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L’urbanistica fu la grande passione di Gigi. Di urbanistica si è occupato sempre, fin da giovanissimo. Credo che abbia cominciato dopo l’alluvione del 1966 quando, per conto del Pri, cominciò a seguire i lavori parlamentari della legge speciale, che sarà approvata nel 1973, e poi, soprattutto, partecipando alla complessa vicenda dei piani particolareggiati del centro storico di Venezia, di cui ha già dato conto Eddy Salzano. Si occupò di urbanistica da tutti i punti di vista. Un impegno inscindibile dall’altra grande passione della sua vita, quella per la politica.

Solo per comodità, espongo il mio intervento secondo i seguenti punti:

- esperienze di pianificazione

- Gigi “legislatore”

- Gigi studioso.

Esperienze di pianificazione

Mi riferisco a quelle condotte personalmente, nella qualità di urbanista.

E qui, secondo me, è necessaria una parentesi per affrontare la questione della qualificazione professionale di Gigi. Sono convinto che gli spetti a pieno titolo la qualifica di urbanista. Della materia urbanistica sapeva tutto. Non solo relativamente al diritto, alle leggi, alle norme, aspetti legati ai suoi studi giuridici, ma era anche padrone delle componenti tecniche e specialistiche spesso più e meglio dei laureati in discipline (architettura, ingegneria) direttamente attinenti all’organizzazione del territorio. Non so se esiste l’istituto della laurea honoris causa alla memoria, propongo comunque ai presenti – e in particolare ai docenti dell’Iuav – di attivarsi in proposito. A Gigi è dovuto. Sapete quanto soffriva per non essere laureato.

Ritorno alle esperienze di pianificazione che lo videro attore protagonista. Cominciando da Venezia e dalla laguna, realtà che nessuno conosceva come lui – dalla storia all’idraulica, dalla letteratura all’arte, all’economia – e alla quale ha dato il meglio di sé. Del rapporto di Gigi con l’urbanistica veneziana ha trattato Salzano e altre volte ne ha raccontato Edgarda Feletti.

Per quanto mi riguarda, mi limito a ricordare che Gigi collaborò, dal 1977 al 1980, alla formazione del piano comprensoriale di Venezia e della sua laguna, piano che avrebbe dovuto disegnare il futuro di quell’area, armonizzandone, come previsto dalla legge, la salvaguardia ambientale e paesaggistica con la vitalità socio-economica. Per la formazione del piano comprensoriale fu istituito un apposito ente (espresso dalla regione Veneto, dal comune di Venezia e da 15 comuni dell’entroterra), presidente Antonio Casellati. Gigi fu l’anima e il cuore di quell’esperienza. Merita di essere conosciuto in particolare il lavoro da lui condotto per far conoscere e riproporre le idee, le virtù e i valori che avevano guidato nei secoli l’esperienza della Repubblica: la centralità del sistema lagunare; l’unitarietà dello spazio litorali-laguna-entroterra; il carattere “demaniale” delle risorse territoriali. Devo anche ricordare che, grazie proprio alla competenza di Gigi e alla sua inesauribile capacità di lavoro, il piano comprensoriale fu redatto in meno di due anni, in una situazione di permanente instabilità politica. Ma finì in un cassetto, perché sgradito al potere, specialmente a Gianni De Michelis, allora il più autorevole esponente politico veneziano.

Una data importante nella vita di Gigi è il 1987 quando, lasciato il mondo della cooperazione, affrontò con irriducibile entusiasmo una faticosa e difficile attività di libero professionista. Da allora lo troviamo componente di gruppi di lavoro incaricati di preparare piani urbanistici. A lui spettava di curare la stesura delle norme tecniche di attuazione ma, per le ragioni dette prima, per le sue sterminate conoscenze e per la passione che lo animava, finiva con l’assumere un ruolo decisivo nell’intero processo di pianificazione. Resta comunque insuperato il suo magistero nella stesura delle norme, Gigi è stato forse l’unica persona al mondo che ha vissuto (in verità, poco e male) scrivendo gli apparati giuridici dei piani urbanistici.

Dal 1994 ha collaborato con il comune di Napoli. Quando fui amministratore della città, chiesi subito aiuto a Gigi, che si dedicò con fervore a un lavoro oscuro, faticoso, ma determinante per l’urbanistica partenopea. Dimostrò, insieme alle capacità già note, un’attitudine sorprendente e commovente a farsi carico di tutto. Stava a Napoli spessissimo, stabilì rapporti di eccellente collaborazione con i pochi, bravissimi, funzionari e operatori con i quali cercavamo di andare avanti. Devo almeno citare il suo impegno per il nuovo piano regolatore al quale si dedicò senza risparmio, curando specialmente la disciplina del centro storico, alla quale contribuì poi anche Edgarda Feletti, che portò a Napoli l’esperienza maturata nella formazione del piano della città storica di Venezia.

Impossibile qui dar conto della sua vastissima attività professionale, dal piano paesistico dell’Emilia Romagna – di cui fu l’ispiratore e l’artefice fondamentale – ai piani regolatori di Pisa, Positano, Eboli, Carpi, Duino Aurisina, Imola, Sesto Fiorentino, Lastra a Signa, ai piani provinciali di Salerno, La Spezia, Lucca, Pisa, Foggia, al piano di assetto del parco regionale di Veio. Ed è un elenco certamente incompleto. In alcuni casi si fece personalmente carico addirittura di elaborazioni tecniche specialistiche, come nel caso della disciplina del centro storico di Lastra a Signa con il metodo dell’analisi e della classificazione tipologica degli immobili.

Ma non fu mai un tecnico asservito alla politica, e quindi pronto a sottoscrivere qualunque scelta politica e ogni tipo di operazione. Il suo fu un atteggiamento non consueto nel mondo professionale, che spesso lo indusse a interrompere la collaborazione con amministrazioni di cui non condivideva gli obiettivi. Mentre, al contrario, moltiplicava la passione per il lavoro quando la committenza pubblica condivideva le sue stesse concezioni politiche e culturali. Al riguardo non va dimenticato lo straordinario rapporto politico e umano che Scano stabilì con Carlo Moscardini, sindaco di Lastra a Signa e con Gerardo Rosania, sindaco di Eboli, noto per aver lottato senza tregua contro la speculazione malavitosa e per aver demolito, dal 1998 al 2000, ben 450 costruzioni abusive nella pineta demaniale, lungo la costa, superando difficoltà immani. Ancora recentemente, in un convegno pubblico, a Napoli, in occasione dell’orrendo disegno di legge della regione Campania sul piano casa, Rosania ha ricordato l’importanza che ha avuto Gigi nelle sua esperienza di amministratore.

Gigi “legislatore”

Comincio dall’Inu. Come sapete, Gigi si occupò a lungo dell’Istituto nazionale di urbanistica nel cui consiglio direttivo nazionale fu eletto nel 1980 e confermato per oltre un decennio, svolgendovi un ruolo centrale, come coordinatore della commissione giuridica e quindi autore delle successive proposte di legge dell’Inu sull’urbanistica o, più precisamente, sul regime degli immobili. All’inizio degli anni Novanta, quando l’istituto cominciò a spostarsi su posizioni sempre più lontane da quelle che avevamo contribuito a definire negli anni precedenti e che infine fu indotto a collocarsi accanto alla destra di Berlusconi, Gigi decise di abbandonare l’Inu e di fondare una nuova associazione, “di tendenza”, non appesantita da problemi di gestione e di funzionamento. Nacque così, nel marzo del 1992, l’associazione Polis Insieme a Gigi, fondatori furono Roberto Badas, Silvano Bassetti, Felicia Bottino, Teresa Cannarozzo, Antonio Casellati, Antonio Cederna, Filippo Ciccone, Vezio De Lucia, Antonio Iannello, Edoardo Salzano, Walter Tocci, Mariarosa Vittadini.

Gigi fu subito eletto segretario, con poteri sostanzialmente monocratici. In effetti, per un lungo periodo, condusse l’associazione quasi da solo, scrivendo centinaia di documenti, appelli alle autorità, denunce, comunicati stampa. Ma soprattutto Gigi dispiegò in Polis, in assoluta e indiscussa libertà, la sua tormentata attitudine a produrre testi di legge. Non smise mai, fino alla fine, di proporre norme di riforma urbanistica, a scala nazionale e regionale, testi talvolta ripresi da parlamentari ambientalisti e di sinistra.

Credo che sia giusto ricordare il testo della Proposta di legge in materia di governo del territorio presentata a Venezia nell’ottobre del 1992 in occasione del convegno sui cinquant’anni della legge urbanistica. Una proposta organica, terribilmente completa (96 articoli), che va dalle competenze dello Stato in materia di tutele (dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio: è di Gigi questa formula che avrà una meritata fortuna), al riordinamento dei ministeri, dalle competenze delle regioni e degli enti locali al contenuto del diritto di proprietà, dalle espropriazioni alla riforma del regime tributario degli immobili. Insomma, un pezzo della riforma dello Stato. Le oltre 100 pagine della relazione sono un repertorio non solo di conoscenza storica, ma di sapienza riformatrice, alla quale si può continuare ad attingere.

Anche per conto di Italia Nostra Gigi elaborò proposte di riforma legislativa, negli anni della presidenza di Desideria Pasolini dall’Onda. Importante soprattutto l’articolato di legge da lui curato relativo alla Tutela dello spazio agricolo e naturale predisposto all’inizio del 2005 a conclusione di un ciclo di iniziative dell’associazione sul paesaggio agrario. Obiettivo del disegno di legge era lo stop al consumo del suolo, e allora l’argomento era del tutto inedito.

La proposta, molto in sintesi, è basata sulla necessità di riconoscere qualità di bene culturale al territorio non urbanizzato, sia esso in prevalente condizione naturale sia destinato alla produzione agricola o forestale, inserendolo nella lista delle categorie di beni tutelati della legge Galasso.

L’amore per il diritto e la sua indiscussa capacità a elaborare testi legislativi (contribuì tra l’altro, sotto varie forme, alla predisposizione di leggi urbanistiche regionali per l’Umbria, la Toscana, il Lazio, il Veneto) portarono Gigi a collaborare con Antonio Cederna, parlamentare della sinistra indipendente dal 1987 al 1992. “Licurgo, il legislatore” così Cederna definì Gigi, che lavorò con lui a due leggi fondamentali: sulla difesa del suolo e su Roma capitale. Lo stesso Gigi ne ha dato conto nel suo contributo al volume Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna, del 2007. È l’ultimo suo scritto importante ed è una preziosa testimonianza dell’operativo sodalizio che si era stabilito fra loro. Gigi dà conto anche della proposta di legge Cederna del 1991 per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, che però non riuscì neppure a iniziare l’iter parlamentare, e si dispiace di non aver condiviso il favore di Cederna per la legge del 1991 in materia di aree protette. Soprattutto Gigi contestava, e a ragione, la prescrizione che i piani di assetto delle aree protette siano sostitutivi (sostitutivi, non prevalenti) di ogni altra forma di pianificazione: con la conseguenza inammissibile che le decisioni di istituzioni elettive – consigli provinciali e comunali, per esempio – possono essere azzerate da quelle di organi elettivi di secondo grado.

Gigi studioso

Lascia due libri, rispetto ai tanti che poteva scrivere: accanto a Venezia: terra e acqua, un altro libro scritto insieme a Filippo Ciccone, I piani paesistici. Le innovazioni dei sistemi di pianificazione dopo la legge 431, del 1986 (prima edizione) e 1988 (seconda edizione rivista e ampliata). Gigi curò gli aspetti legislativi, di storia della legislazione e di giurisprudenza costituzionale. Resta incompiuto un lavoro ampio e documentato, reperibile su eddyburg, titolato I beni ambientali e il paesaggio nell’evoluzione della legislazione italiana che ricostruisce le vicende della tutela del paesaggio dalla legge sulle bellezze naturali del 1912 fino al testo unico dei beni culturali del 1999, con un’accurata rassegna della legislazione regionale.

Si pone qui la questione delle carte di Gigi. I suoi scritti in materia di urbanistica sono abbastanza noti anche perché elaborati nell’ambito di gruppi di lavoro e di attività collettive. Molto meno note, o addirittura sconosciute, le carte di Gigi politologo. In altra occasione ho citato la relazione tenuta nel 2000 a un convegno a Eboli per conto di Polis su “Il governo pubblico del territorio e la qualità sociale”, la cui prima parte – tutta di riflessioni politiche che spaziano dalla globalizzazione alla crisi della politica progressista – mi disse che era la sintesi di un testo molto più ampio al quale stava lavorando.

Concludo con un ricordo personale. Gigi, orgoglioso di essere repubblicano storico, con una punta di civetteria si definiva girondino. Poco più di venti anni fa, in occasione del duecentesimo anniversario della Rivoluzione francese, il quotidiano la Repubblica pubblicò dei pregevoli inserti che celebravano l’evento. Storie e cronache erano accompagnate da un’intervista di Lucio Caracciolo allo storico Lucio Villari. A un certo punto, Caracciolo chiede quali erano le radici del pensiero di Robespierre, le coordinate della sua missione politica, e Villari risponde che il principio che fa da perno al pensiero del grande rivoluzionario francese, è il seguente: “Il buon governo consiste nella soggezione dell’interesse privato a quello pubblico”. E Villari aggiunge: “È questo, solo questo, il fondamento della democrazia moderna”.

Verificai allora che Gigi la pensava come Robespierre. È sempre stato un giacobino …

Faccio parte, come molti ambientalisti nati tra gli anni 1960 e 1970, di quella generazione che ha costituito l’ambientalismo “moderno”, “verde” o “politico” che dir si voglia, che va oltre al pur meritorio protezionismo naturalistico e architettonico, per sposare le grandi cause ambientaliste nazionali e internazionali, e che trova un immediato riscontro nei movimenti che nascono più o meno spontaneamente al di fuori dei tradizionali partiti politici. Era un movimento variopinto caratterizzato da una intransigenza di fondo, “senza se e senza ma”, confortata dai crescenti segnali d’allarme che provenivano dal mondo scientifico confermando le più fosche previsioni sullo stato di salute del pianeta. Negli anni ’80 eravamo un movimento principalmente “contro”: contro l’energia nucleare (grazie anche alla tragedia di Chernobyl), contro la deforestazione, contro la caccia e l’abuso dei pesticidi in agricoltura, contro il crescente traffico automobilistico, contro l’industrialismo e il consumismo. Molti iniziarono la militanza ambientalista in grandi associazioni internazionali, come il WWF o Greenpeace, o in associazioni nazionali, come la Legambiente, allora politicamente collocata a sinistra, dove mi iscrissi nel 1986. Ben presto l’influenza di esponenti ambientalisti di varia collocazione politica provenienti da un comune ceppo democratico-progressista (Barry Commoner su tutti) e soprattutto marxista e postmarxista (James O’ Connor, André Gorz, Laura Conti, Enzo Tiezzi, Paolo Degli Espinosa, Virginio Bettini, Gianni Mattioli e Massimo Scalia), spinsero molti giovani militanti a pensare oltre alle grandi questioni nazionali e internazionali, e a guardarsi attorno e cogliere le esigenze dell’ambiente calpestato che li circondava e in cui vivevano. Divenne naturale il confronto con le associazioni e i movimenti locali «autoctoni», che spesso nascevano dalle ceneri dell’esperienza politica territoriale della nuova sinistra degli anni ’70.

A Venezia fu inevitabile il confronto politico, non sempre pacifico, tra le associazioni nazionali e i gruppi locali con coloro che sentivamo più vicini: Gianfranco Bettin e Michele Boato, tra i fondatori nazionali delle Liste Verdi, e precursori all’interno di Lotta Continua del nuovo movimento ambientalista degli anni ’80; con Democrazia Proletaria, piccolo ma combattivo partito comunista rivoluzionario; e in misura minore con il Partito Radicale (allora ambientalista) e con singoli esponenti del PCI, in massima parte ingraiani come Cesco Chinello e Paolo Cacciari.

Contemporaneamente all’inevitabile, e a volte fastidioso e conflittuale, confronto politico i giovani ambientalisti si videro “costretti” ad ampliare il proprio raggio d’interesse, azione e conoscenza sulle condizioni ambientali del proprio territorio e, soprattutto, su chi se ne occupava da anni anche dal punto di vista tecnico-scientifico. Oltre ai corsi dell’ “Università Verde”, una grande influenza ebbero “Urbanistica Democratica” e soprattutto Stefano Boato che, spendendosi in mille incontri e riunioni, ci svelò i misteri pratici dell’urbanistica, dei piani regolatori, del traffico, dell’edilizia a una giovane generazione spinta verso l’ambientalismo dall’emergenza nucleare. La scoperta dell’importanza dell’urbanistica spinse alla conoscenza degli scritti e degli studi di altri grandi urbanisti veneziani (o veneziani d’adozione): Edoardo Salzano, Andreina Zitelli, Maria Rosa Vittadini, necessari per comprendere che l’azione del militante ambientalista non doveva fermarsi all’ovvio, cioè a promuovere la raccolta differenziata, la tutela del verde pubblico, l’educazione ambientale, ma che doveva affrontare tutte le problematiche inerenti al territorio e all’insediamento urbano e alla sua gestione, e a inseguire, prevenire, contrastare i progetti speculativi e dannosi per il paesaggio, l’ecosistema e la vita dei cittadini.

Questo «viaggio a ritroso» nel tempo portò molti giovani ambientalisti a conoscere e collaborare con Medicina Democratica e con l’Agenzia di Informazione Coorlach che da anni conducevano una serrata politica di controinformazione contro le produzioni tossiche e per la salute dei lavoratori all’interno e all’esterno del Petrolchimico di Porto Marghera, eredi delle lotte operaie per la salute degli anni ’70, collaborando ben presto con Franco Rigosi, Luciano Mazzolin e, soprattutto, di Gabriele Bortolozzo, primo obiettore alle produzioni chimiche, protagonista del processo al Petrolchimico che inizierà nel 1998, tre anni dopo la sua tragica scomparsa.

Feci la conoscenza diretta con Luigi Scano per la prima volta in occasione delle varie iniziative intraprese durante la lotta contro l’Esposizione Universale (EXPO 2000) che il socialista Gianni De Michelis assieme al Consorzio Venezia Nuova e vari imprenditori italiani voleva promuovere a Venezia. Scano faceva parte di quella cerchia di tecnici che, grazie a un lavoro indefesso dietro le quinte, riuscirono a contribuire a bloccare il folle progetto, a volte pagando di persona, come avvenne alla sovrintendente Margherita Asso, promossa per esser rimossa da Venezia.

L’influenza di questi tecnici, unitamente ai sopracitati urbanisti fu determinante per dare all’ambientalismo veneziano una dimensione saldamente ancorata alle esigenze del territorio veneziano e della sua popolazione. Scano in particolare ci insegnò l’unicità di Venezia, e la necessità di concepire la sua vivibilità attraverso la sua cultura e le esigenze della popolazione e del territorio di una città che doveva restare viva per non trasformarsi in una Disneyland svuotata dai suoi abitanti, e di tutelare la sua laguna, ambiente unico al mondo, una dimensione definita con disprezzo «localista», se non «leghista» dall’allora presidente di Legambiente Ermete Realacci. Le occasionali, ma attente e precise, chiacchierate con Scano ci fecero comprendere l’importanza insostituibile della pluridecennale esperienza di Italia Nostra per la salvaguardia di Venezia, nonché dell’importanza dell’operato del PRI veneziano e di Antonio Casellati in particolare.

I primi contatti fugaci con Luigi Scano nella veste non di tecnico ma di “militante” li ebbi in occasione di varie iniziative promosse dal Comitato NOExpò nel biennio 1989-1990. Ricordo che dietro l’Expò si celava la costruzione della sublagunare e del progetto di paratoie mobili Mose, progetto quest’ultimo avversato da decenni da ambientalisti, scienziati, intellettuali, politici, amministratori pubblici e tecnici, nonostante la vulgata corrente faccia coincidere l’opposizione al progetto con la nascita dell’Assemblea Permanente NoMose nel 2005!

Scano fece il suo ingresso “ufficiale” nel mondo dell’associazionismo grazie a “Polis”, gruppo fondato proprio mentre infuriava la polemica in città sulla metropolitana proposta dalla Giunta Bergamo nel 1992. Egli ebbe un rapporto diretto, militante all’interno del gruppo “PER.A” (Per altri trasporti lagunari) contrapposto polemicamente al progetto ME.LA: (Metropolitana Lagunare). Scano si impegnò in prima persona per bloccare la metropolitana, e fu tra le poche persone effettivamente determinanti per far accantonare il progetto. In questa occasione molti di noi ebbero l’occasione di conoscerlo meglio tramite alcuni suoi scritti che ci consegnò, dandoci una visione più ampia e complessa di Venezia e della sua laguna. Durante le varie assemblee e incontri avemmo inoltre l’occasione di scoprirne la dimensione umana e cordiale.

Nel dicembre 1994 nei maggiori quotidiani nazionali e in quelli locali comparvero le dichiarazioni dell’allora presidente di Legambiente, Ermete Realacci, a favore del sistema di paratoie mobili MoSE. Il circolo veneziano, presieduto dallo scrivente, contestò a mezzo stampa Realacci. Alle proteste segue la sospensione sine die (leggi: espulsione) del circolo locale. Scano, assieme a Italia Nostra, fu tra i pochi ambientalisti che contestarono la radiazione de facto di Legambiente Venezia.

I sempre più frequenti contatti di Scano con il mondo ambientalista a partire dal 1994 divennero militanza effettiva grazie alla nascita dell’Assemblea Permanente NoMose nel 2005. Dapprima ci seguì timidamente, in maniera defilata durante le prime contestazioni, presidi e assemblee pubbliche, poi si sentì sempre più coinvolto, seguendoci nel nostro peregrinare attraverso le varie sedi da cui eravamo man mano cacciati, fino a diventare una presenza assidua nel 2006 quando fummo ospitati nella sede del circolo del Partito della Rifondazione Comunista di Cannaregio in Fondamenta Ormesini, vicino al Ghetto, a pochi passi dalla sua abitazione in Rio Terà San Leonardo. Scano ci accompagnò nel percorso di trasformazione da associazione informale che rappresentava le associazioni ambientaliste nazionali e locali, e composta anche da singoli individui, docenti universitari, studenti, giovani dei centri sociali, sindacalisti, militanti di Rifondazione Comunista e in misura minore dei Verdi, ad associazione dotata di statuto, regolamento e organi direttivi. Egli fu uno tra i primi a lanciare l’idea della costituzione della “Associazione AmbienteVenezia” che, raccogliendo l’esperienza dell’Assemblea Permanente NoMose, oramai gruppo informale composto nel 2006 in massima parte da cittadini auto-organizzati per affrontare l’emergenza del MoSE, vissuto come scempio della laguna e insulto alle Leggi Speciali per Venezia, di cui proprio Scano era uno dei padri, si proponesse come gruppo organizzato per prendere atto di tutte le osservazioni e le contestazioni al MoSE dal punto di vista giuridico e scientifico, rielaborandole e rendendole pubbliche, accompagnando in maniera tecnica l’attività politica pratica, icoraggiando.

Il 20 novembre 2006 decine di membri dell’Assemblea Permanente NoMose occupano pacificamente il primo piano della sede del Consorzio Venezia Nuova in Campo Santo Stefano a Venezia, protestando platealmente con slogan e striscioni contro il Comitatone che si apprestava a votare il via libera definitivo al MoSE nella riunione a Roma del 22 novembre. Tra gli occupanti più decisi figura Luigi Scano. Nel tardo pomeriggio il cortile interno e l’edificio vengono invasi da agenti di Polizia e carabinieri in tenuta antisommossa. I parlamentari Paolo Cacciari (Rifondazione), Luana Zanella (Verdi) e Felice Casson (Ds) mediano con le autorità per evitare la carica e l’arresto degli occupanti. Nell’assemblea concitata che segue tra i NoMose, Scano si schiera tra chi vuol restare a costo di esser picchiato e arrestato. Alla fine tutti gli occupanti che oppongono resistenza passiva, vengono portati fuori di peso per le scale dagli agenti. Scano è tra gli ultimi a essere trascinato da quattro agenti fuori dall’edificio, e conclude la serata con noi in un bar davanti a un bicchiere di Prosecco, felice come un ragazzo, raccontandoci aneddoti e curiosità storiche e urbanistiche.

Nel corso delle varie assemblee agli Ormesini, bevendo un bicchiere di vino in compagnia prima o dopo le riunioni, raccontava a me e a gli altri, a spizzichi e bocconi, di non aver più fiducia nei Democratici di Sinistra e di averli abbandonati da tempo. Considerava la “Cosa”, la cosiddetta casa della sinistra del PDS degli anni ’90, come un’occasione mancata per costituire un partito di sinistra pluralista che tenesse conto dell’interesse pubblico e non delle esigenze del capitale, e per riportare in auge il vecchio concetto di riformismo degli anni ’60, in cui prevaleva l’interesse pubblico e dello Stato sulle pretese del capitalismo privato. Aborriva il nuovo concetto di riformismo, parola oramai da lui considerata una foglia di fico per coprire e giustificare gli appetiti speculativi e gli istinti predatori del capitalismo finanziario e edilizio, lasciato libero di depredare il territorio, soprattutto nella sua amata laguna. Era molto irritato dall’operazione in chiave di revisionismo storico che si stava attuando attorno alla figura di Gianni Pellicani, dirigente migliorista del PCI veneziano, con cui il PRI di Casellati e Zorzetto ebbero un eccellente rapporto. Pellicani fu molto vicino a Scano il quale, giovanissimo, svolgeva opera di mediazione tra lui e Ugo La Malfa riguardo la redazione della Prima Legge Speciale per Venezia. Egli si lamentava che Pellicani oramai veniva descritto come un fautore ante litteram delle grandi opere, mentre in realtà fu proprio il grande dirigente migliorista a dare il suo contributo ad affossare l’Expò del 1990 e la Sublagunare del 1992!

Scano, parlando in libertà, individuava gli eredi del riformismo, quello a suo dire “vero” di Riccardo Lombardi e Ugo La Malfa, non tanto nei partiti di sinistra (anche se si stava avvicinando sempre più a Rifondazione Comunista) ma piuttosto nei movimenti di cittadini organizzati che stavano sorgendo in Italia e che reclamavano il rispetto dell’ambiente, della legalità, del territorio, dei bisogni della collettività, dei beni architettonici, del paesaggio. Ci lasciò piacevolmente interdetti quando, in una delle ultime assemblea a cui partecipò, disse ad alta voce “Cari compagni…”!

Uno degli ultimi scritti di Scano è lo statuto di AmbienteVenezia. Dopo mesi di discussioni, egli se ne incaricò della stesura. E ne uscì un manifesto programmatico, più che un atto ufficiale. Una sintesi del suo pensiero, applicata a una realtà militante che ha visto crescere ed evolversi e a cui ha partecipato attivamente, elaborazione a un tempo personale e collettiva, frutto di numerose assemblee e delle riflessioni proprie e altrui, contenente le basi da cui ripartire per agire in maniera più efficace non solo contro il Mose, ma per la salvaguardia di Venezia e del suo territorio, in maniera molteplice innovativa.

AmbienteVenezia fu fondata il 27 dicembre 2007 a casa di Scano, per l’occasione facente funzione di segretario verbalizzatore, un appartamento zeppo di libri, faldoni, quaderni di appunti, riviste, mappe, carte geografiche, progetti, cartelle, agende. Le sedici firme dei soci fondatori furono apposte alle 18.30, dopo aver riscaldato l’ambiente con una decina di bottiglie di Prosecco offerte dallo stesso Gigi, accompagnate da crackers con maionese. Poi tutti in pizzeria, dove si scatenò intrattenendo alcune socie sulle problematiche dell’austromarxismo e dell’occasione mancata di una terza via alternativa al bolscevismo e alla socialdemocrazia!

Avevo preparato una lunga analisi dello Statuto, ma ho preferito tralasciarla e far parlare direttamente Scano attraverso lo statuto da lui redatto.

Articolo 1 (Costituzione)

Al fine di mettere ancora più pienamente a frutto il patrimonio di elaborazioni, contestative e propositive, di partecipazione spontanea di base, di capacità di mobilitazione e di comunicazione, del movimento informale denominato ASSEMBLEA PERMANENTE NO MOSE, fornendogli uno strumento giuridicamente adeguato allo scopo di stabilire rapporti formali con qualsiasi soggetto, pubblico o privato, e di potere agire in giudizio, comunque in continuità con gli obiettivi specifici sinora perseguiti dal suddetto movimento, nonché al particolare scopo di consentire la costruzione, anche formale, di una rete di soggetti che perseguono obiettivi coerenti con quelli perseguiti dal medesimo suddetto movimento […]

Articolo 2 (Finalità e scopi)

1. L’ Associazione AMBIENTEVENEZIA - per la tutela della laguna e dell’entroterra di Venezia persegue le finalità di:

a) promuovere e sostenere le attività di governo del territorio coerenti con gli obiettivi di tutela dell’integrità fisica della laguna di Venezia, del suo avanmare, dei suoi cordoni litoranei, e dell’intero bacino idrografico in essa scolante, nonché dell’identità culturale della stessa laguna, del suo entroterra, e dei relativi insediamenti umani;

b) contrastare ogni scelta, atto, progetto, opera, azione, giudicata contraddittoria, o semplicemente incoerente, con gli obiettivi suindicati.

2. A tali fini, Associazione AMBIENTEVENEZIA - per la tutela della laguna e dell’entroterra di Venezia:

a) promuove, coordina, realizza, autonomamente o in collaborazione con altri soggetti, studi, ricerche, analisi, incontri, seminari, convegni;

b) elabora proposte e definisce documenti valutativi di provvedimenti legislativi, di atti amministrativi, di progetti, di opere, di attività;

c) promuove e realizza, autonomamente o in collaborazione con altri soggetti, pubbliche manifestazioni, dimostrazioni e altre azioni non violente volte a sensibilizzare la pubblica opinione;

d) collabora con altri soggetti che perseguano scopi, anche parziali, coerenti con le sue finalità, nel suo precipuo ambito territoriale di azione;

e) assicura fattiva solidarietà, con o senza intese di reciprocità, ad altri soggetti che perseguano scopi riconducibili a finalità omologhe alle sue, nell’ambito nazionale, europeo, mondiale;

f) svolge attività di comunicazione, con qualsivoglia mezzo tecnico, in relazione alle attività sopra indicate;

g) agisce anche in giudizio a tutela dell'interesse diffuso e collettivo al raggiungimento delle finalità di cui al comma 1, nonché alla regolarità dei provvedimenti comunque attinenti all'area veneziana,

In questi paragrafi è racchiusa tutta l’esperienza urbanistica e politica nonché l’elaborazione dottrinale del riformista di origine repubblicana Luigi Scano: nel “suo” statuto i militanti dell’Assemblea NoMose, provenienti da varie associazioni ambientaliste ma con una forte impronta di sinistra e di estrema sinistra, si sono ritrovati appieno, a conferma dell’attualità della sua concezione radicale della democrazia, della legalità, della trasparenza legislativa e gestionale, del rispetto dell’ambiente e del territorio, dove la natura, l’uomo e la cultura sono un tutt’uno imprenscindibile da difendere dalla ferocia del capitalismo selvaggio e speculativo. L’Associazione AmbienteVenezia farà il possibile per onorare la memoria di Gigi continuando la sua lotta.

Queste note sono il frutto di alcune conversazioni tra me e Antonio Casellati; ad esse si può collegare una lunga intervista, rilasciata da Casellati alla Fondazione Gianni Pellicani, che testimonia con maggior dettaglio alcuni dei passaggi politico-amministrativi del periodo 1967-1990, l’arco di tempo nel quale si sviluppa l’azione del PRI Veneziano che, si può dire senza presunzione, ha svolto in quegli anni un ruolo certamente superiore alla sua consistenza elettorale ed è stato interlocutore, spesso scomodo, ma ineludibile, di tutte le altre forze politiche. Eventuali imprecisioni e/o omissioni si debbono addebitare esclusivamente alla nostra memoria … non verdissima, come la nostra età. (Cino Casson)

Negli ultimi mesi del 1966 matura, all’interno della minoranza della Gioventù Liberale, la decisione di uscire dal PLI, per manifesta incompatibilità con la linea politica imposta dalla segreteria di Giovanni Malagodi; assieme ad alcuni esponenti del PLI (dirigenti e amministratori locali), i giovani liberali si dimettono dal PLI e danno vita a un movimento, “Democrazia 67”, che, fin dal nome, si pone come transitorio. La sinistra liberale vede nel PRI di Ugo La Malfa il partito che meglio corrisponde a una visione liberale moderna, soprattutto per le linee di politica economica.

Nel maggio del ’67 viene sancita, al teatro Eliseo a Roma, alla presenza di Ugo La Malfa, la confluenza di “D 67” nel PRI. A Venezia il leader politico dei Giovani Liberali è il giornalista Pino Querenghi e il gruppo può contare su un consigliere comunale, l’avvocato Antonio Casellati, da anni oppositore della dirigenza locale del PLI; il più giovane è Luigi Scano, studente di Giurisprudenza a Padova.

I repubblicani di Venezia non vedono di buon occhio l’ingresso dei “nuovi”, sia perché si sentono “scavalcati” dal rapporto diretto con La Malfa, sia perché temono che un gruppo organizzato ed esperto possa “agitare le acque” in un partito che, soprattutto nel centro storico, vivacchia stancamente, più “club” che partito, privo di un vero “leader”[1].

Anche a Mestre non manca chi guarda con sospetto all’operazione; il giovane leader locale, Gaetano Zorzetto, dopo una iniziale diffidenza, è il primo a comprendere, fors’anche per la vicinanza generazionale, che una intesa tra vecchi e nuovi repubblicani può irrobustire il partito e renderlo anche elettoralmente competitivo.

Siamo nell’immediato “day after” della disastrosa “acqua alta” del 4 novembre 1966 e il tema della difesa di Venezia è quello che più appassiona l’opinione pubblica.

Si è costituito, ad opera di cittadini di vario orientamento politico, un “Fronte per la difesa di Venezia” e gran parte dei dirigenti del movimento guardano da subito al “nuovo” PRI come un interlocutore politico privilegiato, tanto che molti di essi entreranno nel partito e vi svolgeranno ruoli di rilievo[2]; in particolare è visto con interesse il ruolo del consigliere comunale Casellati, autorevole esponente veneziano di “Italia Nostra” (della cui sezione veneziana sarà, anche , presidente). E i repubblicani veneziani comprendono che la battaglia per la salvaguardia della città è in piena sintonia con le loro convinzioni ed offre loro uno spazio politico del tutto originale.

Nel 1968 la prima iniziativa pubblica è il lancio di una petizione, “Venezia domanda:precise scelte per la città”, che raccoglie migliaia di firme per chiedere un intervento legislativo straordinario; un anno dopo il PRI risponde, in un convegno al quale partecipano La Malfa e Bruno Visentini, con la presentazione di una pubblicazione “Il PRI risponde: una legge per Venezia”, che contiene un disegno di legge, che prevede, tra l’altro, la costituzione di una “autority”, l’Ente Laguna Veneta. Infatti i repubblicani, in linea con gran parte del mondo della cultura e delle associazioni ambientaliste (non esistono, ancora, i “verdi”), sono convinti che “Venezia si salva salvando la sua laguna”.

Ed è in questa occasione che emerge il ruolo di Luigi Scano, poco più che ventenne, che si impegna con Casellati a dare sostanza culturale e normativa alle idee in materia di salvaguardia. Il disegno di legge, depositato alla Camera, primo firmatario Ugo La Malfa[3], non riuscirà ad approdare all’aula e decadrà con la legislatura. È forte la polemica con la DC, a Venezia egemonizzata culturalmente da Vladimiro Dorigo, sostenitore di uno sviluppo economico senza vincoli ambientali, che vede nell’espansione della Terza Zona industriale che sottrae spazio alla laguna, l’unico futuro di Venezia. Il PCI guarda con interesse, ma non senza sospetto, al protagonismo repubblicano; è ancora forte, in esso, la cultura operaista di Cesco Chinello e un certo pregiudizio “antiborghese”, anche se la “destra” del PCI (quelli che poi saranno definiti i “miglioristi”, che hanno il loro leader in Gianni Pellicani”) comincia a porsi alcune domande, che, più tardi, incroceranno le risposte che, già allora, dà il PRI. Il rapporto con il PSI è complesso; i vecchi dirigenti sono in parte attratti nell’ambito culturale del PCI, ma guardano, in chiave di governo, alla prime “aperture a sinistra” della DC[4]; inizialmente il PRI si ritrova in maggior sintonia con la componente “lombardiana” dove sta emergendo la leadership di Gianni De Michelis (il quale, per altro, dopo aver conquistato l’egemonia nel PSI veneziano, sconfesserà molte delle sue idee degli anni ’70, arrivando a coniare per il PRI l’appellativo di “partito delle contesse”, con trasparente riferimento a Teresa Foscari e Annamaria Cicogna, esponenti di Italia Nostra). Decisamente ostili, almeno fino alla fine degli anni ’70, sono i sindacati, che vedono nelle politiche protezionistiche il rischio di interrompere le attività di Porto Marghera.

Nel 1970 si tengono le elezioni amministrative; il PRI presenta, dopo decenni, una sua lista, che ottiene due seggi; rientra in Consiglio comunale Antonio Casellati, al quale si affianca Gaetano Zorzetto. E dalla consuetudine del lavoro amministrativo si consolida il rapporto tra Zorzetto e i “nuovi” repubblicani.

Nel 1971, dopo una crisi della giunta, guidata da Giorgio Longo della sinistra democristiana, il PRI entra nella nuova giunta Longo, ottenendo importanti accordi programmatici, apprezzati anche dal PCI, e l’istituzione, per la prima volta in Italia, di un Assessorato all’Ecologia, assunto da Casellati. I testi che vengono sottoscritti, dopo giorni e notti di laboriose trattative, sono elaborati, nella forma e nella sostanza, da Scano. Superando ostacoli espliciti e boicottaggi sotterranei, Casellati riesce a costruire, dal nulla, un assessorato dotato di competenze ed entusiasmo, utilizzando la competenza di alcuni (pochi) funzionari messi a disposizione (tra i quali l’ottimo Armando Danella). Dopo meno di 3 anni, però, il PRI si trova costretto a denunciare un accordo che la DC mostra di non voler onorare.

Casellati si dimette da assessore e da consigliere e gli subentra Luigi Scano; Casellati considera questa operazione anche come un “investimento” su un giovane nel quale egli vede un possibile “leader” politico. Nel frattempo il PRI si impegna, a livello nazionale, nella stesura di una Legge Speciale per Venezia, che finalmente, anche la DC accetta di discutere, abbandonando il sostegno alla proposta del socialista Lauricella.

Luigi Scano ne è assoluto protagonista; si trasferisce a Roma, dove può contare sull’aiuto del deputato Adolfo Battaglia, del senatore Pietro Bucalossi e sulla decisa azione di Ugo La Malfa, che arriva a minacciare la crisi del governo, pur di far approvare la legge. La Legge viene approvata nel 1973 e, due anni dopo, il Ministro dei Lavori Pubblici Bucalossi emana gli “Indirizzi” del governo per l’attuazione della Legge Speciale.

Il 23 dicembre 1974 il Consiglio comunale approva un Ordine del Giorno che verrà denominato come “minicompromesso storico”; è votato, infatti, anche dal PCI; ma sulla successiva votazione dei Piani particolareggiati (31.12.74), presentati da Gianni De Michelis, assessore all’Urbanistica, il PRI non darà il suo assenso, considerando insufficienti le misure di tutela dei beni ambientali e monumentali. Luigi Scano è autore della argomentata critica e viene considerato, ormai, “l’ideologo” del PRI veneziano (Gigi respingerebbe con disgusto tale qualifica, preferendovi certamente quella di “produttore di idee”).

Nel 1975 il PRI riporta in Consiglio comunale i due consiglieri Zorzetto e Scano. Si forma una Giunta di sinistra, sindaco Mario Rigo, del PSI, vicesindaco Gianni Pellicani, del PCI; il PRI non partecipa, sia per perduranti divergenze sullo strumento urbanistico dei Piani Particolareggiati, sia per le forti resistenze del partito a livello nazionale a consentire una alleanza decisamente opposta a quella del governo nazionale (il PRI, dopo la scomparsa di Ugo La Malfa, è retto da Oddo Biasini, persona integerrima, ma meno sensibile alle tematiche care ai repubblicani veneziani).

Tuttavia la stretta collaborazione tra Luigi Scano e il nuovo assessore all’Urbanistica, Edoardo Salzano, porterà a una sempre maggior vicinanza delle posizioni di PRI e PCI (mentre si accentueranno le divergenze con il PSI egemonizzato da De Michelis). Il voto favorevole annunciato dal PRI sulle controdeduzioni alle Osservazioni ai Piani particolareggiati, frutto di tale collaborazione, è causa di un forte scontro politico tra i repubblicani veneziani e la dirigenza nazionale; Luigi Scano e Cino Casson, segretario comunale del PRI, vengono convocati a Roma, dove subiscono una sorta di “processo” da parte della Direzione nazionale, sommariamente e artatamente informata dal segretario regionale, Licisco Magagnato, da sempre ostile; Scano “tiene il punto” e rifiuta di modificare la decisione assunta dal gruppo consiliare.

Nel 1977 Antonio Casellati diventa presidente del Comprebnsorio della laguna, che dovrebbe stendere un Piano per l’attuazione urbanistica delle prescrizioni della Legge Speciale; anche in questa incombenza il lavoro di Luigi Scano, formalmente consulente, si integrerà perfettamente con quello dell’urbanista Vezio De Lucia, responsabile scientifico del Piano. Il Piano vedrà, infine la luce, ma si arenerà in sede regionale e il Comprensorio, dopo l’uscita dalla presidenza di Casellati, si avvierà ad una pratica estinzione.

Nel 1980 il PRI ha una battuta d’arresto elettorale (che gli oppositori interni tenteranno di addebitare a un eccessivo “sbilanciamento” a sinistra) e porta in consiglio comunale il solo Gaetano Zorzetto; Mario Rigo è confermato Sindaco, nonostante l’ostilità di De Michelis; Zorzetto entrerà in giunta qualche mese dopo, blandamente sconfessato (ma ufficiosamente incoraggiato) dal nuovo segretario del PRI, Giovanni Spadolini, forse memore delle battaglie condotte dalle colonne del Corriere della Sera per la salvaguardia di Venezia per la penna di Indro Montanelli. A Zorzetto verrà assegnato quell’assessorato all’Ecologia che, creato da Casellati, aveva, poi, vivacchiato senza particolari iniziative.

Nel 1982 il PRI entra anche nella giunta di sinistra della Provincia di Venezia[5]. Ma la stagione delle giunte di sinistra sta volgendo al termine; il PSI accentua sempre più la sua insofferenza per un rapporto con il PCI nel quale non riesce ad affermare le sue velleità di leadership; in più, a Venezia, si evidenzia la contrapposizione tra Rigo e De Michelis, che, nel frattempo, ha consolidato un rapporto privilegiato con il presidente della Regione, il democristiano Carlo Bernini.

Le elezioni amministrative del 1985 segnano un forte incremento dei voti al PRI, con l’elezione di 3 consiglieri: Bruno Visentini, Gaetano Zorzetto e Alfredo Bianchini. Visentini è immediatamente contrario a ogni collaborazione di Giunta e, in una seduta della direzione provinciale del PRI, espone la sua previsione: “Laroni (designato Sindaco da De Michelis) durerà pochi mesi; poi noi entreremo in Giunta e avremo il Sindaco; io mi dimetterò e Casellati, che mi subentrerà, sarà Sindaco.” Bianchini, il giorno dopo, presenterà, con una lettera a Visentini e Casellati, le sue dimissioni da consigliere e Casellati entrerà subito in Consiglio. De Michelis impone come Sindaco di una giunta DC-PSI-PSDI Nereo Laroni e il PRI si schiera decisamente all’opposizione; è vivo lo scontro politico sulla proposta di Gianni De Michelis per portare a Venezia l’Esposizione Universale di fine secolo, che presenta, per PRI, PCI, Verdi e gran parte del mondo della cultura, un grave attentato agli equilibri ambientali e lascia intravedere possibili (e ancor più probabili) intrecci affaristico-speculativi.

La polemica si intreccia a quella nascente sul Mo.S.E., il sistema di chiusure mobili alle “bocche di porto”, che dovrebbe attuare le prescrizioni della Legge Speciale; tutto il mondo ambientalista manifesta la netta contrarietà a un intervento che viene visto come distruttivo dell’ecosistema lagunare e penalizzante per l’attività portuale; anche su questo tema si verifica convergenza tra PRI e PCI.

Scano non è più consigliere comunale, ma il suo impegno resta immutato; gran parte delle posizioni che il PRI viene assumendo escono dalla sua penna (si convertirà al “computer” solo molti anni dopo). Nel 1985 pubblica “Venezia: Terra e acqua”, riedita nel 2006 da Corte del fontego ediitore: una storia delle trasformazioni dell’ecosistema lagunare e della città dalla Serenissima agli anni ’80, che resta un’opera fondamentale e insuperata.

Una “congiura di palazzo”, orchestrata dall’ex sindaco Mario Rigo, porta alla crisi della Giunta Laroni sul finire del 1987; dopo un fallito tentativo di eleggere sindaco il DC Costante Degan, l’accordo tra Rigo, Pellicani e Visentini porta all’elezione a sindaco di Antonio Casellati, sostenuto da PCI, PSI, PRI e Verdi.

Luigi Scano, che nel frattempo ha intrapreso l’attività professionale di consulente in materia di normative urbanistiche, può riprendere un ruolo decisivo nella progettazione urbanistica della città, collaborando con il nuovo assessore all’Urbanistica, il Verde Stefano Boato e con l’arch. Edgarda Feletto; insieme elaborano una strumentazione che tende ad eliminare ogni possibile discrezionalità nell’esercizio della politica urbanistica. Nel frattempo, Cino Casson assume, in Provincia, l’incarico di assessore all’Urbanistica e, privo com’è di competenze disciplinari, chiede supporto a Scano, che, senza alcun incarico ufficiale (e senza compenso), glielo fornisce generosamente.

Casellati affronta un momento di grande difficoltà in occasione del famoso concerto veneziano dei “Pink Floyd”; l’evento era stato voluto da Laroni, che aveva anche assunto impegni con gli organizzatori, mettendo praticamente il Comune di fronte a un fatto compiuto. (Va detto che, in realtà, a Venezia non era accaduto nulla di grave, se non i modesti inconvenienti derivanti dalla presenza di una massa enorme, ingigantiti da una campagna mediatica non limpidissima). A dissuadere Casellati dal proposito di dimettersi a seguito delle polemiche ci fu il deciso intervento di Bruno Visentini e la piena solidarietà dei repubblicani veneziani. Il mandato di Casellati si conclude con una vittoria del PRI e delle più sensibili istanze culturali; l’Expo non viene assegnata a Venezia, anche per la decisa azione di “lobbyng”, in Italia e all’estero (Spadolini e Visentini si impegnano in sede governativa e Casellati si reca di persona a Parigi per sostenere il No all’Expo). All’indomani della decisione contraria il quotidiano La Nuova Venezia pubblica una vignetta nella quale un Visentini con “corno” dogale sperona, in gondola, l’esterrefatto De Michelis.

Negli anni il PRI veneziano si trova spesso in contrasto con i livelli regionale e nazionale. Si è detto della freddezza dei “vecchi” repubblicani per l’ingresso di D 67; tuttavia, a Venezia, a parte qualche iniziale contrasto con la componente mestrina, il clima in breve si rasserena; Casellati, Zorzetto, Scano e gli altri giovani dirigenti costruiscono sintonia politica e amicizia personale. In sede regionale, invece, la segreteria di Magagnato guarda con sospetto alla polemica con la DC, egemone nel Veneto, e la sintonia sempre maggiore con il PCI. Con Ugo La Malfa il rapporto è, sostanzialmente, positivo; il vecchio leader apprezza la battaglia per Venezia e se ne fa deciso sostenitore in sede di governo; per lungo tempo anche Adolfo Battaglia si impegna a favore dei veneziani, ma, qualche anno dopo, i rapporti si faranno più conflittuali, soprattutto per l’influenza di Magagnato (Battaglia è eletto nel Collegio di Verona). Ne seguirà anche un “commissariamento”, a seguito del voto dei consiglieri repubblicani ai Piani Particolareggiati, che non avrà, tuttavia, alcun esito: il PRI veneziano conferma, in congresso, tutti i dirigenti “commissariati”.

Con la segreteria Spadolini cade, di fatto, la preclusione alla partecipazione a giunte di sinistra e i rapporti si stabilizzano su un clima di reciproco rispetto. La segreteria di Giorgio La Malfa entra in conflitto con i veneziani in occasione della nomina di un rappresentante repubblicano nel CdA della Biennale su designazione dell’assessore provinciale: Casson, seguendo quanto deliberato dalla direzione provinciale, fa eleggere un candidato sgradito a Giorgio La Malfa, che, per ritorsione, scioglie gli organi veneziani. Anche questo “commissariamento” tuttavia, viene vissuto a Venezia con una certa indifferenza ed ha esito analogo al precedente.

Una nota a parte richiede il rapporto tra i repubblicani veneziani e Bruno Visentini. Il senatore trevigiano – che ama definirsi un “veneziano di campagna” – tende ad avere un rapporto “alla pari” con il solo Casellati; non ha in grande considerazione Zorzetto, rispetta Scano, ma non gli attribuisce grandi doti politiche; per tutti gli altri manifesta totale indifferenza. Visentini non apprezza che il PRI di Venezia abbandoni l’idea iniziale di una “authority”; inoltre sostiene la separazione tra Mestre e Venezia C.S., avversata dai dirigenti veneziani, che sarà causa di un raffreddamento nei rapporti con Casellati. Tuttavia anche Visentini condivide la polemica con De Michelis e la sintonia con Pellicani ed è il vero “regista” dell’operazione che porta Casellati a diventare sindaco.

Con gli anni ’90 il PRI a Venezia entra in una fase di smobilitazione; Casellati si ricandida “per onor di firma” come Sindaco uscente, ma si dimette poco dopo; Zorzetto rimane in consiglio comunale, ma non partecipa alla giunta di Ugo Bergamo; Scano esce dal partito e si avvicina al PDS (nel 95 sarà eletto consigliere provinciale, ma si dimetterà due anni dopo, anche per solidarietà politica con Cristiano Gasparetto che si dimette da Assessore all’Urbanistica per gli ostacoli che incontra) ; in Provincia Casson resta come consigliere di opposizione, per rientrare nella Giunta solo quando si ricostituirà, nel ’93, una maggioranza di sinistra.

Nel 1994 il PRI, con Giorgio La Malfa, rifiuta di entrare nell’alleanza dei “Progressisti” e si presenta alle elezioni insieme alla DC; molti repubblicani, anche assai autorevoli come Visentini, Gualtieri, Bogi, abbandonano il partito; anche a Venezia gran parte del gruppo dirigente lascia. Gaetano Zorzetto viene chiamato a far parte della prima Giunta Cacciari, con il ruolo di Prosindaco di Mestre, ma un anno dopo scompare a soli 55 anni. E, con lui, scompare ogni visibile presenza del PRI a Venezia.

Luigi Scano prosegue la sua attività professionale, contribuendo alla redazione di strumenti urbanistici e testi legislativi; ma non abbandona l’impegno politico all’interno di molti istituti e associazioni, assumendo la segreteria generale di “Polis” e partecipando a numerosi movimenti ambientalisti, a Venezia e nel resto d’Italia, fino alla sua prematura scomparsa, nel 2007.

[1] Le personalità di maggior spicco sono il prof. Giuseppe De Logu e Calogero Muscarà, docente di geografia economica a Ca’ Foscari, decisamente ostile ai nuovi entrati

[2] Ad esempio Gian Maria e Mara Rosa Salva; lo stesso Franco Rocchetta, che poi sarà “inventore” della Liga Veneta, aderisce, per un paio d’anni, al PRI

[3] DdL n. 1078/1969

[4] A Venezia il centrosinistra governa già dal 1961

[5] Cino Casson, unico consigliere provinciale per il PRI, assume l’assessorato all’Istruzione

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