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In allegato la presentazione, in formato ridotto (immagini a bassa risoluzione).

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In allegato la presentazione, curata da Vezio De Lucia e Maria Naccarato, in formato ridotto (immagini a bassa risoluzione).

Un mondo di cose in comune

di Giovanni Caudo

Per affrontare il tema di quest’anno vorrei partire dal racconto di un lavoro fatto insieme agli studenti lo scorso anno: la lettura di cosa tiene insieme le persone in alcune parti della città di Roma. Proverò prima a restituire i luoghi e gli esiti di questa lettura poi proverò a individuare alcuni fili di ragionamento trasversale mettendo in evidenza come cambia il significato di spazio pubblico.

Cominciare dal racconto delle cose:

1. Porta di Roma, centro commerciale: lì si trova ciò che il quartiere non offre. La sicurezza: addentrandosi nel centro commerciale aumenta la sensazione di sicurezza ma si accetta la diminuzione della libertà di agire.

Spazio limitato, confinato. Spazio condizionato. Spazio recintato. Qui c'è la strutturazione e la definizione funzionale degli spazi. Città come infrastruttura: pronta all'uso

2. Vigne Nuove. Grandi strade incorniciate da anonimi edifici, piazze vuote e grigie, poca gente per le strade. della terra come occasione di appropriazione e caratterizzazione dello spazio. , all’apparenza vaghe ed incolte ma in realtà proprio in quanto tali vissute dagli abitanti, per arrivare infine al margine della città in cui gli abitanti ritagliano il proprio spazio di verde fuori dalla corte stessa, appropriandosi di pezzi di campagna. La vaghezza e l'appropriazione. Costruzione sociale della città

3. Muri parlanti. Lo spazio pubblico come espressione della memoria e del riscatto sociale: quel che le persone hanno in comune, li abbiamo invece trovati sui muri dove elaborati graffiti descrivono sentimenti popolari, come quello che festeggia lo scudetto della Roma del 2001, dolore come quello commemorativo per la morte di un amico o di un genitore, o conflitti e lotte sociali, come le facciate dell’oratorio e del centro sociale Astra. Questi dipinti parlano di solidarietà, memoria, condivisione di una condizione di emarginazione e, allo stesso tempo, voglia di riscatto.

4. Parco delle Valli. Questi venti ettari di conche verdeggianti, sentieri di ghiaia, piante ed alberi rigogliosi sono fatti, a ben guardare, di parole. Parole di persone che hanno desiderato condividere i valori fondamentali che costituivano la loro idea di città per lasciarli impressi sulla città reale. Il racconto che dà vita a questo parco non è politico o ideologico, non è una storia autobiografica, ma un mito di fondazione scritto da una comunità che scopre di essere tale attraverso una battaglia. Quello che tiene in comune le persone qui è una narrazione.

5. Infra tempo. Quel tempo senza utilità, il tempo dell’attesa, quello in cui ci si ferma per forza ad aspettare, il tempo che sta tra le cose fatte e quelle ancora da fare, quello spazio di tempo che si spera duri il meno possibile perché è solo un ritaglio tra un qualcosa e un qualcos’altro. Un tempo sospeso, fuori dalla routine che scandisce le nostre giornate, trascorso in luoghi in cui incontriamo altri che aspettano come noi, anche loro sospesi tra un andare o un tornare. E l’interazione si crea grazie alla prossimità fisica, al dover trascorrere quel tempo insieme ad altri, con i quali abbiamo in comune solamente l’attesa.

6. Termini. In uno sviluppo della città in cui la dimensione pubblica tende a ridursi, chi si ferma si pone in contrasto con la “normalità”. Ciò svela una sorta di meccanicizzazione ben rodata e una ritualità imposta. L’assenza di gerarchie e la molteplicità di funzioni indeterminate portano il fruitore alla confusione. Nello smarrimento ci si orienta grazie a riferimenti riconoscibili e condivisi: i segni. Questi producono una lettura dello spazio che determina relazioni simbolico-visive immediate tra persone e oggetti, azzerando le potenziali relazioni interpersonali.

7. Colosseo. Eventi che raccontano micro-realtà vissute attraverso percorsi e attraversamenti. Micro-realtà collettive e private fatte di azioni di svago, di incontro e di solitudine. Ognuna di queste azioni sembra inscritta nella traccia visiva del Colosseo, in modo da creare un filo narrativo continuo, un testo composto dagli usi prodotti e dalle loro tracce temporanee. Ogni luogo connesso al Colosseo vive di una linfa di significato assunta dalla sua imprescindibile presenza. La diramazione di strade che lo vedono come fulcro diventa la diramazione di tanti eventi di vita quotidiana.

8. Piazzale Ostiense. La comunità polacca, che da lungo tempo si ritrova al quartiere Ostiense, improvvisa ogni domenica un pic-nic in quella che, per la città, sembrerebbe solo un’aiuola che fa da rotatoria per le auto e il tram; al capolinea degli autobus della stazione Ostiense, si ritrovano, invece, alcuni nordafricani, che utilizzano la griglia di aerazione dei garage sottostanti come fosse un enorme sofà dove incontrarsi, fermarsi a chiacchiere, a volte mangiare insieme. In entrambi i casi ciò che per la cittadinanza è un mero spazio di passaggio, si trasforma, per queste comunità in uno spazio di incontro e ritrovo, grazie allo spostamento negli spazi pubblici di attività tipiche di luoghi domestici.

9. Garbatella. Garbatella, le corti interne e i giardini, i parchetti pubblici, molti rigorosamente recintati, alcuni attrezzati, finemente arredati. Sono gli spazi “sicuri”, a volte controllati, lontani dal pericolo della strada. Spazi in cui la comunità si riunisce al sicuro e lascia un segno. La continua ricerca della domesticità sta negli oggetti posti in quello spazio. Gli oggetti come simbolo della libertà dell’individuo, dell’utente, che ricerca in questi luoghi il suo spazio. Intorno all’oggetto posto, con il tentativo di a-propriazione, attraverso l’oggetto posto, accadono eventi naturali: la comunità di anziani si riunisce, quella dei bambini gioca.

10. Giardino dell'EUR. dall’altro quella che, esplorando il deserto dell'anonimato della società contemporanea, ne scopre gli aspetti più positivi. Arrivando all'estremo, quest'ultima strada rappresenta addirittura lo stare insieme in senso assoluto, il bene disinteressato, non solo verso il singolo, ma verso tutta la comunità. Nella città è difficile scovare questo tipo di stare insieme, poiché normalmente l'anonimato si mostra con la sua faccia più negativa. A modificare il nostro punto di vista entrano in gioco gli spazi marginali, e le pratiche sociali al limite (il cruising). In queste condizioni estreme traspare la possibilità di un modo nuovo di stare assieme nella metropoli o nel suburbio.

11. Spinaceto.

Lo spazio architettonico della metropoli romana nelle sue recenti espansioni è stato spesso disegnato e concepito come un macrocosmo, organizzatore a grande scala dei territori coinvolti. Spinaceto costituisce uno dei primi rami dell’espansione della città dentro l’agro romano. All’interno di questo macrocosmo, gli abitanti, unità elementari della città, hanno costruito nel tempo dei microcosmi urbani, spazi misurati e vivibili, luoghi propri della relazione, dell’incontro nell’esperienza quotidiana, unificando le esperienze individuali in percorsi collettivi. Le differenti destinazioni d’uso standardizzate: RESIDENZA-VERDE-SERVIZI sono state concepite, concentrate e separate in ambiti specifici, costruendo così una lineare omogeneità distributiva del sistema residenze-attrezzature. Nel corso del tempo gli abitanti hanno costruito vari percorsi comunitari, fondati su necessità e obiettivi differenti: POLITICA-AMBIENTE-CULTURA-QUOTIDIANO ridefinendo l’uso degli spazi.

Temi trasversali: domesticità, appropriazione, tempo, infra, memoria, anonimato, socialità

Spazi pubblici: costruzione sociale (vaghezza)

Spazi pubblici: infrastruttura pronta per l’uso (ridondanza)

In allegato la presentazione, in formato ridotto (immagini a bassa risoluzione).

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In allegato i file della presentazione, in formato ridotto (immagini a bassa risoluzione).

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In allegato la presentazione, in formato ridotto (immagini a bassa risoluzione) e il testo della lezione.

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La scuola

La quinta edizione della Scuola estiva di pianificazione “Scuola di eddyburg” (Asolo, 9-12 settembre). è dedicata quest’anno al tema: Gli spazi pubblici: declino, difesa, riconquista

Nel corso delle prime tre giornate si ragionerà sui cambiamenti che nella società e nella città hanno determinato il declino dello spazio pubblico, e che possono aiutare a definire e sostanziare il “diritto alla città”; ci si soffermerà poi nel racconto di tre momenti della storia urbanistica del nostro paese in cui si è cercato di fare incontrare urbs, civitas e polis a partire dalle questioni della “città pubblica”; si affronterà infine una riflessione a tutto tondo sugli “standard urbanistici” e sul modo in cui si possono arricchire le indicazioni del decreto del 1968, tuttora il principale strumento di garanzia della città pubblica.

Il quarto giorno (12 settembre 2009) sarà interamente dedicato a un convegno nel quale la Scuola si aprirà all’esterno e coinvolgerà nel dibattito le associazioni, i comitati, le reti che lavorano sul territorio per la difesa e la rivendicazione degli spazi pubblici.

Le intenzioni del convegno

Negli anni del welfare urbano gli spazi pubblici hanno costituito l’obiettivo di significative lotte sociali, spesso coronate da successo. Oggi essi sono l’oggetto di fenomeni preoccupanti di degradazione, esclusione, commercializzazione, privatizzazione. Ma sono anche sempre più spesso l’obiettivo di azioni sociali per la loro difesa. In Italia e in Europa cresce il numero dei comitati, dei gruppi, delle associazioni, spesso tendenti ad aggregarsi in reti più ampie, per la loro difesa e promozione. Tra essi è presente, da alcuni anni, una Rete delle camere del lavoro – Cgil che è diventata protagonista, a livello nazionale e internazionale, della riflessione sull’attuale condizione urbana e, in molte città italiane, di azioni di stimolo e collaborazione per una migliore vivibilità ed equità per tutti gli abitanti.

Questa azione collettiva può costituire oggi il motore necessario per un rinnovamento del governo del territorio: questa è la speranza nella quale anche noi scommettiamo. È allora utile consolidare il ponte tra persone, gruppi e interessi diversi, stimolare la conoscenza e il dialogo, la condivisione di competenze ed esperienze, esigenze e bisogni diversi. A questo fine abbiamo organizzato un convegno pubblico, con la Camera del lavoro territoriale – Cgil di Padova e con Legambiente Padova, nel quale, oltre a rendere pubbliche le conclusioni delle tre giornate della scuola, ci proponiamo di discutere a partire da esse con i portatori di esperienze che vanno nella stessa direzione.

Il programma del convegno

Il Convegno inizierà alle 10,30 del 12 settembre e sarà aperto dal saluto di Emilio Viafora, segretario del Comitato regionale Cgil del Veneto e dall’intervento di Andrea Castagna, segretario della CdlT-Cgil di Padova; seguiranno una comunicazione sullo svolgimento e la conclusione della Scuola di eddyburg (Mauro Baioni, Edoardo Salzano, Ilaria Boniburini), e una relazione sul modello di società e di territorio che emerge dalle vertenze aperte nella società (Oscar Mancini, responsabile Ambiente e territorio del regionale veneto della Cgil).

Dopo una breve pausa per il pranzo Sergio Lironi (presidente onorario di Legambiente Padova) aprirà gli interventi dei rappresentanti delle reti, associazioni, comitati, movimenti presenti. Sono previsti, tra gli altri, interventi di Cesare Melloni (Rete delle Camere del lavoro – Cgil), Paolo Baldeschi (Rete toscana dei comitati per la difesa del territorio), Mario Agostinelli (Rete lombarda dei comitati per la difesa del territorio), Domenico Finiguerra (Stop al consumo di suolo), Marco Boschini (associazione Comuni virtuosi), Franco Arboretti (Associazione Il cittadino governante – Giulianova), Paolo Cacciari (Cantieri sociali-Carta)

Le conclusioni saranno tratte da una tavola rotonda cui parteciperanno Mario Agostinelli, Chiara Sebastiani, Oscar Mancini, Edoardo Salzano.

Moderatore del convegno sarà il giornalista Francesco Erbani

Inseriamo di seguito i sommari dei contributi sui lemmi Città e potere, Spazio/Sfera pubblico e privato; Diritto alla città, che saranno sinteticamente illustrati nella lezione. In calce è scaricabile il testo integrale del primo e del secondo contributo, in formato .pdf

CITTÀ E POTERE

VERSO IMMAGINARI E PRATICHE (CONTRO) EGEMONICHE

1. Potere, (contro)-egemonia, biopotere

Potere politico; Egemonia e contro-egemonia; Resistenza e contestazione; Il potere dell’ideologia e della parola; Biopotere; Dal potere alla potenza

2. Città e sistema capitalistico

Processi sociali e città; Capitalismo e città industriale; Capitalismo e città postfordista; La città nel progetto neoliberista; Contraddizioni del capitalismo e dello spazio; La città come strategia di classe; Lo spazio come “strumento” della società disciplinare; Di fatto, frammentazione; Potere, sapere e urbanistica; Ideologia (discorsi) e norma.

3. Pratiche e immaginari contro-egemonici

Immaginari e pratiche socio-spaziali; Dialettica tra egemonia e contro-egemonia; Immaginari e pratiche socio-spaziali contro-egemoniche; La costruzione di spazi pubblici contro-egemonici.

SPAZIO/SFERA PUBBLICO E PRIVATO

1. Cenni etimologici e alcune definizioni iniziali.

Pubblico; Privato; Collettivo/comune.

2. Evoluzione del rapporto pubblico/pruvato

Polis; Res publica; Medioevo;Sociale vs Politico; La sfera pubblica moderna; Privato vs Sociale; Mercato e Democrazia; Regressione del pubblico e mix pubblico/privato.

3. Sfera pubblica

Definizioni; Nascita e declino della sfera pubblica; Caratteristiche, articolazioni e relazioni con lo spazio pubblico.

4. Spazio pubblico

Spazio della vita collettiva; Spazio dove si produce sfera pubblica; Spazio intenzionale, regolato vs Spazio non intenzionale, non mediato, anarchico; Spazio di rappresentazione; Spazio del conflitto e delle differenze; Cenni al ruolo degli spazi pubblici nella storia; Tre criteri per analizzare lo spazio pubblico; Trasformazioni dello spazio pubblico nel neoliberalismo.

5. Sfera pubblica, Spazio pubblico e Democrazia

6. Proprietà pubblica, Privata, Collettiva

Proprietà pubblica; Proprietà privata; Proprietà collettiva

CENNI AL DIRITTO ALLA CITTA’

1. Diritti dell’uomo

Origini; Diritti di seconda generazione; Diritti di terza generazione; Diritti di quarta generazione

2. Il diritto alla città

Origini della rivendicazione del diritto alla città; Il diritto di partecipare e di appropriazione di Henry Lefebvre; L’utopismo dialettico di David Harvey; Diritto alla città e spazi pubblici in Don Mitchell; I movimenti urbani e le carte internazionali; Slogan o immaginario?.

LETTURE CONSIGLIATE



In particola modo per gli studenti non presenti lo scorso anno consiglio di leggere il mio contributo, qui allegato “Linguaggio, Discorso e Potere”, scaricabile in calce (anche pubblicato in Alla ricerca della città vivibile, Alinea, in corso di stampa).

Inoltre consiglio di rileggere la Costituzione della Repubblica italiana

COMUNITÀ

1. Il significato del concetto di “comunità”

2. Gli studi di comunità

3. La comunità e la nozione di “rete”

4. Tracce di comunità nella città contemporanea

5. La comunità negata

6. Osservazioni conclusive: tre idee di comunità oggi

Dall’affermazione di un diritto alla deriva operativa.

I cosiddetti “standard urbanistici”, fissati con il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, costituiscono il principale strumento attraverso il quale la pianificazione urbanistica assicura l’esistenza, all’interno delle città, di spazi pubblici e d’uso pubblico in misura sufficiente. La loro introduzione nella legislazione urbanistica si inquadra all’interno di un’ampia concezione dell’urbanistica pubblica che, a partire dagli anni ’80, ha conosciuto un progressivo declino.

La necessità di realizzare opere e servizi riducendo i costi per le pubbliche amministrazioni, indotta dalle politiche nazionali di bilancio, si è tradotta nella progressiva rinuncia al governo pubblico della costruzione della città. Delegando all’iniziativa privata le decisioni sulla localizzazione delle opere, sulle funzioni da insediare, sul disegno e sull’assetto degli spazi, si sono traditi lo spirito e le finalità del decreto ministeriale del 1968, anche rispettandone formalmente i contenuti. Analoghe ragioni giuridiche e contabili spingono per una sostanziale equivalenza tra attrezzature private di uso collettivo (strutture sportive, ricreative e assistenziali e simili) e attrezzature pubbliche, contribuendo ulteriormente alla progressiva privatizzazione degli spazi.

Riportare lo spazio pubblico al centro della pianificazione

La pianificazione ha tra le sue finalità principali quella di rendere effettivo il diritto agli spazi pubblici (componente fondamentale del diritto alla città di cui ha parlato Ilaria Boniburini nella prima giornata della scuola). Per svolgere questo compito è necessario innanzitutto recuperare – in chiave necessariamente aggiornata – il concetto di standard urbanistico, battendosi contro la deriva a cui assistiamo quotidianamente. Tuttavia, il modo in cui la pianificazione urbanistica si occupa degli spazi pubblici non si esaurisce nell’applicazione delle disposizioni ministeriali. Le radicali modificazioni nell’assetto e nel funzionamento delle città e i nuovi fabbisogni determinati dai cambiamenti sociali ed economici, rendono necessario un ripensamento complessivo. Vogliamo focalizzare l’attenzione su tre temi, a nostro avviso cruciali, che la pianificazione urbanistica potrebbe trattare con molta più incisività di quanto non faccia ora.

Oltre gli standard: tre questioni cruciali

Beni comuni e fruizione collettiva. Gli spazi pubblici attrezzati costituiscono un tassello di un più ampio sistema – esistente in nuce in tutti gli insediamenti – costituito da risorse ambientali, paesaggistiche, sociali e infrastrutturali che possono essere fruite dai cittadini. Tanto più la società e le abitudini mutano rapidamente, quanto più è importante mantenere un legame con il patrimonio che ci deriva dal lavoro congiunto di natura e storia. Nel nostro paese, in particolare, la fruizione dei beni culturali e ambientali può essere ritenuta un elemento peculiare della dimensione pubblica, attraverso il quale rafforzare l’idea stessa di cittadinanza.

Lo spazio pubblico nella città esistente. Poiché riteniamo essenziale arrestare la dilatazione degli insediamenti, dobbiamo affinare e rafforzare il modo di intervenire all’interno della città esistente, riqualificando e recuperando alla fruizione collettiva i luoghi degradati, sottoutilizzati, congestionati, recintati, privatizzati. Un compito che richiede una migliore comprensione del modo di fruire la città da parte dei cittadini, con particolare riferimento alle nuove generazioni e ai nuovi abitanti; per tali ragioni, i piani urbanistici devono costituire la premessa e l’inquadramento di politiche urbane intese come sequenze organizzate di iniziative (materiali e immateriali, sui luoghi e sulle attività sociali), da accompagnare con grande attenzione nel loro sviluppo temporale.

Lo spazio pubblico nella città dello sprawl. La dilatazione e dispersione degli insediamenti connotano negativamente la “provincia” italiana. Rispetto ad altri contesti internazionali, tuttavia, possiamo parlare di un’urbanità deformata, ma non cancellata nei territori dello sprawl: beni comuni e un tessuto molto diffuso di attrezzature e servizi di prossimità sono ancora riconoscibili, seppure soffocati nel magma di costruzioni che ha invaso le pianure, le coste e i fondovalle. In queste aree a bassa densità di popolazione, provincie e associazioni di comuni possono promuovere forme di pianificazione coordinata e di gestione condivisa degli spazi pubblici e dei beni comuni, orientando la loro azione lungo una direzione lungamente evocata a parole (il concetto di rete è tra i più usati e abusati nella pianificazione) ma ancora largamente inesplorata nelle pratiche.

Si consiglia la lettura di alcuni brani del libro di E. Salzano, Urbanistica e società opulenta, Laterza, Roma.Bari 1969, da tempo esaurito ma disponibili in eddyburg, e precisamente:

Capitolo VII, Ambiguità della città opulenta, i paragrafi 2, 8, 9

Capitolo VIII. La cultura urbanistica di fronte alla città opulenta, i paragrafi 5, 6, 7

La posizione e il lavoro fatto dall' dall’UDI (Unione Donne Italiane) emergono dalla presentazione di Baldina Di Vittorio Berti del convegno “Obbligatorietà della programmazione dei servizi sociali in un nuovo assetto utbanistico”, organizzato dall'UDI a Roma, il 21-22 marzo 1964, e dalla relazione di Elena Caporaso, nel file in formato .pdf scaricabile in calce (mancano due pagine della relazione Caporaso).

Si consiglia la lettura della relazione di Giovanni Astengo al medesimo convegno.

Per l'intervento delle organizzazioni del movimento operaio nella vertenza per la casa, i servizi, la città, il territorio e lo scioero generale del 19 novembre 1969 scaricarre il file in calce.

Sono scaricabili qui sotto, in formato .pdf, i seguenti testi di cui è consigliata la lettura:

1) Zygmunt Bauman, Homo Consumens, Erickson, Gardolo (TN) 2007. Alcune pagine

2) Zygmunt Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2004. Capitolo 1, "La solitudine del cittadino globale"

3) Emanuele Sgroi, La città del XX secolo: il successo infelice. Dal volume: Enciclopedia italiana. Eredità del Novecento, Enciclopèedia Italiana Treccani , 2001, pp. 1050-1068

Schema della lezione

1. Un lessico di guerra - assedio, tradimento, cattura, saccheggio, distruzione - si addice allo spazio pubblico, bersaglio e bottino di grandi campagne di conquista da parte di potenti alleanze (partnerships), alla quali si è opposta una scarsa e poco armata resistenza.

L’impiego di termini bellici, e lo spostamento del punto di vista che deriva dal mettere a fuoco lo spazio pubblico come obiettivo di guerra, suggerisce l’urgenza di una ricognizione dei danni e delle vittime e della realistica valutazione delle possibilità di porvi rimedio (riconquista, ricostruzione).

Induce a riflettere sul fatto che la riconquista dello spazio pubblico, e in genere dei beni comuni, è un’operazione difficile e che può essere intrapresa solo se si verificano alcune precondizioni, cioè se tale spazio esiste ancora, se la comunità alla quale è stato sottratto è consapevole di essere stata saccheggiata e intende ingaggiare una lotta per reimpadronirsene, se tale comunità dispone delle forze e delle armi necessarie all’impresa.

In molti casi la risposta a questi tre quesiti è negativa. Innanzitutto, lo spazio pubblico ha subito trasformazioni fisiche e giuridiche difficilmente reversibili. Se era inedificato è stato riempito di manufatti, ed in ogni caso vi si sono indirizzati investimenti che ne hanno mutato il valore di mercato. Ma ancor più negative, a mio parere, sono le prospettive di riconquista, se si esamina l’atteggiamento delle comunità che, attraverso i loro rappresentanti eletti, non solo non si sono opposte, ma hanno incoraggiato e apprezzato la cessione dello spazio pubblico.

2. Chi vince la battaglia dell’informazione vince la guerra, sostengono gli analisti militari, ed in effetti le ben orchestrate campagne per convincerci che “privato è bello” sono una prova dell’efficacia dell’infowar.

Il marketing immobiliare ed i piani strategici comunali condividono linguaggio e obiettivi, col risultato che chi vuole impadronirsi dello spazio pubblico non deve nemmeno lottare per prenderselo. Diffondendo l’immagine dello spazio pubblico come sinonimo di degrado, spreco, insicurezza, l’aggressore conquista “gli animi e i cuori” di coloro che si appresta a depredare inducendoli a rallegrarsi per l’opportunità di liberarsi di un onere improduttivo.

Esercizi per le vacanze

Se smascherare il tradimento è la prima ineludibile operazione per la riconquista dello spazio pubblico, piuttosto che letture di testi accademici, suggerirei agli studenti di esaminare i programmi dell’amministrazione della loro città, evidenziando la perdita di spazi pubblici che ne è derivata e confrontando le reazioni della stampa e dei cittadini.

Ecco un elenco di letture introduttive al tema dello spazio che mi paiono anche ‘compatibili’ con il peso massimo consentito per la valigia delle vacanze…

Marc Augè, Il bello della bicicletta, Bollati Boringhieri, 2009;

Gilles Clément, Manifesto del terzo paesaggio, Ed. Quodlibet, 2005;

Giancarlo Consonni, La difficile arte . Fare città nell’era della metropoli, Maggioli Editore, 2008;

Massimo Ilardi e Enzo Scandurra (a cura di) , Ricominciamo dalle periferie, Manifestolibri, 2009.

Per chi ama la letteratura, suggerisco : Walter Siti, Il contagio, Mondatori, 2008, un approfondimento di spessore antropologico ed emotivo notevole, stimolato dal testo di Ilardi e Scandurra che riporta una intervista all’autore.

Suggerita la lettura di:

Vezio De Lucia, In morte del "Progetto Fori", da: Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna, a cura di Maria Pia Guermandi e Valeria Cicala, Bononia University Press, Bologna 2007.

Il testo in formato .pdf è scaricabile in calce

Schema della lezione

  1. Cenni di storia urbanistica di Caserta e inquadramento territoriale dell’area
  2. Storia dell’area macrico
  3. L’inizio della vicenda con la dismissione da parte del Ministero della Difesa
  4. Costituzione del comitato di associazioni e della lista civica: un esempio di democrazia partecipata
  5. Attività del comitato e lancio con Italia Nostra della campagna di acquisto del macrico:
  6. il premio Villirillo di Cittadinanzattiva
  7. Il lavoro dentro le istituzioni: il film “I have a green”
  8. Inserimento del macrico nel programma per i 150 anni dell’unità d’Italia
  9. Situazione attuale: risultati e prospettive.

Letture consigliate

Leggere su eddyburg i seguenti articoli:

Macrico: Un parco diventa siimbolo del riscatto del Sud

La mobilitazione popolare salverà il Parco di Caserta

Paesaggio italiano aggredito: che fare

Macrico verde? No, asfalto e cemento

Un parco di palazzi per i cittadini di Caserta

Il Cantiere sociale Arcipelago Napoli si propone di “costruire ponti per pensare una città diversa”. Con spirito di pontiera quindi ho deciso di partecipare alla iniziativa di eddyburg, “Una città, un piano: Napoli”, che si è svolta dal 24 al 26 aprile scorso, proprio per connettere il lavoro che da mesi facciamo come Cantiere sociale qui a Napoli alla storia di quanti, negli ultimi 20 anni, hanno pensato e disegnato lo spazio urbano.

È iniziato così un viaggio di conoscenza della mia città che per me, non addetta ai lavori e ignorante di urbanistica, è sempre apparsa come un luogo scontato, dove vivo e mi muovo ogni giorno, in cui a volte mi meraviglio e mi incanto per alcuni bellissimi cambiamenti che mi colgono alla sprovvista, e dove a volte soffro per le deturpazioni e il disamore che colgo nei gesti di tanti che la sfregiano. Così, come Alice nel paese della meraviglie, mi sono avviata a questa 3 giorni di visite in luoghi emblematici della città (Ponticelli, San Pietro a Paterno, Bagnoli, le stazioni della Metro collinare). Le sorprese che mi hanno colpita mi hanno sbilanciata da molteplici punti di vista: tante e diverse sono state le emozioni e i pensieri che per mettere almeno un poco di ordine in queste suggestioni sparse è stato necessario un ulteriore approfondimento con Elena Camerlingo, che generosamente e pazientemente mi ha dedicato un intero pomeriggio, e che ringrazio sinceramente. Ovviamente quanto scrivo è frutto della mia esperienza e ne sono la sola responsabile.

Per prima cosa, mi ha colpita la conferma che siamo davvero un arcipelago di solitudini. C’è voluto eddyburg, con la sua scuola di urbanistica itinerante, per fare incontrare pezzi di Napoli simili e complementari tra loro; e la sorpresa è dovuta alla somiglianza del lavoro di trincea con cui, ognuno nel suo pezzo, stiamo attaccati alle nostre pratiche di salvaguardia dei diritti di cittadinanza: chi progettando luoghi inclusivi e sorvegliando sull’attuazione a salvaguardia dei principi ispiratori, ma poco potendo fare sul piano della gestione, se non rammaricarsi laddove a quel livello si vede stravolgere la visione iniziale; e chi invece opera nel sociale inventandosi nel proprio agire e lavorare quotidiano un welfare che non c’è più.

Principio ispiratore della pianificazione urbanistica a Napoli è stato il diritto di cittadinanza attraverso l’accessibilità per tutti, da tutti i luoghi a tutti i luoghi, annullando la gerarchia tra centro e periferia. Per fare questo si è lavorato integrando urbanistica e trasporti, immaginando lo sviluppo della città in funzione del ferro già esistente e di quello ipotizzabile per favorire lo sviluppo e la mobilità sostenibili. Si è colta l’occasione dell’ampliamento della rete dei trasporti per ridisegnare o creare le piazze intorno alle stazioni. Piccoli grandi cambiamenti che hanno modificato il volto e la vita di molti quartieri a Napoli.

Si è pensato agli equilibri necessari, tra centro e periferie, ma anche tra zone rurali e zone edificate.

Si è tutelato il verde come bene primario, e Napoli con il Parco delle Colline ha oggi 2.200 ettari di verde, un quinto dell’intero territorio della città, dove si preserva l’agricoltura urbana, nella lungimirante visione di offrire alla città una produzione agricola locale, a filiera corta, tipica. Qui in particolare emerge subito una contraddizione fortissima, quando lo stesso luogo è contemporaneamente sede di futuribili visioni di città sostenibile e preda, a Chiaiano, dei soprusi governativi per cui, militarizzata e dichiarata in emergenza, diventa sede di ammassi di rifiuti per consentire finti miracoli.

Nel disegno di Napoli, si è puntato ad amplificare al massimo la caratteristica che ne ha fatto nei secoli una città a suo modo vivibile: la mixitè.

Punti fermi intorno ai quali si è progettato lo spazio urbano: fare muovere le persone e non le auto puntando sui trasporti pubblici e restituendo agli usi sociali gli spazi pubblici (vi ricordate Piazza del Plebiscito quando negli anni ‘70 era il mega parcheggio del centro?); distribuire funzioni pregiate in tutte le parti della città evitando specializzazioni che emarginano e gerarchizzano i quartieri: ogni quartiere ad esempio deve avere il suo parco pubblico a verde. Ci si deve poter muovere, se si vuole, ma non deve essere indispensabile. A Napoli, anni addietro, gli abitanti di quartieri periferici erano obbligati ad andare alla Villa Comunale per una passeggiata in un parco: oggi possono scegliere se farla nel proprio quartiere, e hanno anche la rete dei trasporti pubblici per evitare di usare l’auto.

La metropolitana collinare ha avvicinato la periferia al centro di Napoli. L’idea di spostare in periferia alcune funzioni importanti come l’Università era un modo per equilibrare gli spostamenti da e verso il centro, annullando la gerarchia, laddove la direzionalità prevalente definisce la subordinazione di un quartiere ad un altro.

Si è provato a facilitare la mixitè spostando funzioni pregiate e necessarie laddove si correva il rischio di avere solo un dormitorio o un ghetto, per distribuire a tutti i cittadini un pari diritto di cittadinanza nella propria città. Tutto questo ha dovuto e deve fare i conti con il pensiero oggi dominante dell’esclusione in nome della presunta sicurezza, per cui molti abitanti dei quartieri centrali di sentono “invasi” dalla metropolitana collinare, che di colpo ha annullato le difficoltà di mobilità dei cittadini delle periferie verso la loro preziosa gabbia dorata.

Si è lavorato a recuperare la contaminazione come fattore di inclusione sociale, contro il pensiero dominante della sicurezza propinata attraverso l’esclusione di tutte le diversità, la militarizzazione dei territori e i recinti, che nulla hanno a che fare con la sicurezza percepita, che diminuisce ad ogni recinto e ad ogni evidente segregazione, per cui è facile immaginare quanto questo approccio della pianificazione sia stato e venga tuttora ostacolato nella attuazione e nella gestione. D’altra parte una popolazione separata e ghettizzata è facile preda di demagogiche politiche securitarie, e consente forme di controllo sociale e spazi di interesse privato a prezzi veramente scontati.

Purtroppo i tempi dalla pianificazione alla attuazione e successiva gestione sono troppo lunghi, attraversano troppi periodi amministrativi, e corrono il rischio ad ogni passaggio di venire stravolti e “re-interpretati” in funzione di interessi particolari piuttosto che per il bene comune.

Se poi tra i livelli amministrativi di pianificazione-attuazione-gestione si inserisce anche l’elemento dell’operatività dei servizi sociali, non più esclusivamente servizio pubblico ma in gran parte erogato da operatori privati e del terzo settore sulle cui spalle si è buttata la responsabilità di rientrare in principi di economicità dei servizi, le zone opache di scarsa comunicazione aumentano vistosamente. Quanto era stato pensato negli anni di welfare forte e innovativo, oggi viene gestito in una situazione di welfare ridotto all’osso, pretendendo di inserire nell’erogazione di servizi essenziali per garantire cittadinanza e dignità a tutti, principi di economicità assolutamente insufficienti almeno fintanto che non si riesca a farli rappresentare anche attraverso variabili di benessere sociale.

A questo punto si chiude il cerchio delle suggestioni, e i pezzi del puzzle trovano ognuno la propria giusta collocazione. Ritorno alla sorpresa iniziale dell’arcipelago di solitudini di coloro che a Napoli lavorano, ognuno per suo conto, a credere ancora che un altro mondo è possibile. Siamo caduti anche noi nella trappola dell’esclusione e della separazione, che ci preclude la mixitè attraverso cui, se riuscissimo a metterci davvero in rete, diventeremmo improvvisamente forti e visibili. Per questo come Cantiere Sociale a Napoli abbiamo anche provato a lanciare, insieme ad altri che come noi credono che valga la pena di provarci, dei Segnali di fumo. Ma questa è un’altra storia, e ve la racconteremo un’altra volta.

Pasquale (purtroppo è scomparso)era tra i pochi che dai piani urbanistici sanno scorgere la realtà sociale che essi preparano. Oggi quel piano è in avanzata fase di realizzazione, tra molti conflitti indicativi della fase che viviamo. L’affermazione di Coppola nasceva da due obiettivi di quel piano (oltre a quello di spostare quote di traffico dall’automobile al mezzo collettivo): rendere accessibile tutta la città al numero più elevato possibile di cittadini; utilizzare le stazioni come strumento non solo per raggiungere gli spazi pubblici, ma per restituir loro vitalità e liberarli dalle automobili e dal degrado. Base indispensabile per raggiungere gli obiettivi era mettere in rete i molti rami esistenti di ferrovie, metropolitane, funicolari, di proprietà di numerosi enti, connettendoli in unico sistema di accessibilità e di gestione.

La rete fisica è stata costituita; le nuove stazioni e quelle ristrutturate, già quasi tutte realizzate, sono diventate i punti di connessione tra i diversi segmenti. Le localizzazioni delle stazioni è stata fatta non in funzione delle esigenze aziendali, ma assumendo come criterio di scelta il massimo numero di persone servite con un percorso casa-rete inferiore a 8 minuti. L’unificazione delle tariffe tra le aziende coinvolte consente di percorrere tutta la rete con un unico biglietto.

Il conflitto principale è tra l’esigenza di coordinare la gestione della rete e le spinte autonomistiche delle singole aziende. Oggi molti eventi segnalano il rischio che gli interessi del privatismo aziendale prevalgano su quelli del coordinamento, compromettendo l’esercizio del diritto alla città da parte dei cittadini.

L’evento si è svolto in una tre giorni di incontri e visite e ha consentito di conoscere e discutere le più significative trasformazioni urbane del capoluogo campano raccontate direttamente da chi le ha vissute in prima persona, come cittadino e, soprattutto, come amministratore.

Nella prima giornata Elena Camerlingo, Vezio De Lucia, Roberto Giannì e Laura Travaglini hanno illustrato le strategie e gli obiettivi essenziali del piano di Napoli ispirati al recupero della legalità, della qualità urbana e della salvaguardia delle aree verdi residue, tratteggiando le caratteristiche in cui tali scelte sono state maturale e le difficoltà tecnico-politiche che hanno dominato l’attuazione e la gestione dei principali interventi di trasformazione e conservazione del territorio.

Uno degli elementi portanti del riassetto urbanistico della città e del processo di riqualificazione auspicato è stata la riorganizzazione del sistema della mobilità avvenuta principalmente attraverso la formazione della rete di ferrovie metropolitane. La progettazione infrastrutturale è stata condotta in una logica di pianificazione integrata ovvero mai disgiunta dall’insieme delle regole urbanistiche e territoriali che hanno guidato la trasformazione dell’assetto urbano della città.

La seconda giornata è stata interamente dedicata alla visita di alcuni dei principali luoghi di interesse sotto il profilo delle iniziative di riqualificazione urbana praticate negli ultimi decenni: il parco Troisi a S.Giovanni a Teduccio, San Pietro a Patierno, il Parco delle Colline e l’area di Bagnoli.

Sorto in un momento di grande difficoltà politico-sociale (nel post terremoto del 1980) e riaperto nel 1994 dopo anni di chiusura, il parco cittadino “Massimo Troisi” di S. Giovanni a Teduccio è uno degli spazi pubblici centrali del quartiere e rappresenta una scommessa vinta contro lo scettiscismo di chi avrebbe preferito destinare quest’area a nuova edilizia per superare l’emergenza del terremoto. Uno spazio vivo, frequentato, ben tenuto, la cui riapertura ha permesso di rivitalizzare un’area ben più vasta, con nuove attività e la riscoperta di spazi che fino a quel momento rappresentavano un retro della città.

La seconda tappa, ben più impegnativa, è stata quella della municipalità di San Giovanni a Patierno, un esempio degli interventi di recupero dei centri storici attuati mediante il Piano delle Periferie a seguito del terremoto. L’intervento è stato dettagliatamente raccontato direttamente da chi ha promosso e redatto il piano attraverso la descrizione puntuale degli strumenti, principalmente di natura ordinaria, che sono stati utilizzati per in fase di progettazione e di gestione: la rivoluzione di questo quartiere, come di altri, è stata la conquista di una dimensione normale, fatta di servizi pubblici funzionanti, di spazi verdi e di abitazioni dignitose, attraverso un processo partecipativo da basso che ha coinvolto direttamente i suoi abitanti storici.

La visita è poi proseguita nell’area del Parco delle colline di Napoli, un’area circa 150 ettari di altissimo pregio e naturalità sottratta all’abusivismo edilizio. Il Direttore del parco, Agostino Di Lorenzo, e Antonio di Gennaro, uno dei più attivi promotori della nascita del parco, hanno descritto il lungo processo di formazione dell’ente parco e hanno illustrato le sue prospettive di crescita, legate alle attività agricole che stanno partendo in questi anni.

L’ultima tappa della visita è stata la passeggiata lungo il pontile dell’area industriale dismessa di Bagnoli, recentemente recuperato, ristrutturato e aperto al pubblico. Oggetto di uno degli interventi più importanti e discussi, l’area industriale è il simbolo più conosciuto di un Piano che ha puntato sulla trasformazione urbana come occasione per innalzare il livello qualitativo degli spazi pubblici. Oggi dal pontile si ha la prospettiva di uno spazio strappato a nuovo cemento, di cui, grazie al parco e ad altre attrezzature pubbliche, godranno tutti i cittadini.

La giornata si è chiusa presso la Casa della Città per un primo momento di confronto e di scambio di impressioni e idee.

L’ultimo giorno è stato dedicato alla nuova metropolitana di Napoli e alle sue stazioni, fiore all’occhiello del piano comunale dei trasporti che ha accompagnato e corredato il processo di pianificazione urbanistica iniziato con la variante di salvaguardia del 1994. Gli obiettivi di migliorare l’accessibilità, di riqualificare il centro storico e di risolvere la marginalità di molti quartieri periferici sono stati perseguiti attraverso una serie di interventi che, coordinati in un ampio programma di opere a scala metropolitana, hanno puntato sulla riorganizzazione e sulla messa in rete delle linee ferroviarie e metropolitane già esistenti.

Per toccare con mano il lavoro svolto in questi anni, la visita si è svolta quasi per intero in metropolitana: da Mergellina a Salvator Rosa, quindi a Materdei e a piedi fino a Montesanto attraverso il quartiere dell’Avvocata, uno dei rioni popolari della città. Le stazioni della metropolitana, concepite come raccordo tra il sistema degli spazi pubblici e il sistema dei trasporti, diventano in questa rete dei nodi, trattati come luogo per installazioni, gallerie d’arte, piazze e luoghi centrali a dimensione di quartiere.

Con un po’ di stanchezza, la tre giorni è terminata sulla terrazza della stazione di Montesanto, uno dei nodi fondamentali dell’intera rete dei trasporti: qui il racconto della nascita della stazione, un ultimo scambio di opinioni e un lungo giro di saluti finali. Uno strenuo lavoro di trasformazione strutturale della città che non ha avuto il giusto risalto, né sulla stampa nazionale (sempre distratta sulle vicende urbanistica), né sulle pubblicazioni di settore.

Per fortuna c’è eddyburg.

Sul sito Picasa sono disponibili le foto scattate durante la visita, riordinate da Alessandro Boca. Per accedere: login eddyburg@tin.it, password: eddyburg2009.

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