglio: si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.
Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti.
La legge non deve prefigurare modelli astratti o standardizzati, ma favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire il complesso delle normative, degli strumenti, dei metodi e dei processi di governo del territorio.
Infatti, l’attuazione della funzione di governo alla luce della novellata Costituzione risiede nella capacità di governare il territorio programmandone lo sviluppo, l’assetto e l’uso del suolo, in connessione con le tematiche di tutela e di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e delle risorse ambientali.
Una coerente struttura del governo del territorio dovrà allora contenere:
a) la definizione dei princìpi e delle finalità del governo del territorio;
b) il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e di valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali e dell’ambiente nonchè la programmazione economica e quella del sistema infrastrutturale;
c) la disciplina della pianificazione, i contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;
d) la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio.
L’individuazione dei princìpi fondamentali, operata dal capo I della presente proposta di legge, rappresenta il terreno sul quale la collaborazione tra le istituzioni deve essere stringente e fattiva. Si tratta, infatti, di definire i cardini e i fondamenti della nuova forma di pianificazione, di programmazione e di gestione del territorio in tutte le sue componenti economiche, sociali e ambientali.
I princìpi sono diretta espressione della coscienza civile di una società: in questo senso, essi devono essere riconoscibili ed espressi con chiarezza. Ma l’espressione di princìpi fondamentali non può essere considerato un punto di arrivo. Se il tema di una moderna disciplina è, da una parte, la revisione in termini attuali di princìpi esistenti – primo fra tutti, quello di pianificazione – nonchè il consolidamento di princìpi già contenuti in alcune leggi regionali, dall’altra il nodo della questione consiste nella formulazione di princìpi che consentano alle leggi regionali di essere più stringenti sugli obiettivi da perseguire e più efficaci nell’attuazione.
Il primo, il principio di pianificazione (articolo 2), espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri all’uso e al godimento degli stessi beni.
In questa logica, i princìpi fondamentali rispetto ai quali costruire le regole che devono governare i processi di trasformazione del territorio sono:
a) la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la tutela delle risorse naturali e del paesaggio, la prevenzione dei rischi e l’adozione del principio di precauzione nelle scelte e nella valutazione delle possibili alternative per gli interventi di trasformazione (articolo 3);
b) la sussidiarietà, l’adeguatezza delle istituzioni, l’equità, la trasparenza e la democrazia nella cooperazione istituzionale, la partecipazione e il coinvolgimento nei processi decisionali dei cittadini per l’adozione delle scelte (articolo 5).
Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili ed essenziali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonchè la riduzione dei consumi e l’incremento dell’efficienza energetica.
Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per il territorio e per l’ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenzione dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e degli eventi incidentali determinati dall’attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della precauzione (articolo 4).
Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della filiera istituzionale, ispirando la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonchè i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, le istituzioni dovranno agire mediante intese e accordi procedimentali in sedi stabili di concertazione per perseguire il coordinamento, l’armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.
Anche per questo, è importante assumere come principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione e di approvazione degli strumenti di pianificazione (articolo 6).
Il principio di equità consente di offrire a tutti i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità dell’ambiente urbano e migliore qualità della vita (articolo 7).
Perchè tali princìpi possano tradursi in linee guida e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è anche necessario che la riforma nazionale preveda il coordinamento con le materie non ricomprese nel governo del territorio, bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del medesimo: infrastrutture della mobilità e dell’energia, tutela e valorizzazione dell’ambiente, tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali (articoli da 9 a 14).
I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per la programmazione, la pianificazione, l’attuazione, il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del territorio, partecipando a tale attività in conformità ai princìpi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.
Di particolare importanza nella riforma sarà il passaggio dalla tutela dei beni paesaggistici a quella più complessiva della tutela e valorizzazione dei paesaggi, così come previsto dalla Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, riconoscendo che il paesaggio concorre al consolidamento delle culture locali e «che ogni luogo rappresenta un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come in quelli di grande qualità».
Anche per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente è necessario identificare gli elementi di coordinamento con le pianificazioni settoriali.
L’altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.
La modernizzazione del sistema infrastrutturale, della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa, da una parte, all’allocazione certa dei finanziamenti e, dall’altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.
Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema rinnovato e a una «cassetta di attrezzi» adeguata alle esigenze attuali.
Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e modalità di attuazione e, nell’ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti e l’attuazione dell’attività di pianificazione di area vasta e di quella comunale.
È ormai consolidata l’esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà, e l’altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l’attuazione della disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia degli insediamenti esistenti.
Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle condizioni territoriali. Regole rigide potrebbero far risultare inutilmente onerosa una pianificazione di questo tipo per comuni di piccola dimensione e, invece, farla risultare limitativa per situazioni in cui sia più opportuno, date le condizioni territoriali e socio-economiche, avere una pianificazione che interessa più comuni.
Alla base di un buon piano non può che esserci una adeguata e significativa conoscenza del territorio. È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall’uso del suolo, dalle invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia – quindi la rete – tra sistemi di informazione e di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno parlare la stessa lingua ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 15).
Questa è un’innovazione necessaria per l’azione amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.
La conoscenza del territorio consente anche una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La riforma proposta, inoltre, enuncia il principio fondamentale che il territorio rurale è un patrimonio di identità, di biodiversità, di pratiche agronomiche e forestali da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e di sostenibilità nella pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell’impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e valorizzato lo straordinario patrimonio costituito dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse non rinnovabili, a partire soprattutto dall’acqua e dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell’architettura rurale (articolo 18).
La riforma affronta altresì il complesso del sistema città: uno straordinario crocevia di opportunità ma, anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali (articolo 19), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio e urbanistico con politiche sociali e assistenziali che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.
Insomma, una vera e propria politica per le città, che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia del recupero e della sostituzione edilizi una grande occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del contenimento dei consumi, essendo le città sistemi altamente «energivori», una priorità della politica energetica nazionale.
Sulle dotazioni territoriali minime – i vecchi standard urbanistici – non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i presupposti di tipo qualitativo affinchè attraverso le dotazioni territoriali sia possibile garantire l’effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non possono che essere considerati requisiti minimi (articolo 16) per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente; così anche per l’edilizia residenziale pubblica per l’affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di risposta al fabbisogno locale.
Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici dei servizi da fornire ai cittadini.
Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire. Pertanto è necessario che la legge statale offra strumenti innovativi per l’attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti locali adottano per garantire la realizzazione degli interventi. Quindi è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l’attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regìa pubblica definita dal piano del governo del territorio, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per l’effcienza, il miglioramento e l’innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.
Anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e dell’equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.
L’amministrazione potrà acquisire gli immobili con la perequazione urbanistica (articolo 21) e con gli obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in alternativa si prevede che si possa ricorrere all’esproprio (articolo 24).
La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà inoltre stabilire: l’edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di trasformazione perequativa, l’obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonchè le modalità di progettazione unitaria dell’ambito di trasformazione.
Uno dei punti di particolare delicatezza è quello della decadenza del diritto di edificazione che si propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione pubblica e privata.
Altro tema essenziale per l’attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 23). Si tratta di una questione molto complessa che deve essere affrontata con alcuni indirizzi di base.
In primo luogo, sottraendo gli enti locali alla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio con le entrate derivanti dall’imposta comunale sugli immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con la conseguente riduzione del consumo del suolo e con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia verso la riqualificazione urbana e del territorio, con forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine, attraverso l’armonizzazione e la stabilizzazione delle misure per l’incentivazione delle opere di recupero e la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità eccetera) si potrà avere, a regime, una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.
La riforma statale dovrà anche prevedere che le azioni di trasformazione del territorio siano soggette a procedure preventive, in itinere ed ex post, di valutazione degli effetti ambientali ed economico-sociali valutati e analizzati in base a un bilancio complessivo degli effetti sulle risorse essenziali del territorio, al fine di garantire l’effettiva realizzabilità e la verifica dell’efficacia delle azioni svolte.
Nessuna legge è immutabile nel tempo, soprattutto quando si tratta di regolare comportamenti sociali o istituzionali. Cambiano oggi, anche rapidamente, le condizioni economiche e sociali del contesto. Rispetto a questi cambiamenti è necessario essere in grado di fornire risposte adeguate alle nuove esigenze e alle nuove domande della società. Occorre tenere conto che la riforma del governo del territorio si deve inserire in un complesso di normative esistenti, in particolare urbanistiche ed edilizie, di livello sia nazionale che regionale. A tale proposito, nel testo della proposta di legge non viene riportato il complesso delle abrogazioni che sarebbero necessarie per ottenere un quadro organico delle diverse discipline ricomprese nel governo del territorio, per alcune delle quali – ad esempio quella relativa agli standard urbanistici o parte della disciplina edilizia e dell’esproprio – si dovrebbe intervenire anche in modo differenziato, in ragione di un progressivo rinnovo della materia. È difficile pensare a una legge sul governo del territorio che non sia oggetto di un accompagnamento istituzionale, di un programma per la sua attuazione basato su diversi strumenti di conoscenza, di esperienza, di valutazione per la revisione o per l’implementazione della stessa normativa. Anche in questo caso sono chiamate in causa sia le diverse componenti della società sia le istituzioni regionali, provinciali e comunali competenti, queste ultime coinvolte, da una parte, nel definire «l’idea di città e di territorio» e le relative regole e, dall’altra, nell’attuare un processo di pianificazione che risponda ai nuovi «diritti di cittadinanza» e al «diritto all’abitare» che la società e i singoli cittadini richiedono alle amministrazioni.
L’impostazione che si deve dare, quindi, alle nuove regole sul governo del territorio deve essere basata sulla cultura della valutazione delle scelte e sulla cultura della risposta e del risultato.
Se la sfida per la qualità del governo del territorio deve essere affrontata con strumenti adatti e coerenti alle reali esigenze della società contemporanea, una parte sostanziale di questa sfida consiste anche nella rinnovata capacità dei soggetti istituzionali nazionali e territoriali di esprimere, sulla base dei princìpi fondamentali, la volontà politica di costruire la «filiera istituzionale» e di coordinare le decisioni determinando la qualità della vita e dell’ambiente, assumendosi la responsabilità dell’attuazione delle decisioni e condividendo metodi e scelte con i cittadini.
Presentato in data 7 febbraio 2007; ora all'esame della XIII Commissione “Territorio, ambiente, beni ambientali” assieme ai disegni di legge nn. 1652 (Piglionica) e 1691 (Ronchi e altri).Di seguito la relazione e il testo dell’articolato, con link al documento ufficiale, nel formato .pdf.
Principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio e recepimento della direttiva 2001/42/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull' ambiente
Relazione
Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge è volto a stabilire i princìpi fondamentali in materia di pianificazione del territorio e recepimento della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.
Il primo principio fondamentale, con la dichiarazione del quale si apre l’articolato del provvedimento, è che il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze.
A questa importante enunciazione di principio fa immediatamente seguito, al comma 2 dell’articolo 1, la qualificazione della pianificazione territoriale come strumento mediante il quale le pubbliche autorità, nell’ambito e nell’esercizio delle rispettive competenze, promuovono la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile del territorio in quanto patrimonio comune, identificandone e regolandone gli usi ammissibili.
L’articolo 2 afferma poi con grande nettezza e perentorietà la titolarità esclusivamente pubblica della pianificazione, precisando tra l’altro che la legge può attribuire ad autorità pubbliche diverse dagli enti territoriali specifici compiti relativamente alla formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette e all’erogazione di servizi di interesse collettivo, facendo salva in ogni caso la competenza decisionale finale degli enti territoriali medesimi.
Sempre l’articolo 2 rimette alle leggi statali e regionali la specificazione dei casi in cui gli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale prevalgono sugli strumenti ordinari di pianificazione e delle modalità di adeguamento degli strumenti ordinari di pianificazione alle disposizioni degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, nonché l’indicazione dei casi in cui il raggiungimento d’intese con altre autorità pubbliche conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni la valenza e l’efficacia degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.
Si confermano poi con gli articoli 3 e 4 princìpi già presenti nella legislazione statale e regionale, quali la pianificazione come metodo generale per il governo del territorio e l’onerosità per l’operatore immobiliare delle opere necessarie alla trasformazione urbanistica.
L’articolo 5 prevede la partecipazione dei cittadini alle scelte di pianificazione territoriale.
L’articolo 6 mira ad ampliare i princìpi cui deve essere soggetta la pianificazione urbanistica, ricomprendendo fra di essi quelli relativi al “diritto alla città e all’abitare”, nell’intento di estendere la storica conquista degli standard urbanistici al diritto ad un’abitazione, ai servizi, alla mobilità e alle risorse territoriali.
Una novità di grande rilievo è sicuramente rappresentata dalle prescrizioni contenute nell’articolo 7, che impongono un rigoroso contenimento del consumo del suolo, campo questo in cui l’Italia è stata finora completamente assente, mentre in tutti i più importanti Paesi europei nell’ultimo decennio sono state avviate politiche concretamente mirate a impedire la dissipazione del territorio.
Uno dei princìpi cardine del presente disegno di legge è infatti quello di limitare al massimo il consumo di suolo e di evitare il consumo di nuovo territorio, in quanto risorsa scarsa, senza aver prima verificato tutte le possibilità di recupero, di riutilizzazione e di sostituzione.
Significato normativo di non poco momento rivestono anche le disposizioni introdotte recate dall’articolo 8 allo scopo di stabilire ope legis un vincolo di tutela sui centri storici e su tutte le strutture insediative storiche (anche non urbane), nonché quelle recate dall’articolo 5 e dall’articolo 11 per assicurare la formazione partecipata degli strumenti di pianificazione. È quest’ultimo un tema che in qualche modo esula dallo specifico campo della pianificazione, riguardando la qualità della vita democratica del Paese, ma è indubbio che, per il loro carattere «statutario», le scelte di sviluppo del territorio e delle città rappresentano uno dei campi fondamentali in cui deve essere perseguita la più ampia partecipazione sociale.
L’articolo 9 affida la definizione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per l’ambiente e la tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata e acquisiti i pareri delle competenti commissioni parlamentari. Le linee fondamentali riportano, assicurandone la coerenza, il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale, con particolare riferimento al piano dei trasporti, al piano energetico, ai piani delle aree naturali protette e ai piani paesaggistici, e tengono altresì conto degli atti dell’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.
L’articolo 10 detta princìpi in materia di strumenti di pianificazione delle regioni e degli enti locali, mentre l’articolo 12 disciplina la stipulazione di accordi di programma e l’articolo 13 l’indennizzabilità dei vincoli di tutela.
L’articolo 14, nel disciplinare i vincoli a contenuto espropriativo, dà soluzione alla vexata questio della decadenza dei vincoli a contenuto espropriativo imponendo ai comuni l’obbligo ad acquisire entro un termine perentorio i beni che i piani assoggettano ad esproprio.
L’articolo 15 stabilisce i princìpi fondamentali relativi all’attuazione degli strumenti di pianificazione, mentre l’articolo 16 reca una serie di disposizioni particolarmente importanti ed innovative perché dirette a recepire la normativa europea in materia di valutazione ambientale strategica.
L’articolo 17 individua nella pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale la carta unica del territorio, che deve rappresentare il riferimento esclusivo per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia.
L’articolo 18 definisce i compiti del sistema informativo territoriale, che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti, mentre l’articolo 19 reca una serie di modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
L’articolo 20, infine, con riferimento al territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale, vieta ogni modificazione dell’assetto del territorio salvo quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princìpi fondamentali stabiliti dalla presente legge, nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici.
Il presente disegno di legge è stato messo a punto grazie al contributo di alcuni studiosi, giuristi ed urbanisti, facenti capo all’associazione Eddyburg.
Testo degli articoli
Art. 1.
(Finalità)
1. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune e le pubbliche autorità ne sono i custodi e i garanti.
2. La presente legge detta norme relative alla pianificazione del territorio, quale strumento mediante il quale le pubbliche autorità, nell’ambito e nell’esercizio delle rispettive competenze, promuovono la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile del territorio in quanto patrimonio comune, identificandone e regolandone gli usi ammissibili.
3. La presente legge provvede anche al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.
Art. 2.
(Titolarità pubblica della pianificazione del territorio)
1. Le funzioni e i compiti di pianificazione del territorio sono esercitati esclusivamente da pubbliche autorità ed in particolare dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato.
2. Con legge statale o regionale possono essere attribuiti ad autorità pubbliche, diverse dagli enti territoriali di cui al comma 1, specifici compiti relativamente alla formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette e all’erogazione di servizi di interesse collettivo, facendo salva in ogni caso la competenza decisionale finale degli enti territoriali di cui al comma 1.
3. La legge statale e la legge regionale specificano i casi in cui gli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale di cui al comma 2 prevalgono sugli strumenti ordinari di pianificazione. La legge statale e la legge regionale specificano altresì le modalità di adeguamento degli strumenti ordinari di pianificazione alle disposizioni degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, nonché i casi in cui il raggiungimento di intese con altre autorità pubbliche conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni la valenza e l’efficacia degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.
Art. 3.
(Oggetto ed efficacia degli strumenti di pianificazione)
1. Gli strumenti di pianificazione recano la regolazione delle trasformazioni fisiche e funzionali del territorio e degli immobili che lo compongono al fine di assicurarne la coerenza in relazione alla loro collocazione nello spazio e alla loro successione nel tempo.
2. Gli atti e le attività delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi agli strumenti di pianificazione, salvo il caso di atti assunti, conformemente alla legislazione vigente, nel ricorrere della straordinaria necessità di provvedere con interventi urgenti alla difesa militare o alla sicurezza della Nazione o di prevenire il verificarsi di calamità naturali, di catastrofi e di altri eventi calamitosi o di porre rimedio alle conseguenze di simili eventi.
3. La facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili può essere esclusa o limitata anche da sopravvenuti strumenti urbanistici, salvo il caso in cui sia stato già ottenuto il provvedimento abilitativo ad operare le trasformazioni e le relative attività abbiano avuto inizio entro il periodo di tempo predeterminato dalla legge.
Art. 4.
(Onerosità della trasformazione urbanistica)
1. L’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie ai fini della mitigazione ambientale, costituisce presupposto necessario e indefettibile di ogni trasformazione urbanistica.
2. Ogni attività comportante trasformazione urbanistica concorre al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste. La legge regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da realizzare un equilibrio tra somme introitate dal comune e costi da sostenere e che le opere di urbanizzazione generale siano ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sull’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.
Art. 5.
(Partecipazione dei cittadini alle scelte di pianificazione)
1. La partecipazione dei cittadini è elemento costitutivo ed indefettibile delle procedure di formazione delle scelte di pianificazione territoriale e deve essere assicurata dagli enti pubblici territoriali anche attraverso la costituzione di strutture idonee a garantire una diffusa e completa informazione in ordine a tutte le fasi, anche preliminari ed istruttorie, dei procedimenti di pianificazione territoriale e di trasformazione urbana.
Art. 6.
(Pianificazione del territorio e diritti fondamentali)
1. La pianificazione territoriale assicura un impiego delle risorse del territorio tale da non comprometterne la consistenza e garantisce l’utilizzazione delle medesime risorse in condizioni equivalenti per tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali ed ambientali e del patrimonio culturale, alla dignità umana e alla proprietà.
2. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, la legge statale determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurate negli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.
3. Allo scopo di ridurre le condizioni di disagio abitativo i comuni definiscono, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, le localizzazioni e le modalità realizzative degli interventi finalizzati all’ampliamento dell’offerta di edilizia sociale.
Art. 7.
(Contenimento dell’uso del suolo e tutela delle attività agro-silvo-pastorali)
1. Gli strumenti della pianificazione territoriale possono consentire nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali esclusivamente nel caso in cui non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.
2. Sul territorio non urbanizzato gli strumenti di pianificazione non possono consentire nuove costruzioni o demolizioni e ricostruzioni o consistenti ampliamenti di edifici, salvo quelli strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto comunque di precisi parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali ovvero da piani equipollenti previsti dalle leggi.
3. Le trasformazioni strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale di cui al comma 2 sono assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali si prevede la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale viene assentita la trasformazione, nonché l’impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici o delle loro parti attraverso utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente alla superficie oggetto della trasformazione assentita.
4. Le leggi regionali disciplinano le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e ricostruzione.
5. I manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici sono demoliti senza ricostruzione qualora perdano la destinazione originaria.
6. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono prevedere limitazioni ulteriori rispetto a quelle contemplate dal presente articolo, e anche la totale non trasformabilità del patrimonio edilizio esistente, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell’ambiente e dell’ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico, storico-testimoniale.
Art. 8.
(Tutela degli insediamenti storici)
1. Ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, a seguito dell’individuazione ad opera degli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come beni culturali e conseguentemente assoggettati alla relativa disciplina:
a) gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;
b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali che presentino valore di testimonianza di civiltà.
2. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili di cui al comma l sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni. Laddove siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite d’intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengono luogo delle speciali autorizzazioni di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali richieste dalle vigenti norme di legge.
Art. 9.
(Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale)
1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento e alla loro eventuale variazione ogni tre anni e comunque in qualsiasi momento se ne presenti la necessità.
2. Le linee di cui al comma 1 riportano, assicurandone la coerenza, il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale, con particolare riferimento al piano dei trasporti, al piano energetico, ai piani delle aree naturali protette e ai piani paesaggistici.
3. Le linee di cui al comma 1 tengono altresì conto degli atti dell’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.
Art. 10.
(Strumenti di pianificazione delle regioni e degli enti locali)
1. Le leggi regionali definiscono l’articolazione della pianificazione delle regioni e degli enti locali nei suoi diversi strumenti e indicano per ciascuno di questi:
a) la pubblica autorità competente, in base ai principi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;
b) i contenuti, l’efficacia, l’arco temporale di riferimento, le modalità di attuazione;
c) le procedure di formazione, nel rispetto dell’articolo 11.
2. È attribuita alla pianificazione provinciale o delle città metropolitane la competenza relativa alle scelte per le quali la scala comunale risulti, con particolare riferimento alle aree conurbate e alla finalità di contenere la dispersione insediativa, non adeguata a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. È attribuita alla pianificazione regionale la competenza relativa alle scelte per le quali la scala provinciale o della città metropolitana risulti, con particolare riferimento alle aree conurbate e alla finalità di contenere la dispersione insediativa, non adeguata a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi.
Art. 11.
(Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione)
1. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo dello strumento di pianificazione e le scelte oggetto dello strumento di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e atti amministrativi e dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare.
2. In vista dell’adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurata la partecipazione al rispettivo processo di formazione degli enti territoriali competenti all’adozione degli atti amministrativi, nonché di ogni autorità competente in materia di tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.
3. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del rispettivo processo di formazione. A tal fine sono stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.
4. L’amministrazione procedente dà conto nel provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione dei risultati delle consultazioni dei cittadini e del modo in cui sono stati tenuti in considerazione i pareri espressi dalle altre amministrazioni.
5. Successivamente all’adozione dello strumento di pianificazione deve essere previsto un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prenderne visione e presentare formali osservazioni.
6. A decorrere dalla data di adozione dello strumento di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, che siano con esso in contrasto ovvero tali da comprometterne o renderne più gravosa l’attuazione. La legge regionale può prevedere che anche in fasi anteriori del procedimento di formazione dello strumento di pianificazione possano essere inibite trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte in corso di assunzione.
7. Nel provvedimento di approvazione dello strumento di pianificazione l’amministrazione procedente deve motivare le determinazioni assunte e rispondere alle osservazioni pervenute.
8. Ai fini dell’approvazione di cui al comma 7, deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e gli strumenti di pianificazione sovraordinati mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza di amministrazioni.
9. Eventuali successive variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente motivate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.
Art. 12.
(Accordi di programma)
1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, di programmi di intervento, di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richieda l’azione integrata e coordinata di comuni, province, città metropolitane, regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, ai sensi dell’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
2. Gli accordi di programma sono stipulati in conformità alle prescrizioni della vigente pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale.
3. Gli accordi di programma con la partecipazione dei privati devono rispettare i princìpi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti e devono adeguatamente motivare il profilo dell’interesse pubblico alla loro realizzazione.
Art. 13.
(Vincoli di tutela)
1. Non danno luogo all’obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione o da atti amministrativi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili sotto il profilo dell’interesse culturale o delle condizioni di fragilità o di pericolosità.
2. Non danno luogo all’obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione o da atti amministrativi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovino in predefinite relazioni con altri immobili ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti.
3. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili disposte dagli strumenti di pianificazione o da atti amministrativi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.
Art. 14.
(Vincoli a contenuto espropriativo)
1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione e da questi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal medesimo soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni comportanti la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive.
2. Decorso inutilmente il termine di cui al comma l, gli immobili sono acquisiti direttamente ed immediatamente al patrimonio del soggetto pubblico competente e i rispettivi proprietari hanno diritto a percepire una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi con riferimento al momento del perfezionamento dell’acquisizione al patrimonio del soggetto pubblico. Il diritto riconosciuto dal presente comma è soggetto alla prescrizione di cui all’articolo 2946 del codice civile.
3. La somma di cui al comma 2 è rivalutata di anno in anno, con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertate dall’Istituto nazionale di statistica. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto.
4. I commi 1, 2 e 3 non trovano applicazione, sempre che al riguardo sussista un’apposita previsione dello strumento di pianificazione, nel caso in cui l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili non comporti necessariamente la preventiva acquisizione e la gestione di questi da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni e gestioni rientranti nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, pur se regolata da convenzioni che garantiscano il conseguimento di obiettivi di interesse generale.
Art. 15.
(Attuazione degli strumenti di pianificazione)
1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, in particolare i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e le variazioni funzionali significative, devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali da esse interessati.
2. Gli strumenti di cui al comma 1 assicurano la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti oggetto di pianificazione. La partecipazione ai benefici e ai gravami derivanti agli immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici eventualmente esistenti.
3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dagli strumenti di pianificazione relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il comune può dichiarane la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.
Art. 16.
(Procedure di valutazione)
1. Gli strumenti di pianificazione, ad esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile, sono soggetti a valutazione ambientale strategica durante la fase di elaborazione e anteriormente alla loro adozione. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, non è necessaria la valutazione ambientale.
2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti ambientali delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante la fase di elaborazione e anteriormente al momento dell’adozione.
3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e il minore impatto negativo sull’ambiente. A tal fine, ove necessario, sono sottoposte a confronto le proposte alternative.
4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale strategica in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:
a) del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione attuali;
b) dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;
c) della fase in cui lo strumento di pianificazione si colloca all’interno del processo decisionale;
d) della possibilità che taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio al fine di evitare duplicazioni della valutazione.
5. Le leggi regionali assicurano che:
a) qualora l’attuazione dello strumento di pianificazione possa avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, siano previste adeguate forme di consultazione transfrontaliera;
b) qualora l’attuazione dello strumento di pianificazione possa avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, sia prevista la consultazione delle autorità di quella regione competenti in ordine alla tutela dell’ambiente e degli enti territoriali ricompresi nella regione medesima.
6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tal fine le regioni, o gli enti da esse delegati, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali siano evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.
Art. 17.
(Carta unica del territorio)
1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da previsioni legislative.
2. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale costituisce la carta unica del territorio e rappresenta il riferimento esclusivo per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.
Art. 18.
(Sistema informativo territoriale)
1. I comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti.
2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:
a) l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio, articolata nelle fasi della individuazione e raccolta dei dati riferiti alle risorse essenziali del territorio, della loro integrazione con i dati statistici, della georeferenziazione, della conservazione, della diffusione e dell’aggiornamento dei dati medesimi;
b) la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;
c) la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazioni del territorio.
3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.
Art. 19.
(Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42)
1. Al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 142, comma 1, dopo la lettera m), è aggiunta la seguente:
«m-bis) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale»;
b) all’articolo 142, dopo il comma 4, sono aggiunti i seguenti:
«4-bis. I comuni, d’intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell’ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui alla lettera m-bis) del comma 1.
4-ter. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 4-bis, il territorio di cui alla lettera m-bis) del comma 1, coincide con l’insieme delle zone di cui alla lettera E) dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, n. 97, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti.
4-quater. L’utilizzazione del territorio di cui alla lettera m-bis) del comma 1 al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali o attrezzature puntuali, può essere ammessa dai nuovi strumenti di pianificazione d’intesa con la competente soprintendenza e soltanto qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti.»;
c) all’articolo 143, comma 1, dopo la lettera i) è inserita la seguente:
«i-bis) previsione, per il territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis), di obiettivi e strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato».
Art. 20.
(Disposizione transitoria)
1. Nel territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis), del citato codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come inserito dall’articolo 19 della presente legge, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princìpi fondamentali stabiliti dalla presente legge, nonché fino alla data di entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio salvo quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.
In allegato, anche i testi delle leggi 1150/1942, 167/1962 e 865/1971 aggiornati alla L 10/1977 (formati .doc e .pdf)
INDICE
Art. 1 - Trasformazione urbanistica del territorio e concessione di edificare
Art. 2 - Piani di zona e demani comunali di aree
Art. 3 - Contributo per il rilascio della concessione
Art. 4 - Caratteristiche della concessione
Art. 5 - Determinazione degli oneri di urbanizzazione
Art. 6 - Determinazione del costo di costruzione
Art. 7 - Edilizia convenzionata
Art. 8 - Convenzione-tipo
Art. 9 - Cessione gratuita
Art. 10 - Concessione relativa ad opere o impianti non destinati alla residenza
Art. 11 - Versamento del contributo afferente alla concessione
Art. 12 - Destinazione dei proventi delle concessioni
Art. 13 - Programmi pluriennali di attuazione
Art. 14 - Indennità di espropriazione
Art. 15 - Sanzioni amministrative
Art. 16 - Tutela giurisdizionale
Art. 17 - Sanzioni penali
Art. 18 - Norme transitorie
Art. 19
Art. 20 - Norme tributarie
Art. 21 - Disposizioni finali
Art. 22
Art. 1 - Trasformazione urbanistica del territorio e concessione di edificare
Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del Sindaco, ai sensi della presente legge.
Art. 2 - Piani di zona e demani comunali di aree
Per le aree comprese nei piani di zona di cui alla legge 8 aprile 1962, n. 167, e per quelle acquisite ai sensi degli articoli 27 e 51 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, resta fermo il regime previsto dalle norme della stessa legge n. 865.
Anche per tali aree è necessario il provvedimento del Sindaco di cui all'articolo 1 della presente legge.
Il primo comma dell'articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n. 167, già sostituito dall'articolo 29 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è sostituito dal seguente:
“L'estensione delle zone da includere nei piani è determinata in relazione alle esigenze dell'edilizia economica e popolare per un decennio e non può essere inferiore al 40 per cento e superiore al 70 per cento di quella necessaria a soddisfare il fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel periodo considerato.”.
L'articolo 26 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è abrogato. Le aree già vincolate ai sensi di detto articolo sono assoggettate al regime previsto dall'articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, salvo quanto previsto nell'undicesimo, nel sedicesimo e nel diciottesimo comma dello stesso articolo 35 per ciò che concerne i requisiti soggettivi.
Nei Comuni con popolazione superiore a ventimila abitanti, secondo i dati risultanti dall'ultimo censimento, l'articolo 51 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, si applica fino alla data del 31 dicembre 1980.
Art. 3 - Contributo per il rilascio della concessione
La concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione.
Art. 4 - Caratteristiche della concessione
La concessione è data dal Sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla con le modalità, con la procedura e con gli effetti di cui all'articolo 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni ed integrazioni, in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi e, nei Comuni sprovvisti di detti strumenti, a norma dell'articolo 41-quinquies, primo e terzo comma, della legge medesima, nonché delle ulteriori norme regionali.
Per gli immobili di proprietà dello Stato la concessione è data a coloro che siano muniti di titolo, rilasciato dai competenti organi dell'amministrazione, al godimento del bene.
Nell'atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata.
La concessione è trasferibile ai successori o aventi causa. Essa non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio ed è irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza ai sensi della presente legge e le sanzioni previste dall'articolo 15 della stessa. Resta fermo inoltre il disposto di cui al penultimo comma dell'articolo 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150.
La Regione stabilisce le forme e le modalità d'esercizio dei poteri sostitutivi nel caso di mancato rilascio della concessione nei termini di legge.
A decorrere dal 1 gennaio 1979, salva l'applicazione dell'articolo 4 della legge 1 giugno 1971, n. 291, nei Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali e in mancanza di norme regionali e fino all'entrata in vigore di queste, la concessione deve osservare i seguenti limiti:
a) fuori del perimetro dei centri abitati definito ai sensi dell'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, l'edificazione a scopo residenziale non può superare l'indice di metri cubi 0,03, per metro quadrato di area edificabile;
b) nell'ambito dei centri abitati definiti ai sensi dell'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, sono consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico;
c) le superfici coperte degli edifici o dei complessi produttivi non possono superare un decimo dell'area di proprietà.
Art. 5 - Determinazione degli oneri di urbanizzazione
L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, previsti dall'articolo 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, modificato dall'articolo 44 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nonché dalle leggi regionali, è stabilita, ai fini del precedente articolo 3, con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la Regione definisce, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per classi di Comuni in relazione:
a) all'ampiezza ed all'andamento demografico dei Comuni;
b) alle caratteristiche geografiche dei Comuni;
c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;
d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall'articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali.
Fino all'approvazione delle tabelle di cui al precedente comma, i Comuni continuano ad applicare le disposizioni adottate in attuazione della legge 6 agosto 1967, n. 765.
Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della Regione entro il termine stabilito nel primo comma e fino alla definizione delle tabelle stesse, i Comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale.
Art. 6 - Determinazione del costo di costruzione
Il costo di costruzione di cui all'articolo 3 per i nuovi edifici è determinato annualmente, con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sulla base del costo dell’edilizia agevolata di cui all’articolo 8, terzo comma, del decreto-legge 6 settembre 1965, n. 1022, convertito, con modificazioni, nella legge 1 novembre 1965, n. 1179.
Con lo stesso provvedimento sono identificate classi di edifici con caratteristiche tipologiche superiori a quelle considerate dalla citata legge, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento.
Il contributo afferente alla concessione comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, quota che viene determinata dalla Regione in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione.
Nella prima applicazione della presente legge il decreto di cui al primo e secondo comma deve essere emanato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima.
Nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi così come individuati dal Comune in base ai progetti presentati per ottenere la concessione.
Art. 7 - Edilizia convenzionata
Per gli interventi di edilizia abitativa, ivi compresi quelli sugli edifici esistenti, il contributo di cui al precedente articolo 3 è ridotto alla sola quota di cui all'articolo 5 qualora il concessionario si impegni, a mezzo di una convenzione con il Comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dal successivo articolo 8.
Nella convenzione può essere prevista la diretta esecuzione da parte dell'interessato delle opere di urbanizzazione, in luogo del pagamento della quota di cui al comma precedente; in tal caso debbono essere descritte le opere da eseguire e precisati i termini e le garanzie per l'esecuzione delle opere medesime.
Fino all'approvazione da parte della Regione della convenzione-tipo, le convenzioni previste dal presente articolo sono stipulate in conformità ad uno schema di convenzione-tipo, deliberato dal Consiglio comunale, contenente gli elementi di cui al successivo articolo 8.
Può tener luogo della convenzione un atto unilaterale d'obbligo con il quale il concessionario si impegna ad osservare le condizioni stabilite nella convenzione-tipo ed a corrispondere nel termine stabilito la quota relativa alle opere di urbanizzazione ovvero ad eseguire direttamente le opere stesse.
La convenzione o l'atto d'obbligo unilaterale sono trascritti nei registri immobiliari a cura del Comune e a spese del concessionario.
Art. 8 - Convenzione-tipo
Ai fini della concessione relativa agli interventi di edilizia abitativa di cui al precedente articolo 7, la Regione approva una convenzione-tipo, con la quale sono stabiliti i criteri nonché i parametri, definiti con meccanismi tabellari per classi di Comuni, ai quali debbono uniformarsi le convenzioni comunali nonché gli atti di obbligo in ordine essenzialmente a:
a) l'indicazione delle caratteristiche tipologiche e costruttive degli alloggi;
b) la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi, sulla base del costo delle aree, così come definito dal comma successivo, della costruzione e delle opere di urbanizzazione, nonché delle spese generali, comprese quelle per la progettazione e degli oneri di preammortamento e di finanziamento;
c) la determinazione dei canoni di locazione in percentuale del valore desunto dai prezzi fissati per la cessione degli alloggi;
d) la durata di validità della convenzione non superiore a 30 e non inferiore a 20 anni.
La Regione stabilisce criteri e parametri per la determinazione del costo delle aree, in misura tale che la sua incidenza non superi il 20 per cento del costo di costruzione come definito ai sensi del precedente articolo 6.
Per un periodo di 10 anni dall'entrata in vigore della presente legge il concessionario può chiedere che il costo delle aree, ai fini della convenzione, sia determinato in misura pari al valore definito in occasione di trasferimenti di proprietà avvenuti nel quinquennio anteriore alla data della convenzione.
I prezzi di cessione ed i canoni di locazione determinati nelle convenzioni ai sensi del primo comma sono suscettibili di periodiche variazioni, con frequenza non inferiore al biennio, in relazione agli indici ufficiali ISTAT dei costi di costruzione intervenuti dopo la stipula delle convenzioni medesime.
Ogni pattuizione stipulata in violazione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione è nulla per la parte eccedente.
Art. 9 - Cessione gratuita
Il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto:
a) per le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153;
b) per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione che non comportino aumento delle superfici utili di calpestio e mutamento della destinazione d'uso, quando il concessionario si impegni, mediante convenzione o atto d'obbligo unilaterale a praticare prezzi di vendita e canoni di locazione degli alloggi concordati con il Comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione;
c) per gli interventi di manutenzione straordinaria, restando fermo che per la manutenzione ordinaria la concessione non è richiesta;
d) per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari;
e) per le modifiche interne necessarie per migliorare le condizioni igieniche o statiche delle abitazioni, nonché per la realizzazione dei volumi tecnici che si rendano indispensabili a seguito della installazione di impianti tecnologici necessari per le esigenze delle abitazioni;
f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;
g) per le opere da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità.
Per le opere realizzate dai soggetti di cui al secondo comma dell'articolo 4 il contributo per la concessione - da determinarsi dal Comune ai sensi del precedente articolo 5 - è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione.
Restano ferme le norme di cui agli articoli 29 e 31, secondo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.
Art. 10 - Concessione relativa ad opere o impianti non destinati alla residenza
La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla presentazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è stabilita con deliberazione del Consiglio comunale in base a parametri che la Regione definisce con i criteri di cui alle lettere a) e b) del precedente articolo 5, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva.
La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali comporta la corresponsione di un contributo pari all'incidenza delle opere di urbanizzazione, determinata ai sensi del precedente articolo 5, nonché una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da stabilirsi, in relazione ai diversi tipi di attività, con deliberazione del consiglio comunale.
Qualora la destinazione d'uso delle opere indicate nei commi precedenti, nonché di quelle nelle zone agricole previste dal precedente articolo 9, venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo per la concessione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento della intervenuta variazione.
Art. 11 - Versamento del contributo afferente alla concessione
La quota di contributo di cui al precedente articolo 5 è corrisposta al Comune all'atto del rilascio della concessione. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune.
La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d'opera con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere.
Art. 12 - Destinazione dei proventi delle concessioni
I proventi delle concessioni e delle sanzioni di cui agli articoli 15 e 18 sono versati in un conto corrente vincolato presso la Tesoreria del Comune e sono destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, nonché all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali di cui al successivo articolo 13.
Art. 13 - Programmi pluriennali di attuazione
L'attuazione degli strumenti urbanistici generali avviene sulla base di programmi pluriennali di attuazione che delimitano le aree e le zone - incluse o meno in piani particolareggiati o in piani convenzionati di lottizzazione - nelle quali debbono realizzarsi, anche a mezzo di comparti, le previsioni di detti strumenti e le relative urbanizzazioni, con riferimento ad un periodo di tempo non inferiore a tre e non superiore a cinque anni.
Nella formulazione dei programmi deve essere osservata la proporzione tra aree destinate all'edilizia economica e popolare e aree riservate all'attività edilizia privata, stabilita ai sensi dell'articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, come modificato ai sensi dell'articolo 2 della presente legge.
La Regione stabilisce con propria legge, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il contenuto ed il procedimento di formazione dei programmi pluriennali di attuazione, individua i Comuni esonerati, anche in relazione alla dimensione, all'andamento demografico ed alle caratteristiche geografiche, storiche ed ambientali - fatta comunque eccezione per quelli di particolare espansione industriale e turistica - dall'obbligo di dotarsi di tali programmi e prevede le forme e le modalità di esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti dei Comuni inadempienti.
Nei Comuni obbligati ai sensi del terzo comma la concessione di cui all'articolo 1 della presente legge è data solo per le aree incluse nei programmi di attuazione e, al di fuori di esse, per le opere e gli interventi previsti dal precedente articolo 9, sempreché non siano in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici generali.
Fino all'approvazione dei programmi di attuazione, al di fuori dei casi previsti nel precedente comma, la concessione è data dai Comuni obbligati soltanto su aree dotate di opere di urbanizzazione o per le quali esista l'impegno dei concessionari a realizzarle.
Qualora nei tempi indicati dai programmi di attuazione gli aventi titolo non presentino istanza di concessione singolarmente o riuniti in consorzio, il Comune espropria le aree sulla base delle disposizioni della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificata dalla presente legge.
Le disposizioni del comma precedente non si applicano ai beni immobili di proprietà dello Stato.
La legge regionale prevede le modalità di utilizzazione delle aree espropriate.
Nei Comuni esonerati trova applicazione la norma di cui al primo comma del precedente articolo 4.
Art. 14 - Indennità di espropriazione
Al primo comma dell'articolo 12 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, convertito, con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974, n. 247, la cifra “30 per cento”, è sostituita dalla cifra “50 per cento”.
All'articolo 12 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, sono aggiunti i seguenti commi:
“L'espropriante dispone il pagamento dell'indennità accettata entro sessanta giorni dal provvedimento di cui al terzo comma.
Per le espropriazioni in dipendenza di opere di competenza statale, l'amministrazione competente emette il provvedimento che dispone il pagamento entro sessanta giorni a decorrere dalla comunicazione del provvedimento di autorizzazione a pagare di cui alla legge 3 aprile 1926, n. 686, e successive modificazioni.
A decorrere dalla scadenza dei termini di cui ai commi precedenti, sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto.”.
L'articolo 15 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è sostituito dal seguente:
“Qualora l'indennità non sia accettata nel termine di cui al primo comma dell'articolo 12, il Presidente della Giunta regionale richiede la determinazione dell'indennità alla commissione competente per territorio di cui all'articolo 16. La commissione, entro trenta giorni dalla richiesta del Presidente della Giunta regionale, determina l'indennità sulla base del valore agricolo con riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo espropriato, anche in relazione all'esercizio dell'azienda agricola e la comunica all'espropriante.
L'espropriante comunica le indennità ai proprietari degli immobili ai quali le stime si riferiscono mediante avvisi notificati nelle forme degli atti processuali civili; deposita la relazione della commissione nelle segreterie del Comune e rende noto al pubblico l'eseguito deposito nei modi previsti dal secondo comma dell'articolo 10.”.
I primi quattro commi dell'articolo 16 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, sono sostituiti dai seguenti:
“Con provvedimento della Regione è istituita, in ogni Provincia, una commissione composta dal Presidente dell'Amministrazione provinciale o da un suo delegato, che la presiede, dall'ingegnere capo dell'Ufficio tecnico erariale o da un suo delegato, dall'ingegnere capo delgenio civile o da un suo delegato, dal Presidente dell'Istituto autonomo delle case popolari della Provincia o da un suo delegato, nonché da due esperti nominati dalla Regione in materia urbanistica ed edilizia e da tre esperti in materia di agricoltura e di foreste scelti dalla Regione stessa su terne proposte dalle associazioni sindacali agricole maggiormente rappresentative.
La Regione, ove particolari esigenze lo richiedano, può disporre la formazione di sottocommissioni, le quali opereranno nella medesima composizione della commissione di cui al primo comma. A tal fine la Regione nomina gli ulteriori componenti.
La commissione di cui al primo comma ha sede presso l'Ufficio tecnico erariale. L'Intendente di finanza provvede alla costituzione della segreteria della commissione ed all'assegnazione ad essa del personale necessario.
La commissione determina ogni anno, entro il 31 gennaio, nell'ambito delle singole regioni agrarie delimitate secondo l'ultima pubblicazione ufficiale dell'Istituto centrale di statistica, il valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni, considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati.
L'indennità di espropriazione, per le aree esterne ai centri edificati di cui all'articolo 18, è commisurata al valore agricolo medio di cui al comma precedente corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare.
Nelle aree comprese nei centri edificati l'indennità è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l'area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 percento di quella coltivata della regione agraria stessa.
Tale valore è moltiplicato per un coefficiente:
- da 2 a 5 se l'area ricade nel territorio di Comuni fino a 100 mila abitanti;
- da 4 a 10 se l'area ricade nel territorio di Comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti.
Per la determinazione dell'indennità relativa alle aree comprese nei centri edificati, la commissione di cui al primo comma è integrata dal Sindaco o da un suo delegato.”.
Il primo comma dell'articolo 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è sostituito dal seguente:
“Nel caso che l'area da espropriare sia coltivata dal proprietario diretto coltivatore, nell'ipotesi di cessione volontaria ai sensi dell'articolo 12, primo comma, il prezzo di cessione è determinato in misura tripla rispetto all'indennità provvisoria, esclusa la maggiorazione prevista dal suddetto articolo.”.
Al primo comma dell'articolo 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, le parole: “ dell'Ufficio tecnico erariale”, sono sostituite dalle seguenti: “della commissione di cui all'art. 16”.
Al terzo comma dell'articolo 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, le parole: “L'Ufficio tecnico erariale provvede”, sono sostituite dalle seguenti: “La commissione di cui all'art. 16 provvede” e le parole: “un ventesimo dell'indennità”, sono sostituite dalle seguenti: “un dodicesimo dell'indennità”.
All'articolo 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è aggiunto in fine il seguente comma:
“Il disposto del secondo comma del presente articolo deve intendersi applicabile anche alle occupazioni preordinate alla realizzazione delle opere e degli interventi previsti dall'art. 4 del decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, convertito, con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974, n. 247.”.
Art. 15 - Sanzioni amministrative
Il mancato versamento del contributo nei termini di cui al precedente articolo 11 comporta:
a) la corresponsione degli interessi legali di mora se il versamento avviene nei successivi trenta giorni;
b) la corresponsione di una penale pari al doppio degli interessi legali qualora il versamento avvenga negli ulteriori trenta giorni;
c) l'aumento di un terzo del contributo dovuto, quando il ritardo si protragga oltre il termine di cui alla precedente lettera b).
La vigilanza sulle costruzioni è esercitata dal Sindaco ai sensi dell'articolo 32 della legge 17 agosto 1942, n. 1150.
Le opere eseguite in totale difformità o in assenza della concessione debbono essere demolite, a cura e spese del proprietario, entro il termine fissato dal Sindaco con ordinanza. In mancanza, le predette opere sono gratuitamente acquisite, con l'area su cui insistono, al patrimonio indisponibile del Comune che le utilizza a fini pubblici, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica.
L'acquisizione si effettua con ordinanza motivata del Sindaco.
L'ordinanza è vidimata e resa esecutiva dal Pretore nella cui giurisdizione ricade il Comune interessato e costituisce titolo per la trascrizione nei registri immobiliari e per la immissione in possesso.
Contro l'ordinanza del Sindaco può essere presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente per territorio.
Gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione.
Qualora l'opera eseguita in totale difformità o in assenza della concessione contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali ovvero non possa essere utilizzata per fini pubblici, viene demolita a spese del suo costruttore.
In caso di annullamento della concessione, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la riduzione in pristino, il Sindaco applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'Ufficio tecnico erariale. La valutazione dell'Ufficio tecnico è notificata alla parte dal Comune e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
I contributi, le sanzioni e le spese di cui alla presente legge vengono riscossi con l'ingiunzione prevista dall'articolo 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, che è emessa dal Sindaco del Comune interessato.
Le opere realizzate in parziale difformità dalla concessione debbono essere demolite a spese del concessionario. Nel caso in cui le opere difformi non possono essere rimosse senza pregiudizio della parte conforme, il Sindaco applica una sanzione pari al doppio del valore della parte dell'opera realizzata in difformità dalla concessione.
Non si procede alla demolizione ovvero all'applicazione della sanzione di cui al comma precedente nel caso di realizzazione di varianti, purché esse non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e non modifichino la sagoma, le superfici utili e la destinazione d'uso delle costruzioni per le quali è stata rilasciata la concessione. Le varianti dovranno comunque essere approvate prima del rilascio del certificato di abitabilità.
Le opere eseguite da terzi, in totale difformità dalla concessione o in assenza di essa, su suoli di proprietà dello Stato e di enti territoriali, sono gratuitamente acquisite, rispettivamente, al demanio dello Stato e al patrimonio indisponibile degli enti stessi (salvo il potere di ordinarne la demolizione, da effettuarsi a cura e spese del costruttore entro sessanta giorni, qualora l'opera contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali). In caso di mancata esecuzione dell'ordine, alla demolizione provvede il Comune, con recupero delle spese ai sensi del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639.
Qualora le opere siano solo parzialmente difformi dalla concessione si applica il disposto dell'undicesimo comma del presente articolo. La sanzione ivi prevista è comminata dallo Stato o dagli altri enti territoriali interessati.
È vietato a tutte le aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture per l'esecuzione di opere prive di concessione.
Art. 16 - Tutela giurisdizionale
I ricorsi giurisdizionali contro il provvedimento con il quale la concessione viene data o negata nonché contro la determinazione e la liquidazione del contributo e delle sanzioni previste dagli articoli 15 e 18 sono devoluti alla competenza dei Tribunali amministrativi regionali, i quali, oltre i mezzi di prova previsti dall'articolo 44, primo comma del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, possono disporre altresì le perizie di cui all'articolo 27 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642.
Art. 17 - Sanzioni penali
Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato e ferme le sanzioni previste dal precedente articolo 15 si applica:
a) l'ammenda fino a lire 2 milioni per la inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalla presente legge, dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni ed integrazioni, in quanto applicabile, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione;
b) l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a lire 5 milioni nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza della concessione o di prosecuzione di essi nonostante l'ordine di sospensione o di inosservanza del disposto dell’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.
Art. 18 - Norme transitorie
Rimangono salve le licenze edilizie già rilasciate, anche in attuazione di piani di lottizzazione, prima della data di entrata in vigore della presente legge, purché i lavori siano completati entro quattro anni dalla stessa data così da rendere gli edifici abitabili o agibili. Per la parte non completata entro tale termine dovrà essere richiesta la concessione.
Fermi restando gli oneri di urbanizzazione, la quota di cui all'articolo 6 riguardante il costo di costruzione:
- non è dovuta per le istanze presentate fino a sei mesi dalla data predetta;
- è ridotta al 30 per cento della misura stabilita dalle norme della presente legge per le istanze di concessione presentate entro dodici mesi dalla stessa data;
- è ridotta al 60 per cento della misura medesima per le istanze di concessione presentate entro ventiquattro mesi da tale data.
Le disposizioni del precedente comma non si applicano qualora le istanze non siano corredate dagli atti, documenti ed elaborati previsti dalle vigenti norme urbanistico-edilizie ovvero i progetti presentati vengano assoggettati a varianti essenziali su richiesta del concessionario prodotta oltre i termini suindicati.
In ordine alle istanze di cui al secondo comma, la concessione, con i benefici ivi previsti, non può essere data dopo un anno dalla presentazione delle istanze stesse, salvo che sia successivamente intervenuta decisione di annullamento del silenzio-rifiuto o di un provvedimento negativo emesso dal Comune.
I lavori oggetto delle concessioni di cui sopra debbono essere completati entro tre anni dalla data di rilascio, così da rendere gli edifici abitabili o agibili. In caso di mancato completamento delle opere entro il termine suindicato, il concessionario è tenuto al pagamento di una sanzione pari al doppio del contributo di concessione dovuto per la parte dell'opera non ultimata.
Per i piani di lottizzazione convenzionata di cui all'articolo 8 della legge 6 agosto 1967, n. 765, già approvati, restano fermi gli oneri di urbanizzazione convenzionata. Il rilascio delle singole concessioni è subordinato soltanto al pagamento della quota del costo di costruzione, secondo le norme della presente legge.
Art. 19
Le disposizioni di cui al precedente articolo 14, in materia di determinazione dell'indennità di espropriazione e di occupazione, non si applicano ai procedimenti in corso se la liquidazione dell'indennità predetta sia divenuta definitiva o non impugnabile o definita con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della presente legge.
Fino all'insediamento delle commissioni di cui all'articolo 14, le competenze attribuite a queste sono svolte dall'Ufficio tecnico erariale, il quale applica i criteri previsti dalla presente legge per la determinazione dell'indennità di espropriazione e di occupazione.
Art. 20 - Norme tributarie
Ai provvedimenti, alle convenzioni e agli atti d'obbligo previsti dalla presente legge si applica il trattamento tributario di cui all'articolo 32, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601.
La trascrizione prevista dall'articolo 15 della presente legge si effettua a tassa fissa.
Art. 21 - Disposizioni finali
Restano in vigore le norme della legge 18 dicembre 1973, n. 880, e della legge 2 agosto 1975, n. 393.
Restano altresì in vigore le norme della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni ed integrazioni, sempreché non siano incompatibili con quelle della presente legge ed intendendosi la espressione “licenza edilizia” sostituita dall'espressione “concessione”.
Art. 22
La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
1 “Governo del territorio” e “pianificazione del territorio”
La presente proposta di legge intende dare risposta a un’esigenza di costruzione dell’ordinamento legislativo italiano di cui è particolarmente avvertita l’urgenza già da molti decenni: quella di determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alle efficacie, ai procedimenti decisionali, dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell’assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantissero a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l’eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte, sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi fosse interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come a esempio in merito alla latitudine delle facoltà connesse con il diritto di proprietà.
Già a norma del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione della Repubblica italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948 spettava alle regioni emanare, per le “materie” ivi elencate, tre le quali l’”urbanistica”, “norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.
Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle regioni stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle “materie” di competenza (senza attendere l’emanazione di leggi statali enuncianti i “principi fondamentali” della disciplina di ognuna di esse) la legge 16 maggio 1970, n.281, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi “nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti” (articolo 17, ultimo comma). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di “principi fondamentali”, relativamente alla materia denominata “urbanistica”, nell’ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n.1150, e successive modificazioni e integrazioni.
Con il tempo, l’accezione del termine costituzionale “urbanistica” è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza, e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest’ultimo, la definizione data dall’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.616, per cui l’”urbanistica” concerne “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. In buona sostanza, si dava della “materia” denominata “urbanistica” una definizione tale da avvicinarla al concetto di “governo del territorio”, quand’anche quest’ultimo concetto possa avere un’ancora più vasta latitudine.
Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione appena sopra riportata riconduce nell’ambito dell’”urbanistica” la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancor più dopo l’enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: da quello sulla difesa del suolo a quello sulle aree naturali protette, da quello sulle trasformazioni edilizie a quello sulle espropriazioni di immobili, a quelli sulle opere pubbliche, e l’elencazione potrebbe proseguire.
Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), cioè nei primi anni ’60, iniziarono i tentativi di definire provvedimenti legislativi statali innovativi relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui s’è detto all’inizio di questa relazione, tentativi che si succedettero, nei decenni che seguirono fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza: sostanzialmente, nessuno d’essi andò in porto, se si eccettua la cosiddetta “legge ponte” del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse ed esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge 1150/1042), e se si eccettuano le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n.10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l’obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di attrezzamento del territorio, e l’introduceva l’istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).
La proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell’urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui s’è detto all’inizio di questa relazione, per i fini ivi pure sinteticamente enunciati.
Si avverte infatti, come e forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare con forza la “cultura” (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro “equiordinati”, ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.
E’ sufficiente l’enunciazione dei concetti appena sopra sinteticissimamente espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente antitendenziali rispetto alla “cultura” (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni ’80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di “principi fondamentali della legislazione dello Stato” grazie al disegno di legge divenuto noto, dal nome del suo presentatore, come “legge Lupi”, approvato dalla Camera dei Deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato il giorno successivo (Atti Senato n.3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all’impegno di alcuni, pochi, Senatori) arenatosi.
E’ per converso doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale “organica” nella materia che il comma terzo dell’atuale articolo 117 della Costituzione denomina “governo del territorio”.
Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura (o almeno non più riduttiva di quella alla quale la legislazione ordinaria di attuazione della previgente normativa costituzionale era giunta nel definire l’estensione della materia allora denominata “urbanistica”) della nozione di “governo del territorio” non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso comma terzo del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto “governo del territorio”, tra quelle parimenti “di legislazione concorrente” (nelle quali, a norma del quarto comma del medesimo novellato articolo 117 della Costituzione, “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato”): protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, una materia che lo stesso novellato articolo 117 della Costituzione ha inserito nell’elenco, di cui al secondo comma, delle materie nelle quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”, e cioè la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, come ha chiarito la dottrina della Corte costituzionale nelle pronunce con le quali ha negato la pretesa dello Stato di inibire alla legislazione regionale di dettare disposizioni in tale materia, peculiarmente prevedendo che alla tutela dei beni culturali, paesaggistici, naturalistico-ambientali, si provveda anche attraverso la pianificazione territoriale, ordinaria e specialistica.
Per cui un provvedimento legislativo statale effettivamente “organico” dovrebbe trattare, unitariamente, tutte le materie che sono state appena sopra richiamate, dettando solamente “principi fondamentali” in quelle “di legislazione concorrente” (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), e statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l’intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una “materia-attività”. E’ possibile che a definire un siffatto provvedimento legislativo statale si riesca a pervenire, nonostanti le indubbie gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), e non si vuole negare che, se ciò mai accadesse, tutti i soggetti, pubblici e privati, in qualsiasi misura e modo interessati alle trasformazioni e alle utilizzazioni del territorio, ne apprezzerebbero l’utilità: la qual cosa, peraltro, non esime dal rifiutare risolutamente di considerare il porvi mano neppure paragonabile, per importanza, urgenza, rispondenza all’ordine gerarchico e temporali degli interessi pubblici del Paese, alla definizione dei contenuti della presente proposta di legge, a ai fini che a essi sono sottesi.
2. I principi per il governo del territorio
La proposta che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale,:come del resto le medesima “Legge Lupi”, e gran parte delle leggi regionali che recano invece il titolo di “governo del territorio. Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di principi che - si ritiene - dovranno ispirare l’insieme degli atti normativi relativi al”governo del territorio”.
Nel corso della discussione della proposta ci si è anzi più volte domandati se fosse opportuno inserire esplicitamente nell’articolato una più ampia enunciazione d1 “principi per il governo del territorio”. Si è convenuto di preferire un impianto il più snello possibile,e finalizzato al massimo di efficacia nel campo prescelto. È peraltro opportuno, in questa sede, enunciare i principi sui quali si era convenuto,e che costituiscono in qualche modo il substrato delle norme elaborate.
Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivo di ogni atto di conservazione e trasformazione, il benessere dei cittadini, il miglioramento delle condizioni di qualità, sicurezza, e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell’architettura, delle infrastrutture. A tal fine gli obiettivi di conservazione, tutela e valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.
Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio, debbono pertanto essere informate dai seguenti principi:
- prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e dell’interesse pubblico su quello privato;
- attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;
- promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità, estenda la partecipazione e la democrazia nella consapevolezza che il territorio è un bene comune ed ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.
Le amministrazioni che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:
- promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso 1) l’offerta di spazi e servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;
- sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura, dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;
- affermare il valore imprescindibile della unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali
3. La direttiva europea sulla valutazione degli effetti della pianificazione sull’ambiente
La presente proposta di legge, nel determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione e statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Ciò non (soltanto) ai fini del formale adempimento a un obbligo sovrastatale, ma (soprattutto) in ragione della profonda adesione, che sottende all’insieme della medesima presente proposta di legge, e che si manifesta in molteplici sue disposizioni, per cui la valutazione degli effetti ambientali delle scelte pianificatorie e programmatorie deve essere inclusa nei processi conoscitivi, dapprima, e decisionali, quindi, propri dell’attività pianificatoria e programmatoria, anche a evitare che il ricorso a separate procedure di valutazione dell’impatto ambientale di singole opere, trasformazioni, azioni comunque modificative del territorio, finisca con l’essere utilizzato, come troppo spesso è accaduto da non pochi anni, come un “grimaldello” mediante il quale (concedendo come contropartita, tutt’al più, qualche sistemazione “mitigatoria”) scardinare quelle complessive coerenze sistemiche nelle quali sussiste l’essenza della pianificazione e della programmazione.
Il recepimento della direttiva è realizzato sia sottolineando l’obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, sia dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all’effettuazione della valutazione degli effetti sull’ambiente.
Alle tematiche di cui si è trattato appena sopra è strettamente legato l’indirizzo volto a promuovere la conoscenza diffusa dei processi di pianificazione e delle azioni di trasformazione del territorio, anche mediante la costituzione di forme organizzative autonome rispetto all’amministrazione attiva (articolo 6). E, a ben vedere, è a esse connessa anche la previsione per cui gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, una volta che abbiano recepito e/o specificato tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituisce la “carta unica del territorio”, cioè l’unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa, e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). E altresì la previsione per cui i comuni, le province o città metropolitane, le regioni e lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).
4. La competenza della pianificazione del territorio
Ribadito l’assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede sia ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di organismo decisionale elettivo di primo grado (assumendo un aspetto essenziale e strutturale del nuovo ordinamento degli enti locali instaurato dalla legge 8 giugno 1990, n.142, e sanzionato dal Testo unico approvato con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267), sia anche a ricondurre ai medesimi suddetti enti territoriali, sulla base dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza, le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia ragionevolmente necessario affidare ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).
E’ il caso di sottolineare che si propone (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni, nonché delle province o città metropolitane, sia operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p. del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali, conseguendone che alle regioni “a statuto ordinario” sarebbe inibito sottrarre, in toto o sostanzialmente, le predette competenze pianificatorie a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi “statuti speciali” abbiano attribuito ogni determinazione in merito all’ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).
E’ inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, delle efficace, degli archi temporali di riferimento, dei procedimenti di formazione dei medesimi predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena di sottolineare come venga esplicitata un’accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea, a differenza di quelle frequentemente espresse, con quella presente nei trattati costitutivi dell’Unione europea, per cui le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell’attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell’efficienza e dell’efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell’ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).
Quanto all’attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 616/1977, e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).
Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità culturale, tecnica e politica, dell’attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di variare, anche radicalmente, le possibilità di trasformazione precedentemente attribuite a determinati immobili, o complessi di immobili, o componenti territoriali, con l’unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato, e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).
In piena coerenza concettuale con l’attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l’istituto degli accordi di programma, di cui all’articolo 34 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione, di strumento di coordinamento per l’attuazione di interventi che richiedano l’azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).
5. I diritti alla città e all’abitare
Per la prima volta, si propone di riconoscere, nell’ordinamento legislativo della Repubblica, quali diritti dell’uomo, quelli all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali (articolo 4, comma 1).
La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m. del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) è posta come fondamento del ribadimento dell’attribuzione alla legislazione dello Stato del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2). Si mantiene pertanto un assunto che era stato giudicato (oltre che essenziale al fine di perseguire la qualità degli insediamenti urbani, e della vita in essi dei singoli e della collettività) di grande valenza egualitaria, in aderenza a uno dei principi fondamentali della lettera e dello spirito della carta costituzionale, sin da quando era stato posto, per le opere di urbanizzazione e gli spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, dall’ottavo comma dell’articolo 41-quinquies della legge 1150/1942, in esso introdotto dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n.765 (cui poi era data attuazione con il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1968, n.97), e, per l’edilizia sociale, dal terzo comma dell’articolo 2 della legge 28 gennaio 1977, n.10, sostitutivo del primo comma dell’articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n.167.
Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti di cui appena sopra s’è detto è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).
6. Il contenimento dell’uso del suolo e
il patrimonio edilizio storico
La prima e fondamentale disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l’utilizzazione del territorio non urbanizzato, sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale. Per ciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che “nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. E allo stesso fine vengono dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i principi fondamentali da rispettarsi nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e/o funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia – Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, Provincia autonoma di Bolzano), e, anche per tale ragione, assunto come ottimale.
L’operazione viene rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell’articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici a norma del comma 1 dell’articolo 142 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, quella del “territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”.
La seconda disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni ’60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l’istanza posta uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministero per i beni e le attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla Parte terza del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, viene previsto (articolo 8) che siano qualificati come beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province o città metropolitane, delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, purché d’intesa con la competente Soprintendenza:
- gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;
- le unità edilizie, e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.
E si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili sopra ndicati siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province o città metropolitane, delle regioni, d’intesa con la competente Soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.
7. I vincoli di tutela, quelli a contenuto espropriativi e la perequazione
La presente proposta di legge si fa altresì carico di tradurre in statuizioni di diritto positivo la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n.56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n.179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell'apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).
Per converso, la medesima presente proposta di legge si fa carico di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale 179/1999) dell’”alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia del vincolo" che si pone ove i vincoli "siano preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati”, i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.
A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n.1187, consistente nella fissazione di una “durata massima dell'efficacia del vincolo”, per stabilire invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione, e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di inizio dell'efficacia della suddette disposizioni, scaduto inutilmente il quale termine gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente, avendo i relativi proprietari diritto al pagamento del loro controvalore, determinato secondo i criteri stabiliti per la determinazione dell'indennità di espropriazione. E si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell'"espropriazione sostanziale" (e assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell’”accessione invertita”).
E’ infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, quali i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e significative variazioni funzionali, devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. E che tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefici e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici eventualmente esistenti.
Ma anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell’acquisizione pubblica dell’insieme degli immobili interessati.
8. Vietare i condoni edilizi?
Nel corso della elaborazione della proposta si è più volta posto l’interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell’ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati infatti una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha – ci si è domandati – costruire un sistema di norme garantista dell’interesse collettivo, se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l’efficacia?
Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una “legge di principi” norme che rendessero più efficace la repressione dell’abuso, più tassativo l’obbligo di riduzione in pristino e più aspre le sanzioni. Esiste già negli atti parlamentari una proposta in talsinso,presentata dall’on. Gianni Mattioli,cui è possibile ricollegarsi ma – si è ritenuto – in un distinto atto legislativo.
Una maggiore efficacia delle norme repressive non peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario a non modificare le proprie determinazioni. Si è periò ritenuto necessario limitarsi,m in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introducesse,nelle modifiche alla Costituzione,una norma che esplicitamente facesse divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.
Crediti
L’iniziativa di questa proposta di legge è di Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sulla legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso,modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano, Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti della “Legge Lupi” che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella proposta. Tra questi hanno espresso consenso e/o formulato proposte di correzione e integrazionePiergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina; delle loro proposte si è tenuto conto nell’ultima stesura del testo e,dove ciò non è stato ritenuto possibile od opportuno, se ne fatti cenno nella relazione.
Di seguito la relazione, con link al documento ufficiale, completo dell'articolato, in formato .pdf
Norme per la tutela ed il governo del territorio e deleghe al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare e per il riordino e il coordinamento della legislazione vigente
Relazione
Onorevoli Senatori. – Il territorio italiano è investito da profonde trasformazioni che sollecitano un nuovo quadro normativo per governarle, o, almeno, indirizzarle in una direzione di sostenibilità.
Il territorio rurale, in contrasto deciso con la sua immagine tradizionale, si sta avviando a ospitare gran parte dei processi trasformativi.
Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (1997), in tutti i paesi industrializzati maturi lo spazio rurale è destinato ad essere coinvolto sempre di più nei sistemi di relazioni economiche e sociali che interessano i sistemi urbani e ad essere sempre meno legato all’attività agricola, aumentando progressivamente i propri caratteri multifunzionali. Nei prossimi anni, secondo lo «Schema di sviluppo dello spazio europeo», dal 30 all’80 per cento delle aree agricole potrebbe essere abbandonato.
È un’indicazione di tutto rilievo, se si considera che attualmente più del 50 per cento del territorio europeo è dedicato all’agricoltura. Nonostante l’apparente esiguità del ruolo strettamente economico del reddito agricolo, gran parte della biodiversità europea ricade in paesaggi coltivati e la sua salute dipende dal modo in cui l’agricoltura è condotta. Lo sviluppo degli spazi rurali, sulla base di un’economia diversificata e multifunzionale (che include ad esempio il turismo e l’industria culturale, insieme a produzioni agricole di qualità), è quindi decisivo per il mantenimento o l’arricchimento della diversità biologica e paesistica del territorio. L’abbandono, con il conseguente depauperamento di vasti territori, provoca una spirale complessa di cambiamenti destinati a destabilizzare i preesistenti equilibri. L’interruzione, spesso repentina, delle cure manutentive con cui l’uomo aveva nei secoli adattato gli spazi naturali alle proprie esigenze produttive e abitative, l’abbandono dei versanti terrazzati, delle cure forestali e dei reticoli di drenaggio superficiale hanno in alcune circostanze accentuato i rischi idrogeologici e aggravato i rischi alluvionali (riduzione delle capacità di ritenzione idrica dei suoli con aumento del deflussi superficiali, innalzamento dei picchi di piena nei canali ricettori, innesco di frane e dissesti, sovraccarico della copertura boschiva su suoli instabili, ostruzione di alvei e formazione di sezioni critiche per mancata pulizia a monte e così via).
Inoltre i processi di abbandono pregiudicano, spesso in modo irreversibile, la conservazione del patrimonio storico edilizio, urbanistico e infrastrutturale nei territori rurali, soprattutto collinari e montani, accelerandone il degrado fino al cedimento, alla trasformazione in rudere e alla definitiva scomparsa. L’interruzione delle attività agricole è da tempo alla base dei processi di abbandono della montagna e dell’accresciuta spinta a dare un diverso valore ai terreni non più coltivati, trasformandoli in aree edificate ed edificabili.
Nei territori rurali si registrano però anche nuove tendenze positive: come il ritorno di giovani a produzioni agricole biologiche e di qualità, molto aumentate in questi anni, come il forte sviluppo dell’agriturismo e l’avvio di alcune esperienze (in particolare nelle zone limitrofe ai Parchi) di un tipo di agricoltura multifunzionale, impegnata anche in interventi di manutenzione del territorio e di recupero ambientale. Questo cambiamento di tendenza, che andrebbe comunque sostenuto con convinzione e risorse, non ha però ancora il peso sufficiente a invertire la tendenza generale – e consolidata da molti anni – all’abbandono delle attività agricole.
I processi di abbandono delle attività agricole hanno assunto da tempo un’estrema rilevanza nelle aree montane, vale a dire in gran parte del territorio nazionale (54 per cento). Le modificazioni conseguenti all’abbandono originano sintomi di collasso degli apparati tradizionali di difesa e di sistemazione del suolo, di desertificazione e destabilizzazione ecosistemica, di infragilimento o di scomparsa dei sistemi economici locali e delle culture tradizionali, con gravi ripercussioni anche sulle aree di pianura.
A fronte di tali fenomeni, che si associano ai costi sociali ed economici determinati dal rapido depauperamento delle risorse umane e dalla crisi degli antichi tessuti comunitari, l’operatore pubblico – dalle comunità montane e dalle regioni direttamente interessate fino al livello europeo – ha avvertito da tempo la necessità di frenare i processi di abbandono con politiche di sostegno, incentivazione e assistenza. Sono interventi spesso molto onerosi ma largamente insufficienti e di scarsa efficacia, nonostante abbiano contribuito al ripensamento delle strategie riguardanti il mondo agricolo e spostato progressivamente l’attenzione sulle funzioni ambientali dell’agricoltura.
Due dei grandi sistemi territoriali, che il CIPE già nel 1999 ha considerato in sede di programmazione dei fondi strutturali, sono proprio i due maggiori sistemi montuosi del nostro paese: le Alpi e gli Appennini. Entrambi i sistemi sono anche oggetto di due dei più importanti «progetti» di valorizzazione territoriale di interesse europeo: la Convenzione delle Alpi, ratificata ai sensi della legge 14 ottobre 1999, n. 403, e il Progetto Appennino Parco d’Europa (APE).
Sebbene per ambedue i progetti le iniziative, le proposte e gli accordi istituzionali procedano a rilento e diano l’impressione di essere ancora lontani dal generare azioni concrete ed efficaci, il ricco dibattito politico e culturale che attorno ad essi si è sviluppato negli ultimi anni dimostra che, in entrambi i casi, si è riconosciuto che si tratta di territori strategici di straordinaria importanza ecologica e culturale per l’intero continente, esposti a rischi e minacce di crescente gravità. In entrambi i casi, pur in presenza di una ricchissima diversificazione ambientale, paesistica e culturale, si ha a che fare con sistemi territoriali dotati di una riconoscibile identità e coerenza, caratterizzati da un’immagine unitaria e da un gran numero di problemi comuni.
I processi di abbandono hanno un peso rilevante, ma non sono i soli problemi della montagna. Alcune zone soffrono per le pressioni e le trasformazioni derivanti dal turismo, dagli sconfinamenti delle aree urbane in espansione, dallo sviluppo delle reti infrastrutturali: pressioni e trasformazioni che producono impatti locali rilevanti.
Il declino della presenza e delle attività antropiche porta però con sé, oltre ai rischi citati, anche nuove possibilità di rinaturalizzazione e di riequilibrio ecologico. Il ritorno del bosco, se opportunamente assecondato, può in molti casi ripristinare antichi equilibri, ponendo termine ad anni di eccessiva domesticazione degli spazi e delle risorse naturali.
Occorre comunque considerare che un tale ritorno comporta anche difficili problemi di gestione attiva di stadi successionali non stabili, perché siamo ormai in presenza di una frammentazione non naturale del territorio; né va dimenticato che, per far restare i giovani e richiamare in montagna nuovi montanari, indispensabili per mantenere in vita quei territori, occorre realizzare le condizioni per una buona qualità della vita in quei territori, diversa dal modello di benessere e di consumismo urbano, sostenendo tecnologia e formazione attraverso incentivi e promuovendo lo sviluppo di attività (agricole, artigianali, di turismo culturale e così via) sostenibili per il territorio montano.
Se la sindrome dell’abbandono caratterizza in modo emblematico i territori di montagna, una situazione ben diversa caratterizza invece i territori di pianura e delle coste, assaliti dall’espansione edilizia e dalla proliferazione di insediamenti.
Nella storia della città europea e italiana si è prodotto negli ultimi decenni un cambiamento epocale. Da forme insediative concentrate si è passati, in modi evidenti e dilaganti, a forme insediative sempre più disperse; tale dispersione è avvenuta con estensioni eccessive di nuove edificazioni, con costruzioni di scarsa qualità e spesso mal inserite nel territorio e nel paesaggio.
Intere regioni del paese sono state investite da massicci fenomeni di proliferazione degli insediamenti: nel Nord dalla Lombardia al Friuli; lungo la costa adriatica dalla Romagna alla Puglia; in Toscana da Firenze a Prato e Pistoia o lungo la direttrice di Empoli; e poi in Lazio, in Campania e in Sicilia. Ovunque sono state toccate in modo particolare le coste, ma anche le pianure interne, le aree turistiche ma anche quelle in corrispondenza dello sviluppo di nuovi distretti produttivi o del loro potenziamento.
La proliferazione insediativa non è sempre l’esito di un movimento centrifugo della città verso la campagna né sempre si manifesta in un processo di urbanizzazione della campagna. In molti casi è l’esito di una progressiva densificazione di insediamenti dispersi che hanno – come nel caso del Veneto, delle Marche, dell’Umbria o della Puglia – una lunga storia alle spalle: storia di crescita di piccole frazioni o attorno a piccoli nuclei abitati, connessa o meno all’abbandono dell’agricoltura. La città diffusa, che ha alimentato una tale proliferazione di insediamenti, è al contempo il risultato di fenomeni di dispersione, densificazione, riuso, modifica e trasformazione della città esistente.
All’origine di questi fenomeni ci sono cause molteplici e tra loro differenti: la predilezione per la casa unifamiliare, isolata, con giardino; la forte domanda di seconde e terze case; l’allontanamento dalla città, dove la casa è diventata troppo cara e dove con il reddito disponibile si spende di più e si vive male in una casa piccola; la scelta di costruire case per valorizzare terreni che non conviene più coltivare.
Una parte consistente di questa proliferazione insediativa di bassa qualità è la conseguenza di un diffuso abusivismo edilizio, soprattutto in alcune regioni. L’abusivismo ha invaso aree prossime alle città e aree costiere e di notevole pregio ambientale e paesistico. Il danno prodotto da questo fenomeno all’ambiente e al paesaggio è, in alcune regioni, di estrema gravità, per di più accentuata dai condoni che hanno alimentato aspettative di impunità.
La mancata comprensione dei processi in atto sul territorio ha portato spesso la politica delle infrastrutture a commettere errori gravi e a fissare le priorità in modo profondamente errato, alimentando il traffico stradale e incentivando l’uso dell’automobile nei territori della dispersione e proliferazione insediativi.
Anche per questo fenomeno le preoccupazioni sono in aumento e l’attenzione è viva da tempo. In alcune regioni e in alcune province sono stati elaborati piani per contenerlo, con nuove politiche di governo del territorio. Ma siamo ancora ben lontani dalla definizione di strategie adeguate, in grado di incidere efficacemente: la proliferazione insediativa infatti continua con modalità insostenibili e senza adeguati interventi regolativi in grado di tutelare i valori naturali e ambientali del territorio.
La collaudata resilienza degli ecosistemi del paese ha da tempo un potente alleato nell’ampia fungibilità del patrimonio storico insediativo e infrastrutturale: entrambi hanno dimostrato nel corso dei secoli di poter accogliere cambiamenti e innovazioni, di potersi arricchire reagendo positivamente alle spinte trasformatrici.
Come nell’800, sotto l’impulso delle riforme teresiane, la lenta evoluzione dei paesaggi agrari descritti dal Sereni diede spazio all’innovativa edificazione della campagna lombarda, così le fitte maglie urbanizzative storicamente consolidate dell’Italia centrale o delle fasce prealpine hanno rappresentato e rappresentano una risorsa di eccezionale valore per incanalare e radicare nel territorio le spinte diffusive, resistendo alle tendenze omologatrici.
Persino nelle anonime periferie urbane e metropolitane, per poco che si scavi sotto la coltre uniforme degli sviluppi recenti, riaffiorano con inaspettata densità i segni superstiti degli antichi palinsesti, le trame delle precedenti organizzazioni territoriali, segni in grado di restituire loro identità e riconoscibilità, di sconfiggere l’idea che possa trattarsi di aree vuote, giacimenti immobiliari cui attingere in modo indiscriminato per le nuove edificazioni: la periferia italiana ha probabilmente più possibilità di quella di altri paesi di uscire dalla condizione di marginalità e di dequalificazione. I principali processi di transizione in atto nello spazio rurale, nei territori montani e in quelli sottoposti alla proliferazione insediativa (e a volte anche infrastrutturale) comportano rilevanti problemi e rischi di degrado, che tuttavia possono essere fronteggiati in un territorio che dispone ancora di grandi risorse e di straordinarie potenzialità.
L’enfasi recentemente accordata da molte pubbliche amministrazioni (comuni, province, regioni, autorità di gestione delle aree protette, autorità di bacino) alla pianificazione strategica e ai problemi di governance territoriale – anche se rappresenta un positivo indicatore di una nuova e vigile attenzione – non sempre riflette piena consapevolezza delle sfide che l’azione pubblica deve fronteggiare.
La messa in campo di strategie appropriate si scontra infatti con dinamiche di cambiamento sempre più complesse e imprevedibili (basti pensare agli effetti del cambiamento climatico), con l’intreccio a volte inestricabile dei problemi che si pongono alle diverse scale (locali, regionali, interregionali e sempre più globali), con la necessità di cooperazione tra diverse istituzioni di governo (spesso assai gelose delle proprie autonomie), e naturalmente ancor di più con la difficile coniugazione tra istanze conservative e di tutela e istanze innovative e di sviluppo.
Tali difficoltà non sembrano affrontabili solo con i tradizionali meccanismi autorizzativi del tipo comando-controllo, ma richiedono anche – e soprattutto – strumenti di indirizzo, promozione e condivisione, che scontano il pluralismo dei processi decisionali, la relativa reversibilità delle scelte, l’incertezza dei quadri di riferimento.
Le attività di visioning, di costruzione di immagini e di progetti-guida, possono svolgere un ruolo rilevante nella formazione del consenso sulle strategie. In questo senso le azioni di governo effettivamente esercitabili dalle istituzioni nell’ambito della propria sfera di competenza vanno viste nel quadro di processi assai più articolati e complessi di governance territoriale. I soggetti coinvolti a vario titolo nei processi di trasformazione ambientale-territoriale devono interagire ma, prima di ogni altra cosa, devono riuscire a «dialogare». In questo quadro va certamente potenziato il ruolo degli attori locali e va allargata la possibilità di partecipazione e partenariato in vista di comuni obiettivi di sviluppo sostenibile.
Ma questo allargamento e questa riarticolazione dell’azione pubblica non possono in alcun modo confondersi con l’indebolimento o la rinuncia a un’efficace regolazione dei processi. Le sfide ambientali sempre più complesse e la stessa crescita di domande sociali (di qualità ambientale, di sicurezza, di accesso alle risorse, di natura e di paesaggio) richiedono al contrario un rafforzamento dell’azione pubblica regolatrice.
Tuttavia il necessario spostamento verso l’alto dei sistemi di controllo, l’urgenza di avviare una «regolazione preventiva» dei processi di cambiamento, la salvaguardia del patrimonio naturale-culturale e la difesa dei valori di identità richiedono forme di regolazione assai più sofisticate e complesse delle «gabbie di vincoli» cui si è spesso ridotta la funzione della pianificazione.
Lungimiranza delle strategie ed efficacia della regolazione devono coabitare sempre più nella nuova cultura del governo del territorio, così come occorre promuovere un’efficace integrazione della valutazione (della conoscenza, del monitoraggio) dei valori naturali e ambientali e dei potenziali impatti sul territorio nei processi di governance e di pianificazione.
A tal fine pare necessario partire con la definizione, sia pure in forma sintetica e generale, le linee fondamentali per l’assetto del territorio italiano con riferimento ai valori naturali e ambientali (articolo 2): una visione d’insieme, delle priorità nazionali, una griglia di indirizzo omogenea per il territorio nazionale.
Vengono inoltre definiti (articolo 3) i princìpi generali del governo del territorio quale riferimento per le funzioni legislative concorrenti e amministrative attribuite alle regioni ed agli enti locali. Solo alcuni aspetti di competenza dello Stato hanno richiesto norme di dettaglio: si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.
Il primo, il principio di pianificazione, espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri all’uso e al godimento degli stessi beni.
Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse naturali e ambientali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e l’incremento dell’efficienza energetica.
Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per il territorio e per l’ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenzione dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e degli eventi incidentali determinati dall’attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della precauzione.
Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della «filiera istituzionale», ispirando la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, le istituzioni dovranno agire mediante intese e accordi procedimentali in sedi stabili di concertazione per perseguire il coordinamento, l’armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.
Anche per questo, è importante assumere come principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione e di approvazione degli strumenti di pianificazione.
Il principio di equità consente di offrire a tutti i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità dell’ambiente urbano e migliore qualità della vita.
Perché tali princìpi possano tradursi in linee guida e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è anche necessario che la riforma nazionale preveda il coordinamento con le materie non ricomprese nel «governo del territorio», bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del medesimo: infrastrutture della mobilità e dell’energia, tutela e valorizzazione dell’ambiente, tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali (articoli 6-7-8).
I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per la programmazione, la pianificazione, l’attuazione, il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del territorio, partecipando a tale attività in conformità ai princìpi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.
L’altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.
La modernizzazione del sistema infrastrutturale, della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa, da una parte, all’allocazione certa dei finanziamenti e, dall’altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.
Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema rinnovato e a una «cassetta di attrezzi» adeguata alle esigenze attuali.
Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e modalità di attuazione e, nell’ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti e l’attuazione dell’attività di pianificazione di area vasta e di quella comunale.
È ormai consolidata l’esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà, e l’altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l’attuazione della disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia degli insediamenti esistenti.
Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle condizioni territoriali.
Alla base di un buon piano non può che esserci una adeguata e significativa conoscenza del territorio. È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall’uso del suolo, dalle invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia – quindi la rete – tra sistemi di informazione e di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno «parlare la stessa lingua» ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 11).
Questa è un’innovazione necessaria per l’azione amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.
La conoscenza del territorio consente anche una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La riforma proposta, inoltre, enuncia il principio fondamentale che il territorio rurale è un patrimonio di identità, di biodiversità, di pratiche agronomiche e forestali da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e di sostenibilità nella pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell’impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e valorizzato lo straordinario patrimonio costituito dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse non rinnovabili, a partire soprattutto dall’acqua e dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell’architettura rurale (articolo 12).
La riforma affronta altresì il complesso del sistema città: uno straordinario crocevia di opportunità ma, anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali (articolo 13), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio e urbanistico con politiche sociali e assistenziali che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.
Insomma, una vera e propria «politica per le città», che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia del recupero e della sostituzione edilizi una grande occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del contenimento dei consumi, essendo le città sistemi altamente «energivori», una priorità della politica energetica nazionale.
Sulle dotazioni territoriali minime – i vecchi standard urbanistici – non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i presupposti di tipo qualitativo affinché attraverso le dotazioni territoriali sia possibile garantire l’effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non possono che essere considerati requisiti minimi per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente; così anche per l’edilizia residenziale pubblica per l’affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di risposta al fabbisogno locale.
Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici dei servizi da fornire ai cittadini.
Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire. Pertanto è necessario che la legge statale offra strumenti innovativi per l’attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti locali adottano per garantire la realizzazione degli interventi. Quindi è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l’attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regìa pubblica definita dal piano del governo del territorio, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per l’efficienza, il miglioramento e l’innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.
Anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e dell’equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.
L’amministrazione potrà acquisire gli immobili con la perequazione urbanistica (articolo 15) e con gli obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in alternativa si prevede che si possa ricorrere all’esproprio.
La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà inoltre stabilire: l’edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di trasformazione perequativa, l’obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonché le modalità di progettazione unitaria dell’ambito di trasformazione.
Uno dei punti di particolare delicatezza è quello della decadenza del diritto di edificazione che si propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione pubblica e privata.
Altro tema essenziale per l’attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 16). Si tratta di una questione molto complessa che deve essere affrontata con alcuni indirizzi di base.
In primo luogo, sottraendo gli enti locali dalla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio con le entrate derivanti dall’imposta comunale sugli immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con la conseguente riduzione del consumo del suolo e con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia verso la riqualificazione urbana e del territorio, con forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine, attraverso l’armonizzazione e la stabilizzazione delle misure per l’incentivazione delle opere di recupero e la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità e così via) si potrà avere, a regime, una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.
Occorre tenere conto che la riforma del governo del territorio si inserisce in un complesso di normative esistenti, in particolare urbanistiche ed edilizie, di livello sia nazionale che regionale. A tale proposito, nel testo del disegno di legge, è previsto (articolo 18) l’adeguamento della legislazione regionale e è delegato il Governo al riordino ed al coordinamento della legislazione vigente (articolo 19).
Infine (articolo 20) è prevista una relazione al Parlamento sulla attuazione delle presenti norme.
Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici
Art. 1
Le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di urbanistica sono trasferite, per il rispettivo territorio, alle Regioni a statuto ordinario.
Il trasferimento predetto riguarda, tra l'altro, le funzioni amministrative statali concernenti:
a) l'approvazione dei piani territoriali di coordinamento previsti dall'art. 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni ed integrazioni;
b) la determinazione dell'estensione del piano intercomunale previsto dall'art. 12 della predetta legge n. 1150 e la sua approvazione;
c) l'approvazione dell'elenco dei comuni soggetti all'obbligo della formazione del piano regolatore generale e l'adozione delle misure previste dall'art. 8, quinto comma, della citata legge n. 1150 relativamente all'obbligo medesimo;
d) l'approvazione dei piani regolatori generali; l'autorizzazione e la approvazione delle relative varianti, ivi comprese quelle soggette a procedimento speciale in quanto connesse agli insediamenti scolastici, universitari ed ospedalieri;
e) l'approvazione dei piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra;
f) l'approvazione dei piani delle zone destinate all'edilizia economica e popolare (legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni);
g) la fissazione dei termini per la formazione dei piani particolareggiati, l'approvazione dei medesimi e delle relative varianti; l'adozione di misure per la compilazione dei piani stessi in sostituzione di quelli rimasti inattuati in tutto o in parte;
h) l'approvazione dei regolamenti edilizi comunali e dei programmi di fabbricazione;
i) il nulla-osta all'autorizzazione comunale dei piani di lottizzazione;
l) il nulla-osta al rilascio di licenze edilizie in deroga alle norme dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi, ivi comprese le deroghe alle altezze stabilite dalle norme urbanistico-edilizie per le costruzioni alberghiere;
m) la sospensione e demolizione di opere difformi dal piano regolatore oppure comunque non rispondenti alle prescrizioni del piano medesimo;
n) il parere sulla demolizione di costruzioni abusive ai sensi dell'art. 32 della citata legge n. 1150;
o) ogni altra funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato nella materia di cui al presente articolo, salvo quanto disposto dai successivi articoli.
Il trasferimento delle funzioni amministrative di cui al presente articolo riguarda anche le attribuzioni esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione ai sensi della legge 6 agosto 1967, n. 765 nonché da organi centrali e periferici di altri Ministeri.
Il trasferimento predetto riguarda altresì la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all'art. 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497.
Art. 2
(omissis)
Art. 3
Sono trasferite altresì alle Regioni a statuto ordinario, per le opere di competenza delle Regioni stesse e per quelle ad esse delegate con il presente decreto, le competenze degli organi centrali e periferici dello Stato in ordine alle dichiarazioni di pubblica utilità, di urgenza e di indifferibilità dei lavori nonché l'esercizio delle attribuzioni di carattere amministrativo attualmente spettanti agli organi medesimi in materia di espropriazione per pubblica utilità e di occupazione temporanea e di urgenza, comprese la determinazione amministrativa delle indennità e la retrocessione.
Artt. 4 - 8
(omissis)
Art. 9
La funzione d'indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle Regioni a statuto ordinario che attengono ad esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi del programma economico nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali, spetta allo Stato e viene esercitata, fuori dei casi in cui si provvede con legge o con atto avente forza di legge, mediante deliberazioni del Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri d'intesa con il Ministro o con i Ministri competenti.
L'esercizio della funzione di cui al precedente comma può essere delegato di volta in volta dal consiglio dei Ministri al Comitato interministeriale per la programmazione economica (C.I.P.E.) per la determinazione dei criteri operativi nelle materie di sua competenza oppure al Presidente del Consiglio dei Ministri con il Ministro competente quando si tratti di affari particolari.
(omissis - commi III-V)
La funzione di indirizzo e di coordinamento, di cui ai commi primo e secondo del presente articolo, si esercita al fine di assicurare anche unitarietà e coordinamento all'attività di pianificazione urbanistica ai vari livelli di circoscrizione territoriale.
In particolare, mediante l'esercizio della suddetta funzione, su proposta del Ministro per i lavori pubblici:
1) sono identificate le linee fondamentali dall'assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento all'articolazione territoriale degli interventi statali o di rilevanza nazionale, alla tutela paesistica, ambientale ed ecologica del territorio ed alla difesa e conservazione del suolo; viene verificata periodicamente la coerenza di tali linee con gli obiettivi della programmazione economica nazionale;
2) sono definiti gli aspetti metodologici e procedurali da osservare nella formazione dei piani territoriali regionali nonché gli standard urbanistici ed edilizi, quali minimi o massimi inderogabili da osservare ai fini della formazione dei piani urbanistici.
Art. 10 - 23
(omissis)
In allegato, anche i testi delle leggi 1150/1942 e 167/1962 aggiornati alla L 865/1971 (formati .doc e .pdf)
TITOLO I – PROGRAMMI E COORDINAMENTO DELL’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA
artt. 1 – 8
TITOLO II – NORME SULL’ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ
artt. 9 - 25
TITOLO III – MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLE LEGGI 17 AGOSTO 1942, N. 1150, 18 APRILE 1962, N. 167 e 29 SETTEMBRE 1964, N. 847
artt. 26 – 47
TITOLO IV – PROGRAMMI PUBBLICI DI EDILIZIA RESIDENZIALE
artt. 48 – 71
TITOLO V – EDILIZIA AGEVOLATA. AGEVOLAZIONI FISCALI
artt. 72 – 76
TITOLO I – PROGRAMMI E COORDINAMENTO DELL’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA
Art. 1
Per la realizzazione di programmi di interventi di edilizia abitativa e degli altri fini indicati nella presente legge, tutti i fondi stanziati a qualsiasi titolo dallo Stato, dalle aziende statali e dagli enti pubblici edilizi a carattere nazionale, destinati agli stessi scopi, anche se derivanti dalla stipulazione di mutui, dall'emissione di obbligazioni e dal versamento di contributi da parte di enti e di privati, sono impiegati unitariamente dallo Stato secondo le norme della presente legge.
(omissis - II comma)
Art. 2
É istituito, presso il Ministero dei lavori pubblici, il Comitato per l'edilizia residenziale (CER).
(omissis - commi II-IV)
Artt. 3 - 6
(omissis)
Art. 7
Alla data di entrata in vigore della presente legge, qualora non siano stati emanati, in materia urbanistica, i decreti delegati previsti dall'articolo 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281, sono trasferite alle Regioni a statuto ordinario le attribuzioni dell'Amministrazione dei lavori pubblici relative ai regolamenti edilizi; ai programmi di fabbricazione, ai piani di zona di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, ai piani particolareggiati di esecuzione del piano regolatore generale ed ai piani di lottizzazione.
Sono, altresì, trasferiti alle Regioni i poteri di cui agli articoli 6 e 7 della legge 6 agosto 1967, n. 765, quando si tratti di opere eseguite od autorizzate in violazione delle prescrizioni del programma di fabbricazione o delle norme del regolamento edilizio, nonché i poteri di nulla osta di cui all'articolo 3 della legge 21 dicembre 1955, n. 1357, quando si tratti di deroghe alle norme del regolamento edilizio e del programma di fabbricazione.
Per le procedure di annullamento in corso alla data di entrata in vigore della presente legge il termine stabilito dall'articolo 7, terzo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 765, decorre dalla data suddetta.
Nell'esercizio delle attribuzioni indicate ai precedenti commi, le Regioni si avvalgono dei provveditorati regionali alle opere pubbliche e delle sezioni urbanistiche regionali.
Art. 8
(omissis - I comma)
Il CER, avvalendosi delle Regioni, predispone e realizza ogni due anni un censimento dei fabbisogni abitativi del Paese, accertando nel contempo la composizione dei nuclei familiari, i redditi e la reale situazione abitativa nonché la dislocazione territoriale delle abitazioni.
TITOLO II – NORME SULL’ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ
Art. 9
Le disposizioni contenute nella presente legge si applicano all'espropriazione degli immobili, disposta per la realizzazione degli interventi previsti nel precedente titolo, per l'acquisizione delle aree comprese nei piani di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria compresi i parchi pubblici e di singole opere pubbliche, per il risanamento, anche conservativo, degli agglomerati urbani, per la ricostruzione di edifici o quartieri distrutti o danneggiati da eventi bellici o da calamità naturali, per l'acquisizione delle aree comprese nelle zone di espansione, a termini dell'articolo 18 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nonché per l'acquisizione degli immobili necessari per la costituzione di parchi nazionali.
Art. 10
Le amministrazioni, gli enti ed i soggetti legittimati a promuovere il procedimento di espropriazione per pubblica utilità depositano nella segreteria del comune, nel cui territorio sono compresi gli immobili da espropriare, una relazione esplicativa dell'opera o dell'intervento da realizzare, corredata dalle mappe catastali, sulle quali siano individuate le aree da espropriare, dall'elenco dei proprietari iscritti negli atti catastali, nonché dalle planimetrie dei piani urbanistici vigenti.
Il sindaco notifica agli espropriandi e dà notizia al pubblico dell'avvenuto deposito entro dieci giorni mediante avviso da affiggere nell'albo del comune e da inserire nel Foglio degli annunzi legali della provincia.
Decorso il termine di quindici giorni dalla data della inserzione dell'avviso nel Foglio degli annunzi legali, durante il quale gli interessati possono presentare osservazioni scritte, depositandole nella segreteria del comune, il sindaco entro i successivi quindici giorni trasmette tutti gli atti, con le deduzioni dell'espropriante e con le eventuali osservazioni del comune, al presidente della giunta regionale.
Art. 11
Entro trenta giorni dal ricevimento, il presidente della giunta regionale, con decreto costituente provvedimento definitivo, dichiara, ove occorra, la pubblica utilità nonché la indifferibilità e l'urgenza delle opere e degli interventi previsti nella relazione, ed indica la misura dell'indennità di espropriazione, da corrispondere a titolo provvisorio agli aventi diritto, determinata in base ai criteri di cui al successivo articolo 16. Con lo stesso decreto si pronuncia anche sulle osservazioni degli interessati.
Ove il presidente della giunta regionale non adempia entro il termine previsto dal precedente comma, il decreto è emesso dal Ministro per i lavori pubblici.
Il decreto è pubblicato per estratto nel Bollettino Ufficiale della Regione e nel Foglio degli annunzi legali della provincia.
L'ammontare dell'indennità provvisoria è comunicato ai proprietari espropriandi a cura del presidente della giunta regionale nelle forme previste per la notificazione degli atti processuali civili.
Art. 12
I proprietari, entro 30 giorni dalla notificazione dell'avviso di cui al quarto comma dell'articolo 11, possono convenire con l'espropriante la cessione volontaria degli immobili, per un prezzo non superiore del 10 per cento all'indennità provvisoria.
Nello stesso termine di cui al precedente comma, i proprietari comunicano al presidente della giunta regionale e all'espropriante se intendono accettare l'indennità provvisoria. In caso di silenzio l'indennità si intende rifiutata.
Decorso il termine di cui al precedente comma, il presidente della giunta regionale ordina all'espropriante, in favore degli espropriandi, il pagamento delle indennità che siano state accettate, ed il deposito delle altre indennità presso la Cassa depositi e prestiti.
La Cassa depositi e prestiti provvede, in deroga alle vigenti disposizioni, al pagamento delle somme ricevute in deposito a titolo di indennità di esproprio o di occupazione in base al solo nulla osta del prefetto, al quale compete l'accertamento della libertà e proprietà dell'immobile espropriato.
Art. 13
Il prefetto - su richiesta dell'espropriante, il quale deve fornire la prova di avere adempiuto a quanto prescritto dal terzo comma dell'articolo 12 - pronuncia, entro 15 giorni dalla richiesta, l'espropriazione sulla base dei dati risultanti dalla documentazione di cui all'articolo 10.
Il decreto del prefetto deve essere notificato ai proprietari nelle forme degli atti processuali civili, inserito per estratto nel Foglio degli annunzi legali della provincia e trascritto presso il competente Ufficio dei registri immobiliari in termini di urgenza.
Il decreto prefettizio costituisce provvedimento definitivo.
In caso di ricorso giurisdizionale, da presentarsi nei termini di legge, l'esecuzione dei provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità, di occupazione temporanea e d'urgenza e di espropriazione impugnati può essere sospesa, ai sensi dell'articolo 36 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, nei soli casi di errore grave ed evidente nell'individuazione degli immobili ovvero nell'individuazione delle persone dei proprietari.
Art. 14
Pronunciata l'espropriazione, e trascritto il relativo provvedimento, tutti i diritti relativi agli immobili espropriati possono essere fatti valere esclusivamente sull'indennità, anche nel caso previsto nell'ultimo comma dell'articolo 13.
Art. 15
Qualora l'indennità non sia stata accettata nel termine di cui al primo comma dell'articolo 12, il presidente della giunta regionale richiede la determinazione dell'indennità al competente Ufficio tecnico erariale.
L'Ufficio tecnico erariale, entro trenta giorni dalla richiesta del presidente della giunta regionale, comunica l'indennità da esso determinata anche all'espropriante.
L'espropriante comunica le indennità ai proprietari degli immobili ai quali le stime si riferiscono, mediante avvisi notificati nelle forme degli atti processuali civili; deposita la relazione dell'Ufficio tecnico erariale nella segreteria del comune e rende noto al pubblico l'eseguito deposito nei modi previsti dal secondo comma dell'articolo 10.
Art. 16
L'Ufficio tecnico erariale determina ogni anno entro il 31 gennaio, nell'ambito delle singole regioni agrarie delimitate secondo l'ultima pubblicazione ufficiale dell'Istituto centrale di statistica, il valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni, considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati.
In sede di prima applicazione, tale determinazione viene effettuata entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, con riferimento al precedente anno solare.
L'indennità di espropriazione, per le aree esterne ai centri edificati di cui al successivo articolo 18, è commisurata al valore agricolo medio di cui al primo comma, corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare.
Nelle aree comprese nei centri edificati e nelle aree delimitate come centri storici dagli strumenti urbanistici, l'indennità è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l'area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento su quella coltivata della regione agraria stessa. Tale valore è moltiplicato:
a) nelle aree delimitate come centri storici, per un coefficiente da 4 a 5 se l'area ricade nel territorio di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti e per un coefficiente da 2 a 4 se l'area ricade nel territorio degli altri comuni; tali aree debbono essere destinate ad uso pubblico o comunque alla costruzione di edifici per pubblici servizi;
b) nelle aree delimitate come centri edificati, per un coefficiente da 2 a 2,50 se l'area ricade nel territorio di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti e per un coefficiente da 1,1 a 2 se l'area ricade nel territorio degli altri comuni.
Per l'espropriazione delle aree che risultino edificate o urbanizzate ai sensi dell'articolo 8 della legge 6 agosto 1967, n. 765, l'indennità è determinata in base alla somma del valore dell'area, definito a norma dei precedenti commi, e del valore delle opere di urbanizzazione e delle costruzioni, tenendo conto del loro stato di conservazione. Se la costruzione è stata eseguita senza licenza o in contrasto con essa o in base ad una licenza annullata e non è stata ancora applicata la sanzione pecuniaria prevista dall'articolo 41, secondo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni, ne deve essere disposta ed eseguita la demolizione ai sensi dell'articolo 26 della stessa legge e l'indennità è determinata in base al valore della sola area.
Nella determinazione dell'indennità non deve tenersi alcun conto dell'utilizzabilità dell'area ai fini dell'edificazione nonché dell'incremento del valore derivante dalla esistenza nella stessa zona di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e di qualunque altra opera o impianto pubblico.
L'indennità determinata a norma dei commi precedenti è aumentata della somma eventualmente corrisposta dai soggetti espropriati, fino alla data dell'espropriazione, a titolo di imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili ai sensi della legge 5 marzo 1963, n. 246, nonché delle somme pagate dagli stessi per qualsiasi imposta relativa all'ultimo trasferimento dell'immobile precedente l'espropriazione.
Art. 17
Nel caso che l'area da espropriare sia coltivata dal proprietario diretto coltivatore, l'indennità di espropriazione determinata ai sensi dell'articolo 16 è raddoppiata.
Nel caso invece che l'espropriazione attenga a terreno coltivato dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno stesso, ferma restando l'indennità di espropriazione determinata ai sensi dell'articolo 16 in favore del proprietario, uguale importo dovrà essere corrisposto al fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante che coltivi il terreno espropriando almeno da un anno prima della data del deposito della relazione di cui all'articolo 10.
L'indennità aggiuntiva prevista dai precedenti commi è determinata in ogni caso in misura uguale al valore agricolo medio di cui al primo comma dell'articolo 16, corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato, ancorché si tratti di aree comprese nei centri edificati o delimitate come centri storici.
Le maggiorazioni di cui al primo e secondo comma del presente articolo vengono direttamente corrisposte ai suindicati soggetti nei termini previsti per il pagamento delle indennità di espropriazione.
Art. 18
Entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni, ai fini dell'applicazione del precedente articolo 16 procedono alla delimitazione dei centri edificati con deliberazione adottata dal consiglio comunale. In pendenza dell'adozione di tale deliberazione, il comune dichiara con delibera consiliare, agli effetti del procedimento espropriativo in corso, se l'area ricade o meno nei centri edificati.
Il centro edificato è delimitato, per ciascun centro o nucleo abitato, dal perimetro continuo che comprende tutte le aree edificate con continuità ed i lotti interclusi. Non possono essere compresi nel perimetro dei centri edificati gli insediamenti sparsi e le aree esterne, anche se interessate dal processo di urbanizzazione.
Ove decorra inutilmente il termine previsto al primo comma del presente articolo, alla delimitazione dei centri edificati provvede la Regione.
Art. 19
Entro trenta giorni dall'inserzione dell'avviso del deposito della relazione dell'Ufficio tecnico erariale nel Foglio degli annunci legali della provincia, i proprietari e gli altri interessati al pagamento dell'indennità possono proporre opposizione alla stima dell'Ufficio tecnico erariale davanti alla corte d'appello competente per territorio, con atto di citazione notificato all'espropriante.
L'opposizione può essere proposta anche dall'espropriante.
Art. 20
L'occupazione di urgenza delle aree da espropriare è pronunciata con decreto del prefetto. Tale decreto perde efficacia ove l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione.
L'occupazione può essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione nel possesso.
L'Ufficio tecnico erariale provvede, su richiesta del prefetto, alla determinazione dell'indennità di occupazione in una somma pari, per ciascun anno di occupazione, ad un ventesimo dell'indennità che sarebbe dovuta per l'espropriazione dell'area da occupare, calcolata a norma dell'articolo 16 ovvero, per ciascun mese o frazione di mese di occupazione, ad un dodicesimo della indennità annua.
Contro la determinazione dell'indennità gli interessati possono proporre opposizione davanti alla corte d'appello competente per territorio, con atto di citazione notificato all'occupante entro trenta giorni dalla comunicazione dell'indennità a cura del sindaco nelle forme prescritte per la notificazione degli atti processuali civili.
Art. 21
Qualora venga a cessare la destinazione alla realizzazione di un interesse pubblico delle aree espropriate in base alle disposizioni contenute nel presente titolo, i comuni, entro e non oltre 180 giorni dalla cessazione della succitata destinazione, hanno diritto alla prelazione sulle aree comprese nel loro territorio dietro pagamento di un corrispettivo determinato ai sensi dello articolo 16 e seguenti. In caso di disaccordo il corrispettivo è determinato dall'Ufficio tecnico erariale ad istanza anche di uno solo degli interessati. Avverso la stima può essere proposta opposizione, entro trenta giorni dalla relativa comunicazione, davanti la corte di appello competente per territorio.
Le aree acquisite al comune fanno parte del suo patrimonio indisponibile.
Il comune utilizza direttamente le aree occorrenti per l'esecuzione delle opere di sua competenza e dà in concessione le aree occorrenti per la realizzazione di opere o di interventi di pubblica utilità.
Artt. 22 - 24
(omissis)
Art. 25
La delega al presidente della giunta regionale degli adempimenti previsti dal presente titolo ha efficacia fino alla data di entrata in vigore dei decreti delegati da emanarsi ai sensi dell'articolo 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281.
A tal fine il presidente della giunta regionale si avvale del competente provveditorato alle opere pubbliche.
TITOLO III – MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLE LEGGI 17 AGOSTO 1942, N. 1150, 18 APRILE 1962, N. 167 e 29 SETTEMBRE 1964, N. 847
Art. 26
I comuni hanno facoltà di espropriare, entro le zone di espansione dell'aggregato urbano, le aree inedificate e quelle su cui insistono costruzioni che siano in contrasto con la destinazione di zona ovvero abbiano carattere provvisorio, secondo quanto previsto dall'articolo 18, primo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, fatta eccezione per le aree comprese nei piani di lottizzazione convenzionali autorizzati dal comune dopo la entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765. Ai fini di un'organica utilizzazione delle zone di espansione il comune entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, se fornito di piano regolatore generale, o dalla data di approvazione del medesimo, delibera un programma per gli scopi di cui al presente comma e nei limiti previsti dal comma seguente; tale programma può essere aggiornato ogni cinque anni.
La deliberazione consiliare, con la quale i comuni decidono di avvalersi della suddetta facoltà, indica la delimitazione dei comprensori di aree da espropriare, la cui estensione non può essere superiore al 20 per cento delle zone di espansione previste dal piano regolatore, al di fuori di quelle già comprese nei piani di zona ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167.
Tale deliberazione comporta il vincolo delle aree da espropriare per un periodo non superiore ad un quinquennio.
Entro tale periodo è formato il piano particolareggiato, alla cui approvazione - ai sensi delle disposizioni vigenti - è subordinata la esecuzione delle espropriazioni a norma del precedente titolo II.
Sono abrogati i commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 18 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e l'articolo 19 della stessa legge.
L'utilizzazione delle aree espropriate è disciplinata dalle norme contenute nel successivo articolo 35, salvo quanto previsto dalle seguenti disposizioni:
1) per le aree aventi prevalente destinazione residenziale: le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare sono quelle indicate dal piano particolareggiato. Le percentuali stabilite in termini volumetrici nell'undicesimo comma dell'articolo 35 vanno riferite all'estensione delle aree suddette. Per gli alloggi costruiti su aree cedute in proprietà non sono richiesti i requisiti soggettivi indicati nell'undicesimo, nel sedicesimo e nel diciottesimo comma dell'articolo 35;
2) per le aree aventi prevalenti destinazioni non residenziali: la quota da cedere in proprietà non può essere superiore al 50 per cento, in termini volumetrici, delle aree comprese nel piano particolareggiato ed aventi le destinazioni innanzi indicate; la cessione in proprietà di tali aree e la concessione del diritto di superficie per le altre aree sono effettuate previo esperimento di asta pubblica e la convenzione è stipulata con l'aggiudicatario della gara.
La base d'asta è pari al costo di acquisizione delle aree, nonché al costo delle relative opere di urbanizzazione in proporzione al volume edificabile. La somma eccedente la base d'asta è destinata dal comune alla esecuzione di opere di urbanizzazione.
Art. 27
I comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione approvati possono formare, previa autorizzazione della Regione, un piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi.
Le aree da comprendere nel piano sono delimitate, nell'ambito delle zone destinate a insediamenti produttivi dai piani regolatori generali o dai programmi di fabbricazione vigenti, con deliberazione del consiglio comunale, la quale, previa pubblicazione, insieme agli elaborati, a mezzo di deposito presso la segreteria del comune per la durata di venti giorni, è approvata con decreto del presidente della giunta regionale.
Il piano approvato ai sensi del presente articolo ha efficacia per dieci anni dalla data del decreto di approvazione ed ha valore di piano particolareggiato d'esecuzione ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.
Per quanto non diversamente disposto dalla presente legge, alla deliberazione del consiglio comunale e al decreto del presidente della giunta regionale si applicano, in quanto compatibili, le norme della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni.
Le aree comprese nel piano approvato a norma del presente articolo sono espropriate dai comuni o loro consorzi secondo quanto previsto dalla presente legge in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Il comune utilizza le aree espropriate per la realizzazione di impianti produttivi di carattere industriale, artigianale, commerciale e turistico, in misura non superiore al 50 per cento mediante la cessione in proprietà e per la rimanente parte mediante la concessione del diritto di superficie. Tra più istanze concorrenti è data la preferenza a quelle presentate da enti pubblici e aziende a partecipazione statale nell'ambito di programmi già approvati dal CIPE.
La concessione del diritto di superficie ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici, occorrenti nella zona delimitata dal piano, è a tempo indeterminato; in tutti gli altri casi ha una durata non inferiore a sessanta anni e non superiore a novantanove anni.
Contestualmente all'atto di concessione, o all'atto di cessione della proprietà dell'area, tra il comune da una parte e il concessionario o l'acquirente dall'altra, viene stipulata una convenzione per atto pubblico con la quale vengono disciplinati gli oneri posti a carico del concessionario o dell'acquirente e le sanzioni per la loro inosservanza.
Art. 28
L'ultimo comma dell'articolo 1 della legge 18 aprile 1962, n. 167, è sostituito dai seguenti:
“Più comuni limitrofi possono costituirsi in consorzio per la formazione di un piano di zona consortile ai sensi della presente legge.
La Regione può disporre, a richiesta di una delle amministrazioni comunali interessate, la costituzione di consorzi obbligatori tra comuni limitrofi per la formazione di piani di zona consortili”.
Art. 29
Il primo comma dell'articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n. 167, è sostituito dal seguente:
“L'estensione delle zone da includere nei piani è determinata in relazione alle esigenze dell'edilizia economica e popolare per un decennio e non può eccedere quella necessaria a soddisfare il 60 per cento del fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel periodo considerato.”.
Art. 30
Sono fatte salve le previsioni dei piani di zona approvati prima dell'entrata in vigore della presente legge, dimensionati in misura superiore a quanto previsto dal precedente articolo 29 della presente legge.
Art. 31
La percentuale del fabbisogno complessivo di edilizia abitativa di cui all'articolo 29 della presente legge si applica anche nei casi in cui i comuni o loro consorzi procedono all'aggiornamento dei piani di zona già approvati.
Art. 32
Il terzo comma dell'articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n. 167, è sostituito dal seguente:
“Possono essere comprese nei piani anche le aree sulle quali insistono immobili la cui demolizione o trasformazione sia richiesta da ragioni igienico-sanitarie ovvero sia ritenuta necessaria per la realizzazione del piano.”.
Art. 33
L'ultimo comma dell'articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n. 167, è sostituito dai seguenti:
“Qualora non esista piano regolatore approvato, le zone riservate all'edilizia economica e popolare ai sensi dei precedenti commi sono comprese in un programma di fabbricazione il quale è compilato a norma dell'articolo 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, ed è approvato a norma dell'articolo 8 della presente legge.
I comuni possono comprendere tali zone anche in un piano regolatore soltanto adottato e trasmesso ai competenti organi per l'approvazione. In tale ipotesi il piano delle zone suddette, approvato con le modalità di cui al comma precedente, è vincolante in sede di approvazione del piano regolatore”.
Art. 34
All'articolo 8 della legge 18 aprile 1962, n. 167, è aggiunto il seguente comma:
“Le varianti che non incidono sul dimensionamento globale del piano e non comportano modifiche al perimetro, agli indici di fabbricabilità ed alle dotazioni di spazi pubblici o di uso pubblico, o costituiscono adeguamento delle previsioni del piano ai limiti ed ai rapporti di cui all'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, sono approvate con deliberazione del consiglio comunale. La deliberazione diviene esecutiva ai sensi dell'articolo 3 della legge 9 giugno 1947, n. 530”.
Art. 35
Le disposizioni dell'articolo 10 della legge 18 aprile 1962, n. 167, sono sostituite dalle norme di cui al presente articolo.
Le aree comprese nei piani approvati a norma della legge 18 aprile 1962, n. 167, sono espropriate dai comuni o dai loro consorzi.
Le aree di cui al precedente comma, salvo quelle cedute in proprietà ai sensi dell'undicesimo comma del presente articolo, vanno a far parte del patrimonio indisponibile del comune o del consorzio.
Su tali aree il comune o il consorzio concede il diritto di superficie per la costruzione di case di tipo economico e popolare e dei relativi servizi urbani e sociali.
La concessione del diritto di superficie ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici è a tempo indeterminato; in tutti gli altri casi ha una durata non inferiore ad anni 60 e non superiore ad anni 99.
L'istanza per ottenere la concessione è diretta al sindaco o al presidente del consorzio. Tra più istanze concorrenti è data la preferenza a quelle presentate da enti pubblici istituzionalmente operanti nel settore della edilizia economica e popolare e da cooperative edilizie a proprietà indivisa.
La concessione è deliberata dal consiglio comunale o dall'assemblea del consorzio. Con la stessa delibera viene determinato il contenuto della convenzione da stipularsi, per atto pubblico, da trascriversi presso il competente Ufficio dei registri immobiliari, tra l'ente concedente ed il richiedente.
La convenzione deve prevedere:
a) il corrispettivo della concessione in misura pari al costo di acquisizione delle aree nonché al costo delle relative opere di urbanizzazione se già realizzate;
b) il corrispettivo delle opere di urbanizzazione da realizzare a cura del comune o del consorzio, ovvero, qualora dette opere vengano eseguite a cura e spese del concessionario, le relative garanzie finanziarie, gli elementi progettuali delle opere da eseguire e le modalità del controllo sulla loro esecuzione, nonché i criteri e le modalità per il loro trasferimento ai comuni od ai consorzi;
c) le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare;
d) i termini di inizio e di ultimazione degli edifici e delle opere di urbanizzazione;
e) i criteri per la determinazione e la revisione periodica dei canoni di locazione, nonché per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi, ove questa sia consentita;
f) le sanzioni a carico del concessionario per l'inosservanza degli obblighi stabiliti nella convenzione ed i casi di maggior gravità in cui tale inosservanza comporti la decadenza dalla concessione e la conseguente estinzione del diritto di superficie;
g) i criteri per la determinazione del corrispettivo in caso di rinnovo della concessione, la cui durata non può essere superiore a quella prevista nell'atto originario.
Le disposizioni del precedente comma non si applicano quando l'oggetto della concessione sia costituito dalla realizzazione di impianti e servizi pubblici ai sensi del quinto comma del presente articolo.
I comuni ed i consorzi possono, nella convenzione, stabilire, a favore degli enti che costruiscono alloggi da dare in locazione, condizioni particolari per quanto riguarda gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione.
Le aree di cui al secondo comma del presente articolo, destinate alla costruzione di case economiche e popolari, nei limiti di una quota non inferiore al 20 e non superiore al 40 per cento, in termini volumetrici, di quelle comprese nei piani, sono cedute in proprietà a cooperative edilizie ed ai singoli, con preferenza per i proprietari espropriati ai sensi della presente legge, sempre che questi ed i soci delle cooperative abbiano i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni per l'assegnazione di alloggi economici e popolari.
Il prezzo di cessione delle aree è determinato in misura pari al costo di acquisizione delle aree stesse, nonché al costo delle relative opere di urbanizzazione in proporzione al volume edificabile.
Contestualmente all'atto della cessione della proprietà dell'area, tra il comune, o il consorzio, e il cessionario, viene stipulata una convenzione per atto pubblico la quale deve prevedere:
a) gli elementi progettuali degli edifici da costruire e le modalità del controllo sulla loro costruzione;
b) le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da costruire;
c) i termini di inizio e di ultimazione degli edifici;
d) i casi nei quali l'inosservanza degli obblighi previsti dalla convenzione comporta la risoluzione dell'atto di cessione.
I criteri di cui alle lettere e) e g) e le sanzioni di cui alla lettera f) dell'ottavo comma, nonché i casi di cui alla lettera d) del precedente comma dovranno essere preventivamente deliberati dal consiglio comunale o dall'assemblea del consorzio e dovranno essere gli stessi per tutte le convenzioni.
L'alloggio costruito su area ceduta in proprietà non può essere alienato a nessun titolo, nè su di esso può costituirsi alcun diritto reale di godimento per un periodo di tempo di 10 anni dalla data del rilascio della licenza di abitabilità.
Decorso tale periodo di tempo, l'alienazione o la costituzione di diritti reali di godimento può avvenire esclusivamente a favore di soggetti aventi i requisiti per la assegnazione di alloggi economici e popolari, al prezzo fissato dall'Ufficio tecnico erariale, tenendo conto dello stato di conservazione della costruzione, del valore dell'area su cui essa insiste, determinati ai sensi del precedente articolo 16 e prescindendo dalla loro localizzazione, nonché del costo delle opere di urbanizzazione posto a carico del proprietario.
Dopo 20 anni dal rilascio della licenza di abitabilità, il proprietario dell'alloggio può trasferire la proprietà a chiunque o costituire su di essa diritto reale di godimento, con l'obbligo di pagamento a favore del comune o consorzio di comuni, che a suo tempo ha ceduto l'area, della somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato dell'area al momento dell'alienazione ed il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto, rivalutato sulla base delle variazioni dell'indice dei prezzi all'ingrosso calcolato dall'Istituto centrale di statistica. Detta differenza è valutata dall'Ufficio tecnico erariale ed è riscossa all'atto della registrazione del contratto dal competente Ufficio del registro, che provvede a versarla al comune o consorzio di comuni. La somma è destinata all'acquisto di aree per la costruzione di case economiche e popolari.
L'alloggio costruito su area ceduta in proprietà può essere dato in locazione, sino a che non sia stata pagata a favore del comune o consorzio di comuni la somma di cui al comma precedente, esclusivamente a soggetti aventi i requisiti per l'assegnazione di alloggi economici e popolari, al canone fissato dall'Ufficio tecnico erariale secondo i criteri di cui al sedicesimo comma del presente articolo. Il versamento della somma può essere effettuato, decorso il termine di 20 anni, direttamente dal proprietario, al comune o consorzio di comuni, indipendentemente dal trasferimento della proprietà dell'alloggio.
Gli atti compiuti in violazione delle disposizioni contenute nei quattro precedenti commi sono nulli. Detta nullità può essere fatta valere dal comune o da chiunque altro vi abbia interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.
Chiunque in virtù del possesso dei requisiti richiesti per l'assegnazione di alloggio economico o popolare abbia ottenuto la proprietà dell'area e dell'alloggio su di essa costruito, non può ottenere altro alloggio in proprietà dalle amministrazioni o dagli enti indicati nella presente legge o comunque costruiti con il contributo o con il concorso dello Stato a norma dell'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1959, n. 2.
Art. 36
Le disposizioni contenute nell'articolo precedente non si applicano alle aree che alla data di entrata in vigore della presente legge siano state acquisite, previa assegnazione, da enti pubblici o da cooperative o siano state cedute, anche in superficie, dal comune a privati, o per le quali, alla medesima data, sia intervenuta l'assegnazione e sia in corso il procedimento di espropriazione da parte di detti enti o cooperative. Gli atti del procedimento di espropriazione non definiti alla data di entrata in vigore della presente legge sono assoggettati alle norme contenute nel precedente titolo secondo.
Art. 37
Nel caso di procedimento esecutivo sull'immobile costruito su area in concessione superficiaria o in proprietà, l'immobile potrà essere aggiudicato, in concessione superficiaria o in proprietà, a soggetti aventi i requisiti per l'assegnazione di case economiche e popolari.
In tutti i casi in cui si verifichi la decadenza dalla concessione e la conseguente estinzione del diritto di superficie di cui all'ottavo comma, lettera f) dell'articolo 35, ovvero la risoluzione dell'atto di cessione in proprietà di cui al tredicesimo comma, lettera d) dell'articolo medesimo, l'ente che ha concesso il diritto di superficie o che ha ceduto la proprietà subentrerà nei rapporti obbligatori derivanti da mutui ipotecari concessi dagli istituti di credito per il finanziamento delle costruzioni sulle aree comprese nei piani approvati a norma della presente legge, con l'obbligo di soddisfare sino all'estinzione le ragioni di credito dei detti istituti.
I pagamenti da effettuare in adempimento di quanto previsto al comma precedente saranno considerati come spese obbligatorie da iscrivere in bilancio da parte degli enti obbligati, i quali sono tenuti a vincolare agli stessi pagamenti le rendite derivanti dalle costruzioni acquisite per devoluzione o risoluzione della cessione in proprietà.
Art. 38
Le disposizioni dell'articolo 11 della legge 18 aprile 1962, n. 167, sono sostituite dalle norme del presente articolo.
I piani hanno validità decennale e sono attuati a mezzo di programmi pluriennali i quali debbono indicare:
a) l'estensione delle aree di cui si prevede l'utilizzazione e la correlativa urbanizzazione;
b) la quota delle aree da cedere in proprietà entro i limiti stabiliti dall'articolo 35 della presente legge;
c) la spesa prevista per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e delle opere di carattere generale;
d) i mezzi finanziari con i quali il comune o il consorzio intendono far fronte alla spesa di cui alla precedente lettera c).
I programmi di attuazione e le varianti di aggiornamento annuale sono approvati con deliberazione del consiglio comunale.
Art. 39
Gli articoli 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, sono abrogati.
Art. 40
All'articolo 19 della legge 18 aprile 1962, n. 167, le parole: “... utilizzate in proprio dagli enti di cui al terzo comma dell'articolo 10” sono sostituite con le parole: “... utilizzate dagli enti pubblici istituzionalmente operanti nel settore dell'edilizia economica e popolare e da cooperative edilizie”.
Artt. 41 - 43
(omissis)
Art. 44
All'articolo 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, è aggiunto il seguente comma:
“Le opere di cui all'articolo 1, lettera c), sono le seguenti:
a) asili nido e scuole materne;
b) scuole dell'obbligo;
c) mercati di quartiere;
d) delegazioni comunali;
e) chiese ed altri edifici per servizi religiosi;
f) impianti sportivi di quartiere;
g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie;
h) aree verdi di quartiere”.
Artt. 45 - 47
(omissis)
TITOLO IV – PROGRAMMI PUBBLICI DI EDILIZIA RESIDENZIALE
Art. 48
Nel triennio 1971-1973 i programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al presente titolo prevedono: la costruzione di alloggi destinati alla generalità dei lavoratori ed a coloro che occupano abitazioni improprie, malsane e fatiscenti da demolire; la costruzione di alloggi destinati a soddisfare i fabbisogni abitativi di zone colpite da calamità naturali; la costruzione di case-albergo per studenti, lavoratori, lavoratori immigrati e persone anziane, nonché di alloggi destinati ai cittadini più bisognosi, anche riuniti in cooperative edilizie; la costruzione di alloggi in favore di lavoratori dipendenti emigrati all'estero e di profughi, anche se riuniti in cooperative edilizie; la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria relative agli interventi di edilizia abitativa; l'esecuzione di opere di manutenzione e di risanamento del patrimonio di abitazioni di tipo economico e popolare dello Stato e degli enti di edilizia economica e popolare, escluso quello ceduto ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1959, n. 2; l'integrazione dei contributi concessi agli istituti autonomi per le case popolari per la realizzazione di programmi edilizi.
I programmi sono predisposti secondo le disposizioni contenute nel titolo I della presente legge.
Una quota non inferiore al 5 per cento dell'importo complessivo dei programmi suddetti è destinata all'esecuzione di opere di edilizia sociale.
Nella ripartizione degli interventi una quota non inferiore al 45 per cento degli importi complessivi è riservata ai territori di cui all'articolo 1 del testo unico delle leggi sul Mezzogiorno approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1967, n. 1523.
(omissis - commi V e VI)
Art. 49
(omissis)
Art. 50
Nei comuni che abbiano provveduto alla formazione dei piani di zona ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167, le aree per la realizzazione dei programmi pubblici di edilizia abitativa previsti dal presente titolo sono scelte nell'ambito di detti piani.
Art. 51
Nei comuni che non dispongono dei piani previsti dalla legge 18 aprile 1962, n. 167, i programmi costruttivi sono localizzati su aree indicate con deliberazione del consiglio comunale nell'ambito delle zone residenziali dei piani regolatori e dei programmi di fabbricazione, sempre che questi risultino approvati o adottati e trasmessi per le approvazioni di legge.
Con la stessa deliberazione sono precisati, ove necessario, anche in variante ai piani regolatori ed ai programmi di fabbricazione vigenti, i limiti di densità, di altezza, di distanza fra i fabbricati, nonché i rapporti massimi fra spazi destinati agli insediamenti e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico ed a parcheggio, in conformità alle norme di cui al penultimo comma dell'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
La deliberazione del consiglio comunale è adottata entro trenta giorni dalla richiesta formulata dalla Regione oppure dagli enti costruttori e diventa esecutiva dopo l'approvazione dell'organo di controllo che deve pronunciarsi entro venti giorni dalla data di trasmissione della delibera, con gli effetti nel caso di silenzio stabiliti dall'articolo 20 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
Qualora il consiglio comunale non provveda entro il termine di cui al comma precedente, la scelta dell'area è effettuata dal presidente della giunta regionale.
La deliberazione del consiglio comunale o il decreto del presidente della giunta regionale comporta l'applicazione delle norme in vigore per l'attuazione dei piani di zona.
Art. 52
Le opere comprese nei programmi previsti dal presente titolo sono a tutti gli effetti dichiarate di pubblica utilità e i lavori sono dichiarati urgenti e indifferibili.
Art. 53
(omissis)
Art. 54
Gli istituti autonomi per le case popolari provvedono a demolire le baracche ed a rendere inagibili gli altri alloggi impropri o malsani, già occupati dagli assegnatari dei nuovi alloggi non appena questi ultimi sono stati consegnati.
Qualora le baracche, grotte, caverne e simili si trovino su suoli di proprietà privata, il prefetto diffida, con proprio decreto, il proprietario ad effettuare, entro il termine di quindici giorni, i lavori di demolizione e di ostruzione, autorizzando l'Istituto autonomo per le case popolari a sostituirsi al proprietario, qualora questi lasci decorrere inutilmente il termine anzidetto.
(omissis - commi III-V)
Art. 55 - 59
(omissis)
Art. 60
Gli enti ed istituti, incaricati dell'attuazione dei programmi previsti dalla presente legge, acquisiscono dai comuni le aree all'uopo occorrenti; gli stessi enti ed istituti possono tuttavia procedere direttamente all'acquisizione delle aree in nome e per conto dei comuni, d'intesa con questi ultimi.
Artt. 61 - 71
(omissis)
TITOLO V – EDILIZIA AGEVOLATA. AGEVOLAZIONI FISCALI
Artt. 72 - 76
(omissis)
Potrebbe finalmente essere questa la legislatura buona per la legge di riforma urbanistica che prenderebbe il posto di quella varata in piena seconda guerra mondiale (1942) per poi essere parzialmente modificata nel 1967. Nelle prossime settimane infatti il governo comincerà la discussione della proposta di disegno di legge presentata da Rifondazione ed elaborata da un gruppo di architetti e urbanisti che gravita intorno all’associazione Eddyburg. Il “caso” infatti ha voluto che la discussione partisse proprio da questa proposta e non dalle altre (attualmente in attesa ce ne sono almeno altre 3: quella sponsorizzata da Ds e in parte dalla Margherita, quella della Margherita stessa e infine quella del deputato di Forza Italia Lupi riciclata e riproposta dal partito di Berlusconi e che nella scorsa legislatura solo in extremis è stata bloccata).
Vezio De Lucia, urbanista di fama internazionale e tra i protagonisti che hanno elaborato la proposta Eddyburg, è la persona forse più adatta per spiegare qual è la situazione oggi in Italia, partendo proprio dallo “scampato pericolo”, cioè l’affossamento del disegno di legge riproposto oggi da Forza Italia.
«Era un disegno di legge terrificante, basato sostanzialmente sulla privatizzazione dell’urbanistica, perché prevedeva che ogni atto di trasformazione urbanistica avrebbe dovuto essere approvato sempre d’intesa con la proprietà fondiaria. Le parole testuali, mi par di ricordare erano “sostituire atti autoritativi con atti negoziali”, quindi sarebbe stata una vera e propria cancellazione del governo pubblico del territorio e della preminenza dell’interesse pubblico su quello privato. Altre due perle erano la cancellazione degli standard urbanistici e l’incentivazione a consumare nuovo territorio, togliendo ulteriori spazi alla natura».
Perché la proposta non passò?
«Guardi, un po’ tutti davano l’approvazione per scontata, anche nel centrosinistra che allora era all’opposizione. Anche perché l’Inu con il suo presidente Federico Oliva era sostanzialmente d’accordo. Noi di Eddyburg ci battemmo per impedirne l’approvazione della Lupi, pubblicammo anche il libro “La controriforma urbanistica” che fu presentato in molte città italiane e soprattutto alla commissione che stava discutendo la proposta. Ebbene, siamo riusciti ad evitare l’approvazione consapevolizzando alcuni deputi di Alleanza Nazionale sul disastro che si rischiava di compiere».
Sarà anche un disastro evitato, però intanto siamo ancora senza legge e con una pletora di proposte tutte da discutere…
«Il risultato importante è avere affossato definitivamente quella proposta che annullava il ruolo del pubblico: meglio nessuna risposta che una controriforma del genere. Anche perché da lì nasce il testo che Rifondazione ha poi portato in Senato: quando la Lupi fu bloccata dall’Inu ci “invitarono” a farla noi e così abbiamo fatto».
Il presidente dell’Inu però, quando ha saputo che la discussione sarebbe partita dalla proposta di Rifondazione e non da quella dei Ds, è andato su tutte le furie, sostenendo che questo governo non approverà mai la riforma “vista al composizione della compagine governativa, con troppe teste che la pensano in maniera diversa”.
«Non sono d’accordo con il pessimismo di Oliva perché il nostro testo e quello presentato dai Ds sono molto vicini fra loro: Lupi è stato finalmente rinnegato mentre credo che sarà piuttosto semplice integrare le due proposte che arrivano da Rifondazione e Ds perché le basi di partenza sono le stesse, ovvero la riproposizione dell’assoluta prevalenza dell’interesse pubblico, la conferma degli standard urbanistici e la loro estensione come il diritto all’abitare. C’è il recepimento piano della valutazione ambientale strategica nell’ambito della direttiva europea e c’è
il principio del contenimento del consumo del suolo, cioè di ridurre al minimo l’ulteriore sottrazione di spazi al territorio. Su quest’ultimo punto, anche se nella proposta dei Ds non è perentorio come nel nostro testo, ci giochiamo il futuro del Paese e non a caso anche nel programma di Prodi c’era l’impegno a una soluzione legislativa per contenere al costruzione di nuove abitazioni».
Se i testi sono così vicini, perché non avete lavorato insieme fin da subito? Con una proposta unica e condivisa da larghi settori della maggioranza la discussione procederebbe più speditamente.
«Forse a freddo non avremmo cominciato a elaborare un testo del genere, ma dopo l’affossamento della Lupi siamo stati quasi sfidati e quando poi, contemporaneamente all’elaborazione, abbiamo cominciato a ricevere apprezzamenti e contributi e nuovi stimoli da parte degli ambienti specialistici, non potevamo più tirarci indietro. Ma le ripeto e glielo assicuro: Oliva si sbaglia, con una commissione ristretta sarà facilissimo arrivare a un testo condiviso».
La riforma urbanistica è necessaria per uniformare e coordinare la materia finora disciplinata in modo diverso dalle singole regioni. Eppure proprio da queste leggi regionali si è tratto molto.
«Esattamente, anche perché la questione delle competenze regionali è forse la più delicata, ma comunque, a mio parere, non è la più importante. Mi spiego: è vero che una legge di principio serve, ma non c’è più quell’urgenza che ci poteva essere prima, perché molte regioni hanno già adottato contenuti importanti che infatti oggi sono ripresi nelle varie proposte. La legge toscana per esempio, che è una delle più avanzate, influenza fortemente la proposta dei Ds ed è quindi molto vicina anche alla nostra».
Intanto però la Toscana è finita sulla graticola per il caso Monticchiello e per i molti casi di cementificazione delle coste o delle colline, magari attraverso la realizzazione di seconde case mascherate per qualche anno da Rta
«Giustamente in Toscana si sollevano le cose che non vanno e non sono certo io a tirarmi indietro nel criticare certe operazioni urbanistiche tutt’altro che sostenibili. Però i singoli casi toscani non sono confrontabili con quello che accade oggi dal Lazio in giù, nella quasi totale insensibilità della stampa. Lo sfascio della Campania non è solo i rifiuti, ma anche il governo del territorio non esiste più e ci sono comuni in cui le richieste di condono sono più dei cittadini».
Sul disegno di legge urbanistica eddyburg
In allegato anche il testo della L. 1150/1942 aggiornato alla L 1187/1968 (formati .doc e .pdf)
Art. 1
L’articolo 7 della legge 17 agosto 1942, n, 1150 è sostituito dal seguente:
"Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.
Esso deve indicare essenzialmente:
1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;
2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;
3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;
5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per l’attuazione del piano.".
Art. 2
Le indicazioni del piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione.
Per i piani regolatori generali approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, il termine di cinque anni di cui al precedente comma decorre dalla predetta data.
Art. 3
L'applicazione delle misure di salvaguardia per i piani particolareggiati è, in ogni caso, obbligatoria dalla data della deliberazione di adozione.
Art. 4
Le misure di salvaguardia di cui al precedente articolo continuano ad applicarsi entro il periodo di tempo indicato nell’articolo 3 della legge 5 luglio 1966, n. 517, ai piani particolareggiati adottati dopo l’entrata in vigore della presente legge e non approvati nel termine di cinque anni di cui all’articolo 2.
Art. 5
Il primo comma dell’articolo 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"Nessun indennizzo è dovuto per le limitazioni ed i vincoli previsti dal piano regolatore generale nonché per le limitazioni e per gli oneri relativi all’allineamento edilizio delle nuove costruzioni.".
Art. 6
La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
In allegato anche il testo della L. 1150/1942 aggiornato alla L 765/1967 (formati .doc e .pdf)
Art. 1
Il primo comma dell'articolo 8 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"I Comuni hanno la facoltà di formare il piano regolatore generale del proprio territorio. La deliberazione con la quale il Consiglio comunale decide di procedere alla formazione del piano non è soggetta a speciale approvazione e diviene esecutiva in conformità dell'articolo 3 della legge 9 giugno 1947, n. 530; la spesa conseguente è obbligatoria.".
Il quarto, quinto e sesto comma del medesimo articolo sono sostituiti dai seguenti:
"I Comuni compresi negli elenchi di cui al secondo comma devono procedere alla nomina dei progettisti per la formazione del piano regolatore generale entro tre mesi dalla data del decreto ministeriale con cui è stato approvato il rispettivo elenco, nonché alla deliberazione di adozione del piano stesso entro i successivi dodici mesi ed alla presentazione al Ministero dei lavori pubblici per l'approvazione entro due anni dalla data del sopracitato decreto ministeriale.
Trascorso ciascuno dei termini sopra indicati il prefetto, salvo il caso di proroga non superiore ad un anno concessa dal Ministro per i lavori pubblici su richiesta motivata del Comune, convoca il Consiglio comunale per gli adempimenti relativi da adottarsi entro il termine di 30 giorni.
Decorso quest'ultimo termine il prefetto, d'intesa con il provveditore regionale alle opere pubbliche, nomina un commissario per la designazione dei progettisti, ovvero per l'adozione del piano regolatore generale o per gli ulteriori adempimenti necessari per la presentazione del piano stesso al Ministero dei lavori pubblici.
Nel caso in cui il piano venga restituito per modifiche, integrazioni o rielaborazioni al Comune, quest'ultimo provvede ad adottare le proprie determinazioni nel termine di 180 giorni dalla restituzione. Trascorso tale termine si applicano le disposizioni dei commi precedenti.
Nel caso di compilazione o di rielaborazione d'ufficio del piano, il prefetto promuove d'intesa con il provveditore regionale alle opere pubbliche l'iscrizione d'ufficio della relativa spesa nel bilancio comunale.
Il piano regolatore generale è approvato entro un anno dal suo inoltro al Ministero dei lavori pubblici.".
Art. 2
I Comuni già compresi negli elenchi, di cui al secondo comma dell'articolo 8 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, approvati con decreto ministeriale prima dell'entrata in vigore della presente legge, provvedono agli adempimenti relativi alla formazione del piano regolatore generale entro sei mesi, trascorsi i quali si applicano nei loro confronti le disposizioni dell'articolo 1 della presente legge.
Art. 3
Dopo il primo comma dell'articolo 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, sono inseriti i seguenti commi:
"Con lo stesso decreto di approvazione possono essere apportate al piano, su parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e sentito il Comune, le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, tali cioè da mutare le caratteristiche essenziali del piano stesso ed i criteri di impostazione, le modifiche conseguenti all'accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate con deliberazione del Consiglio comunale, nonché quelle che siano riconosciute indispensabili per assicurare:
a) il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento a norma dell'articolo 6, secondo comma;
b) la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato;
c) la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici;
d) l'osservanza dei limiti di cui agli articoli 41-quinquies, sesto e ottavo comma e 41-sexies della presente legge.
Le modifiche di cui alla lettera c) sono approvate sentito il Ministro per la pubblica istruzione, che può anche dettare prescrizioni particolari per singoli immobili di interesse storico-artistico.
Le proposte di modifica, di cui al secondo comma, ad eccezione di quelle riguardanti le osservazioni presentate al piano, sono comunicate al Comune, il quale entro novanta giorni adotta le proprie controdeduzioni con deliberazione del Consiglio comunale che, previa pubblicazione nel primo giorno festivo, è trasmessa al Ministero dei lavori pubblici nei successivi quindici giorni.
Nelle more di approvazione del piano, le normali misure di salvaguardia di cui alla legge 3 novembre 1952, n. 1902 e successive modificazioni, sono obbligatorie.".
Art. 4
L'ultimo comma dell'articolo 11 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è soppresso.
Art. 5
Il primo e secondo comma dell'articolo 16 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, sono sostituiti dai seguenti:
"I piani particolareggiati di esecuzione del piano regolatore generale sono approvati con decreto del provveditore regionale alle opere pubbliche, sentita la Sezione urbanistica regionale, entro 180 giorni dalla presentazione da parte dei Comuni.
Con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per l'interno e per la pubblica istruzione può essere disposto che l'approvazione dei piani particolareggiati di determinati Comuni avvenga con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. Le determinazioni in tal caso sono assunte entro 180 giorni dalla presentazione del piano da parte dei Comuni.
I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose d'interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposti alla competente Soprintendenza ovvero al Ministero della pubblica istruzione quando sono approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici.
Le eventuali osservazioni del Ministero della pubblica istruzione o delle Soprintendente sono presentate entro novanta giorni dall'avvenuta comunicazione del piano particolareggiato di esecuzione.".
Dopo il terzo comma dello stesso articolo 16 sono inseriti i seguenti commi:
"Con il decreto di approvazione possono essere introdotte nel piano le modifiche che siano conseguenti all'accoglimento di osservazioni o di opposizioni ovvero siano riconosciute indispensabili per assicurare:
1) la osservanza del piano regolatore generale;
2) il conseguimento delle finalità di cui al secondo comma, lettere b), c), d) del precedente articolo 10;
3) una dotazione dei servizi e degli spazi pubblici adeguati alle necessità della zona.
Le modifiche di cui al punto 2), lettera c), del precedente comma, sono adottate sentita la competente Soprintendenza o il Ministro per la pubblica istruzione a seconda che l'approvazione avvenga con decreto del provveditore regionale alle opere pubbliche oppure del Ministro per i lavori pubblici.
Le modifiche di cui ai precedenti commi sono comunicate per la pubblicazione ai sensi dell'articolo 15 al Comune, il quale entro novanta giorni adotta le proprie controdeduzioni con deliberazione del Consiglio comunale che, previa pubblicazione nel primo giorno festivo, è trasmessa nei successivi quindici giorni al Provveditorato regionale alle opere pubbliche od al Ministero dei lavori pubblici che adottano le relative determinazioni entro 90 giorni.".
Art. 6
L'articolo 26 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"Quando siano eseguite, senza la licenza di costruzione o in contrasto con questa, opere non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore, del programma di fabbricazione od alle norme del regolamento edilizio, il Ministro per i lavori pubblici, per i Comuni capoluoghi di Provincia, o il provveditore regionale alle opere pubbliche, per gli altri Comuni, possono disporre la sospensione o la demolizione delle opere, ove il Comune non provveda nel termine all'uopo fissato. I provvedimenti di demolizione sono emessi, previo parere rispettivamente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Comitato tecnico amministrativo, entro cinque anni dalla dichiarazione di abitabilità o di agibilità e per le opere eseguite prima dell'entrata in vigore della presente legge entro cinque anni da quest'ultima data.
I provvedimenti di sospensione o di demolizione sono notificati a mezzo dell'ufficiale giudiziario, nelle forme e con le modalità previste dal Codice di procedura civile, al titolare della licenza o in mancanza di questa al proprietario della costruzione, nonché al direttore dei lavori ed al titolare dell'impresa che li ha eseguiti o li sta eseguendo e comunicati all'Amministrazione comunale.
La sospensione non può avere una durata superiore a tre mesi dalla data della notifica. Entro tale periodo di tempo il Ministro per i lavori pubblici, o il provveditore regionale alle opere pubbliche, nel caso di cui al primo comma del presente articolo, adotta i provvedimenti necessari per la modifica delle costruzioni o per la rimessa in pristino, in mancanza dei quali la sospensione cessa di avere efficacia.
I provvedimenti di sospensione e di demolizione vengono resi noti al pubblico mediante affissione nell'albo pretorio del Comune.
Con il provvedimento che dispone la modifica delle costruzioni, la rimessa in pristino o la demolizione delle opere è assegnato un termine entro il quale il trasgressore deve procedere, a sue spese e senza pregiudizio delle sanzioni penali, alla esecuzione del provvedimento stesso. Scaduto inutilmente tale termine, il Ministro per i lavori pubblici, o il provveditore regionale alle opere pubbliche nel caso di cui al primo comma del presente articolo, dispone la esecuzione in danno dei lavori.
Le spese relative all'esecuzione in danno sono riscosse con le norme stabilite dal testo unico sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639. Al pagamento delle spese sono solidalmente obbligati il committente, il titolare dell'impresa che ha eseguito i lavori e il direttore dei lavori qualora non abbia contestato ai detti soggetti e comunicato al Comune la non conformità delle opere rispetto alla licenza edilizia.".
Art. 7
L'articolo 27 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"Entro dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano opere non conformi a prescrizioni del piano regolatore o del programma di fabbricazione od a norme del regolamento edilizio, ovvero in qualsiasi modo costituiscano violazione delle prescrizioni o delle norme stesse possono essere annullati, ai sensi dell'articolo 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno.
Per le deliberazioni ed i provvedimenti comunali anteriori alla entrata in vigore della presente legge, il termine di dieci anni decorre dalla data della stessa.
Il provvedimento di annullamento è emesso entro diciotto mesi dall'accertamento delle violazioni di cui al primo comma, ed è preceduto dalla contestazione delle violazioni stesse al titolare della licenza, al proprietario della costruzione e al progettista, nonché all'Amministrazione comunale con l'invito a presentare controdeduzioni entro un termine all'uopo prefissato.
In pendenza delle procedure di annullamento il Ministro per i lavori pubblici può ordinare la sospensione dei lavori, con provvedimento da notificare a mezzo di ufficiale giudiziario, nelle forme e con le modalità previste dal Codice di procedura civile, ai soggetti di cui al precedente comma e da comunicare all'Amministrazione comunale. L'ordine di sospensione cessa di avere efficacia se, entro sei mesi dalla sua notificazione, non sia stato emesso il decreto di annullamento di cui al primo comma.
Intervenuto il decreto di annullamento si applicano le disposizioni dell'articolo 26.
Il termine per il provvedimento di demolizione è stabilito in sei mesi dalla data del decreto medesimo.
Al pagamento delle spese previste dal penultimo comma dell'articolo 26 sono solidalmente obbligati il committente ed il progettista delle opere.
I provvedimenti di sospensione dei lavori e il decreto di annullamento vengono resi noti al pubblico mediante l'affissione nell'albo pretorio del Comune.".
Art. 8
Il primo e secondo comma dell'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, sono sostituiti dai seguenti:
"Prima dell'approvazione del piano regolatore generale o del programma; di fabbricazione di cui all'articolo 34 della presente legge è vietato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio.
Nei Comuni forniti di programma di fabbricazione ed in quelli dotati di piano regolatore generale fino a quando non sia stato approvato il piano particolareggiato di esecuzione, la lottizzazione di terreno a scopo edilizio può essere autorizzata dal Comune previo nulla osta del provveditore regionale alle opere pubbliche, sentita la Sezione urbanistica regionale, nonché la competente Soprintendenza.
L'autorizzazione di cui al comma precedente può essere rilasciata anche dai Comuni che hanno adottato il programma di fabbricazione o il piano regolatore generale, se entro dodici mesi dalla presentazione al Ministero dei lavori pubblici la competente autorità non ha adottato alcuna determinazione, sempre che si tratti di piani di lottizzazione conformi al piano regolatore generale ovvero al programma di fabbricazione adottato.
Con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per l'interno e per la pubblica istruzione può disporsi che il nulla-osta all'autorizzazione di cui ai precedenti commi venga rilasciato per determinati Comuni con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con il Ministro per la pubblica istruzione, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.
L'autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:
1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all'articolo 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessario per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;
3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;
4) congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione.
La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge.
Il rilascio delle licenze edilizie nell'ambito dei singoli lotti è subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relative ai lotti stessi.
Sono fatte salve soltanto ai fini del quinto comma le autorizzazioni rilasciate sulla base di deliberazioni del Consiglio comunale, approvate nei modi e forme di legge, aventi data anteriore al 2 dicembre 1966.
Il termine per l'esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del proprietario è stabilito in dieci anni a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, salvo che non sia stato previsto un termine diverso.
Le autorizzazioni rilasciate dopo il 2 dicembre 1966 e prima dell'entrata in vigore della presente legge e relative a lottizzazioni per le quali non siano stati stipulati atti di convenzione contenenti gli oneri e i vincoli precisati al quinto comma del presente articolo, restano sospese fino alla stipula di dette convenzioni.
Nei Comuni forniti di programma di fabbricazione e in quelli dotati di piano regolatore generale anche se non si è provveduto alla formazione del piano particolareggiato di esecuzione, il Sindaco ha facoltà di invitare i proprietari delle aree fabbricabili esistenti nelle singole zone a presentare entro congruo termine un progetto di lottizzazione delle aree stesse. Se essi non aderiscono, provvede alla compilazione d'ufficio.".
Art. 9
L'articolo 30 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"Il piano regolatore generale, agli effetti del primo comma dell'articolo 18, ed i piani particolareggiati previsti dall'articolo 13 sono corredati da una relazione di previsione di massima delle spese occorrenti per la acquisizione delle aree e per le sistemazioni generali necessarie per l'attuazione del piano.".
Art. 10
L'articolo 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"Chiunque intenda nell'ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all'esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza al Sindaco.
Per le opere da eseguire su terreni demaniali, compreso il demanio marittimo, ad eccezione delle opere destinate alla difesa nazionale, compete all'Amministrazione dei lavori pubblici, d'intesa con le Amministrazioni interessate e sentito il Comune, accertare che le opere stesse non siano in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore generale o del regolamento edilizio vigente nel territorio comunale in cui esse ricadono.
Per le opere da costruirsi da privati su aree demaniali deve essere richiesta sempre la licenza del Sindaco.
Gli atti di compravendita di terreni abusivamente lottizzati a scopo residenziale sono nulli ove da essi non risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza di una lottizzazione autorizzata.
La concessione della licenza è comunque e in ogni caso subordinata alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte dei Comuni dell'attuazione delle stesse nel successivo triennio o all'impegno dei privati di procedere all'attuazione delle medesime contemporaneamente alle costruzioni oggetto della licenza.
Le determinazioni del Sindaco sulle domande di licenza di costruzione devono essere notificate all'interessato non oltre 60 giorni dalla data di ricevimento delle domande stesse o da quella di presentazione di documenti aggiuntivi richiesti dal Sindaco.
Scaduto tale termine senza che il Sindaco si sia pronunciato, l'interessato ha il diritto di ricorrere contro il silenzio-rifiuto.
Dell'avvenuto rilascio della licenza edilizia viene data notizia al pubblico mediante affissione nell'albo pretorio, con la specificazione del titolare e della località nella quale la costruzione deve essere eseguita. L'affissione non fa decorrere i termini per l'impugnativa.
Chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione.
La licenza edilizia non può avere validità superiore ad un anno; qualora entro tale termine i lavori non siano stati iniziati l'interessato dovrà presentare istanza diretta ad ottenere il rinnovo della licenza.
L'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.
Il committente titolare della licenza, il direttore dei lavori e l'assuntore dei lavori sono responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza edilizia.".
Art. 11
Il secondo comma dell'articolo 35 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dai seguenti:
"Qualora entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, non sia stato adempiuto a quanto stabilito dagli articoli 33 e 34 e dal precedente comma del presente articolo, il prefetto, salvo il caso di proroga non superiore a sei mesi concessa dal Ministro per i lavori pubblici su richiesta del Comune, convoca il Consiglio comunale per gli adempimenti relativi da adottarsi entro il termine di 30 giorni.
Decorso questo ultimo termine il prefetto nomina un commissario per la designazione dei progettisti, di intesa con il provveditore regionale alle opere pubbliche, ovvero per la adozione del regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione o per gli ulteriori adempimenti necessari per la presentazione del regolamento stesso al Ministero dei lavori pubblici.
Nel caso in cui il regolamento edilizio e l'annesso programma di fabbricazione, redatti dal Comune, ovvero d'ufficio, vengano restituiti per modifiche o rielaborazioni al Comune stesso, questo provvede, nel termine di 90 giorni dalla restituzione, ad adottare le proprie determinazioni. Trascorso tale termine, si applicano le disposizioni di cui ai commi precedenti.
Nel caso di compilazione d'ufficio, il prefetto promuove d'intesa con il provveditore regionale alle opere pubbliche la iscrizione d'ufficio, nel bilancio comunale, della spesa occorrente per la redazione o rielaborazione del regolamento edilizio e del programma di fabbricazione.".
Art. 12
L'articolo 36 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"I regolamenti edilizi dei Comuni sono approvati con decreto del provveditore regionale alle opere pubbliche sentita la Sezione urbanistica regionale e la competente Soprintendenza entro il termine di 180 giorni dalla presentazione.
Il Ministro per i lavori pubblici di concerto con il Ministro per l'interno e per la pubblica istruzione può disporre l'approvazione del regolamento edilizio di determinati Comuni con proprio decreto, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Ministero della pubblica istruzione.
Con il decreto di approvazione possono essere introdotte nel regolamento edilizio e nel programma di fabbricazione le modifiche che siano ritenute indispensabili ai fini di cui al secondo comma, lettere b), c), d), dell'articolo 10.
Le modifiche di cui alla lettera c) sono approvate sentita la competente Soprintendenza o il Ministro per la pubblica istruzione a seconda che l'approvazione avvenga con decreto del provveditore regionale alle opere pubbliche oppure del Ministro per i lavori pubblici.
Le modifiche di cui al precedente comma sono comunicate al Comune interessato, il quale entro 60 giorni adotta le proprie controdeduzioni con deliberazione del Consiglio comunale che, previa pubblicazione nel primo giorno festivo, è trasmessa al Ministero dei lavori pubblici nei successivi quindici giorni.
Il Ministero per i lavori pubblici o il provveditore regionale alle opere pubbliche adottano i provvedimenti di loro competenza entro 90 giorni dalla presentazione del progetto del regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione.".
Art. 13
L'articolo 41 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
"Salvo quanto stabilito dalle leggi sanitarie, per le contravvenzioni alle norme dei regolamenti locali di igiene, si applica:
a) l'ammenda fino a lire un milione per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste nell'articolo 32, primo comma;
b) l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a lire due milioni nei casi di inizio dei lavori senza licenza o di prosecuzione di essi nonostante l'ordine di sospensione o di inosservanza del disposto dell'articolo 28.
Qualora non sia possibile procedere alla restituzione in pristino ovvero alla demolizione delle opere eseguite senza la licenza di costruzione o in contrasto con questa, si applica in via amministrativa una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'Ufficio tecnico erariale.
La disposizione di cui al precedente comma trova applicazione anche nel caso di annullamento della licenza.
I proventi delle sanzioni pecuniarie previste dal presente articolo sono riscossi dal Comune e destinati al finanziamento delle opere di urbanizzazione, ovvero dallo Stato rispettivamente nelle ipotesi di cui al secondo e terzo comma.".
Art. 14
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41 è aggiunto il seguente articolo 41-bis:
"I professionisti incaricati della redazione di un piano regolatore generale o di un programma di fabbricazione possono, fino alla approvazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione, assumere nell'ambito del territorio del Comune interessato soltanto incarichi di progettazione di opere ed impianti pubblici.
Ogni violazione viene segnalata al rispettivo Consiglio dell'ordine per i provvedimenti amministrativi del caso.".
Art. 15
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41, è aggiunto il seguente articolo 41-ter:
"Fatte salve le sanzioni di cui agli articoli 32 e 41, le opere iniziate dopo l'entrata in vigore della presente legge, senza la licenza o in contrasto con la stessa, ovvero sulla base di licenza successivamente annullata, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, nè di contributi o altre provvidenze dello Stato o di Enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione.
É fatto obbligo al Comune di segnalare all'Intendenza di finanza, entro tre mesi dall'ultimazione dei lavori o della richiesta della licenza di abitabilità o di agibilità, ovvero dall'annullamento della licenza, ogni inosservanza alla presente legge comportante la decadenza di cui al comma precedente.
Il diritto dell'Amministrazione finanziaria a recuperare le imposte dovute in misura ordinaria per effetto della decadenza stabilita dal presente articolo si prescrive col decorso di tre anni dalla data di ricezione, da parte della Intendenza di finanza, della segnalazione del Comune.
In caso di revoca o decadenza dai benefici suddetti il committente è responsabile dei danni nei confronti degli aventi causa.".
Art. 16
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41, è aggiunto il seguente articolo 41-quater:
"I poteri di deroga previsti da norme di piano regolatore e di regolamento edilizio possono essere esercitati limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico e sempre con l'osservanza dell'articolo 3 della legge 21 dicembre 1955, n. 1357.
L'autorizzazione è accordata dal Sindaco previa deliberazione del Consiglio comunale.".
Art. 17
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41, è aggiunto il seguente articolo 41-quinquies:
"Nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, la edificazione a scopo residenziale è soggetta alle seguenti limitazioni:
a) il volume complessivo costruito di ciascun fabbricato non può superare la misura di un metro cubo e mezzo per ogni metro quadrato di area edificabile, se trattasi di edifici ricadenti in centri abitati, i cui perimetri sono definiti entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge con deliberazione del Consiglio comunale sentiti il Provveditorato regionale alle opere pubbliche e la Soprintendenza competente, e di un decimo di metro cubo per ogni metro quadrato di area edificabile, se la costruzione è ubicata nelle altre parti del territorio;
b) gli edifici non possono comprendere più di tre piani;
c) l'altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire.
Per le costruzioni di cui alla legge 30 dicembre 1960, n. 1676, il Ministro per i lavori pubblici può disporre con proprio decreto, sentito il Comitato di attuazione del piano di costruzione di abitazioni per i lavoratori agricoli dipendenti, limitazioni diverse da quelle previste dal precedente comma.
Le superfici coperte degli edifici e dei complessi produttivi non possono superare un terzo dell'area di proprietà.
Le limitazioni previste ai commi precedenti si applicano nei Comuni che hanno adottato il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione fino ad un anno dalla data di presentazione al Ministero dei lavori pubblici. Qualora il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione sia restituito al Comune, le limitazioni medesime si applicano fino ad un anno dalla data di nuova trasmissione al Ministero dei lavori pubblici.
Qualora l'agglomerato urbano rivesta carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento o restauro, senza alterazioni di volumi. Le aree libere sono inedificabili fino all'approvazione del piano regolatore generale.
Nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite altezze superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la disposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
Le disposizioni di cui ai commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto hanno applicazione dopo un anno dall'entrata in vigore della presente legge. Le licenze edilizie rilasciate nel medesimo periodo non sono prorogabili e le costruzioni devono essere ultimate entro due anni dalla data di inizio dei lavori.
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.
I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima.".
Art. 18
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41, è aggiunto il seguente articolo 41-sexies:
"Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione.".
Art. 19
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41, è aggiunto il seguente articolo 41-septies:
"Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nella edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada.
Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l'interno, entro sei mesi dalla entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica.
Fino alla emanazione del decreto di cui al precedente comma, si applicano a tutte le autostrade le disposizioni di cui all'articolo 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729. Lungo le rimanenti strade, fuori del perimetro dei centri abitati è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore alla metà della larghezza stradale misurata dal ciglio della strada con un minimo di metri cinque.".
Art. 20
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, è aggiunto il seguente articolo 41-octies:
"Il controllo della Giunta provinciale amministrativa sulle deliberazioni dei Consigli comunali, assunte ai sensi della presente legge, viene esercitato entro il termine di 90 giorni dalla data di trasmissione della deliberazione. In mancanza di provvedimenti entro detto termine la deliberazione si intende approvata.".
Art. 21
Le disposizioni della presente legge si estendono, in quanto applicabili, alle Regioni a Statuto speciale e alle provincie di Trento e di Bolzano salve le competenze legislative ed amministrative ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi Statuti e delle norme di attuazione.
Art. 22
La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Quando nella presente legge in articoli o commi sostitutivi o aggiuntivi o comunque inseriti nella legge 17 agosto 1942, n. 1150, si fa riferimento alla “entrata in vigore della presente legge”, il riferimento medesimo si intende fatto alla data di cui al primo comma del presente articolo.
Traduzione del testo ufficiale in inglese e francese predisposta dal Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d’Europa in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Ambientali e Paesaggistici, in occasione della Conferenza Ministeriale di Apertura alla Firma della Convenzione europea del Paesaggio. La traduzione del testo è stata curata da Manuel R. Guido e Daniela Sandroni dell’Ufficio Centrale per i Beni ambientali e paesaggistici. Qui il testo ufficiale in lingua inglese e francese.
Preambolo
Gli Stati membri del Consiglio d'Europa, firmatari della presente Convenzione,
Considerando che il fine del Consiglio d’Europa è di realizzare un’unione più stretta fra i suoi membri, per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che sono il loro patrimonio comune, e che tale fine è perseguito in particolare attraverso la conclusione di accordi nel campo economico e sociale;
Desiderosi di pervenire ad uno sviluppo sostenibile fondato su un rapporto equilibrato tra i bisogni sociali, l'attività economica e l’ambiente;
Constatando che il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all'attività economica, e che, se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro;
Consapevoli del fatto che il paesaggio coopera all’elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell’Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell’identità europea;
Riconoscendo che il paesaggio è in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana;
Osservando che le evoluzioni delle tecniche di produzione agricola, forestale, industriale e pianificazione mineraria e delle prassi in materia di pianificazione territoriale, urbanistica, trasporti, reti, turismo e svaghi e, più generalmente, i cambiamenti economici mondiali continuano, in molti casi, ad accelerare le trasformazioni dei paesaggi;
Desiderando soddisfare gli auspici delle popolazioni di godere di un paesaggio di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione;
Persuasi che il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale, e che la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua pianificazione comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo;
Tenendo presenti i testi giuridici esistenti a livello internazionale nei settori della salvaguardia e della gestione del patrimonio naturale e culturale, della pianificazione territoriale, dell’autonomia locale e della cooperazione transfrontaliera e segnatamente la Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale d'Europa (Berna, 19 settembre 1979), la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico d'Europa (Granada, 3 ottobre 1985), la Convenzione europea per la tutela del patrimonio archeologico (rivista) (La Valletta, 16 gennaio 1992), la Convenzione-quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio 1980) e i suoi protocolli addizionali, la Carta europea dell'autonomia locale (Strasburgo, 15 ottobre 1985), la Convenzione sulla biodiversità (Rio, 5 giugno 1992), la Convenzione sulla tutela del patrimonio mondiale, culturale e naturale (Parigi, 16 novembre 1972), e la Convenzione relativa all'accesso all'informazione, alla partecipazione del pubblico al processo decisionale e all'accesso alla giustizia in materia ambientale (Aarhus, 25 giugno 1998) ;
Riconoscendo che la qualità e la diversità dei paesaggi europei costituiscono una risorsa comune per la cui salvaguardia, gestione e pianificazione occorre cooperare;
Desiderando istituire un nuovo strumento dedicato esclusivamente alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione di tutti i paesaggi europei;
Hanno convenuto quanto segue:
CAPITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1 - Definizioni
Ai fini della presente Convenzione:
a )"Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni;
b) "Politic a del paesaggio" designa la formulazione, da parte delle autorità pubbliche competenti, dei principi generali, delle strategie e degli orientamenti che consentano l'adozione di misure specifiche finalizzate a salvaguardare gestire e pianificare il paesaggio;
c) “Obiettivo di qualità paesaggistica” designa la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita;
d) “Salvaguardia dei paesaggi” indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano;
e) “Gestione dei paesaggi” indica le azioni volte, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali;
f) “Pianificazione dei paesaggi” indica le azioni fortemente lungimiranti, volte alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi.
Articolo 2 - Campo di applicazione
Fatte salve le disposizioni dell'articolo 15, la presente Convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i paesaggi degradati.
Articolo 3 - Obiettivi
La presente Convenzione si prefigge lo scopo di promuovere la salvaguardia, la gestione e la pianificazione dei paesaggi e di organizzare la cooperazione europea in questo campo.
CAPITOLO II - PROVVEDIMENTI NAZIONALI
Articolo 4 - Ripartizione delle competenze
Ogni Parte applica la presente Convenzione e segnatamente i suoi articoli 5 e 6, secondo la ripartizione delle competenze propria al suo ordinamento, conformemente ai suoi principi costituzionali e alla sua organizzazione amministrativa, nel rispetto del principio di sussidiarietà, tenendo conto della Carta europea dell’autonomia locale. Senza derogare alle disposizioni della presente Convenzione, ogni Parte applica la presente Convenzione in armonia con le proprie politiche.
Articolo 5 – Provvedimenti generali
Ogni Parte si impegna a :
a) riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità;
b) stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla protezione, alla gestione, alla pianificazione dei paesaggi tramite l’adozione delle misure specifiche di cui al seguente articolo 6;
c) avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche menzionate al precedente capoverso b;
d) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio.
Articolo 6 - Misure specifiche
A. Sensibilizzazione
Ogni parte si impegna ad accrescere la sensibilizzazione della società civile, delle organizzazioni private e delle autorità pubbliche al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione.
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B. Formazione ed educazione
Ogni Parte si impegna a promuovere :
a) la formazione di specialisti nel settore della conoscenza e dell’intervento sui paesaggi;
b.) dei programmi pluridisciplinari di formazione sulla politica, la salvaguardia, la gestione e la pianificazione del paesaggio destinati ai professionisti del settore pubblico e privato e alle associazioni di categoria interessate;
c) degli insegnamenti scolastici e universitari che trattino, nell’ambito delle rispettive discipline, dei valori connessi con il paesaggio e delle questioni riguardanti la sua salvaguardia , la sua gestione e la sua pianificazione.
C. Individuazione e valutazione
1. Mobilitando i soggetti interessati conformemente all’articolo 5.c, e ai fini di una migliore conoscenza dei propri paesaggi, ogni Parte si impegna a.
a) (i)individuare i propri paesaggi, sull'insieme del proprio territorio; (ii) analizzarne le caratteristiche, nonché le dinamiche e le pressioni che li modificano; (iii) seguirne le trasformazioni ;
b) valutare i paesaggi individuati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attribuiti dai soggetti e dalle popolazioni interessate.
2. I lavori di individuazione e di valutazione verranno guidati dagli scambi di esperienze e di metodologie organizzati tra le Parti, su scala europea, in applicazione dell’articolo 8 della presente Convenzione.
D. Obiettivi di qualità paesaggistica
Ogni parte si impegna a stabilire degli obiettivi di qualità paesaggistica riguardanti i paesaggi individuati e valutati, previa consultazione pubblica, conformemente all’articolo 5.c.
E. A pplicazione
Per attuare le politiche del paesaggio, ogni Parte si impegna ad attivare gli strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi.
CAPITOLO III – COOPERAZIONE EUROPEA
Articolo 7 – Politiche e programmi internazionali
Le Parti si impegnano a cooperare perchè venga tenuto conto della dimensione paesaggistica nelle loro politiche e programmi internazionali e a raccomandare, se del caso, che vi vengano incluse le considerazioni relative al paesaggio.
Articolo 8 – Assistenza reciproca e scambio di informazioni
Le Parti si impegnano a cooperare per rafforzare l'efficacia dei provvedimenti presi ai sensi degli articoli della presente Convenzione, e in particolare a:
a) prestarsi reciprocamente assistenza, dal punto di vista tecnico e scientifico, tramite la raccolta e lo scambio di esperienze e di lavori di ricerca in materia di paesaggio;
b) favorire gli scambi di specialisti del paesaggio, segnatamente per la formazione e l’informazione;
c) scambiarsi informazioni su tutte le questioni trattate nelle disposizioni della presente Convenzione.
Articolo 9 – Paesaggi transfrontalieri
Le Parti si impegnano ad incoraggiare la cooperazione transfrontaliera a livello locale e regionale, ricorrendo, se necessario, all'elaborazione e alla realizzazione di programmi comuni di valorizzazione del paesaggio.
Articolo 10 – Controllo dell'applicazione della Convenzione
1. I competenti Comitati di esperti già istituiti ai sensi dell'articolo 17 dello Statuto del Consiglio d'Europa, sono incaricati dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del controllo dell'applicazione della Convenzione.
2. Dopo ogni riunione dei Comitati di esperti, il Segretario Generale del Consiglio d'Europa trasmette un rapporto sui lavori e sul funzionamento della Convenzione al Comitato dei Ministri.
3. I Comitati di esperti propongono al Comitato dei Ministri i criteri per l'assegnazione e il regolamento del Premio del Paesaggio del Consiglio d'Europa.
Articolo 11 – Premio del Paesaggio del Consiglio d'Europa
1. Il Premio del paesaggio del Consiglio d'Europa può essere assegnato alle collettività locali e regionali e ai loro consorzi che, nell’ambito della politica paesaggistica di uno Stato Parte contraente della presente Convenzione, hanno attuato una politica o preso dei provvedimenti volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione sostenibile dei loro paesaggi che dimostrino una efficacia durevole e possano in tal modo servire da modello per le altre collettività territoriali europee. Tale riconoscimento potrà ugualmente venir assegnato alle organizzazioni non governative che abbiano dimostrato di fornire un apporto particolarmente rilevante alla salvaguardia, alla gestione o alla pianificazione del paesaggio.
2. Le candidature per l'assegnazione del Premio del paesaggio del Consiglio d'Europa saranno trasmesse ai Comitati di Esperti di cui all'articolo 10 dalle Parti. Possono essere candidate delle collettività locali e regionali transfrontaliere, nonché dei raggruppamenti di collettività locali o regionali, purché gestiscano in comune il paesaggio in questione.
3. Su proposta dei Comitati di esperti di cui all'articolo 10, il Comitato dei Ministri definisce e pubblica i criteri per l'assegnazione del Premio del Paesaggio del Consiglio d'Europa, ne adotta il regolamento e conferisce il premio.
4. L'assegnazione del Premio del paesaggio del Consiglio d'Europa stimola i soggetti che lo ricevono a vigilare affinché i paesaggi interessati vengano salvaguardati, gestiti e/o pianificati in modo sostenibile.
CAPITOLO IV – CLAUSOLE FINALI
Articolo 12 – Relazioni con altri strumenti giuridici
Le disposizioni della presente Convenzione non precludono l’applicazione di disposizioni più severe in materia di salvaguardia, gestione o pianificazione dei paesaggi contenute in altri strumenti nazionali od internazionali vincolanti che sono o saranno in vigore.
Articolo 13 – Firma, ratifica, entrata in vigore
1. La presente Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Sarà sottoposta a ratifica, accettazione o approvazione. Gli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione saranno depositati presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa;
2. La presente Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui dieci Stati membri del Consiglio d’Europa avranno espresso il loro consenso a essere vincolati dalla Convenzione conformemente alle disposizioni del precedente paragrafo;
3. Per ogni Stato firmatario che esprimerà successivamente il proprio consenso ad essere vincolato dalla Convenzione, essa entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data del deposito dello strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione.
Articolo 14 – Adesione
1. Dal momento dell’entrata in vigore della presente Convenzione, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa potrà invitare la Comunità Europea e ogni Stato europeo non membro del Consiglio d’Europa ad aderire alla presente Convenzione, con una decisione presa dalla maggioranza prevista all’articolo 20.d dello statuto del Consiglio d’Europa, e all’unanimità degli Stati Parti Contraenti aventi il diritto a sedere nel Comitato dei Ministri;
2. Per ogni Stato aderente o per la Comunità Europea in caso di adesione, la presente Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data del deposito dello strumento di adesione presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
Articolo 15 – Applicazione territoriale
1. Ogni Stato o la Comunità europea può, al momento della firma o al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, designare il territorio o i territori in cui si applicherà la presente Convenzione;
2. Ogni Parte può, in qualsiasi altro momento successivo, mediante dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, estendere l’applicazione della presente Convenzione a qualsiasi altro territorio specificato nella dichiarazione. La Convenzione entrerà in vigore nei confronti di detto territorio il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data in cui la dichiarazione è stata ricevuta dal Segretario Generale;
3. Ogni dichiarazione fatta in virtù dei due paragrafi precedenti potrà essere ritirata per quanto riguarda qualsiasi territorio specificato in tale dichiarazione, con notifica inviata al Segretario Generale. Il ritiro avrà effetto il primo giorno del mese che segue lo scadere di un periodo di tre mesi dalla data del ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale.
Articolo 16 – Denuncia
1. Ogni Parte può, in qualsiasi momento, denunciare la presente Convenzione, mediante una notifica indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa;
2. Tale denuncia prenderà effetto il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periododi tre mesi dalla data in cui la notifica è stata ricevuta da parte del Segretario Generale.
Articolo 17 – Emendamenti
1. Ogni Parte o i Comitati di Esperti indicati all'articolo 10 possono proporre degli emendamenti alla presente Convenzione.
2. Ogni proposta di emendamento è notificata per iscritto al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, che a sua volta la trasmette agli Stati membri del Consiglio d’Europa, alle altre Parti contraenti e ad ogni Stato europeo non membro che sia stato invitato ad aderire alla presente Convenzione ai sensi dell'articolo 14.
3. Ogni proposta di emendamento verrà esaminata dai Comitati di Esperti indicati all'articolo 10 e il testo adottato a maggioranza dei tre quarti dei rappresentanti delle Parti verrà sottoposto al Comitato dei Ministri per l’adozione. Dopo la sua adozione da parte del Comitato dei Ministri secondo la maggioranza prevista all'articolo 20. d dello Statuto del Consiglio d'Europa e all'unanimità dei rappresentanti degli Stati Parti Contraenti aventi il diritto di partecipare alle riunioni del Comitato dei Ministri, il testo verrà trasmesso alle Parti per l’accettazione.
4. Ogni emendamento entra in vigore, nei confronti delle Parti che l’abbiano accettato, il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data in cui tre Parti Contraenti, membri del Consiglio d’Europa avranno informato il Segretario Generale di averlo accettato. Per qualsiasi altra Parte che l’avrà accettato successivamente, l’emendamento entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data in cui la detta Parte avrà informato il Segretario Generale di averlo accettato.
Articolo 18 – Notifiche
Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio d’Europa, a ogni Stato o alla Comunità Europea che abbia aderito alla presente Convenzione:
a) ogni firma;
b) il deposito di ogni strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione;
c) ogni data di entrata in vigore della presente Convenzione conformemente agli articoli 13, 14 e 15;
d) ogni dichiarazione fatta in virtù dell'articolo 15;
e) ogni denuncia fatta in virtù dell'articolo 16;
f) ogni proposta di emendamento, cosi' come ogni emendamento adottato conformemente all'articolo 17 e la data in cui tale emendamento entrerà in vigore;
g) ogni altro atto, notifica, informazione o comunicazione relativo alla presente Convenzione.
In fede di che, i sottoscritti, debitamente autorizzati a questo fine, hanno firmato la presente Convenzione.
Fatto a Firenze, il 20 ottobre 2000, in francese e in inglese, facendo i due testi ugualmente fede, in un unico esemplare che sarà depositato negli archivi del Consiglio d’Europa. Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa ne trasmetterà copia certificata conforme a ciascuno degli Stati membri del Consiglio d’Europa, nonché a ciascuno degli Stati o alla Comunità Europea invitati ad aderire alla presente Convenzione.
Ho letto il commento di eddyburg sulla proposta di legge Mariani di riforma del governo del territorio ( eddytoriale n. 102) e lo condivido quasi completamente. Penso che siano stati introdotti sostanziali correttivi alla precedente proposta. Trovo giusti anche i rilievi avanzati, sia di tipo linguistico (ma poi non tanto), sia quelli relativi alla delega alle regioni di argomenti che dovrebbero essere invece stabiliti a livello nazionale (come la salvaguardia e il rispetto degli standards).
C’è però un punto che mi sembra sottovalutato. Si tratta del tema del ruolo del privato nell’attuazione della pianificazione operativa aperto dall’art. 20 denominato “concorrenzialità”. L’articolo, pur ribadendo la “titolarità pubblica della pianificazione del territorio”, consente alle regioni di istituire “forme di confronto concorrenziale” “obbligatorie” per “promuovere e selezionare capacità e risorse imprenditoriali e progettuali private e pubbliche, garantendo pubblicità e trasparenza del processo, nonché un equo trattamento della proprietà e assicurando la coerenza con il piano strutturale”.
Mi sembra un argomento della massima importanza e delicatezza che non viene regolato con la precisione necessaria. Anche nelle relazioni di accompagnamento della proposta di legge questo punto è inspiegabilmente taciuto.
E’ ovvio che una nuova forma di coinvolgimento dei privati nell’attuazione dei piani, rispetto a quella tradizionale, può essere molto utile, ma credo che si debba definire un equilibrio intelligente senza rinunciare al coordinamento pubblico delle iniziative, pena l’unità della manovra di pianificazione alla scala urbana complessiva.
Peraltro le due regioni “rosse” (Emilia Romagna e Toscana) hanno già inserito questo dispositivo nelle loro leggi di governo del territorio. Le prime sporadiche applicazioni tuttavia, a quanto mi risulta, sono discutibili. In Toscana ci sono Regolamenti urbanistici che hanno aperto una complicata fase di trattative e altri che hanno introdotto norme ambigue come le “aree a previsione urbanistica differita”, per le quali l’approfondimento delle indicazioni del Piano strategico (localizzazione delle edificazioni, degli spazi pubblici e delle infrastrutture, ripartizione delle funzioni, modalità di realizzazione) è rinviata al bando di avviso pubblico.
Segnalo due punti che mi sembrano importanti per i dubbi che sollevano.
Il primo riguarda il “progetto di città”, che la legge ribadisce essere di titolarità pubblica, ma che al contempo affida ai privati nella parte operativa, conculcando l’idea che al pubblico competa solo la definizione, sempre più vaga, “strutturale“ e “strategica” del piano.
Questa linea, che mi sembra generalizzata nell’area milanese, è stata difesa nelle regioni “rosse” con lo slogan “piano pubblico e progetti privati”: è una linea che contrasta con la tradizione della pianificazione urbanistica e con i risultati del dibattito culturale e della prassi del buongoverno delle città europee degli ultimi trent’anni, come dimostrano le più acclamate esperienze (da Barcellona a Parigi e alle altre città francesi e spagnole), nelle quali le grandi operazioni di trasformazione urbanistica hanno avuto sempre oltre ad una forte regia pubblica anche un “disegno” pubblico delle localizzazioni e delle modalità di trasformazione. Abbandonare il controllo delle localizzazioni e delle modalità di trasformazione ai privati perché non si riesce ad operare con gli strumenti intermedi tradizionali di attuazione mi sembra un’approssimazione molto riduttiva, con due rischi: da un lato quello di non considerare gli effetti sociali ed ambientali complessivi delle trasformazioni (che solo un punto di vista generale può prendere in considerazione); dall’altro quello di sminuire il valore innovativo della perequazione trasformandola da strumento che dovrebbe garantire un organico disegno urbanistico con la distribuzione equilibrata di vantaggi e oneri in semplice patto economico fra operatori.
Il secondo punto riguarda i principi di “concorrenzialità” e “trasparenza”.
Siamo sicuri che la trasposizione di un dispositivo tipo appalto dei lavori pubblici alla sistemazione delle città (cioè ad azioni di grande complessità con riflessi sulla struttura sociale ed economica) possa funzionare meglio di quanto gli appalti funzionino oggi e in condizioni di maggior “trasparenza”? E’ giusto non definire i criteri di selezione delle diverse proposte e lasciare che ogni regione decida magari delegando ai comuni per quel malinteso principio di “federalismo” oggi tanto in voga? E’ giusto non introdurre, parlando di “trasparenza”, degli obblighi di reale partecipazione non tanto dei proprietari e degli imprenditori interessati alle operazioni, ma degli abitanti coinvolti? Ed è giusto generalizzare l’attuazione dei piani in quel modo o non è meglio limitarla a casi precisi e pensare a munire i comuni di strumenti e mezzi più idonei alla trattativa definendo forme di rafforzamento delle strutture tecniche (ad esempio, nel caso di comuni piccoli, forme di associazionismo obbligatorio ed economicamente assistito, compartecipazione delle altre istituzioni per il principio di sussidarietà, ecc.)?
Infine, non credo ci sia bisogno di insistere sul fatto che sguinzagliare lo strumento dell’avviso pubblico fra privati per l’attuazione delle previsioni (come una specie di “asta dei diritti edificatorii” come è stata definita) senza disciplinarlo adeguatamente rischia di ingenerare uno stato di confusione e di incertezze (criteri di giudizio e di selezione fra le proposte, varianti ai piani, trattativa continua) che possono aprire la porta a pressioni indebite.
Penso comunque che su questi argomenti sia necessario e urgente raccogliere altri elementi di valutazione. Ti segnalo al riguardo che al dipartimento di urbanistica e pianificazione del territorio dell’università di Firenze intendiamo promuovere un seminario sul tema del rapporto pubblico/privato verso la fine di maggio del quale a parte ti invio il programma in bozza.
Le preoccupazioni di Marco Massa sono del tutto condivisibili. Si dimentica spesso in Italia che la proprietà immobiliare non è l'impresa, e che è sbagliato voler introdurre regole proprie del mercato concorrenziale in un ambiente economico che del mercato concorrenziale ha poco o nulla. Comunque, la p.d.l. firmata dall'on. Mariani e da moltissimi altri deputati dei DS e di DL è stata - da nostre informazioni - ulteriormente modificata. Speriamo di poterla mettere a disposizione dei nostri lettori nei prossimi giorni. Allora la valutazione potrà essere più completa.
Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967
Art. 1 - Campo di applicazione
Le disposizioni che seguono si applicano ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggiati e lottizzazioni convenzionate; ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate; alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti.
Art. 2 - Zone territoriali omogenee
Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765:
A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;
B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;
C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B);
D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;
E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C);
F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.
Art. 3 - Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi
Per gli insediamenti residenziali, i rapporti massimi di cui all'art. 17, penultimo comma, della legge n. 765, penultimo comma, della legge n. 765 sono fissati in misura tale da assicurare per ogni abitante - insediato o da insediare - la dotazione minima, inderogabile, di mq 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.
Tale quantità complessiva va ripartita, di norma, nel modo appresso indicato:
a) mq 4,50 di aree per l'istruzione: asili nido, scuole materne e scuole dell'obbligo;
b) mq 2,00 di aree per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi (uffici P.T., protezione civile, ecc.) ed altre;
c) mq 9,00 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade;
d) mq 2,50 di aree per parcheggi (in aggiunta alle superfici a parcheggio previste dall'art. 18 della legge n. 765): tali aree - in casi speciali - potranno essere distribuite su diversi livelli.
Ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.).
Art. 4 - Quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee
La quantità minima di spazi - definita al precedente articolo in via generale - è soggetta, per le diverse zone territoriali omogenee, alle articolazioni e variazioni come appresso stabilite in rapporto alla diversità di situazioni obiettive.
1 - Zone A): l'Amministrazione comunale, qualora dimostri l'impossibilità - per mancata disponibilità di aree idonee, ovvero per ragioni di rispetto ambientale e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni della zona stessa - di raggiungere le quantità minime di cui al precedente articolo 3, deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi ed attrezzature.
2 - Zone B): quando sia dimostrata l'impossibilità - detratti i fabbisogni comunque già soddisfatti - di raggiungere la predetta quantità di spazi su aree idonee, gli spazi stessi vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi di influenza delle singole attrezzature e della organizzazione dei trasporti pubblici.
Le aree che vanno destinate agli spazi di cui al precedente art. 3 nell'ambito delle zone A) e B) saranno computate, ai fini della determinazione delle quantità minime prescritte dallo stesso articolo, in misura doppia di quella effettiva.
3 - Zone C): deve essere assicurata integralmente la quantità minima di spazi di cui all'art. 3.
Nei Comuni per i quali la popolazione prevista dagli strumenti urbanistici non superi i 10 mila abitanti, la predetta quantità minima di spazio è fissata in mq 12 dei quali mq 4 riservati alle attrezzature scolastiche di cui alla lett. a) dell'art 3. La stessa disposizione si applica agli insediamenti residenziali in Comuni con popolazione prevista superiore a 10 mila abitanti, quando trattasi di nuovi complessi insediativi per i quali la densità fondiaria non superi 1 mc/mq.
Quando le zone C) siano contigue o in diretto rapporto visuale con particolari connotati naturali del territorio (quali coste marine, laghi, lagune, corsi d'acqua importanti; nonché singolarità orografiche di rilievo) ovvero con preesistenze storico-artistiche ed archeologiche, la quantità minima di spazio di cui al punto c) del precedente art. 3 resta fissata in mq 15: tale disposizione non si applica quando le zone siano contigue ad attrezzature portuali di interesse nazionale.
4 - Zone E): la quantità minima è stabilita in mq 6 da riservare complessivamente per le attrezzature ed i servizi di cui alle lettere a) e b) del precedente art. 3.
5 - Zone F): gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale - quando risulti l'esigenza di prevedere le attrezzature stesse - debbono essere previsti in misura non inferiore a quella appresso indicata in rapporto alla popolazione del territorio servito:
-1,5 mq/abitante per le attrezzature per l'istruzione superiore all'obbligo (istituti universitari esclusi);
-1 mq/ abitante per le attrezzature sanitarie ed ospedaliere;
-15 mq/ abitante per i parchi pubblici urbani e territoriali.
Art. 5 - Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pubblici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi
l rapporti massimi di cui all'art 17 della legge n 765, per gli insediamenti produttivi, sono definiti come appresso:
1) nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D) la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell'intera superficie destinata a tali insediamenti;
2) nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all'art. 18 della legge n. 765); tale quantità, per le zone A) e B) è ridotta alla metà, purché siano previste adeguate attrezzature integrative.
Art. 6 - Mancanza di aree disponibili
l Comuni che si trovano nell'impossibilità, per mancanza di aree disponibili, di rispettare integralmente le norme stabilite per le varie zone territoriali omogenee dai precedenti articoli 3, 4 e 5 debbono dimostrare tale indisponibilità anche agli effetti dell'art 3, lett. d) e dell'articolo 5, n. 2 della legge n. 765.
Art. 7 - Limiti di densità edilizia
I limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone territoriali omogenee sono stabiliti come segue:
1) Zone A):
- per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni conservative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico;
- per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della zona e, in nessun caso, i 5 mc/mq;
2) Zone B): le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli artt. 3, 4 e 5.
Qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai seguenti limiti:
-7 mc/mq per comuni superiori ai 200 mila abitanti;
- 6 mc/mq per comuni tra 200 mila e 50 mila abitanti;
- 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50 mila abitanti.
Gli abitanti sono riferiti alla situazione del Comune alla data di adozione del piano.
Sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando esse non eccedano il 70% delle densità preesistenti.
3) Zone C): i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla combinata applicazione delle norme di cui agli artt. 3, 4 e 5 e di quelle di cui agli artt. 8 e 9, nonché dagli indici di densità fondiaria che dovranno essere stabiliti in sede di formazione degli strumenti urbanistici, e per i quali non sono posti specifici limiti.
4) Zone E): è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc 0,03 per mq.
Art. 8 - Limiti di altezza degli edifici
Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A):
- per le operazioni di risanamento conservativo non è consentito superare le altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture;
- per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l'altezza massima di ogni edificio non può superare l'altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico;
2) Zone B): l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7.
3) Zone C: contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A): le altezze massime dei nuovi edifici non possono superare altezze compatibili con quelle degli edifici delle zone A) predette.
4) Edifici ricadenti in altre zone: le altezze massime sono stabilite dagli strumenti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i fabbricati di cui al successivo art. 9.
Art. 9 - Limiti di distanza tra i fabbricati
Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.
Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
- ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7.
- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
- ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765
Art. 1 - Campo di applicazione delle presenti disposizioni
Le disposizioni che seguono, relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione.
Art. 2 - Definizione del ciglio della strada
Si definisce ciglio della strada la linea di limite della sede o piattaforma stradale comprendente tutte le sedi viabili, sia veicolari che pedonali, ivi incluse le banchine od altre strutture laterali alle predette sedi quando queste siano transitabili, nonché le strutture di delimitazione non transitabili (parapetti, arginelle e simili).
Art. 3 - Distinzione delle strade
Le strade, in rapporto alla loro natura ed alle loro caratteristiche, vengono così distinte agli effetti della applicazione delle disposizioni di cui ai successivi articoli:
A) Autostrade: autostrade di qualunque tipo (legge 7 febbraio 1961, n. 59, art. 4); raccordi autostradali riconosciuti quali autostrade ed aste di accesso fra le autostrade e la rete viaria della zona (legge 19 ottobre 1965, n. 1197 e legge 24 luglio 1961, n. 729 art. 9);
B) Strade di grande comunicazione o di traffico elevato: strade statali comprendenti itinerari internazionali (legge 16 marzo 1956, n. 371, allegato 1); strade statali di grande comunicazione (legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 14); raccordi autostradali non riconosciuti; strade a scorrimento veloce (in applicazione della legge 26 giugno 1965, n. 717, art. 7);
C) Strade di media importanza: strade statali non comprese tra quelle della categoria precedente; strade provinciali aventi larghezza della sede superiore o eguale a m. 10,50; strade comunali aventi larghezza della sede superiore o eguale a m. 10,50;
D) Strade di interesse locale: strade provinciali e comunali non comprese tra quelle della categoria precedente.
Art. 4 - Norme per le distanze
Le distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, sono così da stabilire:
strade di tipo A) - m. 60,00;
strade di tipo B) - m. 40,00;
strade di tipo C) - m. 30,00;
strade di tipo D) - m. 20,00.
A tali distanze minime va aggiunta la larghezza dovuta alla proiezione di eventuali scarpate o fossi e di fasce di espropriazione risultanti da progetti approvati.
Art. 5 - Distanze in corrispondenza di incroci
In corrispondenza di incroci e biforcazioni le fasce di rispetto determinate dalle distanze minime sopraindicate sono incrementate dall'area determinata dal triangolo avente due lati sugli allineamenti di distacco, la cui lunghezza, a partire dal punto di intersezione degli allineamenti stessi sia eguale al doppio delle distanze stabilite nel primo comma del precedente art. 4, afferenti alle rispettive strade, e il terzo lato costituito dalla retta congiungente i due punti estremi.
Resta fermo quanto prescritto per gli incroci relativi alle strade costituenti itinerari internazionali (legge 16 marzo 1956, n. 371, allegato 2).
Art. 1
I Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di Provincia sono tenuti a formare un piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico.
Tutti gli altri Comuni possono procedere, con deliberazione del Consiglio comunale, alla formazione del piano.
Il Ministro per i lavori pubblici, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, può, con un suo decreto, disporre la formazione del piano nei Comuni che non si siano avvalsi della facoltà di cui al comma precedente, nonostante invito motivato da parte del Ministro stesso, quando se ne ravvisi la necessità e, in particolare, quando ricorra una delle seguenti condizioni:
a) che siano limitrofi ai Comuni di cui al primo comma;
b) che abbiano una popolazione di almeno 20.000 abitanti;
c) che siano riconosciuti stazioni di cura, soggiorno o turismo;
d) che abbiano un indice di affollamento, secondo i dati ufficiali dell’Istituto centrale di statistica, superiore a 1,5;
e) nei quali sia in atto un incremento demografico straordinario;
f) nei quali vi sia una percentuale di abitazioni malsane superiore all’8 per cento.
Più Comuni limitrofi che si trovano nelle condizioni di cui al presente articolo possono costituirsi in consorzio per la formazione di un unico piano consorziale ai sensi della presente legge.
Art. 2
Qualora nel termine di 180 giorni decorrente dalla data di entrata in vigore della presente legge o, nei casi di cui all’articolo 1, terzo comma, dalla comunicazione del provvedimento del Ministro per i lavori pubblici, il Comune non abbia deliberato il piano, il Prefetto, salvo il caso di proroga concessa dal Ministro su richiesta del Comune, provvede alla nomina di un commissario per la formazione del piano.
Il commissario è tenuto a compilare il piano entro i 180 giorni dalla data del decreto di nomina e a portarlo entro i successivi 30 giorni a conoscenza del Consiglio comunale.
Art. 3
L’estensione delle zone da includere nei piani è determinata in relazione alle esigenze dell’edilizia economica e popolare e dal suo prevedibile sviluppo per un decennio.
Le aree da comprendere nei piani sono, di norma, scelte nelle zone destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza in quelle di espansione dell’aggregato urbano.
Possono essere comprese nei piani anche le aree sulle quali insistono immobili da demolirsi per ragioni igienico-sanitarie e individuate nell’ambito di piani particolareggiati di esecuzine del piano regolatore.
Ove si manifesti l’esigenza di reperire in parte le aree per la formazione dei piani in zone non destinate all’edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, o si renda comunque necessario apportare modifiche a questi ultimi, si può procedere con varianti agli stessi. In tale caso il piano approvato a norma della presente legge costituisce variante al piano regolatore.
Qualora non esista piano regolatore, le zone riservate all’edilizia economica e popolare, ai sensi dei precedenti commi, sono comprese in un programma di fabbricazione, il quale è compilato a norma dell’articolo 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, ed è approvato a norma dell’articolo 8 della presente legge.
Art. 4
Il piano deve contenere i seguenti elementi:
a) la rete stradale e la delimitazione degli spazi riservati ad opere ed impianti di interesse pubblico, nonché ad edifici pubblici o di culto;
b) la suddivisione in lotti delle aree, con l’indicazione della tipologia edilizia e, ove del caso, l’ubicazione e la volumetria dei singoli edifici;
c) la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future.
Art. 5
Il progetto del piano è costituito dai seguenti elaborati:
1) planimetria in scala non inferiore a 1:10.000, contenente le previsioni del piano regolatore, ovvero, quando questo non esista, le indicazioni del programma di fabbricazione, con la precisa individuazione delle zone destinate all’edilizia popolare;
2) planimetria in scala non inferiore ad 1:2.000, disegnata sulla mappa catastale e contenente gli elementi di cui all’articolo 4;
3) gli elenchi catastali delle proprietà comprese nel piano;
4) il compendio delle norme urbanistiche edilizie per la buona esecuzione del piano;
5) relazione illustrativa e relazione sulle previsioni della spesa occorrente per le sistemazioni generali necessarie per l’attuazione del piano.
Art. 6
Entro cinque giorni dalla deliberazione di adozione da parte del Consiglio comunale, il piano deve essere depositato nella segreteria comunale e rimanervi nei dieci giorni successivi.
Dell’eseguito deposito è data immediata notizia al pubblico mediante avviso da affiggere all’albo del Comune e da inserire nel Foglio annunzi legali della Provincia, nonché mediante manifesti.
Entro venti giorni dalla data di inserzione nel Foglio annunzi legali, gli interessati possono presentare al Comune le proprie opposizioni.
Nello stesso termine stabilito per il deposito nella segreteria comunale, il Sindaco comunica il piano anche alle competenti amministrazioni centrali dello Stato, ove esso riguardi terreni sui quali esistano vincoli paesistici, artistici o militari o che siano in uso di dette amministrazioni.
Le amministrazioni predette devono trasmettere al Comune le loro osservazioni entro trenta giorni dalla ricevuta comunicazione.
Art. 7
Decorso il periodo per le opposizioni e osservazioni, nonché il termine di trenta giorni di cui all’ultimo comma del precedente articolo 6, il Sindaco, nei successivi trenta giorni, trasmette tutti gli atti, con le deduzioni del Consiglio comunale sulle osservazioni ed opposizioni presentate, al Provveditore regionale alle opere pubbliche.
Art. 8
I piani sono approvati dal Provveditore regionale alle opere pubbliche, sentita la sezione urbanistica regionale, se non comportano varianti ai piani regolatori vigenti e se non vi sono opposizioni od osservazioni da parte delle Amministrazioni centrali dello Stato.
Qualora il piano comporti varianti al piano regolatore ovvero vi siano opposizioni od osservazioni da parte dei Ministeri di cui al comma che precede, il Provveditore regionale alle opere pubbliche, riscontrata la regolarità degli atti, li trasmette, entro trenta giorni dal ricevimento, al Ministero dei lavori pubblici con una relazione della sezione urbanistica regionale. In tale caso i piani sono approvati dal Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Con gli stessi provvedimenti di approvazione dei piani di cui ai due commi precedenti sono decise anche le opposizioni.
Il decreto di approvazione di ciascun piano va inserito per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ed è depositato, con gli atti allegati, nella segreteria comunale a libera visione del pubblico.
Dell’eseguito deposito è data notizia, a cura del Sindaco, con atto notificato nella forma delle citazioni, a ciascun proprietario degli immobili compresi nel piano stesso, entro venti giorni dalla inserzione nella Gazzetta Ufficiale.
Art. 9
I piani approvati ai sensi del precedente articolo 8 hanno efficacia per dieci anni dalla data del decreto di approvazione ed hanno valore di piani particolareggiati di esecuzione ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150.
Per giustificati motivi l’efficacia dei piani può, su richiesta del Comune interessato, essere prorogata, con decreto del Ministro per i lavori pubblici, per non oltre due anni.
L’approvazione dei piani equivale anche a dichiarazione di indifferibilità ed urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici in esso previsti.
La indicazione nel piano delle aree occorrenti per la costruzione di edifici scolastici sostituisce a tutti gli effetti la dichiarazione di idoneità preveduta dall’articolo 8 della legge 9 agosto 1954, n. 645.
Le aree comprese nel piano rimangono soggette, durante il periodo di efficacia del piano stesso, ad espropriazione a norma degli articoli seguenti, per i fini di cui al primo comma dell’articolo 1.
Art. 10
I Comuni ed i Consorzi, di cui all’articolo 1, ultimo comma, possono riservarsi l’acquisizione, anche mediante esproprio, fino ad un massimo del 50 per cento delle aree comprese nel piano, e sono autorizzati a cederne il diritto di superficie o a rivenderle, previa urbanizzazione e fatti salvi i diritti dei proprietari, a norma del successivo articolo 16, ad enti o privati che si impegnino a realizzare la costruzione di case economiche o popolari.
Il prezzo di cessione deve essere determinato sulla base del prezzo di acquisto o dell’indennità di esproprio, maggiorato delle spese sostenute per la realizzazione degli impianti urbanistici, tenendo conto, inoltre, della destinazione e dei volumi edificabili.
Le rimanenti aree edificabili possono essere richieste per la costruzione di case popolari:
a) dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni;
b) dall’Istituto nazionale per le case agli impiegati dello Stato e dagli Istituti autonomi per le case popolari;
c) dall’I.N.A.-Casa;
d) dalle Società cooperative per la costruzione di case popolari a favore dei propri soci;
e) dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani;
f) dagli enti morali, dagli enti e dagli istituti che costruiscono case popolari da assegnare in locazione o con patto di futura vendita, non aventi scopo di lucro.
Gli enti indicano al Sindaco o al Presidente del Consorzio le aree che intendono scegliere e l’entità delle costruzioni che sulle stesse intendono eseguire, entro il mese di novembre di ogni anno.
Art. 11
Entro il primo bimestre di ogni anno, in relazione al fabbisogno di aree per le costruzioni da parte degli enti indicati nel precedente articolo 10 e per i servizi di carattere generale di cui al successivo articolo 19, tenendo conto delle aree già prescelte dal Comune o dal Consorzio per l’esecuzione del proprio programma e per l’utilizzazione, ai fini del primo comma dell’articolo 10, delle aree di cui all’articolo 16, sulle quali i proprietari abbiano richiesto di costruire in proprio case popolari, viene compilato, tenendo conto dell’esigenza del coordinato utilizzo delle aree, l’elenco delle aree che si intendono acquistare o espropriare da parte degli enti stessi.
Nel caso di piano comunale, l’elenco è compilato da una commissione presieduta dal Sindaco e composta:
a) di due consiglieri comunali, di cui uno di minoranza;
b) del capo dell’Ufficio tecnico comunale;
c) dell’ingegnere capo dell’Ufficio del genio civile o di un suo delegato;
d) del presidente dell’Istituto autonomo provinciale per le case popolari o di un suo delegato;
e) di un rappresentante dell’I.N.A.-Casa.
Nel caso di piano consorziale, la composizione della commissione rimane invariata, per quanto riguarda le lettere c) d) ed e). I membri di cui alle lettere a) e b) si ripetono per ciascun Comune, aderente al Consorzio. Il presidente di questo presiede la commissione.
Potranno essere sentiti gli enti indicati nell’articolo 10.
Art. 12
L’Ufficio tecnico erariale determina l’indennità di espropriazione delle aree nella misura prevista dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359.
Il valore venale è riferito a due anni precedenti alla deliberazione comunale di adozione del piano e va determinato senza tenere conto degli incrementi di valore dipendenti, direttamente o indirettamente, dalla formazione e attuazione del piano.
L’Ufficio tecnico erariale comunica al Prefetto l’indennità da esso fissata.
Resta impregiudicata la facoltà dei Comuni e degli enti di cui all’articolo 10, terzo comma, di procedere all’espropriazione avvalendosi di altre norme vigenti.
Art. 13
Il Prefetto comunica la richiesta di espropriazione e la indennità determinata ai proprietari interessati, i quali entro il perentorio termine di trenta giorni possono dichiarare di essere disposti ad un accordo bonario sull’indennità stessa. Tale dichiarazione è dal Prefetto comunicata all’ente al quale l’area è stata destinata.
Art. 14
Qualora nel termine indicato nell’articolo 13, non sia intervenuta dichiarazione di accordo bonario o questo non sia stato seguito dall’atto di cessione, il Prefetto, ricevuta la prova dell’avvenuto deposito dell’indennità di espropriazione in misura pari a quella indicata nell’articolo 12, emette immediatamente il decreto di espropriazione.
Qualsiasi contestazione concernente l’indennità di espropriazione non interrompe il corso della espropriazione stessa e non ne impedisce gli effetti. L’azione giudiziaria deve essere proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla data di notificazione del decreto di espropriazione.
Art. 15
Le azioni di rivendicazione, di usufrutto, di ipoteca, di diretto dominio e, in genere, ogni altra azione esperibile sulle aree soggette ad espropriazione non possono interrompere il corso di questa né impedirne gli effetti.
Pronunciata l’espropriazione, tutti i diritti dei terzi, compresi quelli di uso civico si trasferiscono, ad ogni effetto, sulla indennità di espropriazione.
Art. 16
I proprietari delle aree, già destinate ad edilizia residenziale comprese nei piani approvati ai sensi della presente legge, possono, entro il mese di novembre di ogni anno, presentare domanda al Sindaco di costruire direttamente, sulle aree stesse, fabbricati aventi caratteristiche di abitazione di tipo economico o popolare.
Il Sindaco concede la licenza di costruzione su parere conforme della commissione di cui all’articolo 11, richiesto ai fini del coordinato utilizzo delle aree comprese nei piani, e sempre che non sussistano prevalenti esigenze degli enti indicati nell’articolo 10.
I progetti debbono essere preventivamente approvati dall’Ufficio del genio civile, al quale spetta di accertare che le costruzioni siano di tipo economico o popolare.
Art. 17
I proprietari che si avvalgono delle disposizioni dell’articolo 16 devono iniziare le costruzioni entro centoventi giorni dalla data di comunicazione dell’ottenuta licenza e ultimarle entro il biennio dall’inizio della costruzione.
L’accertamento dell’inizio e della ultimazione delle costruzioni è effettuato dagli Uffici del Genio civile.
Qualora le costruzioni non siano iniziate nel predetto termine di centoventi giorni, le aree relative sono destinate ad acquisti od espropriazioni secondo le norme della presente legge, ma il prezzo di acquisto o l’indennità sono corrisposte al proprietario con una riduzione del 10 per cento a titolo di penale.
L’ammontare della penale è versato al Comune direttamente dall’acquirente o espropriante ed è impiegato dal Comune per l’acquisto o l’esproprio delle aree a norma della presente legge e per l’esecuzione delle aree di cui al successivo articolo 19.
Qualora i lavori siano stati iniziati ma non ultimati nei termini di cui al primo comma del presente articolo, il Ministro per i lavori pubblici promuove l’espropriazione della costruzione per completarla e destinarla alle categorie di cui alla legge 9 agosto 1954, n. 640.
Il prezzo di espropriazione della parte costruita non può superare il valore dell’area calcolato ai sensi del precedente articolo 12, oltre, per le eventuali addizioni, la minor somma tra lo speso ed il migliorato.
I termini di cui al primo comma del presente articolo possono essere congruamente prorogati dalla commissione di cui all’articolo 11, qualora si tratti di costruzione destinata ad alloggio del proprietario dell’area e per la quale il proprietario stesso abbia fatto richiesta di fruire dei benefici di cui alle leggi vigenti sull’edilizia economica o popolare.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche per le costruzioni effettuate sulle aree cedute dai Comuni a norma del primo comma dell’articolo 10.
Art. 18
L’Ufficio del Genio civile esercita la vigilanza sulle costruzioni di cui agli articoli 16 e 17 per assicurarne la rispondenza alle norme della presente legge: qualora ne constati l’inosservanza ordina l’immediata sospensione dei lavori, con riserva dei provvedimenti necessari per la modifica delle costruzioni.
In caso di contravvenzione all’ordine di sospensione si applicano le sanzioni prevedute dall’articolo 41, lettera b), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.
La dichiarazione di abitabilità dei fabbricati di cui al presente articolo è rilasciata previa presentazione al Comune di un certificato dell’Ufficio del Genio civile attestante che la costruzione eseguita è conforme al progetto vistato ai sensi del primo comma.
Gli alloggi costruiti a norma del primo comma dell’articolo 16 possono essere dati in affitto solo a coloro che si trovino nelle condizioni di essere assegnatari di alloggi popolari ai sensi delle vigenti disposizioni, ad un canone, convenzionato con il Comune, per i primi quindici anni a decorrere dalla data di rilascio del certificato di abitabilità, determinato nella misura del 5 per cento sul costo di costruzione di abitazioni analoghe realizzate dagli Istituti autonomi per le case popolari.
Art. 19
I Comuni sono obbligati a provvedere, con priorità rispetto ad altre zone, alla sistemazione della rete viabile, alla dotazione dei necessari servizi igienici e all’allacciamento alla rete dei pubblici servizi delle zone incluse nei piani, utilizzate in proprio dagli entidi cui al terzo comma dell’articolo 10.
Art. 20
Salve le agevolazioni tributarie consentite dalle vigenti disposizioni, gli atti di acquisto o di espropriazione di cui agli articoli 13 e 14 della presente legge sono sottoposti a registrazione a tassa fissa e le imposte ipotecarie sono ridotte al quarto.
Gli onorari notarili sono ridotti alla metà.
Qualora le aree acquistate o espropriate non possano, per qualsiasi ragione, essere utilizzate dagli enti per i fini della presente legge o siano lasciate senza uso per un periodo di cinque anni dall’acquisto, si incorre nella decadenza dai benefici fiscali previsti dal presente articolo.
Di seguito la relazione, con link al documento ufficiale, completo dell'articolato, in formato .pdf
Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare
Relazione
Onorevoli Colleghi! - Il tema del governo del territorio ha una grande rilevanza per far esprimere all'Italia le sue potenzialità, determinate dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando questi temi in un'ottica di sviluppo sostenibile è possibile costruire un'ipotesi di modernizzazione e di innovazione del Paese.
Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l'azione di governo è rappresentato dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle infrastrutture, la qualità dell'ambiente urbano e la riconversione ecologica del sistema produttivo.
Per vincere questa sfida è necessario pensare alla qualità del territorio, delle città e della produzione, come uno dei “motori” per far ripartire l'Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall'aria e dall'acqua, e con le politiche di solidarietà, di equità e di inclusione sociali.
Per affrontare il tema del governo del territorio, dei suoi princìpi e delle sue regole, è necessario partire dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli strumenti utilizzati per “governare il cambiamento”. Affrontare questo tema significa, anche oggi, rendere esplicito e positivo il tema della “leale collaborazione” tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare le decisioni democratiche, condivise e trasparenti sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell'effetto di tali scelte.
Il ruolo delle regioni è stato determinante, molte di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.
Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo si sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza, passaggi istituzionali e di mutamento della società italiana; questi elementi sono utili per l'impostazione del nostro ragionamento e riguardano:
a) il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla legge n. 1150 del 1942, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei successivi periodi di contrazione economica, con la modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una «stratificazione» normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l'azione di pianificazione del territorio;
b) il progressivo e sempre più deciso riformismo regionale che ha visto dal 1995 ad oggi l'introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti, regole e istituti che possono costituire una solida base di partenza;
c) in ultimo, l'esperienza - con aspetti positivi e negativi - prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all'interno delle regole di pianificazione delle regioni.
Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina che vede coinvolte tutte le istituzioni della Repubblica e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi territoriali.
Al riguardo, la coalizione dell'Unione si è assunta un esplicito impegno con i propri elettori con il programma depositato ai sensi del comma 3 dell'articolo 14-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, nel quale il territorio è indicato quale grande patrimonio per la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici, e rappresenta, quindi, una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.
Tale impostazione presuppone alcune priorità di indirizzo:
1) la necessità di coordinare e di allineare la normativa nazionale vigente sul “governo del territorio” alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali, aree protette, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso di “principi”;
2) l'esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la partecipazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane per costituire un “sistema unico coordinato” del governo del territorio;
3) la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte delle amministrazioni locali per la riqualificazione delle città, per la manutenzione del territorio, per lo sviluppo dell'impresa agricola multifunzionale e per la prevenzione dai rischi naturali e antropici.
La riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione ha costruito un sistema complesso di materie e di funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e alla trasformazione del territorio, con una diversa attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale, nazionale, regionale e locale, coeso e che agisca con programmi, piani, misure e strumenti coerenti.
I soggetti protagonisti di questa azione di rinnovamento e di nuova capacità di gestione del territorio sono principalmente le regioni e gli enti territoriali, i quali devono trovare in una legge quadro per il governo del territorio gli elementi costitutivi e i princìpi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e di omogeneità, ma dotati della necessaria flessibilità per consentirne la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.
Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comportano, tuttavia, una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.
Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle regioni, vi sono però alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato che devono essere espressi con norma di dettaglio: si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.
Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti.
La legge non deve prefigurare modelli “astratti” o standardizzati, ma favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire il complesso delle normative, degli strumenti, dei metodi e dei processi di governo del territorio.
Infatti, l'attuazione della funzione di “governo” alla luce della novellata Costituzione risiede nella capacità di governare il territorio programmandone lo sviluppo, l'assetto e l'uso del suolo, in connessione con le tematiche di tutela e di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e delle risorse ambientali.
Una coerente struttura del governo del territorio dovrà allora contenere:
a) la definizione dei princìpi e delle finalità del governo del territorio;
b) il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e di valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali e dell'ambiente nonché la programmazione economica e quella del sistema infrastrutturale;
c) la disciplina della pianificazione, i contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;
d) la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio.
L'individuazione dei princìpi fondamentali, operata dal capo I della presente proposta di legge, rappresenta il terreno sul quale la collaborazione tra le istituzioni deve essere stringente e fattiva. Si tratta, infatti, di definire i cardini e i fondamenti della nuova forma di pianificazione, di programmazione e di gestione del territorio in tutte le sue componenti economiche, sociali e ambientali.
I princìpi sono diretta espressione della coscienza civile di una società: in questo senso, essi devono essere riconoscibili ed espressi con chiarezza. Ma l'espressione di princìpi fondamentali non può essere considerato un punto di arrivo. Se il tema di una moderna disciplina è, da una parte, la revisione in termini attuali di princìpi esistenti - primo fra tutti, quello di pianificazione - nonché il consolidamento di princìpi già contenuti in alcune leggi regionali, dall'altra il nodo della questione consiste nella formulazione di princìpi che consentano alle leggi regionali di essere più stringenti sugli obiettivi da perseguire e più efficaci nell'attuazione.
Il primo, il principio di pianificazione (articolo 2), espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri all'uso e al godimento degli stessi beni.
In questa logica, i princìpi fondamentali rispetto ai quali costruire le regole che devono governare i processi di trasformazione del territorio sono:
a) la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la tutela delle risorse naturali e del paesaggio, la prevenzione dei rischi e l'adozione del principio di precauzione nelle scelte e nella valutazione delle possibili alternative per gli interventi di trasformazione (articolo 3);
b) la sussidiarietà, l'adeguatezza delle istituzioni, l'equità, la trasparenza e la democrazia nella cooperazione istituzionale, la partecipazione e il coinvolgimento nei processi decisionali dei cittadini per l'adozione delle scelte (articolo 5).
Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili ed essenziali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e l'incremento dell'efficienza energetica.
Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per il territorio e per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenzione dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e degli eventi incidentali determinati dall'attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della precauzione (articolo 4).
Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della “filiera istituzionale”, ispirando la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell'affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, le istituzioni dovranno agire mediante intese e accordi procedimentali in sedi stabili di concertazione per perseguire il coordinamento, l'armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.
Anche per questo, è importante assumere come principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione e di approvazione degli strumenti di pianificazione (articolo 6).
Il principio di equità consente di offrire a tutti i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità dell'ambiente urbano e migliore qualità della vita (articolo 7).
Perché tali princìpi possano tradursi in linee guida e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è anche necessario che la riforma nazionale preveda il coordinamento con le materie non ricomprese nel “governo del territorio”, bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del medesimo: infrastrutture della mobilità e dell'energia, tutela e valorizzazione dell'ambiente, tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali (articoli 9-14).
I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per la programmazione, la pianificazione, l'attuazione, il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del territorio, partecipando a tale attività in conformità ai princìpi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.
Di particolare importanza nella riforma sarà il passaggio dalla tutela dei beni paesaggistici a quella più complessiva della tutela e valorizzazione dei paesaggi, così come previsto dalla Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con legge n. 14 del 2006, riconoscendo che il paesaggio concorre al consolidamento delle culture locali e “che ogni luogo rappresenta un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come in quelli di grande qualità”.
Anche per la tutela e la valorizzazione dell'ambiente è necessario identificare gli elementi di coordinamento con le pianificazioni settoriali.
L'altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.
La modernizzazione del sistema infrastrutturale, della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa, da una parte, all'allocazione certa dei finanziamenti e, dall'altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.
Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema rinnovato e a una “cassetta di attrezzi” adeguata alle esigenze attuali.
Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e modalità di attuazione e, nell'ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti e l'attuazione dell'attività di pianificazione di area vasta e di quella comunale.
È ormai consolidata l'esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà, e l'altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l'attuazione della disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia degli insediamenti esistenti.
Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle condizioni territoriali. Regole rigide potrebbero far risultare inutilmente onerosa una pianificazione di questo tipo per comuni di piccola dimensione e, invece, farla risultare limitativa per situazioni in cui sia più opportuno, date le condizioni territoriali e socio-economiche, avere una pianificazione che interessa più comuni.
Alla base di un buon piano non può che esserci una adeguata e significativa conoscenza del territorio. È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall'uso del suolo, dalle invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia - quindi la rete - tra sistemi di informazione e di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno “parlare la stessa lingua” ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 15).
Questa è un'innovazione necessaria per l'azione amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.
La conoscenza del territorio consente anche una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La riforma proposta, inoltre, enuncia il principio fondamentale che il territorio rurale è un patrimonio di identità, di biodiversità, di pratiche agronomiche e forestali da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e di sostenibilità nella pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell'impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e valorizzato lo straordinario patrimonio costituito dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse non rinnovabili, a partire soprattutto dall'acqua e dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell'architettura rurale (articolo 18).
La riforma affronta altresì il complesso del sistema città: uno straordinario crocevia di opportunità ma, anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali (articolo 19), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio e urbanistico con politiche sociali e assistenziali che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.
Insomma, una vera e propria “politica per le città”, che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia del recupero e della sostituzione edilizi una grande occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del contenimento dei consumi, essendo le città sistemi altamente “energivori”, una priorità della politica energetica nazionale.
Sulle dotazioni territoriali minime - i vecchi standard urbanistici - non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i presupposti di tipo qualitativo affinché attraverso le dotazioni territoriali sia possibile garantire l'effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non possono che essere considerati requisiti minimi (articolo 16) per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente; così anche per l'edilizia residenziale pubblica per l'affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di risposta al fabbisogno locale.
Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici dei servizi da fornire ai cittadini.
Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire. Pertanto è necessario che la legge statale offra strumenti innovativi per l'attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti locali adottano per garantire la realizzazione degli interventi. Quindi è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l'attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regìa pubblica definita dal piano del governo del territorio, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per l'efficienza, il miglioramento e l'innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.
Anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e dell'equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.
L'amministrazione potrà acquisire gli immobili con la perequazione urbanistica (articolo 21) e con gli obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in alternativa si prevede che si possa ricorrere all'esproprio (articolo 24).
La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà inoltre stabilire: l'edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di trasformazione perequativa, l'obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonché le modalità di progettazione unitaria dell'ambito di trasformazione.
Uno dei punti di particolare delicatezza è quello della decadenza del diritto di edificazione che si propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione pubblica e privata.
Altro tema essenziale per l'attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 23). Si tratta di una questione molto complessa che deve essere affrontata con alcuni indirizzi di base.
In primo luogo, sottraendo gli enti locali dalla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio con le entrate derivanti dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con la conseguente riduzione del consumo del suolo e con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia verso la riqualificazione urbana e del territorio, con forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine, attraverso l'armonizzazione e la stabilizzazione delle misure per l'incentivazione delle opere di recupero e la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità eccetera) si potrà avere, a regime, una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.
La riforma statale dovrà anche prevedere che le azioni di trasformazione del territorio siano soggette a procedure preventive, in itinere ed ex post, di valutazione degli effetti ambientali ed economico-sociali valutati e analizzati in base a un bilancio complessivo degli effetti sulle risorse essenziali del territorio, al fine di garantire l'effettiva realizzabilità e la verifica dell'efficacia delle azioni svolte.
Nessuna legge è immutabile nel tempo, soprattutto quando si tratta di regolare comportamenti sociali o istituzionali. Cambiano oggi, anche rapidamente, le condizioni economiche e sociali del contesto. Rispetto a questi cambiamenti è necessario essere in grado di fornire risposte adeguate alle nuove esigenze e alle nuove domande della società. Occorre tenere conto che la riforma del governo del territorio si deve inserire in un complesso di normative esistenti, in particolare urbanistiche ed edilizie, di livello sia nazionale che regionale. A tale proposito, nel testo della proposta di legge non viene riportato il complesso delle abrogazioni che sarebbero necessarie per ottenere un quadro organico delle diverse discipline ricomprese nel governo del territorio, per alcune delle quali - ad esempio quella relativa agli standard urbanistici o parte della disciplina edilizia e dell'esproprio - si dovrebbe intervenire anche in modo differenziato, in ragione di un progressivo rinnovo della materia. È difficile pensare a una legge sul governo del territorio che non sia oggetto di un accompagnamento istituzionale, di un programma per la sua attuazione basato su diversi strumenti di conoscenza, di esperienza, di valutazione per la revisione o per l'implementazione della stessa normativa. Anche in questo caso sono chiamate in causa sia le diverse componenti della società sia le istituzioni regionali, provinciali e comunali competenti, queste ultime coinvolte, da una parte, nel definire “l'idea di città e di territorio” e le relative regole e, dall'altra, nell'attuare un processo di pianificazione che risponda ai nuovi "diritti di cittadinanza" e al "diritto all'abitare" che la società e i singoli cittadini richiedono alle amministrazioni.
L'impostazione che si deve dare, quindi, alle nuove regole sul governo del territorio deve essere basata sulla cultura della valutazione delle scelte e sulla cultura della risposta e del risultato.
Se la sfida per la qualità del governo del territorio deve essere affrontata con strumenti adatti e coerenti alle reali esigenze della società contemporanea, una parte sostanziale di questa sfida consiste anche nella rinnovata capacità dei soggetti istituzionali nazionali e territoriali di esprimere, sulla base dei princìpi fondamentali, la volontà politica di costruire la "filiera istituzionale" e di coordinare le decisioni determinando la qualità della vita e dell'ambiente, assumendosi la responsabilità dell'attuazione delle decisioni e condividendo metodi e scelte con i cittadini.
Il testo del progetto di legge che inseriamo in calce risulta presentato il 2 marzo 2007, con la seguente formula: MARIANI ed altri: "Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare"(2319). Nel sito del Parlamento la scheda del p.d.l 2319 (questo il suo numero d’ordine nella XV legislatura) indica il titolo ma non dà il testo. Come mai?
Da informazioni che abbiamo assunto sembra che il testo che pubblichiamo, al quale si riferiva l’eddytoriale 102 del 26 marzo scorso, sia stato successivamente modificato a penna, e gli uffici della Camera non avrebbero ancora provveduto a ristamparlo e a inserirlo nel sito ufficiale. Tanto più che il presidente della Commissione parlamentare non avrebbe ancora posto l’argomento all’ordine del giorno, pur essendo già stati presentati altre proposte di legge (primi firmatari Lupi, Mantini, Migliore).
Il testo che inseriamo (e che è scaricabile dal link in calce) è quello che conclude l’ampio lavoro compiuto dal gruppo di esperti dei DS coordinato da Patrizia Colletta ed è stato firmato come prima firmataria dall’on. Raffaella Mariani e consegnato alla Camera dei deputati, ma non è ancora quello “ufficiale". Quando questo uscirà potremo tutti valutare se vi siano state o no modifiche sostanziali, e se queste lo abbiano migliorato o meno rispetto alla valutazione che abbiamo espresso.
Da: Università di Roma, Lezioni di legislazione urbanistica, a.a.1933-34, manoscritto
[…] il progetto presentato dal Pisanelli nell’aprile del 1864, esaminato prima dagli uffici della Camera e successivamente da una Giunta speciale composta di tecnici e di giuristi, diede origine alla legge promulgata con R.D. 25 giugno 1865, n. 2359.
L’esempio di quanto era già stato disposto in Francia e opportune considerazioni sulle condizioni veramente infelici degli aggregati edilizi di molti Comuni, soprattutto dal punto di vista igienico, indussero il Ministro Pisanelli ad inserire nel disegno di legge un complesso di norme intese a disciplinare la materia della trasformazione e dell’ampliamento degli abitati. Tali norme erano sostanzialmente ispirate alla legge francese del 1807 e alla legge belga del 1844, secondo le quali i proprietari di aree erano obbligati a osservare nelle costruzioni gli allineamenti disposti dall’Amministrazione comunale in apposito piano e i proprietari di fabbricati erano obbligati a seguire gli allineamenti stessi in caso di ricostruzione degli edifici, astenendosi nel frattempo da qualunque lavoro atto a prolungarne la durata. Secondo il progetto Pisanelli, peraltro, era data facoltà alle Amministrazioni municipali interessate di anticipare le sistemazioni stradali in conformità degli allineamenti dati dal piano regolatore, applicando, per quanto riguardava i beni occorrenti per le sistemazioni stesse, le norme stabilite in materia di espropriazione.
Parve alla Commissione della Camera, incaricata di studiare il progetto, che le disposizioni suaccennate ferissero troppo profondamente la proprietà e che fosse il caso di sopprimerle, salvo farne oggetto di altro disegno di legge da esaminare con maggiore calma. Ma, essendo stata fatta presente da più parti la necessità di norme sugli allineamenti, il Governo credette opportuno valersi della facoltà, che, per la suddetta unificazione legislativa, gli era stata accordata con legge 2 aprile 1865 di “ modificare i codici e le leggi da pubblicarsi sì nella sostanza che nella forma”, e nel testo definitivo della legge mantenne le norme sui piani regolatori, introducendovi però alcune modificazioni di notevole importanza, fra le quali:
1) l’abolizione della obbligatorietà del piano;
2) la fissazione di un termine massimo per la sua attuazione (25 anni)
3) la distinzione fra i piani regolatori e i piani di ampliamento.
Data la grande importanza delle disposizioni contenute nel progetto Pisanelli a proposito dei piani regolatori crediamo opportuno riportarle per intero:
Art. 72 – Ogni Comune che abbia titolo di città, o il cui abitato, unito in un solo perimetro, contenga una popolazione non inferiore ai 2.000 abitanti, è obbligato a far compilare una pianta regolare dell’abitato stesso, in cui siano tracciate le norme da osservarsi nella ricostruzione degli antichi edifici e nell’edificazione dei nuovi, a fine di provvedere alla salubrità del Comune e ala più sicura, comoda e decorosa sua disposizione.
Ai Comuni, i quali, sebbene non abbiano una popolazione non inferiore ai 2.000 abitanti, trovansi divisi in cantoni o villaggi, o in case sparse, non è applicabile il disposto di questo articolo, se non per ciascuna di quelle loro parti che conti da sé una popolazione riunita non inferiore ai 2.000 abitanti.
Art. 73 – I progetti dei piani di risanamento, di allineamento e di ampliazione dei Comuni avanti indicati debbono esser fatti pubblici a cura del sindaco, a norma degli art. 16 e 17, essere adottati dai Consigli Comunali e approvati, quelli delle città, con reale decreto, quelli degli altri Comuni, con decreto del prefetto.
Contro il decreto di approvazione del prefetto è ammesso il ricorso in via amministrativa, a termine dello art. 18 della presente legge.
Art. 74 – Per ottenere l’approvazione dei piani di risanamento debbono i Consigli Comunali far constare di cause permanenti d’insalubrità e della necessità di modificare la disposizione del luogo per farle cessare.
Inoltre deve il prefetto, prima di emanare il suo decreto, udire l’avviso del Consiglio Provinciale di Sanità.
Art. 75 – Il decreto di approvazione dei piani indicati nell’art. 73 sottopone i terreni e gli edifici in essi compresi alla servitù legale di allineamento, di ampliazione e di risanamento, in forza della quale i loro proprietari, quando accingonsi a costruire nuovi edifici, a riedificare glia antichi e a modificare altrimenti la forma delle loro proprietà, o lo facciano volontariamente od obbligati dall’urgenza di impedirne la rovina o da altra simile cagione, non possono ciò eseguire, salvo osservate le norme tracciate nei suddetti piani.
Art. 76 - Il decreto di approvazione dei piani di allineamento, di ampliazione e di risanamento dev’essere notificato a modo delle citazioni a ciascun proprietario dei beni in essi compresi.
Ogni proprietario, che da giorno della suddetta notificazione non si uniformi alle norme tracciate in tali piani, oltre alla distruzione dei lavori fatti in contravvenzione ai medesimi, potrà essere condannato dall’autorità giudiziaria competente ad una multa estensibile a lire 1.000.
Art. 77 – I proprietari degli edifici compresi nei piani avanti indicati, la cui area sia destinata a divenire, in tutto o in parte, suolo pubblico, non possono fare alcun lavoro che li renda più durevoli e ne ritardi la demolizione, sotto le pene sancite nell’art. precedente.
Art. 78 – L’area degli edifici e i terreni sui quali è proibito di edificare non cessano di far parte del patrimonio di chi ne è proprietario, e no diventano suolo pubblico, fuorché addivenendosi all’esecuzione dei lavori di allineamento, di ampliazione o di risanamento, e dopo fatto il deposito dell’indennità a termini degli art. 28 e 46.
Art. 79 – Il terreno che, giusta i piani sovra menzionati, deve cessare di fare parte del suolo pubblico, non diventa proprietà di colui che ha edifici e terreni confinanti col medesimo, fuorché eseguendo le stesse costruzioni negli stessi piani indicati e dopo fatto il pagamento o il deposito del relativo prezzo.
Art. 80 – Quando il proprietario demolisce il suo edificio volontariamente,o costrettovi dal pericolo di rovina o da altra simile ragione, e ricostruendolo deve farlo rientrare o avanzare di uno spazio non eccedente un metro, per fissare l’indennità si ha riguardo soltanto al valore venale dell’area che egli perde o acquista.
Negli altri casi si terrà pur conto del danno o del vantaggio relativo, e l’indennità verrà determinata a norma degli art. 38 e 39.
Art. 81 – Qualora i lavori di allineamento, di ampliamento e di risanamento si vogliano eseguire senza attendere che i proprietari, o volontariamente od obbligati dalla vetustà o da altre simili cagioni, pongano mano alla costruzione e riedificazione dei loro edifici o si accingano a mutare altrimenti la forma delle loro proprietà, per l’espropriazione di esse si debbono osservare le disposizioni stabilite dal titolo I della presente legge circa le espropriazioni.
Art. 82 – Nel caso che un proprietario, il quale ha obbligo, giusta i piani di allineamento, di avanzare il suo edificio sul suolo pubblico, non lo voglia acquistare, egli può essere espropriato dell’intero suo stabile mediante congrua indennità.
Con atto da intimarsi a forma delle citazioni, potrà il proprietario suddetto esser posto in mora a dichiarare, nel termine non minore di giorni venti, se intende acquistare la parte confinante del suolo su cui potrebbe avanzarsi.
In caso di rifiuto o di silenzio, si procederà alla espropriazione nelle forme legali.
Art. 83 – La espropriazione per l’allargamento, l’allineamento o l’apertura di vie nei Comuni indicati nell’art. 72, può estendersi alla totalità degli immobili che debbono essere in parte occupati dal suolo pubblico, ove le parti residue siano di una estensione o di una forma tale da non poter sopportare costruzioni solide e salubri.
Queste parti residue sono riunite ai terreni o edifici contigui, o a trattativa privata, o per espropriazione di questi stessi terreni o edifici, in conformità dell’articolo precedente.
Art. 84 – L’espropriazione può anche estendersi a immobili posti fuori dall’allineamento, quando il loro acquisto sia necessario per sopprimere strade o vicoli inutili.
Art. 85 – Nei Comuni indicati nell’Art. 72 i costruttori di case debbono, prima di por mano ai lavori di costruzione, chiedere all’Amministrazione Comunale, coll’abbattimento, il livello della via fronteggiante, uniformarvisi sotto le pene sancite dall’Art. 76.
Le disposizioni della legge del 1865, per quanto riguarda la compilazione ed attuazione di piani regolatori, non ebbero però applicazione molto estesa. Le Amministrazioni municipali si trovarono impreparate a formulare progetti tecnicamente perfetti in materia di sistemazione e ampliamento dell’aggregato edilizio, tanto più che in molti casi provvedimenti radicali si sarebbero dovuti attuare per rimediare alla viziosa disposizione degli abitati. D’altra parte si dovette constatare che, mentre quasi ovunque le condizioni in cui si svolgeva il traffico non erano tali da destare serie preoccupazioni, essendosi ancora molto lontani dallo sviluppo oggi raggiunto dai mezzi di trasporto a trazione meccanica, grave sarebbe stato l’onere finanziario, che i Comuni avrebbero dovuto accollarsi per le espropriazioni di edifici da demolire. Infine ad una scarsa applicazione della legge suddetta nel campo dei piani regolatori contribuì il fatto che le casse municipali dovevano esporsi ad un’alea non indifferente con norme di espropriazione che concedevano ai periti la più larga discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo da corrispondere ai proprietari.
Poche amministrazioni, quindi, si apprestarono a studiare progetti per la sistemazione edilizia dell’abitato, preferendosi in generale lasciar sussistere gli inconvenienti, ch’essi presentavano nella loro attuale conformazione, o provvedendosi ad opportuni miglioramenti attraverso l’esecuzione di opere singole e cercando di disciplinare l’ampliamento mediante l’applicazione delle norme dettate dai regolamenti edilizi, approvati in forza della facoltà concessa dalla Legge Comunale e Provinciale.
Solo in casi di riconosciuta ed impellente necessità di una sistemazione generale di quartieri più o meno vasti per eliminare cause gravi e permanenti di morbilità si giunse alla decisione di formulare piani regolatori, che, per lo scopo speciale cui tendevano, presero il nome di piani di risanamento e la cui attuazione venne agevolata con l’emanazione di norme speciali. Primo e più importante fra tutti fu quello compilato per Napoli e seguito della legge 15 gennaio 1885, le cui disposizioni vennero estese a vari altri Comuni. [...]
Nota: gli articoli 72-85 del progetto Pisanelli riportati, nel manoscritto sono inseriti in forma di lunga nota; qui sono stati ri-collocati nel testo - a mio parere - per una maggiore leggibilità; per un confronto, si vedano in questo sito sia l’articolato della Legge 25 giugno 1865, n. 2359 sull’espropriazione per pubblica utilità, sia in forma più libera ed estesa le “Pagina di Storia” sulla citata Legge di Napoli e gli avvenimenti paralleli(f.b.)