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Leggiamo sulla cronaca locale di La Repubblica del 24 aprile che la difesa dell'ex assessore Biagi ripropone i temi di una intervista al Procuratore Quattrocchi, ripresa anche da un articolo di Andrea Barducci, sulla possibilità o meno di contrattare l'urbanistica. Sostiene l'autorevole avvocato Lucibello che l'ex assessore avrebbe operato a Castello per evitare di "creare una enclave" una di quelle "villes nouvelles divenute dormitori dove alligna il rancore sociale, il disagio e la delinquenza", citando in proposito le raccomandazioni dell'arch. Renzo Piano di perseguire la biodiversità in chiave urbana e di lavorare sulla diversificazione ad ogni livello.

Ma già nel '93 il PRG adottato dalla giunta Morales, così stabiliva per l'area di Castello: "L'edificabilità è riservata al Comune e/o agli enti istituzionali per la realizzazione di attrezzature e servizi per il 32% circa, mentre per il resto è destinata a funzioni private: residenziali, artigianali, industriali, terziarie, ricettive, di spettacolo, escludendo soltanto le attività inquinanti, rumorose o che attraggono traffico pesante". Ecco quindi garantita la diversificazione ad ogni livello e la pluralità di funzioni di cui parla Renzo Piano il quale, per inciso, fu convocato prima che scoppiasse lo scandalo dall'allora sindaco Domenici per un incarico proprio a proposito di Castello, ma decise dopo un breve colloquio di non farne di nulla. Forse non lo avevano convinto quelle continue varianti ai parametri di PRG, alla convenzione e al Piano Particolareggiato su cui alla fine ci si era incartati.

Continua poi l'avvocato sostenendo che gli incarichi all'arch. Savi ed all'arch. Casamonti sarebbero stati giustificati dalla necessità di garantire in quell'area un intervento di qualità, anziché fare una città dormitorio, con "i casermoni squadrati ed un planivolumetrico da caserma". Queste affermazioni non possono non richiamarci alla mente un altro elemento significativo del Piano di Castello: la Scuola per sottufficiali dei carabinieri, che nel PRG del '93 doveva occupare 16 ettari con un volume di circa 200.000 mc. Ancor prima di Biagi e di Domenici, Primicerio e il suo assessore Bougleux avevano consentito che la scuola triplicasse le sue volumetrie occupando una distesa di suolo ben maggiore, configurandosi proprio come una gigantesca caserma, vera spina nel fianco per l'intero insediamento: come ha fatto a lievitare così tanto e così malamente?

L'accusa del legale alla Procura di avere una visione "burocratica, obsoleta e dannosa dell'interesse pubblico", interesse che sarebbe invece concentrato nella trattativa col privato (a proposito, che fine ha fatto il parco/bosco di 80 ettari che doveva conferire l'effettiva qualità urbana all'intera area?), è del tutto risibile. Qui occorre riprendere le fila del dibattito originario e delle questioni generali.

Partendo dal presupposto che l'urbanistica è materia "regolata da complessi reticoli normativi", la formazione del momento normativo, al quale è auspicabile che partecipino, oltre agli uffici competenti, anche i cittadini che ne hanno interesse, è cosa ben diversa dall'applicazione della norma. Il momento normativo, una volta definito, non può essere né contrattato né concertato, poiché deve valere erga omnes e garantire l'interesse pubblico.

Se poi, nell'ambito della norma generale, l'Amministrazione intende "concertare" con determinate categorie di privati alcuni caratteri specifici dell'applicazione della norma generale, a nostro avviso lo può fare purché sussistano due condizioni: la prima è che tale procedimento avvenga alla luce del sole, la seconda è che le regole complementari individuate valgano per tutti.

Appare pertanto del tutto giustificata l'ironia del Procuratore Quattrocchi quando dice di aver incontrato a Firenze una categoria a lui prima sconosciuta, quella della "urbanistica contrattata" intendendo con questo termine l'accordo, decisamente poco trasparente, che di volta in volta l'Amministrazione stabilisce con un solo soggetto interessato ad una determinata operazione immobiliare, forzando o contravvenendo le regole stabilite dalla normativa, proprio come sembra avvenuto nel caso dell'area di Castello.

Parlando lunedì in Consiglio comunale, Matteo Renzi ha rilanciato la vecchia idea di ripristinare l’antica pavimentazione in cotto di Piazza della Signoria a Firenze, annullando i due secoli di storia che hanno storicizzato le pietre volute dai Lorena. Non è un caso isolato: con cadenza regolare, Renzi prende un tema della storia dell’arte fiorentina e lo brandisce come una clava mediatica. Ha cominciato con la rivendicazione della proprietà comunale del David di Michelangelo, ha continuato con l’idea di costruire la facciata di San Lorenzo secondo i progetti dello stesso Michelangelo, quindi si è gettato a capofitto nella tragicomica ricerca della Battaglia di Anghiari di Leonardo.

Il movente politico è trasparente: usare il patrimonio storico e artistico della città come una potentissima arma di distrazione di massa. In tutto questo c’è una buona dose di cinismo, perché Renzi sa benissimo che Piazza della Signoria non tornerà mai al cotto (ipotesi già bocciata, in passato, dal ministero per i Beni culturali), che la facciata di Michelangelo non si farà, che la Battaglia di Anghiari non si troverà: ma ciò che conta è l’effetto notizia. Ma sono i presupposti culturali di questa strategia a far cadere le braccia. Innanzitutto, non c’è niente di nuovo: l’indubbia abilità mediatica di Renzi proietta su un palcoscenico globale i peggiori vizi della Firenzina abituata a vivere sullo sciacallaggio del passato. In questo momento, la Provincia di Firenze promuove una grottesca campagna di scavo per cercare le ossa della Gioconda (intesa come Lisa Gherardini), mentre si raccolgono firme per indurre il Louvre a prestare a Firenze la stessa Gioconda (intesa come quadro, o meglio come feticcio). L’arcivescovo, e neocardinale, Giuseppe Betori usa una pala del giovane Giotto come merce di scambio nella propria promozione personale, e la Confindustria fiorentina sostiene Florens, manifestazione culminata nel collocamento di un’oscena copia in vetroresina del David su un castelletto di tubi piazzato su uno dei contrafforti del Duomo, in un penoso tentativo di mimare la collocazione originaria della statua.

Ma ciò che colpisce veramente è il disprezzo per la cultura che traspare dalle parole e dagli atti del sindaco, che è ora anche assessore alla Cultura. Quando i più importanti storici dell’arte di tutto il mondo gli hanno chiesto di smettere di bucare gli affreschi di Vasari per cercare il Leonardo fantasma, Renzi ha risposto con una newsletter piena di insulti verso questi “presunti scienziati”, accusandoli di non essere “stupiti dal mistero” a causa di un “pregiudizio ideologico”. Non siamo al “culturame”, ma poco ci manca. Per Renzi la cultura è quella di Voyager, il programma tv di Roberto Giacobbo: complotti e misteri, templari e santi graal. Evasione, vaghezza misticheggiante, suggestione a buon mercato. Proponendo di riportare Piazza della Signoria alla pavimentazione tardogotica egli sfoglia il libro della storia come se fosse il book di un chirurgo estetico. Un libro dei sogni che non serve più a crescere e ad aver presa sulla realtà, e dunque a imparare come cambiare il mondo, ma – al contrario – a cancellare le tracce del tempo e a rimanere eternamente immaturi. Non uno strumento per formare cittadini consapevoli dotati di senso critico, ma un mezzo per plasmare un pubblico passivo, destinatario perfetto di una martellante propaganda che invita non a pensare, ma a sognare. Si dice che Silvio Berlusconi si compiaccia da tempo di questo nipotino ideologico: è sempre più difficile dargli torto.

A Firenze non mancano le esperienze di trasformazioni urbanistiche o edilizie finite in tribunale. Anche se i processi devono ancora iniziare, la doverosa presunzione di innocenza per gli imputati nulla toglie al clamore suscitato, non soltanto in città, dai casi Castello e Quadra. Nel primo scandalo, relativo alla progettata "urbanizzazione" della maxiarea di Castello, in primavera sono stati rinviati a giudizio per corruzione Salvatore Ligresti, patròn di FonSai, due suoi stretti collaboratori come Fausto Rapisarda e Gualtiero Giombini, e l'ex assessore Pd all'urbanistica Gianni Biagi. Il secondo è invece legato alla società di progettazione Quadra, con l'ipotesi di accusa che parla della creazione di un autentico monopolio sull'edilizia privata fiorentina. Un monopolio durato dal 2007 al 2009, creato coinvolgendo politici, imprenditori e dipendenti tecnici di Palazzo Vecchio. Fra i primi spicca l'ex capogruppo democrat Alberto Formigli. Rinviato a giudizio lunedì scorso insieme ad altre 21 persone, fra cui l'ex presidente del locale Ordine degli architetti Riccardo Bartoloni, altri professionisti, alcuni costruttori edili, e gli ex responsabili dell'ufficio comunale edilizia privata Bruno Ciolli e Giovanni Benedetti. In questo caso i reati ipotizzati, a vario titolo, parlano di associazione per delinquere, corruzione, abuso d'ufficio, truffa aggravata e falso ideologico.

Per Castello, ultimo grande spazio (quasi) libero dell'intero territorio comunale, ereditato da Ligresti quando la sua Sai incorporò Fondiaria, c'era in cantiere una grande traformazione urbanistica che prevedeva la realizzazione di 1.500 appartamenti; un centro commerciale; un campus scolastico (dove l'allora presidente provinciale Matteo Renzi voleva far traslocare numerosi istituti secondari); una sede direzionale pubblica, e un parco da 80 ettari. Dal momento in cui la procura fiorentina guidata da Giuseppe Quattrocchi sequestrò l'area, il 26 novembre 2008, Ligresti non ha mai chiesto il dissequestro. Né ha riavviato trattative con l'amministrazione fiorentina. Ben diverso il clima nel 2005, quando Ligresti aveva stipulato la convenzione su Castello con l'allora sindaco Leonardo Domenici. A seguire l'ok del consiglio comunale - a sinistra contrari solo Rifondazione e Ornella De Zordo di Unaltracittà e Comitati cittadini - infine il passaggio della pratica nelle mani di Gianni Biagi. Al quale la magistratura contesta «di aver adottato iniziative e provvedimenti in contrasto con gli interessi pubblici», rilasciando fra l'altro nell'agosto 2008 i permessi per le edificazioni private senza che fossero stati avviati i lavori per il parco. Lavori considerati come prioritari dall'assemblea di Palazzo Vecchio, nel momento in cui aveva dato l'assenso alla trasformazione urbanistica dell'area. Lavori che invece stavano slittando, e che probabilmente sarebbero stati abbandonati del tutto. In favore del nuovo progetto della "cittadella viola", avanzato dai fratelli Della Valle e già giudicato verbalmente dal sindaco Domenici come ben più interessante.

Su Castello, i pm Monferini, Mione e Tei che hanno indagato insieme al Ros dei carabinieri ritengono che non ci sia stata una corruzione "classica" - favore in cambio di mazzetta - ma una corruzione "liquida" fatta di scambi, consulenze, favori nella carriera anche grazie all'entrata in giri che contano. Quanto al caso Quadra, la società di progettazione edilizia di cui Bartoloni era socio e Formigli (all'epoca anche presidente della commissione urbanistica) "socio occulto", la pubblica accusa ritiene che godesse di una corsia preferenziale per l'approvazione di progetti di nuove edificazioni e ristrutturazioni, anche di notevole entità. Il tutto in cambio di favori o regali, e potendo contare sul ruolo di Formigli come intermediario politico. Insomma una sorta di cavallo di Troia negli uffici tecnici comunali.

Le prime mosse di Matteo Renzi appena eletto sindaco di Firenze furono molto efficaci. In molte dichiarazioni affermò che la sua città non doveva consumare più neppure un metro quadrato di territorio: era già sufficiente la grande periferia metropolitana. Poi criticò la svendita del patrimonio pubblico voluta dal governo affermando che nelle caserme localizzate nel centro della città sarebbero sorte case pubbliche invece di alberghi a cinque stelle. Chiuse infine al transito delle auto piazza del Duomo, restituendola alla città.

E il suo atteggiamento era tanto più importante per quante ombre erano rimaste sull’immagine della precedente giunta comunale: dal pranzo del sindaco Domenici con Ligresti e Della Valle in cui confessava di preferire il cemento all’ipotesi del parco della piana; dal nuovo piano urbanistico che aggrediva le meravigliose colline tutelate da tanti amministratori e urbanisti del passato; dallo scandalo della scuola dei Marescialli; la cricca degli architetti “pigliatutto”. Sembrava dunque che Renzi, facendo tesoro della bocciatura del piano strutturale volesse voltare pagina. Ma evidentemente il cemento armato deve avere il suo fascino se nel breve volgere di due anni, il sindaco vuol fare approvare dal consiglio comunale un piano strutturale della città che non è a “crescita zero”.

Già in questi due anni la società civile e il valido gruppo che ruota intorno a Ornella De Zordo, consigliera comunale già protagonista nella lotta contro gli scempi urbanistici e ambientali della passata amministrazione, avevano svelato che anche nella nuova stesura di quel piano c’erano scempi ben mimetizzati a prima vista. C’era ancora la possibilità di aggredire le colline realizzando di attività sportive o sanitarie; la cementificazione della pianura verso Prato; l’accordo con le Ferrovie dello Stato per l’inutile tunnel dell’alta velocità in cambio di enormi cubature. Ma la pressione della società civile era riuscita ad attenuare i danni del piano ereditato dai precedenti cementificatori. Nelle osservazioni dei comitati e del gruppo “perunaltracittà” si denuncia la costruzione di qualche milione di metri cubi di cemento solo in parte localizzato in aree industriali dismesse. Il resto è un’ulteriore sciagurata fase di espansione urbana.

Il sindaco Renzi vuole far approvare oggi dal consiglio comunale un piano ancora peggiore di quello di Domenici. E’ già stato infatti approvato anche un “provvedimento dirigenziale” che consente l’attuazione in deroga dei piani di recupero urbano presentati fin quì. Renzi, insomma, con una mano approva e con l’altra apre a una nuova fase di deroghe e contrattazioni!

Se non ci saranno ripensamenti, in due anni si è mestamente consumata la parabola del sindaco decisionista legato alla sua città. I segnali premonitori di quanto stava per accadere li abbiamo visti pochi giorni fa, quando Renzi si è schierato contro il referendum per l’acqua pubblica. Quando argomentava a favore della privatizzazione (la Toscana e Firenze sono aree di conquista della romana Acea) aveva lo stesso piglio che userà oggi, per convincere il consiglio comunale a votare un provvedimento che renderà ancora più invivibile Firenze.

Speriamo che perda anche stavolta. E per scongiurare questo voto, i movimenti fiorentini che si battono per una città come bene comune si sono dati appuntamento questa mattina alle 12 sotto Palazzo Vecchio. Firenze non merita di diventare un immenso campo di speculazioni come la scuola dei Marescialli.

La Marson "osserva" fuori tempo massimo

Piano strutturale, Regione scettica ma le "osservazioni" arrivano in ritardo. «E´ arrivato dopo il 12 marzo, cioè oltre il tempo massimo», fa sapere il Comune. E solo per una sorta di cortesia istituzionale, cioè per i buoni rapporti che intercorrono al momento tra il sindaco Renzi e il governatore Rossi, Palazzo Vecchio non ha risposto con un «irricevibile».

Come tutte le «osservazioni», anche quella trasmessa dall´assessore regionale Anna Marson non è vincolante. E il Comune non sembra avere in effetti molta intenzione di tenerne conto. Ma è comunque utile per capire cosa pensa la Regione del Piano che Renzi ama sempre presentare come il primo a «volumi zero». Perché a giudicare dalle considerazioni che spuntano qua e là tra i rilievi tecnici, l´assessore Marson ha qualche moto di scetticismo.

Anzitutto a proposito del cosiddetto meccanismo del credito edilizio. Palazzo Vecchio ha calcolato in 150.000 metri quadrati il totale interessato del meccanismo. Che è questo: chi possiede un capannone dismesso nell´area centrale della città può decidere di conferirlo al Comune con l´obiettivo di lasciare spazio ad una piazza o ad un giardino. E in cambio il Comune acconsente al trasferimento in periferia delle stesse metrature. Anzi, come incentivo concede al privato la possibilità di aumentare la superficie del 10 per cento. Ma così si costruisce là dove non c´era ancora niente: «Essendo trasferite in nuove aree rappresentano nuovo impegno di suolo e pertanto dovrà essere verificata e valutata la sostenibilità», rileva la Regione nel documento. Come dire, altro che «volumi zero».

In più, si punta il dito contro i contenitori «di particolare valore» com´è il caso del tribunale di piazza San Firenze. Che all´indomani del trasferimento nel nuovo Palazzo di giustizia, al momento previsto a novembre, dovrà essere destinato a nuove funzioni. Quali? E´ qui che punta l´indice dell´assessore Marson: per questi edifici, che ammontano a 217.000 metri quadrati, «si ritiene che debbano essere definite strategie per la valorizzazione sia in termini funzionali che in rapporto all´accessibilità».

La responsabile urbanistica della Regione rileva poi che «gli interventi di recupero con una superficie lorda inferiore a 2.000 metri quadrati non sono computati nel dimensionamento». Cioè nel conto della metrature. E Marson fa presente che «non risultano chiare le motivazioni di tale esclusione» perché in realtà il totale di questi interventi è una cifra di rispetto «e si ritiene necessario conteggiarla». Attenzione, avverte ancora la Regione: «All´interno degli isolati urbani è necessario chiarire le modalità di impiego delle volumetrie, nonché le condizioni per interventi di completamento, sopraeleveazione o saturazione del tessuto insediativo». Manca cioè, dice la Marson, una indicazione delle condizioni di trasformabilità. La responsabile urbanistica chiede anche di riscrivere le norme sulla grande distribuzione per valutarne meglio la compatibilità con la dotazione infrastrutturale.

Dall´assessore regionale ai trasporti Luca Ceccobao si pone invece una domanda cruciale a proposito dell´Alta velocità: «E´ necessario che il Comune verifichi se è di propria competenza prescrivere condizioni alla realizzazione del sottoattraversamento». La Regione, sembra di capire, rivendica un proprio ruolo nella trattativa in corso con l´ad di Ferrovie Moretti.

Il Comune non si smuove "volumi zero" parola d´ordine

L´assessore Marson nutre dubbi sui «volumi zero» previsti dal Piano? «Noi non li abbiamo», replica Palazzo Vecchio. E´ vero che il «credito edilizio» prevede nuove costruzioni dove adesso non c´è niente. Ma si tratta di quantità minime: 150.000 metri quadrati è solo il conto totale degli edifici posti nell´area centrale che ricadono sono questa tipologia.

Non sarà comunque facile convincere i proprietari ad abbandonare il centro per la periferia (da qui l´incentivo del 10 per cento). E in ogni caso i trasferimenti eventuali saranno possibili solo in zone ben precise: da una parte la zona di via Pistoiese, dall´altra quella di viale Nenni, dove una volta tanto l´infrastruttura (la tramvia per Scandicci) precede l´insediamento edilizio. Non solo. Palazzo Vecchio ricorda che, coerentemente all´annuncio dei «volumi zero», sono stati cancellati anche i residui. Cioè le previsioni su terreni identificati come edificabili dal vecchio pano regolatore, nei casi in cui i proprietari non avevano ancora ritirato le concessioni edilizie. Una decisione che potrebbe costare, chissà, alcuni contenziosi tra Comune e privati proprietari delle aree.

Se poi ci si riferisce a Castello, l´obiezione non è pertinente. Il progetto Fondiaria-Sai è stato oggetto di convenzioni e non è cancellabile. A meno di sicuri ed onerosi contenziosi. Castello, unico ma autentico caso di espansione della città (che potrebbe tornare per aria per effetto della variante del Pit e dello sviluppo aeroportuale), è una eredità del passato.

La parola d´ordine «volumi zero», che secondo il sindaco Renzi sarebbe meglio declinare in «basta con il consumo di nuovo suolo», non è dunque in discussione. Il Piano strutturale, che potrebbe essere adottato entro maggio, afferma una chiara discontinuità con i Piani del passato e anche con la cultura urbanistica corrente. E non può essere il credito edilizio a ribaltare il senso generale.

Per Palazzo Vecchio, che inizierà ad esaminare le osservazioni mercoledì nella commissione urbanistica guidata da Titta Meucci, l´unica annotazione condivisibile avanzata dalla Regione è quella sui contenitori dismessi e sulle future destinazioni d´uso. A cominciare proprio da tribunale di piazza San Firenze. D´altra parte, se nel Piano le indicazioni per questo palazzo sono ancora vaghe, è perché una decisione definitiva ancora non c´è. Il sindaco Renzi aveva ipotizzato di ospitare nel palazzo le università straniere. Ma la riflessione, dice Palazzo Vecchio, è ancora in corso.

Firenze. L’ultimo a finire sotto le sue grinfie è il sindaco, Matteo Renzi, con il Piano Strutturale di Firenze. Un documento accompagnato da una promessa: “Saremo un Comune a cemento zero”. E la parola è passata alla Regione, all’assessorato all’Urbanistica dove siede lei, Anna Marson. Un nome che in Toscana sta diventando uno spauracchio per costruttori e amici del cemento. Così, ecco arrivare le 28 pagine del parere degli uffici di Marson sul Piano di Renzi. Non è una bocciatura, ma il Comune è stato “rimandato”. Si scopre che, secondo la Regione, di cemento a Firenze (nonostante i buoni propositi) ne arriverà più di mezzo milione di metri cubi, l’equivalente di un nuovo quartiere. Non solo: la Regione storce il naso anche sui centri commerciali: “Il Piano prevede l’esclusione di nuovi insediamenti, ma fa salva la possibilità di rilocalizzare quelli esistenti”. Negli uffici di Marson sintetizzano: “Il Piano non ha rivisto i dimensionamenti previsti dal vecchio piano regolatore, dove si ipotizzava una crescita degli abitanti che non c’è stata. Così, compresi cambi di destinazione d’uso che si contano come nuovi volumi, il Piano prevede tra cinquecentomila e un milione di metri cubi”.

Un documento che non farà piacere in Comune. Marson, però, non se ne cura. Lei si presenta sempre sorridendo. Parla senza alzare la voce, con un misto forse di timidezza e di riservatezza poco comune nei Palazzi della politica. Questo deve aver ingannato anche gli alleati quando hanno accettato che ad Anna Marson (indipendente in quota Idv) fosse offerta la poltrona di assessore all’Urbanistica in Regione. Un ruolo chiave, negli uffici di Novoli, periferia nord della città, si decide il destino di progetti da miliardi. Qui si concentrano le aspettative di potenti imprenditori (su versanti opposti, il gruppo Fusi, amico di Denis Verdini, e le cooperative o il Monte dei Paschi) e di partiti politici.

Marson sembrava la persona ideale per dare fiducia agli elettori, con quel suo pedigree da società civile: dottorati in Pianificazione territoriale, cattedra di tecnica e pianificazione urbanistica all’università Iuav di Venezia. Per questo probabilmente è stata voluta dall’Idv che spesso punta all’Urbanistica sottolineando la propria anima ambientalista. Anche se, talvolta, con esiti opposti: in Liguria il partito di Di Pietro ha scelto un’altra donna, Marilyn Fusco, che in breve si è guadagnata il soprannome di “assessore al mattone” per il suo Piano Casa che ha fatto impallidire perfino quello di Ugo Cappellacci in Sardegna. Difficile immaginare due assessori più diversi di Fusco e Marson,

Lei, Anna, è stata scelta dal presidente della Regione, Enrico Rossi, che la appoggia per dare una sterzata alla politica urbanistica. Altri pensavano che sarebbe stato un gioco da ragazzi mettersi in saccoccia questa donna di 53 anni, dall’aspetto distinto. Ma sbagliavano di grosso. In pochi mesi il bubbone è esploso. Non passa giorno che Marson non riceva attacchi da ambienti vicini a Confindustria, dalla stampa di centrodestra, ma non solo. E nei corridoi della Regione si racconta: “Il presidente la sostiene, ma anche tra i suoi alleati parecchi vorrebbero farle le scarpe”.

Marson la spiega così, diplomaticamente: “Molti credono che sviluppo significhi costruire, invece la nostra ricchezza è legata alla cura e riproduzione del territorio. Non è una questione soltanto estetica, ma anche economica. La Toscana attrae milioni di turisti per la sua bellezza. Ma il paesaggio va curato e protetto anche dal cemento”.

Ma ci sono nodi concreti. I porticcioli, per esempio. In Toscana è tutto un fiorire di progetti da miliardi che vedono impegnati colossi come Francesco Bellavista Caltagirone. E lei, Marson, ha parlato chiaramente: “Vanno bene i posti barca, ma puntiamo sulla nautica sociale, quella che interessa chi abita sulla costa. Invece si vuole puntare ovunque sui mega-yacht, su enormi porti con intorno case”. Una frase che inquieta imprenditori e sindaci della costa (di entrambi gli schieramenti) che su moli e cemento avevano scommesso. Basta? Neanche per sogno. Ci sono i fiumi, soprattutto l’Arno, con i bacini dove si è costruito troppo, con effetti che si vedono ad ogni alluvione. Marson è chiara: “Per l’Arno serve un progetto territoriale complessivo, bisogna riqualificare. Rivedere rapporto tra insediamenti e fiume”. Costruire ancora? “Macché, le condizioni climatiche sono cambiate, dobbiamo fare attenzione alla sicurezza”. E sono altri nemici. “Ci sono i Comuni che hanno troppi poteri in materia urbanistica”, avverte l’assessore. Fino al nodo delle grandi opere. A cominciare dalle autostrade, con la contestatissima Livorno-Civitavecchia sponsorizzata dal ministro Altero Matteoli (Pdl), e dalla precedente giunta di centrosinistra e da Riccardo Conti (predecessore della stessa Marson e oggi responsabile Infrastrutture del Pd nazionale). C’è poi il capitolo aeroporti, con il centrosinistra alleato del Pdl nel lanciare ovunque nuove piste: da Siena (oggetto di un’inchiesta della Procura dove è indagato Giuseppe Mussari, numero 1 del Monte dei paschi) a Firenze (vicino ai terreni di Salvatore Ligresti, il re del cemento). E ogni volta ecco che spunta Anna Marson a mettersi di traverso.



Vedi su eddyburg: “Il Piano di Firenze è davvero a volumi zero, come dice Renzi?”

Caro Eddyburg, in autunno il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha annunciato l’adozione del nuovo Piano Strutturale della città “a volumi zero”. La scelta è quella di dire basta al consumo di suolo e azzerare le previsioni non attuate del vecchio Piano regolatore. Come si spiega nelle interviste e comunicati stampa, ciò non significa “bloccare la città”, le possibilità di costruire deriveranno dal recupero di volumi esistenti. Attraverso un sistema di “crediti edilizi”, si potranno demolire gli edifici “in difformità rispetto ai contesti urbanistici” (ad esempio capannoni in contesti residenziali) e trasferire i volumi in altre parti della città, con un bonus del 10% di costruito e uno sconto sugli oneri. Quali sono queste altre parti? Le aree dismesse (sembra) in cui sono infatti previsti 9.800 alloggi.

Non conosco la realtà fiorentina e queste poche informazioni mi stuzzicano molte domande. Cosa si intende esattamente per previsioni non attuate? Includere o no anche i piani particolareggiati approvati, ma non attuati può fare la differenza di molti ettari. Quale sarà la destinazione delle aree oggetto di demolizione? Quale è la relazione tra aree dismesse e trasferimento delle volumetrie?

Una cosa però mi sembra chiara: il piano non aggiunge nuove previsioni di espansione e l’intenzione dichiarata è quella di limitare e di gestire quelle pregresse. Questo marca la differenza con molte altre esperienze che hanno tentato di limitare il consumo di suolo, ma sempre facendo salvi i residui dei precedenti piani, ancora considerati un tabù per la paura che si sollevino ricorsi a catena. Credo che il piano di Firenze ci dia una importante occasione per riaffermare che le previsioni urbanistiche non costituiscono automaticamente un “diritto acquisito”, e che per invertire la rotta del consumo di suolo è necessario mettere mano al fardello dei residui ereditato dalla stagione pianificatoria “sviluppista”.

Delle modifiche al Piano strutturale di Firenze apportate dal nuovo sindaco Renzi ci siamo già occupati riportando l’argomentata posizione critica del Comitato dei cittadini di Firenze aderente alla ReTe (“ Il piano strutturale di Firenze: Onestamente indifendibile”). Tenendo conto anche di una intervista della dirigente del settore, Stefania Fanfani (la Repubblica, ed. Firenze, 14 dicembre 2010), possiamo riassumere gli elementi del discorso come segue.

Quando il sindaco afferma di aver cancellato tutte le vecchie previsioni del PRG dice una verità incompleta. Non fa riferimento ad alcune eccezioni: poche previsioni sulle quali il comune ha perso contenziosi (così dice la dirigente) per un totale di 5 ha; altre previsioni derivanti dalla delocalizzazione di edifici incongrui (di cui è nota l'entità, 150.000 mq di SUL, ma non il sito dove le volumetrie potranno essere ricostruite, né la quantità corrispondente di suolo consumato); i piani attuativi già autorizzati dalla precedente sciagurata giunta, il più significativo è quello di Castello (svariate decine di ettari, su cui sono edificabili circa 400.000 mq di SUL), ma ce ne sono molti altri per un totale di 678.000 mq di SUL. Sommando queste tre componenti il suolo consumato potrebbe accrescersi di svariate decine di ettari.

La semplificazione propagandistica (verrebbe da dire: “pubblicitaria”) dello slogan "volumi zero" è indubbiamente fuorviante, dato che i metri cubi messi in gioco dal nuovo piano - tra ristrutturazioni urbanistiche e nuove costruzioni - ammontano a qualcosa come 4,5 milioni. La dirigente ha infatti riconosciuto che sfruttando tutte le possibilità del piano, la città potrebbe crescere di 70.000 abitanti (+25%).

Ciò detto crediamo che si debbano sottolineare due elementi di riflessione.

(1) Il fatto che il PS cancelli le previsioni residue del PRG senza temere contenziosi: riconosca cioè che i cosiddetti “diritti edificatori” sono una balla. E' un punto a favore dell’attuale amministrazione fiorentina, che testimonia quanto siano pretestuose le scuse accampate da altre amministrazioni (e altri urbanisti di chiarissima fama). Sull'argomento si veda il parere di V. Cerulli Irelli e la nota di E. Salzano.

(2) Le dimensioni della trasformazione urbana sono comunque ingenti; testimoniano l’assoluta inutilità (se non per la proprietà fondiaria) dell'ulteriore espansione. Rimettendo in gioco gli spazi dismessi, sottoutilizzati, degradati è insomma possibile soddisfare la domanda attuale e futura. É su queste aree - parte delle quali di proprietà pubblica - che si gioca il destino dei prossimi anni delle città. Chi comanda? I privati come a Milano? Il pubblico? Con quali prerogative, strumenti e criteri? Le nostre riflessioni alla scuola estiva sono quanto mai attuali.

Ecco alcuni motivi per cui non ci sentiamo di difendere il Piano Strutturale adottato il 13 dicembre scorso dal Consiglio Comunale

La sbandierata ma disattesa promessa di un piano "a volumi zero". Nella realtà il Piano Strutturale adottato "sdogana" per i prossimi 15 anni 4 milioni e mezzo di mc. di volumi privati su una superficie municipale di poco più di 100 Kmq. Infatti le superfici autorizzate non ancora realizzate, ma riconfermate dal PS, sono pari a 678.000 mq., mentre il nuovo impegno di suolo dovuto al residuo del PRG equivale a 92.100 mq. A queste dobbiamo aggiungere l'incremento di carico urbanistico rappresentato dai 713.000 mq. di superfici da recupero (comprensive dei contenitori di particolare valore) di cui ben 530.150 mq. sono costituiti da residenze, 59.300 mq. da insediamenti industriali e artigianali, 57.380 mq. da funzioni commerciali di media grandezza, 26.100 mq. da turistico-ricettivo, e 40.070 mq. da direzionale. Avremo pertanto un totale di 1.483.100 mq. di superfici che moltiplicate ottimisticamente per un'altezza di 3 m. raggiungono l'imponente cifra di 4.452.000 mc.

Non si dimentichino inoltre:

- le enormi superfici pubbliche della Scuola Marescialli di Castello quasi completate;

- i 150.000 mq. di trasferimento per perequazione di edifici cosiddetti incongrui, (ma quali sono? Volumi abusivi, condonati o meno, oppure anche le recenti edificazioni autorizzate nelle corti?) col connesso premio volumetrico;

- i 200.000 mq di edifici incongrui analoghi non ancora collocati ma in odor di variante;

- il "social housing" (caserme dismesse, completamento dell'edificato e nuovo consumo di suolo);

- il completamento di alcune aree sportive in delicate aree di frangia che incrementeranno ulteriormente quelle cifre.

Le colline e il centro storico indifesi

Il Piano Strutturale appena adottato, dopo aver reso gratuito omaggio ad alcuni principi di sostenibilità energetica e ambientale, è presentato come il primo piano in Italia a volumi zero e senza consumo di nuovo suolo; in realtà consente gli incrementi volumetrici di cui sopra e il consumo di nuovo suolo mediante l'attacco alla collina, sottraendo i borghi storici collinari dalle aree a piena tutela, e conferma, senza alcun ripensamento, tutte le volumetrie di Ligresti nella Piana di Castello, mette parcheggi interrati attira-traffico sotto una decina di piazze storiche e prevede sconsideratamente 6 Km di tunnel tranviari sotto il Centro storico, senza infine negarsi un passante stradale sotterraneo da Varlungo a Careggi/Novoli immaginato "fuori Piano".

La mobilità:

un'incredibile e velleitaria macedonia di tutto quello che si potrebbe fare, senza indicazioni di priorità, scelte strategiche generali e indicazioni di tempi e risorse per la loro attuazione



Il Piano Strutturale accoglie, nonostante la guerriglia verbale del sindaco Renzi contro Ferrovie dello Stato, tutto il pacchetto Alta velocità, compresa la contestata e abusiva stazione Foster, regalando a Moretti la piena disponibilità delle "sue" aree ferroviarie.

Qui si doveva giocare l'ultima battaglia per adeguare il sistema della mobilità (il quinto per dimensione in Italia, la cui fragilità è stata catastroficamente dimostrata dalla recente nevicata) di cui si parla molto nelle relazioni di Piano. In un'area metropolitana asfissiata dalle polveri fini, da sempre al vertice italiano per indice di motorizzazione auto e moto e nella quale il ruolo del trasporto pubblico è andato progressivamente declinando con il decentramento della popolazione e con l'abbassamento del livello di servizio, la mancata salvaguardia del "canale ferroviario" (escluso dal quadro delle "invarianti") rende le considerazioni sulla creazione del Servizio ferroviario metropolitano prive di fondamento. Soprattutto se si perde l'occasione dell'AV per attrezzare importanti nodi, come le stazioni di Campo di Marte e di Rifredi, per l'utilizzo metropolitano della rete ferroviaria, per la riorganizzazione della mobilità cittadina e per la definitiva messa in sicurezza del passaggio in superficie del traffico.

Il Piano strutturale appena adottato riconferma i progetti delle linee 2 e 3 della tranvia contro i quali i cittadini si erano espressi con un referendum nel 2008, e ne prevede anche i prolungamenti; annuncia infine la creazione di tre nuove linee (per un totale di sei), due delle quali su sede ferroviaria.

Il Piano prevede anche la privatizzazione di importanti aree pubbliche come il Meccanotessile, la Mercafir, il deposito Ataf di viale dei Mille e l'istituto dei Ciechi, oltre a premi, regalie e aumenti di superfici edificabili per i privati.

La "perequazione":

ovvero come si consuma nuovo suolo rinunciando alla pianificazione del territorio

Con la perequazione che dà luogo al "credito edilizio" il PS intende favorire il trasferimento, ad esempio, del volume di un capannone abbandonato dal centro ad una zona periferica, demolendolo poi per ricavarci uno spazio pubblico, una piazza o un giardino.

Il criterio perequativo originariamente era utilizzato per garantire ai proprietari presenti all'interno di uno stesso comparto o di un "zona territoriale omogenea" pari opportunità ed equiparazione di diritti/doveri; ora viene diffuso su tutto il territorio comunale facendo sì che volumi "incongrui", sottratti da un tessuto già troppo denso, "atterrino" in altre aree producendo erosione di aree verdi, agricole o collinari, invasione di zone paesaggisticamente sensibili, generando in parole povere consumo di nuovo suolo ed espansione dell'edificato.

Ma soprattutto, compiendo uno strappo fra standard urbanistico (da individuare là dove viene demolito il volume incongruo) e nuova edificazione (nella nuova area dove si depositano le volumetrie relative all'edificio demolito), aggravaquella indifferenza alla localizzazione (e quel primato della rendita immobiliare) che è la vera tomba della pianificazione.

Si opera così anche una coartazione sul singolo abitante come titolare di un diritto a quella dotazione di superficie pubblica da utilizzare nel quotidiano in un rapporto di vicinanza con la residenza (verde, parcheggio, scuola, centro sociale, chiesa, ecc.). Il passaggio dalle convenzioni tra Comune e privati al "Registro dei crediti edilizi" rende assai problematica e incerta qualsiasi gestione di questo tipo di pianificazione.

Limitatissime le concessioni fatte dalla superblindata maggioranza di Palazzo Vecchio ai 166 emendamenti, circostanziati e propositivi, presentati dai vari gruppi durante la discussione nel Consiglio comunale. A conferma di una sottrazione della materia urbanistica, non solo alla democrazia partecipativa (mai veramente attuata e comunque subito conclusa tre mesi fa con il retorico appuntamento dei "100 luoghi"), ma anche a quelle stesse assemblee elettive tanto invocate da molti amministratori toscani contro i comitati e l'associazionismo ambientalista – che sono ormai gli unici depositari, insieme a pochissimi tecnici e consiglieri, della competenza e della consapevolezza necessaria per un governo trasparente e sostenibile del territorio.

Nonostante la disponibilità al dialogo fornita durante il dibattito in commissione e in Consiglio comunale dai gruppi di opposizione (e il voto favorevole del consigliere di opposizione Valdo Spini) il Partito Democratico ha fatto quadrato, come doveva, attorno alla rete di interessi economici che entrano in gioco in un iter di Piano. Materia troppo seria evidentemente per lasciarla in mano a semplici consiglieri o peggio a cittadini perbene e tecnici competenti.

Per tutti questi motivi siamo convinti che in Consiglio comunale l'unica scelta possibile fosse quella di un voto contrario. Crediamo però anche che si debbano utilizzare i sessanta giorni di legge per tradurre in osservazioni le nostre proposte e, in questo senso, invitiamo l'Amministrazione ad attivare un vero dibattito pubblico con i cittadini, considerato che, nella fase di adozione, il processo partecipativo è risultato estremamente compresso e carente quando non ridotto alla dimensione di sondaggio di opinione o, peggio ancora, di spot pubblicitario.

Postato da ReTe dei comitati su "News dei Comitati" il 21/12/2010

Poggio Imperiale, cede la collina

crollo nel cantiere delle case di lusso

di Maria Cristina Carratù

Erano le due di giovedì notte quando gli abitanti di via Benedetto Castelli, elegante strada alberata che unisce via Senese a via del Gelsomino, fra S.Gaggio e Poggio Imperiale, si sono svegliati di soprassalto. Strani schianti provenivano dal cantiere aperto da mesi dietro le loro case. E’ bastato aguzzare gli occhi per capire. La collina stava franando dentro il cantiere.Subito sono partite le chiamate a carabinieri e alla polizia: «Correte, qui sta crollando tutto». E di cosa si trattasse si è visto bene alla luce del giorno: il muro di contenimento di cemento armato che delimita l’enorme scavo del cantiere dove dovranno sorgere appartamenti e garage interrati, costruito proprio per impedire il cedimento della strada e di un pezzo di collina, era venuto giù. Piegato in due come un pezzo di Lego, mentre blocchi di sassi e terra continuavano a cadere, rendendo difficile l’intervento degli operai che tentavano di contenerlo.

In poche ore sul posto sono arrivati i vigili urbani, i tecnici comunali di Urbanistica e Edilizia, della Asl e di Publiacqua, del Genio civile e dei Vigili del Fuoco. E il verdetto è arrivato subito: immediata chiusura al traffico, anche pedonale, di un lungo tratto di via Castelli (ora senza sfondo e accessibile solo da via Senese), seguita da una intimazione dello «stato di pericolo» all’impresa, la Pinzani costruzioni di Prato, da parte della Direzione urbanistica, con obbligo di sospensione immediata dei lavori e messa in sicurezza del cantiere. L’attività, insomma, potrà riprendere solo dopo che il cedimento sarà stato arginato, e che saranno state realizzate tutte le opere necessarie per garantire la stabilità dell’area. E si sta anche valutando se impedire la prosecuzione dei lavori nel caso in cui si verificasse un rischio per la «pubblica incolumità».

Un dramma annunciato, denunciano gli abitanti della zona, che con lettere e petizioni da mesi avevano avvertito del pericolo incombente su una delle zone più pregiate della città. Da quando, dopo che nel gennaio di quest’anno (ufficialmente, in realtà già nell’agosto del 2008) era stata abbattuta in due giorni la bella villa con parco degli anni ‘50 di proprietà della famiglia Gucci (poi venduta alla Edilborg srl di Prato), ed era comparso il cartello di un cantiere. Al posto della villa, si era capito ben presto, sarebbe sorto un complesso extralusso di miniappartamenti (prima 12, poi 14, bilocali di un massimo di 35 metri quadrati l’uno), più un’enorme autorimessa sotterranea di 17 box, con microgiardinetti singoli al posto del parco.

«Una lottizzazione selvaggia» secondo gli abitanti, che hanno subito cominciato a subire gli effetti dei pesanti lavori in corso (vedi articolo qui sotto) e da mesi cercano di farsi ascoltare da qualcuno, a cominciare dl Comune, senza alcun risultato. Preoccupati del grave «pericolo ambientale» che sta correndo la loro zona, «una delle ultime dove si può ancora fare una passeggiata fra gli alberi», come hanno scritto nelle loro petizioni, mentre dall’altra parte della collina di Poggio Imperiale, su via del Gelsomino, un grande parcheggio sotterraneo di 89 box, in via di realizzazione ad opera della You Park, ha già comportato un grosso sbanco di terreno. Un’opera, in realtà, secondo il costruttore Claudio Sabatini, che «stabilizzerà una collina friabile, rendendola più sicura». Ma una friabilità, appunto, che sul fronte di via Castelli avrebbe dovuto consigliare la massima prudenza a chi ha fornito tutte le autorizzazioni. E intanto, in tarda serata, un ulteriore sopralluogo di tecnici del Comune e del Genio Civile ha portato a una serie di interrogativi: il cemento armato del muro di contenimento che ha ceduto era adatto a quella funzione? E corrisponde al campione di materiale depositato (per legge) al Genio Civile? O la colpa del cedimento , come sostiene l’impresa, è colpa delle infiltrazioni d’acqua della collina?

Nella zona un coro di proteste

"Il Comune non ha mai risposto"

«Mi è crollato il muro di cinta e i vigili del fuoco mi hanno impedito di uscire in giardino» racconta Enrico Ieri, che abita al numero 19, ora in mano a un avvocato. Aldo Grechi viene qui col cane: «Da mesi avevo notato una crepa sempre più larga sulla strada, possibile che nessuno la vedesse?». «Ho telefonato all’impresa un mese fa, lo scavo aveva portato via tutte le radici degli alberi lungo la strada, era ovvio che il terreno avrebbe ceduto» protesta Silvia Maria Prampolini. E’ un coro di proteste quello che si leva da via Benedetto Castelli il giorno del crollo «previsto, annunciato, certo» come dice Ieri. Che ha ancora qualcosa da raccontare: un pozzo, uno dei tanti di una zona piena di falde acquifere, «e dove tutti sanno da sempre che le case sono instabili perché il terreno è friabile», è stato appena tappato col cemento «e vorrei sapere dove andrà a finire, ora, quell’acqua». Vittorio Ciardi, che abita al numero 29, ha chiesto più volte un incontro in Palazzo Vecchio a nome dei residenti: «Ma non ho mai avuto risposta». I proprietari di una villa in via Magalotti hanno puntellato il fianco della collina per paura di una frana. Ed ad alto rischio è soprattutto la villa della famiglia Marovelli, a strapiombo sullo scavo, e con tre grandi cipressi mezzi secchi per mancanza di terra che potrebbero crollare sui tetti circostanti. Adesso, dicono tutti, «si spera solo che non si metta a piovere». E che l’acqua, penetrando in un terreno così disastrato, non riempia l’enorme scavo di migliaia di metri cubi di fango pronti a riversarsi sulle case. (m.c.c.)

Una strada con vincolo paesaggistico

ma la sostituzione edilizia è consentita

di Franca Selvatici

Via Benedetto Castelli, con il suo andamento sinuoso, si estende fra San Gaggio e Poggio Imperiale, ed è stata disegnata dal Poggi. La zona è magnifica e sottoposta a vincolo paesaggistico, ma nel piano regolatore è classificata come sottozona B1 ("edificato saturo") nella quale è consentita la sostituzione edilizia senza vincoli. Così è stato possibile demolire una villa costruita agli inizi degli anni Sessanta per sostituirla con tre corpi di fabbrica quadrifamiliari, per un totale di dodici bilocali di 35 mq, tutti su due piani. E’ stato possibile prevedere non soltanto un piano seminterrato per ogni corpo di fabbrica ma anche un piano totalmente interrato, fuori sagoma rispetto ai terratetto, adibito ad autorimessa per 15 veicoli. Ed è stato consentito di tagliare alberi, con l’impegno di piantarne altri.

La società Edilborg di Prato, amministrata da una signora di 71 anni e partecipata dalla Immobiliare Roll di Lorenzo Marchi, ha presentato il progetto di «sostituzione edilizia» firmato dagli architetti Alberto Ortona e Eugenio Bosi il 18 settembre 2006. L’iter del procedimento, di cui era responsabile il geometra Emanuele Crocetti (coinvolto nell’inchiesta sulla Quadra Progetti), è stato piuttosto laborioso. Il Comune fece una serie di obiezioni sui vani scale, sulle altezze e anche sugli scavi, che sembravano troppo pesanti. Ma infine, l’11 agosto 2008, gli uffici dell’edilizia privata rilasciarono il permesso di costruire. La firma sull’atto è dell’architetto Laura Achenza (anch’essa coinvolta nell’inchiesta Quadra). Sono seguite a stretto giro puntuali richieste di variante per ampliare l’intervento: la prima, assentita il 23 luglio 2009, porterebbe a 14 gli appartamenti; la seconda, presentata il 22 settembre scorso, è in istruttoria.

Fra le prescrizioni indicate nel permesso di costruire ve ne è una che alla luce di quanto è accaduto appare cruciale: «Siano rispettate tutte le prescrizioni operative indicate nella relazione geologica». Che in verità appariva abbastanza rassicurante. Niente vincolo idrogeologico. Niente pericolosità idraulica. Pericolosità moderata o media «da processi geomorfologici di versante e da frana». «I sopralluoghi effettuati non hanno evidenziato segni di instabilità in atto o quesciente né fenomeni erosivi in atto». Il geologo, peraltro, raccomandava in fase di progettazione esecutiva una campagna geognostica e tutta un’altra serie di accertamenti, in particolare per individuare «eventuale presenza di acqua a quote che potrebbero interferire con gli scavi o con i piani di fondazione». Ora bisogna capire se questi accertamenti siano stati fatti e se, nel realizzare il vasto scavo, sia stato tenuto conto del fatto che lo strato superficiale dell’intera collina è costituito dai materiali instabili risultanti dalla costruzione, oltre cento anni fa, di via Castelli, e sparsi su tutta l’area.

Le mani sulla città

Pietro Jozzelli

Domenici tace, Biagi tace, Matulli si dice incredulo ("pensavo che gli articoli di stampa su Formigli fossero un accanimento terapeutico"). Non c’è traccia, nei vecchi amministratori, di una riflessione, un’osservazione autocritica, un affiorare di dubbi come se l’ipotesi di accusa sostenuta dalla Procura non chiamasse anche loro a mettersi davanti allo specchio per chiedersi quali controlli non abbiano funzionato, come sia stato possibile che accadesse, perché nessuno ha mai visto nulla.

E il Pd: perché ha sempre difeso ad oltranza, anche davanti alle accuse e alle rivelazioni, quei suoi consiglieri? Non un distinguo o una presa di distanza, negandosi persino un’ovvia cautela politica e credendo di liquidare la questione col dire che era tutta una mossa politica.

Che faranno oggi quei consiglieri comunali che davanti alla proposta di dimissioni da capogruppo avanzata da Formigli la respinsero gridando "quello che ha fatto lui lo abbiamo fatto tutti noi"?

"Le mani sulla città" è il nome dato dalla Procura all’inchiesta conclusasi con 7 arresti (sei ai domiciliari) e 24 persone sotto indagine (funzionari del comune, politici, dirigenti della Quadra - tra cui l’ex presidente dell’ordine degli architetti -, costruttori). Le accuse contestate, a vario titolo, sono pesantissime: associazione a delinquere, corruzione, abuso d’ufficio, truffa aggravata, falso ideologico. Una società privata, la Quadra, avrebbe imposto nel tempo un monopolio nell’edilizia grazie alla complicità di dipendenti dell’ufficio tecnico del Comune e ai buoni uffici di due esponenti del Pd in consiglio comunale. "Quadra - dicono i magistrati - costituiva un concreto monopolio. Andare dalla società Quadra significava ottenere i permessi che si volevano". I due dipendenti dell’edilizia privata avrebbero garantito appoggio alle pratiche di Quadra; i due consiglieri, Formigli e il suo successore alla presidenza della commissione urbanistica, Barbaro, si sarebbero attivati su varianti al piano regolatore o su deroghe a regolamenti comunali influenzando delibere consiliari e atti di commissione. Secondo la Procura, Quadra avrebbe avuto corsie preferenziali per ottenere autorizzazioni comunali per sé e a favore di ditte amiche: da qui il coinvolgimento dei costruttori (alcuni già indagati nell’inchiesta di Campi). Ciliegina finale, i geometri comunali avrebbero fatto investimenti in Ucraina con i guadagni illeciti.

Dice il procuratore capo Quattrocchi: "A parte la corruzione, che è il titolo giuridico, siamo davanti ad una corrosione del rispetto dell’etica pubblica e della civitas, un rispetto che deve funzionare per tutti come orientamento nella vita della comunità". Etica pubblica e senso della civitas dovrebbero essere valori tipici di chi si impegna in politica, anche se, normalmente o si hanno o non si hanno. Nei corridoi della politica, si sa, avvengono tante cose ed è un elemento di civiltà giuridica non fare mai di tutte le erbe un fascio ed individuare sempre, in ogni fattispecie di reato, la responsabilità personale. Ma sentire il procuratore parlare di monopolio, di corrosione dell’etica comunitaria spinge a chiedersi perché, davanti ad una ramificazione così estesa di quella che l’accusa chiama associazione a delinquere, nessuno si sia mai accorto di nulla. Come è stato possibile che mai, malgrado le denunce delle opposizioni e le rivelazioni di stampa, né un controllore politico né uno amministrativo abbiano mai prestato attenzione a quello che accadeva nell’edilizia fiorentina? Immaginiamo la reazione di un cittadino qualsiasi, alle prese con una normale richiesta all’edilizia privata, nel leggere che i funzionari dell’ufficio agivano su dettatura di una società che poteva fare e disporre praticamente ciò che voleva.

Il neo segretario del Pd, Bersani, ha ripetuto ieri a Prato che uno degli obiettivi prioritari del suo partito è quello di "abbattere il muro tra la politica e lo stato reale delle cose". Se le accuse della Procura fiorentina risulteranno provate, si vede quanto quell’obiettivo sia attualissimo anche in questa città dove troppo a lungo si è pensato di essere immuni dalle sconcezze di politici e imprenditori.

Bufera sull’ufficio urbanistica arrestati funzionari e imprenditori

Franca Selvatici

«Presso l’ufficio urbanistica del Comune di Firenze gli interessi pubblici venivano sottomessi a quelli privati, in totale spregio rispetto all’obiettivo di una corretta e legittima gestione della cosa pubblica, e in particolare del territorio e dell’assetto urbanistico di una città come Firenze». Lo scrive il gip Rosario Lupo nella misura cautelare per associazione a delinquere e corruzione che ieri ha mandato in carcere il geometra dell’edilizia privata Giovanni Benedetti e agli arresti domiciliari il suo ex collega, ora in congedo, Bruno Ciolli e l’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale Alberto Formigli, cofondatore della Quadra progetti e di essa socio occulto (per l’accusa). Agli arresti domiciliari per gli stessi reati sono andati i due amministratori della Quadra, l’ex presidente dell’Ordine degli architetti Riccardo Bartoloni e il geometra Alberto Vinattieri, dipendente part time del Comune. Arresti «solo» per corruzione per due imprenditori, Francesco Bini e Paolo Perugi, del gruppo Bini Costruzioni, accusati di aver ottenuto corsie preferenziali per le loro pratiche corrompendo Ciolli e Benedetti, che provvedevano a reinvestire il denaro in Ucraina.

Secondo il procuratore Giuseppe Quattrocchi e i sostituti Giuseppina Mione e Leopoldo De Gregorio, che hanno riempito di elogi come capita raramente gli investigatori della polizia stradale e municipale, della associazione a delinquere faceva parte anche Anton Giulio Barbaro, fisico, Pd, già presidente della commissione urbanistica. Il gip è d’accordo ma ha respinto la richiesta di arresto perché Barbaro è tornato al suo lavoro all’Arpat e ha lasciato l’attività politica. Tuttavia anche lui aveva, secondo le accuse, un ruolo preciso nella associazione a delinquere.

«Siamo di fronte alla corrosione dell’etica pubblica», ha detto il procuratore: «Quadra agiva in posizione di monopolio. Rivolgersi alla Quadra significava ottenere i permessi che si volevano». La società poteva contare su due capisaldi in Comune. In sede amministrativa c’erano i due geometri stabilmente a disposizione. Le telecamere nascoste hanno ripreso Bartoloni seduto alla postazione del geometra Benedetti. Vinattieri è stato ripreso il 23 febbraio 2008 mentre falsificava una tavola. In generale Bartoloni e Vinattieri potevano contare - secondo le accuse per almeno 22 pratiche edilizie - «sulla totale omissione della attività di verifica e di controllo da parte di Ciolli e Benedetti». I quali, per la procura, ne traevano vantaggi, come l’appartamento comprato dalla figlia di Ciolli nel complesso Dalmazia, progettato da Quadra, con circa 100 mila euro di sconto. In sede politica, invece, erano Formigli, socio occulto Quadra e capogruppo Pd, e Barbaro a garantire il buon risultato delle decisioni sui progetti Quadra che dovevano passare in consiglio comunale, come la assurda variante di via del Podestà (area agricola intoccabile ora sede di 19 terratetto) o come quella del Ferrale, dove un’area destinata ad accogliere una riserva naturale è diventata un centro di rottamazione. Ancora più inquietante la disinvoltura con cui, nell’edificio costruito dalla società Le Quinte in via di Scandicci, destinato agli affitti per i bisognosi, non sono state abbattute le barriere architettoniche, né usato il prescritto materiale di bioedilizia, né rispettate le norme antincendio nei garage.

La procura ha trasmesso gli atti alla Corte dei Conti. I cittadini che per anni hanno visto nascere edifici nei cortili, hanno perduto aria e sole e ricevuto dal Comune scarne risposte spesso supponenti, avevano finito per sospettare che la Quadra fosse più uguale degli altri. L’inchiesta dà loro ragione.

"Corroso il rispetto dell’etica pubblica"

Maurizio Bologni

I comitati dei cittadini si rivolgevano alla III commissione urbanistica di Palazzo Vecchio su sospetti abusi e speculazioni edilizi. Confidavano di trovare attenzione in un baluardo di legalità, in un soggetto istituzionale super partes. Ma il presidente della commissione, Antongiulio Barbaro, si faceva dettare le risposte da dare ai cittadini da Riccardo Bartoloni, socio e direttore tecnico della Quadra, ovvero proprio dalla controparte di cui i cittadini contestavano opere e interventi. Così i magistrati nella loro ordinanza. E anche in questa «pratica» di Barbaro il procuratore Giuseppe Quattrocchi ravvisa quella «corrosione del rispetto dell’etica pubblica, della civitas», che il magistrato ha sottolineato ieri durante la conferenza stampa e che spiega la contestazione anche del reato di associazione per delinquere a sei indagati tra cui Barbaro e Bartoloni.

«Barbaro - segnala, dunque, il gip Rosario Lupo in più di un passaggio della sua ordinanza - faceva propria la posizione della società Quadra progetti srl allorquando era chiamato, nel suo ruolo istituzionale, a fornire risposte formali e a valutare le problematiche che taluni comitati di cittadini avevano sottoposto all’attenzione della commissione: in particolare, il Barbaro si faceva predisporre dal Bartoloni il testo delle note scritte che la commissione consiliare avrebbe fornito in risposta alle suddette sollecitazioni dei comitati cittadini». Succede, ad esempio, quando il comitato dell’ex panificio militare di via Mariti lamenta le speculazioni edilizie nelle aree ex Lavazza, viale Corsica 27, ex Coop di via Carlo del Prete, Quadra Key residence in via di Novoli/via Bardazzi, nella ristrutturazione di via del Ponte di Mezzo 27 e nella realizzazione dell’edificio di piazza Della Piccola, tutti affari della Quadra. E’ il sequestro dell’hardware del computer di Bartoloni che svela ai magistrati come Barbaro sia venuto meno ad un «ruolo istituzionale» che impone «autonomia e indipendenza di giudizio». Avviene sistematicamente. Succede tra la primavera e l’estate 2006, quando più di una volta Barbaro gira a Bartoloni atti e osservazioni provenienti dal comitato e dalla rappresentante Nicla Gelli, per riceverne successivamente puntuali risposte di cui ringrazia il direttore tecnico della Quadra. Con una mail del 23 maggio Barbaro - oltre a informare Bartoloni che il consiglio comunale aveva «approvato la delibera di adozione della variante di Prg per il centro di rottamazione al Ferrale. Ti farò avere la mozione del consiglio e del quartiere 4 collegate alla delibera» - si fregia del fatto che «in commissione III abbiamo stoppato una mozione sul panificio militare» e chiede l’opinione di Bartoloni aggiungendo: «Ci lavoriamo col geom. Formigli: mi dai una mano o mi devo fidare del geometra?». Subisce la reprimenda dei magistrati anche Bruno Ciolli, che aveva chiesto e ottenuto un congedo straordinario retribuito dal lavoro tra il 27 dicembre 2007 e il 2 gennaio 2008 per gravi motivi familiari (avrebbe dovuto assistere l’anziana madre) ed era invece volato in vacanza a New York (lo testimonierebbero anche delle foto). Truffa, il reato contestato per questo specifico fatto. Robetta in confronto al resto.

FIRENZE — È qui la festa. Con i figuranti del calcio storico, i famigli del gonfalone, i centenari fiorentini e i neonati cingalesi, i palloncini colorati, il pulmino d’epoca, le chiarine del Maggio. E l’immancabile rullo dei tamburi al momento topico: click. Sono le 10 e 18 minuti del mattino quando il sindaco Matteo Renzi chiude la catena di via de Martelli e sogna di entrare nella storia di Firenze.

Click. Da ieri mattina la superstorica Piazza del Duomo è diventata un’isola pedonale. Chiusa agli autobus, ai pullman turistici e, ovviamente, alle auto. Anche quelle con il permesso degli handicappati. In un primo momento sembrava che persino le carrozzelle degli invalidi non avrebbero potuto più percorrere l’ultimo pezzo di via de Cerretani, via del Proconsolo, tutto il periplo di piazza Duomo e la via de Martelli. Ma sarebbe stato ridicolo, oltre che un paradosso, dopo che si era deciso di dare il via libera alle biciclette.

Click. Matteo Renzi ha voluto vicino Giuseppe Alberti e Isabella Melosi, duecento anni in due, quando ha tirato su il catenaccio per sigillare l’unica via ottocentesca della città. I neonati di colore sonnecchiavano beati nelle braccia di mamme e papà, mentre una folla degna dello scoppio del carro storico pasquale aveva preso d’assalto piazza Duomo fin dal primo mattino e non l’avrebbe più abbandonata, tirando in lungo persino per l’ora del pranzo.

Sono vent’anni che si discuteva attorno al traffico di piazza Duomo, ventidue linee di autobus per oltre 2 mila e cento mezzi che ogni giorno facevano vibrare le pietre di Giotto e sussultare la cattedrale di Santa Maria del Fiore. Vent’anni che studiosi e sindaci cercavano di capire come e quando cambiare la viabilità di questo pezzo di città che è il cuore nevralgico, oggi come nell’antica Fiorenza.

Matteo Renzi ha deciso e fatto tutto in un mese. Anche se adesso il più giovane sindaco che Firenze abbia mai avuto giura che è da quando è stato eletto (nel giugno scorso) che lavora in silenzio a questo progetto, simulando le variazioni del traffico cittadino con sofisticati computer. Eppure la pedonalizzazione di piazza Duomo non c’è nei cento punti che il sindaco democratico aveva garantito di realizzare nei primi cento giorni.

Scadono oggi i primi cento giorni del governo di Renzi. Oggi che sarà il primo banco di prova di questa rivoluzione. Il sindaco mette le mani avanti: «Fisiologico che ci sarà un sacco di casino. Almeno per un paio di settimane tutta Firenze dovrà abituarsi a questo grande cambiamento». Per adesso Matteo Renzi può accontentarsi di questa follo fiorentina che è in piazza ed è tutta con lui, tra applausi, strette di mano e richieste di autografi nemmeno fosse una rock star.

Filippo Bonaccorsi sorride soddisfatto. È il nuovo presidente dell’Atf, l'azienda dei mezzi pubblici della città, ed ha anche lui la faccia da ragazzino: «È tutto meraviglioso. Avremo la corsia preferenziale più lunga di Firenze, due chilometri, e si potrà andare da un capo all’altro della città in un batter baleno». Ha dovuto spostare ventidue linee in un mese, Bonaccorsi, una fatica che deve aver registrato anche la sua bilancia, smagrito come reduce da un digiuno. Ma adesso è il momento di festeggiare. Poco importa se ci sono ancora molte cose da fare, a cominciare dal togliere tutti i paletti con le catene di via del Proconsolo, ma soprattutto sistemare la via dei tram, quella che avrebbe dovuto attraversare piazza Duomo in alternativa alla pedonalizzazione.

«Matteo sei grande», anche Giuliano Borzelli, presidente dell’Antica compagnia del Paiolo, si unisce al coro della folla. E aggiunge: «Io questa piazza me la ricordo disastrata nel 1944, durante la guerra, e nel 1966, per l'alluvione. Ora è meravigliosa ». È qui la festa. Per tutta la giornata i monumenti di Firenze rimarranno aperti gratis e con visite guidate e gratuito sarà anche il concerto nella cattedrale del coro del Maggio Musicale Fiorentino, diretto dal maestro Seiji Ozawa. Con la benedizione del vescovo, monsignor Giuseppe Betori.

I nuovi grattacieli privi di parcheggio

La pedonalizzazione di piazza del Duomo a Firenze, che bandisce a ogni mezzo di trasporto tre ettari e mezzo di arte e cultura, trova quasi unanimi consensi nel mondo della cultura architettonica.

Ma se la creazione di zone pedonali è ormai largamente condivisa, un tema controverso sono le misure adottate nelle strade (come restringimenti) e nelle nuove architetture per disincentivare l’uso dell’auto in città. Su quest’ultimo punto siamo di fronte persino ad un rovesciamento: anziché costruire parcheggi nel ventre dei nuovi edifici per far scomparire le auto dalla strada, non costruirne alcuno per fare in modo che nessuno si muova in auto.

Questa è la strada adottata, ad esempio, per la Shard of Glass, il grattacielo a piramide di 70 piani alto 306 metri che Renzo Piano sta costruendo nel centro di Londra. Livingstone, sindaco di una città che nei prossimi 15 anni potrebbe avere 750.000 abitanti in più, vuole «provare che si può densificare una città senza nuove auto». E Piano ha sviluppato questa tesi: la torre potrà ospitare ogni giorno sino a 10mila persone, ma avrà solo 60 parcheggi per i portatori di handicap e i servizi. Perché sarà un monumento al cittadino che usa i mezzi pubblici. Che nell’area della stazione di London Bridge sono numerosi.

L’urbanista Leonardo Benevolo pensa che questa «sia la soluzione da perseguire. I posti auto non devono essere realizzati per forza in corrispondenza degli edifici, ma in relazione alle funzioni urbane». E fa l’esempio di Manhattan, dove ha vissuto: «L’80% dei 4 milioni di residenti non ha auto. Il 20% la tiene nel New Jersey». Più cauto l’architetto Mario Botta, che sposa la scelta di Firenze, ma avanza qualche distinguo sui palazzi senza parcheggi. «Dipende dal tipo di città e di mobilità. Zurigo fa la guerra alle auto, ma ha un ottimo servizio pubblico e parcheggi, sebbene costosi. Forse anche a Londra si può adottare questo sistema, ma non credo sia estendibile ovunque: se si impedisce di raggiungere un territorio urbano non è corretto».

Chi leggesse oggi il piano regolatore per Firenze del 1962 rimarrebbe colpito dalla straordinaria distanza fra il dibattito in corso sul piano strutturale fiorentino adottato nel 2007 e la cultura e la qualità politica di quei tempi. Erano gli anni della prima sperimentazione del centrosinistra che vedeva in Firenze un laboratorio di eccezione, data la figura del suo protagonista – il sindaco La Pira, democristiano eterodosso, cristiano profondamente - e la statura del coprotagonista, Edoardo Detti, uno dei padri dell’urbanistica italiana, prestato alla politica nel tentativo di dare alla città uno strumento non solo in grado di regolarne lo sviluppo, ma anche di svolgere un ruolo guida nel rinnovamento del paese. Un piano esemplare, perciò, quello del 1962 e allo stesso tempo uno dei più evidenti fallimenti dell’urbanistica riformista.

Le cause per cui il piano Detti quasi subito venne accantonato e nel corso del tempo stravolto da innumerevoli varianti sono tante, fra cui la brusca frenata dell’economia nell’anno successivo; ma il principale motivo (d’altronde visto lucidamente da Detti) fu l’ostilità dei comuni della cintura rossa nei confronti dell’amministrazione di Firenze e il loro interesse a non coordinarsi con il capoluogo in un piano intercomunale, tentato in varie riprese ma senza un vero e proprio appoggio da parte degli amministratori locali. Il piano regolatore fiorentino prevedeva, infatti, che la città si sviluppasse attraverso piani attuativi di mano pubblica, avvalendosi delle possibilità di esproprio offerte dalla legge 167 dello stesso anno. I comuni limitrofi, fra cui spiccano Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio e Scandicci, adottano invece politiche urbanistiche permissive che consentono di sviluppare interi plessi urbani mediante licenze singole o piani privati di lottizzazione con scarsissime tutele dell’interesse pubblico (il decreto sugli standard obbligatori arriverà solo nel’68). Il risultato è che in breve tempo, già a partire dal ’63, si blocca la crescita demografica di Firenze e il ‘mancato sviluppo’ fiorentino si trasferisce nei comuni limitrofi che in pochi anni raddoppiano o triplicano la loro popolazione.

In uno scenario radicalmente diverso rispetto a quello previsto, la strategia pubblica del piano del ‘62 viene abbandonata e anche Firenze procederà per licenze singole e lottizzazioni private; le scelte infrastrutturali rimangono sulla carta; il trasferimento dell’aeroporto da Peretola, ferocemente avversato per opposti motivi dalle classi dirigenti fiorentine e pratesi, è accantonato sine die (se ne sta riparlando in modo del tutto estemporaneo ai nostri giorni); il decentramento del terziario nel nuovo polo direzionale e dell’università nella localizzazione di Castello è contraddetto dalle effettive trasformazioni della città che vedono gli uffici e le attività commerciali diffondersi nella periferia. Il quartiere di Sorgane, anch’esso approvato nel ’62 e costruito nella parte opposta alla direttrice nord-ovest, rappresenta il segno concreto di un’urbanistica che sta andando in senso contrario rispetto al piano. L’alluvione del 1966 ne segnerà il colpo di grazia.

Negli anni ’70 Firenze si adegua, almeno formalmente, alla normativa sugli standard con il ‘piano dei servizi’. Negli stessi anni le due grandi opzioni del piano Detti, il centro direzionale e la nuova università – ora trasferita a Sesto - sono oggetto di concorsi che paradossalmente ne prefigurano la fine, almeno nelle forme e nell’idee originarie. Ma la vera svolta si ha nei primi anni ’80 - sindaco Elio Gabbuggiani alla guida di un’amministrazione di sinistra - quando la dirigenza locale del Pci convince la società Fondiaria, allora controllata da un gruppo di azionisti fiorentini, a comprare i terreni compresi fra viale XI agosto e la pista di Peretola – per un totale di circa 190 ettari - l’ultima area inedificata nella piana inclusa nel comune.

Siamo nella stagione dei ‘progetti urbani’, la Milano craxiana fa da capofila, la strada della modernità sembra svilupparsi negli accordi fra privati e amministrazioni pubbliche, teorizzati come ‘urbanistica contrattata’. L’obiettivo iniziale, condivisibile da un punto di vista strategico, è di favorire una modernizzazione dell’economia fiorentina, una diversificazione strutturale rispetto allo sfruttamento banale della rendita medicea; di creare, perciò, nuovi legami produttivi anche con l’area metropolitana, secondo le idee di un acuto economista come Giacomo Becattini. Firenze quindi non solo bazar di scarpe, borse, souvenir e pizza a taglio, ma luogo di ricerca e innovazione tecnologica. L’idea, che ha come promotore Thomas Maldonado, prevede peraltro una quantità spropositata di metri cubi che viene ridotta prima a 3 milioni e poi ulteriormente ridimensionata negli anni ’90. Molto più rapido è l’abbandono del progetto di modernizzazione di Firenze, ammesso che non si trattasse solo di un ‘ballon d’essai’ del proponente.

D’ora in poi le vicende che legano l’area di Castello ai progetti della società Fondiaria saranno la cartina di tornasole dell’urbanistica fiorentina, il filo attorno al quale si dipaneranno vicende più o meno nobili, fra cui la più recente è il tentativo da parte del Comune di introdurre in extremis la previsione di un nuovo stadio, in parziale omaggio ai desideri dei fratelli Della Valle, patron della Fiorentina calcio. Il peccato originale, il fatto cioè che l’urbanizzazione dell’area sia stata inizialmente contrattata fra politici e privati, peserà come un macigno sui piani regolatori successivi – il progetto preliminare di Campos Venuti presentato nel 1985 e messo in crisi dallo stop imposto da Occhetto all’approvazione del piano particolareggiato e della relativa convenzione per Castello e il successivo piano regolatore di Marcello Vittorini adottato nel 1992.

Cambia nel 1990 il sindaco (da Bogiankino a Morales), cambia l’assessore all’urbanistica, ma rimane il leit motiv di piani che cercano di rimettere insieme i cocci di una crescita che – contrariamente a quanto prevedeva il piano del ’62 – si è sviluppata a macchia d’olio, senza un disegno unitario, accompagnata da infinite varianti che rendono ormai anche materialmente illeggibile il PRG vigente. La missione principale del piano è comunque permettere la realizzazione di due grandi progetti urbani. Quello dell’area di Castello e quello legato al riuso dell’area della FIAT a Novoli; molto minore come superficie impegnata, ma molto più facilmente sfruttabile in termini di appetibilità e fattibilità.

Approvato il piano Vittorini, se ne rende quasi immediatamente necessaria la rielaborazione a seguito della riforma urbanistica o – se si preferisce – di ‘governo del territorio’ – introdotta dalla LR 5/95. Siamo dunque nella storia recente, perché a tredici anni di distanza, nel luglio 2007 è stato adottato il piano strutturale che, tuttavia, l’amministrazione uscente non è riuscita ad approvare per dissidi interni alla maggioranza. Nel frattempo nell’area di Castello è in costruzione il gigantesco complesso della scuola sottoufficiali dei carabinieri (contestato per il mancato rispetto della normativa antisismica), mentre è ancora in corso il balletto delle destinazioni che sembravano essere consolidate nella previsione delle sedi operative di Regione e Provincia, di un grande plesso scolastico, sempre della Provincia, oltre le case, gli uffici, gli esercizi commerciali e ricettivi, per un volume totale di 1.400.000 mc. e un parco, la cui funzione fondamentale è di mitigare gli impatti nocivi del limitrofo aeroporto.

La storia si ripete: nell’unica area strategica ancora inedificata di Firenze nell’arco di 25 anni sono state proposte, adottate o approvate le più svariate funzioni: il polo scientifico, il ‘village’ per 12.000 abitanti, il grande centro commerciale, il polo espositivo, il centro direzionale di Regione e Provincia, mentre l’unica realizzazione - la scuola sottufficiali rappresenta quanto di peggio possa immaginarsi da un punto di vista urbanistico: un gigantesco tappo di 200.000 mc., destinato a interrompere l’unico corridoio paesaggistico ed ecologico rimasto fra l’arco collinare settentrionale e la piana. L’aleatorietà e la variabilità delle destinazioni significano il rovesciamento totale dell’impostazione pubblicistica del piano del ’62: ora sono le convenienze private, variabili a seconda degli andamenti del mercato immobiliare, a stabilire le scelte di piano e non l’interesse dei cittadini. Il tutto aggravato dalla totale mancanza di coordinamento fra opzioni infrastrutturali e destinazioni urbanistiche; le prime – il caso più clamoroso è la tramvia – progettate in un’ottica settoriale, le seconde prospettate senza tenere conto né del sistema dei trasporti attuale, né dei programmi della sua implementazione, peraltro incerti e per quanto riguarda tempi e risorse finanziarie.

Le vicende dell’area di Castello, quindi come specchio di un governo del territorio in cui le uniche vere invarianti strutturali sono i ‘diritti edificatori acquisiti’, mentre tutto il resto è oggetto di una continua contrattazione. In questa linea, che è difficile definire come ‘governance’, si colloca il piano strutturale adottato, che cerca di istituzionalizzare ciò che finora si svolge in modo contorto nelle maglie dei vecchi piani regolatori.

Il nuovo piano è un documento di cattiva retorica nella relazione generale, pleonastico e superficiale nella formulazione del statuto del territorio e delle relative ‘invarianti strutturali’, evasivo e generico nelle norme tecniche di attuazione che suonano come un manifesto politico in cui il Comune impegna se stesso su azioni rispetto alle quali non ha competenze, non ha risorse finanziarie e che spesso ricadono o dovrebbero ricadere fuori dai confini comunali. Ma la vera missione del piano strutturale è da una parte permettere la conclusione di una serie di operazioni in corso o sul piede di partenza e dall’altra rimandare ogni ulteriore scelta al futuro regolamento urbanistico, dove le decisioni si esplicheranno con un complicato gioco di progetti e di scambi all’interno del territorio comunale. Scambi e progetti che saranno decisi e autorizzati mediante avvisi o bandi promossi e sollecitati dai privati. In pratica, ogni trasformazione in ambito urbano sarà possibile, dati gli obiettivi quanto mai generici del piano strutturale, con l’arbitraggio del Comune. Si tratta di un’anticipazione - ottenuta con una interpretazione riduttiva e capziosa della legge toscana di governo del territorio - della deregulation urbanistica prevista nella legge delega contenuta nel cosiddetto ‘piano casa’. Deregulation, d’altra parte già sperimentata con la legge 12/2005 della Lombardia e in corso di applicazione a Milano in numerose aree dove, in modo del tutto palese prima viene contratta la rendita fondiaria spettante ai proprietari e, di conseguenza, viene stabilito quanto e cosa si deve costruire.

Riassumendo: ciò che più colpisce osservando l’itinerario dell’urbanistica fiorentina dal 1962 ai nostri giorni è il suo andamento regressivo. Dall’interesse pubblico e dei cittadini a quello privato degli immobiliaristi; da un piano concepito innanzitutto come grande operazione culturale, a un piano pensato come strumento burocratico di distribuzione della rendita fondiaria, di cui solo qualche briciola è destinata alla città. Da un comportamento di rigorosa moralità, alle innumerevoli inchieste aperte dalla magistratura sulla gestione urbanistica. Da un’idea alta di Firenze e del suo ruolo nel mondo, ad un insieme di dichiarazioni di intenti tanto generiche e vuote quanto poco credibili. In sostanza, la politica da impegno civile e disinteressato è diventata mero strumento di conservazione del potere; in questo senso è anti-politica, per il significato che a questa parola davano La Pira e Detti.

La Tav è il futuro mezzo di trasporto europeo, collegherà le città italiane e, aprendosi liberamente al mercato, offrirà servizi frequenti a tariffe differenziate, come già succede con gli aerei. Sarà perciò accessibile a tutti, e, mentre scompariranno i “lenti” scomodi intercity, prenderà vigore ed efficienza il servizio regionale-metropolitano-locale, con grandi benefici ambientali e sociali.

Tutto questo rappresenta, per Firenze, un’occasione storica. La prima dai tempi della Capitale. Ma purtroppo è stato adottato (e appaltato) un insensato progetto di sottoattraversamento urbano con stazione sotterranea in zona Macelli, che esporrebbe la città, in fase di costruzione, a cantieri annosi e devastanti (oltretutto costosissimi), poi, in fase di esercizio, ai pericoli di incidenti. Con la prospettiva certa di essere trafitta anche dalle “frecce” Roma-Milano che non fermeranno (la tragedia di Viareggio purtroppo insegna) saranno messe a repentaglio zone densamente popolate, aggredite dai fattori inquinanti provocati dai sempre più numerosi passaggi (polveri, vibrazioni, rumori..). La proposta alternativa che cerca di “frenare” la Tav con un passaggio promiscuo in superficie è anch’essa nociva e impattante. Si può dire in sintesi che le soluzioni di attraversamento urbano non inquadrano le prospettive, non solo dell’accesso logistico, ma dello sviluppo urbanistico ed economico, ma soprattutto di qualità della vita, che, con la Tav, si aprono alla città.

L’unica soluzione che salva Firenze dai cantieri e dai pericoli, ma che velocizza la Tav e che apre le prospettive appena dette, è il cosiddetto Passante Nord (da Rovezzano a Castello), illustrato nel sito www.firenzesicambia.com, che ha già raccolto centinaia di adesioni “eccellenti”.

Il nuovo Sindaco Matteo Renzi si trova in posizione ideale per ripensare Firenze, dovendo anche redigerne il Piano Strutturale. Lui stesso ha definito il passaggio Tav “la madre di tutte le battaglie”.

Mi auguro perciò che possa vincere la battaglia, in nome dei benefici ambientali ed economici, senza aprire cantieri in città, adottando la soluzione che garantisce meno disagi, tempi più corti di esecuzione e prestazioni migliori.

Lasciatemi fare un po' di storia, a cominciare dall’86 quando, inaugurata la Linea Direttissima Roma-Firenze, che uscendo dal tunnel “San Donato” (11 km, realizzato nel 1970) entra da sud nel nodo fiorentino a Rovezzano, la soluzione che sembrò più economica fu quella di fissare la stazione in superficie a Campo di Marte e proseguire sottoterra, ma girare direttamente verso Bologna. Soluzione poi scartata poiché la tratta appenninica fu spostata reincludendo l'importante snodo ferroviario di Castello, a nord di Firenze, da cui la linea Tav definitiva oggi parte. La riapparizione di Castello, baricentrico nell'area metropolitana, coincidente con l'areoporto, collegatissimo via ferro a Santa Maria Novella, mi aveva convinto a riesaminare tutto il percorso e riprendere l’idea che il prof. Detti aveva inserito, con grande lungimiranza (Tav e aeroporto non esistevano) nel suo Piano Regolatore del 1962, in cui era presente l’ipotesi di un passante a nord e della trasformazione del “laccio” ferroviario, cioè della rete di binari interna alla città. Tali opportunità erano così espresse: “ Dal punto di vista urbanistico i vantaggi sono ancora più rilevanti: la sistemazione delle aree ferroviarie aderisce al programma di ristrutturazione della città e anzi lo provoca e lo favorisce….”. Tuttavia, rispetto al 1962 (le proiezioni demografiche prevedevano un incremento da 450 a 700mila abitanti) la città si è invece progressivamente svuotata di residenti. Non è quindi più necessario creare “quantità”, come Detti era costretto a fare, trovando gli spazi nelle aree ferroviarie, ma c’è l’opportunità oggi di lanciare una politica urbanistica di qualità, ricucendo le aree pregiate del laccio ferroviario liberato dai passaggi attraverso la città: in altre parole creare “la spina dorsale per il nuovo piano della città, innervata da varie stazioni e da treni corti, frequenti e silenziosi, "domestici", rivalutando case ed esercizi lungo i dieci chilometri della ferrovia interna da Rovezzano a Castello”. Questesono parole mie…che ricordano una regola inglese per cui “il treno dove passa impoverisce, dove ferma arricchisce” e che lanciano l’idea di un gran progetto di “rigenerazione urbana” tipo Valencia o Barcellona.

Con il Passante Nord (tunnel di 9,5km a doppia canna in linea diritta e veloce sotto le colline) la Tav avrà la sua stazione a Castello (può essere la stazione di Foster prevista ai Macelli, magari raddoppiata con la nuova aerostazione) ed il forte collegamento con Santa Maria Novella creerà sinergia fra città storica e metropolitana, ferrovie locali, aeroporto e autostrade. Distanti quattro minuti di navetta interna a servizio continuo gratuito panoramica... e welcome coffee, SMN, per i fiorentini del centro ed i turisti, e Castello, per gli utenti dell’area metropolitana e del resto della Toscana, diventano quindi i due terminal di un'unica macrostruttura urbana funzionante a sistema!

Ma attenzione a Santa Maria Novella! E’ un bene prezioso, poche altre città possono disporre di una “testa” di arrivo inclusa nel raggio pedonale del centro, sarebbe come se la Stazione Termini fosse a trecento metri dal Colosseo o da San Pietro… Bisogna dunque agire per mantenerla viva a tutti i costi. I tour operator potrebbero creare treni speciali granturismo per le capitali d'Europa che entrerebbero nelle linee Tav a Castello; potrebbe anche diventare il terminal cittadino dell'aeroporto (vorrei poter dire: del sistema aeroportuale toscano Pisa-Firenze). Con il check-in in stazione si ammortizzano i tempi del volo…. Ecco come dovrebbe essere intesa la vera "centralità di Santa Maria Novella", in nome della quale, invece, si è proceduto, negli ultimi 15 anni (15anni!) a farne crescere il figlio illegittimo ai Macelli, che, al pari della soluzione a Campo di Marte, sciocca e sbrigativa, causerebbe un degrado nerissimo per SMN, tagliata fuori dal turismo e dai visitatori in genere. Par di leggere un manuale di "inner city decay": vuoto funzionale, aumento dei problemi sociali e di ordine pubblico (ci sono già ora) con l'ingresso trionfale e inarrestabile dellaspeculazione, alla fine.

Il dibattito che riscalda ogni giorno le cronache fiorentine sulla posizione della stazione ha la vista corta: penso che sia più importante per il cittadino sapere come si parte e si arriva in città, piuttosto che dove. In altre parole: quanto tempo ci vuole a raggiungere la stazione con mezzi pubblici sicuri e affidabili dai vari luoghi della città centrale e da quella metropolitana? E viceversa. La stessa considerazione vale per l'areoporto....

La soluzione del Passante Nord è concepita per dare le migliori risposte alla domanda.

Nota: l'autore dell'articolo è progettista del passante nord per il nodo TAV di Firenze. Sul medesimo tema si veda qui anche l’intervento di Alberto Ziparo (f.b.)

FIRENZE — A sorpresa, nel giorno del suo onomastico, il sindaco di Firenze annuncia che entro un mese chiuderà al traffico la piazza del Duomo. Decisione coraggiosa, quella di Matteo Renzi, non solo perché nessun amministratore si era spinto così in avanti per bloccare uno degli snodi del traffico più atipici e terribili della città e del mondo, ma perché con il provvedimento si cancella il contestatissimo tragitto della linea 2 della tramvia che avrebbe dovuto sfiorare duomo e battistero e oscurare il campanile di Giotto.

Un progetto, quello del tram, che per anni ha diviso la città, provocato polemiche, accuse, fazioni trasversali, referendum e petizioni e ha scosso la passata maggioranza. Contro al progetto si erano espressi l’ex ministro Antonio Paolucci e il regista Franco Zeffirelli, il critico d’arte Vittorio Sgarbi e la sovrintendente al polo museale Cristina Acidini. E gran parte della campagna elettorale era stata incentrata sul sì o il no alla tramvia.

«È un gesto di riconciliazione civica — dice in consiglio comunale Renzi — un modo per mettere fine ai partiti del no e del sì. Ed è un provvedimento che va nella direzione della bellezza per recuperare una piazza, valorizzare le sue opere d’arte».

Dove passerà il tram? Palazzo Vecchio e società costruttrice hanno già un piano alternativo con due possibilità: una deviazione verso piazza San Marco a est della cattedrale, e un’altra a ovest in direzione di Piazza della Repubblica.

Si va avanti, insomma. «Perché il progetto del tram non è stato cancellato — spiega Renzi —. Si farà con un tragitto alternativo che presenteremo in consiglio». Poi il sindaco promette: «Non ci saranno mai più disastri nei lavori come quelli accaduti alla linea 1 con ritardi a oggi di un anno e mezzo. Le linee 2 e 3 saranno completate presto e bene e il comune avrà il controllo totale sull’opera. Allo stesso tempo piazza del Duomo da spartitraffico più elegante del mondo, come l’ha definita ironicamente Alberto Arbasino, diventerà la piazza più elegante del mondo ». Alla fine, anche dall’opposizione i pareri sono favorevoli. Esulta persino il fiorentino Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, che parla di grande vittoria di Firenze. E sottolinea: «Quando anni fa iniziai a parlarne io tutta la sinistra era scandalizzata». Mentre il consigliere del Pdl, Giovanni Donzelli, rileva che «il sindaco dice tante belle cose, ma si dimentica di raccontarci come mettere in pratica i progetti». I problemi saranno non solo di carattere urbanistico. Renzi dovrà affrontare le lobby di tassisti, albergatori, ristoratori e risolvere qualche problema logistico della curia, che nella piazza ha sede.

E soprattutto il nuovo sindaco di Firenze dovrà affrontare la fronda del partito ancora fedele all’ex sindaco Leonardo Domenici che quel progetto sostenne fortissimamente. Matteo Renzi, intanto, incassa un primo sì dalla sovrintendente, l’autorevole e ascoltatissima Cristina Acidini. «Da storica dell’arte non posso che applaudire all’iniziativa che viene incontro a nostre segnalazioni. Come cittadina e grande utilizzatrice di mezzi pubblici, prima di esprimere un giudizio, valuterò il progetto alternativo ».

La nuova amministrazione fiorentina sta segnando alcune importanti discontinuità, nonostante il medesimo colore politico della precedente, in special modo per le strategie di politica urbanistica e ambientale. Si rivedranno, infatti, il Piano strutturale - bocciato alla vigilia delle elezioni - e molte scelte che hanno configurato un vero e proprio "scandalo urbanistico" per la giunta Dominici, il cui ufficio è terminato male, tra inchieste e dimissioni.

Tra le operazioni più discusse l'attraversamento Tav della città, per cui era stato approvato e messo in esecuzione un progetto di megatunnel da 7,5 km che sarebbe passato sotto il patrimonio storico-artistico e residenziale della città e anche sotto alcuni dei principali corpi idrici di alimentazione dell'Arno. La prospettiva di cantieri che avrebbero tagliato in due per un decennio il centro della città erano già state paventate da diversi osservatori, tra cui il gruppo di lavoro dell'Università locale che ha studiato l'impatto di galleria e nuova stazione. Gli analisti avevano ripetutamente sottolineato come si fosse proceduto all'appalto, assegnato nel 2008 a un consorzio di imprese guidate da cooperative (per poco meno di 800 milioni di euro, a fronte di una stima reale del costo totale dell'opera pari a circa 2,2 miliardi), senza una credibile valutazione di impatto.

Le analisi e le indagini effettuate dal gruppo di lavoro hanno evidenziato l'inesistenza delle necessarie garanzie ambientali e «la possibilità - anzi la forte probabilità - che nel sottosuolo del centro fiorentino si riproducano, amplificati, fenomeni di crolli, dissesti, degrado idrogeologico generalizzato, già registratisi per la Tav nel Mugello», come sottolineava Teresa Crespellani, docente di geotecnica ad Ingegneria; con l'aggravante di un contesto decisamente urbano, densamente abitato e contrassegnato da un patrimonio storico-artistico di valenza mondiale. Tali preoccupazioni sono oggi sostanzialmente condivise dall'Osservatorio Ambientale sul progetto - organismo tecnico-istituzionale il cui parere è decisivo - fin qui forse troppo attento alle intenzionalità della governance toscana e fiorentina e troppo poco alle conseguenze e agli impatti del progetto. L'Osservatorio sembra finalmente aver mutato atteggiamento, sia per una più evidente presenza di rischi, leggibili dal progetto esecutivo, sia per le richieste di un maggior rigore valutativo avanzate dalla nuova amministrazione comunale. Infatti il sindaco ha incontrato direttamente la presidenza delle Ferrovie e ha chiesto e ottenuto un sostanziale blocco e una revisione del progetto, con precise garanzie ambientali, in assenza delle quali lo stesso andrebbe decisamente riformulato.

L'ultima novità è costituita dalla condivisione della posizione appena citata da parte del gruppo di decisori che fin qui avevano giocato il ruolo di "ultras" del sottoattraversamento: la giunta regionale e, soprattutto, l'Assessore al territorio e trasporti, Conti. In poche settimane si dovrebbero prospettare soluzioni alternative. Per questo si terrà conto che l'alta velocità - qualsiasi sia il tipo di attraversamento della città - per diversi anni userà la linea esistente, con la stazione di Campo di Marte quale fermata provvisoria. Alcuni tecnici, vicini al nuovo sindaco, assumerebbero - pure con alcune correzioni - tale tracciato, rendendo definitiva la scelta di Campo di Marte quale stazione Tav con una galleria di attraversamento di alcuni chilometri più breve rispetto al progetto attuale e quindi meno impattante.

Diversa è la soluzione proposta, invece, dal gruppo di lavoro "Università-Esperti", che ha verificato l'impatto ambientale del sottoattraversamento e, insieme a cittadini, associazioni e comitati, sta aiutando i decisori a rivedere drasticamente il progetto. Tiene conto che campo di Marte non è soluzione urbanisticamente ottimale: a parte il periodo provvisorio di cantiere, va quindi scelta un'altra stazione quale fermata definitiva. È inutile impegnare il sottosuolo con tunnel più brevi, che riproporrebbero - sia pure in misura ridotta - molti dei problemi presenti nel sottoattraversamento. Conviene stare completamente in superficie, realizzando i due binari aggiuntivi nello spazio disponibile di pertinenza ferroviaria, comprese le limitatissime opere di compatibilizzazione della linea con il patrimonio insediativo. Questa soluzione costa poco, circa 1/8 del tunnel: con una variante di progetto e quindi di contratto si possono realizzare la linea e le opere di inserimento, ristrutturare la nuova stazione principale e quella di emergenza e, in aggiunta, riqualificare e ampliare un tratto di rete ferroviaria metropolitana. Tutto senza incrementi né perdite rispetto all'ammontare del contratto di appalto già stipulato.

L’Amministrazione Comunale di Firenze, dopo le recenti vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti alcuni suoi esponenti, a sole poche settimane dal termine del suo mandato, ha in programma l’approvazione del Piano Strutturale, il nuovo piano urbanistico della città.

Questo è stato oggetto di numerose critiche e osservazioni nel metodo e nel merito.

Nel metodo, perché l’Amministrazione Comunale non ha tenuto in alcun conto le precise proposte avanzate dai cittadini nelle assemblee in cui doveva sostanziarsi il processo di partecipazione attivato dal Comune stesso, né, se non marginalmente, di qualsiasi altro contributo critico pervenuto.

Nel merito, perché il piano non riconosce il carattere internazionale e il fondamentale ruolo culturale di Firenze, ma tratta il governo della città esclusivamente in termini di mobilità e di edificabilità; e, anche in questi limiti, con scelte sbagliate, contraddittorie, in ultima analisi preoccupate solamente di assicurare ai costruttori e alla proprietà fondiaria le massime agevolazioni possibili.

Con l’ultimo colpo di coda, quello delle due “varianti” dello Stadio e dell’edificabilità delle aree ferroviarie dismesse (e con la distruzione / riedificazione speculativa del teatro comunale del Maggio Fiorentino) si supera ogni immaginazione ed ogni pudore. In questo modo si rende sempre più difficile il riequilibrio ecologico di una città asfittica e inquinata, frantumata in ogni sua struttura ambientale e per questo ormai insalubre, sgradevole, e costosissima da abitare a da usare. E si rinuncia ad aree preziose per la riorganizzazione della mobilità, senza che si sia provveduto ad un piano complessivo ed organico.

Svendere queste aree strategiche ci pare un vero e proprio scempio nei confronti della città e della qualità della vita della popolazione ed un furto per le giovani generazioni, cui si è già tolto il lavoro, la speranza, il futuro, ed ora, a Firenze, come ultimo sberleffo, anche lo spazio per la sopravvivenza e per la mobilità.

Preoccupante e slegato da qualsiasi seria valutazione della domanda (che non sia quella degli immobiliaristi) è il dimensionamento del piano che prevede più di 4,5 milioni di metri cubi aggiuntivi in una città in cui gli abitanti continuano a diminuire; metri cubi che si aggiungono alle volumetrie già previste e non conteggiate nel piano, fra cui spicca l’insediamento di Castello (1.400.000 mc) e la previsione avanzata in extremis di 435.000 mc sulle aree ferroviarie dismesse.

A ciò si aggiunge il profondo stato di malessere in cui versa l’Amministrazione in carica con le dimissioni dell’assessore all’urbanistica, raggiunto da avviso di garanzia, e del dirigente responsabile dell’elaborazione del Piano Strutturale. Anche se condividiamo pienamente la presunzione di innocenza per gli imputati, tuttavia è doveroso che il sindaco ne tragga le conseguenze per dare ai cittadini la certezza della legalità rispetto alle scelte fondamentali del Piano stesso.

Pertanto chiediamo che l’Amministrazione di Firenze, a soli due mesi dalle elezioni comunali, sospenda l’approvazione del Piano Strutturale, lasciando alla prossima amministrazione il compito di dare a Firenze un piano degno di questo nome, dove gli interessi immobiliari siano subordinati a quelli dei cittadini e degli ospiti della città.

Per aderire inviate una e-mail a:
fi.nopianostrutturale@email.it

Primi firmatari: Ornella De Zordo, Paolo Baldeschi, Sergio Brenna, Paolo Berdini.

Dopo un primo ripensamento, Leonardo Domenici, sindaco uscente di Firenze, ha annunciato di volere approvare il piano strutturale adottato nel luglio del 2007, come missione conclusiva del suo mandato. Il piano strutturale, che prevede 6 milioni e mezzo di metri cubi aggiuntivi, è il contraltare di una serie di operazioni in corso sbagliate nel merito e nelle procedure adottate. Tanto vuoto il primo, un vero lasciapassare alla rendita, tanto scoordinate e prive di una vera progettualità le seconde. Mai come questa volta è quindi vero che il prossimo sindaco di Firenze dovrà sviluppare una politica innovativa rispetto al suo predecessore, una svolta radicale.

La prima opzione del nuovo sindaco è di anteporre gli interessi dei cittadini a quelli della rendita immobiliare che, nelle sue varie forme sta paralizzando l’economia fiorentina. Si tratta di uscire finalmente dall’equivoco per cui l’edificazione sempre, comunque e a prescindere, significa sviluppo. Complementare a questa opzione è la scelta politica di porre al centro delle decisioni urbanistiche la partecipazione dei cittadini. Le consultazioni e le assemblee promosse dall’ultima amministrazione nel processo di formazione del piano strutturale non hanno tenuto conto, se non in modo del tutto marginale, dei pareri espressi, delle idee, dei progetti alternativi avanzati dagli abitanti e dai comitati. Ben lontani da una vera democrazia deliberativa ci si è mossi come se gli eletti avessero avuto una delega una tantum degli elettori. Sottovalutando, oltretutto, il fatto che un’autentica partecipazione dei cittadini è condizione indispensabile per il successo di progetti complessi, che interessano una pluralità di soggetti, in cui i benefici futuri possono essere oscurati dai costi immediati.

E qui nasce una seconda fondamentale opzione. Il grande problema di Firenze è di spendere l’eredità medicea non solo per vendere scarpe, borse e souvenir e servizi di bassa qualità ai turisti, per affittare appartamenti scalcinati agli studenti o costruire alberghi di lusso. In un territorio ormai saturo si può e si deve costruire solamente se dietro a ogni operazione immobiliare vi è un progetto che contribuisca a diversificare e modernizzare l’economia della città. Un esempio è la recente proposta di Diego Della Valle – patron della Fiorentina - di costruire il nuovo stadio di calcio e una cittadella dello sport e del commercio nell’area di Castello di proprietà della Fondiaria. Si è molto discusso e polemizzato sulle destinazioni e sul carico urbanistico. Meno ci si è chiesti se le infrastrutture esistenti e progettate (ma con quali tempi di realizzazione?) sarebbero in grado di reggere una domanda di mobilità concentrata in alcune ore di punta. Nessuno si è domandato se dietro alla proposta vi sia un serio progetto industriale: chi gestirà i futuri insediamenti commerciali e le altre attività previste; e con quali profitti e quali conseguenze sulle attività ancora presenti nella città. In sintesi: l’intera operazione porterà vantaggi ai cittadini di Firenze? una domanda cruciale ma assente nelle trattative intercorse fra vertici della Fondiaria e amministratori pubblici.

Una terza opzione riguarda la questione delle infrastrutture di trasporto, in particolare, le linee della tramvia. L’annuncio del candidato del PD, Matteo Renzi, di volere rivedere i progetti delle linee 2 e 3 è condivisibile per due motivi. Il primo è che gli attuali progetti sono in più punti sbagliati; il secondo è che comunque non sono coerenti con le scelte urbanistiche, per quanto confuse, e con gli interventi in corso nel territorio fiorentino. Valga il fatto che recentemente ci si è accorti che la tramvia, così come progettata, non avrebbe servito l’aeroporto di Peretola e l’insediamento di Castello. E’ logico perciò rivedere in modo coordinato tutte le previsioni su trasporti, parcheggi, nodi scambiatori, modalità integrazione con le linee ferroviarie e riverificarne la fattibilità non solo in termini di investimenti, ma anche dal punto di vista dei programmi finanziari e gestionali. Senza dimenticare che la costruzione di infrastrutture come la tramvia dovrebbe essere l’occasione per riqualificare le zone più sacrificate della città, per dotarle di nuovi spazi pubblici, come è accaduto in tutte le altre città europee interessate da analoghe operazioni

Infine: in attesa di sviluppare il suo programma, la prima decisione del nuovo sindaco di Firenze dovrebbe essere di arrestare il perverso processo di densificazione in cui si manifesta, anche simbolicamente, la politica pregressa. Cortili dove al posto di un qualche magazzino o stabilimento artigianale dismesso nascono palazzi multipiano, in una situazione urbanistica già congestionata, priva di servizi e di verde. Dove i soliti noti riescono a strappare, con l’ausilio degli uffici comunali, permessi a costruire nelle pieghe dei regolamenti o nell’ illegalità, come è dimostrato dal numero crescente degli interventi sanzionatori della magistratura. Una decisione che si scontrerebbe con il solito muro dei diritti pregressi e consolidati che meglio sarebbe chiamarli interessi contrattati; tuttavia, una decisione coraggiosa che alcuni grandi sindaci – a Firenze o altrove – avrebbero preso senza esitazione, sicuri di fare l’interesse della città. Ne sarà capace la nuova amministrazione? Una risposta positiva sarebbe un motivo di speranza e il segnale che realmente qualcosa di nuovo si muove nella politica fiorentina.

Per ciò che riguarda l’amministrazione uscente, cosa saggia sarebbe di lasciare alla prossima la revisione e l’approvazione del piano strutturale. Sarebbe una scelta ampiamente motivata. A meno che vi siano troppi impegni che attendono di essere onorati; ivi compresa l’opzione apparsa in extremis di una variante (proposta addirittura come controdeduzione alle osservazioni, costume riprovevole e nella sostanza illegale) che permetterebbe l’edificazione di quasi mezzo milione di metri cubi, non dimensionati nel PS adottato, in aree ferroviarie da dismettere. Il suggello finale di una gestione urbanistica che ha fatto della rendita il suo faro politico.

«Stop al piano strutturale. La giunta degli scandali urbanistici vorrebbe concludere il lavoro, accampando motivi di ordine economico e di occupazione. Impediamo loro di fare altri danni». Lo chiedono i Comitati dei cittadini di Firenze, che fanno parte della rete di Alberto Asor Rosa. Insieme con Italia Nostra, con il Comitato per la tutela paesaggistica del Galluzzo e con il Comitato ex Panificio Militare (Novoli e Rifredi), sollecitano la moratoria del piano strutturale fiorentino: che - accusano - prevede tre milioni di metri cubi di edificazioni in più (il 25% dei quali su nuovo suolo, il resto su aree dismesse, fra cui quelle ferroviarie), oltre all´enorme operazione speculativa di Castello, alla rinuncia al disegno pubblico della città grazie a una sorta di prelazione agli imprenditori privati attraverso l´istituto dell´avviso pubblico, alla manomissione delle colline.

«Il nuovo piano strutturale - spiega Maria Rita Signorini di Italia Nostra - introduce il nuovo concetto di collina urbana ed extraurbana. Molte aree collinari, sinora inedificabili, sono state incluse nell´abitato. Così fra il Galluzzo e San Gaggio, così anche Rocca Pilucco e la collina delle Romite, il che fa pensare che saranno inzeppate di funzioni. Addirittura il parco ottocentesco della Villa dei Grandi Invalidi è stato diviso in due, una parte lasciata a parco urbano, l´altra annessa ad abitato denso. È una cosa totalmente nuova, che fa rabbrividire».

Secondo Italia Nostra e i Comitati, la salvaguardia delle colline - un punto fermo sin dal primo piano regolatore fiorentino, ribadito con l´istituzione del parco delle colline - è messa a rischio dal nuovo piano strutturale, all´interno del quale è stato denunciato anche l´innalzamento della quota altimetrica del limite inferiore del parco delle colline. Peraltro - accusano i Comitati - l´aggressione è già in atto da tempo a suon di varianti e di piani di recupero che sfruttano la possibilità, prevista dall´attuale regolamento urbanistico, di demolire i cosiddetti edifici fuori contesto (vecchie manifatture, autorimesse, depositi di materiali, le cosiddette classi 6) e di sostituirli costruendo nuovi immobili con un «premio» in termini di aumento di volumi. In questo settore la società di progettazione Quadra, fondata nel 2000 dall´ex capogruppo del Pd in Palazzo Vecchio Alberto Formigli e dall´attuale presidente dell´Ordine degli architetti Riccardo Bartoloni, è stata straordinariamente feconda. I Comitati si chiedono se ciò non dipenda dal fatto che durante la giunta Primicerio l´architetto Bartoloni fu uno dei consulenti incaricati, fra l´altro, di individuare gli immobili «fuori contesto».

Al Galluzzo, in aree agricole di particolare pregio o nel centro storico minore dove non si può neppure aprire una finestra a tetto, la Quadra sta costruendo 18 villette a schiera in via del Podestà (il consiglio comunale ha approvato una variante al piano regolatore per consentirglielo), un edificio detto il radiatore (9 appartamenti) in via Silvani, un palazzo di 18 appartamenti in via Buondelmonti (in un´area originariamente destinata a verde pubblico) e un edificio commerciale progettato personalmente da Formigli in via delle Bagnese, dove c´è chi non riesce neppure ad ottenere il permesso di installare un cancello. Lo ha raccontato il presidente del Comitato del Galluzzo Maurizio Toma, che ringrazia il consigliere di An Giovanni Donzelli per le sue battaglie per la salvaguardia delle colline. Sui quattro interventi Quadra del Galluzzo, i Comitati, Italia Nostra e alcuni residenti hanno presentato una serie di esposti, chiedendo il sequestro dei cantieri.

Le ultime vicende riguardanti il progetto di Castello nell’area di proprietà Fondiaria SAI (1.400.000 mc su 186 ha) suggeriscono riflessioni più generali sul governo del territorio in Toscana. Nella lettura dei colloqui fra maggiorenti della politica urbanistica fiorentina e rappresentanti privati ciò che colpisce non è tanto l’ipotesi di corruzione, tutta da dimostrare, ma qualcosa che induce a pensare che, tutto sommato, sarebbe meglio che le indagini della magistratura dimostrassero che in effetti corruzione vi è stata - vi sarebbe almeno un movente per il ‘delitto’. Quello che emerge con tutta evidenza e non ha bisogno di ulteriori prove, è molto più preoccupante ed è devastante da un punto di vista politico: gli amministratori pubblici fiorentini, in primis l’assessore all’urbanistica agiscono come brasseurs d’affaires, quasi dipendenti di Salvatore Ligresti che, sia detto per inciso, non rappresenta il meglio del già mal rappresentato capitalismo nostrano. In tutti i colloqui pubblicati non vi mai alcun accenno ad un qualsiasi interesse pubblico dell’operazione; i nostri si preoccupano soltanto di come mandar in porto il progetto senza che gli interessi dei privati vengano intaccati; tutto ciò sotto gli occhi impassibili del sindaco, il vero convitato di pietra.

Torniamo un passo indietro, al Piano Strutturale di Firenze adottato nel luglio 2007 e leggiamo nella relazione generale che: “Una ...questione rilevante è che con la legge 1/2005 si è affermata in Toscana una concezione dialettica anziché gerarchica ... della pianificazione territoriale. La pianificazione del territorio nella regione si fa ormai attraverso la dialettica tra contributi e spunti che vengono dai Comuni, dalle Province e dalla Regione in un processo di reciproca e dialettica integrazione. Con la procedura dell’accordo di pianificazione la Regione fa proprie le istanze della pianificazione territoriale della Provincia o del Comune, così come la Provincia modifica il proprio Piano territoriale di coordinamento in relazione alle integrazioni provenienti dai Piani strutturali dei Comuni”

In sintesi: dialettica e concertazione invece della vecchia logica basata sui controlli e i pareri di conformità. Il tutto secondo quell’afflato etico-politico che pervade il Documento del PIT, ben sintetizzato nella dichiarazione che “la governance (che sostituisce il governo del territorio, mia interpolazione) darà testa e gambe a quel nuovo “patto” che il Pit vuole rappresentare. Infatti, solo se ogni livello di governo fa propria - sul piano politico - e accetta - in termini tecnici ... una semplice ma discriminante domanda: «...qual è il mio contributo al bene della mia Regione visto che da es­so dipende gran parte di quello della mia comunità?», allora la governance non regredisce al mero rito negoziale del do ut des....(Documento PIT, p. 28).

L’affaire Castello è la prova evidente, fattuale di cosa significhino nella realtà vera e non nella retorica dei documenti di piano, ‘governance, dialettica, concertazione,. Concertazione sì, ma con i privati. Dialettica intesa come pressioni nei riguardi di Regione e Provincia perché facciano la loro parte in un’impresa che ha ormai bisogno dei denari pubblici per essere profittevole (per il privato, s’intende). Governance intesa come contrattazione sottobanco. Governance che trova nello strumento dell’accordo di programma il suggello giuridico e il grimaldello per variare a piacimento le cosiddette invarianti strutturali.

Ci troviamo dunque di fronte a delle vere e proprie macerie politiche che non riguardano solo i diretti interessati, ma gran parte del gruppo dirigente del PD e mostrano ancora una volta che la famosa scommessa innovativa del governo regionale è una scommessa persa in partenza (ma la si voleva realmente vincere? e chi dovevano essere i vincitori?). In un paese normale, sindaco e assessori fiorentini avrebbero l’obbligo di dimettersi e il PD rinnoverebbe radicalmente i propri quadri dirigenti. Ma è fin troppo facile scommettere che invece ci si arroccherà sulla presunzione di non colpevolezza degli amministratori rispetto alle imputazioni penali (presunzione che condividiamo) e ci sia autoamnistierà da una pesantissima condanna politica già pronunciata.

Le posizioni della politica

nell’articolo di Massimo Vanni

"Tramvia, dibattito su falsità"

Domenici: "Referendum assurdo e sciagurato". Anzitutto, le mistificazioni: «Questo referendum ha già prodotto un danno, quello di un dibattito esaltato e, per responsabilità dei promotori, fondato su esagerazioni e falsità». Subito dopo gli alleati del leader dei contrari Mario Razzanelli. A cominciare da Paolo Blasi: «Ex rettori dicono cose senza né capo né coda, forse avrebbero fatto meglio ad occuparsi delle condizioni finanziarie in cui hanno lasciato l’università». E per finire, «i neofascisti che affiggono manifesti». Il sindaco Leonardo Domenici partecipa alla presentazione dello studio che annuncia un aumento dei prezzi immobiliari nei quartieri attraversati dalla tramvia e, a pochi giorni dal voto, sferra uno dei suoi attacchi più decisi contro il fronte degli anti-tramvia.

«Si parla molto di progetti alternativi che non esistono, ma si sta prendendo in giro la città», aggiunge il sindaco a proposito del micro-metrò rilanciato proprio in questi giorni dal capogruppo dell’Udc Razzanelli. E il fatto sorprendente, continua Domenici, è che nel referendum sulla Coop della Ex-Longinotti votato nel 1999, anche allora un referendum richiesto da Razzanelli, «c’era la stessa compagnia di giro e si discuteva degli stessi scenari apocalittici che puntualmente non si sono verificati».

Il sindaco chiede quindi di riportare il dibattito su dati oggettivi («Contrariamente a quanto viene detto, i binari che passano dal Duomo non sono quelli di Santa Maria Novella e saranno a raso»). E invita a votare «no contro questo assurdo e sciagurato referendum» e anche «no contro chi si oppone al cambiamento».

Se oggi i cantieri comportano comprensibili disagi, «alla fine i vantaggi ci saranno», sostiene il deputato Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente che ha collaborato alla ricerca sulle modifiche dei valori immobiliari post-tramvia condotta da Anco-Cresme Consulting. «L’arrivo di un mezzo di trasporto come la tramvia avrà un effetto di salvaguardia sul patrimonio urbanistico, con conseguente aumento dei prezzi», sostiene Realacci. I dati saltati fuori dallo studio?

Una volta che le tre linee di tramvia saranno realizzate, secondo Anci-Cresme, il valore totale del patrimonio immobiliare della città passerà da 56,40 miliardi a 58,15 miliardi di euro. Un guadagno netto per i privati proprietari di appartamenti, negozi e uffici di 1,75 miliardi. Un aumento che sarà significativo soprattutto nelle aree periferiche, i cui valori immobiliari si avvicineranno di 3-4 punti percentuali a quelli del centro. A Novoli, che sarà attraversata dalla linea 2 (quella diretta a Peretola), il prezzo degli alloggi, secondo lo studio, si rivaluterà di quasi il 5 per cento, mentre quello dei negozi quasi del 6 (gli uffici del 6,7). Mentre a Campo di Marte, l’aumento sarà più contenuto: circa l’1 per cento. A Gavinana gli alloggi lieviteranno del 3,8, i negozi del 4,4. In qualche caso l’aumento dei valori potrà sfiorare anche il 10 per cento.

Secondo lo studio, la tramvia sarà in grado di liberare pezzi di città dal traffico privato, con la conseguenza di abbattere del 30 per cento la produzione di anidride carbonica e di contrastare la proliferazione del numero dei veicoli privati.

Il promotore del referendum Razzanelli sostiene esattamente il contrario? Sostiene che lo spazio sottratto alle auto finirà per rendere più lento e difficile lo scorrimento del traffico privato con l’effetto di produrre più inquinamento atmosferico? «Questi tesi non tengono conto di un fatto, che l’arrivo del nuovo sistema di trasporto pubblico avrà un effetto sul numero di auto in circolazione, cioè che la tramvia dovrà comportare una diminuzione», sostiene il sindaco Domenici. Secondo le stime dell’Ataf, interviene anche l’assessore all’urbanistica Gianni Biagi, «circa il 35-40 per cento degli spostamenti effettuati nelle aree servite dalla tramvia passerà dal traffico privato alla tramvia». Del resto, aggiunge Biagi, la fluidità del traffico non è determinata solo dalla larghezza delle strade: «Basta vedere Porta al Prato, dove le corsie sono state ridotte da 8 a 4 senza penalizzazioni per il traffico».

Razzanelli punta il dito sull’«effetto cappio» dei binari in piazza della Libertà e sulle complicazioni del traffico? «La piazza sarà finalmente pedonalizzata, non sarà più uno spartitraffico ma una delle piazze importanti della città», risponde l’assessore Biagi

Le ragioni dei Comitati nell’intervento di

Alberto Asor Rosa

Blocchiamo tutto e ripensiamo il progetto

Siamo risolutamente a favore del mezzo di trasporto pubblico. E nel mezzo di trasporto pubblico privilegiamo risolutamente quello su rotaia. Sempre? E dovunque?

Gli esempi estremi servono a far capire le cose semplici.

Poniamo che il progetto preveda il transito della tramvia fra il Duomo e il Battistero. Ah, no: quello non si potrebbe fare, sarebbe lesivo per l’ambiente urbano e pericoloso per i monumenti. E invece il farlo passare a qualche metro di distanza dall’uno e dall’altro, quello sì, non sarebbe nè lesivo nè pericoloso, anzi sarebbe un bene trionfale per la città e il suo prestigio?

Di equivoci, contraddizioni e goffaggini di tale natura è piena l’affannosa difesa che l’amministrazione comunale di Firenze fa del megaprogetto tramviario in vista del voto referendario del 17 febbraio.

La questione - grave, anzi gravissima, al di là dei suoi contenuti specifici - presenta due aspetti, uno di sostanza, l’altro di metodo (questo secondo forse più importante del primo, visto che lo determina).

La sostanza riguarda un po’ tutto: i percorsi, la dimensione delle carrozze, l’attuale indefinibilità e provvisorietà dei progetti (si «naviga a vista», senza uno studio d’impatto ambientale: sfido il Comune a dimostrare il contrario), l’abbattimento indiscriminato di centinaia di alberi d’alto fusto, la destinazione finale delle enormi somme stanziate (e da stanziare), il mutamento in aeternum delle caratteristiche storiche millenarie del centro storico di Firenze, ecc. ecc.

Il metodo riguarda comportamenti e abitudini del ceto politico cittadino (non farei tanta differenza fra maggioranza e opposizione) in un caso di tanta rilevanza. Il Coordinamento dei comitati cittadini di Firenze, che aderiscono alla Rete toscana (che io immeritatamente presiedo) non ha chiesto né di fermare lo sviluppo del trasporto pubblico a Firenze né di escludere da questo la tramvia.

Ha chiesto che, in presenza di un accumulo così rilevante di problemi e interrogativi, si tornasse a pensare progetti, percorsi, dimensioni e finanziamenti, secondo l’elenco più o meno in precedenza stilato.

La risposta è stata, come si suol dire, un silenzio assordante o, peggio, la ripetizione magnetofonica di alcuni slogans propagandistici.

Votare sì al referendum del 17 febbraio significa dunque due cose, una più importante dell’altra; innanzi tutto, bloccare il progetto della tramvia così come ora è; in secondo luogo, dimostrare che la democrazia rappresentativa non prevede un regime di delega, in cui gli eletti, per essere stati eletti, fanno quel che vogliono. Si chiede, in fondo, solo la possibilità di riaprire un percorso.

P.S. Ci rimproverano perché diciamo le stesse cose che dice Vittorio Sgarbi (o perché Vittorio Sgarbi dice le stesse coso che diciamo noi). Ma non ci faccino ridere, sentenziava un famoso pensatore italiano del Novecento in casi del genere. I giornali sono pieni tutti i giorni di dotti e autorevoli commenti, che ci anticipano come dopo il voto del 18 aprile sia possibile, anzi auspicabile, un incontro costituente fra i due maggiori partiti italiani, il PD e il PDL (si chiamano così?), e noi dovremmo vergognarci di pensarla come Sgarbi?

Postilla

È sempre triste contestare un tram; è una scelta grave, come l’aborto. Eppure, come l’aborto qualche volta è necessario. Il guaio del tram di Firenze è che è stato progettato in modo disastroso, e non è mai stato valutato e discusso con l’attenzione che un intervento così importante meriterebbe. È ancora possibile farlo, ed è questo che chiedono i promotori del referendum, e quanti voteranno SI alla moratoria. Ma perché mai in Italia le buone idee (il tram, ad esempio) vengano eseguite in modo sciaguratamente approssimativo, grossolano, settoriale? Un’attrezzatura come quella avrebbe richiesto una riprogettazione dell’intera sede stradale, “da muro a muro”; un’attenzione ai contesti, alle preesistenze, alle sistemazioni del traffico nelle strade circostanti.

Le parole ragionevoli del presidente della "Rete toscana dei comitati per la difesa del territorio" chiariscono le ragioni dei critici dell’attuale progetto. Quelle del sindaco rivelano una volta ancora come in Toscana accada ci detiene il potere preferisca spesso gli anatemi alle risposte di merito alle questioni sollevate.

La Rete Toscana nella sua completezza, costituita da oltre 170 Comitati e Associazioni, esprime la propria adesione all’appello a sostegno del si al referendum, redatto dai Comitati fiorentini e da Italia Nostra, e sottoscritto anche da numerose personalità del mondo della cultura, dell’università e dell’associazionismo che notoriamente non sono riconducibili allo schieramento politico del centro-destra, ritenendo che i motivi che hanno portato all’esercizio dello strumento referendario, superino di gran lunga, allo stato attuale dei fatti, la valenza degli schieramenti politici di parte di chi lo ha promosso e che i sostenitori del NO al referendum tentano ancora, propagandisticamente, di far passare contrapposti agli interessi della Cittadinanza.

La Rete, ritiene infatti che lo strumento referendario, come è nella sua natura, rappresenti attualmente, per la cittadinanza tutta, l’ultima speranza per cercare di far breccia nell’arroccamento, quasi sempre arrogante e mistificatore, espresso dalla committenza, e dall’Amministrazione Comunale, nel non voler procedere a nessuna sostanziale revisione tecnica del progetto, neppure per le linee 2 e 3, non ancora cantierizzate, come i Comitati richiedono in nome di una gran massa di Cittadini che hanno manifestato in più occasioni contro le conseguenze distruttive, immediate e future, che un progetto mai definito nei particolari, come quello attuale, possa arrecare irreparabilmente a vastissime zone della città.

La Rete Toscana sostiene ovviamente lo sviluppo del trasporto pubblico e quindi non è assolutamente contro la tramvia: ma contro questa tramvia, che ha evidenziato nel progetto i suoi limiti di condivisione con la Cittadinanza, anche a causa di un percorso decisionale non adeguatamente trasparente che ha visto prevalere i toni propagandistici, alle ragioni di fatto. Ragioni che dovevano partire da un ben definito piano di mobilità dell’area vasta, se non provinciale, la cui mancanza è aggravata dal non aver mai definito neppure un piano di collocazione delle attività pubbliche, produttive e terziarie, determinandone invece una spontanea dispersione su tutta l’area metropolitana e dei comuni limitrofi, anche di seconda cintura, che rende di fatto impossibile dare risposte di mobilità adeguate, con qualunque mezzo pubblico, che non sia il proprio ciclomotore.

Ciò premesso, questa tramvia non costituisce neppure un’occasione di riqualificazione degli spazi urbani, come normalmente è accaduto in altre realtà europee, ma semmai ne riduce la fruizione peggiorando, nella maggior parte dei casi, gli attuali standard di vita dei cittadini e delle attività che si svolgono a margine dei percorsi della tramvia.

Firenze 8 Febbraio 2008

Due sì alla moratoria per le linee 2 e 3 della tramvia

Italia Nostra, Associazione piazza della Vittoria, Associazione Linea 3, Coordinamento dei comitati dei cittadini dell’area fiorentina

A Firenze dal 2004 è stata avviata la costruzione di una linea tranviaria, la Linea 1, che collegherà la Stazione di S.M. Novella con Scandicci. La linea 2 – per l’Aeroporto - e la Linea 3 – per Careggi - sono in via di progettazione definitiva e se ne sono già avviati i lavori preliminari.

Con il Referendum consultivo indetto per il 17 febbraio dovremo dire sì o no alla sospensione delle linee 2 e 3. Lo scopo è quello di avviare un ripensamento complessivo sia del sistema tranviario che del trasporto pubblico a Firenze.

Questa Amministrazione comunale non ha mai attuato un vero confronto con i cittadini sull’opportunità o meno di costruire una tramvia, non ne ha mai discusso i tracciati e non ha mai cercato di affrontare e risolvere i disagi e i problemi prodotti da un’opera del genere.

L’assenza del confronto con la città genera mostri: infatti è possibile verificare che le sistemazioni preliminari già realizzate sono di una desolante modestia progettuale e di un devastante impatto territoriale e ambientale. A monte di qualsiasi progetto esistono invece dei vincoli inevitabili di natura ambientale, storico-artistica, urbanistica che qui non sono stati preventivamente individuati o “considerati”. Una volta che i problemi, i gravi danni al centro storico e al verde consolidato emergeranno non ci sarà più alcuna possibilità di recupero con soluzioni alternative valide.

Questo modo di procedere ha acutizzato il conflitto con una parte rilevante della cittadinanza. I nostri amministratori hanno trasformato il confronto sui fatti, da noi più volte sollecitato, in rissa ideologica che favorisce la logica degli schieramenti (destra o sinistra?) e impedisce qualsiasi sereno e serio confronto.

Gli amministratori ingenuamente attribuiscono alla sola presenza del tram il potere miracoloso di ridurre il traffico privato su gomma, senza effettuare alcuna verifica del progetto e senza affrontare il problema della mobilità nel suo complesso.

Ribadiamo: la forte politicizzazione che ha assunto il dibattito rischia di impedire la conoscenza ed una seria discussione dei progetti.

Per tutto ciò, pur non avendo promosso noi il Referendum, partecipiamo alla campagna referendaria a favore del sì considerandola comunque un’importante occasione data ai cittadini per esprimersi.

Noi siamo per il completamento della Linea 1 e per una moratoria delle Linee 2 e 3 in modo da ripensare tutto il sistema del trasporto pubblico.

A Firenze la congestione cronica da traffico è aggravata da un’alta domanda di mobilità, ben al di là della dimensione della città, sia per la presenza di un turismo globale invasivo e poco governato, sia per un’espansione edilizia incontrollata che ha disseminato abitanti e attività a grande distanza tra loro.

Noi sosteniamo il potenziamento del trasporto pubblico, ma siamo anche per la riduzione del bisogno di mobilità indotto dalla speculazione immobiliare che sta svuotando la città e condannando i suoi ex cittadini ad una vita da pendolari.

Per creare vere alternative al mezzo privato però bisogna rinunciare all’idea che esista un rimedio unico ed evitare infatuazioni o demonizzazioni per questa o quella soluzione. Non c’è esempio europeo che valga se non si parte da un’approfondita conoscenza delle esigenze della propria città.

La nostra opposizione non è alla tramvia in sé ma a questo progetto che riteniamo sbagliato, oneroso e imposto alla citta’.

Ecco 10 ragioni per rimettere in discussione le linee 2 e 3

- il sistema tranviario che si vuole realizzare è costituito da tracciati concepiti 15 anni fa per una metropolitana. è un trasporto di superficie pesante, rigido, inadeguato per la città di firenze.

- il progetto è limitato allo spazio adiacente ai binari senza riqualificare lo spazio pubblico circostante. mancano interventi contestuali sul sistema della circolazione, sul sistema della sosta e sulla rete di autolinee.

- ad opera finita avremo tre linee radiali imperniate sul nodo S.M. Novella – Fortezza che aumenteranno la congestione dell’area centrale, senza soddisfare i collegamenti con importanti funzioni metropolitane e i collegamenti intercomunali diretti (attraversamento di Firenze).

- stiamo verificando che ovunque passi questa tramvia gli alberi, anche adulti, vengono abbattuti. Il patrimonio arboreo esistente deve essere un’invariante di progetto, non la prima cosa da eliminare. Il prolungamento fino al Meyer produrrà l’ ulteriore taglio di un centinaio di alberi.

- l’abbattimento degli alberi, anche di quelli difesi da vincolo di legge, e i numerosi sottopassi, compromettono l’impianto storico del Poggi e i suoi prolungamenti moderni.

- il paesaggio urbano di Firenze ne uscirà stravolto, come già avvenuto nella zona di Porta al prato e delle Cascine.

- il tram “Sirio” di 32 m. è fuori scala per la città storica. L’impatto sarà dato sia dalla linea aerea (4 km. di fili e centinaia di pali) sia dall’ingombro e dalla frequenza dei convogli. La posa dei binari, costosa e con spesse fondazioni, è da considerarsi irreversibile per il centro storico di Firenze, patrimonio dell’Unesco.

- il tratto della Linea 2 che transita dal Duomo è dannoso anche perché finisce in modo irragionevole in piazza della Libertà dove metterà in crisi un nodo delicatissimo della viabilità cittadina, compromettendo una delle piazze più significative del Poggi.

- la diminuzione dell’inquinamento e del traffico automobilistico, che comunque alla fine non supererà l’8-10%, avverrà solo se e quando tutto il sistema della mobilità funzionerà.

- è da considerare che gli abitanti della zona Cure, dei quartieri a sud e a est non saranno serviti dalla tramvia.

la costruzione della Linea 1 con i costi raddoppiati e con ben 63 varianti dimostra che i progetti vengono elaborati in modo sommario. Questa “navigazione a vista” elevata a sistema è inaccettabile, è priva di qualsiasi studio di impatto ambientale e tale da vanificare ogni criterio di trasparenza

- l’aver affidato ad un “project financing” la delicata progettazione delle linee 2 e 3 significa addossarne il debito alla collettività, che dovrà compensare il mancato incasso alla società di gestione.

ed ecco alcune proposte alternative

- elaborare un Piano organico della mobilità di tutta l’area, anche mettendo in discussione scelte urbanistiche centralizzatrici ed invasive recentemente riconfermate dagli strumenti di pianificazione adottati

- mettere in atto una migliore utilizzazione dell’infrastruttura stradale e una razionalizzazione dei sistemi e dei servizi esistenti a scala metropolitana, da definirsi prima e non dopo la costruzione della tramvia.

- liberare il centro storico dal traffico fin da subito, limitando al massimo il suo attraversamento da parte delle linee di autobus e rinnovando profondamente il sistema di Trasporto Pubblico Locale.

- Pretendiamo il rispetto della ztl.

- prevedere il potenziamento di servizi di bus ecologici per il centro con penetrazione a staffa.

- attuare contemporaneamente tutte le misure utili al rafforzamento della mobilità elementare, in particolare di quella ciclabile, individuando una rete di aree e di corridoi ciclopedonali protetti

- verificare la necessità delle linee 2 e 3 valutando ipotesi diverse di collegamento metropolitano, basandosi sull’esteso sistema ferroviario in parte inutilizzato (si pensi solo al tratto Cascine - Leopolda), eventualmente completato da rami tranviari o utilizzando altri mezzi o infrastrutture adatte alle caratteristiche della città.

- aprire il confronto con la cittadinanza su progetti di tramvia, anche alternativi tra loro, fatti conoscere in modo semplice e comprensibile.

Anche la tramvia, da mezzo di trasporto pubblico, può trasformarsi in strumento di declino ulteriore.

La parola d’ordine di chi sostiene questo progetto, “cambiare o declinare”, la facciamo nostra: cominciamo a cambiare il progetto di tramvia, le sue modalità di costruzione e di finanziamento.

Nel XXI secolo modernità vuol dire rispetto dell’ambiente e qualità della vita

votiamo sì per fermare le linee 2 e 3!

votiamo sì per garantirsi le scelte, per garantirsi il futuro, per una vera partecipazione!

Primi sottoscrittori.Prof. Leonardo Rombai, Prof. Giorgio Pizziolo, Prof. Mariella Zoppi, Maria Rita Signorini, Arch. Luciano Ghinoi, Maria Rita Monaco, Arch. Paolo Celebre, Prof. Mario Bencivenni,Dott. Domenico de Martino, Tiziano Cardosi, Prof. Luigi Zangheri, Prof. Mauro Cozzi, Arch. Gabriella Carapelli, Arch. Rinaldo HoffmannRomano Romoli(Casa dei Tessuti, via dei Pecori), Prof. Marco Dezzi Bardeschi, Dott. Lara Vinca Masini, Prof. Rosetta Raggianti Prof. Carlo Carbone, Prof. Francesco Pardi

Postilla

L’intenzione dell’appello non è quella di rinunciare al tram, ma di ottenere un progetto decente, quindi ben diverso da quello approvato dal Comune. Forse sarebbe stato più efficace chiedere sostanziali miglioramenti del progetto anziché chiedere la moratoria, cioè la sospensione sine die dei lavori. Ma ciò avrebbe richiesto un dialogo con l’amministrazione, che non sembra esserci stato. Finché l’atteggiamento di chi governa è “prendere o lasciare”, ci sono poche speranze per una migliore democrazia e una migliore città

Palazzo Vecchio dichiara guerra alla rendita immobiliare. Lo fa con «l’avviso pubblico», il nuovo strumento urbanistico col quale progetta di sovvertire le regole edilizie fino ad oggi in uso. Durante il convegno organizzato ieri dalla commissione territorio guidata da Antongiulio Barbaro, l’assessore all’urbanistica Gianni Biagi ha annunciato che il Piano strutturale pronto a primavera conterrà proprio l’«avviso pubblico», lo strumento col quale il Comune si rivolgerà ai privati aprendo una sorta di concorso sulle opere che intende realizzare: una gara dove peserà più la qualità dei progetti che la semplice proprietà dei terreni. Una rivoluzione concettuale dell’edilizia privata che proprio a Firenze, dice l’assessore, troverà la prima sperimentazione significativa.

«L’avviso pubblico è un’idea della Regione che siamo lieti di sperimentare nella nostra città. E non a caso: finora in Italia era stato applicato solo in piccoli Comuni ma la Toscana e Firenze si confermano all’avanguardia nel dibattito urbanistico», sostiene l’assessore comunale. Mettendo fine (almeno in parte), oltretutto, alle divergenze e anche alle polemiche saltate fuori qualche settimana fa proprio sui contenuti del Piano strutturale tra il Comune e Riccardo Conti, l’assessore regionale all’urbanistica primo paladino del ricorso all’«avviso pubblico» tanto da introdurlo nel Pit, il Piano d’indirizzo territoriale che la Regione approverà in via definitiva prima dell’estate.

Come funzionerà «l’avviso»? Oggi il proprietario di un terreno che vuole costruire 100 appartamenti presenta un progetto e preme il Comune per ottenere poi la concessione. Domani tutto cambia: nel Piano strutturale il Comune dice quali opere considera prioritarie ma non dove devono essere fatte (il Piano strutturale non è più un Piano regolatore). E lancia quindi l’«avviso»: ci sono imprenditori interessati a realizzare l’idea del Comune? Il proprietario dei terreni e il costruttore devono mettersi insieme per confezionare un progetto convincente. E il Comune sceglie, tra quelli pervenuti, il progetto che più comporta vantaggi per il pubblico.

Solo a questo punto, non prima, interviene il regolamento urbanistico a dire dove deve essere realizzata l’opera. E solo a questo punto sarà chiaro quali saranno i terreni edificabili. Prima del regolamento urbanistico la rendita immobiliare non può dunque salire e dopo il Comune avrà già scelto. Da notare che il regolamento avrà una durata di soli 5 anni (nel senso che dopo decade tutto).

Quali operazioni potranno essere fatte con l’«avviso»? Secondo Conti e Biagi, «praticamente tutte»: il recupero dell’ex panificio militare di via Mariti o anche l’albergo nella ex Fiat di viale Belfiore, che ha sollevato tante polemiche dopo l’abbandono dell’architetto Jean Nouvel. Prima di tutto però il Comune dovrà decidere il pacchetto delle opere da farsi con urgenza.

«Lo faremo cominciando dal Piano strutturale - dice Biagi - il sistema dell’"avviso" consente al Comune di massimizzare i profitti e consente anche la massima trasparenza nelle procedure». Ma consente anche, aggiunge Conti, di favorire la concorrenza tra privati: «Una concorrenza sui progetti, sulla qualità, più che sulla proprietà». Senza contare che, interviene anche il capogruppo dei Ds Alberto Formigli, definire il pacchetto delle priorità pubbliche è come «assegnare quote di edificabilità». Mille miglia lontano dalla logica dei vecchi piani regolatori che stabilivano sulla carta quali erano i terreni edificabili aumentandone d’un botto il valore.

Postilla

Già a Milano si era proposta, e praticata, la soluzione di lasciar decidere alla proprietà immobiliare che cosa costruire e dove, sulla base delle “strategie”, molto generali e generiche, dell’amministrazione. La proposta era stata ripresa e perfezionata e generalizzata dalla "legge Lupi" (per fortuna sconfitta).

Adesso anche a Firenze si vuole fare così: la “strategia” la fa il piano strutturale, e il regolamento urbanistico (cioè il vero PRG, quello che dice dove si costruisce e che cosa e quanto) viene redatto dopo e sulla base delle proposte degli “imprenditori”, cioè il tandem costruttori-proprietari. Insomma, chi decide è la rendita.

Poi dicono (e il giornalista ci crede) che così combattono la rendita e la vincono. Dicono di aver vinto, e non sanno che si sono arresi.

Sono state molte le iniziative per ricordare la disastrosa alluvione di quarant’anni fa. Iniziative importanti che culmineranno, penso, nell’incontro in difesa dell’ambiente e degli ecosistemi urbani (domani in Palazzo Vecchio) nel corso del quale sarà solennemente firmato l’appello delle città di Firenze, New Orleans, Dresda, Budapest e Venezia, per la salvaguardia del pianeta e dei patrimoni culturali.

Forse, però, è mancato un ricordo importante: l’inascoltata proposta, che Giovanni Michelucci lanciò all’indomani della catastrofe, di ripartire dalla ricostruzione del quartiere di Santa Croce, uno dei più devastati, per risanare una parte importante del centro storico e riproporre così un’idea di città «aperta», non più costruita per parti separate e ghettizzanti. L’idea - già proposta all’indomani della distruzione di Borgo San Jacopo ad opera dei nazisti in fuga - era quella di un uso popolare degli spazi, le cui parti potevano essere collegate da «percorsi».

Un’idea semplice, che riproponiamo con le parole del Grande Vecchio dell’Architettura, tratte dalla conversazione raccolta nel libro Abitare la natura, edito da Ponte alle Grazie nel 1991. «Proponevo qualcosa di più di un semplice pensiero architettonico - spiegava Michelucci - Era una nuova Firenze, quella a cui pensavo. Non più separata in due parti da un fiume ostile, ma unita da un percorso che, per orti e giardini, da Boboli per San Frediano, attraverso l’Arno arrivasse all’orto di Santa Croce, nel cuore del quartiere, riscoprendo quel verde che, come ho sempre sostenuto, non si può “mettere” nella città: ne fa già parte. Pensavo di affrontare la rinascita di quel quartiere da sempre segnato dall’emarginazione, cercando oltre la sopravvivenza, anche gli elementi dinamici della storia. L’alluvione, per esempio, aveva messo in evidenza come i viali del Poggi non fossero solo un anello utilissimo di scorrimento fra la vecchia e la nuova città, ma anche un elemento di sviluppo il quale, organizzando lo spazio fra le Murate e San Salvi, avrebbe fatto assumere a Santa Croce la funzione di collegamento e di avamposto della memoria storica al di là dei viali. Altro che sopravvivenza! Era nuova una vita per il quartiere e l’intero centro storico. Era la fine della separatezza fra l'antico quartiere e la parte ottocentesca della città. Ma così non fu - concludeva amaramente Giovanni Michelucci - C’è stata un’ostilità nei miei confronti che non ho mai capito. Forse perché andavo capovolgendo la città e con essa alcuni interessi costituiti».

Probabilmente come quelli che ancora oggi sembrano dominare Firenze, ormai senza un’idea di città.

Per questo, forse, è imbarazzante ricordare il Grande Vecchio dell’Architettuta scomparso alla vigilia del suo centesimo compleanno.

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