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Gigi l’ho conosciuto trent’anni fa, quando cominciammo a occuparci del piano del comprensorio di Venezia e della laguna, ed ebbi il piacere di collaborare con Antonio Casellati, che del comprensorio era presidente, con l’attuale sindaco Massimo Cacciari e con altri illustri studiosi ed esponenti politici. Si stabilì fra Gigi e me un’intesa perfetta. Esisteva allora la deplorevole abitudine di assumere le decisioni relative alla vita pubblica in riunioni ristrette fra i vertici dei partiti locali, in particolare fra Psi e Pci. A Gianni De Michelis, che lo redarguiva per il mancato rispetto di qualche accordo relativo al piano comprensoriale, l’indimenticabile Gianni Pellicani rispose che l’inconveniente andava addebitato alla ferrea intesa fra Scano e De Lucia, più forte della disciplina di partito; e che non aveva argomenti per imporci regole che non condividevamo. Fu il viatico all’amicizia di una vita.

Da allora, siamo alla fine degli anni Settanta, fino alla sua scomparsa, non ci siamo più persi di vista e abbiamo continuato spesso a lavorare insieme, raggiungendo talvolta buoni risultati, altre volte siamo stati costretti a onorevoli sconfitte.

Gigi è sempre stato un lavoratore infaticabile. Basta dare uno sguardo al suo curriculum per rendersene conto, e mi auguro che sia possibile una raccolta critica dei suoi lavori, per rendere pubblici e disponibili testi secondo me di straordinaria qualità. Qui riesco a dar conto soltanto, e sommariamente – sono poco più che appunti e promemoria che spero possano essere sviluppati – di alcuni degli impegni di Gigi di cui sono stato in qualche modo partecipe o testimone. Tralascio qui il piano comprensoriale di Venezia, del quale lo stesso Gigi ha trattato magistralmente nel suo Venezia: terra e acqua. Per comodità espositiva tratto separatamente le attività condotte come impegno civico da quelle propriamente professionali. Ma tutti coloro che hanno conosciuto Gigi sanno che il suo agire professionale non è stato mai separato o separabile dall’azione politica e culturale.

Comincio dal rapporto di Gigi con le associazioni culturali. Subito dopo la deludente esperienza del piano comprensoriale di Venezia, si occupò a lungo dell’Istituto nazionale di urbanistica, nel cui consiglio direttivo nazionale fu eletto nel 1980 e confermato per oltre un decennio, svolgendovi un ruolo da protagonista, in particolare come coordinatore della commissione giuridica e quindi autore delle successive proposte di legge dell’Inu in materia di urbanistica o meglio, come si usava dire allora, in materia di “regime degli immobili”. All’inizio degli anni Novanta, com’è noto, nell’Inu cominciò a soffiare il vento del revisionismo, del riflusso accademico e corporativo, che spingeva su posizioni sempre più lontane da quelle che avevamo contribuito a definire negli anni precedenti (e che infine ha condotto l’istituto su un fronte collaterale a quello del governo Berlusconi). Decidemmo allora di abbandonare l’Inu e di fondare una nuova associazione “di tendenza”, non appesantita da problemi di gestione e di funzionamento. Nacque così, nel marzo del 1992, l’associazione Polis, la cui finalità è di “promuovere una disciplina del territorio fondata sull’assunzione degli obiettivi della tutela della sua integrità fisica e della sua identità culturale, e del conferimento a esso di più elevati caratteri di qualità formale e funzionale, quali condizioni per soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

Fondatori di Polis furono Roberto Badas, Silvano Bassetti, Felicia Bottino, Teresa Cannarozzo, Antonio Casellati, Antonio Cederna, Filippo Ciccone, Vezio De Lucia, Antonio Iannello, Edoardo Salzano, Luigi Scano, Walter Tocci, Mariarosa Vittadini. Gigi fu subito eletto segretario, con poteri quasi monocratici, e per un lungo periodo ha condotto l’associazione quasi da solo, scrivendo centinaia di documenti, appelli alle autorità, denunce, comunicati stampa. E ha ricominciato a proporre testi di legge in materia di urbanistica, a scala nazionale e regionale, molto spesso ripresi da parlamentari ambientalisti e di sinistra. La proposta di legge elaborata dagli amici di eddyburg sui principi nazionali in materia di pianificazione del territorio – presentata l’anno scorso da parlamentari di rifondazione e di altri partiti di sinistra – è l’ultima espressione delle sue impostazioni culturali e giuridiche.

L’indiscussa attitudine di Gigi “legislatore” va ricordata ancora per la collaborazione da lui fornita ad Antonio Cederna, parlamentare della sinistra indipendente dal 1987 al 1992, e all’associazione Italia nostra. Della consuetudine di lavoro con Cederna per fortuna lo stesso Gigi ha dato conto, in maniera molto puntuale, nel volume Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna, curato da Maria Pia Guermandi e Valeria Cicala (Bononia University Press, 2007). È l’ultimo suo scritto importante ed è una preziosa testimonianza dell’operoso sodalizio che si era stabilito fra Gigi e Tonino Cederna, in particolare su due testi di legge fondamentali: quello sulla difesa del suolo e quello su Roma capitale. Nello scritto di Gigi è ricordata e documentata accuratamente anche l’elaborazione della proposta di legge Cederna del 1991 per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna che però non riuscì neppure a iniziare il suo iter parlamentare. E Gigi ricorda altresì di non aver condiviso, e a ragione, il favore di Cederna per la legge del 1991 in materia di aree protette.

Scomparso Cederna, Gigi ha continuato a proporre testi di legge con Sauro Turroni, deputato e poi senatore verde, che ha scritto per l’incontro di oggi un bel ricordo dei loro rapporti politici, professionali e di amicizia.

Con Italia nostra, Gigi ha sempre collaborato, in particolare con la segretaria generale Gaia Pallottino, negli anni della presidenza di Desideria Pasolini dall’Onda. Furono organizzate anche iniziative congiunte Italia nostra – Polis. Importante soprattutto l’articolato di legge curato da Gigi relativo alla tutela dello spazio agricolo e naturale predisposto all’inizio del 2005 a conclusione di un ciclo di iniziative dell’associazione sul paesaggio agrario. La proposta, molto in sintesi, è basata sulla necessità di riconoscere la qualità di bene culturale al territorio non urbanizzato, sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale, inserendolo nella lista delle categorie di beni tutelati della legge Galasso. La proposta è stata successivamente ripresa nella già citata proposta eddyburg in materia di pianificazione del territorio.

Per ultimo va ricordato il contributo, molto apprezzato, di Gigi al comitato dei cittadini di Fiesole nel gennaio scorso, e poi al coordinamento dei comitati toscani presieduto da Alberto Asor Rosa.

Ed eccoci alle attività professionali. Solo per memoria ricordo il grande impegno di Gigi per la formazione del piano paesistico dell’Emilia Romagna, nella seconda metà degli anni Ottanta, quando era assessore regionale all’urbanistica Felicia Bottino. La prima collaborazione con chi scrive queste righe fu avviata, nell’ambito della direzione generale del Coordinamento territoriale del ministero dei Lavori pubblici. Gigi, insieme ad altri ricercatori (Filippo Ciccone, Maurizio Di Palma, Italo Insolera, Paolo Leon) condusse un’importante indagine sulle politiche di recupero che potevano essere concretamente promosse nei territori vincolati dalla legge Galasso. L’ambizioso obiettivo era di fornire elementi utili, non solo dal punto di vista delle metodologie di pianificazione e d’intervento, quanto per stimare le risorse necessarie, la loro allocazione e, soprattutto, l’impatto economico e sociale che si poteva prevedere, con particolare riguardo all’occupazione giovanile. Purtroppo i risultati furono disponibili troppo tardi, proprio mentre Giovanni Prandini metteva fine alla mia carriera ministeriale.

La tappa successiva si è sviluppata a Napoli, dove sono stato amministratore dal 1993 al 1997. Chiesi subito l’aiuto di Gigi, che si dedicò con passione ed entusiasmo a un lavoro oscuro, faticoso, non retribuito. Il comune di Napoli era stato dichiarato in dissesto, il che significa che ci era inibita qualsiasi spesa, operavamo in condizioni inverosimili, mancava tutto, gli uffici erano decimati dagli arresti, non sapevo di chi potevo fidarmi, non avevo un computer e scrivevamo a mano. Gigi dimostrò, insieme alle capacità già note, un’attitudine sorprendente e commovente a farsi carico di tutto. Stava a Napoli spessissimo, stabilì rapporti di eccellente collaborazione con i pochi, bravissimi, funzionari e operatori con i quali cercavamo di andare avanti. Ricordo un suo documento indirizzato al governo di lucida e feroce indignazione per l’annunciato condono del governo Berlusconi della primavera del 1994, documento che fu sottoscritto da molti amministratori di città grandi e piccole.

Ma soprattutto devo ricordare il suo impegno per il nuovo piano regolatore di Napoli al quale si dedicò senza risparmio, curando in particolare la nuova disciplina del centro storico. A questo proposito mi propose di chiedere l’aiuto anche di Edgarda Feletti, allora dirigente del comune di Venezia, che aveva mirabilmente curato la formazione del piano del centro storico, quando era assessore Edoardo Salzano. Fu scovata una norma che consentiva lo scambio di funzionari fra i comuni, che il sindaco Cacciari autorizzò subito. Mi impegnai in una sorta di dignitoso accattonaggio anche con altre amministrazioni comunali: allora per Napoli si mobilitavano tutti. Al duo Scano – Feletti si aggiunsero altre e molto qualificate collaborazioni: il ministero dei Beni culturali (che mise a disposizione l’ufficio statale per la pianificazione paesistica), la soprintendenza ai Monumenti di Napoli (che distaccò al comune Antonio Iannello), docenti universitari e studiosi di varie discipline. Gli architetti del comune ressero egregiamente l’impatto e in breve tempo padroneggiarono con sicurezza la metodologia dell’analisi e della classificazione tipologica degli edifici esportata a Napoli da Edgarda e da Gigi. E Gigi ha continuato fino all’ultimo a dare il suo generoso contributo per l’urbanistica napoletana.

Chiusa quell’esperienza, discutemmo molto del nostro futuro professionale e decidemmo di occuparci a tempo pieno di pianificazione del territorio, operando solo per la pubblica amministrazione. Concordavamo sul fatto che l’urbanistica, materia strettamente dipendente dalla politica, è essa stessa politica. Ma dire che l’urbanistica è politica, non significa negarne la specificità tecnica, o non riconoscere il valore dei suoi operatori. Il nostro lavoro non poteva essere paragonato a quello di qualsivoglia tecnico lottizzato.

Discutemmo a lungo dell’autonomia dei progettisti di un piano nei confronti della committenza pubblica, convenendo che rivendicare pregiudizialmente autonomia e libertà di decisione può essere un errore. Spesso irrimediabile. Ma errore opposto, forse ancora più grave e diffuso, sta nella concezione dell’urbanista come puro tecnico asservito alla politica, e quindi pronto ad assumere la “scelta politica” come salvacondotto per legittimare ogni tipo di operazione. L’unica garanzia, per evitare il naufragio sugli scogli dell’eccesso di disponibilità oppure su quelli opposti della malintesa autonomia, sta nell’essere portatori e garanti di una propria concezione etica, estetica e culturale, politica, se si vuole: questa è la linea che con Gigi abbiamo sempre condiviso. Una condizione rara, lo sapevamo bene, che si realizza solo quando la committenza pubblica è animata dalle stesse concezioni dei tecnici chiamati a collaborare.

È andata proprio così all’inizio della nostra attività in Toscana. Il piano territoriale di coordinamento della provincia di Pisa, poi quello della provincia di Lucca, il piano strutturale del comune di Pisa, quello del comune di Lastra a Signa (il cui sindaco Carlo Moscardini, stabilì con Gigi un bel rapporto umano e politico) e il piano del comune di Gavorrano: sono state esperienze indimenticabili, occasioni di incontro con amministratori e tecnici di eccezionale levatura morale e professionale, con i quali si è perfettamente realizzata quell’unità d’intenti politici, tecnici e culturali da noi auspicata.

Altri più recenti lavori in Toscana non sono andati a buon fine, come nel caso dei piani di Calenzano e Pontassieve. L’improvvisa scomparsa ha risparmiato a Gigi le polemiche e la tristezza della rottura intervenuta con i comuni del circondario della Val di Cornia, Piombino, Campiglia, Suvereto, luoghi della Maremma livornese di prodigiosa bellezza, dove si è allentato il tradizionale impegno pubblico per la tutela e per l’uso lungimirante del territorio.

Con Gigi abbiamo anche attraversato il Chiarone, tentando di operare nel Lazio e in Campania. L’esperienza che merita di essere ricordata è certamente il piano regolatore di Eboli, territorio di frontiera all’estremità orientale della sconfinata area urbana di Napoli. Dopo ci sono le terre spopolate del Cilento e della Basilicata. La vicenda del piano di Eboli è strettamente legata alla figura di Gerardo Rosania, sindaco della città dal 1997 al 2005. Noto per aver lottato senza tregua contro la speculazione malavitosa e per aver demolito, dal 1998 al 2000, ben 450 costruzioni abusive nella pineta demaniale, lungo la costa, superando difficoltà immani.

Fra Rosania e Scano si stabilì subito un rapporto diretto profondo e molto concreto, in particolare per quanto riguarda l’assetto del vasto territorio agricolo. A Eboli, come in tutti i comuni del Mezzogiorno, la campagna è considerata ormai solo come un vuoto da riempire. La devastante ideologia familistica dominante è fondata sul possesso o sull’aspirazione al possesso della casa in campagna. Rosania e Scano non cedettero di un millimetro rispetto all’obiettivo di riservare lo spazio rurale esclusivamente alla produzione agricola e il sindaco, pur amato e in precedenza mise a repentaglio la sua rielezione. Mi piace ricordare che Rosania in una pubblica occasione definì Gigi “un mistico della normativa urbanistica”.

Concludo ricordando che Gigi, a Eboli, organizzò anche, tramite l’associazione Polis, nell’ottobre del 2000, un bel convegno su Il governo pubblico del territorio e la qualità sociale. Nella sua non breve relazione introduttiva ritorna la passione politica e la dimensione politologica di Luigi Scano, che propone una sorta di riepilogo del suo pensiero, dal generale al particolare, dalla globalizzazione ai piani particolareggiati. La relazione è pubblicata su eddyburg. Qui mi limito a rendere omaggio a Gigi riprendendo solo tre sue definizioni.

L’ideologia della globalizzazione: “ha prodotto un comune sentire per cui quasi ogni aspetto della vita dell’umanità, e di ogni singolo individuo, appare determinato, e comunque dominato, dalle supposte «leggi naturali» dell’economia, concepita come una sorta di immane sistema neurovegetativo, nonché dalle altrettanto ineludibili e autoreferenziali esigenze della «tecnica» (oppure, in una visione minoritaria, e tutt’altro che autenticamente ed efficacemente antagonistica, da centri decisionali remoti, impersonali, irresponsabili)”.

La sinistra di governo:“immersa in un presente disancorato dalla storia, deprivatasi di principi e valori, ha finito con l’assumere come suo obiettivo una «modernizzazione» priva di qualificazioni, incapace di trasmettere messaggi significativi e di aggregare grandi interessi collettivi”.

Il ceto politico di centro sinistra: “privo di una vera identità programmatica, e di una robusta strategia, ha finito con il giocare di rimessa, facendosi sostanzialmente dettare l’agenda degli argomenti dagli avversari, e comunque da altri soggetti, nella presuntuosa e arrogante certezza di supplire a tutto con una superiore capacità tattica: riuscendo soltanto a dar prova di un tatticismo esasperato nel quale si manifestava l’assenza di maturate profonde convinzioni in merito a pressoché ogni argomento”.

Le tre definizioni citate rendono onore alla cultura e alla intelligenza di Gigi “vecchio liberale”, come amava definirsi, allergico ai luoghi comuni e alla ideologie vincenti. Bastian contrario per scelta filosofica ed etica.

Ha ragione Anna Renzini, Gigi, alla fine, si ritira nell’“impolitico”, Ma per lui la vita coincideva con la politica e forse è questa la ragione del suo essersene andato.

Rileggere il suo Venezia: terra e acqua[1], malauguratamente esaurito e mai ristampato, mi ha aiutato a mettere a punto le ragioni per le quali Gigi ha sempre avuto per la Laguna di Venezia un’attenzione particolare. Un’attenzione che aveva certamente una delle radici nel suo “essere veneziano”; non a caso, se non sapeva condurre un’automobile, e neppure una bicicletta, sapeva invece destreggiarsi con una sampierotta a motore tra rii e bricole in tutte le parti acquee del territorio veneziano. Ma un’attenzione che aveva le sue più profonde radici nelle passioni intellettuali di Gigi: quella per il territorio, per la ricchezza che esso nasconde e rivela, i rischi e i guasti che lo minacciano, e quella per le istituzioni, per la capacità (o incapacità) degli uomini a foggiare e a utilizzare gli strumenti mediante quali il territorio e la società che lo abita vengono governati.

L’attenzione per la Laguna era insomma determinata in Gigi dal suo essere urbanista e politico, dove a entrambi i termini si tolga, per poterli attribuire a lui, quel tanto di utilitaristico, di mercantile, di corrivo ai tempi e alle mode – in una parola, di opportunistico - che nei nostri anni hanno incrinato l’uno e l’altro termine, l’una e l’altra professione. E che non hanno mai scalfito – come sanno quanti lo hanno conosciuto – Luigi Scano.

La sua formazione giuridica[2] era il trait d‘union pratico tra quelle due competenze. Le regole sono infatti il modo nel quale l’urbanistica diventa efficace in un mondo dominato dalla dialettica tra il privatismo proprietario e l’interesse comune, e la loro formazione e gestione sono amministrate dalla politica.

Non a caso è dai luoghi della politica o ad essa vicini che il ruolo di Gigi per la comprensione prima e per la difesa poi della Laguna di Venezia si è esplicato. Come dirigente del Partito repubblicano di Ugo La Malfa e di Bruno Visentini, come consigliere comunale nei lunghi anni nei quali fu costantemente a fianco di Antonio Casellati e di Gianni Pellicani, come consigliere provinciale più tardi. Come puntuale fornitore di consigli e di critiche sempre. Ora che è scomparso moltissimi sono quelli che patiscono la perdita d’un consigliere sempre pronto ad aiutare, d’uno spirito vigile, informato e colto, sempre pronto a fornire una valutazione precisa, sicura, al tempo stesso equilibrata e netta.

Per una biografia di Gigi Scano

Quando qualcuno scriverà l’ampia biografia che merita sarà facile ricostruire il ruolo che Gigi ha svolto in tutte le fasi salienti del dibattito e dell’azione per la Laguna, per la sua comprensione e la sua difesa. Mi limito a ricordare qui alcuni momenti.

1967: Dopo lo shock dell’alluvione del 1966, la comprensione delle cause non naturali del disastro e la prima organica proposte di legge per Venezia e la sua Laguna

1971: le prime battaglie per la difesa dell’ambiente nella Laguna e la collaborazione con Casellati primo Assessore all’ecologia italiano

1973: Il dibattito che condusse alla Legge speciale del 1973 e agli Indirizzi governativi per la sua attuazione

1980: La redazione del “Piano comprensoriale della Laguna di Venezia e Chioggia”

Il rapporto Ripristino, conservazione ed uso dell'ecosistema lagunare veneziano

Le osservazioni del Comune di Venezia al Piano comprensoriale

1984: La “nuovissima” legge speciale

1990: La formazione della Città metropolitana

2000: La contestazione del Mose e del CVN

Un seguace di Cristoforo Sabbadino

Venezia: terra e acqua è una magistrale storia dell’urbanistica veneziana negli anni della Repubblica italiana, raccontata con abbondanza di dettagli e accurata indicazione di fonti. Ma la sua premessa, e il suo spirito, affondano le radici nella storia più antica. Il primo titolo di paragrafo del libro di Gigi è significativo: “Unde origo inde salus”. Il suo primo capitolo, dedicato alle trasformazioni e al governo del territorio nei secoli della Repubblica Serenissima, dà un ampio spazio a quell’animato dibattito che, nei primi decenni del XVI secolo, oppone le due concezioni tecnico-politiche contrapposte: quella di Cristoforo Sabbadino e quella di Alvise Cornaro. Cornaro proponeva un sostanziale interrimento della Laguna, Sabbadino una ricostituzione delle condizioni idrauliche che conservassero alla Laguna il suo carattere di mixitè salmastra: che salvaguardassero la Laguna in quanto tale. Le soluzioni tecniche erano finalizzate, dall’una e dall’altra parte, a due progetti strategici contrapposti.

“Allargato il dominio, e riconsolidato il controllo politico su retro terra dopo la crisi succeduta alla disfatta di Agnadello (1509), il governo della repubblica affronta globalmente il problema della sistemazione idrografica dell’intero territorio e della salvaguardia della condizione lagunare. La vicenda è indissolubilmente legata alle memorie ed alle polemiche di Cristoforo Sabbadino, tecnico ufficiale dello stato, e di Alvise Cornaro, patrizio padovano. Ed occorre tener presente che «pronunciarsi, nel periodo in cui essi operano, con un progetto di sistemazione idraulica della laguna, basato su di una teoria organica e convincente, significa anche pronunciarsi indirettamente a favore di ideali di sistemazione economica e politica della Dominante che al rapporto tra laguna e terraferma sono legati; significa ad esempio non poter non prendere posizione nel confronto tra 1 ragioni del mare, e quindi della mercatura, e quelle della campagna, e quindi del retrazar, cioè delle bonifiche, ragioni che, non sempre conciliabili nell’indirizzare gli investimenti di capitali, lo sono ancor meno nel far scegliere l’una o l’altra ipotesi di intervento tecnico per la salvaguardia della laguna. Ciò che rende particolarmente interessante il contributo del Sabbadino e del Cornaro è che esso è caratterizzato da uno sforzo, assai difficilmente rintracciabile in altre trattazioni tecniche contemporanee, per tradurre queste ragioni in ragioni teoriche, scientifiche, nello scopo di fondarle sull’oggettività e l’inattaccabilità Nella loro opera fondamentale è la concretezza delle proposte, sorrette da altrettanto concrete motivazioni politiche ed economiche, che costringe però al superamento della semplice e che lascia ogni valutazione in balia dell’occasionalità in favore dell’astrazione come processo razionale di anticipazione e di verifica (Sergio Escobar)”[3] ».

Come Gigi ricorda fu l’impostazione di Sabbadino che prevalse, “non senza smagliature e compromessi”. Si può dire che quella impostazione fu l’ “origo”, l’origine e la matrice, dell’ideologia sulla Laguna e il suo governo che Gigi costantemente condivise, in tutti i momenti e gli eventi che lo condussero ad occuparsi della Laguna.

Nella stringatissima sintesi di Gigi, Sabbadino

“propugna interventi volti a restituire alla laguna la sua massima capacità di funzione, garantendone l’intangibilità della massima estensione (il «soracomun», o «acqua alta», sostiene infatti, va crescendo non a causa dell’«alciamento» del mare, ma in conseguenza del restringimento del bacino derivato dalla sedimentazione degli apporti solidi dei fiumi), deviando, con opere in profondità nell’entroterra, i fiumi fuori dalla laguna, proteggendo i lidi, rimuovendo ogni ostacolo che impedisca l’ingresso e l’espansione dell’acqua del mare in laguna.”[4]

Per il ripristino dell’ecosistema lagunare

Questa concezione della Laguna nacque in Gigi all’indomani dell’alluvione del 1966. Superato lo shock iniziale e la fase della protesta e della lamentazione contro la natura matrigna, fu nella pattuglia di quanti compresero che era nelle manomissioni e privatizzazioni della Laguna la ragione del suo irrimediabile degrado. La lotta contro il “canale dei petroli” e l’attuazione della Terza zona industriale fu la prima conseguenza di quella comprensione. Ma subito trascese quel momento ed elaborò (come ricorda Toni Casellati) una prima proposta legislativa, coerente con l’esigenza di un governo pubblico unitario della Laguna, gestito dai comuni e dallo Stato, sorretto da una pianificazione complessiva del territorio lagunare.

La concezione ecosistemica della Laguna maturò poi in Gigi, e trovò la sua piena espressione e consapevolezza, in relazione a due eventi ai quali partecipò molto attivamente: la formazione del “Piano comprensoriale della Laguna di Venezia e Chioggia”, la redazione del rapporto Ripristino, conservazione ed uso dell'ecosistema lagunare veneziano. Questi eventi lo sollecitarono ad agire su due versanti strettamente legati dei suoi interessi: quello della sostanza delle questioni (raramente ho conosciuto un politico che come lui privilegiasse i contenuti rispetto a tutte le altre dimensioni del potere), e quello delle forme di governo.

La salvaguardia della Laguna, la messa in valore e la ricostituzione delle qualità (naturali, storiche, fisiche, sociali, estetiche, economiche) di cui essa è intessuta, ha costituito l’obiettivo finalistico della sua azione per la Laguna. La rivendicazione del carattere di bene comune che la Serenissima aveva saputo privilegiare per secoli ha costituito il legame con la soluzione amministrativa che tenacemente ha propugnato. L’unità del governo della Laguna e del suo territorio è stato l’obiettivo strumentale, fortemente legato alla sua formazione giuridica e ai ruoli politici che volta per volta ha ricoperto.

Gigi fu molto duttile nel condividere, volta per volta, la formula che consentiva (o che sembrava poter consentire) un governo unitario del bacino lagunare. Era consapevole della debolezza di una formula (quella del Comprensorio di comuni come ente elettivo di secondo grado) che fu assunta dalla legge speciale del 1973 per la formazione del piano comprensoriale. Tuttavia si adoperò con passione perché quella indicazione divenisse efficace, perché all’organismo del Comprensorio della Laguna di Venezia e di Chioggia si desse vita, perché il Piano comprensoriale fosse redatto, adottato, approvato. Lavorò dentro la struttura del piano comprensoriale, e ai suoi fianchi per adottarlo (un giorno bisognerà raccontare anche il gustoso aneddoto della sua azione su Gianni Pellicani, e di questo sui socialisti del PSI, perché si giungesse al’adozione), e per migliorarlo quando fu adottato (la corposa osservazione del Comune di Venezia è stata materialmente stesa da lui).

Seppellita sotto la mancata approvazione regionale l’efficacia del piano comprensoriale Gigi continuò ad agire per un governo unitario del bacino lagunare, appoggiandosi sempre alla sponda di autorevoli uomini di governo: comunisti come Gianni Pellicani e repubblicani come Bruno Visentini. A proposito della sua costante collaborazione con i primi, con gli uomini del PCI, Massimo Cacciari fece circolare una battuta spiritosa e verace, che a Gigi provocò irritazione: lo definì “il centro studi del PCI”. Gigi era davvero uno di quegli uomini votati alla politica che pongono al centro di questa specifici obiettivi di contenuto.

La soluzione verso la quale si lavorò allora per individuare una unità di governo adeguata fu quella della “città metropolitana”. L’apporto culturale di Gigi alla maturazione che condusse alle “Ordinamento delle province e dei comuni”, la legge 142/1990 non fu marginale. Una legge alla quale del resto contribuirono attivamente personaggi della vita politica veneziana oltre che nazionale, come Lucio Strumendo e Adriana Vigneri. Una legge nella quale l’inserimento di Venezia tra le 13 Città metropolitane fu merito soprattutto di Gianni Pellicani, di cui Gigi rimase eccellente e fraterno collaboratore fino alla fine. (E devo dire che l’assenza di Gianni in questo luogo e in questo momento è per me ragione di tristezza).

Il profondo convincimento di Gigi della necessità di un governo unitario della Laguna fu anche la ragione per la quale egli si oppose, anche con la violenza polemica a volte esagerata che gli era propria, a ogni iniziativa per la divisione del Comune di Venezia, che non fosse preceduta, o almeno inquadrata, in un sistema unitario di governo quale quello che, volta per volta, poteva venir assicurato dal Comprensorio o dalla Città metropolitana.

Che il governo unitario dovesse avere quale suo oggetto principale la Laguna, e non il tessuto di più ampie, mutevoli e sfuggenti relazioni socioeconomiche, fu poi uno dei motivi di fondo dell’altro suo versante polemico: quello che lo ha contrapposto ai propugnatori di PaTreVe: a quanti, all’unità del bacino lagunare, opponevano l’alternativa di un’ “area vasta” comprendente, oltre Venezia, anche Padova e Treviso (e perché no anche Vicenza, e magari Verona?). Non solo contravvenendo in tal modo alla ratio e alla prescrizione della legge 142/1990, ma anche portando fuori dalla Laguna, e fuori dalla conservazione del suo ecosistema, l’interesse principale e i principali obiettivi dell’azione di governo.

Gigi e NoMose

Le polemiche e le critiche sulle forme di governo dell’area della Laguna non sono però paragonabili, per asprezza d’espressioni e per profondità d’impegno, a quelle rivolte verso il Consorzio Venezia Nuova e il suo progetto MoSE. Gigi non era pregiudizialmente ostile alla previsione, e alla successiva progettazione e messa in opera, di opere di sbarramento mobile alle bocche di porto. E neppure era pregiudizialmente contrario all’impiego dell’impiego del sistema della concessione per singole componenti di un generale progetto di ripristino dell’equilibrio lagunare. Basta leggere la parti del suo libro dedicate ai diversi momenti nei quali degli interventi in Laguna si discusse, a partire dall’indomani dell’alluvione del 1966, per rendersene conto.

Divenne un tenace e irriducibile avversario del CVN e del MoSE per due aspetti fondamentali.

In primo luogo, quando ci si cominciò a rendere conto che il modo nel quale il progetto veniva definito e attuato contrastava pienamente con le regole che, dai tempi della Serenissima, venivano applicate. Quelle regole basate sul riconoscimento del carattere proprio e unico della Laguna, del delicatissimo e fragilissimo equilibrio tra forze della natura e intervento dell’uomo che ne aveva garantito la sopravvivenza. Quelle regole negate dalle operazioni avviate alla caduta della Repubblica: quando le logiche e le tecniche ottocentesche avevano promosso la privatizzazione e l’interrimento di parti consistenti della Laguna e provocato l’irrompere delle grandi opere canalizie nel delicato tessuto delle variegate forme della terra/acqua veneziana; quando la manutenzione quotidiana e il monitoraggio continuo erano stati abbandonati; quando, in sostanza, erano stati infranti i tre principi della sperimentalità, gradualità e reversibilità di ogni intervento in Laguna. Principi che Gigi contribuì a inserire nella legge speciale del 1984, e che sono ogni giorno vistosamente disattesi dalle pratiche in atto.

Visione meramente ingegneristica, polarizzazione di tutto l’impegno sulle grandi opere cementizie e acciaiose alle bocche di porto, assunzione di tecniche hard anche per le più delicate operazioni sulle componenti più fragili della Laguna, abbandono della visione olistica degli interventi necessari, trattamento dell’ecosistema lagunare come un qualsiasi indifferenziato bacino acqueo: queste sono le critiche principali che Gigi muoveva all’operato del CVN, alla logica e alla concezione di fondo dei suoi interventi. Ne troviamo una sintetica espressione nella relazione della proposta di legge di Antonio Cederna (largamente dovuta al pensiero e alla penna di Gigi) per Venezia e la sua Laguna, presentata nel 1983. Nell’individuare le cause dell’inefficacia dei provvedimenti della legge speciale del 1973 si afferma che

“la ragione prima ed essenziale del procedere inceppato e sussultorio delle azioni e degli interventi […] risiede nel non compiutamente risolto confronto tra due approcci, due modelli, due logiche. Semplificando al massimo: tra una logica sostanzialmente meccanicistica, che tende a isolare i problemi (o tutt'al più a riconoscere tra essi nessi estremamente semplificati) e a dar loro soluzioni indipendenti e fortemente ingegneristiche, e una logica, per così dire, sistemica, che chiede di evidenziare le correlazioni tra tutte le dinamiche in atto, e quindi tra tutti i problemi da affrontare, e pertanto pretende una predefinizione globale, e costantemente ricalibrabile, di tutti gli interventi e le azioni da prevedersi, per collocarle in sequenze temporali che ne garantiscano ed esaltino le sinergie positive”[5].

Ma ciò che soprattutto lo indignava era la sistematica violazione della legalità e lo stravolgimento del sistema dei poteri che la concessione statale al consorzio di imprese aveva determinato. Durissime le sue critiche al sistema della “concessione unica” dello Stato al Consorzio Venezia Nuova; asperrime le proteste per il suo permanere quando la legge ne prescriveva il superamento.

In un articolo scritto per eddyburg, in replica ad talune affermazioni del ministro Lunardi, ricorda innanzitutto che il Parlamento

“aveva deciso di superare radicalmente il sistema della ‘concessione unica’, dello Stato al Consorzio Venezia Nuova, di ogni competenza afferente agli studi, alle ricerche, alle sperimentazioni, alla progettazione degli interventi, alla realizzazione delle opere, riguardanti il riequilibrio idrogeologico della laguna di Venezia, l'arresto e l'inversione dei processi di degrado del bacino lagunare, la difesa degli insediamenti urbani lagunari dalle ‘acque alte’ eccezionali. ‘Concessione unica’ che era stata, inizialmente, conferita in base alla legge 29 novembre 1984, n.798,, e grazie alla quale un consorzio di imprese di diritto privato è divenuto, grazie alle enormi risorse (erogategli dallo Stato) di cui poteva disporre, padrone pressoché incontrastato degli studi attinenti la Laguna veneziana, della progettazione delle opere da effettuarsi in essa, del controllo della validità dei primi e della seconda, asservendo, in termini addirittura patetici, ai propri obiettivi e ai propri interessi, gli organi decentrati (il Magistrato alle acque di Venezia) e quelli centrali delle amministrazioni statali”.[6]

Approvata la legge il governo avrebbe dovuto dare attuazione al suo dettato. Ma così non fu, denuncia Gigi:

“Per il vero, nell'immediato il Governo (Ciampi) ottemperava alla volontà e al mandato del Parlamento, ed emanava il decreto legislativo 13 gennaio 1994, n.62. Alle cui disposizioni più di un Ministro avrebbe dovuto, conseguentemente, dare concreta attuazione, con propri atti. Cosa che i Ministri interessati, facenti parte del Governo (Berlusconi) nel frattempo subentrato, si guardavano bene dal fare: senza, se vogliamo dirla tutta, essere richiamati a compiere il proprio dovere né dalla Regione Veneto (governata dal centrodestra), nè dalla Provincia di Venezia (governata dal centrosinistra), né dal Comune di Venezia (governato dal centrosinistra), né dal Comune di Chioggia (governato prima dal centrodestra e poi dal centrosinistra).” [7]

E dopo il primo governo Berlusconi? Nessun subentrante governo intervenne. Prosegue Gigi:

“[…] le citate disposizioni di legge non sono mai state abrogate, per cui del relativo inadempimento potrebbero essere chiamati a rispondere i competenti Ministri degli ulteriormente subentrati Governi Prodi, D'Alema, Amato, e nuovamente Berlusconi, e se si vuole nuovamente Prodi. Chiamati a rispondere come? Se un impiegatucolo dell'anagrafe comunale si rifiuta di consegnarmi il certificato di nascita commette il reato di omissione di atti di ufficio, ed è passibile delle sanzioni di cui al relativo articolo del codice penale. Se un generale compie atti contrari alla volontà espressa dal Governo, o non provvede a quanto dallo stesso Governo ordinatogli, è definito (anche dai media) ‘fellone’, ed è passibile delle sanzioni, variabili in rapporto alle diverse fattispeci concrete, di cui ai relativi articoli del codice penale militare (di pace o di guerra). E se un Ministro (cioé un componente di quello che il notorio estremista Charles-Louis de Secondat barone de La Brède e de Montesquieu ha definito come ‘esecutivo’) omette di ‘eseguire’ ciò che è stato deciso dal Parlamento (cioè da quello che lo stesso pericoloso sovversivo francese ha chiamato ‘potere rappresentativo’, della volontà popolare democraticamente espressasi)? Si ‘lascia perdere’? si ‘chiude un occhio’? questo sì a me pare porre il problema ‘necessario e urgente’ di ‘un approfondimento concettuale su cosa sia la democrazia in un Paese civile’!”[8]

Allarme per le condizioni fisiche e funzionali di quell’impareggiabile bene comune dell’umanità costituito dalla Laguna di Venezia; allarme per le deriva cui era (ed è ancora) sottoposto il sistema di potere democratico: queste le due maggiori preoccupazioni di Gigi, e di quanti come lui, e insieme a lui, continuano a gridare NoMose, a un’opinione pubblica sempre più distratta, fuorviata e disinformata, e a un establishment che conosce tutti gli slogan e tutte le vie dell’immaginario, ma non è più capace di studiare i problemi nel loro merito e di valutare oggettivamente le soluzioni e i loro costi, per la generazione attuale e per quelle future.

[1] Luigi Scano, Venezia: Terra e acqua, Roma Edizioni delle autonomie, 1985. Gli amici di Gigi sperano di riuscire a rieditare il libro, con una raccolta di prenotazioni e il sostegno del Comune di Venezia.

[2] Gigi aveva completato gli studi giuridici all’Università degli studi di Padova. Non raggiunse la laurea proprio per colpa del suo libro e dei cattivi consigli di alcuni amici (tra cui l’autore di queste note) Infatti quel libro era in origine la sua tesi di laurea. Lo convincemmo a pubblicarlo come contributo alla campagna elettorale amministrativa del 1985, quindi non potè utilizzarlo per il fine originario. Il tempo passò, altri impegni lo assorbirono e …

[3] L.Scano, Venezia: terra e acqua, p. 18.

[4] Ibidem, p. 19

[5] Si veda il saggio di L. Scano “In Parlamento: un’eredità da raccogliere”, in Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna, a cura di M. P. Guermandi e V. Cicale, Bologna BUP, 2007, p. 153 e segg.

[6] http://eddyburg.it/article/articleview/7446/0/178/

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

Era la metà degli anni Novanta e il mondo, forse, era migliore di quanto non sia adesso. Lavoravo nel gabinetto del Sindaco di Pisa. Avevamo chiamato Vezio de Lucia a fare il piano strutturale della città (prima parte del Piano regolatore). Insieme a lui veniva spesso anche un signore all’apparenza burbero, con in tasca pacchetti e pacchetti di Gauloises.

Abbiamo avuto tanti incontri in quasi un anno e mezzo di lavoro dello staff di De Lucia nella mia città, soprattutto a pranzo, dove Gigi non si tirava indietro di fronte ai piatti più arditi. A Pisa abbiamo fatto anche un’assemblea nazionale dell’associazione Polis, e fu lì che tante idee e proposte sulle SEM, cioè la legislazione sulle Società di Economia Mista per le trasformazioni urbane, presero corpo. Da lì trovammo anche il modo per prendere parte, insieme a Filippo Ciccone, alla seconda conferenza mondiale sugli insediamenti umani a Istanbul, nel 1996.

Poi, quando fui incaricato di creare un documentario televisivo su Follonica, chiamai di nuovo la squadra di Polis (De Lucia, Salzano, Scano, e gli altri) per organizzare un convegno sull’urbanistica in base alla legislazione toscana. E anche lì, nuova e improvvisata assemblea nazionale di Polis. Gigi, il segretario, tra tutti, era la roccia, colui che teneva tutto saldo ai principi – così, almeno lo percepivo. Parlava e spiegava e approfondiva con una necessità, quasi naturale, di discernere, separare, precisare.

Non ho mai riscontrato in altri (se non durante il movimento in università) la stessa disponibilità a parlare. Gigi era giovane, ed era sempre in assemblea anche se il movimentismo era la cosa più lontana dalla sua persona. Questa pratica, insieme ad alcuni momenti noiosi, aveva l’indubbio pregio di aprire, a volte, squarci di chiarezza fantastici. C’erano momenti in cui, dalle parole di Scano, uscivano proprio i concetti esatti per descrivere o analizzare il problema, parole che al tempo stesso erano la linea d’azione, se qualcuno avesse avuto il coraggio di perseguirle.

Una sola cosa rende ricchi gli uomini: il tempo. Gigi era ricchissimo di tempo. Ne aveva sempre molto. Non per sé, ma per gli altri e per la sua vocazione, che non era mero mestiere o professione. Lui è stato il vero civil servant.

La prima mattina d’estate di questo 2007, al convegno in onore di Gigi Scano, a Ca’ Farsetti, il Sindaco Cacciari ha ricordato anche episodi in cui i due erano in disaccordo, soprattutto su argomenti attuali che riguardano i modi di governare il presente e il futuro di Venezia.

Cacciari pareva iscrivere la propria posizione all’interno di un certo realismo politico, come altrettanto pareva riconoscere al percorso di Scano una hybris illuministica – o almeno così mi è parso intendere.

Cacciari, quindi, riconosce all’azione umana nel mondo – credo di interpretare – ciò che scriveva Spinoza nel suo Trattato: “Quel che non può essere vietato, deve essere necessariamente permesso, per quanto danno ne derivi”.

Ciò mi pare inesorabilmente vero. Tuttavia, tanti di noi, credono anche profondamente nella tenacia di Gigi Scano, nella lotta a non ridurre sé e il mondo in uno stato di minorità.

[Venezia, 23 giugno 2007]

(ANSA) - VENEZIA, 22 GIU - Non una semplice commemorazione ma un momento di confronto e dibattito sui temi legati a Venezia in cui era competente e appassionato politico Luigi Scano, urbanista e pubblico amministratore, scomparso il 18 marzo, quello svoltosi oggi. Il sindaco, Massimo Cacciari, ha ricordato la figura di Scano e la profondità e l'attualità degli studi e del lavoro da lui svolto, ma soprattutto delle numerose questioni ancora aperte. Tra queste il dibattito sull'Expo, e la necessità di conciliare la vocazione storica di Venezia di capitale culturale e simbolica, con quella più prettamente economica. La città è un luogo di esposizione permanente - ha affermato Cacciari - e questa funzione va conciliata realisticamente con le altre. Scano fu protagonista che dell'iter che portò alla formulazione del piano comprensoriale, quell'area vasta oggi detta area metropolitana. Secondo Cacciari il rapporto tra programmazione urbanistica e composizione sociale è una criticità ancora attuale, ma oggi, rispetto agli anni Settanta e Ottanta, dobbiamo adottare una visione di sistema. Infine Cacciari ha parlato delle grandi opere, ovvero il Mose, a cui Scano si era opposto, sostenendo che quest'opera, che massacra la laguna e toglie risorse essenziali alla salvaguardia della città, non servirà nemmeno a salvarla dall'acqua alta. Sono quindi intervenuti Antonio Casellati su "Uno spirito libero e liberale"; Edgarda Feletti su "Venezia: lo sviluppo coerente"; Edoardo Salzano su "La laguna: la difesa difficile di un ambiente fragile"; Anna Renzini su "Abitare Venezia"; Vezio De Lucia su "Non solo Venezia". In conclusione Leopoldo Pietragnoli, che ha coordinato l'incontro, ha annunciato che a questa prima iniziativa seguiranno la pubblicazione degli atti del convegno. (ANSA).

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