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Gli scafisti della natura partono all´alba e arrivano di notte. Con i loro tir carichi di alberi - alberi vecchi anche mille anni - di muretti a secco, pietre calcaree, cespugli, pezzi di trulli, solcano le autostrade aggirando i controlli. Se non ci sono intoppi, consegnano in giornata. Smontano il paesaggio pugliese, lo frantumano, segnano i pezzi uno per uno, come un mosaico. Poi lo ricostruiscono. Migliaia di chilometri più a nord. Nelle ville della Brianza, nei parchi dei ricchi lombardi. Immaginate un trullo nelle campagne intorno a Milano. O un muretto a secco e cespugli di gariga nel giardino di un villone di Usmate. Tutto questo è possibile: basta pagare, bene, e i contrabbandieri del verde mettono le ruote alla natura millenaria. Spiantano ulivi germogliati nel medioevo.

Spogliano le Murge della loro pietra naturale; saccheggiano chilometri di costa pugliese, da Fasano a Castellaneta. Poi riempiono i camion e trasportano la loro mercanzia lontano. Una tratta bell´e buona. «La cosa più preoccupante - dice Elio Lanzillotti di Legambiente - è che il 60 per cento di questi alberi dopo due anni al Nord muoiono. Non reggono le temperature». I predoni della natura tirano fuori gli ulivi con gli escavatori. Sventrano il terreno rossastro con gli scalpelli. Al tramonto, oppure all´alba. Al riparo dagli sguardi delle guardie forestali. Sradicano la storia e la piantano da un´altra parte. C´è una normativa che proibisce di espiantarli gli ulivi, ma poi concede una serie di deroghe: si possono portare via gli alberi dove è prevista la realizzazione di una zona industriale, oppure se le piante possono provocare danni al resto dell´uliveto. Risultato: basta un permesso dell´Ispettorato provinciale all´agricoltura, ed è fatta. Tu dichiari che stai spiantando l´ulivo vecchio, magari perché malato, per ripiantare quello nuovo: e già che ne togli uno ne togli venti.

Il viaggio dei venditori di paesaggi chiavi in mano comincia da posti che si chiamano Egnazia, Fasano, Cisternino, Ostuni, Castellana Grotte. Qui gli ulivi sono sculture vegetali. Hanno rami contorti, i tronchi rugosi deformati dal vento mimano il trascinarsi dei vecchi contadini nelle piazze dei paesini dell´entroterra. A guardarli da vicino si capisce perché sul mercato li piazzano anche a ventimila euro. E perché i clienti, facoltosi del Nord, sono in aumento. Comprare ulivi secolari non è un reato. Però il loro commercio snatura il paesaggio pugliese, e anche quello dove vengono importati. Nella sua villa di Illasi, provincia di Verona, Don Luigi Verzè, il fondatore dell´ospedale San Raffaele, di ulivi secolari ne ha piantati decine (qualcuno è arrivato dalla tenuta di Albano Carrisi a Cellino San Marco). Anche nel giardino dell´ospedale. Ulivi storici arredano il parco di villa di San Martino, la residenza di Silvio Berlusconi ad Arcore. Il premier, esperto di botanica e molto attento all´ambiente, ha voluto assicurarsi personalmente che la provenienza degli alberi fosse assolutamente "pulita". Ma altri non stanno tanto lì a guardare.

Per capire abbiamo seguito la tratta degli ulivi. Contattiamo Angelo, tramite un vivaista. Gli spieghiamo cosa vogliamo: un bel po´ di ulivi per farci, a Bergamo, un giardino mediterraneo. Ci porta in un angolo tranquillo di campagna pugliese, un pezzo di Murgia dove si sente solo il fischio del vento. Ci sono ulivi nodosi, file di muretti a secco e trulli, cespugli di gariga, di rosmarino, di lentisco. «Noi possiamo ricostruire questo paesaggio su da voi, tale e quale. Assicurato e con garanzia: se gli alberi seccano - dice - li cambiamo». Angelo è pronto a darci tutto. «Di ulivi ne vendo tantissimi. Tutti al Nord». Ne ha una decina pronti per la vendita, già spiantati e ripiantati in contenitori di plastica, radici e tutto. Indica un trullo già smontato: «Quello ve lo do a duemila euro. Insieme con tutte le pietre che volete». La scomparsa di trulli e muretti a secco è un altro fenomeno in crescita. Vengono rasi al suolo, e le pietre messe in vendita al miglior offerente. Per adornare le ville del Nord. Il tutto a rischio basso. Alla fine del giro chiediamo a Angelo un preventivo. Portare via un pezzo di Puglia costa 150mila euro. La cifra comprende: venti ulivi a quattromila euro l´uno; il trasporto; una settimana di manodopera per tre giardinieri che verranno a Bergamo a piantarli; trenta massi che fanno «effetto Murgia» (35mila); cinque casse di pietre da giardino; diecimila euro per il trullo, dieci melograni, un carrubo... «In regalo - chiosa Angelo - vi do un pero selvatico».

Il documento del direttivo nazionale

Il “passante nord” a Bologna è un’opera costosa, inutile e dannosa perché non può che produrre altro inquinamento. Italia Nostra invita il Ministero per i Trasporti, la Regione Emilia-Romagna, la Provincia, il Comune di Bologna, e la Società Autostrade a recedere dal progetto e ad adottare soluzioni che producano meno danni ambientali, razionalizzando la sede del sistema tangenziale attuale.

La nuova autostrada prevista nel Piano Territoriale Provinciale di Bologna avrebbe infatti pesanti conseguenze ambientali negative e causerebbe irreversibili alterazioni del paesaggio agrario della pianura bolognese. Sarebbe un grave errore pensare di risolvere il difficoltoso funzionamento della tangenziale con un'altra autostrada che finirebbe per richiamare nuovo traffico e per diffondere su un'area più vasta gli effetti dell’inquinamento, oltre che indurre ulteriori forme di disordinata urbanizzazione.

Italia Nostra ritiene che la soluzione vada cercata nello spostamento di quote di traffico delle merci dalla strada alla ferrovia ed al trasporto marittimo e nell'attivazione di servizi di trasporto pubblico in grado di favorire lo spostamento delle persone nell'area metropolitana bolognese.

Il documento della Sezione Emilia-Romagna di Italia Nostra

Il Consiglio Regionale dell'Emilia-Romagna di ITALIA NOSTRA esprime la propria forte preoccupazione per il progetto di una nuova autostrada a nord di Bologna contenuto nei documenti del Piano Territoriale della Provincia e del Piano Strutturale del capoluogo.

Questa ipotesi è entrata a far parte delle previsioni del Piano della Provincia soltanto all'ultimo momento del suo lungo iter di formazione, quasi fosse una variabile indipendente rispetto all'insieme delle altre valutazioni che riguardano l'assetto territoriale-insediativo e il sistema delle tutele ambientali che erano state poste fino ad allora all'attenzione dei Comuni e degli altri partecipanti al dibattito.

Questo frettoloso inserimento di una infrastruttura viaria di tale portata e gravida di così pesanti conseguenze, è testimone di un incomprensibile scollamento fra la considerazione delle problematiche relative ai movimenti delle persone e delle merci e quelle concernenti il quadro ambientale complessivo, la qualità della vita e le prospettive insediative ed economiche di tanta parte del territorio della Provincia.

Al sollievo per lo scampato pericolo seguito alla caduta del progetto autostradale di un tunnel sotto la collina, segue quindi la sorpresa per un progetto che sotto molti punti di vista appare addirittura ancor più negativo di quello.

La nuova autostrada verrebbe a modificare profondamente ed in modo negativo l'assetto ambientale e paesistico di grande parte della pianura a nord di Bologna inserendovi chilometri e chilometri di manufatti estranei alla natura dei materiali agricoli, idraulici e naturali che la caratterizzano e la disegnano in modo preciso; causandovi rotture di continuità spaziale che ne altererebbero le modalità di fruizione e causerebbero il frazionamento casuale di comparti ed aziende agricole unitarie; introducendovi spinte disordinate all'urbanizzazione; causando quindi forme irreversibili di degrado di un paesaggio nel quale, nonostante le ingenti trasformazioni degli ultimi quarant'anni, è ancora ben leggibile la stratificazione dei segni della plurisecolare opera di adeguamento di un territorio che è stato gradualmente sottratto al dominio disordinato delle acque per farne il luogo di forme di produzione agricola ed agro-industriale fra le più avanzate del nostro Paese: un paesaggio che conservando ancora viva la testimonianza degli elementi fondamentali della sua organizzazione idraulica, insediativa e produttiva rappresenta nel suo insieme uno straordinario monumento alla storia della nostra civiltà.

Il progetto del "passante nord" fa tornare purtroppo alla mente la pratica degli sventramenti dei centri storici per facilitarvi il traffico automobilistico ancora in voga negli anni ''50 del secolo scorso; vi si ritrova lo stesso disinteresse e la medesima sottovalutazione dei contesti storici ed ambientali sui quali si decideva di incidere assecondando una malintesa ideologia del progresso e della modernità; stupisce quindi veder rispuntare una maniera di progettare che sembra aver dimenticato che proprio Bologna, a partire dal 1960, seppe annullare le ipotesi di sventramento nel centro antico della città contenute nel Piano Regolatore del 1955 inaugurando una operosa stagione di pianificazione urbanistica aperta alle esigenze di un moderno e civile sviluppo economico e sociale e, nel contempo, rispettosa dei valori storici, architettonici e paesistici che cosituiscono il patrimonio specifico inalienabile e irriproducibile della città e del territorio della Provincia.

Riguardo poi ai problemi che con la proposta del passante di pianura si intende risolvere, riteniamo sia lecito nutrire forti dubbi sul fatto che il mezzo scelto sia adeguato al raggiungimento del fine.

Non è infatti con un pezzo di autostrada in più che si potrà dare una risposta efficace ai problemi attuali del sistema tangenziale bolognese. E' ormai noto che le realizzazioni di nuove strade ed autostrade a servizio di itinerari gia sovraccarichi senza che si provveda nel contempo a mettere in campo soluzioni modali alternative, finiscono per richiamare ancora nuovo traffico e sono quindi destinate nel giro di poco tempo a diventare esse stesse insufficienti: la cattiva soluzione proposta sembra così nascere da una analisi non sufficientemente approfondita dei problemi in essere e delle loro cause effettive.

Se il sistema tangenziale bolognese è oberato da un eccesso di traffico delle merci e da un eccesso di spostamenti di persone interni all'area metropolitana a mezzo di auto private, le cause, a parere di ITALIA NOSTRA, vanno individuate da un lato nella politica nazionale per il trasporto delle merci che continua a privilegiare il trasporto su strada rispetto a quello su ferro e via mare, dall'altro nel ritardo pluridecennale degli enti locali bolognesi nel creare un sistema competitivo di trasporto pubblico in sede propria per i movimenti delle persone nei percorsi casa-lavoro (con l'eccezione lodevole ma insufficiente del Servizio Ferroviario Metropolitano che risente tuttora di una disdicevole arretratezza dei mezzi di trasporto utilizzati e di una ancora scarsa affidabilità in termini di regolarità e puntualità del servizio); una parte delle code sul sistema tangenziale esterno nelle ore di punta è poi dovuto alla insufficiente ricettività delle strade radiali verso le quali defluisce il traffico della tangenziale, insufficienza dovuta al mancato completamento degli svincoli o alla sezione troppo stretta delle radiali stesse.

Se questi, a parere di ITALIA NOSTRA, sono in sintesi i veri problemi che si trovano alla base delle attuali difficoltà del sistema viario tangenziale bolognese, il progetto proposto dalla Provincia e dal Comune di Bologna sembra piuttosto rispecchiare il vecchio vizio di curare i sintomi e non le cause dei mali che si dichiara di voler eliminare.

Anziché provare a risolverli, il progetto del passante nord evitando di affrontare le cause dei problemi ipotizza di spostarne verso nord parte degli effetti, ponendo così le basi per un aggravamento delle une e degli altri insieme alla messa in essere di una serie di irreversibili conseguenze negative dal punto di vista paesistico ed ambientale per tutto il territorio della pianura ed aprendo la strada a caotiche spinte speculative.

ITALIA NOSTRA, mentre sollecita gli Enti Locali bolognesi e la Regione Emilia- Romagna a farsi protagonisti di una grande battaglia nazionale per una nuova politica dei trasporti basata sul rilancio del trasporto ferroviario e marittimo delle merci e sullo sviluppo dei trasporti locali in sede propria per i movimenti delle persone nelle grandi città, chiede che vengano studiate possibili alternative alla soluzione proposta con il passante autostradale nord a cominciare da una seria valutazione della possibilità di provvedere ad una razionalizzazione della gestione del traffico e ad una riorganizzazione del sistema tangenziale in essere che potrebbero evitare di ricorrere al nuovo devastante tracciato del "passante nord", azioni che dovranno essere accompagnate dalla predisposizione di misure efficaci di mitigazione dell'impatto ambientale per le zone circostanti e per le popolazioni che vi abitano.

Con questo spirito ITALIA NOSTRA si farà promotrice nelle prossime settimane di un incontro che consenta di mettere pubblicamente a confronto idee e proposte alternative, nell'intento di favorire la ricerca di soluzioni che nel rispetto delle qualità paesistiche, storiche ed ambientali del territorio della Provincia di Bologna, diano risposte soddisfacenti alle esigenze di mobilità della popolazione e di movimentazione delle merci.

ITALIA NOSTRA si augura che il Comune di Bologna e la Provincia manifestino a questo proposito la massima disponibilità al confronto ed evitino di chiudere la discussione prima di incominciarla facendo trovare tutti di fronte al fatto compiuto di decisioni affrettate delle quali ci si dovrà poi pentire.

La convocazione oggi di una udienza conoscitiva da parte della Commissione Ambiente della Regione Emilia-Romagna, lascia pensare e sperare che questo confronto sia ancora possibile e possa quindi influire sulle scelte che verranno prese.

Se questo avverrà crediamo che le popolazioni e le forze culturali interessate al miglior esito di questa vicenda sapranno riconoscerne il merito a chi avrà saputo consentire un libero e costruttivo dibattito.

Dalla finanza creativa, alla finanza distruttiva. Distruttiva dell´ambiente, della natura, del paesaggio e quindi anche del turismo, ultima risorsa del povero Belpaese. Si sentiva la mancanza di un tocco di fantasia, di originalità, diciamo pure di spregiudicatezza e improvvisazione nell´azione di governo.

Ed ecco che il ritorno di Giulio Tremonti a palazzo Chigi, l´ex ministro dei condoni e dell´una semper, riporta il Berlusconi-bis alla realtà, alla concretezza dei progetti, alla fattibilità delle grandi e piccole opere che il centrodestra ha già realizzato sull´intero territorio nazionale, a dispetto dell´incredulità popolare e dello scetticismo della Corte dei Conti.

Ed ecco che il ritorno di Giulio Tremonti a palazzo Chigi, l´ex ministro dei condoni e dell´una semper, riporta il Berlusconi-bis alla realtà, alla concretezza dei progetti, alla fattibilità delle grandi e piccole opere che il centrodestra ha già realizzato sull´intero territorio nazionale, a dispetto dell´incredulità popolare e dello scetticismo della Corte dei Conti.

Con l´autorevolezza che gli deriva dal risanamento del bilancio pubblico e dal rilancio dell´economia, per cui appena qualche mese fa venne dimissionato dalla sua stessa maggioranza, ora il neo-vicepresidente del Consiglio si ripresenta come il salvatore del Sud, il profeta del Mezzogiorno derelitto e abbandonato. Altro che "asse del Nord", altro che rapporti privilegiati con Bossi e con la Lega. Il "mezzo ministro", come lo ha elegantemente appellato nei giorni scorsi il suo collega Roberto Maroni, sfodera subito un Piano straordinario per il Riscatto meridionale, senza alcun riferimento – beninteso - al sequestro sociale operato negli ultimi anni dal centrodestra e tantomeno all´occupazione militare della criminalità organizzata.

Vendiamo le spiagge, annuncia euforico Tremonti, laddove al posto degli arenili e degli stabilimenti bisognerebbe intendere più correttamente l´argenteria di famiglia o addirittura le mutande. Ma sì, vendiamoci anche le "gabine", come direbbe il leader dei cieloduristi, con tutti gli ombrelloni e le sedie a sdraio. Vendiamoci le vocali e le consonanti. La storia e la cultura. L´ambiente e il paesaggio. Diamo tutto ai privati in concessione centenaria, comprese magari le frequenze televisive che già non sono assegnate a Mediaset, così perfino i "terroni" potranno diventare ricchi come Berluscon de Berlusconi. Questo è il nuovo "vento del Sud".

Nel giorno in cui si celebra l´anniversario della Resistenza, la Costituzione e l´unità nazionale, il nostro vice-premier smentisce in un colpo solo tutte le divisioni e le polemiche, ripartendo dal fondo dello Stivale. Berlusconi non partecipa alla manifestazione di Milano? E lui, in compenso, si schiera sul fronte meridionale. Il turismo di massa sta arrivando dalla Cina e dall´India? E allora, iniziamo la stagione dei "grandi saldi": mettiamo in vendita l´acqua di mare, come voleva fare Totò con il Colosseo; costruiamo castelli di sabbia e affittiamo pure il solleone, per coprire i "buchi" prodotti dalla politica del Superministro dell´Economia.

Mancano i soldi per riparare le strade, per l´ordinaria manutenzione, per la pulizia urbana e per tutto il resto? Poco male. Bisogna costruire "aeroporti a quattro piste", come vaneggia testualmente il sottocapo del governo, per attirare "charter" di turisti cinesi e indiani, riempire alberghi e pensioni, invadere ristoranti e bar. La soluzione è semplice: basta emettere un bel pacchetto di "bond", modello Parmalat o modello Argentina, spiaggia-bond, spaghetti-bond o pizza-bond e il gioco (di prestigio) è fatto.

Di fronte alle ultime esternazioni di Tremonti, l´ironia può essere una magra consolazione, un piccolo conforto. Non si riesce a prenderlo sul serio. Veramente non si sa più se ridere o piangere. Ma purtroppo la realtà di questo governo-balneare – sarà proprio il caso di chiamarlo così d´ora in poi - supera ogni fantasia. I "nuovi barbari" sono alle porte. Ma,

Un grande spazio verde nel centro di Caserta al posto di un asse viario, altri 200.000 metri cubi di cemento (il progetto del Comune). Questa è l’alternativa che Italia Nostra propone per recuperare l’ex area militare che si chiama Macrico. La novità è che questa volta l’alternativa è nelle mani dei cittadini. Il comitato Macrico Verde - nato su impulso dell’associazione che compie nel 2005 i suoi primi 50 anni - ha lanciato l’idea di una campagna per l’acquisto dell’area: ciascun cittadino versa 50 euro per comprare un metro quadrato (sono 330mila) e alla fine ciò che si realizzerà sarà il Parco dei parchi: un Orto Botanico “vivo” insieme all’Università, uno spazio per il festival internazionale dei giardini (quelli della Reggia, a pochi passi di distanza, accolgono un milione di visitatori l’anno); un’area dedicata ai giovani e lo sport, una agli anziani ... e così via, in una città dove non c’è nessun parco pubblico e senza costruire neppure un metro cubo di cemento. La parola d’ordine della campagna è: “50 euro per rimanere al verde”.

"MACRICO" (Magazzino centrale ricambi mezzi corazzati: ci sembra stupendo cambiare radicalmente la destinazione dell’area!) è stata recentemente dismessa dal Ministero della Difesa. Lo spazio è ora di proprietà dell'Istituto Diocesano di Sostentamento del Clero e allo stato attuale si presenta principalmente coperto da alberi e piante pregiate e occupato in parte da costruzioni in muratura e in parte da capannoni in lamiera, con presenza di amianto.

Macrico presenta un interesse anche dal punto di vista storico-artistico: si tratta infatti del cosiddetto "Campo di Marte", zona destinata alle esercitazioni militari dell'esercito borbonico, già pertinenza dell'antico edificio vescovile (XVII sec.), utilizzato nel dopoguerra dalle Forze Armate e oggi in stato di totale abbandono.

L’amministrazione comunale vorrebbe costruire un asse stradale sotterraneo al Macrico e nuovi edifici per circa 200.000 metri cubi. La realizzazione e la gestione successiva di queste opere (pari a 113 milioni di euro) sarebbero affidate a una società di trasformazione urbana pubblico-privata. Caserta è una città in bilico tra salvezza e dannazione: con il Parco guadagnerebbe bellezza, prestigio, coesione sociale e identità, con altro cemento la sua sorte è segnata.

Dopo aver raccolto le prime 10mila firme tra i casertani contrari alla cementificazione, Italia Nostra, con il comitato “Macrico verde”, ha quindi lanciato la sottoscrizione per acquistare l’area e donarla alla società civile per un Parco dei Parchi. Partecipate tutti!

CASTELLAMMARE DEL GOLFO - La collina sfregiata è un pizzo leggendario da queste parti. Dicono che il Castellaccio sia una montagna sacra, battuta dai venti, inospitale e impossibile da coltivare. Ha però un´impareggiabile vista: guarda dritto al mare di Scopello, lì dove comincia la riserva dello Zingaro. Per secoli non ci hanno tirato su neppure un muro a secco. Ma da vent´anni a questa parte la storia è cambiata. I palermitani arrivano a ondate, pronti a comprare un fazzoletto di terra in questa terrazza naturale sul golfo di Castellammare. Rosicchiano qua e là spingendosi sempre più vicini al limite dell´area protetta.

L´ultima colata di cemento l´hanno bloccata carabinieri e poliziotti. Sono venuti a sigillare ville già finite e scheletri pronti per le rifiniture: 23 costruzioni che sulla carta dovevano essere rustici agricoli.

Nel registro degli indagati per lottizzazione abusiva sono stati iscritti venti nomi: i proprietari delle case abitate, il titolare dell´immobiliare che stava tirando su un complesso di 9 residenze di lusso e tre tecnici del Comune di Castellammare del Golfo che rispondono anche di abuso d´ufficio. Avevano rilasciato regolari concessioni edilizie ma su presupposti che la Procura contesta.

Il trucco è semplice e diffuso. In verde agricolo si possono costruire solo rustici e di modeste dimensioni. Occorrono mille metri quadrati di terreno per tirare su un edificio di trenta metri cubi. Attenendosi alle cubature previste e contrabbandando per case rurali ville di pregio con patio e, in qualche caso anche piscine, spuntano interi villaggi e residence.

Il pasticcio poggia su controlli inesistenti e uffici tecnici quantomeno distratti. Il resto lo fanno le leggi regionali. L´ultima sanatoria mascherata, bloccata dallo stesso governo Cuffaro dopo una levata di scudi, consentiva di variare la destinazione d´uso dei fabbricati rurali. In pratica, le ville già costruite tornavano ad essere tali anche sulla carta.

Probabilmente sarebbe accaduto questo anche alle ville ora sequestrate sul pizzo del Castellaccio.

L´area sulla quale sorgono era originariamente un´unica estensione di 60 ettari che dal pizzo della montagna scende giù lungo il costone fino al mare. L´unico frazionamento possibile era quello tra gli eredi del vecchio proprietario. Dalla tenuta sono così spuntati 25 diversi lotti di terreno e per ciascuno è stata chiesta e ottenuta da figli nipoti e pronipoti del possidente una concessione edilizia in verde agricolo. Una girandola di compravendite ha poi concentrato nelle mani di un solo imprenditore edile 9 lotti sulle quali erano in corso i lavori di costruzioni di altrettante case. Il resto delle ville erano state in parte tenute dai discendenti del proprietario originario e in parte vendute singolarmente ad acquirenti cui è riconosciuta la buona fede. Tuttavia non potranno tornare in possesso delle abitazioni fino a quando non sarà chiarita la vicenda giudiziaria. Destino analogo a quello di migliaia di proprietari di case in mezza Sicilia. Costruite con tanto di concessione ma su lottizzazioni abusive.

Eolie, il Governatore tira diritto

Abbate, Patrizia

Le Eolie sono ancora a rischio. Totò Cuffaro, il presidente rinviato a giudizio per mafia, contrasta l’annullamento delle norme perverse da parte del commissario dio overno. Da il manifesto del 4 novembre 2004

Il .caso Eolie. sfocia in uno scontro istituzionale, con il governatore siciliano Totò Cuffaro deciso a sfidare il commissario dello Stato e a riproporre al parlamento regionale le norme impugnate qualche giorno fa dal prefetto Gianfranco Romagnoli. Nel nome della «legittima autonomia» regionale, Cuffaro . che ha vissuto come un vero smacco la decisione del commissario di bocciare ben quindici articoli della manovra di assestamento di bilancio, demolendola di fatto . passa dalle critiche alla contrapposizione netta. E se nei giorni scorsi già alcuni suoi assessori avevano sollevato la questione giuridica della legittimità dell.esistenza stessa di questo «controllore di costituzionalità», lui sceglie di provare a ignorarlo; di chiamare l.aula a un voto bis, e di avviare così la cosiddetta «procedura di resistenza» di fronte alla Corte costituzionale.

Una scelta inaspettata, quella di Cuffaro, che solo oggi saprà se la sua decisione sarà avallata dai deputati dell.assemblea e se quindi approderà davvero in aula: lo decideranno i capigruppo. La richiesta è già però un segnale politico forte, che va controcorrente rispetto a una prassi che normalmente vedeva abbandonate le norme impugnate dal commissario dello Stato. Stavolta no, «siamo convinti che il commissario dello Stato sia andato oltre le sue competenze, dando giudizi di merito che non gli spettano», ha affermato il governatore. E. fuori di sé, Cuffaro. E non tanto per le norme più criticati della manovra, quelle appunto dello scempio delle Eolie con la deroga al piano paesaggistico, e dei capannoni agricoli trasformati in case e alberghi: su queste la stessa maggioranza si era spaccata, e probabilmente nessuno vorrà riproporle così come sono. Ciò che crea più problemi è il no all.assunzione di alcune centinaia di forestali, e di circa 700 medici nelle aziende sanitarie siciliane. Per il presidente «non si capisce dov.è la lesione delle norme costituzionali ». E il fatto che il prefetto Romagnoli invece non l.abbia avallato, o abbia bocciato anche l.articolo 3 che .assolveva. il mancato pagamento di concessioni governative, avvertendo che si trattava di una norma «che incoraggia il dilagare dell.evasione fiscale », lo fa gridare alla scandalo. E dire che lamanovra .aggiustativa. si era resa necessaria per ripianare il deficit della sanità isolana, che ammonta a circa 460 milioni di euro. Era il risanamento dei conti del settore entro il 2006 l.obiettivo delle variazioni di bilancio che invece hanno innescato la bomba ambientale, e che anziché puntare al risparmio, ipotizzavano molte nuove assunzioni e dunque ulteriori spese.

E il commissario Romagnoli? «Ribadisco di essere insensibile alle pressioni, da qualunque parte vengano, e mi limito ad applicare la legge», ha risposto ieri alle accuse di Cuffaro. Per Romagnoli, se Cuffaro intende chiedere «la riapprovazione in forma diversa delle norme è nel suo diritto. Non avrebbe però senso . spiega . una riapprovazione tale e quale degli articoli già impugnati davanti alla Consulta». Che sembrerebbe invece quello che si vuol fare, anche se sulla procedura da seguire non mancheranno ulteriori querelle. «La manfrina che si è aperta contro il ruolo del commissario dello Stato, di fatto, ha una sola ragione: poter compiere i peggiori scempi senza alcun controllo e senza alcuna verifica di legittimità», taglia corto Francesco Forgione, capogruppo del Prc all.Ars. Clientele? Scempi? Nient.affatto, assicura Cuffaro. Che ci tiene a difendere il «ruolo del parlamento siciliano» e si erge a paladino della sua autonomia.

Vogliono far sparire perfino le spiagge. Quelle nere di lava e anche quelle bianche di pomice, pensano di spostarle un po´ più in là o seppellirle per sempre, affogarle nel cemento. E vogliono costruire moli così grandi e così lunghi che quel loro mare vivo e profumato prima o poi si trasformerà in un lago morto, uno stagno tra le isole. E sognano aeroporti che si mangiano le colline, centrali elettriche che sventrano boschi.

Vogliono depuratori, strade, gallerie, dighe foranee, alberghi e residence sparsi dappertutto. Progettano in silenzio a Lipari e mandano carte a Palermo. Tramano. Da soli e in compagnia, uno contro l´altro o in società. E già calcolano i prezzi dei terreni da espropriare. E già contano i soldi.

Quelle stanze con vista mare che in questi giorni fanno tanto scandalo sembrano vergogne divulgate a bella posta per nascondere ben altri oltraggi e ben altri affari tra Vulcano e Alicudi, la più sperduta nell´arcipelago. Piccoli interessi privati di piccoli notabili, pochi o tanti metri quadri «regalati» con un colpo di mano dagli amici che stanno alla Regione siciliana, scandalo quasi finto se non fosse per la spudoratezza di qualche onorevole che ha cancellato vincoli paesaggistici con il favore delle tenebre. Ma c´è qualcosa di più rapace che si sta abbattendo su Lipari e sulle altre isole. E si avvistano segnali di una guerra cattiva per accaparrarsi gli appalti prossimi venturi, aspetti inconfessabili.

Vicenda eoliana contemporanea che sembra ispirarsi a quell´antica contesa descritta da Leonardo Sciascia nella sua "Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A. D.", storia di un violentissimo conflitto politico economico tra la Chiesa e il viceré di Sicilia - siamo ai primi del ?700 - che iniziò intorno al pagamento di un balzello per «una piccola partita di ceci» e che poi durò per due decenni.

Un pretesto di trecento e passa anni fa e un pretesto di oggi, nella Lipari che aspetta le sue colate di cemento. Se arriveranno, arriveranno insieme a quasi 200 milioni di euro. Fremono progettisti, ingegneri, costruttori. E manovrano le lobbies fra Lipari e Messina e Palermo, plotoni di deputati locali che appoggiano questo o quel gruppo per far «passare» il loro «piano di sviluppo» per le Eolie, gioco sporco senza esclusione di colpi. Partiti del mattone, ex democristiani confluiti nell´Udc che fanno patti di sangue con rampanti di An, assessori-imprenditori di Forza Italia, vecchi e nuovi ras, tutti uniti e tutti contro, tutti in corsa per far diventare queste isole un albero della cuccagna.

Altro che le tre stanze di 84 metri quadri che avrà l´assessore all´Urbanistica Mimmo Fonti grazie al voto furbastro dell´altra notte all´Assemblea regionale. Altro che «il recupero di tre fabbricati» in località San Nicola o «l´ampliamento dell´edificio storico» in contrada Candali. Ce ne sarà per tutti. «Dovranno passare sul mio corpo prima di mettere una sola pietra», assicura il sindaco di Lipari Mariano Bruno che è stato appena convocato a Palermo dal governatore Totò Cuffaro, che vuole carte e mappe per capire fino in fondo in quale altro pasticcio è finito il suo governo.

Il sindaco Bruno parla di «inganno mediatico», si lamenta, tuona. Ma non parla del nuovo piano regolatore di Lipari dove tre maxi opere sono già inserite in aree vincolate. Una è quella che chiamano «aviosuperficie», un aeroporto, pista lunga 1200 metri e larga 40 tra le colline di Poggio dei Funghi, un business da 50 milioni di euro. Un´altra opera è la centrale elettrica che dovrebbe sorgere a Monterosa in mezzo agli alberi, ci sono tante voci sull´esproprio dei terreni che faranno ancora più i ricchi i proprietari. Affare di una quarantina di milioni di euro, cifra che comprende anche la realizzazione di una galleria che sbuca in mare. E lì vicino a Monterosa dovrebbero fare anche il depuratore, altri 10 milioni di euro.

L´affare più goloso è un altro ancora, sono i porti, i sei che vorrebbero realizzare in ciascuna delle isole esclusa Salina. «Alla Regione c´è un progetto in sonno che prima o poi tireranno fuori, aspettano soltanto il momento giusto», racconta Giuseppe La Greca, il segretario dei Ds di Lipari che nella passata amministrazione di centro sinistra era assessore al Territorio. E´ un progetto «tecnico-economico per le opere portuali delle isole Eolie» firmato dall´ingegnere Giuseppe Rodriguez. E´ l´annuncio ufficiale dello scempio più grande. A cominciare dalla bella spiaggia nera di Stromboli. L´ingegnere Rodriguez prevede di scavarci lì una fossa e poi costruirci sopra i moli. E trasportare la sabbia eruttata dal vulcano a qualche decina di metri. Tutto per 18 milioni di euro. Ad Alicudi e a Filicudi il suo progetto cancella in parte le due spiagge, quella di scalo Palomba nella prima isola e quella di Capo Graziano nella seconda. Costo dei due porti 14 milioni di euro. A Panarea il mare sarà soffocato per 15 milioni di euro: dal molo vecchio che verrà allungato e da quello nuovo che, a semicerchio, chiude in una camera a gas l´abitato. Poi ci sono i 10 milioni di euro per il porto di Vulcano, altra spiaggia rosicchiata e i moli che affondano nella base lavica. Per finire, Lipari: 13,5 milioni di euro il porto di Pignataro, 10,5 milioni per Marina Corta, 12 milioni circa per quello di Sotto Monastero.

«Un vero delirio costruttivo», commenta secca Marina Tarusello, rappresentante di Legambiente alle Eolie. E non è ancora finita. Accusa Domenico Fonti, l´assessore che ha "guadagnato" tre stanze del suo residence con il voto notturno della Regione: «Ho il feroce sospetto che questa campagna sia stata scatenata per spostare l´attenzione su chi vuole costruire alberghi su alberghi a Canneto». Punta il dito contro i D´Ambra, i proprietari delle cave di pomice. Tra loro e tutti gli altri è scontro eterno, qui nell´arcipelago. Uno dei tanti capitoli della "controversia liparitana".

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