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Arroganza senza limiti. Alla vigilia delle elezioni politiche, quando il programma del centro sinistra prevede la sospensione delle procedure di realizzazione del ponte e sancisce la cancellazione del progetto, la Società Stretto di Messina ed Impregilo sottoscrivono il contratto la cui firma era stata sin qui rinviata. L’atto assume – in tipico stile berlusconiano – la caratteristica di una pesante provocazione nei confronti di un movimento di opinione nazionale largamente contrario al ponte, di un movimento di lotta che è fortemente cresciuto nel corso degli ultimi anni e che ha esteso la propria protesta, più in generale, nei confronti delle “grandi opere”. Una provocazione che, oltre a calpestare il diritto degli enti locali di Messina e Villa San Giovanni, colpisce la Regione Calabria, la cui giunta si è nettamente espressa contro il progetto e sta legiferando per proteggere il proprio territorio (l’area dello Stretto è stata dichiarata Zona di Protezione Speciale e la recente normativa urbanistica e paesistica non prevede una simile infrastruttura). Un affronto alle procedure di infrazione avviate dalla Comunità Europea ed ai procedimenti in atto da parte della magistratura.

La firma del contratto consente – come primo atto - l’avvio della progettazione esecutiva e quindi l’erogazione - per l’ennesima impalcatura di carta - di nuovi finanziamenti sottratti alle tasche dei contribuenti (com’è noto, dietro il mascheramento della “finanza creativa”, si tratta di danaro pubblico che proviene direttamente dalla svendita dell’IRI) e alla possibilità di avviare investimenti realmente necessari per Calabria e Sicilia. La lobby delle “grandi opere” si trova così in mano un’altra borsa di danaro sottratto alla collettività per ripianare (tendenzialmente) i propri bilanci, avventurarsi in manovre speculative e distribuire prebende ai propri associati e consulenti.

Ancora una volta si ripropone – in consonanza con gli ormai pietosi spot elettorali del Cavaliere disarcionato – la retorica della grande ed insostenibile opera a fronte dell’assoluta mancanza di idee e di progetti sensati per il futuro.

E’ urgente rafforzare la mobilitazione, proseguendo nella scia della grande manifestazione che a Messina il 22 gennaio ha visto sfilare oltre 25.000 cittadini. E’ necessario che la Regione Calabria (che tra l’altro detiene ancora un proprio rappresentante nel CdA della Stretto di Messina spa) eserciti con decisione il proprio ruolo. E’ urgente che sia data visibilità ai progetti ed alle pratiche, ormai ampiamente diffuse, che dai conflitti per la difesa del territorio – dalla Val di Susa allo Stretto di Messina - mirano allo sviluppo locale autosostenibile, solidale e rispettoso delle regole coevolutive di comunità locali e ambiente naturale.

A quanti agiteranno il ricatto della penale che dovrebbe essere pagata in caso di cancellazione del progetto occorre – infine - ricordare quanto segue: la penale è categoricamente esclusa per la fase di progettazione e comunque fino all’approvazione del progetto definitivo da parte del Cipe e della Società Stretto di Messina - lo afferma esplicitamente lo schema di contratto approvato dal consiglio di amministrazione di Società Stretto di Messina e che è stato sottoposto alla firma del general contractor guidato da Impregilo. Non solo: L’articolo 43 dello stesso schema di contratto prevede che “il soggetto aggiudicatore, a suo insindacabile giudizio, ha la facoltà di recedere dal contratto in qualunque tempo e qualunque sia lo stato di esecuzione della prestazione oggetto del contratto stesso”.

L’affronto che l’amministrazione della Società Stretto di Messina esibisce provocatoriamente, al di là di qualsiasi contegno che si richiami almeno ad un minimo senso etico e giuridico, va rigettato e condannato con decisione da quanti si riconoscono in una sana e vera democrazia, che simili atti invece corrompono e spingono alla deriva.

DAL centro commerciale di Villabate al ben più lucroso affare del ponte sullo Stretto. Per la realizzazione dell'opera è stato al momento individuato solo il general contractor, Impregilo, ma per i subappalti le cosche si stanno già attrezzando. La "famiglia" mafiosa di Villabate si era messa in moto già l'estate scorsa. A rivelarlo ai sostituti procuratori Maurizio de Lucia, Nino Di Matteo e Michele Prestipino, alla presenza del gip Pasqua Seminara, è stato Vincenzo Alfano, costruttore trapiantato in Emilia Romagna e finito in carcere nell'ultimo blitz con l'accusa di associazione mafiosa perché ritenuto prestanome a tutti gli effetti dei boss di Villabate. Ai magistrati Alfano ha confermato quanto pochi giorni prima aveva detto il pentito Francesco Campanella in un verbale ancora coperto da segreto istruttorio: «Campanella mi chiamò e mi disse di tenermi pronto e di cominciare a muovermi per i subappalti e i lavori di fornitura per la realizzazione del ponte sullo Stretto».

A entrare nel grande cantiere del ponte avrebbe dovuto essere la Cga costruzioni di Vincenzo Alfano, imprenditore che i magistrati definiscono «a totale disposizione della famiglia di Villabate per appalti pubblici e per il reinvestimento dei capitali illeciti». Come quelli che provenivano dalle sale Bingo e dai centri scommesse gestiti dalla Enterprise. Grande amico di Campanella e di Mario Cusimano, il costruttore è stato incastrato proprio dalle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia. Che lo hanno descritto come uomo di strettissima fiducia di Nino e Nicola Mandala. Era lui, assieme al fratello Benedetto, l'uomo che aveva procurato a Nicola Mandala l'affare della fattoria in Venezuela da acquistare per trascorrere con Ignazio Fontana una latitanza dorata, ed era lui ad aver procurato la carta di identità di un ignaro dipendente della sua ditta che Mandala avrebbe potuto utilizzare per i suoi acquisti.

Già socio del deputato regionale Giuseppe Acanto nell'azienda di arredi da bagno Eurobarren, Alfano si era poi trasferito nel Modenese, dove la sua impresa aveva reinvestito in villette a schiera i soldi della cosca.

Nei suoi cantieri lavoravano solo villabatesi, ma aveva trovato posto anche il figlio del grande consigliori di Provenzano, Ciccio Pastoia, braccio economico del boss, suicida in carcere nel gennaio del 2005, subito dopo l'arresto.

Proprio Pastoia sarebbe stato la testa di ponte dei fedelissimi di Provenzano per arrivare ai grandi appalti, dal ponte sullo Stretto al passante ferroviario di Palermo, circostanza questa emersa la scorsa settimana al processo per l'omicidio dell'imprenditore Salvatore Geraci. Nella bisaccia dei riscontri alle dichiarazioni del pentito Campanella, i pm hanno aggiunto anche la confessione di Giuseppe Daghino, il manager della Asset development finito agli arresti domiciliari assieme al socio Paolo Marussig. Daghino ha ammesso tutte le sue responsabilità, a cominciare dal pagamento della tangente da 25 mila euro per il centro commerciale di Villabate, ma ha anche smentito Marussig sul ruolo di Marcello Massinelli, consulente economico del presidente della Regione Cuffaro. «È vero quello che dice Campanella — ha ammesso Daghino — Massinelli era l'uomo che doveva portarci i 200 mila euro

«Se il ponte di Messina è concepito solo come un ponte, una cattedrale nel deserto, senza grandi infrastrutture, collegamenti e reti stradali, siamo contrari. Se, invece, è inserito in una strategia di sviluppo complessivo è un'altra cosa». Con queste parole, pronunciate a Taormina (Messina) poco prima di partecipare a un convegno di Confindustria Sicilia, il segretario dei Ds Piero Fassino ha dato un sostanziale via libera alla mega-opera contestata dagli ecologisti e dalle sinistre di entrambe le sponde dello Stretto. Quando Fassino è salito sul ponte mancavano meno di due ore alla chiusura dei seggi per le comunali di Messina, il capoluogo a 50 chilometri da Taormina. Lì tutto il centrosinistra è schierato contro il ponte mentre le destre sono a favore: Silvio Berlusconi è intervenuto personalmente nella campagna elettorale messinese per promettere 15 mila nuovi posti di lavoro, turismo compreso, se si realizzerà il grande appalto.

Il governo italiano non ha presentato una valutazione di impatto ambientale buona per superare i requisiti imposti dalle normative europee. E' più che un atto d'accusa quello della Commissione europea, che ieri, rendendo pubblico il proprio responso sulle procedure seguite dall'Italia per il Ponte sullo Stretto di Messina, ha annunciato di aver inviato a Roma una lettera di messa in mora, primo passo del procedimento di infrazione comunitario. Quel che manca, accusa la Commissione, è proprio uno studio approfondito sull'impatto del ponte più lungo del mondo sul flusso degli uccelli migratori e sui disturbi che l'opera arreca alle aree di riposo presenti in Sicilia e Calabria. In termini comunitari mancano le valutazioni sulle Iba, important bird area, 150 e 153, come previsto dall'articolo 4 della direttiva 79/409/Cee, meglio conosciuta come Habitat, quella che vigila sul «deterioramento degli habitat e sulle perturbazioni dannose per gli uccelli». Difficilmente salterà il ponte, ma almeno il governo sarà obbligato a studiare gli effetti, non solo di immagine, di quel che sta facendo. E dovrà renderne conto a Bruxelles. La direttiva in questione prevede infatti la possibilità di deroga anche per le opere che hanno un impatto importante sull'ambiente, una deroga che scatta però solo qualora l'infrastruttura si dimostri di grande interesse per la collettività. Cosa che, peraltro, parecchi mettono in dubbio.

«Confermo l'invio di una lettera di messa in mora al governo italiano - ha dichiarato ieri Barbara Helfferich, portavoce del commissario all'ambiente Stavros Dimas - perché l'Italia non ha effettuato uno studio dell'impatto ambientale dell'opera che soddisfa i requisiti della Commissione». Adesso il governo ha due mesi di tempo per fornire le informazioni mancanti, se non arrivano scatta il secondo passo nel procedimento di infrazione: l'avviso motivato. Se Roma continuerà a tacere, o a non soddisfare i criteri comunitari, allora la Commissione chiederà l'intervento della Corte di Giustizia del Lussemburgo. «Non possiamo bloccare fisicamente i lavori - prosegue la portavoce - ma il governo dovrà fornirci le informazioni necessarie e qualora l'impatto ambientale sarà negativo dovrà valutare se esiste un'alternativa o chiedere la deroga».

Per quel che riguarda i fondi il discorso è tanto complesso quanto cruciale per il governo, visto che Bruxelles potrebbe coprire con prestiti facilitati fino al 20% dell'opera. La portavoce di Dimas ricorda che «la Commissione non finanzia qualcosa che è contrario alle leggi comunitarie». «Anche se la direzione generale trasporti dovesse dare l'ok ai fondi - continua Helfferich - noi come Dg Ambiente abbiamo qualcosa da dire e possiamo bocciare. Ma non va dimenticata la possibilità della deroga». Per accedere alla deroga è necessario dimostrare un supremo interesse collettivo ma bisogna anche proporre una «compensazione», ossia «l'Italia deve designare altre zone protette che siano della medesima importanza di quelle colpite». Le aree per cui manca la valutazione di impatto ambientale sono quelle dei Monti Peloritani, di Capo Peloro e dei Laghi di Ganzirri in Sicilia e della Costa Viola e della Dorsale di Curcuraci in Calabria. In totale la lingua d'asfalto e cavi che vuole unire l'isola al continente disturba ben 312 specie di uccelli nel loro cammino stagionale dall'Africa verso l'Europa centro-settentrionale.

Il governo per ora rimane sulle sue: «La procedura di infrazione è stata annunciata ma non è ancora arrivata. Se arriverà leggeremo le motivazioni e risponderemo. La decisione politica del governo comunque rimane quella di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina», afferma il ministro dell'Ambiente Matteoli.

Verdi e Wwf cantano invece vittoria. «Da sempre sosteniamo - dice Monica Frassoni capogruppo verde all'Eurocamera - che il Ponte oltre ad essere un'opera inutile sotto il profilo trasportistico e dannoso sotto quello ambientale, presenta più di un profilo di illegalità: siamo contenti di vedere che anche la Commissione si sta muovendo in tal senso». «Se la procedura si concludesse con il deferimento alla Corte di giustizia europea - dice Gaetano Benedetto segretario del Wwf - l'Italia sarebbe obbligata a mettere in un cassetto l'attuale progetto, e rielaborare una proposta radicalmente diversa». Ermete Realacci, parlamentare della Margerita, spera infine in un «ripensamento» del governo.

Il Ponte sullo stretto si farà? Dipende dal governo Prodi, se, come tutti noi ci auguriamo, nel 2006, l’Unione vince le elezioni e manda a casa il peggior governo della storia della repubblica. A Berlusconi, dell’inutilità del ponte, dei guasti che può provocare sull’ambiente, dello spreco di denaro che potrebbe essere utilizzato utilmente e anche dell’efficacia dell’opera, non importa più di tanto. Il Cavaliere vuole mettere la prima pietra per guadagnare un po’ di voti e poi, pensando di essere novello Faraone, legare il suo nome al ponte più lungo del mondo. Ma non è detto che gli vada bene perché la strada del Ponte è lastricata di ostacoli che si chiamano: partecipazione popolare alle primarie dell’Unione con conseguente obbligo di ascolto dei cittadini da parte di Prodi e dei partiti della coalizione; programma di governo che non prevede la grande opera di Lunardi e Berlusconi e, nell’immediato, anomalie dell’appalto. Ed è di queste ultime che voglio parlare, anomalie che dovrebbero costituire un impedimento al proseguimento del cammino della grande opera.

La gara l’ha vinta Impregilo, già società Fiat-Romiti, che è passata di mano e che nel recente passato ha avuto guai finanziari e con la magistratura. Tanto è vero che Piergiorgio Romiti ha passato la mano ad Alberto Lina, manager proveniente da Finmeccanica, e la Gemina dei Romiti è socia di minoranza. Inoltre, la procura di Monza ha aperto un fascicolo per falso in bilancio a carico degli amministratori del gruppo. Oggi, soci di maggioranza sono Rocca, Bonomi, Gavio e Benetton con le loro società, mentre i Romiti con Gemina hanno l’11,8 per cento del pacchetto azionario. Del raggruppamento di imprese che ha vinto l’appalto, oltre la capofila Impregilo, fanno parte Sacyr Sa, Società Italiana Condotte, Cooperativa Cmc (cooperative rosse), Gavio e altri.

Le anomalie dell’appalto sono almeno tre: il ribasso d’asta del 12,33 per cento praticato da Impregilo che tradotto in cifre vuol dire 500 milioni di euro e cioè 1000 miliardi di vecchie lire: una enormità su una base d’asta di circa 4 miliardi di euro; le clausole contrattuali che prevedono il pagamento di penali, pare della stessa entità dell’appalto qualora un governo diverso dovesse decidere di non costruire il ponte; la defezione dei grandi gruppi esteri che di fronte ad un’opera di tali dimensioni che costituisce anche una sfida tecnologica, in un mercato globalizzato, hanno scelto di non partecipare. Sono anomalie di tale rilevanza da avere indotto la Astaldi, seconda classificata, di riservarsi azioni anche legali, dopo avere valutato bene tutti gli aspetti del problema e le procedure adottate.

«Un ribasso incredibile», l’ha definito il capo della Astaldi, Vittorio Di Paola, il quale ha aggiunto che «non potranno fare a meno di fare delle verifiche». D’altronde, la prima verifica l’ha fatta il mercato, dal momento che Impregilo ha perduto in borsa il 5,2 per cento e «alcuni investitori esteri - ha fatto sapere l’Agenzia Radiocor - stanno vendendo le azioni a piene mani, perché temono che Impregilo non riesca a finanziare l’operazione di realizzazione del ponte con un margine di guadagno adeguato». A meno che non si ripercorra la vecchia strada dei ribassi d’asta impossibili compensati da modifiche progettuali in corso d’opera, varianti, perizie modificative e suppletive. Così come è avvenuto per l’alta velocità che partita con un costo previsto di 10mila miliardi di lire al momento della firma dei primi impegni, è arrivata al costo degli attuali 50 miliardi di euro e cioè 100 mila miliardi di vecchie lire.

Intervistato dal Corriere Economia, il professor Marco Ponti, ordinario di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano, ha sottolineato che le imprese estere hanno disertato la gara perché «non avrebbero ricevuto le garanzie implicite offerte alle cordate italiane», quali ad esempio «che i traghetti non scendano sotto certe tariffe, oppure che sotto un certo volume di traffico sul Ponte, sia lo Stato a pagare». Ponti ha aggiunto: «Questo è un project financing finto perché manca una vera ripartizione dei rischi e alla fine è sempre lo Stato che deve far fronte ad eventuali problemi». Parole dure come pietre di uno dei più grandi esperti del paese che in definitiva parla di un appalto truccato e alle quali non risulta che né Impregilo né la società Stretto di Messina, committente dell’appalto, abbiano replicato.

Infine, è importante registrare alcune prese di posizione politiche dei partiti dell’Unione oltre che del Wwf. «Sappiamo tutti che i soldi dei cittadini andrebbero investiti per le vere priorità del Mezzogiorno», ha dichiarato Sergio Gentile, responsabile ambiente Ds, «che sono la rete ferroviaria, stradale e autostradale, la portualità, l’aeroportualità, le reti idriche ed acquedottistiche». Per cui «quest’opera è assolutamente insostenibile sotto il profilo dei costi economici e dei danni ambientali».

E le penali previste dal contratto? «Il pagamento di penali anche ingenti sarebbe comunque più conveniente - replicano dal Wwf - perché non si dovrebbe far fronte alle perdite che la gestione del ponte provocherà a danno di tutti i contribuenti». Questa volta, pare che associazioni, partiti dell’Unione e cittadini siano d’accordo nel considerare il Ponte un’opera inutile e dannosa: un monumento allo spreco e alle manie “faraoniche” del presidente del Consiglio e del suo ministro dei Lavori pubblici, gravato da mostruosi conflitti d’interesse. Qualche tempo fa, quando esplose la rivolta per l’acqua a Palermo e ad Agrigento scrissi un articolo contro il Ponte che l’Unità pubblicò con questo titolo: “Meglio il Pozzo del Ponte”. Credo che potrebbe diventare lo slogan della prossima campagna elettorale.

Caro Augias, il 25 maggio sono scaduti i termini per l'appalto del ponte sullo Stretto di Messina. Si sono presentate due ditte, le italiane Impregilo e Astaldi, nemmeno queste con troppo entusiasmo. L'amministratore delegato di Astaldi, ha dichiarato: «L'ipotesi che Astaldi e Impregilo presentassero un'offerta comune per il ponte, scaturiva da comuni considerazioni di buonsenso riguardo la rischiosità del progetto ampiamente dimostrata dall'abbandono della maggior parte delle imprese e banche straniere».

Pochi giorni prima, l'amministratore delegato della Strabag (unica cordata internazionale ancora interessata all'opera) così commentava il ritiro: «Troppo alto il rischio che avremmo dovuto affrontare dal punto di vista legale, geologico e tecnico-finanziario».

In definitiva sono venuti fuori tutti i dubbi e le perplessità da sempre avanzate da chi si oppone alla costruzione di questa opera inutile e devastante. Che il dissenso nei confronti del ponte sia ormai trasversale lo dimostra il documento inviato al ministro Lunardi dalla maggioranza del consiglieri comunali di Messina (3 An, 1 Fi, 5 Udc, 1 Gruppo Misto, 1 Udeur, 5 Margherita, 3 Lista civica, 3 Ds) in cui si chiede di fermare la gara, avallando le conclusioni dell'apposita Commissione consiliare: «Evitare la costruzione di una infrastruttura i cui elevatissimi costi (sociali ed ambientali, oltre che economici e finanziari) non possano essere bilanciati da sufficienti benefici a vantaggio dell'utenza».

Le chiedo: non sarebbe meglio pensare prima a opere sicuramente più utili per i siciliani?

Sergio Conti Nibali

Messina, serconti@glauco. it

I risultatidella gara internazionale d'appalto per la costruzione del controverso ponte sono così desolanti che se la questione non avesse ormai assunto un connotato "politico", se non fossero entrati in gara, quella vera, interessi troppo forti per essere contrastati, un ripensamento s'imporrebbe. Nonostante i dirigenti della società del «ponte» abbiano fatto il giro del mondo, nessuna società straniera ha voluto partecipare per le ragioni ben riassunte in quelle inquietanti parole: rischi troppo alti dal punto di vista legale, geologico e finanziario. Dovrebbe bastare a chiunque avesse sufficiente discernimento o libertà d'azione.

Credo d'aver colto un invito a soprassedere anche nell'espressione impiegata di recente dal presidente di Confindustria Montezemolo quando, a proposito di infrastrutture per il Sud, ha detto: «Niente opere faraoniche, pensiamo alle cose concrete»; Pasquale Pistorio, uno dei più sagaci imprenditori siciliani, ha rincarato: «E' come pensare a champagne e caviale quando non si hanno nemmeno i soldi per il pane. Il ponte non ha alcun senso».

Nonostante questo, il progetto va avanti e all'insensatezza complessiva della cosa il presidente del Consiglio ha voluto aggiungere una sua nota buffonesca. Tra le ragioni in favore del ponte ha incluso: «se uno di Reggio Calabria ha per caso un grande amore a Messina ci potrà andare anche alle quattro del mattino senza aspettare i traghetti». Nel frattempo, il tratto dell'autostrada Messina-Palermo inaugurato nel dicembre scorso dal neoministro Miccichè (enfatici i servizi sui Tg), è stato chiuso perché l'asfalto steso frettolosamente non ha retto al passaggio del terzo Tir.

Ponte di Messina, smontato pezzo per pezzo

Perseverare diabolicum. Eppure, nessuno li ferma. Quando il prestigio, lo sviluppo e gli affari si saldano il nodo diventa inestricabile. Dalla Laguna allo Stretto. Da l’Unità del 25 maggio 2005

Scadono oggi i termini per la presentazione delle offerte relative alla gara del General Contractor cui spetteranno progettazione esecutiva e poi realizzazione del Ponte sullo Stretto, il manufatto più discusso e discutibile d'Italia. Il condizionale è d'obbligo perché sin qui abbiamo assistito al fuggi fuggi di grandi imprese o cordate di imprese. Motivo? «Il rischio legale, geologico e tecnico-finanziario è troppo alto», ha motivato per la grande cordata franco-italo-spagnola il rappresentante del colosso austriaco Strabag Ag che fungeva da capofila. In sostanza, la sola cordata rimasta in gara (ma quale gara? con chi?) è capeggiata dalla italiana Impregilo-Astaldi, che a sua volta ha perso per strada la francese Vinci e la spagnola Necso. In effetti, il progetto continua a destare le più ampie riserve. Sul piano dei costi, dei tempi, del rischio sismico, degli scenari del traffico poco realistici (e col cabotaggio al decollo). Ma è sull'ombra lunga della malavita organizzata che ci si è soffermati nei giorni scorsi. Secondo Stefano Lenzi del Wwf, «manovre pesanti saranno possibili sfruttando i provvedimenti derivati dalla Legge Obiettivo e le norme istitutive del General Contractor». Nella tavola rotonda tenuta a Messina il 14 scorso, si sono ricordate le fruttuose intese trovate in passato da 'Ndrangheta e Cosa Nostra, su Gioia Tauro come sulla Salerno-Reggio Calabria. Secondo il numero speciale della rivista Limes, «Come mafia comanda», le organizzazioni criminali gestiscono in Italia affari per 100 miliardi di euro, dei quali 6,5 miliardi derivati dall'infiltrazione nelle imprese e negli appalti. Per il Wwf - che ha presentato un suo dossier - le risorse del crimine organizzato sono enormi e i percorsi agevoli dopo l'allentamento delle maglie antimafia operato con la Legge Obiettivo. Per il professor Enzo Sciarrone dell'Università di Torino, sono ad alto rischio mafioso la struttura del Ponte, il «ciclo del cemento», le infrastrutture di accesso e di collegamento e quelle di servizio, l'intermediazione degli espropri (c'è un vaglio DIA su 9.300 imprese, siciliane e calabresi). Per Giovanni Colussi, società Nomos, il 40% delle opere previste potrebbe alimentare circuiti criminali con introiti per 2,4 miliardi di euro. Cosa preoccupa soprattutto? La «piena libertà di affidare a terzi anche la totalità dei lavori» (Legge Obiettivo), con una miriade di sub-affidamenti fuori controllo per l'Antimafia. La possibilità per istituti bancari e investitori istituzionali di entrare e uscire dalle società di progetto «in qualsiasi momento». La facoltà di finanziare l'opera «con qualsiasi mezzo», anche con obbligazioni «garantite dal soggetto aggiudicatore», cioè dallo Stato, senza rischi per i privati. Il medesimo Stato si accollerebbe pure gli aumenti dei costi superiori al 10%. Una denuncia gravissima viene dalla Fillea-Cgil : l'affidamento di sei macro-lotti dell'Autostrada Salerno-Reggio Calabria ai General Contractors sta quintuplicando i costi, mentre i sub-affidamenti fanno registrare ribassi dei prezzi tali (anche -45%) da mettere in serio pericolo qualità e sicurezza dei lavori. La parcellizzazione delle sub-assegnazioni ha poi reso «irriconoscibili» le imprese da parte di chi deve effettuare i controlli di legge e dei sindacati stessi. Come è possibile opporsi alle infiltrazioni? Insomma, un intreccio perverso, dagli effetti negativi a catena. Lo stesso vice-presidente esecutivo della Astaldi, concorrente ormai solitaria, ha sottolineato la «rischiosità del progetto». Grande Opera o Cimitero Monumentale della Legalità?

ROMA - «È un progetto bugiardo». È la nuova accusa della procura di Roma che avvia la seconda inchiesta sul ponte sullo Stretto di Messina. L’aggiunto Italo Ormanni, che indaga da mesi su affari in odor di mafia, adesso raccoglie i dubbi di Legambiente sull’impatto nel territorio. Tre indagati: il professor Alberto Fantini, referente del gruppo istruttore della commissione speciale istituita presso il ministero dell’Ambiente per la valutazione dell’impatto ambientale, l’architetto Franco Luccichenti e il professore Giuseppe Mandaglio. L’ipotesi è falso in atto pubblico e abuso d’ufficio.

Nel febbraio dello scorso anno alcuni dirigenti di Legambiente hanno presentato un esposto in procura nel quale denunciavano come lo studio presentato dalla società Stretto di Messina fosse «assolutamente carente e privo dei requisiti minimi documentali previsti dalla legge per consentire una completa valutazione dello stesso». In particolare, la costruzione del ponte provocherebbe danni alle aree faunistiche dei laghetti di Ganzirri e della riserva di Capo Peloro e altererebbe l’ecosistema. Si tratta di milioni di metri cubi di cemento e acciaio per un opera lunga 3.666 metri e alta 382.

I tre membri della commissione speciale del ministero dell’Ambiente finiti sotto inchiesta hanno scritto la proposta di parere favorevole per la realizzazione del ponte. Secondo l’associazione ambientalista i commissari avrebbero approvato il progetto in tempi ristretti e senza segnalare carenze e difetti della documentazione prodotta dalla società Stretto di Messina.

Presto verrà scelto il general contractor, ovvero l’impresa che si accollerà i lavori distribuendo poi i subappalti. In lizza per la valutazione da parte della Società Ponte sullo Stretto sono rimasti in tre: Impregilo, Astaldi e un consorzio austriaco-canadese, Strabag-Vinci.

«Bisogna sospendere le procedure di gara fino a quando l’inchiesta giudiziaria non farà luce su responsabilità e coinvolgimenti oltre che sulle irregolarità nell’approvazione del progetto», dice il presidente nazionale di Legambiente, Roberto Della Seta. «Le gare vanno sospese per un motivo molto semplice - aggiunge - non si possono affidare oltre 4 miliardi di euro di denaro pubblico per un progetto preliminare sul quale pende un’inchiesta di questa rilevanza. È bene ricordare, infatti, che il termine di presentazione delle offerte da parte dei tre concorrenti scade il 20 aprile ed entro giugno è prevista la scelta del general contractor sulla base del progetto preliminare messo sotto inchiesta dalla procura di Roma».

Due mesi fa cinque ordini di arresto per fermare le mani della mafia sullo Stretto. Anche i clan d’oltreoceano sarebbero pronti a investire sul grande affare. Il primo provvedimento infatti è stato notificato in un penitenziario di Montreal al boss italo-canadese Vito Rizzuto, da sempre legato alle famiglie siciliane di narcotrafficanti Cuntrera e Caruana, l’artefice di un patto con la ‘ndangheta per il controllo delle due sponde.

Perde sempre più colpi il Ponte sullo Stretto. Dopo anni di battaglie ambientaliste, campeggi da una parte e dall'altra della «grande opera» del governo Berlusconi e il no deciso, fin dal primo giorno, del comune di Villa San Giovanni, sul versante calabrese, ora arriva la bocciatura anche del comune di Messina e di un viceministro dell'Ambiente. La commissione «sulla sostenibilità ambientale e sociale» istituita dal comune di Messina, maggioranza di centrodestra anche se attualmente è commissariato, ha votato quasi all'unanimità (un solo voto contrario e un astenuto su 15 componenti) una relazione che dice no al Ponte. Un voto molto significativo, vuoi per le dimensioni della città siciliana rispetto alla dirimpettaia Villa San Giovanni, vuoi perché a pronunciarsi contro ufficialmente è per la prima volta anche il centrodestra. A Villa, infatti, a guidare l'opposizione al Ponte è il centrosinistra, capeggiato dal sindaco della Margherita Rocco Cassone. Già qualche settimana fa alla manifestazione convocata da Legambiente, Wwf e Italia nostra aveva dato la sua adesione, oltre a un vasto cartello di associazioni e comitati, Cgil e Coldiretti, l'assessore regionale ai Trasporti Fabio Granata, di An. Un segno di come gli equilibri si stiano spostando e la grande opera si allontani sempre di più. «Gli argomenti avanzati dalle associazioni ambientaliste sono stati senzaltro convincenti», sostiene Anna Giordano del Wwf, che parla del voto come del «primo pilastro democratico gettato sullo Stretto, al posto di quelli di cemento che invece vorrebbe gettare il nostro governo». Secondo l'esponente ambientalista «i messinesi si sono accorti che il Ponte costerebbe molto allo stato: tra i 5 e i 6 miliardi se si considerano anche le compensazioni ambientali e territoriali necessarie». Ma anche che non ci sarebbe alcun vantaggio dal punto di vista occupazionale e l'ambiente non ne gioverebbe. Anzi, «la realizzazione del Ponte farebbe perdere 400 posti di lavoro stabili oggi presenti nel settore dei trasporti marittimi» e «distruggerebbe uno dei paesaggi più incantevoli del nostro paese e una delle aree chiave dell'ecoregione mediterranea». Inoltre «sono stati trascurati completamente gli aspetti urbanistici e i vincoli ambientali, i cantieri sottrarrebbero alla zona rivierasca otto milioni di metri cubi di terra senza che sia stata prevista alcuna opera di riqualificazione urbana di Reggio Calabria e Messina. La morfologia ne verrà stravolta, anche per la presenza dei giganteschi piloni».

La relazione conclusiva della Commissione presieduta dal diessino Gaetano Giunta, che ha lavorato per sei mesi analizzando le ripercussioni su «economia e trasporti, ambiente, comunità e salute, e cultura», smonta anche le argomentazioni del ministro dei Trasporti Lunardi, per il quale l'opera servirebbe per collegare la Sicilia all'Europa. Il pessimo stato delle infrastrutture siciliane, vale a dire «i segmenti stradali e ferroviari Palermo-Messina e Catania-Messina», toglie ogni alibi al progetto, e fa dire alla commissione che «il corridoio Palermo-Berlino assume i contorni di una confezione di propaganda per l'opera. L'inquadramento proposto appare oggettivamente velleitario e solo sulla carta».

Altro che Europa, dunque. Ne sembra essere convinto anche il viceministro all'Ambiente Francesco Nucara, repubblicano e reggino di origine, che proprio ieri ha sostenuto che costruire il Ponte senza prima adeguare le infrastrutture calabresi e siciliane sarebbe come «girare con la cravatta senza la camicia». Ovviamente, il vice di Matteoli non ha bocciato l'idea in sé, ma ha spiegato che «la ferrovia Palermo-Messina è del 1908» e dunque «prima è necessario dotare la Sicilia e la Calabria di infrastrutture di base». Poi ha ammesso come esista anche un problema finanziario, perché «le risorse sono quelle che sono», ci sono «debiti pregressi da pagare» e «i parametri di Maastricht da rispettare».

Contro il Ponte si è schierato anche un siciliano illustre come il sub Enzo Majorca, per il quale esso «distruggerebbe, oltre all'ambiente, anche il patrimonio storico-culturale, le suggestioni che da sempre animano l'area tra Scilla e Cariddi».

ROMA — E adesso tocca alla Lega. Nello sport nazionale di “tiro al Ponte di Messina” , il Carroccio arriva buon ultimo, ma è in ottima compagnia. Ieri tre pagine del quotidiano “la Padania” hanno segnato l'apertura ufficiale della campagna contro l'opera definita dal premier Silvio Berlusconi “epocale” e dal ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, “degna dell'Impero romano” . Come sempre lapidario l'intervento del ministro della Giustizia, Roberto Castelli: “Se il Ponte sullo Stretto deve essere il pretesto per poi non costruire in Padania, non ci siamo proprio” e ancora: “Se per Calabria e Sicilia l'opera è importante, se la facciano” . A corredo, tanti pareri, tra cui quello del recordman d'immersione, Enzo Maiorca: “Stiamo andando verso il tramonto della civiltà dell'etica e dell'estetica, e la costruzione del Ponte accelererà la fine di questa civiltà” .

Niente di nuovo sotto il sole: in trent'anni di onorata “carriera” il Ponte di nemici ne ha collezionati in quantità. Sarà perché è un'opera che per il suo valore simbolico ha tentato tutti i governi, sarà perché nessuno finora l'ha spuntata, sarà perché in fondo sono meno di 3 chilometri e mezzo, ma qualcuno che a un certo punto organizza una campagna “contro” , c'è sempre.

Oggi è la Lega, ieri era la sinistra della sinistra. Il nemico spesso sta nella maggioranza di governo che ha partorito il progetto, perché solo così è sicuro che la sua opposizione, prima o poi, lo farà fallire.

E si ricomincia daccapo.

Ci sono i catastrofisti, come l'ex sottosegretario dei Verdi, Gianni Mattioli: “Il Ponte crollerà al primo terremoto” . E i filosofici, come il “governatore della Campania, Antonio Bassolino: “Bisogna intendersi sullo stesso concetto di opera pubblica. E non è detto che il Ponte lo sia” .

Ma soprattutto ci sono gli “alternativisti” , quelli come Vittorio Sgarbi per cui “è senz'altro più importante e culturalmente più valido ricostruire la Torre di Pavia che destinare i soldi al Ponte” .

In mezzo c'è di tutto.

Leader carismatici come Marco Pannella, per il quale “il Ponte è un esempio di sviluppo autodistruttivo e un simbolo di una sottocultura missina e palazzinara” . O come Sergio Cofferati che, da capo del maggior sindacato definì il progetto “inutil e e pericoloso: il quinto centro siderurgico del Duemila” .

E poi economisti riconosciuti come Luigi Spaventa per cui il Ponte è “l'ultima presa in giro sullo sviluppo del Mezzogiorno” .

Un politologo come Giovanni Sartori arrivò a scrivere sul Corriere : “Il governo punta su opere faraoniche e non si cura di dissetare persone e terre. Intanto al Nord si stanno liquefacendo i ghiacciai” . Toni più catastrofici di quelli adoperati da un documento della Cei ( Conferenza episcopale) che chiedeva al governo di turno di “non porre l'attenzione soltanto su grandi opere” .

Il tema non poteva sfuggire a un comico attento e irriverente come Beppe Grillo: “Il Ponte sullo Stretto — argomentava — serve solo ai calabresi e ai siciliani. Che poi si odiano e per questo la natura li ha tenuti finora separati” . Ma una vena involontariamente comica dimostrava nel 1994 anche l'allora sottosegretario ai Trasporti, Gianfranco Miccichè ( Forza Italia), che al posto del Ponte, troppo costoso, proponeva le “acquastrade” : “enormi catamarani per trasportare 100 autovetture e 400 persone da Napoli a Palermo” .

La palma della costanza va senz'altro ai Verdi: epica ( e vittoriosa) la battaglia del ministro dell'Ambiente, Edo Ronchi, con il fortissimo sostegno del leader ambientalista Ermete Realacci, contro Antonio Di Pietro, titolare dei Lavori pubblici nel governo Prodi. Ancora l'anno scorso con un blitz all'Europarlamento, verdi, socialisti, comunisti e liberali riuscirono a far cancellare il Ponte dalla lista delle opere prioritarie Ue. Un'operazione cui il governo Berlusconi ha dovuto porre rimedio. Ma di dubbi ne avanzano sempre. Per questo nel 2000 il Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, chiese chiarezza: “Il Ponte sullo Stretto non può essere una favola senza fine: bisogna scegliere” .

Tre chilometri di asfalto che sfigurerebbero uno degli ecosistemi più belli e pregiati d'Italia e sotterrerebbero la possibilità di dare al Mezzogiorno un sistema di trasporti efficiente e pulito. Questo in sintesi sarebbe il Ponte sullo Stretto di Messina, questa la ragione per cui Legambiente, Italia Nostra e Wwf, insieme a molte altre associazioni, promuovono a Messina oggi 12 marzo (l'appuntamento è alle 14 davanti alla Stazione centrale) una manifestazione nazionale per denunciare agli italiani, e in primo luogo ai siciliani e ai calabresi, l'insensatezza di questa opera “tormentone”.

Un'infrastruttura, appunto, insensata. Insensata per l'impatto ambientale e territoriale che determinerebbe su un'area come lo Stretto considerata a livello internazionale di primario interesse naturalistico; insensata perché insisterebbe su una delle zone a più elevato rischio sismico (e anche a più alta ventosità) dell'intero Mediterraneo; insensata, infine, se si confrontano gli oltre 5 miliardi di euro preventivati per la sua realizzazione con la cronica indisponibilità di risorse per affrontare i drammatici problemi di mobilità del Mezzogiorno. Oggi per andare in treno da Palermo a Messina (poco più di 200 chilometri) occorrono almeno tre ore di viaggio, per raggiungere Potenza da Reggio Calabria ce ne vogliono cinque o sei, e su 1450 chilometri di ferrovie siciliane solo 105 sono a doppio binario e quasi la metà non è elettrificata. Se a questi dati si aggiunge il pessimo stato di manutenzione delle reti sia stradali che ferroviarie e la qualità più che scadente dei servizi di trasporto pubblico, si ottiene una fotografia attendibile del collasso della mobilità nel Sud: rispetto a una situazione così degradata, che costituisce oltretutto uno degli ostacoli principali sulla via del rilancio economico delle regioni meridionali, il Ponte sullo Stretto non migliorerebbe le cose di una virgola, anzi le peggiorerebbe assorbendo molti miliardi di soldi pubblici. E qui veniamo all'altro punto dolente. Per anni i principali sponsor del Ponte hanno ripetuto fino alla noia che l'opera non sarebbe costata una lira allo Stato. Ora la verità è venuta a galla: l'ipotesi dell'investimento privato integrale non è praticabile, e almeno metà dei 5 o più miliardi di euro necessari a costruire il Ponte (lievitazioni in corso d'opera a parte) proverrà dalle casse pubbliche sotto forma di aumento di capitale garantito da Fintecna, Anas e Ferrovie, della Società Stretto di Messina. Inoltre, le Ferrovie si accolleranno la bolletta più alta, obbligate dal Governo a pagare un canone annuo di 100 milioni di euro (che col passare del tempo diverrà sempre più caro) come “pedaggio” forfetario per il passaggio dei propri treni sul Ponte. Complessivamente le Ferrovie dovrebbero così sborsare circa 4 miliardi di euro in 30 anni e, come non bastasse, cui si deve aggiungere il costo di tutte le opere di collegamento, interamente a loro carico, e la rinuncia a 38 milioni di euro l'anno che ricevono oggi per svolgere il servizio di traghettamento dei convogli (e che saranno intascate dalla Società Ponte sullo Stretto di Messina). Che bell'affare, eh? Come faranno le Ferrovie, se questo scenario si dovesse davvero realizzare, a investire sul resto della rete, sul completamento del raddoppio delle linee ferroviarie Palermo-Messina e Messina-Catania ad esempio, è davvero difficile da immaginare. E come farebbe il Governo a giustificare questi aiuti pubblici di fronte all'Europa, che non li consente?

Un altro “leitmotiv” molto caro alla “lobby del Ponte” è che l'opera porterebbe molto lavoro: anche in questo caso, però, i dati mostrano una realtà tutta diversa. Con l'apertura dei cantieri arriverebbero, è vero, alcune migliaia di posti di lavoro “a tempo”, ma quasi altrettanti se ne perderebbero stabilmente nel settore dei collegamenti via mare, senza contare che a parità d'investimento la costruzione di opere pubbliche ex-novo produce un vantaggio occupazionale molto più basso che non la manutenzione e l'ammodernamento delle infrastrutture esistenti.

Oggi queste realtà sono diventate evidenti. Oggi il sì al Ponte è tra i simboli più efficaci di scelte fallimentari nel settore delle infrastrutture, non sostenute da alcuna seria e intellegibile politica dei trasporti e che rendono sempre più forte il predominio della mobilità su gomma, allontanandoci sia dall'Europa (non c'è in nessun altro grande Paese europeo un tale predominio del trasporto su gomma) e sia dall'approdo a sistemi di mobilità più sostenibili (senza un forte rilancio delle ferrovie, l'Italia non potrà conseguire quella sensibile riduzione dei consumi energetici indispensabile per centrare gli obiettivi di stabilizzazione del clima che ci impone il Protocollo di Kyoto).

Realizzare il Ponte sarebbe una decisione inconciliabile con l'obiettivo, che tutti a parole indicano come prioritario, di rendere il nostro Paese, e il Mezzogiorno in particolare, più moderni e più efficienti. Quest'opera che qualcuno ancora agita come una sorta di panacea per i mali del Sud, non proietterebbe la Sicilia e la Calabria verso il terzo millennio, semmai sottrarrebbe le risorse agli investimenti veramente utili per queste due regioni e le inchioderebbe a perpetuare definitivamente la peggiore “italietta” del passato.

Il Ponte sarà pagato dalle Ferrovie

Il Ponte sullo Stretto sarà costruito solo con soldi pubblici. I privati non rischieranno neppure un euro. E in questa situazione, un ruolo fondamentale lo giocheranno le Ferrovie dello Stato che, a causa di una convenzione siglata tra Governo e società Stretto di Messina, saranno costrette a svuotare le proprie casse per finanziare la mega opera: un investimento da oltre quattro miliardi di euro. Soldi sottratti ad altre – indispensabili – opere infrastrutturali per il Mezzogiorno.

Per questo motivo è stata organizzata una grande manifestazione nazionale che si terrà l’11 e il 12 marzo e che vedrà la partecipazione dei vertici nazionali del movimento contro il ponte. Il primo giorno davanti a diverse stazioni calabresi, il secondo con un doppio appuntamento: una manifestazione, al mattino, a Reggio Calabria, e una, nel pomeriggio, a Messina.

L’accordo tra Governo e società Stretto di Messina è la dimostrazione che “è il complessivo impianto economico-finanziario a non reggere, un vero e proprio colabrodo- afferma di Michele Pansera di Italia nostra Calabria -“Del resto- sono stati gli stessi advisor, a suo tempo nominati dal ministero, ad affermare che con il ponte non vi saranno significative modificazioni alle tendenze di traffico esistenti. Nella valutazione economica manca inoltre una stima credibile sulla concorrenza dei traghetti, proprio il motivo che ha determinato la crisi finanziaria del tunnel sotto la Manica”. Pansera aggiunge un elemento interessante: “La poca disponibilità a partecipare all’investimento da parte dei privati trova conferma nelle “condizioni di convenienza” improponibili rilevate dalla stessa commissione del ministero delle Infrastrutture coordinata da Gaetano Fontana già a settembre del 2001”.

La Convenzione che riguarda le ferrovie è un’ulteriore prova di ciò. “Pesantissima e insopportabile è la tassa che le Ferrovie dello Stato dovranno pagare – sottolinea Nuccio Barillà di Legambiente - per far passare i treni sul ponte: una cifra che da cento milioni di euro l’anno crescerà gradualmente in trent’anni. Con un costo complessivo di 4 miliardi di euro, ottomila miliardi di vecchie lire. Ma c’è di più: la convenzione stabilisce che, entro il 31 dicembre 2011, Rfi dovrà finanziare e realizzare tre opere ritenute “essenziali” di collegamento al ponte”. Si tratta del collegamento con Messina e la costruzione di una nuova stazione, lo spostamento della linea tirrenica in corrispondenza di Cannitello (perché lì andrebbero le torri del ponte) e un nuovo collegamento in galleria con Villa San Giovanni per recuperare il dislivello tra la linea storica posta vicina al mare e il ponte, a 70 metri di altezza. Beatrice Barillaro, del Wwf, sottolinea le procedure illegittime seguite dalla Commissione di Valutazione di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente, con particolare riferimento per l’omissione della valutazione d’incidenza sulla zona di protezione speciale comunitaria dove dovrebbe sorgere il pilone del Ponte sul versante siciliano. Addirittura – afferma la Barillaro – il ministero non ci ha consentito l’accesso ai documenti, negandoci il fondamentale diritto all’informazione e impedendoci di presentare ulteriori osservazioni”.

Alla luce di tutto ciò, il comitato promotore dell’iniziativa lancia un appello a tutte le personalità del mondo della cultura, dell’informazione, dell’economia e della politica, per chiedere “di riaprire un confronto sugli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno, che parta dalla rinuncia al Ponte e metta al centro le priorità che riguardano le ferrovie, i porti, la sicurezza stradale, per avviare uno sviluppo virtuoso che valorizzi le risorse territoriali e crei occupazione duratura”

28 febbraio 2005

Non si può dar torto a Berlusconi quando afferma che il ponte sullo Stretto è "un'opera strategica". Se infatti tutti i suoi predecessori, Presidenti del Consiglio, hanno tergiversato accontentandosi di foraggiare le piccole lobbies locali pro Ponte e garantendo loro per trent'anni lauti stipendi ed uffici, solo lui ha saputo intuire le potenzialità straordinarie del progetto. Un'opera inutile e irrealizzabile, è vero, ma con una formidabile disponibilità finanziaria immediata (3.000 miliardi di lire, dote dell'Iritecna, immediatamente spendibili) che rende piacevole la altrimenti disperata missione di rendere progettabile l'impossibile.

Un'opera inutile che nessuno vedrà mai completata può fare miracoli. In primo luogo la progettazione ha già una dotazione finanziaria che metterebbe l'acquolina in bocca a chiunque. La società che vincerà la gara come "main contractor" vedrà le sue quotazioni impennarsi e questo soltanto potrebbe garantire il profitto dell'operazione. Il completamento o meno del lavoro diventa ininfluente in quanto nessuna garanzia, sembra, sarà richiesta circa i tempi. E centinaia di motivi salteranno fuori, in corso d'opera, per giustificare ritardi ed errori di progettazione, e richiedere quindi ulteriori finanziamenti e allungamento dei tempi di consegna.

Si preannuncia quindi una specie di pozzo di San Patrizio da cui si potranno drenare risorse pubbliche (e solo pubbliche) per decenni. I precedenti, per quanto modesti al confronto, sono sotto gli occhi di tutti, dall'Autostrada Palermo-Messina alla Variante di Valico. Si ripeterà quindi, molto in grande questa volta, il solito scenario in cui tutti i profitti vanno ai privati (ampia categoria che troverà una fonte di finanziamento praticamente illimitata) e tutti i costi al pubblico a cominciare dai fondi che potrebbero essere spesi in modo produttivo altrove nel Meridione o nel resto d'Italia.

Tutto ciò dimostra una cosa: che questa è un'opera strategica non solo per la Sicilia o la Calabria ma per l'intero Paese, che la sua realizzazione avvenga o meno. Ancora oggi fuori dalle aree direttamente interessate si tende a considerare la questione Ponte come un problema locale che poco tocca gli interessi collettivi. Su questo le associazioni ambientaliste sono sicuramente più avanti di molti partiti avendo intuito che non sarà solo la devastazione ambientale a segnare l'esecuzione (anche se solo parziale) del Ponte. L'impiego di migliaia di miliardi solo sul Ponte frena la realizzazione di infrastrutture di trasporto alternativo alla strada (Autostrade del Mare e ferrovie in primo luogo) condannando le produzioni meridionali alla pura sopravvivenza assistita e le reti autostradali del nord al già visibile collasso.

Va detto che anche molti settori del centro sinistra su questa vicenda sono spesso reticenti e ambigui. Non è stato dimenticato l'intervento di Rutelli in campagna elettorale che assicurava ai giornalisti che con il suo governo il Ponte sarebbe stato realizzato. Frutto del desiderio di far contenti tutti, di scarsa informazione o della consapevolezza delle potenzialità "strategiche" che si aprono per un governo che possa mettere le mani su una torta di queste proporzioni e caratteristiche?

Oggi che, grazie alla determinazione del governo Berlusconi, si è passati dalla fase immaginifica a quella operativa con i quattrini fra i denti, alla sinistra spetta il compito di dire una parola chiara e di scegliere una linea. Linea che non può essere quella di nominare commissioni di studio, advisors e simili facezie. Meglio affrontare il problema e decidere da che parte stare e meglio ancora dire ai propri elettori le ragioni delle scelte senza rifugiarsi nelle solite parole vaghe e buone per tutte le occasioni.

Si può decidere che il Ponte è opportuno farlo. Legittimo. Mettendo subito in mano a chi farà la progettazione qualche migliaio di miliardi (i nomi già circolano), far partire appalti per movimento terra per altre migliaia di miliardi (sperando che siano riconoscenti subito ed al momento delle elezioni) sapendo che questa scelta avrà conseguenze sul futuro non solo dell'area dello Stretto.

Ci auguriamo, senza voler dare lezioni a nessuno, che si riesca ad avere la lucidità di comprendere che non è utile accodarsi e condividere posizioni che nell'immediato possono sembrare più produttive sul piano del consenso. Le Associazioni non dispongono di sondaggisti ma possiamo assicurare che in un anno l'opinione pubblica, grazie all'opera di informazione che capillarmente si sta conducendo almeno in Sicilia, sta cambiando punto di vista. Informazione e non propaganda, si noti. Siamo disponibili, dopo esserci spesi nell'approfondimento di tutti gli aspetti di questa vicenda (tecnici, economici, trasportistici) e non solo quelli di stretto carattere ambientale, a dare un contributo per spiegare il nostro punto di vista non preconcetto ma informato. Spiegarlo in tutte le sedi a chi è interessato, e ci auguriamo, quindi, in primo luogo anche a chi fa la politica del nostro Paese.


Si farà davvero il ponte sullo stretto di Messina? Sembrerebbe di sì. Il governo ha appena varato il bando per cercare il general contractor dell´immensa opera, in pratica il regista di tutti i lavori, che saranno poi necessariamente subappaltati a varie imprese. Insomma, ci siamo. L´opera più colossale mai pensata in Italia, e probabilmente la seconda in Europa, sta per partire sul serio? Sì e no.

Sì, nel, senso che le cose andranno avanti e forse si arriverà persino a sradicare qualche albero, a spianare un po´ di terreno e a mettere giù un paio di prime pietre in tempo per le elezioni del 2006, con ministri e presidenti con in testa il casco giallo da muratori. No, nel senso che secondo me non vedremo mai le auto e i camion sfrecciare sullo stretto di Messina. In compenso molti soldi saranno spesi comunque. Forse addirittura moltissimi.

Ma cerchiamo di capire perché, nonostante tutto, la ciclopica opera non vedrà la luce.

Intanto c´è il problema del senso dello Stato. Che c´entra con il cemento, il tondino di ferro e i mattoni? C´entra. Un´opera del genere richiede almeno una decina d´anni di lavoro e quindi richiede che ci sia o una classe politica totalmente convinta sulla necessità di fare questa cosa oppure una classe burocratica (nello Stato) molto solida, molto sicura, molto determinata.

Ebbene, i politici italiani non mi sembrano proprio convinti come un sol uomo che questo ponte va fatto. Anzi, circolano parecchi dubbi, soprattutto a sinistra, dove l´idea di gettare nove miliardi di euro (quasi venti mila miliardi di vecchie lire) in un manufatto di dubbia utilità e necessità non trova molti consensi.

Nel caso (probabile) di un cambio di governo nel 2006, quindi, il ponte di Messina dovrebbe essere una della prima cose che verranno gettate a mare. Ma anche nel caso in cui dovesse rivincere il Polo non è detto che ci sia più la stessa determinazione di oggi nel proseguire i lavori. Gli anni che ci attendono non sono certo molto brillanti. Verranno a galla nuovi conflitti sociali e arriveranno in primo piano parecchie altre emergenze. Ad esempio, visto che siamo da quelle parti, la questione degli acquedotti siciliani.

Rimarrebbe la classe burocratica, eventualmente decisa a portare avanti un mandato ricevuto da questo governo («fare il ponte»). Ma non direi che in Italia abbiamo questo tipo di burocrazia. Anzi, qui da noi, magari, già adesso i solerti burocrati sono lì che cercano di tirare tardi per evitare di doversi misurare con un problema che rimane comunque grosso e quindi potenzialmente pericoloso.

Ma, anche ammettendo che in un modo o nell´altro l´impresa vada avanti, è assai difficile che qualcuno di noi possa mai sfrecciare sul quel ponte. Infatti, se non lo faranno i politici e la burocrazia, il ponte si affonderà da solo, come un dinosauro troppo stanco per andare in giro a cercare foglioline tenere.

Nel caso del ponte, le foglioline tenere sono i soldi, miliardi di soldi. Si è detto che l´immane opera costerà nove miliardi di euro. Si tratta di una cifra colossale (un decimo basterebbe per salvare l´Alitalia e per sistemare non so quanti acquedotti siciliani). Ma, come l´esperienza ci insegna, questo è solo il costo «adesso», in fase di progetto. Poi, nell´arco di tempo dedicato all´eventuale realizzazione del manufatto, è evidente che tutti i costi saliranno (l´acciaio, ad esempio, è già aumentato in misura enorme). E quindi anche il costo complessivo dell´opera lieviterà. Impossibile immaginare uno scenario diverso. Non è mai successo. Alla fine, ben che vada, verrà a costare il doppio.

E da dove salteranno fuori tutti questi soldi? Ma, si dice, dal project financing. L´opera cioè in parte (forse per il 50 per cento, si dice) si finanzierà da sé. Sarà una specie di miracolo. Una moderna moltiplicazione dei pani e dei pesci. Si finanzierà, si dice, attraverso i futuri incassi dei pedaggi per i transiti sul ponte. Fantastico. Le banche anticipano i soldi, e poi questi verranno restituiti, anno dopo anno, grazie agli incassi.

Mi sembra di sentire la storia dell´Eurotunnel sotto la Manica. Anche quello, nell´idea dei promotori, doveva finanziarsi da sé, attraverso i pedaggi per i transiti fra il Continente e la Gran Bretagna. Sulla carta tutto era chiaro e semplice. Tot pedaggi per tot anni e l´Eurotunnel è pagato. Peccato che tot per tot non sia successo o che sia successo in misura molto inferiore al previsto. L´Eurotunnel è già fallito un paio di volte e non so quanto è costato alla fine ai governi interessati.

Insomma, quando si ha molta voglia di fare queste opere ciclopiche si trovano sempre ingegneri che spiegano che farle costa poco. E finanzieri che spiegano che con un buon project financing tutto va a posto senza che lo Stato debba tirar fuori una lira. Peccato che poi, come da tradizione, nelle grandi opere ci sia sempre qualcosa che va storto. I preventivi saltano, i viaggiatori che nei progetti iniziali dovevano pagare il tutto non si fanno vedere e migliaia di tonnellate di cemento rimangono a carico dello Stato, delle Regioni, delle province e dei comuni interessati. Quindi non ci sarà la corsa a finanziare il ponte. Dopo l´Eurotunnel tutti si sono fatti un po´ più svegli.

Insomma, il ponte (se mai si arriverà a tentare di farlo davvero) andrà giù da solo, ancora prima di essere costruito. A noi spettatori, pro quota, toccherà pagare il conto del cemento, del tondino di ferro e dei mattoni, per quel poco o tanto che si sarà fatto prima di dire «Basta».

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Non ho ancora letto Meridiana, e mi riservo di farlo e di pubblicare alcuni degli interventi lì pubblicati. Vorrei subito fare due osservazioni.

La prima. Nella sinistra italiana c’è sempre stato chi ha visto con favore il Pontone. Questo atteggiamento è certo collegato con le simpatie ottocentesche che ancora in essa albergano: le Grandi Opere come simbolo delle “magnifiche sorti e progressive”, l’illusione che le Grandi Infrastrutture possano risolvere i problemi del territorio, per non parlare della propensione a privilegiare l’occupazione coute qui coute.

La seconda. Chi attribuisce mitiche funzioni strategiche a una Sicilia finalmente collegata al continente da un ponte, come mai non ha mai pensato ad attribuire quelle funzioni alla Calabria?

Francesco Merlo

Se la sinistra scopre che il Ponte è di sinistra

FOSSE pure vero che non c´è convenienza economica, il Ponte sullo Stretto di Messina andrebbe comunque costruito, senza arroganza verso le ragioni dei ragionieri ma con un filo d´ironia, visto che nessuno ha fatto i conteggi alla Torre Eiffel o alla Statua della Libertà ma tutti capiscono che senza Torre e senza Statua a Parigi e a New York ci sentiremmo persi. Solo grazie ai simboli infatti uno spazio dove ci smarriamo diventa un luogo nel quale ci ritroviamo. Non è insomma per ragioneria che si fanno i ponti, ma per ridurre le distanze. Anche in bocca, tra due denti, si fa un ponte. Tra due feste si fa un ponte. Si fanno ponti per i sospiri, e persino il ballerino di Lucio Dalla «balla su una tavola tra due montagne». Non c´è civiltà che non sia stata edificata attraverso i ponti, non c´è bellezza di città senza ponti, negli Usa come in Portogallo, in Svezia come in Francia, in Scozia come in Australia e in Giappone. Del resto chi fa ponti, in qualche misura diventa pure papa, pontifex, pontefice. Si fanno ponti anche come sberleffo alla natura, quella dei terremoti e quella dei vulcani, e si fanno ponti per dare ordine e bellezza al paesaggio che non è fatto di mitili e di mostri omerici, ma è fatto dagli uomini e dai loro progetti, perché nessun uomo ha mai visto la Terra senza gli uomini. Il Ponte insomma è bello, ed è sempre e comunque sviluppo, è progresso, è darsi la mano, è il binario per il pendolino e per l´Eurostar che si sono fermati a Eboli, è l´adeguamento delle autostrade al flusso di automobili e di camion. Il Ponte sconvolge l´arretratezza del sistema viario perché accelera e parifica. E anche con i bilanci in rosso, il Ponte sarebbe comunque ricchezza, risorse, opportunità straordinarie, nuovi posti di lavoro. Alla fine insomma questo Ponte sullo Stretto è l´opera più bella e più avanzata che l´Italia possa realizzare, è un risarcimento al nostro Sud, ed è - deve essere - un´operazione laico simbolica keynesiana, la fine di un handicap, la fusione di Messina e Reggio nella Città dello Stretto, come una nuova Costantinopoli. Perciò il Ponte è di sinistra, anzi è quanto più di sinistra si possa fare (non dire, ma fare) oggi in Italia.

E infatti, a sorpresa, la sinistra meridionalista sta riscoprendo le ragioni del Ponte sullo Stretto e, senza troppa timidezza, avanzando per riviste e per convegni, si fa ponte verso il Ponte di Berlusconi, vorrebbe spingerlo a passare dal virtuale al reale, posare insieme con lui quella prima pietra prevista nel prossimo mese di maggio, e magari pure sfilargliela di mano, perché i ponti si possono anche discutere, ma poi, alla fine, si fanno, e mai per ragioni contabili, visto che nessuno le ha mai applicate al Ponte di Brooklyn, e si viaggia magnificamente dentro il tunnel che attraversa la Manica, malgrado i bilanci siano ancora drammaticamente in rosso.

Torna dunque il Ponte di sinistra o, meglio, la sinistra del Ponte, proprio quando il più grandioso progetto del governo Berlusconi, il più meridionalista dei suoi progetti, maltrattato dalla burocrazia di Bruxelles, rischia di rivelarsi, già nei prossimi vertici europei della prima metà d´ottobre, un ponte di sabbia o meglio un ponte di carta. Aggredito dall´arcaismo retorico del più candido, ingenuo e peggiore ambientalismo, e trascurato dallo stesso Berlusconi che lo ha usato come strumento propagandistico, uno dei suoi tanti belletti, il Ponte è infatti, come tutte le trovate berlusconiane, un´impresa, ma solo nella dimensione virtuale e mediatica, la dimensione dell´inesistenza. E però l´impresa, perfetta per simulazioni, prove e controprove, disegni, grafici e colonne sonore, non può diventare reale senza gli attrezzi politici e culturali, la voglia di potenziare il territorio, e il rischio degli imprenditori privati che, sia pure con il sollievo dei crediti agevolati della Banca Europea (Bei), dovrebbero affrontare il 60 per cento di un investimento che si avvicina ai 6 miliardi di euro. Ed è inutile cercare un punto mediano tra la virtualità catastrofista della sinistra economicista che prevede, testualmente, "un Ponte frequentato solo dai gabbiani" e la virtualità berlusconiana che lo immagina come "una macchina per soldi" capace di "risolvere i più grandi problemi del Mezzogiorno". Opposte previsioni di spesa si fronteggiano sugli spalti dei giornali avversari, ma sono dati che non andrebbero contrapposti ma invece giustapposti. I vantaggi infatti non andrebbero assolutizzati e gli svantaggi non andrebbero drammatizzati. Bisognerebbe lavorare per ridurre l´area degli svantaggi e accrescere quella dei vantaggi. Questa è la politica.

Ebbene, che la politica, la cultura politica di sinistra, voglia riscoprire il Ponte, aprirsi, articolarsi e magari da subito riprendersi quel Ponte che aveva fatto sognare i suoi migliori meridionalisti, che la sinistra voglia infilarsi nel progetto Ponte, lo si scopre con gioia leggendo il numero 41 della rivista del neomeridionalismo di sinistra, che si chiama appunto Meridiana e che al Ponte è interamente e variamente dedicata, con un bellissimo saggio introduttivo di Lea D´Antone. Con l´idea dinamica, non scontata, che non esiste il Mezzogiorno ma esistono i Mezzogiorni, dove non tutto è sempre e comunque arretrato, la rivista è marcata Donzelli, editore di tutto rispetto e rivista-manifesto degli storici meridionalisti cinquantenni in cerca del simbolo di una generazione.

E difatti leggendola si capisce bene come il Ponte sullo Stretto possa rappresentare, finalmente meglio e più del terrorismo, il simbolo della generazione del Sessantotto. Sono infatti loro che lo vogliono; siamo noi che, giunti alla maturità, vogliamo i ponti mentre prima volevamo dittature e bardature, chiusure e costruzioni anti. Il Ponte per la sinistra italiana potrebbe significare dunque anche il giro di volta della maturità, perché questa generazione del Sessantotto è ancora alla ricerca del suo simbolo, e il ponte è la conclusione logica di quel percorso, di quell´avventura fatta tutta per rottura di ponti.

E la mafia? A Palermo non ci sono ponti, la mafia non è nata né sopra né sotto i ponti. Certo, la mafia c´è e qualsiasi grande investimento corre il rischio della mafia. Ma forse, contro la mafia, non bisogna più investire nel Sud? E non sarebbe, il rinunciare al progresso e allo sviluppo per paura della mafia, la maniera più vile di arrendersi alla mafia? Per alcuni la mafia cresce nella povertà e nel sottosviluppo, per altri nella ricchezza e nello sviluppo, c´è chi la lega al grano e alla terra arida, chi all´arancia e all´acqua. A Gela la mafia è arrivata con l´industria ma a Villalba, Mistretta, Montelepre, Corleone non c´è mai stata industria. La verità è che la mafia si combatte con polizia e magistratura, con la pazienza, l´eroismo e il rischio d´impresa che è fatto di innovazione e dunque anche di ponti. I testi di Morale ci insegnano del resto che l´angoscia d´esser nati può diventare forza criminale quando va verso la disoccupazione, o forza propositiva, ergon, quando va verso il lavoro.

Infine, e di nuovo, Berlusconi. Si può volere il Ponte che vuole Berlusconi e cominciare a farlo insieme a lui. È questo il solo modo per sottrarlo alla sua ormai proverbiale e furba dabbenaggine, il modo per introdurre garanzie, rapporti con il sindacato, e alla fine fare del progetto Ponte un Parlamento con maggioranza e minoranza, prendere il controllo di una grandiosa operazione che non è solo economica e deve essere gestita da tutta la cultura politica italiana, perché riguarda tutta l´Italia, la simboleggia tutta, Ponte tra le due Italie, tra le due culture, tra le due esigenze. Il Ponte che, come la rivista di Piero Calamandrei, unifica senza confondere, e addirittura rinsalda le identità perché le fa diventare identità aperte contro le identità chiuse che ti fanno orgoglioso e spocchioso, ma non ti portano da nessuna parte.

Ecco: il Ponte, per la sinistra, è anche un ponte contro la spocchia, contro la sicumera, contro il complesso di inferiorità coperto di muscoli, il Ponte al posto dei baffi di ferro e dei girotondi, il Ponte per non smarrirsi nello spazio astratto dell´ideologia, nell´Italia-manicomio che, pur di fare un´altra pernacchia a Berlusconi, vorrebbe volare da Scilla a Cariddi con la liana e l´urlo di Tarzan.

Diciamo no al ponte sullo Stretto

Sen. Anna Donati, Capogruppo Verdi

Nel suo provocatorio articolo Francesco Merlo scrive che il "Ponte sullo Stretto di Messina è l'opera più bella ed avanzata che l'Italia possa realizzare, anche se non è conveniente e se non serve, perché è un simbolo, un monumento, il riscatto del Mezzogiorno". Carente solo in un punto: non evoca l'eros, della serie "il mio è più lungo del tuo", implicito nel progetto, che avrebbe aggiunto intima suggestione all'opera. Ma passando dall'articolo alla realtà: il ponte non ha flussi di traffico sufficienti (e quindi unisce poco), lascia un pesante segno sul territorio (e quindi distrugge identità) e costituisce una modesta sfida tecnologica per il nostro tempo. Sarà interamente pagato dai cittadini e soprattutto dalle generazioni future, che si troveranno un pesante debito nel bilancio dello Stato. Peccato che costi solo 6 miliardi euro che potrebbero essere meglio impiegati per realizzare strade, ferrovie, ospedali, reti idriche e riqualificazione delle città di cui il Mezzogiorno ha urgente bisogno. E magari rinunciare al condono edilizio previsto dal governo Berlusconi per fare cassa e realizzare anche le opere strategiche come il ponte tra Scilla e Cariddi. Il ponte è un monumento simbolo troppo caro e per la generazione del '68 sarebbe utile identificarne uno più economico e suggestivo, magari aprendo un concorso d'idee. C'è però un argomento stimolante che Merlo evoca: come si lascia nel terzo millennio, in un paese come l'Italia, pieno di simboli veri, d'opere d'arte, di città uniche al mondo, un'opera del costruito, un segno per la memoria e d'identità del presente. Apriamo una discussione anche su questo.

Non è un simboloè un'opera in perdita

Gaetano Benedetto, Segr. Agg. Wwf

Ormai è chiaro: il ponte sullo stretto di Messina, se mai sarà, verrà realizzato in perdita con soldi pubblici. Il numero dei transiti, anche nelle migliori ipotesi, non consentirà infatti di rientrare degli investimenti. Altrettanto chiaro è che il progetto presentato è un colabrodo e purtroppo sarà la giustizia (che verrà chiamata in causa dagli ambientalisti e non solo) a stabilire se le procedure seguite nella valutazione ambientale e socioeconomica corrispondono a quanto previsto dalla legge. Merlo ripropone il ponte quale simbolo. Ma non si sta realizzando il ponte quale monumento a futura memoria, e proprio perché non è un monumento, ma dovrebbe essere un'opera funzionale alla mobilità del paese, i miliardi d'euro previsti (di certo sottostimati) devono esser valutati rispetto al calcolo costi/benefici della comunità nazionale. Anche considerando una radicale riorganizzazione portuale con la realizzazione di nuove infrastrutture, il ponte rimane comunque un'opera in perdita, la cui costruzione poteva essere motivato solo dalla necessità di realizzare un opera "manifesto", un'opera cioè "simbolo". Il Paese ha questa necessità? E soprattutto, sono questi i simboli di cui oggi abbiamo bisogno? Prescindiamo dunque dai soldi, dalle tecniche costruttive, dai problemi geofisici, prescindiamo da tutto: come sostenere che il ponte non sia uno sfregio in un luogo del mito qual è quello di Scilla e Cariddi? Come non pensare che l'identità di un'isola, qual è la Sicilia, sia proprio nel suo esser isola? Il nostro è certamente un Paese che ha bisogno sia d'opere pubbliche utili che di simboli positivi. Basta intendersi su quali questi siano e debbano essere. Crediamo che le grandi opere pubbliche di cui il nostro Paese ha bisogno siano in realtà una miriade di piccole opere che ricostruiscano la trama d'un territorio massacrato da incultura e malgoverno, che rendano efficienti i sistemi e le reti di servizio esistenti, a cominciare da acquedotti, elettrodotti, ferrovie, strade.

Il Ponte, tabù e sfidedel centrosinistra

Mario Virano, Consiglio amministrazione Anas

L'articolo di Francesco Merlo sulla riscoperta del Ponte come opera "di sinistra" è chiaramente un paradosso sui tabù della cultura progressista e una metafora delle questioni contraddittorie di cui la politica neo keynesiana dell'Ulivo dovrebbe farsi carico per tornare a governare. Nelle prime reazioni "da sinistra" sembra prevalere l'effetto scandalo ma mai come in questo ca¬so vale il detto evangelico "oportet ut scandala evenient". Come uomo "di sinistra" e come amministratore Anas (azionista di peso della Società del Ponte sullo Stretto) vorrei racco¬gliere fino in fondo la provocazione di Merlo e considerare la questione del Ponte come cartina di tornasole fra i tre possibili scenari politici in cui l'opera si colloca: annunciare grande e fare piccolo; fare grande e pensare piccolo; pensare grande e fare conseguentemente. L'azione del governo pare oscillare fra i primi due, con una prevalenza del primo scenario incentrato sull'effetto-an¬nuncio; c'è però il rischio che si af¬fermi il secondo, e un'opera straor¬dinaria come il Ponte venga vista come un qualunque altro ponte, so¬lo più grande, più difficile e più co¬stoso. Questa sarebbe l'eventualità peggiore, perché richiederebbe enormi risorse per fare in grande ciò che si è concepito in piccolo cioè senza una strategia generale degna di questo nome. Infatti, se è vero che le grandi opere valgono anche per il loro valore simbolico, sarebbe im¬possibile motivare il Ponte solo in base all'obiettivo dell'integrazione piena del "mercato interno insula¬re" con quello "continentale". Altra cosa è invece la sfida del Ponte se si immagina la Sicilia come grande piattaforma logistica dell' Europa, protesa nel cuore del Mediterraneo. Il collegamento stradale e ferrovia¬rio attraverso il ponte significhereb¬be il prolungamento via terra di un molo continentale unico sulle rotte fra Suez e Gibilterra, offrendo al si¬stema Italia opportunità assoluta¬mente inedite nell'Europa a 25. Questa visione però comporta una contestuale soluzione dei colli di bottiglia dei valichi alpini, perché solo così, aprendo i collegamenti ferroviari e stradali verso il centro nord dell'Europa, il Ponte può tro¬vare una motivazione reale oltre i paradossi di Merlo. C'è la capacità di impostare un progetto unitario di questa portata con una conseguen¬te politica economica in grado di mobilitare le risorse pubbliche e private in grado di sostenerne l'at¬tuazione? Oggi nel centrodestra non mi pare di vedere questa capa¬cità; spero possa esserci in un cen¬trosinistra che abbandoni definiti¬vamente ogni logica del "piccolo è bello" per sposare la sfida del pen¬sare in grande operando conse¬guentemente.

Pareri sullo Stretto

nella rivista Meridiana

Piero Bevilacqua, Direttore "Meridiana"

L'articolo di Francesco Merlo del 1 ottobre contiene alcune ine¬sattezze e forzature su cui ho l'ob¬bligo di intervenire. Non è vero che Meridiana abbia sposato o perorato la causa della realizzazione di quel¬l'opera. Io ad esempio sono contra¬rio per più ragioni che per brevità non espongo. Ma tutto il numero in questione ha ospitato posizioni di¬verse, perché esso intendeva offrire ai lettori una pluralità di pareri, ana¬lisi, punti di vista, fondati su studi e meditate riflessioni. Questo è tanto vero che Mario Pirani, intervenen¬do su Repubblica all'uscita della ri¬vista, aveva potuto sottolineare e condividere la contrarietà di auto¬revoli studiosi a quell'opera. In realtà, in coerenza con la sua "filo¬sofia" e il suo stile, Meridiana aveva tentato di porre il problema ponte il più possibile al centro di un esame spassionato e complesso e al riparo dalle vulgate ideologiche. Constato che, almeno su quest'ultimo punto, abbiamo fallito lo scopo.

Il numero 41 della rivista Meridia¬na è presentato dall'editore Carmi¬ne Donzelli. L'apertura della discus¬sione, e quindi il tono e il senso della monografia, sono cadenzati dal sag¬gio introduttivo della professoressa Lea D'Antone, che spiega le ragioni storiche e attuali della necessità del Ponte. Ovviamente la rivista ospita, e io l'ho scritto nel mio articolo, altri interventi che, come sempre in que¬sti casi, rafforzano il saggio a cui fan¬no da contorno e dunque forzano - loro non io - la piega del discorso. Del felice risultato complessivo ho già scritto, e Carmine Donzelli me ne è garbatamente grato. Adesso ap¬prendo con interesse che il professo¬re Bevilacqua è contrario al Ponte. Chieda a Donzelli di finanziare un altro numero per argomentare le sue ragioni. (f. mer.)

La commissione speciale di valutazione di impatto ambientale ha comunicato il 20 giugno scorso il proprio parere positivo riguardo il progetto preliminare del ponte sullo stretto di Messina al ministero dell'ambiente. Il giudizio scontato della commissione, per gli effetti della legge obbiettivo che ha previsto la riforma delle procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e dell'autorizzazione integrata ambientale, contiene delle raccomandazioni e delle prescrizioni di cui la società Stretto di Messina e il general contractor dell'opera dovranno tenere conto nel redigere il progetto definitivo dell'opera. Il parere è stato votato all'unanimità dalla commissione speciale insediata specificamente dal ministero dell'ambiente ed è posto a conclusione di una lunga relazione tecnica cui hanno lavorato oltre che i tre membri della commissione, otto esperti dell'Apat (Agenzia per i servizi tecnici e la protezione ambientale) e cinque esperti esterni in qualità di associati.

Il parere della commissione Via prevede raccomandazioni e prescrizioni raggruppate in tre punti: programmatico, progettuale e ambientale.

Sotto il profilo programmatico le prescrizioni sono tre: il progetto definitivo dovrà essere compatibile con le strategie ed i piani di sviluppo con i quali è destinato ad interagire; dovrà prevedere adeguati scavi esplorativi per il profilo archeologico e, dovrà attuare nella fase di realizzazione una significativa riqualificazione dell'opera .

Sotto il piano progettuale ci sono da una parte due raccomandazioni: concordare con Reti ferroviarie il programma di realizzazione delle opere connesse al ponte e inserimento di un crono programma delle varie fasi di lavoro e, dall'altra due prescrizioni: la tempestiva realizzazione della linea ferroviaria in località Cannitello e la descrizione delle modalità di risoluzione di alcune interferenze nella costruzione delle fondazioni delle torri e delle strutture di cantiere.

Per quanto riguarda infine il più importante quadro di riferimento ambientale la commissione prescrive:

la necessità di più approfonditi studi geo-sismico-tettonici; la necessità di interventi rivolti alla tutela e alla riqualificazione ambientale; la necessità di studi idrogeologici ed idrochimici e del sistema di controllo delle acque (in particolare nei territori interessati da gallerie); il vaglio e l'analisi dei materiale scavato prima del riutilizzo; la necessità della riduzione ai minimi livelli degli impatti sugli habitat di specie animali protette e specie migratorie sensibili; la necessità di ridurre l'impatto illuminante sul mare degli impianti di illuminazione; la necessità di opere di mitigazione acustica e la necessità di predisporre un progetto di monitoraggio ambientale.

Il parere positivo della commissione Via apre la strada all'approvazione del progetto del ponte di Messina da parte del Cipe e, dopo la pausa estiva, alla scelta del general contractor.

Vivissime sono state le proteste contro il parere della commissione speciale da parte delle associazioni ambientaliste che hanno annunciato ricorsi al Tar e alla Corte europea, e si chiedono come sia possibile fare un progetto preliminare tanto carente e dai costi non chiari.

Un altro aspetto che presenta delle singolarità è il fatto che manca l'assicurazione che il collegamento ferroviario si farà. Sulla costa calabrese infatti la linea ferroviaria scorre a livello del mare, 70 metri sotto quella siciliana. La soluzione sarebbe quella di costruire una nuova linea ferroviaria ad alta velocità in galleria che attraversi le montagne calabresi fino al mare, ma anche qui sorgono dubbi sul finanziamenti dell'opera stanziati da parte di Reti ferroviarie italiane.

Preoccupazioni sorgono anche in merito al temuto stravolgimento dei due ecosistemi lacustri, i Pantani di Ganzirri, due zone di interesse comunitario accanto alle quali sorgeranno i due piloni siciliani del ponte da 50 metri di lato ciascuno, nonostante la completa impermealizzazione degli stessi richiesta dalla Via.

Un'altra denuncia del rischio ambientale viene dal comitato "Tra Scilla e Cariddi" che sottolinea come la realizzazione del progetto del ponte rappresenterebbe la cancellazione fisica dell'ecosistema dello Stretto, già attualmente compromesso. Si tratterebbe non soltanto di un irreversibile danno ambientale, ma della cancellazione delle basi biologiche e fisiche di un patrimonio culturale antichissimo. Anche l'analisi economica mostra che si tratta di un investimento irrazionale, troppo costoso rispetto ai ritorni previsti, inutile rispetto alle alternative immaginabili, senza prevedibili effetti di trascinamento per lo sviluppo endogeno vista l'importazione massiccia di tecnologie prodotte altrove, trattandosi in breve di un esempio tipico di quegli investimenti sconsiderati già fatti nel Mezzogiorno privi di connessione organica con il territorio. Infatti, il futuro dell'area dello Stretto dovrebbe passare dallo sviluppo sostenibile basato sulle risorse territoriali, ambientali, culturali, paesaggistiche; proprio quelle che il ponte distruggerebbe.

Non si prendono inoltre in considerazione altre soluzioni di carattere multimodale per l'attraversamento dello stretto delle persone e delle merci (ad esempio i moderni e portacontainer, le navi cioè che approdano a Gioia Tauro, contengono ciascuno una quantità di merci pari a quella trasportata da mille Tir), né gli effetti di inquinamento e di congestione conseguenti all'ulteriore sviluppo del traffico su gomma che comporterebbe la costruzione del ponte.

Il comitato "Tra Scilla e Cariddi" è nato nel 1998, all'indomani dell'approvazione del progetto di massima del Ponte da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, contro la realizzazione del ponte di Messina. Esso associa studiosi ambientalisti, intellettuali calabresi e siciliani, le principali associazioni ambientaliste, Rifondazione comunista, i Verdi, il Cric e numerose altre associazioni locali e nazionali. Il Comitato, che con un appello/manifesto ha chiesto all'Unesco l'inserimento dell'area dello Stretto di Messina nell'elenco dei siti "patrimonio naturale e culturale dell'umanità", è una delle poche, se non la sola voce, che contrasta il monopolio della informazione calabrese e siciliana in materia e continua l'esperienza di una stagione di lotte ambientaliste che in passato portarono alla cancellazione del progetto di centrale a carbone nella Piana di Gioia Tauro.

Vi sono, infine, anche forti perplessità sulla tenuta statica e sulla sicurezza del ponte che dovrebbe essere costruito su una delle aree a più alto rischio sismico del Mediterraneo. Come rileva il coordinamento della petizione per "Messina senza ponte", le caratteristiche geomorfologiche del territorio dello Stretto (zona sismica, con forti venti e imprevedibili correnti marine) pongono seri dubbi sulla sicurezza dell'opera (i forti venti sullo Stretto rischiano di limitare l'agibilità del ponte ad un terzo dei giorni dell'anno), poiché non si sono adeguatamente valutati gli effetti tellurici in quanto non si considera l'effetto di scosse ravvicinate e tutte di intensità elevata, in un'area dove si registra la massima attività sismica del paese, dove sono presenti faglie aperte e dove non è improbabile la ripresa di un'attività tellurica elevata, sempre imprevedibile e dagli effetti incontrollabili. Infatti, l'area che interessa la costruzione del ponte si trova su una zona di faglie attive e quindi soggetta a continui cambiamenti della crosta terrestre (movimenti sismici e di allontanamento della Sicilia verso il mare aperto).

Alla fine degli anni 80 come ingegnere sono stato coinvolto nel progetto preliminare di una soluzione alternativa di attraversamento stabile dello Stretto di Messina e questo mi ha dato modo di farmi un’idea abbastanza precisa della problematica del Ponte. Su tale problematica mi accingo oggi a fare alcune considerazioni.

Essendo però trascorsi ormai più di 10 anni, ho ritenuto opportuno aggiornarmi sulla materia attraverso internet. Da un lato il sito web ufficiale della Società Stretto di Messina, il quale contiene indubbiamente cose interessanti, ma anche diverse cose non dette ed altre presentate con un ottimismo che appare assolutamente fuori luogo. Dall’altro alcune analisi critiche molto approfondite, in particolare alcuni articoli presenti nel sito www.eddyburg.it, che hanno fortemente rafforzate le mie perplessità sull’operazione Ponte.

Aspetti tecnici.

Si tratta di un ponte sospeso a campata centrale unica di 3300 m di lunghezza sostenuto da due grandi pilastri in acciaio alti 382 metri. L’impalcato corre ad una altezza media di circa 70 metri sul livello del mare, ha una larghezza di circa 60 metri, sulla quale corrono sei corsie autostradali, due binari ferroviari e due corsie aggiuntive per la manutenzione. I pilastri sostengono le funi portanti, costituite di grandi cavi di acciaio armonico, che a loro volta sostengono il ponte, tramite una serie di tiranti verticali. I cavi portanti, del diametro di 1,24 metri, sono quattro, due a destra e due a sinistra; cosa inusuale per i ponti sospesi, ma necessaria in questo caso, perché data la lunghezza del ponte ed il suo enorme peso, il cavo unico risulterebbe di diametro troppo grande (1,70-1,80 metri di diametro).

Come si vede rispetto agli altri ponti simili esistenti nel mondo il progetto vuole battere un insieme di primati quali:

- massima lunghezza di campata, 66% in più rispetto all’attuale ponte più lungo (AKASHI KAIKYO, di 1990 metri)

- massima larghezza, 60 metri, contro valori massimi di 35 metri degli altri ponti grandi

- massima altezza delle torri di sostegno

cavi di sostegno di 1,24 metri di diametro, (contro 1,12 metri di AKASHI KAIKYO) e per giunta doppi, due a destra e due a sinistra, con un problema assai critico di uguale ripartizione della tensione (come segnalato al convegno di Stavanger dal prof. LEONARD, uno dei massimi esperti mondiali dei ponti sospesi)

- presenza di binari ferroviari che non esistono sugli altri ponti di lunghezza elevata, anche perché i treni sono più sensibili alle oscillazioni del ponte ed alle pendenze, che sono indotte dagli stessi carichi del traffico durante l’attraversamento. In AKASHI KAIKYO i binari ferroviari erano stati previsti, ma poi tolti, verosimilmente proprio per queste ragioni.

Ci sono poi degli altri primati, dei quali si parla poco, che sono la diretta conseguenza di tutti gli altri o se vogliamo della febbre di grandezza che sembra essere alla base del progetto. Il ponte (e anche questo è un primato), è ai limiti della fattibilità di questo tipo di strutture, tant’è che i principali elementi portanti (in particolare i cavi portanti) impegnano circa l’80% della loro resistenza per sostenere il peso proprio del ponte a vuoto, mentre il 20% resta disponibile per il carico pagante, cioè il traffico automobilistico e ferroviario. Come altri ovvi primati sono i costi ed i tempi di realizzazione, che alla fine saranno certamente ben superiori a quelli che oggi vengono dichiarati.

Un primato che assolutamente non c’è, è invece la quantità di traffico attraverso lo stretto, che oltretutto tende, come vedremo, a diminuire nel tempo.

Fattori sismici e metereologici

Un ulteriore primato è il fatto che il ponte viene realizzato in un luogo ad alta criticità, sia come condizioni sismiche che metereologiche.

Il ponte è calcolato per un sisma di 7,1 gradi Richter, paragonabile al terremoto di Messina del 1908. Ma dato che un’opera del genere deve avere una vita operativa molto lunga, si ritiene che il sisma di progetto dovrebbe essere maggiore. Da notare comunque che il pericolo non è tanto l’effetto vibratorio (che data l’elevata flessibilità della struttura non è particolarmente pericoloso), ma la possibile rotazione relativa delle basi dei pilastri, o dei blocchi di ancoraggio dei cavi portanti per effetto degli scorrimenti di faglia, che spesso accompagnano i terremoti “estremi”. E questa è comunque di difficile valutazione.

Relativamente al vento di elevata intensità, si può dire che anche se esso non è pericoloso per la struttura, tuttavia esso induce ampie (seppur lente) oscillazioni che oltre un certo limite renderanno difficoltoso il traffico (prima quello ferroviario e poi quello automobilistico), fino a portare alla chiusura del ponte nelle situazioni più critiche.

Non è quindi vero che il ponte consente l’operatività 365 giorni l’anno.

Tempi di percorrenza

E’ stato detto che il ponte fa risparmiare circa 40 minuti alle auto e circa un’ora ai treni e ciò è vero per il traffico di lunga distanza (per es. da Milano o Roma verso Palermo e viceversa). Ma per percorsi così lunghi, della durata di moltissime ore, questi vantaggi teorici non sono significativi.

Ancora peggio va per il traffico locale. Il traffico automobilistico che attualmente utilizza i traghetti è costituito per oltre il 40% di traffico locale, tra le città ed i paesi presenti ai due lati dello stretto e questa quota di traffico non solo non trae alcun beneficio dalla presenza del ponte, ma rischia di allungare i tempi di attraversamento. Ad es. per andare dal centro di Messina a Villa S. Giovanni attraverso il ponte, occorrerà prima percorrere parecchi chilometri di strade provinciali e di raccordi di collegamento nelle colline dietro Messina prima di raggiungere il più vicino casello autostradale ed immettersi sul tratto autostradale che imboccherà il ponte (il quale, va ricordato, corre ad un’altezza di circa 70 metri sul livello del mare). Stessa situazione sull’altra sponda dello stretto.

Il traffico nello Stretto

Per quanto riguarda le quantità di traffico nello stretto, le statistiche relative alla situazione del passato e le tendenze evolutive, esse sono descritte con grande precisione nel dossier: Il principe cammina sulle acque, a cura di Marco Guerzoni, agosto 2002, consultabile al sito http://eddyburg.it.

In sintesi possiamo dire:

- il traffico che fino agli anni 80 era in aumento, a partire dai primi anni 90 è costantemente in calo, soprattutto per il maggior uso dell’aereo da parte dei passeggeri e il maggior impiego per le merci, di navi che collegano direttamente i grandi porti, non solo italiani, direttamente con i porti siciliani

- i numeri attuali e la loro tendenza rendono assolutamente antieconomica l’operazione Ponte.

E non è un caso se il vero capitale di rischio, quello “privato”, sul progetto ponte non arriva.

Ponte e sviluppo economico e turistico

I vertici della Società Ponte di Messina in varie interviste si affannano a dire che il ponte creerà sviluppo economico e turistico e contribuirà a debellare la mafia ecc. ecc. Ma come mai la Calabria che fa parte del “continente”, soffre gli stessi problemi di sottosviluppo e di mafia della Sicilia? O non è più verosimile che mafia e ndrangheta prenderebbero una ricca quota del business sulla realizzazione del ponte e in definitiva si rafforzerebbero?

Per inciso, le ben note cattedrali nel deserto realizzate nel passato avevano gli stessi lodevoli obiettivi teorici. Risultato pratico: non si è mai riusciti ad impedire la quota di business della mafia durante la realizzazione, mentre poi le opere sono state abbandonate nel nulla.

Lo scrivente ha avuto visione diretta di due casi specifici di tali cattedrali:

- L’enorme complesso termale di Sciacca, realizzato anche con la collaborazione di albergatori di Abano Terme, un’impresa che sembrava avere tutte le premesse per funzionare e che invece è in totale abbandono.

- I porti e porticcioli turistici, anche questa una scelta apparentemente giusta in una regione come la Sicilia. Ne sono stati costruiti una trentina, ma nessuno è stato completato e solo qualcuno funziona molto parzialmente.

Ora ci poniamo la seguente domanda: cosa richiamerebbe più turisti in Sicilia, la presenza del Ponte o la corretta funzionalità dei porti turistici e di altre infrastrutture ? Ed il recupero di tante spiagge bellissime ma oggi lasciate in balia del degrado e prive di qualunque servizio? E prima ancora, la certezza di avere sempre l’acqua potabile, questa sì, 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno?

Ma nel paese di Bengodi, sappiamo già quale risposta ci verrà data: Noi faremo tutto, sia il Ponte che tutte queste altre cose!

Occupazione ed impatto sociale

I vertici della Società Ponte di Messina affermano che il ponte porterà tanta occupazione, addirittura un totale di 40.000 lavoratori sulle due sponde dello stretto, nella fase di costruzione.

Ma se questo è vero, proviamo ad immaginare l’impatto sociale di una massa grande di persone (con le loro famiglie) che si dovrà insediare nella zona, a ridosso dei centri abitati. Potrebbe verificarsi una situazione critica, simile a quella che si verificò a Gela per effetto del petrolio e del petrolchimico. Migliaia di abitanti dell’entroterra lasciarono le campagne e dettero origine a quel grande e disordinato agglomerato di case, privo di strade e di servizi che sorge dietro Gela. Personalmente rimasi molto colpito da quella distesa di costruzioni che apparivano come scheletri fatti di pilastri di cemento in cui in modo casuale ed anche su piani diversi, alcuni appartamenti erano già abitati, mentre altri adiacenti erano ancora allo stadio di sole travi e pilastri.

Non è un caso se negli anni 80, studiosi olandesi della materia scelsero Gela come caso di studio emblematico di impatto socio - economico fortemente negativo e quindi come esempio da non ripetere.

Tempi e costi.

Nessuno crede ai costi (4,6 miliardi di euro) ed ai tempi di realizzazione (6 anni), compresi i soggetti proponenti e gli ambienti del ministero. Tutti sappiamo che le grandi opere in Italia si dilatano sempre sia nei tempi che nei costi di realizzazione.

Nel caso del ponte dobbiamo aspettarci risultati peggiori della media per i due seguenti motivi:

- si tratta di un’opera vicina ai limiti della fattibilità tecnologica e realizzativa

- si opera in ambiente ad alta densità mafiosa.

Conclusioni

Personalmente dopo questo aggiornamento personale e queste riflessioni sono diventato più ottimista: penso che il ponte non si farà.

Primo perché lo stato non ha i soldi; secondo perché nessun privato metterà mai una lira su un’avventura così evidentemente antieconomica.

Se però avrò avuto torto, allora come compenso avrò (o avranno le mie figlie) la possibilità di ammirare dal vero il ponte dei primati, cioè la madre di tutte la cattedrali nel deserto.

C'è un mito moderno, tanto assurdo quanto potente, che occupa l'immaginario di molti, non soltanto siciliani e calabresi. E' il ponte sullo Stretto di Messina. Dall'Unità d'Italia sino al dopoguerra il progetto del ponte ha rappresentato il simbolo della congiunzione materiale della Sicilia al continente. Era l'epoca dell'isolamento, della dipendenza, del sottosviluppo acuiti dalla difficoltà dei trasporti e della mobilità. Oggi, benché il divario tra il Mezzogiorno ed il Nord del Paese permanga, la questione non è più drammatica come un tempo e, soprattutto, la mobilità di persone, cose ed informazioni non costituisce più un problema. Da Napoli a Palermo, ad esempio, con le navi veloci si impiegano quattro ore: nessun mezzo via terra, anche attraverso un ponte, consentirebbe un trasporto così veloce. I moderni e mastodontici portacontainer, quelle navi che approdano a Gioia Tauro per intenderci, contengono ciascuno una quantità di merci pari a quella trasportata da mille Tir. Viviamo in un'epoca in cui il trasporto su gomma, con i suoi effetti di inquinamento e di congestione, costituisce un serio problema. Il progetto del ponte è divenuto allora obsoleto. Non conviene economicamente, finirebbe per creare nuovi problemi, e per di più è un progetto insicuro, temerario in un'area fortemente sismica e attraversata da forti venti. Nonostante ciò il mito del ponte resiste, cancella quello secolare di Scilla e Cariddi, incurante della distruzione di uno scenario paesistico noto a tutto il mondo per la sua bellezza e particolarità, cieco agli irreversibili e catastrofici danni ambientali ed ecologici che una simile opera realizzerebbe.

Perché questo mito? Il ponte oggi è simbolo della Modernità. La grande opera faraonica, di acciaio e cemento, è percepita come un monumento al Progresso. Che sia utile oppure del tutto inutile poco importa: il suo valore è simbolico e serve a rimuovere sensi di inferiorità e complessi di colpa, serve a scalzare quel fastidioso sentimento di mancanza che rode l'anima dei meridionali. E' difficile, con argomenti razionali, contrastare queste sensazioni. Eppure in esse vi è, ancora una volta, l'essenza della disgrazia del Mezzogiorno: l'incapacità di fare i conti con se stessi, di ritrovare la propria autonomia e la propria soggettività liberata dalla dipendenza da una immagine negativa che sul Mezzogiorno è stata proiettata e che i meridionali hanno incorporato. Il mito del Ponte attecchisce e diviene contagioso così come, nelle società moderne, si diffonde la sindrome dell'autoinganno, che porta a predicare certe cose ed a farne altre, del tutto opposte, che induce a dire che tutto va bene, quando invece in coscienza si sente che tutto è un disastro e siamo sull'orlo di un baratro. Su questa debolezza dello spirito speculano interessi di parte, forti interessi lobbistici chiaramente individuabili, così come - probabilmente - interessi occulti ed illegali (si legga mafiosi) che nel ponte vedono un'altra grande occasione di arricchimento privato e di rapina. Ma poco importa all'anima semplice, colpita dall'exploit faraonico.

Mille argomenti razionali sostengono l'insensatezza del progetto. La precarietà del progetto ingegneristico, che non considera i rischi del contesto geologico, i venti, la sismicità; l'insostenibilità economica nel rapporto costi-benefici; l'assenza di qualsiasi seria valutazione di impatto ambientale e sociale; la mancata considerazione di alternative multimodali più efficaci ed efficienti per l'attraversamento dello stretto; il fatto che il ponte - data l'altezza dell'impalcato prevista dal progetto - non consentirebbe il passaggio alle navi di più recente costruzione che raggiungono i 100 metri di altezza (il che vanificherebbe l'importanza del porto di Gioia Tauro); ed ancora si potrebbero elencare molte altre osservazioni ostative che studiosi ed esperti di molte università italiane ed estere hanno esplicitato. Tutto ciò però evidentemente non basta. E' vero che l'informazione - monopolizzata dalla lobby del ponte - ha oscurato questi argomenti. Occorre diffondere una contro-informazione, che faccia giustizia alla realtà dei fatti. Ma forse la presa del mito è ancora più accecante del black-out mediatico.

Dunque l'appello alla ragione ed al calcolo non basta.

Occorre rivalutare emozioni forti, richiamarsi al senso dei luoghi, ad una sensibilità e ad una estetica meridiane, prima che l'abitudine al brutto le seppellisca definitivamente. Occorre restituire dignità universale al significato emotivo che l'area dello Stretto di Messina ha avuto nei secoli, per chi qui vive e per tutti coloro - lontano da qui - che hanno vissuto questo significato nei racconti, nelle storie, in miti, che a ben vedere sono molto più realistici ed umani di quello del ponte. Possiamo cancellare, con l'exploit del ponte, la memoria iscritta nelle acque dello Stretto e farne un anonimo tratto di mare, una duplice baia - separata da un nastro trasportatore avvolto in una nuvola di benzene - su cui si rispecchierà soltanto ciò che di concreto appare dietro il mito del Progresso: un mondo di merci a rapida obsoloscenza, un mondo "usa e getta", un mondo sporco che consuma se stesso? Rifiutare il progetto non vuol dire soltanto opporsi alla distruzione di un luogo vitale, nel senso pieno ed esistenziale di questa parola. Significa prospettare, con alternative praticabili già da ora, una società meridionale sostenibile ed autosostenuta, che riconosce nei suoi luoghi e nella sua storia, nel suo carattere particolare ed al contempo denso di universalità, la risorsa per uno sviluppo altro. Significa prospettare una società che ponga al centro delle proprie energie il senso del rispetto, della misura e del limite. Una società che sia capace di coniugare ragione ed emozione.

Su queste riflessioni, nel 1987, si formò il comitato "Tra Scilla e Cariddi". L'iniziativa venne da singoli intellettuali, tra cui Alberto Ziparo e Osvaldo Pieroni, da associazioni ambientaliste come Legambiente, con Lidia Liotta, e il WWF, con Beatrice Barillaro, dall'allora Rifondazione Comunista, con Rosa Tavella e Michelangelo Tripodi, dai Verdi e da altre associazioni come il CRIC, con Piero Polimeni, Torre di Babele, ecc. Anche Ora locale aderì al comitato. L'appello alle Nazioni Unite per la salvaguardia dell'area dello Stretto, quale patrimonio naturale e culturale dell'umanità, costituì una sorta di manifesto contro il progetto del ponte, che venne sottoscritto da centinaia di intellettuali, associazioni, esponenti politici, cittadini. Tra coloro che sottoscrissero figurano i nomi di Serge Latouche, di Dario Fo, di Citto Maselli e di decine di docenti universitari.

Il libro di Osvaldo Pieroni, cui gli interventi presentati in questo numero si riferiscono, deriva dalla esperienza del comitato "Tra Scilla e Cariddi". Da qui il titolo. In esso viene ripercorsa la storia del progetto del ponte e vengono esposte le ragioni della opposizione. Il libro è però anche una storia d'amore, di un rapporto esistenziale con la terra di Calabria e con lo Stretto, in cui personale e politico si fondono. La vicenda del ponte è poi occasione per una riflessione di più ampio respiro sulla storia e sulle prospettive del Mezzogiorno, in particolare della Calabria. A questo libro farà tra breve seguito un saggio collettivo, curato da Alberto Ziparo e Virginio Bettini, con il contributo di studiosi di sette università italiane, che costituisce una vera e propria valutazione di impatto ambientale e sociale del progetto del ponte e ne mostra - dallo stesso punto di vista della scienza e della tecnica - l'insostenibilità. Sia nel caso del libro di Pieroni, che in quest'ultimo si vedrà che parlare del ponte sullo Stretto ed impegnarsi in una battaglia affinché il progetto venga accantonato vuol dire oggi riflettere su chi siamo e gettare le basi per il futuro non soltanto della Calabria e del Mezzogiorno d'Italia, ma dell'intera area mediterranea.

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Ripensando al mito di Colapesce ed al sacrificio immaginario di questo eroe, mezzo uomo e mezzo pesce, che non può fare ritorno perché deve per sempre reggere la colonna debole della Sicilia esposta ai terremoti, ancora una volta riscopro la lezione che il mito ci trasmette. Come un messaggio in bottiglia attraverso la deriva del tempo i miti ci consegnano un sapere: le intuizioni dei nostri padri e delle nostre madri che possono essere per noi sorgenti di nuova coscienza.

Perché i nostri antenati hanno immaginato questa bizzarra storia? Chi è il personaggio Colapesce? Non è completamente un essere umano ma ciò gli fornisce poteri divini che provengono dalla sua natura animale, dal suo essere parte della natura: la leggenda lo immagina figlio del dio Nettuno e fratello delle sirene ed egli ha il potere di vivere nel fondo del mare come un pesce e di conoscerne i segreti e le minacce. Da ciò nasce la sua capacità di vedere i limiti della natura, in questo caso matrigna, e così scopre uno dei pericoli che nasconde il mare: il sisma. Ci restituisce così l'immagine di un territorio debole e ferito, che necessita di interventi di protezione e sostegno, per i quali alla fine l'eroe si sacrifica, giungendo a rinunciare alla sua vita umana sulla terra. Ecco cosa possiamo apprendere dalla leggenda di Colapesce: l'eterno monito, l'eterno ricordo delle numerose ferite sismiche che la nostra terra ha subito. Evidentemente i nostri antenati avevano una sensibilità ecologica ante litteram che noi oggi rischiamo di perdere, abbagliati dai nuovi miti della tecnologia e del potere economico, ed anziché elaborare questa sensibilità in forma di coscienza moderna, come riflessione sul senso del limite, alimentiamo illusioni prometeiche, di cui il progetto del ponte sullo Stretto costituisce un ultimo attardato esempio. Invece coscienza del limite vuol dire pensare a noi razza umana come parte della natura e dei suoi equilibri e non come padroni incontrastati che possono capovolgere le leggi interne, modificare con arroganza e megalomania ciò che migliaia di anni di lavoro geologico hanno prodotto sulla faccia del pianeta, illuderci di diventare "chirurghi del pianeta", non per sostenere e proteggere i punti geologici più deboli ma per mutilarli, applicando orribili protesi e cambiandone i connotati.

La saggezza antica di cui Colapesce è un esempio, ritorna in forma moderna e scientifica tra gli scienziati e gli ambientalisti dei nostri giorni che in vario modo si sono espressi contro il progetto del mega-ponte sullo Stretto di Messina. Da molte voci si sono levati moniti contro il rischio sismico, si sono moltiplicate le critiche a proposito della inutilità e degli svantaggi economici di un'opera pubblica ciclopica come questa, ennesima riproposizione di un vecchio paradigma già fallito per lo "sviluppo del Sud". E non sono mancate le analisi e gli appelli degli urbanisti e degli ambientalisti che segnalano l'irrimediabile guasto all'ambiente naturale ed ai centri urbani dell'area dello Stretto che dalla costruzione della mega-infrastruttura deriverebbe.

Ma adesso abbiamo un nuovo Colapesce: il sociologo Osvaldo Pieroni ci offre uno sguardo nuovo, il punto di vista di chi studia l'impatto sociale e antropologico di un'opera di questo genere ed elabora una nuova espressione del "pensiero meridiano" (Cassano). Richiamandosi ad una visione alternativa della modernità, ovvero ad una modernità riflessiva, cosciente dei costi e dei rischi dello sviluppo tecnologico ed economicistico (U. Beck), Pieroni produce un saggio di sociologia dell'ambiente che analizza l'area dello Stretto come luogo e mondo vitale.

Partendo dal concetto di "colonizzazione del mondo vitale" di Habermas, Pieroni scrive: "Lo spazio in quanto paesaggio significativo, in quanto ambiente vissuto - ovvero luogo dell'azione, il luogo della dinamica del corpo - ed il tempo come storia evolutiva e delle generazioni che in quei luoghi o in riferimento ad essi si ripetono e si formano (si socializzano) sono parte del mondo della vita come sfondo della comunicazione e come riferimento della coscienza collettiva. Le emozioni ed i sentimenti che un luogo suscita, che dalla esperienza di un luogo emergono, attraverso l'intersoggettività linguistica ed il suo ripetersi, si tramutano in enunciati, ovvero in aspettative normative, in valori. E questi ultimi, in quanto tali, hanno pretese universalistiche. In questo senso, se consideriamo il luogo tra Scilla e Cariddi, in quanto luogo fisico e naturalistico, in quanto campo di emergenza emozionale ed in quanto simbolo linguisticamente costruito, come dimensione del mondo della vita, possiamo parlare della opposizione al progetto del ponte come resistenza alla colonizzazione del mondo della vita".

Una resistenza al passaggio dall'attuale luogo, in senso antropologico, al non-luogo emblematico. Da questa attenzione al sociale, alla memoria, all'antropologia dello Stretto, Pieroni deriva la particolare cura con cui analizza l'unicità di quel mondo fisico-spaziale e antropologico costituito dallo scenario di acque e terre di Scilla e Cariddi. L'analisi mette in evidenza le eccezionali caratteristiche ecomorfologiche e mitologiche dell'area: le correnti marine ed i gorghi acquatici da cui i miti di Scilla e Cariddi; il paradiso zoologico costituito dalla fauna ittica, che dagli abissi viene in superficie e dal crocevia del volo degli uccelli rappresentato dallo Stretto; le particolarità geosismologiche derivanti dall'intersezione tra i terminali dell'arco eoliano e l'incisione italiana della grande faglia mediterraneo-orientale; l'interessante geografia simmetrica dei due versanti peloritano e aspromontano; l'estrema bellezza paesaggistica dello Stretto derivante da un capolavoro geologico della natura che ha unito due differenti mari ed ha diviso in due parti la stessa terra.

I miti di una natura pericolosa fino al rischio mortale per i naviganti divorati dal mostro di Scilla o ingoiati dal gorgo di Cariddi, ma nello stesso tempo affascinante e magica come il canto delle sirene, capace di rapire ed ammaliare: questi miti esprimono l'ambivalenza tra rischio ed estasi, contemplazione e catastrofe e ci indicano come "stare" in questo luogo. Ci mostrano l'unico rapporto possibile con questo ambiente: guardare e godere, navigare e riposare, ma allo stesso tempo difendere e difendersi con i tappi di cera nelle orecchie come Ulisse e gli occhi vigili per prevenire i maremoti (o la "rema" troppo forte), gli uragani di vento ed i terremoti.

Come non capire che in un'area in cui si sono succeduti ben 36 terremoti catastrofici negli ultimi 2000 anni, l'unico mezzo ragionevole per i collegamenti deve essere il mare e che non possiamo affidarci ad una infrastruttura sospesa ad immense torri d'acciaio con i piedi ballerini ed esposta allo scirocco che da queste parti corre a più di 120 km all'ora. E quando il mare e il vento dicono no, che non si passa, è sempre possibile fermare i motori del traghetto e fermarsi a guardare, con poco danno economico, tutto sommato. Il fermo dovuto ad una notte di tempesta non ha mai mandato in rovina nessuno! Pieroni ci racconta tutto questo ed altro ancora, argomentando un'altra visione dello sviluppo locale e sembra ci dica: Prometeo non abita più qui.

Pieroni infatti compie una rassegna critica dei modelli di sviluppo e di modernizzazione proposti per il Sud negli ultimi decenni di cui il ponte sullo Stretto costituisce parte integrante ed insieme esempio emblematico. Modelli già ampiamente fallimentari in cui il Mezzogiorno è visto come una periferia dell'Occidente, in una spirale di dipendenza in cui non contano le risorse endogene e le compatibilità ambientali ma solo lo spazio da riempire con grandi opere e poli di sviluppo. Modelli che rimandano ad un pensiero unico e colonizzatore rispetto a cui il tentativo, riuscito, di Pieroni è quello di rifiutare l'ennesima omologazione culturale che l'ipotesi ponte rappresenta. E invece occorre fare attenzione ai soggetti locali che possono valorizzare il proprio "mondo della vita" e diventare sempre più consapevoli della immensa risorsa di bellezza ambientale oltreché di memoria, di letteratura e di mitologia che lo Stretto rappresenta. Dunque un modello alternativo a quello che rappresenta il ponte, che offra per l'area dello Stretto non una crescita (?) economica insostenibile, coi danni irreversibili che comporterebbe, ma un "giardino mediterraneo".

Il bilancio tratteggiato dal libro, sul progetto attualmente in discussione di ponte a campata unica, conclude che questo ponte sarebbe inutile e dannoso sotto il profilo delle economie locali e delle economie generali di trasporto, pericoloso sotto i profili sismico e della sicurezza, nocivo e distruttivo sotto l'aspetto ambientale, denso di conseguenze negative sotto il profilo urbanistico, regressivo e omologante sotto il profilo culturale.

Così tra la Scilla del sottosviluppo e della disoccupazione e la Cariddi della tecnologia distruttiva e del modello economico obsoleto e diffuso, il sociologo indica un'altra via più sicura, praticabile e sostenibile e soprattutto aperta alla bellezza, grande bisogno sociale e risorsa della memoria e del futuro.

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Quando nel 1998 sottoscrissi l'appello del comitato "Tra Scilla e Cariddi", Perché la saggezza prevalga sulla incoscienza, ero ben lontano dal riconoscere i mille ed uno dettagli di questo straordinario rapporto (Osvaldo Pieroni, Tra Scilla e Cariddi. Il Ponte sullo Stretto di Messina: ambiente e società sostenibile nel Mezzogiorno, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000, pp. 267). E' merito di Osvaldo Pieroni l'aver prodotto, grazie ad un lavoro da certosino, una vera e propria summa, che raccoglie in modo chiaro ed intelligente tutti gli aspetti del dibattito.

In mancanza di queste conoscenze specifiche, all'epoca avevo aderito in qualche modo "d'istinto", fidandomi di un intuito che mi derivava dalla familiarità con i problemi dello sviluppo locale in Francia e con quelli dei grandi progetti in Africa, così come dalle mie ricerche sul progresso, la scienza, la tecnica e la modernità (si veda in particolare il mio libro La megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso, Bollati Boringhieri, Torino 1995).

Lavorando al piano di sviluppo urbano della regione Nord-Pas-de-Calais, negli anni Settanta, non si diceva già che le strade, costruite con grandi spese che gravavano sui fondi dipartimentali dell'agricoltura, destinati al benessere dei cittadini, con il pretesto di togliere dall'isolamento le aree rurali, servivano invece a far sloggiare l'ultimo contadino trasferendolo in città ed a permettere al primo parigino di fare della vecchia azienda agricola, in tal modo liberata, la propria casa di campagna! Avendo a lungo studiato il sottosviluppo del Terzo mondo con la sua scia di "elefanti bianchi" (così vengono chiamati quegli inutili, costosissimi e smisurati cantieri per opere faraoniche mai completate, Ndt.), di cimiteri delle cattedrali industriali nel deserto o di progetti "safari", mi è subito venuto in mente che "l'ottava meraviglia del mondo", questo superbo Ponte sullo Stretto di Messina, non fosse altro che - secondo la bella espressione di Sergio Cofferati (p. 79) - "un collegamento velocissimo tra due deserti infrastrutturali". Come nel caso della celebre diga di Inga nello Zaire di Mobutu, ritroviamo qui tutti i miti "sviluppisti" alleati alla più sfacciata corruzione. La disperazione generata dalle condizioni del sottosviluppo ed i complessi di inferiorità e di colpa che ne derivano, portano a confondere i virus più virulenti della malattia con la cura.

Essendo poi divenuto ancor più sensibile alle ferite irreparabili che l'economia infligge alla natura, ebbi anche il presentimento che, come dice Nella Ginatempo, "il Ponte sullo Stretto [...] distrugge una risorsa dell'ambiente: la bellezza" (p. 95). Sentivo che ci si stava muovendo verso una catastrofe ecologica.

Il bel lavoro di Osvaldo Pieroni ha rafforzato i miei timori ed ha sostenuto con solidi argomenti le mie riserve. Si potrebbe dire che si tratta di un caso da manuale, il quale dimostra che le lezioni di tanti fallimenti di progetti faraonici in contesti simili non servono per niente a scoraggiare gli imprenditori della distruzione in tempo di pace. "Pensare e progettare ancora lo sviluppo in termini di acciaio, asfalto e cementificazione - nota Osvaldo Pieroni - significa essere fuori dal nostro tempo, ancorati ad una modernità industrialista che mostra la sua drammatica obsolescenza tanto sul piano economico, che su quello politico e culturale" (p. 91).

Questo progetto costituisce un concentrato esemplare di come le logiche tecnoscientifiche, accoppiate ai meccanismi economici ed alle perversioni burocratiche, possano comportare quanto di più nocivo e pernicioso si possa immaginare. Esso contribuisce per di più a quella banalizzazione del male, denunciata da Hanah Arendt a proposito del totalitarismo, ma che invece è propria dei tempi moderni. Questa infatti si perpetua nella "democrazia di mercato" in modo più "soft", ma ancora più efficace che nei sistemi totalitari. Ad essa contribuiscono in larga misura il culto dell'exploit tecnoscientifico ("la più importante realizzazione dell'uomo dopo lo sbarco degli americani sulla luna", Nino Calarco, p. 20) e la credenza irrazionale nel progresso e nello sviluppo. In tal modo trova conferma la legge del sistema tecnico formulata da Jacques Ellul: se è possibile fare una cosa, bisogna farla. Sotto la pressione delle lobbies, da quelle del ciclo del cemento, della speculazione fondiaria e immobiliare, della mafia, fino alle corporazioni degli ingegneri e degli addetti ai lavori pubblici, una burocrazia furba passa all'attacco giocando fino in fondo la tattica del fatto compiuto. Le spese già fatte, le promesse sconsiderate non permettono più di tornare indietro. E' inutile insistere sugli elementi di un dibattito che l'eccellente indagine di Osvaldo Pieroni ha ordinato in modo pressoché esaustivo; non si possono che riprendere, sia pur in altro modo, le sue conclusioni.

Anche se il progetto fosse razionale, ovvero conveniente in termini di rigoroso calcolo economico, come in effetti sono parsi i progetti del tunnel sotto la Manica o il più recente collegamento tra la Svezia e la Danimarca che legano due zone ad intenso sviluppo e con un traffico in crescita, non sarebbe tuttavia ragionevole realizzarlo. L'assenza di una vera analisi dell'impatto ambientale ed ecologico, diretto ed indiretto, del progetto e delle sue ricadute non può che rafforzare le esitazioni delle persone sagge. La negligenza nel valutare la dinamica delle placche continentali, la sottavalutazione dei rischi sismici, dei venti e delle correnti marine dovrebbero comportare l'abbandono del progetto in virtù del principio di precauzione.

Tuttavia, in questo caso, l'analisi economica mostra che si tratta di un investimento irrazionale, troppo costoso rispetto ai ritorni previsti, inutile rispetto alle alternative immaginabili, senza prevedibili effetti di trascinamento vista l'importazione massiccia di tecnologie prodotte altrove; in breve si tratta di un esempio tipico di quegli investimenti sconsiderati già fatti nel Mezzogiorno, che denuncia il prof. Latella: "assolutamente privi di connessione organica con il territorio" (p. 105). Si vede bene che nei fatti la ragione economica non è invocata che a titolo d'alibi. Ciò che invece è sicuro è che, accantonando le soluzioni alternative, piuttosto che far emergere la regione dalla depressione, si porterà a termine un crimine contro la bellezza. Come scrive ancora Nella Ginatempo: "Se, dunque, mancano le categorie dell'utile e del giusto, salviamo almeno le categorie del bello!" (p. 108).

Solo il fascino della prodezza spettacolare, prometeica, della gloriosa sfida cinta d'aureola, del simbolo nazionalista e geopolitico dell'unificazione del territorio italiano e del ricongiungimento materiale al continente può spiegare l'accecamento nefasto di "brave persone" non corrotte da gruppi di pressione, i cui interessi di parte sono chiaramente identificabili. Se Giove acceca quelli che vuol perdere, vogliano gli Dei preservare la Calabria e la Sicilia da un destino così funesto!

(traduzione di Osvaldo Pieroni)

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1870: si parla per la prima volta di creare un’infrastruttura per attraversare lo stretto di Messina. Il progetto, opera dell’ingegnere Carlo Navone, prevede un avveniristico tunnel sottomarino. L’idea cadrà nel dimenticatoio per quasi un secolo.

anni ’50: in un padiglione della fiera di Messina è presentato un plastico di un ponte sospeso.

1969: l’Anas promuove un "Concorso di idee per l’attraversamento dello Stretto di Messina". Sei progetti si aggiudicano ex aequo il primo premio. Cinque di essi prevedono collegamenti sospesi, mentre il sesto, battezzato "Ponte di Archimede", immagina un tunnel subacqueo a 30 metri di profondità.

1971: la legge 1158 afferma il "prevalente interesse nazionale dell’opera" e pone le basi per la creazione di una società concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione.

1981: nasce la Società Stretto di Messina, concessionaria dell’opera. L’azionista di maggioranza è l’Iri (51%), quelli di minoranza le Ferrovie dello Stato, l’Anas e le regioni Calabria e Sicilia (tutte con il 12,5%).

1982: Claudio Signorile, ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, annuncia che la realizzazione di un collegamento tra il continente e la Sicilia avverrà "in tempi brevi".

1984: Signorile, ora ministro dei trasporti, assicura: "Il ponte si farà entro il ‘94".

1985: Romano Prodi, presidente dell’Iri, promette che "i lavori per la costruzione cominceranno al più presto". Sempre Signorile, passato ai lavori pubblici, afferma: "Nel 1988 vedremo la posa della prima pietra e nel ’96 la fine dei lavori".

1985: inizia l’attività operativa della Società Stretto di Messina.

1987-1988: prima le Ferrovie, poi il Consiglio superiore dei lavori pubblici e infine l’Anas si esprimono a favore del ponte sospeso. Viene dato l’avvio alla fase di progettazione.

dicembre 1992: la Società Stretto di Messina presenta il progetto di massima, accompagnato dalle relazione tecniche su costi e spese.

1993: Raffaele Costa, ministro dei trasporti, assicura che la realizzazione del ponte dovrebbe essere possibile "entro quattro anni".

luglio 1994: le Ferrovie dello Stato esprimono parere sostanzialmente favorevole al progetto di massima, ma chiedono l’approfondimento di alcuni aspetti tecnologici.

1995: anche l’Anas conclude l’esame del progetto, con parere analogo a quello delle Ferrovie.

1997: si passa al progetto di fattibilità, che viene presentato al Consiglio superiore dei lavori pubblici.

1998: Mediocredito Centrale predispone uno studio di fattibilità finanziaria per 7.140 miliardi di lire.

settembre 1998: il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) avvia l’istruttoria del progetto e ne demanda l’esame alla Commissione infrastrutture.

9 febbraio 1999: la Commissione decide bisogna approfondire le questioni ambientali, socioeconomiche e finanziarie. Si opta per l’affidamento a soggetti terzi, i cosiddetti advisor.

18 ottobre 1999: sono pubblicati due bandi di gara per gli advisor, uno di carattere ambientale, l’altro tecnico.

20 dicembre 1999: la gara ambientale è aggiudicata all’associazione temporanea di imprese creata da Certet dell’Università Bocconi, Sit, Sintra e Price Waterhouse Coopers. Il lavoro dovrà essere consegnato entro il 19 novembre 2000.

12 gennaio 2000: la gara tecnica è vinta dal colosso americano Parsons Transportation Group. Tuttora, però, non è ancora stato firmato il contratto di incarico.

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cronologia ponte

dossier il principe cammina sulle acque

Si ricomincia a parlare del ponte sullo Stretto di Messina. Già ne abbiamo scritto su queste pagine, molti anni fa (La piramide sullo Stretto, n.84-85), per denunciare l'assurdità di quell'impresa: non tanto in se, nella sua valenza di tecnica ingegneristica (non avremmo del resto le competenze necessarie per esprimerci) quanto per la finalità di mero e superficiale prestigio che le viene assegnata dagli italici entusiasmi, e soprattutto per la sua assoluta non priorità nel quadro del complessivo sistema dei trasporti italiano e dei suoi problemi.

Molti sostengono oggi che non vale la pena di preoccuparsi per il ponte sullo Stretto: le difficoltà sono tali e tante che se ne parlerà ricorrentemente, vi si imbastiranno sopra campagne propagandistiche, si approveranno magari altre leggi e leggine per finanziare studi e progetti, ma non si vedrà mai la realizzazione dell'opera.

Andrà così? Può essere. A noi sembra però che già il solo parlare del Ponte sullo Stretto sia grave, sia per l'atteggiamento che esprime sia perché questa ingombrante presenza impedisce di affrontare in modo serio (e perciò diverso), i problemi dei trasporti e il ruolo in essi della Sicilia. Affidare la soluzione del problema dei collegamenti della Sicilia con il continente a una infrastruttura quale quella di cui si parla è coerente con una determinata strategia territoriale che è l'opposto di quella sensata. E' una strategia che affida le comunicazioni ai vettori su gomma e, subordinatamente, su ferro, trascurando il vettore più economico e meno inquinante, cioè l'acqua. E' una strategia che concepisce la Sicilia come il cul di sacco del sistema dei trasporti, relegando l'Isola al ruolo di estrema appendice di quell'appendice dell'Europa che é l'Italia. E' una strategia, insomma, che colpevolmente non solo non utilizza e valorizza, ma addirittura mortifica e nega due della più rilevanti risorse, storicamente consolidate, di cui l'Italia (se osservata con occhio non provinciale) palesemente dispone. In primo luogo, la sua posizione geografica, culturale e storica di possibile ponte (ma in senso metaforico) tra due continenti e molte civiltà. In secondo luogo, la presenza dell'imponente, potenziale "sistema autostradale acqueo" costituito dall'Adriatico, dal Tirreno e dalla "bretella" ionica.

Ciò che é singolare é che più di un gruppo politico sostiene l'opportunità di un dispiegato "ruolo mediterraneo" dell' Italia. Sono troppo pochi, però, quanti riescono a comprendere le politiche hanno loro precise proiezioni territoriali, che impongono di dire "no" a certe soluzioni territoriali, per dire "si" ad altre.

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