ROMA - «Non abbiamo discusso del piano casa perché avevamo assunto l´impegno di trovare l´accordo con le Regioni». Berlusconi chiarisce al Consiglio dei ministri perché il provvedimento è stato cancellato dall´ordine del giorno. Sull´ennesimo rinvio del varo del decreto legge sulla semplificazione edilizia e le nuove norme anti-sisma precisa: «Non è stato trovato l´accordo su un punto, ma le Regioni stanno procedendo con le leggi regionali per cui non ci saranno ritardi».
A loro spetta il compito di scrivere le leggi che permettano l´aumento di cubatura delle abitazioni private, le demolizioni e le ricostruzioni. La discussione sul dl del governo invece, che deve essere concordato con le autonomie locali, si allunga oltre le previsioni. Così se Toscana e Veneto sono avanti sul "piano casa bis", gli altri stanno temporeggiando. E l´entrata in vigore delle leggi potrebbe slittare in avanti. Berlusconi vuole stringere e detta i tempi: «Entro luglio sono convinto si darà attuazione al provvedimento così il piano sarà operativo dal primo agosto».
Il governo fa pressing per raggiungere un´intesa sul testo, il presidente della Conferenza delle Regioni Errani chiede garanzie e aspetta risposte. Dopo l´ennesimo stop, il leader del Pd, Franceschini, lancia l´affondo al piano casa del governo «che cambia continuamente» e puntualizza: «So che tutte le Regioni, al di là del colore, stanno difendendo bene le loro competenze e vogliono proposte concrete e non soltanto effetti immagine da lanciare prima delle elezioni». È polemica la deputata radicale del Pd e componente della Commissione ambiente, Zamparutti: «Lo slittamento all´estate del piano casa non sia l´alibi per l´ennesima proroga delle norme antisismiche che attendono di entrare in vigore dal 2005 e si provveda a renderle operative subito nel decreto sul terremoto in Abruzzo».
Oltre ai costruttori, anche gli architetti mettono fretta: «Questa ulteriore dilazione dei tempi del decreto governativo e, di conseguenza, delle leggi regionali che da questo dipendono, incrementa, invece che risolvere, il forte disagio del settore edilizio», si legge in una nota del consiglio nazionale.
Le richieste delle Regioni finora accolte sono l´eliminazione dell´autocertificazione per il mutamento di destinazione d´uso e la semplificazione sulla Vas (valutazione ambientale strategica). I nodi riguardano gli sgravi Irpef del 55% per gli interventi sulla messa in sicurezza, ampliamenti compresi, degli edifici privati in zone «a media e alta sismicità» e la possibilità di fare le verifiche necessarie con personale da assumere ad hoc con un piano a lungo termine sugli edifici pubblici.
Il confronto riparte la prossima settimana: il "piano casa bis" potrebbe tornare nell´agenda della Conferenza dei presidenti e all´Unificata di giovedì. Ma già martedì ci potrebbe essere un incontro tecnico per avvicinare le posizioni. Il ministro dei Rapporti con le Regioni, Fitto, è ottimista sulla possibilità di trovare un´intesa sul testo: «Stiamo lavorando per definire degli elementi nuovi» sui quali «dopo il terremoto in Abruzzo, le Regioni hanno posto l´attenzione del governo» e tiene bassi i toni della discussione («non mi sembra che ci siano punti di divergenza notevoli»). Dalla settimana scorsa «alcune questioni sono state superate», precisa, «resto fiducioso»
Non ci sono risposte alle osservazioni delle Regioni e delle autonomie locali per il decreto legge di semplificazione che dovrebbe accompagnare l’accordo per il rilancio dell’edilizia e quindi “fumata nera” dopo oltre due ore di vertice al ministero per i Rapporti con le Regioni, per sciogliere i nodi posti. La prevista conferenza unificata che avrebbe dovuto dare il via libera al provvedimento, necessario per portarlo al Consiglio dei Ministri di domani, è saltata: “"il testo - ha spiegato il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto - sarebbe andato in Consiglio dei Ministri solo a condizione del raggiungimento dell'intesa con le Regioni e le altre autonomie locali. Lo porteremo - dice - quando ci sara' l'accordo". Per il presidente della Conferenza Regioni, Vasco Errani,” le regioni, unitariamente, attendono precise risposte a richieste fondamentali che il Governo ancora non ci ha dato".
Eppure l‘intesa sul “piano per il rilancio dell’edilizia” sembrava possibile, pur restando nel pomeriggio ancora nodi da sciogliere quando cioè si è dovuto registrare prima lo slittamento alle 18.30 poi il definitivo rinvio della Conferenza Unificata straordinaria sul piano per il rilancio dell’edilizia (inizialmente convocata per le 16.00 nella sede del Dipartimento per gli affari regionali.) La riunione avrebbe potuto riaprirsi se l’incontro politico tra il ministro per gli affari regionali Raffaele Fitto, per la semplificazione Roberto Calderoli, il sottosegretario agli interni Michelino Davico e per le regioni il Presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, oltre ad alcuni tecnici in rappresentanza di comuni e province avesse avuto un esito positivo. Così non è stato. La sospensione si era resa, del resto, necessaria per cercare di giungere ad un accordo sui punti ancora non chiariti; tra questi la semplificazione della procedura per la Valutazione ambientale strategica (Vas). Quindi l'accordo che molti davano quasi per raggiunto in vista del consiglio dei ministri di domani, sembra nuovamente allontanarsi. I tempi restano strettissimi, ma il provvedimento calendarizzato per il Consiglio dei ministri del 15 maggio subisce l’ennesimo slittamento Tra le misure che servirebbero per completare il quadro del provvedimento, dopo le osservazioni delle Regioni, l'inserimento degli sgravi irpef del 55 per cento per tutti i lavori di ristrutturazione degli immobili privati e una deroga agli enti locali per l'assunzione del personale tecnico per la gestione dell'attuazione delle norme antisismiche.
“Noi – ha spiegato (al termine della Conferenza delle Regioni svoltasi in mattinata) il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani - siamo pronti e vogliamo fare sul serio. Ora occorre verificare se ci sono i presupposti per raggiungere l'intesa perché - prosegue – si tratterebbe anche di innescare un'importante misura anticiclica capace, da una parte di rilanciare il settore dell'edilizia, e dall'altra, di fare arrivare nuove entrate per lo Stato". Tra gli altri punti su cui le regioni insistono, rispetto al piano casa, c'e' ''una conseguenza delle giuste scelte sulle norme antisismiche - ha aggiunto Errani - e cioè la necessità di una deroga per quanto riguarda le assunzioni di personale per poter garantire controlli''. In sostanza, sintetizza Errani, servono ''gli strumenti per far funzionare le norme antisismiche'' ed è necessaria una ''azione coerente con gli obiettivi che abbiamo proposto''. Solo così secondo Errani, si potrà garantire un'''iniziativa anti ciclica'' capace di ''portare nuove entrate allo Stato e di avviare una azione coerente per la messa in sicurezza delle abitazioni''.
Anche l’Anci, spiega Sergio Chiamparino,”attende di verificare, in Conferenza Unificata, come siano stati chiariti i due punti critici ancora irrisolti: quello della auspicabile deroga agli enti locali per la assunzione di personale tecnico per la gestione della attuazione delle norme antisismiche e quello della altrettanto auspicabile semplificazione della procedura per la valutazione ambientale strategica (Vas), prevedendo nella sostanza che essa sia necessaria solamente per gli strumenti generali di pianificazione che abbiano effetti significativi sull'ambiente''. Sergio Chiamparino, Presidente dell’Anci, ha ricordato che '''in sede tecnica sono state accolte le proposte Anci relative alla reintroduzione del rispetto '''degli strumenti urbanistici comunali'' in materia di attività edilizia libera (art.1), al rafforzamento delle '''misure urgenti in materia antisismica e di sicurezza delle costruzioni'' (art. 2), all'equa distribuzione dei benefici e degli oneri derivanti dagli interventi di trasformazione sempre nel rispetto del piano urbanistico ed al '''fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa'' (art. 7)”.
''Siamo ancora in attesa che il governo ci dia delle risposte sulle richieste di modifica al testo del decreto legge sulle misure urgenti in materia di edilizia, urbanistica ed opere pubbliche'', ha detto il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, al termine del confronto politico al Dipartimento degli affari regionali sul decreto legge che dovrebbe fra da corollario al piano per il rilancio dell’edilizia. Un incontro conclusosi senza che sia stato raggiunto un accordo. Errani ha ribadito le richieste delle regioni necessarie per approvare il decreto. In particolare -ha ricordato- chiediamo che l'articolo 11, relativo al non utilizzo di immobili pubblici a rischio sismico (per i quali entro 6 mesi dalle verifiche della protezione civile e dei comuni, non siano stati avviati lavori di messa in sicurezza), preveda un piano di interventi quarantennale con l'individuazione delle relative coperture necessarie per reperire i fondi e per le assunzioni del personale tecnico da impiegare nelle verifiche. Le regioni chiedono poi un'altra modifica allo stesso articolo relativa agli sgravi Irpef del 55% che dovrebbe essere recepita, secondo i Presidenti, con un emendamento ad hoc al decreto legge sull'Abruzzo. ''Questa sarebbe - ha detto Errani - una scelta fondamentale in grado di dare risorse all'erario e risposte ai cittadini''. “Cosi' stanno le cose - ha concluso Errani, rispondendo sempre alle dichiarazioni di Berlusconi agli Stati generali delle costruzioni - non ci sono regioni di centrodestra e regioni di centrosinistra, la nostra posizione e' unitaria, le regioni sono un'istituzione che in questa sede cercano una reale collaborazione con il governo''.
Probabile la riapertura del confronto sul Piano Casa. È stata convocata per domani alle 16 la Conferenza Unificata per l’esame dello schema di decreto leggerecante misure urgenti in materia di edilizia, urbanistica e opere pubbliche. Gli Enti Locali, che dopo la presentazione dei possibili emendamenti attendono le nuove proposte del Governo, continuano il percorso parallelo della legislazione regionale.
Nel Lazio si fa avanti un percorso condiviso grazie alla collaborazione di costruttori e istituzioni. Al convegno dell’Acer, Associazione costruttori edili di Roma, è emersa la volontà di costruire alloggi a canone sociale e convenzionato. Non si tratterà di case popolari, ma di un’edilizia residenziale con canoni di locazione inferiori a quelli del libero mercato. Le stime sulla richiesta abitativa mostrano una carenza di 50 mila alloggi.
L’housing sociale si coniugherà anche con la densificazione delle aree già edificate, come gli aumenti volumetrici del piano governativo. Oltre agli ampliamenti del 20% sarà incentivata la demolizione e successiva ricostruzione degli edifici anni ’70. A causa delle crescenti difficoltà di edificazione si prevedono bandi di gara, cambi di destinazione d’uso e la riqualificazione di 13 mila casali agricoli.
Non recepirà totalmente il DL del Governo la Sardegna. Lo ha annunciato l’Assessore all’Urbanistica Gabriele Asunis, impegnato insieme al Governatore e agli altri vertici regionali nella rivisitazione del Piano Paesaggistico. Il 18 maggio inizierà un percorso per la tutela di centri storici, sistema costiero e fasce marine. Alla base il principio della valorizzazione dell’intero patrimonio edilizio, che andrà di pari passo con il rilancio delle costruzioni.
Tutti gli interventi dovranno rispettare il divieto di costruire a una distanza inferiore di 300 metri dal mare. La norma regionale conterrà inoltre incentivi e premi volumetrici per i proprietari che abbatteranno la propria abitazione per ricostruirla a una distanza maggiore dalla costa. Il percorso di scelte condivise sarà anche utile a risolvere le criticità presenti nella pianificazione comunale, a causa delle quali l’edilizia ha subito un blocco.
Non sono solo le Regioni ad attendere la ripresa del Confronto sul Piano Casa. Dopo le dichiarazioni rilasciate da Finco, anche Giuseppe Moretti, Segretario generale di Feneal-Uil esprime disapprovazione sui continui ritardi del Governo, dovuti anche all’emergenza Abruzzo. Gli effetti del terremoto hanno portato all’inserimento nel DL di misure antisismiche cui tutti gli interventi dovranno conformarsi. Gli adeguamenti potranno essere effettuati da soggetti abilitati.
I costi, indicati orientativamente nell’Ordinanza 3362/2004, possono essere stimati in 3 euro per metro cubo per la valutazione di vulnerabilità negli immobili di piccole dimensioni e in 0,50 euro a metro cubo per quelli più grandi. L’adeguamento si può invece aggirare sui 150 euro a metro cubo, ma il valore preciso dipende dalla vicinanza alla zona sismica di riferimento e dalla sua tipologia.
Il rischio è che l’housing sociale diventi un ulteriore alibi per rendere edificabili e private aree che non lo sono. Immaginate il seguente colloquio tra il comune e l’immobiliarista di turno:
Comune : Mi servono appartamenti a canoni inferiori a quelli di mercato, da assegnare a determinate categorie di utenti.
Immobiliarista : Benissimo, ghe pensi mi. Dammi le aree.
Com : E dove le trovo?
Imm : Intanto me ne dai un po’ di quelle vincolate (che brutta parola!) a standard.
Com : E se non bastano?
Imm : Ti aiuto io. Ne ho quanto ne vuoi. Basta che togli il vincolo (ancora questa parola!) a verde agricolo, e io invece dei fagiolini ci costruisco le case che ti servono e le affitto a chi vuoi a prezzi concordati.
Com : Benissimo. Per quando tempo?
Imm : Ma quanto vuoi, anche 10 o 15 anni!
Com : Perfetto!
Morale della favola: se va così, l’immobiliarista ha “valorizzato” (così come piace a lui) il suo terreno, prima inedificabile o addirittura soggetto a esproprio, il comune ha aggravato un po’ il consumo di suolo, il livello della rendita fondiaria e il carico sui servizi pubblici. Uno contento, e l’altro (cioè noi) cojonato.
Riusciranno regioni e comuni, che discutono con Berlusconi la mitigazione del suo “piano casa”, a evitare quest’ultimo trasferimento dal pubblico al privato, dalla ricchezza comune a quella privata? Vedremo alla prossima puntata.
Intanto, in Sardegna minacciano di distruggere il piano paesistico e di riaprire il saccheggio delle coste.
Il rifugio nell’edilizia denuncia l’insolubile incapacità del centrodestra di pensare una politica industriale. Da il manifesto , 11 aprile 2009 (m.p.g.)
Antonio Peduzzi
Il destino aleatorio dell'Aquila ha allineato, con il senso dell'inevitabile, la devastazione degli apparati produttivi, la scomparsa delle condizioni di produzione del ceto politico e, ora, la cancellazione urbanistica della città capoluogo. Chi discetta di new town dovrebbe avere anzitutto il concetto comprensivo dello stato di cose presente, punto di catastrofe di un processo irreversibile. Disporre di questo concetto è compito della politica, ma essa non ha finora parlato. Non si può scambiare per politica il cicaleccio quotidiano del presidente del consiglio dei ministri.
Di più e meglio.
L'insistenza sulla new town dovrebbe essere già un indicatore eloquente del disegno vagheggiato dal centrodestra. La new town non è la politica: è l'appello ai ceti dei rentiers, che sono quelli che hanno dato un contributo rilevante all'azione di disfacimento della città. Sono le consorterie e le logge che hanno sempre prosperato a L'Aquila in affari coperti, non a caso target di riferimento del centrodestra. La stupida nozione secondo cui l'edilizia sarebbe il volano dell'economia, ripetuta fino alla nausea, non significa quel che sembra. Il centrodestra ha in mente la costruzione di uno stato di cose la cui egemonia stia nelle mani del comparto più rozzo dell'industria. Mai e poi mai verrebbe in mente al presidente del consiglio che il problema non è soltanto quello di costruire una specie di Milano 2 in Abruzzo, ma di restituire dignità a donne e uomini che dovrebbero avere il diritto a un reddito e a una dislocazione nella scala sociale.
Mai e poi mai il presidente del consiglio direbbe che la catastrofe va combattuta tentando di fare della città uno spazio in cui idee e tecnica aprano scenari di una ripresa dello sviluppo. E si capisce: il segmento di classe cui Berlusconi guarda non è quello degli imprenditori in senso stretto, ma quello maleolente dei signori del mattone e del cemento (gestito, ovviamente, con parsimonia) - i quali avessero, almeno, dimostrato di saper fare qualcosa di serio e di decente a L'Aquila in questi decenni. Il presidente del consiglio è come Luigi Filippo di Orléans: il massimo che è capace di pensare è mettere in sella la frazione putrefatta della classe borghese, quella dei rentiers. Se avesse coraggio e serietà, il presidente del consiglio riunirebbe l'Unione degli industriali e l'Unione dei costruttori, per guardare negli occhi coloro che ne compongono gli organi dirigenti e informarsi su che cosa sappiano fare.
Poiché comunque il cicaleccio salottiero sulla new town è irrefrenabile, è necessario cogliere in esso una sfumatura. La spinta edificatoria è il solo comparto in cui si può andare esenti dall'accusa di condurre una politica economica o una politica industriale. Non per scrupolo: il centrodestra è organicamente incapace di pensare una politica industriale, che pure sarebbe legittima di fronte alla catastrofe che ha disfatto L'Aquila. Così come è incapace di pensare una politica universitaria che non sia fatta di finzione e di propaganda.
La new town è la proposta di uno sviluppo arretrante, tipica della rozzezza intellettuale del centrodestra. Su questa linea si costruiranno forse case e casette, ma non sarà ricostruito il legame sociale, cioè l'essere città della città, che si è ormai liquefatto. Il centrodestra non capisce che il problema è convincere la gente che esiste qualche buona ragione per abitare, lavorare e studiare a L'Aquila: ma per produrre queste convinzioni non basta la new town, idea inadeguata a fronteggiare la desertificazione sociale in atto da decenni.
Se il dichiarato fine del così detto “piano casa” è quello di rianimare l’attività edilizia (che si dice mortificata dalla generale crisi), non v’è dubbio che la ricostruzione di L’Aquila e dei minori insediamenti della sua corona offra una occasione, e insieme una responsabilità, di dimensioni straordinarie. Il restauro dei monumenti e il sistematico recupero degli insediamenti storici, messi in doverosa sicurezza sismica, dovranno attivare, e certamente per tempi non brevi, una vasta imprenditorialità, di elevata qualità e ad alto tasso di occupazione.
Se si considera poi la imponente entità dei danni al patrimonio edilizio, anche pubblico, dell’Abruzzo, si deve constatare che neppure i fabbricati più recenti (che avrebbero dovuto adeguarsi alle cautele antisismiche), come scuole e ospedali, hanno saputo opporre resistenza al sisma. E allora non è certo arbitrario risalire a una allarmante condizione generale e alla dimensione nazionale di una responsabilità e di un compito che non possono essere elusi. Sicché si impone una strategia fondata su un ordine di incontestabile priorità, in un paese interamente esposto, pur se in misura differenziata, alla vulnerabilità sismica. Converrà dunque orientare la “ripresa delle attività imprenditoriali edili”, non già alla sopraelevazione della casa di chi già ne dispone, ma alla priorità assoluta della messa in sicurezza dei luoghi nei quali Stato, Regioni, Province, Comuni adempiono ai servizi essenziali alla vita comunitaria, come innanzitutto scuole e ospedali. Un programma nazionale di dimensioni colossali, immediatamente attivabile, cui debbono essere destinate le necessarie risorse (anche distolte da meno urgenti impieghi) e che impegnerà per ben oltre un decennio la qualificata imprenditorialità dell’edilizia.
Una conclusiva considerazione. La bozza (ora in discussione negli uffici ministeriali) del decreto legge che il Governo, nell’accordo con le Regioni sul “piano casa”, si è riservato di adottare per “semplificare alcune procedure di esclusiva competenza dello Stato al fine di rendere più rapida ed efficace l’azione amministrativa di disciplina dell’attività edilizia”, non arresta la semplificazione neppure di fronte alla “materia antisismica” e consente alle Regioni di escludere al riguardo la prevista autorizzazione preventiva, per rimettere ogni controllo in via successiva “anche con metodi a campione”. La drammatica lezione del sisma di Abruzzo avrà convinto della irresponsabilità di una simile previsione.
Via libera al piano casa della Toscana, entro un mese. Nella corsa all’approvazione del provvedimento che darà la possibilità ai proprietari di ampliare del 20% i propri immobili, demolirli e ricostruirli, la Regione ha deciso di bruciare i tempi fissati dal governo (90 giorni) e portare prima possibile la sua proposta in consiglio. Con qualche sorpresa: l’assessore regionale all’urbanistica Riccardo Conti apre infatti all’ipotesi di includere nel piano casa anche i centri storici della città toscane. «Daremo dei criteri di grande elasticità, ma decideranno i Comuni», dice Conti. La Regione firmerà un patto con gli enti locali, il primo incontro tra le parti si terrà il 14 aprile: «Questo percorso ci consentirà di non avere intoppi e incertezze istituzionali. La giunta si impegna a portare in discussione la proposta di legge a metà maggio, perché tiene in considerazione e preoccupazione le condizioni di crisi economica, sociale ed occupazionale», ha affermato ieri l’assessore durante la seduta del consiglio.
Il governo ha escluso i centri storici dal piano casa.Ma anche lasciato alle Regioni la facoltà di valutare l’estensione delle misure. Secondo Conti «c’è la possibilità di reintrodurre nel piano casa i centri storici, se i Comuni sono d’accordo. Certo si tratterà di eccezioni». Poi una mezza frenata: «A Firenze non credo sarà possibile», aggiunge. La Toscana punterà a regolare i nuovi interventi mantenendo le norme di tutela vigenti, la proposta di legge sarà presentata in consiglio insieme all’adozione del Piano di indirizzo territoriale (Pit). La Regione punterà poi alla semplificazione burocratica, l’idea è quella di estendere la Dia (dichiarazione di inizio attività), in via sperimentale, agli interventi previsti dal piano casa.
Ma non tutti sono d’accordo con l’ipotesi Conti. «Invece di contrastare la crisi — afferma Monica Sgherri, capogruppo del Prc — si rischia di tutelare la rendita dei ceti medio alti: i disoccupati difficilmente potranno usufruire del piano casa». «Manca ancora un vero piano casa che offra risposte all’edilizia sociale», dice la consigliere Bruna Giovannini (Sd). Soddisfatto il centrodestra: «Chiediamo alla Regione di fare presto e bene, per non tradire lo spirito dei provvedimenti di emergenza del governo», dice Alberto Magnolfi (Fi-Pdl).
Sono crollati ospedali, edifici pubblici e scuole costruiti di recente. Dovevano rispettare rigorose norme antisismiche, ma il terremoto ha tragicamente svelato una realtà che viene sistematicamente occultata: siamo il paese delle regole scritte con solennità e violate con estrema facilità. Siamo il paese in cui le funzioni pubbliche di controllo sono state cancellate o messe nella condizione di non nuocere. Di fronte a questa realtà, il "piano casa" della Presidenza del Consiglio liberalizzava ulteriormente ogni intervento edilizio che poteva iniziare attraverso una semplice denuncia di inizio attività, e cioè in modo che la pubblica amministrazione perdesse per sempre ogni residua possibilità di controllo. Dappertutto, in zona sismica o in zona di rischio idrogeologico.
Sono poi crollate in ogni parte anche le case private. Antiche, della prima o della seconda metà del novecento. Segno evidente che anche esse sono state costruite senza gli accorgimenti che ogni paese civile richiede. Invece di avviare questo processo, il piano casa del governo autorizzava aumenti automatici di cubatura (fino al 20%) senza contemporaneamente costringere i proprietari a rendere più efficienti le strutture. Chiunque chiude un balcone o una veranda, pur aumentando i pesi che le case devono sopportare, non interviene sulle fondazioni o sulle strutture principali. E’ noto che questa anarchia e disorganicità è alla base di molti crolli e di molte vittime.
La tragedia dell’Abruzzo mostra dunque di quale cinismo e arretratezza culturale fosse stato costruito il provvedimento tanto reclamizzato da Berlusconi. Cinismo perché faceva balenare in ciascuno la possibilità di incrementare la proprietà senza tener conto dell’esistenza di equilibri più complessivi, senza cioè dover rispettare i beni comuni per eccellenza: le città.
Arretratezza culturale perché il terremoto ha dimostrato ancora una volta che il vero problema del nostro paese è quello di avere i piedi di argilla. In un paese ad alto e diffuso rischio sismico, infrastrutture, servizi e abitazioni non sono in grado di resistere ai terremoti. Invece di agevolare la sistematica messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio, questo governo ha in mente una sola cultura: "aggiungere". Nuove grandi opere, ad iniziare dal ponte sullo stretto e dalle centrali nucleari, nuove espansioni edilizie. Invece di consolidare l’enorme patrimonio edilizio esistente e rendere sicura la vita degli italiani, si continua con lo scellerato meccanismo della rendita speculativa.
Stavolta la colpa non è di esclusiva responsabilità politica. E’ evidente in ogni settore un consenso esplicito ed entusiasta della Confindustria e della cosiddetta "classe dirigente". Quella, per intenderci, di cui fa parte Claudio De Albertis, per molti anni presidente dei costruttori italiani e oggi presidente di quelli milanesi. In un recentissimo dibattito nella rete televisiva di La Repubblica ha avuto il coraggio di dire che in Italia mancano case popolari perché vengono costruite con troppa lungimiranza e durano troppo nel tempo. Ci dobbiamo abituare, ha aggiunto, a programmarne la vita in venti anni per poi rottamarle. Mentre tutti i paesi ad economia avanzata si interrogano su come ricostruire su basi solide un futuro possibile dopo la crisi, da noi governo e imprenditori del mattone pensano esclusivamente a nuovi affari senza farsi carico degli interessi generali.
Sono così miopi da non vedere che c’è invece un altro modo per rilanciare la macchina dell’edilizia. Basterebbero tre mosse. Prendere atto che il nostro patrimonio abitativo è fatiscente e lo Stato ha il dovere di favorirne la messa in sicurezza, attraverso norme e finanziamenti. E se ci fosse qualcuno che afferma che in questo modo si spendono soldi pubblici, si potrebbe rispondere che stiamo spendendoli per acquistare i fondi tossici delle banche. Perché non potrebbero essere utilizzati anche per non veder morire intere famiglie? Eppoi, gli interventi dentro una nuova concezione dell’edilizia favorirebbero la nascita di nuove industrie in grado di realizzare e gestire sistemi di risparmio energetico. In pochi anni i benefici complessivi supererebbero le spese di investimento iniziale: basta soltanto dare il colpo di grazia alla rendita immobiliare, come fanno in Europa.
Secondo. Prendere atto che nell’ultimo decennio si è costruito troppo e che è venuto il momento di dire basta ad ogni ulteriore consumo di suolo agricolo. Da qualche mese è nata su iniziativa del sindaco di Cassinetta di Lugagnano la rete "stop al consumo di territorio" e sono molti i primi cittadini che vogliono voltare pagina. La popolazione italiana non cresce più ed è economicamente molto più conveniente riqualificare l’esistente.
Terzo. La definizione di un grande (stavolta sì) programma di messa in sicurezza degli edifici pubblici. Il volto dello stato si vede da come si presentano le scuole dell’obbligo. L’ottanta per cento di esse è fatiscente o non rispetta le norme di sicurezza. Stesso discorso vale per gli ospedali e per gli altri servizi. Una grande opera di ricostruzione del volto dei luoghi pubblici e delle città, che sono gli elementi portanti della convivenza civile di ogni paese civile. E se qualcuno obiettasse spudoratamente che in questo modo si spendono soldi pubblici, basterebbe mostrargli i volti dei giovani che in Abruzzo hanno perso la vita soltanto perché l’ideologia liberista ha imposto in questi anni la distruzione di ogni funzione pubblica.
Mercoledì il Tirreno ha dato ampio spazio al cosiddetto "piano casa" intervistando amministratori e politici, che spesso hanno mostrato molto interesse al piano riformulato dopo la concertazione "stato-regioni".
Sembrava si fosse avviata una competizione a chi faceva prima a dare corso ad una cosa che ancora non c’è.
Fermo restando che la competenza legislativa in materia di urbanistica è regionale e che a mio parere non è neppure legittimo ipotizzare che se entro novanta giorni le regioni non legiferano si possa addivenire ad una sorta di commissariamento governativo di queste, è certo che il piano casa non c’è e si ipotizza un incentivo immobiliare per sperare in una ripresa nel settore dell’edilizia nel campo degli interventi di piccola dimensione.
Il governo farebbe bene a trovare risorse per l’edilizia economica e popolare, edilizia per l’affitto e edilizia convenzionata, i tanto vituperati Peep che rimangono però quanto di più avanzato e riformista abbia prodotto la cultura urbanistica italiana a partire dal 1962, magari scartando le ultime esperienze in termini temporali, che spesso sono apparse come lottizzazioni private mascherate e non sempre di buona qualità urbanistica (la Rosa tanto per rimanere a Livorno è meglio della Leccia e della Scopaia, e la Leccia è meglio anche di qualche quartiere in costruzione).
Il dibattito di questi giorni lascia l’amaro in bocca perché è apparso molto superficiale, slegato da una valutazione del reale stato delle nostre città, delle esperienze urbanistiche dell’ultimo decennio che sostanzialmente hanno premiato la rendita. Eppure è evidente che senza una nuova stagione urbanistica fatta di recupero e ristrutturazione - compresa la demolizione e ricostruzione di vaste aree edificate, di rinuncia all’espansione e direi anche di contrazione della rete delle urbanizzazioni, che è vero vengono realizzate a scomputo oneri, ma poi debbono essere mantenute da tutta la collettività, si finirà solo per rischiare il crack ambientale.
Infine mi sia permessa una annotazione personale, il piano casa, o meglio l’ampliamento - densificazione dell’esistente, senza enfasi si fa e da molto nei piani regolatori più saggi, perché non si urbanizzano nuove aree, si può godere spesso della vicinanza di servizi urbani o commerciali già esistenti, si pagano oneri di urbanizzazione che non vengono scomputati e possono essere realmente finalizzati ad investimenti aggiuntivi di qualità alla città esistente.
Non c’è necessità di andare lontano per trovare esempi validi: si può ricordare il Prg - Insolera di Livorno con le zone B13, dove era appunto possibile rialzare edifici esistenti mono o bifamiliari e realizzare nuove unità immobiliari,oppure recentemente il Regolamento Urbanistico di Portoferraio, secondo logica urbanistica in alcune aree ove era possibile, contabilizzando gli incrementi per non sforare i limiti di edificabilità imposti dal piano strutturale, anzi stabilendo di consumare in un quinquennio neppure il 50% delle potenzialità edificatorie dello stesso Piano Strutturale.
Cioè seriamente si può fare molto, il resto appare scorciatoia di una politica ridotta a spot destinato a durare poco nel tempo.
Ma tant’è perché di città e di urbanistica si parla sempre molto per polemica, poco con impegno, cognizione di causa, disponibilità di spazio e culturale al confronto.
Ai turisti scesi in Italia per Pasqua dite pure: “Guardateli bene questi paesaggi perché fra qualche anno non saranno più così belli”. Il disegno di legge e/o il decreto legge che Berlusconi sottoporrà domani alle Regioni e giovedì al Consiglio dei ministri preparano una “Pasqua di sangue” per il Belpaese. Già col gonfiamento di un 20 % delle cubature di Villettopoli il suo imbruttimento è garantito. Tuttavia il peggio arriva adesso.
Lo schema di decreto legge (che in parte potrà divenire disegno di legge in forza dell’allarme lanciato dal presidente Napolitano) prevede infatti che “senza alcun titolo abilitativo”, cioè senza licenza e neppure denuncia di inizio attività, si potranno realizzare: lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, movimenti di terra in zone agricole o silvo-pastorali, depositi temporanei “di merci e materiali a cielo aperto, ad esclusione dei rifiuti” (ma chi controllerà?), mutamenti di destinazione d’uso “attuati senza esecuzione di opere edilizie” (ma chi vigilerà?). Un’autostrada per i capitali sporchi e per il racket. Diventa generale il criterio, sciagurato, della compensazione di diritti edificatorii, un grimaldello che scassa anche il miglior piano urbanistico.
I colpi più micidiali Berlusconi li infligge – era prevedibile- alle Soprintendenze e ai loro poteri tecnici. Se un’opera è “sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica, il soprintendente si esprime in sede di conferenza dei servizi, in via definitiva”. Cioè senza riflettere, né verificare. La sua eventuale assenza equivale ad un “sì”. Ma pure su progetti riguardanti immobili già soggetti a vincolo paesaggistico (compresi i parchi o i siti archeologici?) il parere delle Soprintendenze non è più vincolante e dev’essere espresso in soli 60 giorni. Gli autori di questo testo sanno bene che la cronica carenza di personale carica già oggi ogni tecnico delle Soprintendenze di svariate pratiche al giorno, figuriamoci dopo i tagli ai fondi. Quindi, il diktat dei 60 giorni equivale ad un silenzio/assenso. Se, con sforzi enormi, i tecnici riusciranno a fornire un parere, “ove sia negativo, l’Amministrazione può procedere ugualmente al rilascio bela (sic!) autorizzazione motivando specificamente sul dissenso”. Italiano a parte, una beffa atroce. Il nostro interesse generale ad avere paesaggi belli o addirittura splendidi sin qui era tutelato. Da domani non lo sarà più. In nome del rilancio “comunque” dell’edilizia, in nome di mille e mille interessi delle corporazioni o, peggio, dei clan.
Nelle aree a bassa sismicità – Alpi e Sardegna - non ci vorrà autorizzazione specifica. In quelle ad alta e media sismicità (quasi tutte) l’autorizzazione preventiva dovrà essere rilasciata entro 60 giorni. Non ci vorrà però se le Regioni hanno previsto “con legge modalità di controllo successivo anche a campione”. Da rabbrividire. Come per la Valutazione Ambientale Strategica esclusa per gli strumenti di attuazione dei piani urbanistici. In poche pagine si spazzano via norme e regole in vigore da un secolo, anche sotto il fascismo. Siamo alla barbarie. Per giunta suicida.
Ascoltando Raffaele Fitto, ministro per i rapporti con la regione, ho pensato “che burlone, ci vuole fare un pesce d’aprile”, non era credibile, infatti, che avesse trovato l’accordo sul “piano casa” con le regioni. Eppure era la verità, altro che pesce d’aprile, le regioni avevano limato il piano del cavaliere Berlusconi, ma sostanzialmente né accettavano la filosofia. E va bene che tra i “governatori” regionali ce ne fossero alcuni che amando il “capo”, condividevano il piano casa (la Regione Veneta ha in discussione un progetto di legge che ricalca alla perfezione il contenuto del primo annunzio del cavaliere), ma il centro sinistra dove stava? Forse si è spaventato di frenare la ripresa economica bloccando l’iniziativa edilizia? Forse si è fatto irretire dalle previsioni (tutte da verificare) di centinaia di migliaia di famiglie pronte per cogliere l’occasione di un ampliamento della loro casa? Misteri.
Quello che non è misterioso, invece, è la fragilità delle parole al vento. Da quando è scoppiata la crisi economica non si ascoltano che affermazioni del tipo “niente sarà come prima”, “il capitalismo uscirà diverso”, “chi governa ha capito”, e via di questo passo. Ora mi pare che almeno in Italia la ripresa è affidata al più tradizionale degli strumenti: l’accelerazione della produzione edilizia, con gli addentellati della speculazione, della corruzione, del lavoro nero, ecc. Non importa se poi questo piano, come credo, avrà effetti inferiori al previsto, quello che interessa è che a destra come a sinistra il “niente come prima” si declina con gli strumenti più banali dello sviluppo precedente (e una delle cause della crisi). Che non si tratti di una personale illazione è verificabile dal testo dell’accordo tra Conferenza delle regioni e il governo, che infatti recita “rilevata l’esigenza … di misure che contrastino la crisi … visto l’accordo … di fronteggiare la crisi mediante un riavvio dell’attività edilizia…”.
Prescindendo da questo aspetto, certo non marginale, l’accordo presenta una serie di equivoci che facendosi forte dell’autonomia della regione e dei poteri delegati a queste (“premia” il federalismo) fornisce indicazioni di massima (il famoso 20%), mentre si afferma che le “regioni possono promuovere ulteriore forme di incentivazione volumetrica”; ai disastri non c’è mai un limite. Mi immagino che la giustificazione per eventuali forme di ulteriore “incentivazione volumetrica” è presto trovata: l’occupazione. Tale incremento riguarda le case unifamiliari o bifamiliari (ma qualcuno parla anche di “case a schiera”, il che sarebbe una bella differenza). Sarebbero esclusi i condomini, che, tuttavia potranno essere reintrodotte dalle singole regioni.
Incrementi fino al 35% sono ammessi per edifici a destinazione residenziale che venissero demoliti e ricostruiti con finalità “di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili”. Qui non è chiaro che i tre criteri sono necessariamente concorrenti o se ne basti uno. Ma forse, come si dice sempre, il testo diffuso non è preciso. La demolizione pone problemi di inquinamento non modesti ma a questi non si fa riferimento, ne sul riciclo dei materiali o loro smaltimento.
Così come formulato l’accordo , sembra escludere, e tutti respiriamo, l’edilizia non residenziale, ma attenzione, sempre in virtù del federalismo e dell’autonomia regionale, “ferma restando l’autonomia legislativa regionale ad altre tipologie di intervento”.
Tali interventi non possono riferirsi ad “edifici abusivi, ai centri storici o in aree di inedificabilità assoluta”. Come già segnalato in altre occasioni il riferimento agli edifici abusivi appare equivoco, in una versione precedente si diceva con “ordine di demolizione” ora l’universo sembra allargarsi, ma resta il problema degli edifici condonati, questi edifici costruiti regolarmente, sanati, con poche lire, a fini di cassa, ora godono anche di un premio? Sembra di si, la qual cosa non sembra un tratto di giustizia sociale ancorché legittima.
Giusto lo shock da produrre nella crisi si è introdotto un lasso temporale di validità della legge regionale che promuoverà l’attività edilizia suddetta: 18 mesi (“salvo diversa determinazione delle singole regioni”). Questo termine, ovviamente, spinge le famiglie ad “approfittare” e quindi la legge potrebbe incentivare l’attività edilizia. Su questa attesa delle famiglie, nonostante i pararei di illustri istituti di ricerca si possono avanzare delle perplessità. Ma tralasciamo la questione.
Poi segue la parte “normativa” che apparentemente ha lo scopo di “snellire” (cosa saggia) ma che in realtà si presenta come fuga da ogni formazione con l’estensione massima del “silenzio assenso”, principio quanto mai perverso. Infine si coglie una sorta di “comando” affinchè le regioni introducano nelle legislazioni regionali, qualora non l’avessero già fatto, la “perequazione e compensazione urbanistica”, che costituisce un falso principio di eguaglianza tra i proprietari fondiari e un marchingegno non necessario per ottenere aree per le opere e i servizi pubblici. Ma è di moda, e tanto basta.
Per capire cosa significa il costante rimando all’”autonomia regionale” basta gettare un’occhiata al progetto di legge n. 398, di iniziativa della Giunta, della Regione Veneta. Un progetto snello (8 articoli) che permette l’ampliamento fino al 20% sia degli edifici residenziali che quelli destinati ad usi diversi. Per gli edifici composti da più unità immobiliari, “compatibilmente con le leggi che disciplinano il condominio degli edifici” (non le norme urbanistiche né i regolamenti edilizi), è possibili realizzare l’ampliamento separatamente per ogni unità (la cosa è misteriosa, a meno di non pensare alla chiusura di terrazzi, balconi e simili e di costruzioni aggettanti, e viva il miglioramento estetico). La Regione Veneto allarga tale possibilità anche agli usi diversi; questa si che è appetitosa e grave.
E’ prevista la demolizione degli edifici realizzati prima del 1989 con incremento del 30% o il 35% se si usano tecniche costruttivi di bioedilizia ed energia rinnovabile. Anche in questo caso l’ampliamento ammesso è previsto sia per le abitazioni che per gli altri usi.
Sono i Comuni, entro il termine perentorio di 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, che “possono escludere l’applicabilità delle norme a specifici immobili o zone del proprio territorio, sulla base di specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico”. Questo significa che norme e piani esistenti non contano niente, i Comuni si dovranno esprimere ex-nuovo, le regole di governo precedente sono azzerate. Questo è l’oggetto vero del provvedimento: la de regolazione, la fine di una programmazione dello sviluppo urbano e territoriale. È chiaro, infatti, che questo sistema una volta applicato per 18 mesi (24 nella proposta della regione Veneto) non potrà che costituire la guida futura per il Paese lungo i percorsi dei suoi disastri urbanistici ed edilizi.
L’autonomia regionale, il tanto atteso dì federalismo, trova una sua prima applicazione deteriore. La Conferenza delle regioni ha provato a mediare e non a bloccare un piano dissennato, ma avere accettato che le Regione, nella loro autonomia, potranno proporre “ulteriori forme di incentivazione” e “diverse tipologie di intervento” non fa altro che spostare altrove il problema (la regione Veneto è un esempio). E non può essere di consolazione pensare che le popolazioni hanno i governati che si meritano, sia perchè ad approfittare è una quota modesta della popolazione sia perché chi governa non dovrebbe accettare un disastro annunziato.
Il cavaliere Berlusconi, tuttavia, non è soddisfatto, e, dal suo punto di vista ha ragione, non perché il suo piano sia stato ridimensionato, ma perché il merito di quello che si farà (si distruggerà) sarà non tanto suo ma dei Governatori. Non è un caso che già rilancia il “piano famiglia” con la costruzione di edilizia per le giovani coppie (i singoli non hanno diritto?), a basso costo, e annunzia, anche, la costruzione di nuove città. Ma di questo non ci occuperemo fino a quando (giusto l’impegno preso con i lettori) non sarà materia ufficializzata e non pensiero dal senno sfuggita.
Detto tutto questo va precisato che in questa nota si è tenuto conto dell’ “intesa governo regioni”, ma niente si sa ancora del decreto legge che il governo emetterà; questo, si può supporre, si occuperà soprattutto della semplificazione, cioè dell’azzeramento di ogni forma di governo del territorio.
Alla formazione di questo governo avevo paventato il fatto che il cavaliere avendo meno bisogno di tempo per “occuparsi dei fatti suoi” si sarebbe occupato “dei fatti nostri”. Ecco il risultato.
A giustificazione (pretesto) del «piano casa», governanti e governatori hanno posto la crisi del settore delle costruzioni. Vero, la crisi c’è, gravissima, ma è una crisi inevitabile dovuta al raggiungimento di un eccesso di offerta sul mercato. Il numero di nuove costruzioni è aumentato, tra il 2000 e il 2007, del 70 per cento. La percentuale di nuove abitazioni sull’intera offerta immobiliare passa dal 27,9 per cento nel 2000 al 40,9 per cento nel 2007, al 46,7 per cento nel 2008. Tra il 2008 e il 2010 saranno ultimate altre 840 mila abitazioni già cantierate o autorizzate (dati Cresme). Peccato che le nuove famiglie, dal 2002, stiano scendendo gradualmente e che solo l’1 per cento dichiara l’intenzione di voler comprare una casa. Come scrive Paola Bonora (su Eddyburg del 29.03.09) nell’ultimo decennio in gran parte dei paesi occidentali vi è stata una «frenesia edilizia» (le aziende edilizie crescono del 31,6 per cento, quelle immobiliari del 59,2 per cento, la quota del valore aggiunto assicurata dal settore cresce del 24 per cento, più del doppio della media nazionale, venti volte più di quella dell’industria) del tutto in simbiosi con la finanziarizzazione dell’economia. Più precisamente la immobiliarizzazione dei capitali è stata il mezzo di transito con cui l’economia degli speculatori è riuscita a realizzare rendimenti (interessi) sempre maggiori.
Il territorio nazionale è stato messo a disposizione della rendita urbana fondiaria (con i piani dei sindaci, con le leggi regionali che hanno seppellito la pianificazione urbanistica e, infine, con la legislazione emergenziale di Berlusconi), cioè del meccanismo che consente il rigonfiamento dei valori immobiliari, quindi l’ipervalutazione degli edifici. Ma – come è accaduto negli Stati uniti, nel Regno unito, in Spagna, ecc. – la bolla presto o tardi scoppia, il mercato si accorge che non ci sono compratori, crolla il castello dei finanziamenti facili (ancora lo scorso anno le banche finanziavano i costruttori fino al 100 per cento del costo di costruzione dell’immobile), esplode l’insolvenza, le banche vanno in rosso. Si deve sapere che il boom edilizio dell’ultimo decennio, la ondata di cemento e asfalto che ha lastricato una fetta impressionante di terreno agricolo, è stato governato dai fondi di investimento immobiliare, che rastrellano i risparmi familiari, ma servono anche a tesaurizzare («pietrificare» in questo caso) i fondi pensione e assicurativi a cui basta iscrivere a bilancio rendimenti del tutto fantasiosi (in attesa che qualcuno si accorga del trucco) e persino i «fondi sovrani» degli sceicchi del petrolio che hanno un problema inverso al nostro: un eccesso di liquidità.
La crisi del settore delle costruzioni in Italia e in ogni stato dove si sia lasciata mano libera a banchieri e immobiliaristi («capitani coraggiosi», venivano chiamati con ammirazione) è dovuta ad un inevitabile crollo del mercato: un decremento delle compravendite stimato tra il 13 e il 16 per cento, con cali massimi al Nord (-18 per cento) e nei centri urbani provinciali. Un enorme stock di invenduto (non solo case, ma anche capannoni industriali e commerciali) è sparpagliato sul territorio a perenne segno dell’insipienza, della voracità, del malgoverno.
Se la crisi è questa (strutturale, finanziaria, di strategia programmatica), il «piano casa» varato da governo e regioni assomiglia all’ultimo boccale di birra concesso all’ubriaco, quello che lo farà crollare sul marciapiede. Non c’è un piano di riorientamento del settore delle costruzioni («consumo zero» di suolo, ristrutturazione edilizia e riqualificazione urbanistica, obbligo alla certificazione energetica, modifica dei modelli insediativi, ecc.), non c’è un piano per sostenere davvero la domanda debole che non raggiunge il mercato (migranti, innanzitutto, giovani, ecc.), c’è solo disperazione e furbizia: costruite dove volete, mettete mano ai vostri risparmi, spendeteli nel modo peggiore possibile, rovinando quelle poche aree di pertinenza dell’abitazione, degradando quel che rimane del paesaggio agricolo, svalorizzando ancora di più la qualità dei vostri immobili e soprattutto della vostra vita quotidiana.
Ma che c’entra questo con l’emergenza del settore delle costruzioni?
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Per ora si tratta di un piano-famiglia, ha precisato ieri Silvio Berlusconi. Il piano-casa, quello vero, verrà poi, magari con la costruzione di tante new towns (città nuove) quanti sono i centri principali. Ha ben ragione dunque il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (garante dell’art. 9 della Costituzione che “tutela il paesaggio”) a preoccuparsi e a denunciare che nel rilancio “comunque” dell’attività edilizia “si celano anche molte insidie non trascurabili proprio per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale, artistico e paesaggistico, valori che la Costituzione tutela e di cui impone il rispetto”. Impeccabile.
Guardiamo ai dati reali. La popolazione italiana aumenta molto lentamente, in forza soprattutto dell’immigrazione, mentre siamo già sui 100 milioni di stanze costruite (escluse le seconde case). La produzione edilizia degli ultimi sette anni è stata ingente, ma, non essendo quasi per nulla di natura sociale, non ha scalfito l’emergenza-casa. Pensare ad ulteriori incrementi della sola edilizia privata, significa cementificare e asfaltare altro paesaggi agricoli e forestali senza dare casa a quanti ne hanno realmente bisogno. L’attuale intesa Governo-Regioni riguarda soltanto i proprietari di case e di ville mono o bi-famigliari e consente loro di aumentare del 20 % i volumi esistenti, sino a 200 mc (incluse le villette a schiera, esclusi invece i centri storici, i condominii e i capannoni).
Temo che un imbruttimento della attuale, tanto deprecata Villettopoli sarà inesorabile. In caso di demolizione/ricostruzione l’ampliamento potrà arrivare al 35 %. Secondo le stime del presidente del Consiglio tali facilitazioni potrebbero mettere in circolo addirittura 60-70 miliardi di euro di investimenti, cioè 4-6 punti del PIL. Non dice che quella stessa cifra sarebbe contemporaneamente sottratta a consumi magari primari e ad altri investimenti più produttivi. Di più: l’aumento delle volumetrie si sommerà al già cospicuo invenduto ora sul mercato riducendo i valori e i prezzi dell’edilizia. Tant’è che vi sono economisti i quali stimano che l’impatto sul PIL risulterà assai limitato nel tempo e nella quantità, comprimendo la domanda di altri beni e servizi.
Ci sono poi parecchie perplessità (bisognerà vedere il testo definitivo) sulla semplificazione delle procedure: in alcuni snodi strategici (permessi relativi alla situazione idrogeologica, sismica e paesaggistica, alla stessa Valutazione Ambientale Strategica) prevedere “tempi certi” per il rilascio dei permessi equivale ad instaurare forme di silenzio/assenso, quindi di non-controllo di merito. Pericolosissime in una Paese quasi tutto mediamente o altamente sismico, flagellato da frane e smottamenti, con ambienti e paesaggi già molto a rischio. Di qui il giusto monito del presidente Napolitano. Nell’intesa si dice che le leggi regionali “possono” individuare i casi nei quali beni culturali e ambientali impediscono di costruire.
Perché “possono” e non invece devono? La tutela non è un optional. Nello stesso testo ci si riferisce – per la tanto criticata “compensazione” – a “norme già presenti nei disegni di legge all’esame del Parlamento”. A quale di essi se sono fra loro così diversi? E poi, quando mai ci si rifà a leggi non ancora approvate? Delusione piena, infine, per l’edilizia pubblica e sociale: soltanto un formale tavolo di confronto. Tanto sono in arrivo le “new towns”. Non quelle dei laburisti inglesi di 30-40 anni fa, bensì le clonazioni di Milano 2.
Qui il testo dell’accordo, e qui il commento di eddyburg
Via libera questa mattina dal governo e dalla conferenza delle regioni al cosiddetto “piano casa”. Nel piano saranno sbloccate le procedure per ampliamenti degli immobili, che però saranno possibili «entro il limite del 20% della volumetria esistente», per immobili che non superino i 1.000 metri cubi e fino a un massimo di incremento di 200 metri cubi. Il tutto secondo le norme regionali, che potranno escludere aree «con particolare riferimento ai beni culturali» e aree «di pregio ambientale e paesaggistico». E' quanto si legge nell'intesa raggiunta tra governo e regioni.
Il limite di ampliamento sale al 35% nel caso di demolizioni, «con finalità di miglioramento della qualità architettonica, dell'efficienza energetica e secondo criteri di sostenibilità ambientale». Le regioni, prevede l'intesa, «si impegnano ad approvare entro e non oltre 90 giorni proprie leggi ispirate preferibilmente» agli obiettivi dell'accordo stesso. La validità delle leggi regionali non sarà superiore a 18 mesi. Mentre «entro dieci giorni dalla sottoscrizione dell'accordo il governo emanerà un decreto-legge i cui contenuti saranno concordati con le regioni e il sistema delle autonomie».
L'obiettivo, si legge, è quello «di semplificare alcune norme di competenza esclusiva dello Stato, al fine di rendere più rapida ed efficace l'azione amministrativa di disciplina dell'attività edilizia» e «introdurre forme semplificate e celeri per l'attuazione degli interventi edilizi», sempre «in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale».
Il governo e le regioni, infine, «ribadiscono la necessità assoluta del pieno rispetto della vigente disciplina in materia di rapporto di lavoro, anche per gli aspetti previdenziali e assistenziali e di sicurezza dei cantieri».
«Si tratta di un risultato molto importante al quale abbiamo lavorato intensamente - ha commentato il ministro Raffaele Fitto - abbiamo raggiunto un'intesa condivisa dall'intero governo».
Il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, oltre alla soddisfazione, ha sottolineato che l'intesa «è un risultato importante per noi e per il Paese, confermiamo pienamente l'impostazione di quando avevamo detto che il decreto era inaccettabile». Con gli accordi raggiunti oggi «non ci sono scelte che possono compromettere il sistema di governo e la tenuta urbanistica del territorio. Ora però bisogna occuparsi della vera emergenza che è quella di trovare risorse per le famiglie in difficoltà che non riescono a pagare l'affitto, abbiamo 550 milioni di euro, bisogna trovare altre risorse pubbliche e private». Soddisfazione è stata espressa da Errani anche perché nella bozza dell'accordo «non c'è più la vendibilità del 20% e non c'è più il cambiamento della destinazione d'uso».
Errani ha poi sottolineato che i lavori del piano casa saranno svolti nel rispetto delle norme sulla sicurezza e con lavoro regolare e forme di rendicontazione che mettano in chiaro tutti i lavori che verranno fatti. Le Regioni avranno 90 giorni di tempo per emanare, ciascuna, le norme per consentire l'attuazione del piano casa. In extremis si è raggiunto l'accordo per il varo di un tavolo che metta a punto uno studio di fattibilità per verificare quali misure adottare per l'edilizia pubblica. Dall'accordo, infatti, sono sparite «le risorse aggiuntive» che lo Stato avrebbe dovuto apportare, seppure in quantità non determinata.
Al termine del consiglio dei ministri anche Berlusconi ha commentato l'intesa: «Sono soddisfatto per l'accordo raggiunto, un'altra intesa importante dopo quella sugli ammortizzatori sociali. Ringrazio le Regioni per la collaborazione istituzionale, ora ci avviamo a studiare l'altro grande piano per la casa. E' intenzione dell'esecutivo - ha spiegato Berlusconi - dare il via alla costruzione di 'new town' in ogni capoluogo di provincia per mettere a disposizione nuove case, in particolare per i giovani».
Il testo del «piano casa»
(da l'Unità online, 1 aprile 2009)
Ecco il testo dell'accordo sul piano casa siglato la notte scorsa al tavolo tecnico dal governo e dalla conferenza delle regioni, recepito questa mattina dalla conferenza unificata a Palazzo Chigi.
«Rilevata l'esigenza, da parte del governo, delle regioni e degli enti locali di individuare misure che contrastino la crisi economica in materie di legislazione concorrente con le regioni, quale quella relativa al governo del territorio;
visto l'accordo delle regioni e degli enti locali in ordine alle esigenze di fronteggiare la crisi mediante un riavvio dell'attività edilizia favorendo altresì lavori di modifica del patrimonio edilizio esistente nonché prevedendo forme di semplificazione dei relativi adempimenti secondo modalità utili ad esplicare effetti in tempi brevi nell'ambito della garanzia del governo del territorio;
rilevata l'esigenza di predisporre misure legislative coordinate tra stato e regioni nell'ambito delle rispettive competenze;
governo, regioni ed enti locali convengono la seguente intesa:
per favorire iniziative volte al rilancio dell'economia, rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie e per introdurre incisive misure di semplificazione procedurali dell'attività edilizia, lo stato, le regioni e le autonomie locali definiscono il seguente accordo.
Le regioni si impegnano ad approvare entro e non oltre 90 giorni proprie leggi ispirate preferibilmente ai seguenti obiettivi:
a) regolamentare interventi - che possono realizzarsi attraverso piani/programmi definiti tra regioni e comuni - al fine di migliorare anche la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici residenziali uni-bifamiliari o comunque di volumetria non superiore ai 1000 metri cubi, per un incremento complessivo massimo di 200 metri cubi, fatte salve diverse determinazioni regionali che possono promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica;
b) disciplinare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica, dell'efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e secondo criteri di sostenibilità ambientale, ferma restando l'autonomia legislativa regionale in riferimento ad altre tipologie di intervento;
c) introdurre forme semplificate e celeri per l'attuazione degli interventi edilizi di cui alla leggera a) e b) in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale. Tali interventi edilizi non possono riferirsi ad edifici abusivi o nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta.
Le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei quali gli interventi di cui alle lettere a) e b) sono esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, nonché gli ambiti nei quali i medesimi interventi sono favoriti con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.
La disciplina introdotta dalle suddette leggi regionali avrà validità temporalmente definita, comunque non superiore ai 18 mesi dalla loro entrata in vigore, salvo diverse determinazioni delle singole regioni.
In caso di mancata approvazione delle leggi regionali nel termine stabilito, il governo e il presidente della giunta regionale interessata, congiuntamente, determinano le modalità procedurali idonee ad attuare compiutamente l'accordo, anche ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003.
Entro dieci giorni dalla sottoscrizione del presente accordo, il governo emanerà un decreto-legge i cui contenuti saranno concordati con le regioni e il sistema delle autonomie con l'obiettivo precipuo di semplificare alcune procedure di competenza esclusiva dello stato, al fine di rendere più rapida ed efficace l'azione amministrativa di disciplina dell'attività edilizia.
Il governo e le regioni ribadiscono la necessità assoluta del pieno rispetto della vigente disciplina in materia di rapporto di lavoro, anche per gli aspetti previdenziali e assistenziali e di sicurezza nei cantieri e la necessità di mettere a punto una procedura che garantisca trasparenza come, per esempio, quella utilizzata per lo sgravio Irpef del 36%.
Il governo si impegna, inoltre, confermando integralmente gli impegni assunti con l'accordo sottoscritto con le regioni in merito al sostegno all'edilizia residenziale pubblica, ad avviare congiuntamente con le regioni e le autonomie locali uno studio di fattibilità per un nuovo piano casa che individui, in aggiunta alle risorse dell'accordo sopra indicato, e compatibilmente con le condizioni di finanza pubblica, risorse pubbliche e private per soddisfare il fabbisogno abitativo delle famiglie o particolari categorie, che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale e che hanno difficoltà ad accedere al libero mercato della locazione.
Viene fatta salva ogni prerogativa costituzionale delle regioni a statuto speciale e delle province autonome».
(AGI) - Roma, 31 mar. - Ecco la bozza d'intesa sul Piano Casa che, secondo quanto si apprende, le Regioni sottoporranno al governo dopo averla votata questa mattina all'unanimità. Il documento "impegna le regioni ad approvare entro e non oltre 90 giorni proprie leggi ispirate ai seguenti obiettivi: a) regolamentare interventi - anche attraverso piani/programmi definiti tra Regioni e Comuni - per migliorare la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici residenziali uni-bifamiliari o comunque di volumetria non superiore ai 1.000 metri cubi, per un incremento complessivo massimo di 200 metri cubi, fatte salve diverse determinazioni regionali; b) disciplinare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento di edifici residenziali entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica, di sensibile riduzione dei consumi energetici ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e secondo criteri di sostenibilità ambientale; c) introdurre forme semplificate e celeri per l'autorizzazione degli interventi edilizi di cui alla lettera a) e b) in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale.
Le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei quali gli interventi di cui alle lettera a) e b) sono esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, nonché gli ambiti nei quali i medesimi interventi sono favoriti con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.
La disciplina introdotta dalle suddette leggi regionali avrà validità temporalmente definita, comunque non superiore a 12 mesi dalla loro entrata in vigore. In caso di mancata approvazione delle leggi regionali nel termine stabilito, il Governo e il Presidente della Giunta regionale interessata, congiuntamente, determinano le modalità procedurali idonee ad attuare compiutamente l'accordo, anche ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003.
Contestualmente alla sottoscrizione del presente Accordo - si legge nella bozza d'intesa - il Governo emana un decreto-legge i cui contenuti sono concordati con le Regioni e il sistema delle autonomie con l'obiettivo precipuo di semplificare alcune procedure di competenza esclusiva dello Stato, al fine di rendere più rapida ed efficace l'azione amministrativa di disciplina dell'attività edilizia".
"In particolare - prosegue la bozza di intesa sul piano casa - le misure di semplificazione devono riguardare: a) la previsione di un termine certo per il rilascio delle autorizzazioni, permessi o altri atti di assenso comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e organismi statali preposti, tra l’altro, alla tutela della sicurezza (es. prevenzione antincendi), del paesaggio, del demanio idrico e al sistema delle infrastrutture nazionali; b) la ridisciplina del procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, con l'applicazione, in via permanente, delle procedure previste dall'art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 e successive modifiche e integrazioni e con l'obiettivo di rafforzare gli strumenti di collaborazione tra le Regioni e gli organismi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali; b 1) la previsione del potere di annullamento, di cui all'art. 159, comma 3, dell'autorizzazione illegittima solo per contrasto con le prescrizioni del Codice; b 2) la precisazione del solo riferimento al costo delle opere, quale modalità di calcolo della sanzione amministrativa da applicarsi in caso di interventi realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica e di cui sia stata accertata la compatibilità paesaggistica, a norma dell'art. 167, comma 5, del Codice ; c) la semplificazione delle procedure di valutazione ambientale strategica (VAS), nel rispetto dell'ordinamento comunitario e delle competenze legislative regionali in materia urbanistica, con l'obiettivo di evitare la duplicazione delle procedure di valutazione di piani e programmi; d) la previsione che le nuove norme tecniche per le costruzioni non trovino applicazione agli interventi edilizi già iniziati, e alle opere pubbliche i cui lavori siano stati appaltati o i cui progetti siano stati approvati, alla data di entrata in vigore delle suddette norme tecniche; e) la fissazione dei principi fondamentali in materia di misure di perequazione e compensazione urbanistica, all'interno dei piani urbanistici, sulla base delle norme già presenti nei disegni di legge attualmente all'esame del Parlamento.
Il Governo e le Regioni ribadiscono la priorità assoluta del pieno rispetto della vigente disciplina in materia di rapporto di lavoro, anche per gli aspetti previdenziali e assistenziali e di sicurezza nei cantieri.
Il Governo fissa, altresì, principi per la legislazione regionale atti a consentire l'ampliamento delle tipologie degli interventi non soggetti a titolo di abilitazione preventiva.
Il Governo si impegna, inoltre - sempre secondo la bozza delle Regioni - confermando integralmente gli impegni assunti con gli Accordi sottoscritti dal Governo con le Regioni in merito al sostegno dell'edilizia residenziale pubblica, ad aprire un tavolo di confronto con le Regioni e le Autonomie locali per la definizione di un nuovo Piano Casa che individui, in termini strutturali e con risorse aggiuntive, le modalità per soddisfare il fabbisogno abitativo delle famiglie o particolari categorie, che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale e a destinare a favore di Regioni e Comuni il maggior gettito IVA derivante dagli interventi previsti dal presente accordo, da reinvestire in programmi di edilizia sociale e che hanno difficoltà ad accedere al libero mercato della locazione".
A caldo, alcune perle.
"[…] regolamentare interventi - anche attraverso piani/programmi definiti tra Regioni e Comuni - per migliorare la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente". Per quello che eccede il 20% non si migliora la qualità?
"[…] introdurre forme semplificate e celeri per l'autorizzazione degli interventi edilizi di cui alla lettera a) e b) in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale". Che significa "in coerenza"? chi la stabilisce? perchè non "nel pieno rispetto"?
"Le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei quali gli interventi di cui alle lettera a) e b) sono esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico […]". "Possono individuare": la tutela dei beni culturali ecc. è un optional?
"In caso di mancata approvazione delle leggi regionali nel termine stabilito, il Governo e il Presidente della Giunta regionale interessata, congiuntamente, determinano le modalità procedurali idonee ad attuare compiutamente l'accordo […]". Cosi come si esautora il Parlamento, così si esautorano i consigli regionali, all’unanimità dei presidenti.
"[…] la previsione di un termine certo per il rilascio delle autorizzazioni, permessi o altri atti di assenso comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e organismi statali". Dimenticano che stabilire "termini certi" (cioè il silenzio-assenso) è ragionevole unicamente se si rafforzano le strutture che devono rilasciare le autorizzazioni; altrimenti, significa eludere i controlli di merito.
"[…] la fissazione dei principi fondamentali in materia di misure di perequazione e compensazione urbanistica, all'interno dei piani urbanistici, sulla base delle norme già presenti nei disegni di legge attualmente all'esame del Parlamento". Evidentemente scritto dopo un’abbondante e unanime libagione. Mai visto un riferimento a "disegni di legge attualmente all’esame del Parlamento": e a quale dei ddl? Al più permissivo? Al più rigoroso? A quello che esclude perequazione e compensazione?
"Il Governo fissa, altresì, principi per la legislazione regionale atti a consentire l'ampliamento delle tipologie degli interventi non soggetti a titolo di abilitazione preventiva". Avanti con il silenzio-assenso, a tutta birra.
Su questa base, il Capo può andare avanti tranquillo, cantieri si apriranno dappertutto: basta essere "coerenti" con le leggi e i piani urbanistici, territoriali e paesaggistici. La "coerenza", naturalmente, sarà stabilita in un Accordo di programma con gli immobiliaristi grandi e piccini. O forse no?
Dimenticavamo: e la "casa"? La parola magica che ha sfoderato il Capo in cerca di alibi? Quella "casa" che è il tormento di tantissimi italiani non ricchi? Per quella c’è un ottimo auspicio: "Il Governo si impegna […] in merito al sostegno dell'edilizia residenziale pubblica, ad aprire un tavolo di confronto con le Regioni e le Autonomie locali". Quando Giovanni Giolitti voleva insabbiare un problema nominava una commissione parlamentare per studiarlo; nel XXI secolo, nell’Italia berlusconata si istituisce un Tavolo.
Come uscire dalla crisi che ci attanaglia? Credo di non essere stato il solo, in quest’ansiosa stagione, a ricordare il discorso sull’austerità tenuto da Enrico Berlinguer nel 1977 al teatro Eliseo di Roma. Vivevamo allora le drammatiche conseguenze della guerra arabo-israeliana del 1973 che aveva fatto repentinamente tramontare le illusioni sulle magnifiche sorti e progressive di uno sviluppo economico illimitato basato sul petrolio a basso costo. Penso che in molti abbiamo pensato di riprendere quel discorso, rassicurati dal fatto che il più grande paese capitalistico del mondo e della storia percorre anch’esso – si parva licet componere magnis – strade inaspettate, varando misure a favore della riconversione sostenibile dell’economia, della cultura, della ricerca scientifica, dell’istruzione e della sanità pubblica.
Invece, improvvisamente, il nostro presidente del consiglio, con il suo forsennato rilancio della speculazione fondiaria come misura risolutiva per uscire dalla crisi, ci ha brutalmente ricondotti nello squallore terra-terra della nostra realtà, a distanza siderale dai ragionamenti sull’austerità e dal seducente modello disegnato da Barack Obama.
I contenuti della proposta di Berlusconi sono noti, si chiama “piano casa”, e dovrebbe riguardare stanziamenti per l’edilizia sociale, in effetti pochi soldi a sostegno di programmi già decisi dal precedente governo. Ma il piano casa è solo la cornice, è un paravento, anzi è un tranello, che spiana la strada all’autentica novità, quella che riguarda la decantata “rivoluzione” dell’edilizia privata. Quando scrivo questa nota non è ancora noto il testo definitivo varato dal governo, ma è stato anticipato che si prevede l’abolizione del permesso di costruire, sostituito da una certificazione di conformità firmata dal progettista, e la possibilità di un premio di cubatura fino al 30 per cento in caso di demolizione e ricostruzione di un edificio. Sembra addirittura che ci sia la possibilità, per chi interviene in aree vincolate, di ottenere una sorta di autorizzazione in sanatoria. Rispetto a ciò che potrebbe succedere, rischiamo di rimpiangere la Napoli degli anni Cinquanta, quando era sindaco Achille Lauro e circolava la battuta che "il piano regolatore serve a chi non si sa regolare". Basta d'altra parte ricordare che a plaudire per prima è stata la nuova amministrazione regionale della Sardegna, che di speculazione se ne intende.
Dobbiamo riconoscere che Berlusconi ha spiazzato tutti. Ci ha costretti ad accantonare ogni riflessione intorno alle inedite condizioni determinate dalla crisi, che avrebbero potuto permettere di ripensare il mercato edilizio e dei lavori pubblici, orientandoli verso modelli caratterizzati da maggiore equità sociale e da investimenti a più alta intensità di lavoro e di convenienza ambientale ed ecologica. Ci ha costretti invece a spendere ogni energia per bloccare, o almeno ridurre, i danni della sua proposta. Non dobbiamo infatti illuderci che quella proposta sia facile farla rientrare, invocando la ragione e il buon senso. Non sarà, facile perché si rifà alla linea dei “padroni in casa propria”, che solletica ed esaspera egoismi profondi e diffusi del popolo italiano, soprattutto nel Mezzogiorno. Quegli stessi egoismi che nei decenni trascorsi indussero ad affossare ogni tentativo di riforma urbanistica, che nel febbraio scorso hanno determinato la sconfitta di Renato Soru e che invece hanno portato al successo i ripetuti provvedimenti di condono (tre in diciotto anni: 1985, governo Craxi; 1994 e 2003, governo Berlusconi). Anche stavolta siamo di fronte a una sorta di condono, peggio, un condono permanente, senza oblazione, e con il sostegno del governo.
A rendere il quadro ancora più fosco concorrono le recenti misure del ministro Sandro Bondi volte a penalizzare, screditare, immiserire le soprintendenze e ogni altro ufficio del ministero dei Beni culturali. Vittorio Emiliani ha recentemente riepilogato i dati relativi al massacro. Nell’anno 2009: spese per la tutela: – 35 per cento; spese per la ricerca: – 93,97 per cento; disponibilità in tema di formazione, aggiornamento e perfezionamento pari 0,6 centesimi di euro per dipendente. Che tutela potrà perseguire un’amministrazione ridotta in questo stato? Ma di che ci meravigliamo se lo stesso Bondi, a Torino, nel luglio scorso, nell’aprire il XXIII congresso degli architetti, ha dichiarato che: “Le città d’arte furono costruite senza leggi urbanistiche, leggi che una volta introdotte hanno saputo produrre solo bruttezza e squallore nelle nostre città”.
Altro che austerità, altro che rilancio della cultura e del paesaggio. Se non ci mobilitiamo con determinazione e risolutezza, ci aspetta un futuro di immani disastri ambientali e dissennata dissipazione di risorse.
E’ una buona occasione, facciamoci del male
"…la boutade di Berlusconi prendeva la forma di un provvedimento reale, rozzo e diabolicamente demagogico. (…) Poi, come sempre succede in questi casi, è arrivato l’appello dei "padri (o zii) della patria" Aulenti, Gregotti, Fuksas. Appello che io, confesso, non sono riuscito a firmare. Non perché condivida l’impostazione del provvedimento del governo (…) ma perché mi pareva una buona occasione per sollevare una discussione intorno a una serie di questioni reali (…)"
Pippo Ciorra, "il manifesto", 24 marzo
Chi e’ lo zio
Tra Aulenti, Gregotti e Fuksas, chi è lo zio?
Lotta dura senza paura
"Può essere una risposta anticiclica importante, muovere alcuni punti di pil in un momento in cui il paese rischia grosso"
Francesco Rutelli sulla prima pagina del "messaggero" (quotidiano del costruttore Francesco Gaetano Caltagirone) del 23 marzo
"Il mondo cambia e sarebbe poco intelligente e controproducente rimanere fermi sulle leggi del passato senza tenere conto dei nuovi sviluppi della società"
Mario De Carlo, assessore all’urbanistica della Regione Lazio
"Evitare irrigidimenti e posizioni pregiudiziali, su un tema che potrebbe dare delle risposte concrete."
Filippo Maria Penati, presidente della Provincia di Milano
"Se il piano casa è serio non realizza scempi, permette una riconversione energetica, può essere una cosa che modernizza il paese, interessante, che rilancia l’economia"
Pier Ferdinando Casini
Dove abita il 60% degli italiani
"Infine, l’arretratezza delle nostre leggi e della nostra cultura urbanistica (lavoriamo ancora con la legge del ’42), ferma a un’impalcatura normativa pensata per centri storici, periferie di palazzoni e zone industriali quando invece il 60% degli italiani abita in casette sparse in aree indecise tra il rurale e l’urbano. Quelli appunto che aspettano con ansia il decreto Berlusconi".
Pippo Ciorra, " il manifesto" , 24 marzo
Perché Berlusconi insiste ogni giorno sul suo camaleontico, pasticciato piano casa? Perché ha una testa da immobiliarista e non vede altro che il mercato privato, tante Milano 2. Perché è fermo all’800, al “bâtiment qui va”. Perché non sa come rianimare una economia in crisi profonda che lui chiama “influenza da virus americano”. E teme che si allunghi. Perché, coi due condoni precedenti, ha perfettamente capito che la maggioranza degli italiani se ne frega delle norme urbanistiche, del paesaggio, dei centri storici e vuole soltanto aggiungere stanze, coprire terrazze e balconi, alzare nuovi piani abusivi. Un popolo di “padroncini” aspiranti-padroni, a spese degli altri e dell’interesse generale. Per questo insiste sul decreto legge ed attacca il Parlamento, “irridendo il lavoro dei parlamentari” (parole di Gianfranco Fini).
Berlusconi non sa o finge di non sapere che mancano alloggi a basso prezzo o a basso canone per giovani coppie, immigrati, anziani soli (un quarto di tutti i romani), che questa è la sola domanda edilizia realmente esistente. Per essa Pd e Cgil, associazioni ambientaliste sollecitano un grande piano di recupero, restauro e riutilizzo, sotto regìa pubblica, di interi quartieri degradati, di comparti semivuoti o abbandonati, di edifici pubblici e privati. Senza consumare un metro quadrato di terreni liberi, verdi o agricoli.
Se le Camere sono inciampo, figuriamoci le Regioni. Ma qui anche il premier deve fermarsi, pur scalpitando. La competenza in materia è, da anni, regionale e le Regioni possono sbarrargli il passo ricorrendo alla Corte costituzionale. Non gradiscono per niente (come Napolitano) il decreto legge, né piace loro la legge-quadro. Sono per un semplice atto di indirizzo da tradurre poi in leggi regionali, con l’obiettivo di rendere più veloci e più semplici le pratiche. Attenzione però a non accedere all’idea berlusconiana di edificare in zone di pregio paesaggistico chiedendo alle Soprintendenze (stremate dai tagli in atto e impoverite nel personale tecnico) di dare un parere entro 30 o 60 giorni, il che equivarrebbe ad un disastroso silenzio/assenso. Attenzione a non sposare il progetto berlusconiano di abolire il permesso di costruire sostituendolo con “autocertificazioni” o con la sola dichiarazione di inizio attività (dirompente incoraggiamento ad ogni sorta di abusi).
C’è pure chi ritiene che il cosiddetto piano casa di Berlusconi sia un non senso economico. L’Italia viene da sette anni di “boom” ininterrotto e sul mercato vi sono non poche case tuttora invendute. Immettervi altre stanze o alloggi – ottenuti allargando, coprendo, gonfiando, ecc. – deprimerebbe ulteriormente prezzi e valori di mercato. L’economista Paolo Manasse, su lavoce.info ha calcolato – quando Berlusconi straparlava di incrementi di cubature, cedibili ai vicini, del 20 % - che lì per lì vi sarebbe un impatto sui 22 miliardi. Tuttavia, incrementando del 20 % circa l’offerta di case, si ridurrebbero le quotazioni del mercato. Inoltre, il nuovo drenaggio di risparmio verso il cemento rattrappirebbe i consumi delle famiglie fra i 15 e i 34 miliardi. Effetto economico, vicino allo zero. “In cambio di case brutte”, concludeva Manasse. Che tragedia per il Belpaese
ROMA - La trattativa per superare l´impasse sul piano per l´edilizia continua. Ora si lavora a un percorso condiviso che potrebbe approdare anche a un decreto legge concordato con le Regioni. Il mandato del tavolo tecnico-politico, riunito nella sede del ministero degli Affari regionali, «prevede misure anti-cicliche, misure per il rilancio dell´edilizia, qualità del territorio e semplificazione», spiega il ministro Fitto. La scadenza per trovare un´intesa resta martedì prossimo.
L´ipotesi di un decreto è sul tavolo, ma le Regioni hanno chiesto di ragionare insieme su un testo che contenga misure per semplificare le norme nazionali. E di questa linea avrebbero discusso in serata, il premier Berlusconi, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta, il ministro delle Infrastrutture Matteoli e il responsabile del dicastero degli Affari regionali, Fitto.
Le trattative proseguono con l´obiettivo arrivare all´approvazione di un pacchetto che preveda anche misure anti-cicliche sull´ampliamento delle abitazioni. Berlusconi punta a un decreto che abbia effetti rapidi sul settore edile e serva da volano per l´economia. Con la mediazione di Fitto l´esecutivo potrebbe seguire uno schema simile a quello usato nella trattativa sugli ammortizzatori sociali. E quindi puntare a un decreto legge "light", da cui sarebbero stralciati i passaggi più controversi della bozza bocciata dalle Regioni, affiancato da un accordo vincolante con Regioni e autonomie locali che indichi i paletti per le leggi regionali.
Un´altra strada, preferita dalle Regioni, è quella di un atto di indirizzo del governo, dove dovrebbero essere inserite una serie di misure per facilitare e velocizzare l´iter per interventi di edilizia, seguito dopo due o tre mesi da leggi regionali che si adattino a quelle esistenti.
Il bilancio alla fine della prima giornata di trattative, dove non sono mancati i momenti di tensione seguiti alle dichiarazioni del premier di accelerare sul dl, è affidato a un comunicato congiunto governo-Regioni diffuso dal ministro degli Affari regionali: «Stiamo lavorando a un percorso condiviso sulla base del mandato emerso nel corso della Conferenza unificata, insieme con Errani». E prosegue: «La giornata di oggi ha indicato possibili valutazioni congiunte, che stiamo portando avanti. Rimane la data di martedì come scadenza per chiudere. Riteniamo che lavorando in questo modo si possa arrivare a una soluzione condivisa». Al tavolo tecnico politico si è discusso anche di housing sociale, le abitazioni low cost per giovani coppie e famiglie a basso reddito, cioè del "vero piano casa" del governo, su cui le Regioni vorrebbero accelerare.
Intanto ieri il Consiglio nazionale dell´Anci ha deciso che sosterrà quei comuni che si trovano in una situazione di crisi e decideranno di non rispettare i vincoli stabiliti dal patto di stabilità interno per il 2009.
Accantonato il piano per l’edilizia le Regioni: non ci sarà il decreto
Paola Coppola, Luca Iezzi
Alla fine l’hanno spuntata le Regioni. Si allungano i tempi per il piano-casa e, di fatto, si riparte da zero. Bocciata nel metodo e nel merito la bozza di decreto legge del governo sulle misure urgenti per stimolare il settore edilizio. Dopo lo stop dei governatori si punta ora a una piattaforma fatta di principi e scelte condivise. Il piano sarà riscritto e, quanto allo strumento legislativo per adottarlo, si vedrà. Ma per il momento sfuma l’ipotesi di procedere per decreto legge.
I contenuti passano in mano a un tavolo tecnico-politico che da stamattina si mette al lavoro per trovare un’intesa con le Regioni, entro martedì. Discuterà il problema delle competenze su una materia concorrente e le azioni necessarie a rilanciare il settore. Poi ci sarà una nuova Conferenza unificata.
Berlusconi è il primo ad aprire al confronto. «L’urgenza resta ma non è detto che il dl sia lo strumento più opportuno», dice ai governatori a Palazzo Chigi e ripete che il governo vuole lavorare «in sintonia e in accordo con le autonomie locali». Rilancia anche il progetto per le "new town", e accelera sul piano destinato alla realizzazione di abitazioni low-cost di edilizia pubblica destinate a giovani coppie e famiglie in difficoltà, un tema su cui si aprirà un altro tavolo di confronto con le Regioni.
Invece sul piano-casa si potrebbe procedere o con un ddl o con una legge quadro, alla quale faranno seguito leggi regionali. senza escludere che rispunti il decreto. «Fatte le verifiche, il Consiglio dei ministri potrà poi valutare le modalità con cui procedere», dice il ministro per gli Affari regionali, Fitto.
La maggior parte dei governatori non vuole il decreto: vorrebbe una legge quadro di principi generali che lasci alle leggi regionali le misure per stimolare il settore. Resta una priorità non consumare altro territorio ma migliorare la qualità dell’edilizia, ribadiscono i governatori di centrosinistra, e tenere conto che diverse realtà hanno già premi sulle cubature. Alla fine dell’incontro sono soddisfatti i governatori: «Ora si apre il lavoro che deve definire le competenze, il rilancio e la semplificazione normativa dell’edilizia», commenta il presidente della Conferenza delle Regioni, Errani. Il presidente Anci, Domenici: «Sono convinto che il confronto sia stato messo su binari migliori». E Bossi: «Le Regioni sono le benvenute a trattare con il nostro governo». Plaude l’opposizione il cambio di registro e Franceschini dice: «Pronti a discutere senza pregiudizi, a condizione che siano norme che non facciano correre il rischio di una devastazione del paesaggio». Ieri infine si è consumato lo strappo tra governo e Lega che in commissione Finanza della Camera si è schierata con il Pd contro la proposta dal sottosegretario all’Economia Vegas sull’allentamento dei vincoli di spesa per i comuni. Contestati il limite di 150 milioni l’anno, meno di 20 mila euro a comune. «Così prendiamo in giro i Comuni» sostengono i deputati del Carroccio, ma per Vegas «il discorso enti locali è chiuso per il 2009. L’alternativa è lasciare tutto com’è». Lo scontro ha portato al blocco delle votazioni del decreto incentivi.
Berlusconi: "Sulla casa decidiamo noi I disoccupati? Trovino qualcosa da fare"
Gianluca Luzi
«Se uno perde il lavoro non stia lì a piangere, ma si dia da fare per cercare un nuovo lavoro». Silvio Berlusconi è a Napoli per accendere - stamattina - il termovalorizzatore di Acerra. Ieri sera, prima della cena con gli imprenditori campani e con i vertici di Impregilo, l’azienda che ha realizzato il termovalorizzatore, nella hall dell’hotel Vesuvio annuncia che domani sul piano casa «ci sarà qualcosa di positivo in consiglio dei ministri» per avviare l’iter più appropriato «per non irritare le Regioni gelose delle proprie prerogative. Non c’è nessuna frenata, stiamo discutendo lo strumento ma alla fine decidiamo noi. Le Regioni non si possono sottrarre perché sul piano casa in giro c’è una aspettativa fantastica». Ma dopo un incontro con i sindacati della Fiat di Pomigliano - che gli hanno regalato un modellino di Alfa 159 rossa: «perché si ricordi di noi» - il tema è il lavoro e la crisi. Anche la Cgil ha «apprezzato gli impegni del premier sulla cassa integrazione» con l’eventualità di aumentare il termine da uno a due anni, e anche l’impegno ad aprire un tavolo con la Fiat e i sindacati. Ma solo il giorno prima il presidente del consiglio aveva sollecitato gli italiani a «lavorare di più», un invito che in tempi di crisi, licenziamenti e cassa integrazione massiccia, era sembrato un po’ fuori luogo. «Ma io mi riferivo a quelli che il lavoro ce l’hanno e lo mantengono», ha spiegato Berlusconi. E per quelli che invece il lavoro lo perdono, un consiglio: «Auspico che chi è stato licenziato trovi qualcosa da fare. Io di certo non starei con le mani in mano. Spero comunque che si faccia di tutto affinché non si lasci nessuno a casa. Anche gli imprenditori - si raccomanda Berlusconi - si devono inventare qualcosa». Ma la settima super - corta alla tedesca non convince il premier. E le banche, che la Confidustria ha bacchettato? Berlusconi nega che ci siano furbizie da parte degli istituti di credito: «Mettetevi però - ragiona il presidente del consiglio - nei panni di un direttore di banca che ha una propria moralità e cerca di dare i soldi solo a chi ha più possibilità di restituirli».
Burlando: "Un vano in più va bene ma il silenzio-assenso sarebbe la fine"
Massimo Minella
«Prima di lanciare nuove campagne, basterebbe restituire alle Regioni quello che è stato tolto». Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria, si sente "rinfrancato" dalla decisione del governo di ritirare il decreto sul piano casa. Ma ora chiede che quanto fissato per l’edilizia pubblica nell’ultima finanziaria di Prodi, 550 milioni 18 dei quali per la Liguria, ora torni nelle disponibilità delle Regioni. «Sono soddisfatto, perché su un provvedimento tanto delicato ora si torna a discutere». «Da noi, e non solo, il silenzio-assenso avrebbe creato danni incalcolabili, sarebbero arrivate migliaia e migliaia di domande da esaminare in poche ore». Ma il governatore non chiude la porta a qualsiasi intervento. «Ci sono zone non ad alta intensità abitativa in cui ci sono degli spazi. Una legge ad hoc si può fare, ma bisogna intendersi. Se si tratta di rendere un sottotetto abitabile, non succede niente. Se si vuole alzare la casa di mezzo metro per ricavare un vano, abbattendo i consumi energetici, idem. Le sfide importanti sono sui progetti che possono favorire chi non ha le condizioni per avere la casa a prezzi di mercato».
Errani: "Ora disponibili a ragionare ma subito affitto sociale per i poveri"
«Siamo pronti a ragionare su misure anti-cicliche e sulla semplificazione delle regole con l’Esecutivo. Ma abbiamo ribadito che la bozza di decreto legge, quella che ci è stata sottoposta, presentava dei profili incostituzionali. E comunque non crediamo sia lo strumento più adatto per affrontare un tema come l’edilizia, che resta nelle competenze regionali. Ora mi aspetto ci sia la volontà di tutti e del governo di trovare un’intesa che consenta di salvaguardare le competenze e la qualità del governo del territorio». È il commento di Vasco Errani, governatore dell’Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni, che chiarisce di aver posto al premier anche un altro problema: «L’emergenza di un piano casa». Spiega: «Esistono famiglie che non hanno un reddito sufficiente a comprare una casa o pagare un affitto a prezzi di mercato. Serve un piano per il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica e per introdurre un "affitto sociale" per famiglie del genere. Anche questa è una grande azione anticiclica che risponde alle esigenze di centinaia di persone. Abbiamo avuto assicurazioni che il tema sarà al centro di un altro tavolo tecnico». (p.co.)
Cappellacci scommette sull’intesa "E proteggerò le coste dell´isola"
Giuseppe Porcu
«Il tavolo tecnico-politico aperto a Palazzo Chigi produrrà soluzioni condivise anche da Regioni e Comuni», dice Ugo Cappellaci del Pdl, nuovo governatore della Sardegna. «Sono soddisfatto - aggiunge - per la decisione del governo di non utilizzare lo strumento del decreto sul quale le Regioni nutrivano molte perplessità».
«Io sono a favore di questo intervento - spiega Cappellacci - perché è una grande occasione per l’ammodernamento del patrimonio edilizio e aiuta il risparmio energetico, l’energia alternativa, la semplificazione amministrativa. Il cambio di destinazione d’uso è un passaggio non determinante in un provvedimento di questa portata. L’aumento delle cubature è invece importante perché stimola l’edilizia, e comunque va rapportato a un patrimonio edilizio che è in media di 120 metri quadri per casa. A proposito delle procedure in deroga, siamo di fronte a un piano straordinario e quindi bisogna accettare che si proceda anche in deroga ai piani regolatori. In Sardegna non permetteremo interventi entro i 300 metri dal mare e adotteremo la massima prudenza per fascia costiera e centri storici dove procederemo con precise limitazioni».
Chiodi: "Un boomerang tornare indietro premierò chi usa materiali ecologici"
«Bisogna capire che il provvedimento, a prescindere dalla sua forma legislativa, deve essere promulgato al più presto. Altrimenti si rischiano le conseguenze negative dell’effetto annuncio, come ricadute indesiderate sul mercato immobiliare», avverte il governatore dell’Abruzzo, Gianni Chiodi, che auspica un’intesa rapida tra governo e Regioni.
Il presidente della Regione Abruzzo aggiunge: «Guardiamo positivamente a queste misure perché possono stimolare l’economia. L’Abruzzo ha bisogno di contrastare gli effetti della disoccupazione e il piano è un classico provvedimento anti-ciclico. Servirà a dare nuovi posti di lavoro e per noi questa è una priorità».
Chiodi chiarisce che la Regione è pronta a fare una legge che premi - in termini di maggiori cubature - chi utilizza materiali ecologici o innovativi nelle costruzioni: «In questo modo, non si rischia alcuna cementificazione, ma si potranno creare - ripeto - nuovi posti di lavoro». E sul tavolo tecnico-politico che si apre oggi, commenta: «Sarà molto utile e sono certo che potremo proporre al governo un documento efficace». (p.co.)
Un vero piano casa, un piano, solido e ben elaborato, quale domanda edilizia dovrebbe soddisfare in primo luogo? Quella di chi non ha un alloggio, non può, o non vuole, comprarselo e vorrebbe pagare un affitto ragionevole. Se questa diagnosi è giusta, il piano Berlusconi non va nella direzione della domanda insoddisfatta. Esso riguarda infatti chi la casa ce l’ha già e desidera ampliarla. Almeno fino all’altro ieri sera. Ieri il premier è tornato sui propri passi per dire che il suo programma edilizio riguarderà più della metà del patrimonio edilizio nazionale. Dato incomprensibile. A questo punto non resta che attendere.
Diciamo che al premier non interessa tanto andare incontro alla “fame” di alloggi a basso canone o costo, bensì rianimare attraverso la leva edilizia una economia che lui non si rassegna a considerare in crisi, che ai suoi occhi è soltanto contagiata dal “virus americano”.
Un economista del gruppo del sito lavoce.info, Paolo Manasse, aveva provato, pochi giorni fa, a fare un po’ di conti sulla base di quell’aumento del 20 per cento delle cubature dell’originario programma berlusconiano. Se fatto proprio dagli investitori edilizi, esso avrebbe prodotto un aumento del Pil dell’1,4 per cento, cioè per circa 22 miliardi. Ma avrebbe successivamente provocato un incremento dell’offerta abitativa pari al 20 per cento, quindi una riduzione dei prezzi e dei valori edilizi. Di più, esso avrebbe comportato una diminuzione secca dei risparmi e quindi dei consumi delle famiglie fra i 15 e i 34 miliardi. Lì per lì il piano Berlusconi avrebbe dunque impresso una scossa all’economia, con effetti però di assai breve durata. «In cambio di città più brutte», concludeva Manasse. Di città e di paesaggi fortemente imbruttiti da nuovo cemento e asfalto, sia legale che abusivo, incentivato da quei formidabili “premi”. Con ripercussioni negative pure sul turismo di qualità, il più redditizio fra tutti e che l’Italia sta perdendo in modo pesante. Quindi, duplice boomerang, anche dal solo punto di vista economico.
Berlusconi si è molto addolcito con le Regioni dopo che in maggioranza gli hanno detto che non accettavano, per giunta per decreto legge, di far invadere dal governo centrale competenze loro proprie da decenni con la sospensione - che il testo disconosciuto dal premier contemplava - delle leggi regionali vigenti in materia territoriale (ma i ministri leghisti dov’erano?).
Il solo punto di possibile concordanza sarebbe dunque lo sveltimento burocratico delle pratiche edilizie. Purché non si vada verso il silenzio/assenso delle Soprintendenze nei 30 o 60 giorni per le zone di pregio. Sarebbe davvero la fine per il già manomesso paesaggio. Veniamo da sette anni di ininterrotto boom dei cantieri, non abbiamo scalfito con quell’edilizia “di mercato” l’emergenza-casa e certi paesaggi, a cominciare da quelli veneti e lombardi, sono irriconoscibili.
Silvio Berlusconi pensa di incarnare l’Italia intera e gli italiani che lo votano pensano di essere dei piccoli berlusconini. È questo, probabilmente, il corto circuito che spiega le esternazioni contraddittorie del presidente del consiglio accusato dal manifesto di essere “un casinaro”. Prima dice che tutti possono rifarsi la casa come vogliono, le regole sono oppressive e non ci permettono di rilanciare l’economia anche attraverso qualche abuso, che volete che sia. Poi, trascinato dall’entusiasmo popolare, promette che farà un decreto legge sulla casa: tutti possono costruire, demolire, rifarsi il balcone, allargando l’immobile fino al 35 per cento. Poi, visto che il presidente Napolitano è intervenuto per mantenere un minimo di decenza istituzionale, il premier ha fatto una parziale marcia indietro: sono stato frainteso – ha detto - non era quello il testo sui cui ci eravamo accordati e via sproloquiando. Berlusconi ha capito che se è vero che ha alle sue spalle il popolo della libertà (e dell’abuso), è anche vero che deve alla fine fare i conti con i governatori delle Regioni, anche con quelli della sua squadra, come Formigoni. Vedremo come se ne uscirà. Lo sapremo in queste ore.
È interessante però nel frattempo ragionare sul succo di questa faccenda, ovvero sulla identificazione di milioni di persone con il pensiero (e i comportamenti) di un uomo che si vanta di essere il nemico delle regole, il più fiero avversario della magistratura. Perché gli italiani sono tanto sensibili a questo richiamo della foresta? Perché il ministro Brunetta può permettersi di dire (durante un forum con i colleghi dell’Unità) che “troppe regole producono schifezze?”. Perché il ministro del lavoro Sacconi può permettersi di dire che il problema della sicurezza sul lavoro sono le regole, l’eccesso di regole?
Conosco una famiglia di romani che ha ereditato una piccolo casolare di campagna. Accanto al rustico (una sessantina di metri quadrati) sorgeva una vecchia porcilaia che è stata demolita perché pericolante e quindi pericolosa. Nel progetto di ristrutturazione era inserita anche la porcilaia che deve però essere ricostruita laddove sorgeva all’origine, non può essere cioè accorpata al rustico come vorrebbe la famiglia per avere a disposizione una stanza in più. Risultato: la porcilaia non si ricostruisce perché, così lontana dalla casa non serve a nulla, sarebbe una dependance di una trentina di metri, dove non si può costruire un bagno, non si possono mettere gli altri servizi per renderla vivibile. Insomma la porcilaia deve rimanere una porcilaia. La famiglia di romani, che usa il rustico per le vacanze e prendere un po’ d’aria buona, non possiede maiali, quindi di una porcilaia non sa che farsene.
I nostri amici sono dei sinceri democratici, credono perfino nella giustizia sociale, e non vogliono infrangere la regola. Si guardano però intorno nella loro bella campagna e scoprono ville e villini (per un refuso avevo scritto villani) che si possono fotografare nella loro magnificenza fuori dalle regole: portici giganteschi che sono diventati stanze chiuse, tetti sopraelevati, porcilaie che sono diventate splendidi salotti con tanto di vetrate sul prato e sui boschi, giardini d’inverno. La nostra famiglia di amici si ricorda anche di quanto l’Unione europea, quella che ci insegna le leggi più civili del nord, è intervenuta per dare ragione ai costruttori che avevano edificato l’eco mostro che è stato demolito perché abusivo. Ma la demolizione dell’ecomostro – disse la civile Europa in quell’occasione – è stato un errore, anzi una violazione di un diritto fondamentale: quello della proprietà.
Non ci sarà mica la storia di questa piccola porcilaia e dell’ecomostro dietro questa ennesima baraonda berlusconiana che ci ricorda terribilmente il Corrado Guzzanti della casa degli italiani, quella in cui ognuno fa quel c..che gli pare?
Ieri mattina Vezio De Lucia ha anticipato l'alba. Lunedì sera gli avevano fatto vedere la bozza del Piano Casa del governo Berlusconi e lui non ci ha dormito la notte. Si è messo alla tastiera e ha vergato un editoriale di fuoco per il sito eddyburg. it, il cui titolo è tutto un programma: “È molto peggio di quanto si prevedeva. È il delirio di uno speculatore trasformato in legge”. A sera, la pensa ancora così. nonostante le precisazioni di Berlusconi.
Perchè, professore?
Perché non credo alle rettifiche, il testo che ho potuto visionare io era su carta intestata del Consiglio dei Ministri. Se hanno fatto circolare un testo falso, denuncino la cosa alle autorità competenti. E la smettano di arrampicarsi sugli specchi.
É proprio arrabbiato…Ma no, cerco di ragionare su quello che ho visto. Altrimenti, se volessimo star dietro ai tentativi di rettifica, potremmo anche chiuderla qua, l'intervista. Il guaio è che quello che ho visto mi piace molto poco. Anzi, non mi piace per niente. Di più: mi sembra tutto così mostruoso che mi viene la tentazione di non crederci.
Il premier sostiene chegli intrventti autorizzati non avranno alccun impatto sugli ambienti urbani saranno limitati allavillettamono e bifamiliari e alle case da rifare
Da cosa Berlusconi ricavi la certezza che gli interventi non deturperanno deturperanno i paesaggi urbani non lo so. Forse nelle città non ci sono villette mono e bifamiliari? Ho motivo di ritenere, anzi, che questa sia una tipologia abitativa molto diffusa. Piuttosto, noto che il premier non ha detto una parola sull'altra grande aberrazione contenuta nel decreto. Cioèla possibilità illimitata, come mai era accaduto in passato, di procedere ai cambiamenti di destinazione d'uso degli immobili. Sa cosa significa questo?
Il tecnico è lei, ce lo spieghi
Lo farò con un esempio. Ha presente quei capannoni dismessi, industriali o commerciali, che sorgono in zone scarsamente abitate? Potranno diventare mostruosi condomini. Non sfuggirà a lei e ai lettori la differenza che passa tra un capannone e un condominio, o una serie di condomini condomini, in aperta campagna. Sa come si chiama questa cosa?
Ce lo dica lei
Abusivismo anticipato. Questo decreto è peggio, molto peggio dei tre condoni della nostra storia recente. Stavolta non si è nemmeno obbligati a pagare l'oblazione. Anzi, c'è l'istigazione all'abuso edilizio. E il favoreggiamento sancito per legge.
Davvero non salva niente?
E cosa dovrei salvare? Prenda la norma sui centri storici. La totalità delle nostre città antiche è patrimonio mondiale dell'umanità. Se passasse questa norma, si rivolterebbe l'Europa intera. Penso che qualsiasi persona dotata di un minimo di sensibilità culturale debba sentirsi offesa, umiliata. Senza contare la mortificazione che si fa delle Soprintendenze. Si autorizza un aumento delle volumetrie per trecento metri cubi. Forse gli esperti interpellati dal governo non sanno che i nostri centri storici hanno una volumetria media che non supera i mille metri cubi.
Ammetterà però che questo Piano dal punto di vista culturale non è del tutto campato in aria: da anni ci sono urbanisti che teorizzano la deregulation.
Si, per passare dal piano al progetto, però, che è un diverso modo di affrontare la questione della programmazione urbanistica. Il decreto che io ho letto, al di là dell'urbanistica, mette in discussione alcuni fondamentali principi democratici. È una sorta di “tana libera per tutti”. L'anarchia totale.
Quali saranno, a suo avviso, le ricadute sul piano economico?
Si arricchiranno gli studi legali, perché nasceranno contenziosi a raffica. Ma l'esito principale sarà la paralisi. Non credo, poi, all'attivazione di un circuito virtuoso per l'edilizia sana. Trattandosi di interventi minuti, immobile per immobile, ad avvantaggiarsi saranno non le grandi imprese, ma quelle che operano nel sommerso.
Berlusconi dice che questo Piano piacerà alla gente.
E probabilmente non si sbaglia: vellica un istinto molto italiano. Quello della "roba".
Legalizzato il sacco d'Italia Un vero e proprio condono.
di Maria Campese - Veronica Albertini
Un vero e proprio condono. E' quanto il Consiglio dei ministri si appronta a varare venerdì prossimo col "piano casa". Si preannuncia una deregulation selvaggia che ha già fatto venire l'acquolina in bocca al partito dei costruttori. C'è già chi plaude alla libertà di sovvertire l'assetto del territorio disegnato da piani regolatori esistenti, dopo aver ricevuto la garanzia di demolire e ricostruire indiscriminatamente.
Senza lacci e lacciuoli, si potranno infatti allegramente aumentare del 20% le cubature degli edifici residenziali e commerciali in deroga ai piani regolatori. Basterà semplicemente la certificazione di un tecnico incaricato e pagato dagli stessi costruttori. Alla faccia del conflitto di interessi. Il provvedimento consentirà l'abbattimento e la ricostruzione in dimensioni più ampie del 30-35% degli immobili fatiscenti o abusivi edificati fino all'89.
Continua così imperterrita la via della speculazione edilizia e del sacco delle città che riporta il Paese agli anni '60 quando mani rapaci contribuirono al fiorire selvaggio di edifici e periferie squallide, alla creazione di mostruosi non luoghi regno dell'invivibilità. Si ripiomba nel Medioevo dell'urbanistica, vengono meno gli strumenti regolatori dello Stato e si toglie la possibilità ai cittadini di partecipare alle scelte attraverso le procedure di pianificazione del territorio. Questa deregulation non servirà di certo a risolvere il disastroso problema del disagio abitativo. Dal 2000 ad oggi si è registrato un notevole aumento di costruzione di nuove abitazioni. In particolare dal 2003 al 2007 il patrimonio residenziale è passato da 28,8 milioni di abitazioni a 31,4, con un incremento di 2 milioni 600 abitazioni. Nonostante ciò restano, anzi si sono aggravati, i problemi legati al disagio abitativo. Questo perché non si è investito quasi per niente nell'edilizia popolare e perché moltissime abitazioni continuano a rimanere sfitte. Il rilancio dell'edilizia non è certo servito a dare una casa a chi non ce l'ha, è servito soprattutto ad aumentare la speculazione edilizia.
Con questo provvedimento si dà continuità allo smantellamento degli strumenti di pianificazione urbanistica che ha visto una tappa nell'uso sistematico degli accordi di programma (trattativa tra proprietari privati ed enti locali). Prosegue il disegno della destra di demolizione dell'urbanistica, già tentato con la proposta di legge Lupi il cui obiettivo era la legittimazione dell'accordo di programma come strumento ordinario di governo del territorio. Un modo, insomma, per continuare con le colate di asfalto e cemento sui nostri territori. Grazie agli accordi di programma, l'urbanistica contrattata di impronta neoliberista, la città è stata vista come esclusivo fattore economico. E il perno di questo processo è la rendita speculativa.
Questa ulteriore spinta, questa liberalizzazione dell'abusivismo edilizio, avrà effetti devastanti per i territori. Brutture, cementificazione selvaggia, abitazioni invivibili. Gli aumenti delle cubature renderanno peggiori le nostre città. Le autocertificazioni del progettista non offriranno inoltre nessuna garanzia sulla sicurezza delle abitazioni. In Italia sono già numerose le tragedie delle abitazioni crollate e queste misure non faranno altro che aumentare il livello di insicurezza dei nostri edifici sia ad uso abitativo che commerciale. E come se non bastasse, comporteranno un maggiore aggravio della situazione nei centri urbani edificati prima dell'entrata in vigore della legge ponte che ha introdotto gli standard urbanistici nei piani regolatori, quindi già privi di servizi, verde, urbanizzazioni primarie e secondarie, con reti fognanti già gravemente insufficienti. Tra le conseguenze la riduzione di spazi pubblici e del verde, un maggiore traffico, un maggiore carico delle reti dell'acqua. Insomma una riduzione della vivibilità in centri urbani già gravemente compromessi da situazioni insostenibili. Gli speculatori non si faranno rimorsi e si getteranno a capofitto, grazie a Berlusconi, per depredare ora anche "legalmente" il nostro territorio. Dobbiamo impedirlo con tutte le nostre forze.
Intervista a Vezio De Lucia
di Vittorio Bonanni
Vezio De Lucia non è certo un nome nuovo per chi si occupa di urbanistica, sviluppo delle città, attenzione al patrimonio ambientale e lotta alla speculazione edilizia. Architetto, già assessore all'urbanistica al Comune di Napoli, intellettuale scomodo anche per le forze di sinistra, troppo spesso compiacenti con le logiche della speculazione, De Lucia è ovviamente preoccupato per il cosiddetto "piano casa" del governo,che prefigura un nuovo e forse peggiore scempio urbanistico ed ambientale.
Architetto, questa trovata dell'esecutivo fa venire in mente il personaggio creato da Antonio Albanese Cetto Laqualunque, che paventa in continuazione un'Italia priva di regole dove regna solo la logica della devastazione e dell'arricchimento facile. Che cosa ne pensa?
Cominciamo affrontando il problema della casa. Non c'è dubbio che nonostante in Italia si siano costruite fin troppe case, ci sia un fabbisogno di alloggi per ceti sfavoriti. Ai quali però si può e si deve rispondere soltanto con un intervento tutto pubblico. Cioé qui servirebbe di nuovo quella che si chiamava un tempo l'edilizia sovvenzionata, a totale carico dello Stato. E di questo invece non si parla mentre questa sarebbe l'unica categoria di edilizia che andrebbe considerata in questo frangente.
Siamo invece di fronte ad una liberalizzazione selvaggia...
Che è quella che propone appunto Berlusconi e che sarebbe solo una catastrofe per il nostro paesaggio. E qui si possono fare alcune riflessioni. La prima è questa: che probabilmente questo provvedimento non va visto disgiuntamente da quello che ha portato all'affievolimento degli interventi di tutela sul paesaggio. Cioé la fortissima penalizzazione recentemente intervenuta del ministero dei Beni Culturali e dei sovraintendenti. Si è insomma indebolito il controllo sul paesaggio e questa è una considerazione che pesa sinistramente su questo rilancio selvaggio della speculazione che viene proposto dai provvedimenti annunciati dal governo. Una seconda riflessione generale che vorrei fare riguarda la siderale differenza che c'è tra la linea politica del governo italiano e quella del governo degli Stati Uniti d'America. In Italia non si trova di meglio che rilanciare in modo indiscriminato la speculazione edilizia; mentre da parte di Obama si cerca di sfruttare, diciamo così, la circostanza della crisi economica per proporre, come si diceva una volta, un "nuovo modello di sviluppo" che punti sull'incremento delle spese sociali, sull'ambiente, su una riconversione dell'economia in senso ambientalista, in assoluta controtendenza a quello che propone invece il governo italiano.
Il quale rischia di far tornare il nostro paese negli anni delle peggiore speculazione edilizia degli anni '50 e '60, non trova?
Dico di più. L'Italia tutta sembra ripiombata negli anni dell'immediato dopoguerra quando a Napoli era sindaco Achille Lauro e circolava la battuta "il piano regolatore serve a chi non si sa regolare".
Va aggiunto a tutto questo ragionamento che anche le amministrazioni di centro-sinistra, targate Pd, hanno fatto molte concessioni al partito del mattone, a cominciare da quella romana di Veltroni...
L'aspetto preoccupante è che questo intervento pesca nei sentimenti più profondi e purtroppo diffusi del popolo italiano. Cioé lo stesso consenso che hanno avuto i condoni del governo Craxi e dei due governi Berlusconi ci sarà intorno a questo provvedimento, il quale è un'esasperazione della linea berlusconiana "padroni in casa propria", che però trova riscontro nella cultura diffusa e sommersa dell'italiano. Soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. E qui non si può non fare e non pretendere un'autocritica da parte della cultura di centro-sinistra ma anche di sinistra. Non dimentichiamo che il Partito comunista italiano, a metà degli anni '80, sosteneva gli abusivi siciliani. Quindi c'è appunto una corresponsabilità anche della cultura di sinistra che non ha mai fatto bene i conti con questi problemi. E adesso sarebbe il momento di farli senza illudersi che una promessa sostenuta appunto dagli ambientalisti o da alcuni settori più illuminati, o anche dalla convenienza dell'opposizione, possa neutralizzare questa linea. Bisognerà agire su un piano culturale ancora prima che politico. Tra l'altro anche per avvicinarsi al resto d'Europa dove, per fortuna, in paesi più evoluti del nostro atteggiamenti del genere non esistono o sono enormemente minoritari.
Anche se in Spagna è successo qualcosa di simile...
Sì, ma lì si sviluppato con una bolla finanziaria piuttosto che con l'abusivismo. C'è stata l'illusione del credito facile. Il problema è stato un pochino diverso ed anche in Italia tuttavia è possibile riscontrarlo. E cioè il ridare ossigeno proprio a quei settori dell'economia che sono all'origine della crisi planetaria in questo momento. C'è insomma anche un discorso di questo genere anche se io non sono un economista e non manovro con sicurezza un tema del genere.
Con l'assenza totale di pianificazione insita nella proposta sciagurata partorita da Palazzo Chigi, rischia di essere vanificata definitivamente anche quell'idea di città sinonimo di rapporti sociali e culturali che sta all'origine della nascita dei grandi aggregati urbani. Che ne pensa?
E infatti anche in questo senso deve esserci quell'autocritica da parte della sinistra della quale parlavo prima. Sì è lasciato correre dando spazio all'egoismo delle persone. Basta d'altra parte riflettere sul fatto che la prima regione che ha aderito con entusiasmo all'idea del governo è stata la Sardegna dove è stato sconfitto Renato Soru che aveva provato a mettere in discussione questo "modello di sviluppo". Un concetto che dovremmo ritirare fuori senza vergognarci di farlo. Noi dobbiamo ridiscuterlo questo "modello di sviluppo" per quanto riguarda la città, l'urbanistica, il modo di organizzare lo spazio comune, contrastando con decisione una deregolamentazione pericolosissima.
Governatori contro il piano casa. Errani: «Il governo discuta con noi»
Non è stato ancora presentato ufficialmente, ma il piano casa del governo - anticipato da giorni sulla stampa - fa discutere. Venerdì prossimo verrà approvato dal consiglio dei ministri, i governatori delle regioni di centrosinistra sono già sul piede di guerra. Vasco Errani, presidente della Conferenza Stato Regioni che dovrebbe esaminare il piano solo dopo il varo a Palazzo Chigi, si dice «preoccupato dalla politica degli annunci e ancor più preoccupato se si facesse la scelta grave delle deregolazioni invece di seri percorsi di semplificazione, che sono necessari».
Per Errani, è «sbagliato il metodo». La richiesta: «Se si vuole una vera politica della casa, anche per rispondere alla crisi economica, si azzeri questo "piano segreto", come è stato definito e si riparta da un corretto rapporto istituzionale con regioni ed enti locali, titolari della materia».
Il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo parla di «condono surrettizio», la presidente dell'Umbria, Maria Rita Lorenzetti, dice che la proposta del governo per rilanciare l'edilizia «favorisce l'abuso e distrugge il territorio».
Per il governatore della Toscana, Claudio Martini, così si favorisce «solo chi è proprietario ed ha la possibilità di fare ampliamenti al di fuori di ogni regola».
No anche dal governatore della Puglia Nichi Vendola. Ma se la stragrande maggioranza dei governatori di centrosinistra si mantiene compatta su posizioni contrarie al piano e allineata dunque alla linea espressa dai loro leader nazionali, non mancano reazioni più possibiliste, che pur non corrispondendo a vere aperture di credito al governo Berlusconi, indicano almeno la necessità di rimandare il giudizio a quando il testo sarà presentato nel dettaglio.
E' di quest'avviso, per esempio, il governatore delle Marche Gian Mario Spacca («Giudico solo dopo aver conosciuto il testo»).
Il capogruppo del Pd alla Camera Antonello Soro spezza una lancia a favore della «semplificazione delle regole» in edilizia, pur lanciando l'allarme sul «pericolo di un generalizzato aumento delle volumetrie». E poi ricorda - e non è l'unico dell'opposizione a farlo - che anche il governo Prodi si occupò di un piano casa con lo «stanziamento di 550 milioni di euro».
Inviti alla cautela, in verità, arrivano anche da forze politiche vicine al centrodestra. Il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo (Mpa), esprime le sue riserve. «La Sicilia - osserva - ha sofferto a lungo della piaga dell'abusivismo, stiamo attenti con le nuove cubature». L'impatto ambientale «deve essere compensato da norme di risparmio energetico come quelle che incoraggiano l'uso dei pannelli solari», aggiunge. E poi «in Sicilia con i consumi depressi - conclude Lombardo - non so quante famiglie possano spendere 150mila euro per allargare la propria abitazione». Riserve giungono anche dalla Lega, ma - c'è da aspettarselo - hanno un segno tutto diverso.
«Non vorrei che facessimo le case per darle agli extracomunitari», ribadisce Umberto Bossi. Dura replica di Paolo Ferrero. «Le sparate del ministro Bossi servono a poco se non a rassicurarci sul razzismo palese del leader leghista», dice il segretario del Prc, secondo cui un piano casa dovrebbe «servire a predisporre un grande piano per le case popolari ed a rilanciare l'edilizia popolare pubblica, come dice il segretario dell'Ugl Polverini».
In effetti, la materia è tale che intervengono anche i sindacati. ll segretario della Cgil Guglielmo Epifani: «Bisogna stare attenti quando si usano processi di regolamentazione in una materia come questa, abbiamo già visto con le banche che fine si fa quando non ci sono regole. Si sa dove si inizia, non si sa però dove si finisce». Per Epifani, sarebbe «necessario un provvedimento che rafforzi la riconversione sostenibile delle abitazioni, per il risparmio energetico».
Contrari anche gli ambientalisti. «Sembra di tornare alle Mani sulla città di Francesco Rosi - dice Edoardo Zanchini, responsabile dell'urbanistica di Legambiente - al ricordo di come in barba a qualsiasi norma, piano o regolamento edilizio negli anni '60 in Italia, speculatori senza scrupoli hanno potuto ampliare, demolire, ricostruire edifici brutti e insicuri».
Dalla parte del governo, il presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan: «Non ci sarà alcuno scempio ambientale». Insieme al neoeletto governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, Galan ha già siglato l'intesa con Palazzo Chigi sul piano casa. Resta da aspettare la presentazione ufficiale del progetto per capire qual è la vera posizione dell'opposizione parlamentare su interventi che - in tempi di crisi - potrebbero far gola a molti amministrazioni locali che ne guadagnerebbero in termini di oneri di urbanizzazione.
ROMA - Tutta in salita la strada per approvare con un decreto legge il piano casa. Dalla conferenza straordinaria delle regioni, che ha visto riuniti i governatori prima dell'incontro con il governo a Palazzo Chigi, è infatti emerso il 'no' a procedere attraverso un dl. Le regioni, subito prima dell'inizio della conferenza unificata, si sono dette comunque disponibili a lavorare ad un accordo più ampio che porti alla semplificazione della normativa e degli investimenti edilizi. Il premier, però, sembra insistere: "L'urgenza resta", dice Berlusconi, aggiungendo però: "Non è detto che il decreto legge sia lo strumento più opportuno", mentre Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, ha chiesto lo slittamento del piano casa rispetto al prossimo Consiglio dei Ministri.
"Stiamo discutendo, perché le Regioni hanno prospettato una loro posizione di contrarietà" al decreto, "noi ci siamo tenuti la possibilità di decidere nell'uno e nell'altra direzione" (dl o ddl) e per questo il governo ha proposto di "dar vita a un tavolo tecnico nella sede della conferenza delle Regioni". La scadenza di venerdì non sembra però in discussione e il Governo ha chiesto alle Regioni di arrivare entro quella data ad una soluzione condivisa. Le prossime 70 ore, "che ci separano dal Consiglio dei Ministri di venerdì", saranno usate per "approfondire i contenuti e trovare un'armonia con le Regioni", ha spiegato Berlusconi.
Parlando del piano, il premier ha sottolineato che la misura non riguarda solo le ville, ma "quasi il 50 per cento delle abitazioni mono o bifamiliari". Berlusconi ha osservato come, dai dati in possesso del governo, risulta che "dovrebbero essere il 25%-28% le case monofamiliari e il 13-15% quelle bifamiliari". Insomma, "è una notizia che riguarda il 50% delle famiglie, non è affatto una disposizione che riguarda le ville, non c'è nessuna marcia indietro del governo". E se solo il 10% delle famiglie proprietarie di mono o bifamiliari facesse lavori di ampliamento, ha aggiunto, si attiverebbero dai 50-60 miliardi di giro di affari. Per quanto riguarda invece nuove abitazioni e giovani in difficoltà, ci sarà un altro piano ad hoc, ha annunciato Berlusconi: un progetto "sul quale verranno mobilitate le Regioni, i comuni, il sistema bancario italiano e tutte le industrie delle costruzioni".
Il nodo più grosso rimane comunque quello della forma da dare al provvedimento e sull'ipotesi decreto continua il braccio di ferro. "Le Regioni sono pronte a discutere di tutto, purché non si utilizzi il decreto che potrebbe creare vuoti normativi e legislativi in attesa che i governatori assumano altri provvedimenti", ha detto il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, uscendo dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni, terminata poco prima dell'incontro con il premier.
Sulla stessa linea Vito De Filippo, presidente della Basilicata: "Siamo contro lo strumento del decreto legge. Diciamo sì, invece, a procedure di sburocratizzazione e velocizzazione degli investimenti edilizi", afferma, mentre il governatore della Calabria, Agazio Loiero, sottolinea come in assenza di un testo "la discussione non può che essere sterile". Dopo le dichiarazioni di ieri di Berlusconi che non ha riconosciuto come suo il piano casa in circolazione, infatti, ai governatori non è giunto nessun nuovo documento. L'ipotesi è che il premier lo consegni direttamente nel corso della riunione a Palazzo Chigi.
Intanto, da Umberto Bossi è arrivato un nuovo invito a trattare. "Ieri sera l'ho detto a Berlusconi che molte Regioni, ad esempio la Lombardia, hanno già il loro piano casa. Meglio trattare con loro e trovare l'accordo, così si evitano scontri", ha detto il leader della Lega parlando con i giornalisti alla Camera.
A chi gli domandava se il piano casa andrà al prossimo Consiglio dei Ministri e se sarà un decreto, Bossi ha risposto: "Prima si trovi l'accordo con le Regioni".