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Un'anticipazione della renziana de-forma costituzionale. «L’affermazione del sindaco NO TAR, che denuncia l’insofferenza del potere politico amministrativo nei confronti della magistratura, si pone fuori da ogni cornice democratica». Perunaltracitta.org, 14 novembre 2016

Proprio poche ore prima che la sentenza di annullamento da parte del TAR dell’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) per l’inceneritore di Firenze fosse resa nota, il sindaco Dario Nardella invocava una «moratoria sui ricorsi al TAR» e il loro «congelamento».

L’affermazione di Nardella al Consiglio generale della Cisl si inquadra nella complessa vicenda della Piana fiorentina che vede l’ampliamento dell’aeroporto di Firenze – fortemente voluto da Renzi e oggi fermo al Ministero per la VIA – interferire anche con la realizzazione dell’inceneritore a Sesto Fiorentino. I due progetti, che insistono su terreni contigui, sono incompatibili per almeno due motivi tecnici: l’altezza delle torridell’impianto di incenerimento prospicienti la pista, e il Bosco della Pianache parzialmente ricadrebbe nell’area interessata dalla costruzione del nuovo aeroporto. Proprio il bosco di 24.000 alberi costituiva l’opera di compensazione dell’inceneritore che (non attuata) ha determinato l’annullamento del procedimento. Su entrambi i progetti pendono ricorsi al tribunale amministrativo; in quello contro l’inceneritore, presentato da comitati ed altre sigle, si sono accodati anche i comuni di Sesto e di Campi Bisenzio.

L’affermazione del sindaco NO TAR, che denuncia l’insofferenza del potere politico amministrativo nei confronti della magistratura, si pone fuori da ogni cornice democratica. «Se la politica delega al TAR le decisioni dei cittadini, è finita», insiste Nardella, che pure dovrebbe sapere che i cittadini si rivolgono al potere giudiziario proprio perché impossibilitati a influire sulle decisioni nelle sedi appropriate, e perché la politica non fa proprie le loro ragioni. In un suo comunicato, la Rete dei comitati per la difesa del territorio incalza il sindaco: «i politici non solo non ascoltano i cittadini, ma neanche rispettano leggi, regole e procedure che dovrebbero, se applicate, tutelare la salute, la sicurezza e la qualità della vita della gente, come sta avvenendo nel caso dell’aeroporto di Firenze o dell’inceneritore di Case Passerini. Ci si aspettava dal sindaco Nardella un solenne impegno di ottemperare a quanto è prescritto dalla legge e la promessa che d’ora in poi la politica non si sarebbe sostituita alla tecnica nel prendere decisioni ad alto rischio per ambiente, paesaggio e benessere della popolazione. Viceversa ciò che Nardella chiede è che nessuno si opponga alle violazioni della legge».

Per ora, a Firenze, il catalogo è questo. Qualora poi entrasse in vigore la cosiddetta “riforma” della Costituzione, il riscritto titolo V rafforzerà in senso centralistico il governo del territorio e la pianificazione delle infrastrutture. Il nuovo assetto dell’articolo 117 ricanalizzerà la potestà legislativa su tali ambiti – oggi esercitata “in concorrenza” tra Stato e Regioni – verso lo Stato medesimo, signore e padrone che non ammetterà opposizione dai territori. Insomma, ancora un motivo, il prossimo 4 dicembre, per votare NO.

«E’ tempo di dare finalmente spazio a conoscenze e professionalità , perché la credibilità di una classe dirigente si misura anche dalla capacità di studiare proposte valutandone correttamente la sostenibilità».la città invisibile online,16 novembre 2016 (c.m.c.)

Ci siamo: a leggere le velenose polemiche tra il Presidente Rossi ed il Ministro Galletti, condite dalle inevitabili repliche di tecnici tirati in ballo sulla responsabilità di ipotizzati ritardi procedurali, l’aereo proveniente da Roma che porterà in dono a Firenze la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del nuovo aeroporto di Peretola sembra stia per atterrare.

Manca veramente poco e poi finalmente il PARERE POSITIVO, cum summo gaudio, sarà annunciato non dal Papa ma quasi, vista la folta e qualificata rappresentanza dei favorevoli, che partendo dal Presidente del Consiglio, passa da Ministri e Sottosegretari, attraversa le istituzioni regionali e locali, coinvolge gran parte delle associazioni di categoria, e trova appoggio incondizionato nella stampa, mi pare senza eccezioni. L’Annunciazione, come andrebbe correttamente definita, sarà celebrata con un coro giubilante più numeroso di quello della Scala.

I giornali titoleranno con grande enfasi l’esito positivo della procedura, e accoglieranno con tante virgolettature le entusiastiche dichiarazioni dei padri di questa opera prodigiosa, perché pensando trattasi di una vittoria, tanti saranno quelli che se ne attribuiranno il merito. E d’altronde anche Flaiano diceva, a modo suo, che un vizio degli italiani è sempre stato quello di salire sul carro del vincitore.

Ma attenzione a non farsi trarre in inganno dal luccichio della festa, perché in questo caso, diversamente da come dice il proverbio vedrete che, il topolino partorirà la montagna.

La Commissione VIA del Ministero dell’Ambiente (il topolino), da mesi sotto assedio, produrrà probabilmente un documento che in premessa riporterà la locuzione PARERE POSITIVO (forse anche in grassetto e sottolineato come tante volte fatto), ma non mancherà di aggiungere un lungo, se non lunghissimo, elenco di prescrizioni riguardanti tutti i temi ambientali (dal rumore alla sicurezza idraulica), tutte le interferenze infrastrutturali, le necessarie tutele sanitarie e della salute pubblica, senza mancare di citare anche il tema della sicurezza del volo verso i trasportati e la cittadinanza e forse un passaggio sulle necessarie garanzie finanziarie visto che i costi dell’opera, anche solo per dare attuazione a tutte le richieste, lieviteranno a dismisura (e tutto questo costituirà la montagna).

Una montagna di prescrizioni (azzardo un numero: più di 100, se si conteranno anche tutte quelle ulteriori sub-indicazioni che le stesse prescrizioni potranno contenere al pari di un atto normativo suddiviso in articoli e commi) che schiacceranno l’intero progetto rendendolo irrealizzabile, come già successo per altre grandi opere similmente controverse e discusse. Una per tutte: l’autostrada tirrenica, che qualcuno considerò come già realizzata quando il Ministero dell’Ambiente concluse positivamente la procedura di VIA, e che a oggi sembra sia ancora in grembo a Giove, e d’altronde non poteva essere diversamente visto che il parere VIA su di essa fu accompagnato da oltre 150 prescrizioni che – di fatto – costituirono una bocciatura mascherata.

Perché è bene essere chiari su una cosa: in tema di valutazioni ambientali, il rapporto tra “progetto” e ”valutazione” è direttamente proporzionale: più il progetto è scarso o carente di contenuti più è alto il numero di prescrizioni ad esso attribuite, al fine di sopperire a quanto non è stato approfondito nella proposta.

E d’altronde, se non c’è la volontà di bocciare l’iniziativa, se si pretende di mantenerla in vita (perché così si è deciso e non si vuole tornare indietro), ma c’è la consapevolezza che la documentazione non risponde ai canoni di accuratezza previsti (e l’aeroporto di Firenze, non vi è dubbio, sarà assunto come esempio di approssimativa se non pessima progettazione), l’unica via di uscita onorevole per chi ha un ruolo tecnico è legata alla possibilità di predisporre una accurata elencazione di tutto ciò che non è stato fatto e che dovrà essere necessariamente fatto prima che l’opera sia realizzata.

Che non sia il caso di vantarsi eccessivamente di tali compromessi, credo ne convengano in molti. Cosi come molti pensano che sia giunta l’ora di pretendere progettazioni rispettose delle leggi, all’altezza delle aspettative, fatte da tecnici indipendenti, professionalmente qualificati e competenti.

E’ tempo di dare finalmente spazio a conoscenze e professionalità troppo spesso relegate in ambiti marginali del processo decisionale dove invece eccelle la mediocrità, perché la credibilità di una classe dirigente si misura anche dalla capacità di studiare proposte valutandone correttamente la sostenibilità.

A prescindere da ridicole diatribe tra politici alla disperata ricerca di un colpevole da mettere alla gogna per nascondere i propri limiti, se tali principi non entrano nel sentire comune, topolini, ahimè, continueranno a partorire montagne.

Ritratto di città italiana, una volta bellissima. Le forze che, maneggiando governanti complici o inetti, la stanno distruggendo. Questa, come tante altre. La città invisibile, 2 novembre 2016


Le città, le conurbazioni, le areemetropolitane sono agglomerati densi e in continua evoluzione. I soggetti dellatrasformazione sono innumerevoli e difficilmente riconducibili a schemiprefissati. Centrale dovrebbe essere il ruolo di governo degliorganismi elettivi, svolto in nome dell’interesse generale dellepopolazioni insediate, al di là delle pressioni del mercato, dei gruppi socialied economici più influenti e del tornaconto politico delle scelte fatte. La tensione al bene comune dovrebbe orientare le politichepubbliche della città, non disgiunte da un profondo senso di equità sociale.
In questi ultimi anni, invece, leamministrazioni centrali e locali, in nome di un maggior grado di libertà dellescelte e della loro rapida esecuzione, hanno smantellato gran parte delleforme di governo della cosa pubblica, e delle garanzie democratiche correlate,a favore della subordinazione al dominio della finanza e del mercato.
Le politiche urbane si sono adeguate! Larigida pianificazione per aree funzionali (residenza, industria, ecc.),ampiamente insoddisfacente, ha lasciato il posto a quella che definisco Urbanistica del Proponente: il progetto dicittà è indicato da coloro, gruppi finanziari e immobiliari, che ormai si sonosostituiti all’amministrazione locale nella proposizione delle politicheurbane. Quest’ultima ha solo la funzione residuale di ratificare o diincentivare le scelte private, nella speranza di elemosinare entrate fiscalisupplementari con cui tappare qualche buca stradale, sistemare qualchegiardino, provare a ripianare i bilanci comunali dissestati, alimentare ilsottogoverno locale. E i cittadini dovrebbero stare a guardare!
In questo senso Firenze, con le amministrazioni Domenici, Renzi e Nardella, fiancheggiate dalpresidente Rossi, è stata e continua ancora ad essere unmodello.
Gli inutilmente elefantiaci pianiurbanistici, illeggibili e privi di alcuna visione integrata, si sono succeduticonsegnandoci una città dal cui Centro Storico, ognianno, circa mille fiorentini scappano in cerca di altri luoghi,forse più accoglienti e vivibili. La pressione di nove milioni di presenzeturistiche nell’ultimo anno, circa 25 mila ogni giorno, scoraggia qualsiasiespressione di attaccamento alla città di Firenze. Se a questa sommiamol’inconsistenza delle politiche pubbliche, il gioco è fatto. Non un progettodegno di questo nome, di respiro internazionale, è riuscito a rianimarel’esangue spirito dei fiorentini.
Provincialismo, subordinazione eaccentramento del sottogoverno sonola cifra preponderante delle varie amministrazioni di centro sinistra che ormaida tanti anni ci governano.
Le questioni che oggi emergono sono quellerelative ad una incontrollata crescita interna della città nellearee che hanno cambiato le funzioni o sono state abbandonate a se stesse,originando pericolosi fenomeni di degrado sia fisico che sociale. Si tratta dipalazzi storici, fabbriche dismesse o ampie zone della città in cui l’azione digoverno del territorio si è di fatto ritirata favorendo da un lato la svenditadel patrimonio immobiliare pubblico e dall’altro la gentrificazione di intere aree urbane, o addirittura disingoli isolati, strade o piazze.
La gentrificazione, ossia la produzione di spazio urbano per utenti sempre più abbienti attraversola sostituzione/espulsione dei residenti storici e delle attività commerciali aquesti legate, sta diventando un fenomeno preoccupante perché crea conflittitra i residenti e gli utenti dell’area, conflitti che il più delle voltegiocano a favore solo della “valorizzazione speculativa”dell’area stessa o della strada.Solitamente si tratta di enclaves a prevalente tessuto popolare o con unacospicua presenza di immigrati in cui si manifesta un certo disagio sociale,una rarefazione delle relazioni sociali, un ritrarsi dei residenti entro lesicure mura domestiche. Lo spazio pubblico a volte viene colonizzato da unamicrocriminalità urbana, spaccio degli stupefacenti compreso, che indubbiamente deve essere neutralizzata, ma da nonidentificare tout court con la presenzadegli immigrati.

Questa sarebbe una grave espressione di xenofobia e di miopia, amplificata a dovere dalla stampa locale, che in alcunicasi non è del tutto disinteressata. Tutto ciò crea un conflitto tra poveri,tra coloro che subiscono la gentrificazione e che al termine della “valorizzazione” saranno tutti costretti a trasferirsi osaranno brutalmente espulsi.
In molti casi si moltiplicano le richiestedi decoro contro il degrado, si moltiplicano le ordinanze sulla sicurezzaurbana che delineano invece una visione di governo preoccupata più dell’immagine che di risolvere problemi veri e complessi, come l’eccesso di turisti, la movida giovanile e l’ambulantato abusivomediante politiche di integrazione ai varilivelli, urbanistico, sociale, delle politiche giovanili e culturali.
Sappiamo quali sono a Firenze le aree a rischio gentrificazione, dalpopolare quartiere dell’Oltrarno all’area di San Salvi, dalla ManifatturaTabacchi a Via Palazzuolo, Piazza Brunelleschi, Via Panicale e Sant’Orsola, ExPanificio Militare, la zona di Novoli-Via Forlanini, e tante altre.
Insomma tantissimi complessiarchitettonici e aree per le quali la gentrificazione si presenta come l’unicapolitica urbana e sociale, visto che le amministrazioni sanno solo svendere il nostro patrimonio a favore di alberghi di lusso, di ambigui ostelli e case di riposo dilusso, come se il lusso fosse garanzia di qualificazione del tessuto urbano.
NO, questo è il vero degrado della vitacittadina, la saturazione turistico ricettiva delCentro Storico e della stessa città in nome di profittiimmobiliari e commerciali ottenuti sulla pelle degli abitanti, vecchi e nuovi.
Aumentano gli affitti degli immobili,aumenta il costo delle abitazioni, aumenta il numero degli sfratti, aumenta ilnumero dei senza tetto e delle famiglie espulse: questa è la spirale involutivadella gentrificazione che le amministrazioni e i residenti meno attenti nonvogliono vedere. Anzi!
In via Tornabuoni alcuni locali sonoaffittati a 840 mila euro l’anno, cifrepazzesche che fanno il vuoto intorno. Non a caso Tiziano Terzani amavaricordare: «Sono così pazzo che per protestare contro il degrado di Firenze edella mia amata via Tornabuoni, dove una delle più belle librerie di Firenze,la Seeber, è stata sostituita da un negozio che vende mutande firmate, ognivolta che ci passo davanti apro la porta e urlo dentro: Vergogna!».Ormai Terzani non c’è più, ma ci siamo ancora tutti noi a ricordare quanto staaccadendo.
Le ondate di gentrificazione hanno deicosti elevati anche sulle aree contermini, su cui si scaricano lecontraddizioni di quanto accade a Firenze, nella patinata luxury town rinascimentale! Neicomuni della corona circolare aumenta il consumo di suolo per le nuoveresidenze, aumenta la pendolarità e quindi la congestione del territoriocircostante, come nel caso della Piana Fiorentina, in cui, non a caso, sonostati rilevati i più alti tassi di inquinamento atmosferico d’Europa.
Nonostante ciò, la concitata vogliafiorentina del “fare” (danni!) regalerà a questosistema territoriale anche un aeroporto intercontinentale e un mega inceneritore,tanto per non farsi mancare nulla, mentre ancora non si sa come andrà a finirela questione della TAV.
A questo punto è l’intera areametropolitana ad essere coinvolta dalle varie ondate gentrificatorie. A partireda una pianificazione labile, “on demand” da partedella speculazione immobiliare, sono giustificati interventi slegati tra loro.Questi potenziano la rendita fondiaria non solo dellearee centrali del sistema territoriale, ma anche di alcune fasce periferiche econtermini su cui si abbattono le richieste indotte dal marketing territorialedell’area centrale. La pesante infrastrutturazione della Piana in questo sensoè funzionale perché dovrebbe provvedere, portando da 2 a 4 milioni i passeggeridel nuovo aeroporto, a fornire ulteriori utenti a questa catena di montaggio internazionale della gentrificazione diFirenze!
Un cambio di prospettiva si rende semprepiù necessario: l’estensione della sfera pubblica, istituzionale oautorganizzata, nella vita della città deve poter garantire le fasce più deboli della popolazione, immigraticompresi. Difesa degli affittuari, rigenerazioni urbane chepongano al centro l’offerta di edilizia residenziale pubblica e non glialberghi di lusso, pianificazione delle attività commerciali tale da favorirequelle di vicinato, previsione di forme intelligenti di autorecupero degli immobili,anche di quelli più significativi.
Insomma è necessaria una azione politica coraggiosa, aperta alle sperimentazioni, direspiro europeo, realmente democratica e profondamente equa cheperò queste asfittiche amministrazioni di centro sinistra non sono in grado digarantire.

Un patto per Firenze, stipulato non si sa bene con chi, ma che, presto, ci dicono i giornali, sarà svelato da Matteo Renzi. D’altronde al premier ... (segue)

Un patto per Firenze, stipulato non si sa bene con chi, ma che, presto, ci dicono i giornali, sarà svelato da Matteo Renzi. D’altronde al premier stanno particolarmente a cuore i destini della città: sempre più spesso interferisce, rassicura, promette. Ha bocciato il sottoattraversamento di Firenze e promosso una nuova linea della tramvia sotto il centro storico con un blitz di fine marzo e la convocazione di una mini-giunta segreta; interessato in prima persona al progetto del nuovo aeroporto fiorentino, tramite il Ministro Galletti ha tranquillizzato a luglio l’amico Carrai - Presidente di Toscana Aeroporti - sull’approvazione entro quindici giorni della Valutazione di impatto ambientale; a settembre, alla Festa dell’Unità, ha di nuovo annunciato l’imminente via libera da parte del Ministero dell’Ambiente.

«Ma ancora niente», si legge sulla pagina fiorentina di Repubblica. E l’articolista aggiunge che, purtroppo, la legge prescrive che la Valutazione di impatto ambientale si faccia su progetti definitivi e non su dei Master Plan, come quello presentato da Toscana Aeroporti, secondo una prassi consolidata. «Solo che in Italia la prassi non è stata mai tradotta in legge, anche se è sempre andata bene (sic), come a Roma e Venezia». Ma non a Firenze, si lamenta la giornalista, «stante la rissosità fiorentina sull’argomento».

Tuttavia lo stesso articolo ci rassicura sul nuovo Patto per Firenze (lo scriviamo doverosamente con la P maiuscola): «Ma è il patto il pallino del premier: “Col Comune facciamo l'elenco delle cose che si fanno e quelle che non si fanno, chi paga e chi non paga. E nel giro di qualche settimana firmiamo un impegno solenne davanti ai fiorentini e a tutte le realtà della città con tempi, interventi, impegni: aeroporto, alta velocità, piste ciclabili, Uffizi, interventi infrastrutturali sui contenitori dello Stato”. … “È un bel momento per Firenze, c'è turismo di qualità, io girando il mondo vedo tanta gente pronta a investire. Il presidente cinese mi ha detto che verrà qui...” …“ facciamo il patto per Firenze e a quel punto non c'è più da chiacchierare c'è da fare”». (Repubblica Firenze, 18 sett.).

I fiorentini e le “altre realtà della città” sono rassicurati. Tra qualche settimana sarà dato loro conoscere cosa è stato deciso nel Patto. Per ora sappiamo che saranno a disposizione 300 milioni (tra vecchi e nuovi stanziamenti); non ne conosciamo la distribuzione, tra aeroporto, alta velocità, interventi sui contenitori, ecc.; siamo quasi certi che non andranno alla cosiddetta “pensilina Isozaki”, progettata per una nuova entrata negli Uffizi, che a Renzi “non è mai particolarmente piaciuta” (Repubblica Firenze 18 sett.). Sicuramente, la fetta più consistente andrà all’aeroporto, nonostante che l’Unione Europea ne escluda la possibilità di finanziamento pubblico. Ma tant’è: se si ignorano le leggi italiane, perché si dovrebbero osservare le disposizioni dell’Unione Europea?

Nel frattempo prosegue la mercificazione della città, di cui sono in vendita non solo edifici e complessi storici, con variante urbanistica incorporata, ma gli stessi usi dello spazio pubblico: prima il Ponte Vecchio affittato alla Ferrari, poi piazze e strade privatizzate per matrimoni di figlie e figli di magnati indiani ed eventi di “guru della moda”; l’ultima perla è la concessione del cortile di Palazzo Pitti per un addio del celibato (perché non con spogliarelliste? commenta Tomaso Montanari). Vi è un filo che unisce le interferenze dell’ex Sindaco, con le improvvide e volgari iniziative di quello attuale. L’idea che i destini di una città siano doverosamente eterodiretti, senza che i cittadini abbiano voce in capitolo.

“Patto”: «convenzione, accordo fra due persone o fra due parti» (dal vocabolario Treccani). Ma non si intende tra Renzi e Nardella, dovrebbe essere tra Sindaco e cittadini. E perché, poi, l’amministrazione delle nostre città deve essere affidate non a progetti lungimiranti, ma a improvvisazioni pattizie, con fondi graziosamente elargiti dal monarca? In attesa dell’arrivo di Xi Jinping, cui come minimo dovrebbe essere offerto in comodato Palazzo Vecchio.

«Una proposta per scongiurare un progetto di saccheggio di un’area demaniale destinata dall’antichità a servizio pubblico, perpetrato dalla banalità di un’ottusa privatizzazione che traduce una lottizzazione speculativa in “domanda di città.”»La città invisibile online, 19 settembre 2016 (c.m.c.)


Nel dare l’annuncio della vendita dell’area delle ex Officine ferroviarie di Porta al Prato pare che gli assessori Lorenzo Perra (urbanistica) e Stefano Giorgetti (mobilità) abbiano fornito alla stampa cifre vaghe e così approssimative da fornire al potenziale lettore una immagine alterata, quindi molto positiva per il Comune, degli incassi e delle circostanze collegate alla vendita. Si veda ad esempio l’articolo pubblicato lo scorso 9 settembre da Repubblica Firenze scevro di qualsiasi azione di fact checking. Giustamente l’assessore Perra, leggo, si “frega le mani”…

Analizzando invece i dati reali e compiendo quel minimo di opera di verifica delle fonti a cui il giornalismo dovrebbe attenersi ritengo che questa vendita sia l’epilogo di una pessima trattativa iniziata nel 2008 nell’ambito di una concezione gretta e disastrosa dell’amministrazione della cosa pubblica, e in particolare dello spazio e dell’urbanistica cittadina.

Vengo ai numeri vantati nell’articolo. Si dice che il Comune incasserà 14 milioni di euro extra oneri da destinare alla sistemazione di strade e piazze. Buche ovviamente comprese. Ma non si dice da quale cilindro saltino fuori questi extra. Il Comune aveva versato quei soldi alle Ferrovie con I.V.A. pari a 3,5 milioni per un totale di 17,5 milioni per l’acquisto dell’area su cui è stato costruito il teatro dell’Opera.

Denaro che non sarebbe stato versato se il comune avesse approvato il Regolamento Urbanistico con la previsione dei volumi (superfici) richiesti e usati come merce di scambio, entro il 31 dicembre 2014. Poiché lo strumento Urbanistico è stato approvato (54.000 mq. pari a 18.000 mc.) con un ritardo di tre mesi, le Ferrovie hanno concesso la restituzione dei 14 milioni concordati lasciando però da pagare al Comune gli oneri fiscali di 3,5 milioni. Non ho l’indice per calcolare quante buche resteranno lì sulle strade: certamente moltissime.

Ma i solerti Amministratori pensano di poter contare sugli oneri urbanistici ed edilizi stimati, vista l’appetibilità dell’area, in circa 16 milioni. Senza dire che a carico del Comune, per sopportare un carico urbanistico di questa misura e per il prestigio richiesto dal target del lusso, occorre realizzare una strada a quattro corsie per collegare rapidamente questo zoo di facoltosi all’aeroporto, strada che invaderà il greto del Fosso Macinante, già ramo settentrionale dell’Arno che costeggia le Cascine, per questo dette un tempo “dell’Isolo.”

Possiamo essere sicuri che questa strada che vorremmo scongiurare ad ogni costo, con il suo svincolo quadrifoglio al Barco, oltre a distruggere ogni possibilità di contatto tra il quartiere di via Baracca e il Parco, oltre all’inquinamento acustico dei due fronti, alla distruzione della “Botte” del Barco, costerà più del ricavato degli oneri sperati. Ecco tutto quello che non si dice. Oggi i 5 ha. delle ex OGR ferroviarie vengono messi all’asta per 28 milioni. Al Comune ne basterebbero dunque 14 per averne la disponibilità, con una semplice sistemazione patrimoniale; e con l’aiuto di una recuperata Cassa Depositi e Prestiti.

Proviamo a pensare perché ne varrebbe la pena e cosa potrebbe diventare lo spazio delle ex OGR di Porta al Prato liberandolo di alcuni capannoni senza valore documentario, trasformandone altri in logge per accogliere quelle funzioni che ingombrano il Parco delle Cascine, quali il mercato settimanale, il luna park, il circo; dotandolo di un’arena grande e una piccola per l’estate fiorentina e altre manifestazioni occasionali. Ma anche per quegli spettacoli che invasivamente e con attrezzature incongrue occupano sovente le piazze basilicali del Centro Antico o il piazzale Michelangelo.

Quel disordine che anche l’ultimo festival dell’Unità ha mostrato nell’ex bel parterre di piazzale del Re, si tradurrebbe in una sistemazione congrua e redditizia per il Comune. Si potrebbero adibire i due capannoni soggetti a vincolo monumentale alla ricerca applicata, al coworking e alle arti performative come estensione e completamento di ciò che è già nel teatro dell’Opera e in parte nella ex stazione Leopolda.

Mantenendo il sentiero erboso lungo il canale Macinante, fino al Barco e l’Indiano si collegherebbe il viale del Poggi ai laghetti dei Renai di Signa in una dimensione davvero metropolitana. Si può immaginare come questo diverso scenario rechi un indispensabile alleggerimento del Parco delle Cascine, sempre più necessario e frequentato come parco naturalistico, di cui l’area delle ex Officine dovrebbe costituire un’intelligente complemento. Sarebbe un grande investimento pubblico, anche economico, in una città che ha visto scomparire molti degli spazi pubblici ottocenteschi: dal giardino dell’Alhambra ai parterre dei Viali.

Gli effetti positivi, accentuati dall’interconnessione tranviaria della linea 4 e della linea 5, coinvolgerebbero la Manifattura Tabacchi e il suo sistema di appartenenza territoriale. Come dire l’asse “centrale” della periferia ovest. Qui nel riuso degli edifici dismessi, gli oneri di urbanizzazione sarebbero assai più giustificati e consistenti. Sarebbe scongiurato questo progetto di saccheggio di un’area demaniale destinata dall’antichità a servizio pubblico, prima idraulico poi anche ferroviario, perpetrato dalla banalità di un’ottusa privatizzazione con la scheda del Regolamento Urbanistico che traduce, con palese inganno, una lottizzazione speculativa in “domanda di città.”

«Una bellissima esperienza di comunità, di condivisione fra tante storie e idee diverse, unite dall’obiettivo di non rassegnarsi e di riappropriarsi di un territorio e di una cittadinanza che non si rassegnerà mai al “tanto lo fanno lo stesso”». La città invisibile, 14 luglio 2016

L’acronimo che abbiamo scelto – LUCI (Lavoratori Uniti Contro Inceneritore) nella Piana – può forse strappare un sorriso, ma da sorridere c’è ben poco nel lavorare all’Osmannoro, tra Firenze e Prato, in una delle zone più inquinate della Toscana. La Terra dei Fuochi di casa nostra.

E’ cosa nota a tutti, ma è meglio non parlarne. Un fatto tacitamente accettato nella rassegnazione che caratterizza ormai troppo spesso il nostro status di cittadini. Avere un lavoro di questi tempi sembra un privilegio, figuriamoci se possiamo pretendere anche di lavorare in luoghi sani. Del resto le normative sulla sicurezza e la salute all’interno delle aziende sono ormai tali da richiedere lauree e specializzazioni pluriennali. Quindi di cosa preoccuparsi?

Poi una sera hai fretta e ti fermi a cena all’Osmannoro appena uscito dall’ufficio o dalla fabbrica, e siccome è estate decidi di stare all’aperto, sottovalutando il fatto di essere sulla traiettoria di atterraggio dei voli in arrivo al Vespucci e ti ritrovi – letteralmente – la pasta condita al cherosene e la pelle bagnata di goccioline oleose e puzzolenti rilasciate dall’ultimo aereo in arrivo da Parigi o da Londra. Sconcertato ti chiedi allora quanto altro carburante hai ricevuto in dono sulla pelle e nei polmoni, senza saperlo, tutte le volte che hai sospeso una conversazione perché il rombo degli aerei ti assordava.

Ti chiedi anche come sia possibile che esista un aeroporto internazionale nel centro industriale più popolato della provincia, e alla fine ti domandi con quale dissennata decisione si possa pensare di raddoppiarlo. E si sa, una volta che le domande iniziano è difficile fermarle, una tira l’altra.

Ti domandi allora che fine farà, con l’ampliamento dell’aeroporto, il tanto rimandato Parco della Piana, soprattutto se dentro ci mettiamo anche un enorme inceneritore che come previsto, potrà, ma soprattutto dovrà – per andare a regime e dare profitti a chi ci ha investito – accogliere e bruciare rifiuti da tutto il territorio nazionale. E anche se lo chiamano con grande ipocrisia “termovalorizzatore” la domanda resta esattamente la stessa.

La volta che hai provato anche tu ad essere green e ad arrivare in bici (come mai le ciclabili di Osmannoro inizino e finiscano nel nulla, te lo eri già chiesto diverse volte e hai supposto che forse son state fatte solo per ottenere fondi europei e non per una mobilità veramente sostenibile), quasi non sei riuscito a respirare e gli occhi ti hanno lacrimato per tutta la giornata. E vabbè, tanto adesso fanno la tranvia, ti sei detto, dando per scontato che collegherà i paesi limitrofi con il centro di Firenze, come sarebbe ovvio per ridurre il traffico. Invece no. Apprendi incredulo che la tranvia si fermerà all’aeroporto e che nel frattempo costruiranno una terza corsia dell’Autostrada A11.

E allora le domande sono troppe e inquietanti. E le risposte del “Sistema” non ti rassicurano per niente, perché, ad esempio, ti viene il dubbio che non ti abbiamo mai detto il vero prezzo che gli abitanti di Copenaghen pagano in salute per il tanto magnificato termovalorizzatore nel centro della città con pista per sciare, tralasciando che a te sembra comunque più divertente farlo sulla neve vera dell’Abetone.

Non è mai troppo tardi per farsi domande ed iniziare a dubitare. Lo diceva anche Oscar Wilde, ti sembra di ricordare, che dubitare è profondamente appassionante.

Capisci allora con sgomento la malafede di chi avrebbe dovuto tutelare la salute dei cittadini e si è invece dimenticato delle migliaia di lavoratori che vivranno sotto la ciminiera di un termovalorizzatore enorme, a due passi da un aeroporto internazionale, fra un’autostrada e vie di collegamento trafficatissime, il tutto ben condito da quanto emesso in termini di inquinamento da una zona produttiva e commerciale probabilmente non ancora totalmente bonificata nemmeno dall’amianto. Con il Parco della Piana che è rimasto solo sulla carta.

Chiedi alle Organizzazioni Sindacali di informarti, di prendere una qualche posizione, di schierarsi dalla tua parte e bene che ti vada trovi indifferenza, paura di andare contro, quando hai la fortuna di non subire un vero e proprio boicottaggio.

Chiedi anche al tuo datore di lavoro, ma ti risponde che pochi altri hanno sollevato il problema, che comunque le amministrazioni locali hanno fatto le dovute verifiche (ma se i lavoratori non sono stati censiti nella Valutazione di Impatto Ambientale né nei piani di monitoraggio delle ASL forse le hanno fatte a Vallombrosa, non all’Osmannoro? Altra domanda che ti toglie il sonno), e che comunque per quanto riguarda la tua fabbrica o il tuo ufficio tutto è in regola, comprese le prese elettriche, quindi devi lavorare tranquillo, semmai chiudi le finestre.

E allora ti decidi a partecipare (anche se il dopo cena ti ha fatto parecchia fatica, va detto) a qualche assemblea informativa organizzata da cittadini come te, e finalmente ascolti medici che non hanno dimenticato Ippocrate, persone che hanno portato avanti con successo in altre comunità strategie alternative di sviluppo industriale e di gestione dei rifiuti, i quali ti spiegano con dati scientifici ed esempi concreti che l’inceneritore, se non si sa quanto male faccia alla tua salute, è di certo sicuro e provato che non fa per niente bene, ma soprattutto che non è l’unica alternativa alla discarica, perché i cassonetti (non ci avevi mai pensato) sono vere e proprie miniere urbane di materia prima e una sinergia virtuosa fra il mondo della produzione e la tutela dell’ambiente crea ancora più sviluppo e nuovi posti di lavoro.

Rincuorato, ma anche con tanta rabbia, capisci che la politica deve e può ancora essere il bene di una comunità, e che solo l’incompetenza e gli interessi privati non riescono a varare strategie innovative per un progresso che possa veramente chiamarsi tale, spacciandoti invece come unico possibile un modello ormai superato, ancora utile solo a chi lucra sulla salute tua e delle prossime generazioni, oltre che a scapito dell’ambiente che (forse talvolta ti era sfuggito?) non è sostituibile come fosse il cellulare dell’anno prima.

Capisci soprattutto che la palla passa a te. Così è nato LUCI nella Piana.
In pochi mesi siamo cresciuti informando e aggregando centinaia di lavoratori.

E’ stata e continua ad essere innanzitutto una bellissima esperienza di comunità, di condivisione fra tante storie e idee diverse, unite dall’obiettivo di non rassegnarsi e di riappropriarsi di un territorio e di una cittadinanza che non si rassegnerà mai al “tanto lo fanno lo stesso”.

Se lo fanno o non lo fanno, l’inceneritore, l’aeroporto, o qualsiasi altro progetto nocivo e assurdo, dipende innanzitutto e soprattutto da tutti noi. Ecco perché, forse sorridendo noi stessi, ci siamo chiamati LUCI nella Piana. Ma stavolta è un sorriso di speranza.

Individuazione di criticità da superare per evitare il degrado di una delle città più rappresentative dell'Italia e tutelata ancora dall'Unesco. La città invisibile, newsletter #45, 6 luglio 2016

Arriveranno a Firenze gli ispettori dell’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella promozione della pace e della comprensione tra i popoli attraverso l’istruzione, la scienza e la cultura. Non si sa quando, ma arriveranno. Firenze è uno dei nodi più importanti al mondo in questa strategia, considerate la cultura che ha saputo esprimere e la sua capacità, nel passato, di aggregare intelligenze e pratiche straordinariamente innovative in tanti settori. Sono ben due infatti i “nostri” siti Unesco: il Centro storico, unico al mondo, e le meravigliose Ville e Giardini medicei che costellano Firenze.

L’ispezione avrà l’obiettivo di comprendere, visto il degrado in cui è precipitata la città a causa di politiche troppo spesso inadeguate e soprattutto dannose, se Firenze è ancora all’altezza dell’importante doppio riconoscimento.

Con questi punti vorremmo quindi definire meglio alcune delle criticità che mettono a rischio il premio dell’Onu; ne sono responsabili le amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni, ma non solo, sono altri e più pressanti i poteri che pregiudicano il futuro della nostra città.

Criticità che possono rappresentare naturalmente anche una traccia per il lavoro degli stessi ispettori. Che sono tenuti a pretendere, dai decisori e responsabili politici, l’eccellenza di quei siti che hanno il compito di tutelare.

Ecco i 12 punti più critici:

1) L’alienazione del patrimonio edilizio storico monumentale pubblico/privato: alle vendite viene garantito il cambio di destinazione per usi alberghieri o residenze di lusso e si garantisce la realizzazione di garages sotterranei, situati nella falda freatica.

2) L’escavazione di 21 parcheggi sotterranei in area urbana, di cui ben 6 in zona Unesco, tra cui il parcheggio sotterraneo di Piazza Brunelleschi. L’ulteriore escavazione di parcheggi sotterranei nell’area di Via Tornabuoni, in particolare sotto il giardino di Palazzo Antinori, a ridosso della Prima e della Seconda cinta muraria di Firenze.

3) La realizzazione del nuovo aeroporto intercontinentale di Peretola, con la buffer zone e traiettorie degli aerei sulla verticale di ambedue i siti Unesco: Centro storico e Ville Medicee. Previsto il raddoppio dei passeggeri in transito di circa 4,5 milioni/anno (vedi punto 6).

4) La realizzazione di una linea tramviaria nel sottosuolo del Centro storico, che metterebbe a rischio la stabilità degli edifici del Sito Unesco e l’integrità dei reperti archeologici sotterranei.

5) Gli scavi dei tunnel nell’area Fortezza da Basso/Santa Maria Novella: per l’Alta Velocità, sotto la Fortezza da Basso e Piazza della Libertà; per la nuova stazione ferroviaria AV, sotterranea e a ridosso del torrente Mugnone; per le varie gallerie veicolari utili al transito in superficie della tramvia.

6) L’insostenibilità acclarata della pressione del turismo sul Sito Unesco: oltre 9 milioni/anno le presenze, occasione di sviluppo di bassa qualità e causa di forte degrado strutturale e di allontanamento dei fiorentini dal Centro storico della loro città (vedi punto 10).

7) L’utilizzo improprio delle Piazze del centro storico in occasione di manifestazioni varie e mercatini con allestimento di strutture temporanee fortemente invasive, fuori scala rispetto all’equilibrio architettonico degli spazi, costruite con materiali incompatibili esteticamente con l’ambiente (in particolare Santa Croce e S.S. Annunziata) e penalizzanti per la vita degli ultimi residenti del Centro storico (vedi punto 10).

8) La privatizzazione degli spazi pubblici della città per organizzazione di eventi riservati: Ponte Vecchio, Forte Belvedere, Accademia ecc. e soprattutto Palazzo Vecchio che ospita un numero esorbitante di iniziative con ingresso ad invito per cene servite nel Salone dei Cinquecento o in altri ambienti del percorso museale per centinaia di persone con allestimenti incongrui alla rilevanza del bene culturale.

9) La perdita dei significati storici e identitari del Sito Unesco. Evidenti i fenomeni di gentrification urbana e trasformazione della città in una Disneyland del Rinascimento: sostituzione delle botteghe artigianali e del piccolo commercio di prossimità con catene commerciali internazionali che omologano il Centro storico a una qualunque altra città. Ristorazione selvaggia e finta locale.

10) La progressiva ed inesorabile espulsione delle famiglie residenti nel centro storico a favore di turisti mediante trasformazione degli immobili in residenze temporanee (spesso al nero) con conseguente desertificazione del tessuto urbano centrale per quanto riguarda i servizi rivolti ai cittadini in favore del commercio per i non residenti (vedi punto 9).

11) Lo storno di risorse economiche dal pubblico al privato che pregiudica la sicurezza del Centro storico: il caso più eclatante è quello della voragine di Lungarno Torrigiani, crollo dovuto alla mancata manutenzione dell’acquedotto. Gli utili netti di Publiacqua spa non sono state destinate alla manutenzione ma suddivise come dividendi degli azionisti.

12) La realizzazione di mostre in luoghi chiave del Centro storico in cui può esporre chi paga, senza nessuna Commissione di valutazione sul valore delle opere. Un modo semplice, per chi ha i denari (collezionista/produttore) per alterare le quotazioni del mercato dell’arte utilizzando uno scenario unico al mondo.

«L'allarme rosso fatto suonare dalla voragine su Lungarno Torreggiani dovrebbe condurre alla revisione di una politica infrastrutturale in sotterranea che mette palesemente a rischio un centro storico già ipersfruttato.» Il Tirreno, 26 maggio 2016 (m.p.g.)

Firenze crolla sul Lungarno, a pochi passi da Ponte Vecchio. Dicono che è tutta colpa di un grosso tubo dell'acquedotto: di ghisa e quindi vecchio, oppure di fabbricazione più recente? In ogni caso il risultato è impressionante. Ancor più impressionante però che appena due settimane fa un gruppo di intellettuali fiorentini - dall'architetto Giovanna Nicoletta Del Buono all'archeologa Lucia Lepore, allo storico Franco Cardini - abbiano sollecitato l'Unesco a inserire Firenze nell'elenco dei "siti in pericolo".

Del marzo del 2015 è un rapporto dettagliatissimo che costituisce un atto di accusa nei confronti delle ultime amministrazioni locali in specie della Giunta di Matteo Renzi. Responsabile a loro avviso di "opere infrastrutturali in atto e in progetto che interessavano tanto il sottosuolo che la superficie e snaturavano irreversibilmente interi quartieri": escavazione di 12 parcheggi sotterranei nel centro storico; metro-treno nel sottosuolo del cuore di Firenze (piazza Unità, Santa Croce, San Lorenzo,ecc.) e altre gallerie che sbarreranno la strada alle acque di falda e a torrenti dal corso poco conosciuto; infine lo stesso contestatissimo tunnel dell'Alta Velocità.

L'Unesco ha notificato al Comune di Firenze questi rischi. Risposta della Giunta Nardella: un Regolamento per la Tutela e il Decoro del Patrimonio Culturale del Centro Storico che però non si occupa di questioni strutturali bensì dei limiti (sempre benvenuti per carità) agli esercizi pubblici, alla mescita di bevande alcoliche, ecc. Nulla per la mappa dei rischi in una "città d'arte di una estrema fragilità. La sua fragilità è enorme perché interventi e manomissioni possono alterare straordinari e delicati equilibri". Come esordisce la relazione all'ultimo piano urbanistico.

Inascoltata evidentemente. I geologi sottolineano "l'incoerenza fisico-meccanica del sottosuolo fiorentino e la grande importanza del principale acquifero che si trova a 3-4-5 metri dal piano di campagna per quello che riguarda la stabilità delle fondazioni di tutti gli edifici di Firenze, ma anche dei grandi monumenti come la Cattedrale". Il vistoso crollo di ieri sul Lungarno più centrale è dunque soltanto un episodio - per fortuna senza vittime - che però denuncia una patologia idro-geologica ben più profonda ed estesa. Continuare a bucare, a scavare un sottosuolo complesso come quello fiorentino, in un luogo abitato da millenni, può creare ben altri guasti.

La politica delle ultime Giunte ha puntato molto sulla vendita a privati di grandi complessi storici - palazzi importanti ed ex conventi demaniali come Santa Maria degli Angeli comprendente la Rotonda brunelleschiana - trasformati in alberghi o residenze di lusso e per questo dotati di garage e parcheggi pertinenziali. Tutto il contrario della politica urbanistica più avanzata che tende a riportare residenti di ogni ceto sociale, coppie giovani, artigiani, offrendo a fitti economici alloggi e botteghe e pedonalizzando intere zone. Mentre vengono creati all'esterno parcheggi di scambio con le ferrovie locali e con le metropolitane di superficie. Secondo il Piano Vittorini adottato negli anni '90, la stessa Alta Velocità doveva passare da Firenze in superficie con Stazione a Campo di Marte (già ora utilizzata da talune Frecce), senza cioè toccare il centro storico.

Insomma l'allarme rosso fatto suonare dalla voragine su Lungarno Torreggiani dovrebbe condurre alla revisione di una politica infrastrutturale in sotterranea che mette palesemente a rischio un centro storico già ipersfruttato. Revisione basata su una indagine accuratissima del sottosuolo e delle acque che vi corrono. Quelle del "paleo-Mugnone" che ancora potenzia la falda nella città antica, o le "antiche falde del San Gervaso e di tutto il versante di Settignano (...) che continuano a dirigersi secondo le millenarie direzioni verso il centro". Senza contare che Firenze non ha tuttora fognature per le acque "nere". Ci vogliamo pensare seriamente?

Introduzione a un libro che documenta e commenta le iniziative di resistenza nella città del Giglio alla politica neoliberista,di cui l'ex sindaco (e attuale Re d'Italia) è autorevole esponente 1

Ilaria Agostini, Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014" Aión edizioni

UN'ALTRA IDEA DI CITTA'
Introduzione di Ilaria Agostini

L’urbanistica neoliberista provoca resistenza popolare. Alla rappresentazione ufficiale delle politiche urbane si contrappone, in queste pagine, il racconto corale e antagonista di cittadine e cittadini, comitati ed esperti critici, uniti a Firenze nel “Gruppo Urbanistica” che ha fornito il sostegno tecnico alla lista di cittadinanza “perUnaltracittà”[1], per due legislature all’opposizione in Consiglio comunale.

Due legislature, dal 2004 al 2014: anni in cui, a livello planetario, si accresce per poi deflagrare, la “bolla” edilizia. Favorita, in Italia, dalla diminuzione dei trasferimenti statali ai comuni e dall’opera demolitoria di Franco Bassanini che, a cavallo del millennio, da una parte incrementava a dismisura il potere nelle mani dei sindaci, mentre dall’altra rendeva possibile riversare gli oneri di fabbricazione nella spesa ordinaria dei comuni. Lo scivolamento progressivo dal welfare state al real estate si traduce in una nuova fase di cementificazione, interpretata a livello nazionale come unica risposta alla penuria di cassa dai comuni sempre più poveri. In epoca di dismissione industriale conclamata, l’economia peninsulare si orienta francamente sul mattone. La città diventa un grosso affare economico, i valori immobiliari aumentano e sulla loro crescita si fonda il consenso politico.

Il «lucido disegno derogatorio» perseguito dagli anni Novanta[2], corrobora l’attività speculativa nell’edilizia. La contrattazione pubblico-privato nel decennio è prassi consolidata che immediatamente si trasforma in arbitrio e che sistematicamente – e legalmente – piega l’interesse comune a quello dei particolari. Il mestiere dell’urbanista, puntualizzava recentemente Edoardo Salzano, si trasforma in «facilitatore delle operazioni immobiliari». Dal canto loro, strette nella morsa del sistema finanziario, le imprese edili – che accedono al credito sulla base del capitale fisso (ossia del costruito) – costruiscono per poter continuare a costruire: è un circolo vizioso. Con un milione di nuovi alloggi invenduti[3], il consumo di suolo in Italia doppia generosamente la media europea. Lo scenario muta quando nel 2008, facendo seguito alla crisi dei mutui subprime, il mercato immobiliare crolla e i prezzi al metro quadro arrivati alle stelle, cadono in picchiata.

Firenze è per l’intero decennio il banco di prova per il grande cantiere politico nazionale. Nel 2004, alla Provincia è eletto presidente in quota democristiana (Margherita) Matteo Renzi, ignoto trentenne, che diventerà sindaco nel giugno 2009 raccogliendo il testimone da Leonardo Domenici (Ds-Pd) ma cedendolo per occupare Palazzo Chigi, pochi mesi prima della naturale scadenza. Nella città toscana sono messe in atto le politiche che dal febbraio 2014, in qualità di presidente del Consiglio dei ministri, il “sindaco d’Italia” estenderà dalla scala urbana all’intero paese[4]: concentrazione del potere e svilimento del ruolo degli organi collegiali, velocità decisionale e forzatura delle norme, propaganda in luogo della pianificazione, obliterazione del dato sociale in nome del nuovo, del brand e dello smart. E apologia della tabula rasa.

La città iniqua

Nel decennio, la pianificazione urbanistica rinuncia ai suoi compiti statutari ed è diffusamente percepita come anacronistica limitazione al finanzcapitalismo fondato sul «mattone di carta». Le politiche urbane si allineano al paradigma neoliberista che vuole l’1% arricchito a spese del restante 99%. Sintetizzato da Joseph Stiglitz nel 2011 nella formula fatta propria dal movimento di Occupy Wall Street («We are the 99%»), il paradigma produce “centri” ­– cittadelle del potere, fortificate e interconnesse da comunicazioni ad alta velocità – e “periferie” sempre più estese e distanti dai luoghi della politica[5], nelle quali i cittadini, lo registra in queste pagine Maurizio De Zordo, sono espropriati del naturale «diritto alla città»[6].

Non solo. L’urbanistica si rende “mezzo politico” capace di trasformare i quartieri in territorio di conquista da parte di quel segmento finanziario che non intrattiene «alcun legame con i luoghi in cui la ricchezza si produce»[7]. L’urbanistica diventa «qualcosa che può essere quotato in borsa, giocato con la stessa logica dei “derivati” su proiezioni del futuro»[8]. Si fa tossica. Alligna tra la debolezza dell’amministrazione e la miopia della speculazione finanziaria. Acceca i politici cui offre scenari a prospettiva raccorciata. In questa temperie si generano i disastri dei fallimenti comunali che alcuni critici denunciano da tempo[9].

Così, le «città infelici del neoliberismo» diventano sempre più estese e più ingiuste. All’aumento della superficie urbana segue infatti l’incremento delle spese – a tempo indeterminato – per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture di servizio e per i trasporti. Più la città cresce, più si indebita facendo ricorso agli strumenti finanziari che deliberatamente rompono il patto sociale su cui si fonda la vita civile (i debiti a lunga scadenza intaccano peraltro anche il patto generazionale). I bilanci comunali vacillano. Il rientro dal debito – nel segno dell’“austerità” – crea nuove sofferenze urbane nelle «periferie dolenti». A Firenze la polarizzazione delle risorse economiche nell’1% dello spazio urbano, tirato a lucido e usato come mero strumento di accumulazione e finanziarizzazione, ha valenza didascalica: a dispetto della propaganda renziana basata sulla necessità di un ribaltamento del vecchio sistema economico-politico che erodeva risorse a danno dei “giovani”, il «restyling» di via Tornabuoni fortemente voluto dallo stesso Renzi, è stato finanziato con un mutuo a lungo termine. Proprio il contrario di quanto sbandierato nei salotti televisivi.

«Tutto quello che vedi è in vendita», ricordava uno striscione sulla ringhiera del piazzale Michelangelo da cui si offre la vista di una città ridotta a puro valore di scambio. La mercificazione si attua prioritariamente attraverso la svendita del patrimonio edilizio pubblico e l’abdicazione al controllo della trasformazione di quello privato. La cittadinanza viene espropriata del fondativo diritto alla proprietà collettiva, osso della società civile e speranza per la sua rifondazione come avverte da anni Paolo Maddalena[10].

L’alienazione degli edifici pubblici rientra tra i principali elementi di pauperizzazione delle città italiane. Nel solo centro storico fiorentino sono centinaia di migliaia i metri quadri in vendita e in trasformazione, spesso in edifici di valore monumentale dei quali è negata la disponibilità sociale, come illustra Daniele Vannetiello nel saggio dedicato alla Firenze intramuros. La loro vendita vede tra i maggiori acquirenti una compiacente Cassa depositi e prestiti Spa (su cui ritorna Berdini nel capitolo che segue) e nel post-Renzi assume i toni grotteschi del “Florence, city of the opportunities” (sic): operazione propagandistica che vede il neosindaco Nardella vestire l’abito dell’agente immobiliare per promuovere edifici pubblici (ma anche privati) presso le fiere internazionali del real estate. È la parodia della politica urbana, che si sovrappone al mercato immobiliare, e con esso coincide.

I servizi alla cittadinanza, mercificati e privatizzati, drenano enormi ricchezze pubbliche. Rappresentano un non secondario aspetto della città iniqua: forniscono servizi peggiori ai cittadini più “periferici”, mentre costituiscono uno dei favoriti finanziamenti occulti della politica. La privatizzazione dell’Ataf, il servizio comunale di autotrasporti pubblici fiorentini, ha avuto forti ripercussioni sulla qualità della vita cittadina. Ma il presidente della società, privatizzata nel 2012, è ora amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato. Mobilità sociale.

Sulla mobilità veicolare si concentra in effetti il progetto “pubblico” della città, più futurista che moderno. Sottolineava Enzo Scandurra, in un recente dialogo, che l’urbanistica fiorentina si riduce ormai a due soli elementi: l’aeroporto e il sottoattraversamento Tav. Il nuovo aeroporto, fortemente voluto da Renzi presidente del Consiglio[11], adombra per mole di affari il grande nodo irrisolto della lottizzazione di Castello, come spiega nel suo saggio Antonio Fiorentino. Della resistenza civile e dei controprogetti “dal basso” al passaggio sotto Firenze del treno ad alta velocità parlano in questo libro Tiziano Cardosi e Alberto Ziparo, dando testimonianza, l’uno, del lavoro di costruzione corale del sapere critico nel comitato No Tunnel Tav, e l’altro, dell’impegno di un docente di urbanistica organico al movimento.

La città desacralizzata

A Firenze – palcoscenico del “nuovo” nazionale – è fatto abuso dei concetti di città creative e smart, invenzioni strumentali all’urbanistica «ossessionata dal marketing». Le une, le creative cities, ridicolizzano l’autorappresentazione urbana tramite un “brand”, creato espressamente per la competizione globale tra città che aspirano a collocarsi in classifiche di attrattività internazionale (per sedi di expó, olimpiadi o capitali della cultura, e per gli agognati “investimenti stranieri”). In esse, eventi e grattacieli sono icone che uccidono i simboli autocostruiti. Ognuna singolarmente, ognuna alienata dal contesto, le nuove icone sono messe in campo per mascherare l’obliterazione del dato sociale nelle politiche urbane. La civitas è sostituita con un simulacro vendibile: in questa logica, nel 2012, l’affitto del Ponte vecchio ad un sodale politico del sindaco, prima dell’arrampicata a palazzo Chigi, passa come atto di normale amministrazione.

Dal canto loro, invece, le smart cities – città furbette più che intelligenti, stigmatizzava Franco Farinelli[12] – incarnano il sogno delle città informatizzate: i problemi del traffico, della “sicurezza” o quelli ambientali, ognuno a sé stante, sono rimandati agli esperti di settore. Urbanisti e piani possono essere buttati al macero. In fondo, lo si è già detto, gestire la città secondo i principi neoliberisti, comporta la «de-significazione» del piano urbanistico. Nel caso fiorentino, il Piano strutturale (2011) e il Regolamento urbanistico (adottato nel 2014) – ormai privi del significato di “progetto comune sullo spazio comune” – eludono la materia pianificatoria e, infarciti di proclami, rifuggono una “narrazione” che possa contribuire al disegno della città futura.

Gli strumenti approvati o concepiti nel decennio si inviluppano nella triade «mixité sociale-governance-sviluppo sostenibile»[13], valida per lenire tutti i mali della città globale, che a Firenze si declina: nel «mix di funzioni» (funzioni che tuttavia sarà il privato a determinare, come approfondiamo nel saggio dedicato ai Piani neoliberisti); nella partecipazione (risolta nella farsa dei «facilitatori del consenso»); negli ammiccamenti a una “natura in città” (lo studio delle relazioni profonde dell’ecosistema urbano è tuttavia accuratamente evitato). In contrapposizione alle “scelte” di piano del tutto avulse dal contesto ambientale e impermeabili ai suggerimenti morfologici offerti dai luoghi, Roberto Budini Gattai offre in queste pagine soluzioni convincenti e non prive di fascino. Mentre Giorgio Pizziolo costruisce l’ipotesi a scala territoriale della «città/paesaggio» nella quale le relazioni ecologiche – ambientali, soggettive, sociali – guidano il progetto futuro di una città come «luogo vivente».

Il «bacio mortale»[14] dell’Unesco – che dal 1982 ha inserito nel world heritage il centro storico di Firenze – completa il quadro della desacralizzazione urbana nel segno della monocultura economicista. Il turismo, inesauribile «cash machine», estrae beni territoriali e li reinveste nelle cittadelle della finanza mondiale. Il tessuto della città storica è sottoposto a una pressione insostenibile che, ancora una volta, produce risultati nel segno dell’iniquità. La città dell’1% si realizza prioritariamente sull’espulsione dei residenti. Il centro da offrire ai media come immagine del successo del sindaco e della riuscita della città nella “competizione globale” è stato – da tempo – sterilizzato: via residenti e luoghi di aggregazione, via le bancarelle e via anche le macchine (oggi l’espulsione si attua anche attraverso una pedonalizzazione cui non faccia seguito un buon servizio di trasporto pubblico). Nei quartieri storici limitrofi al “salotto buono”, il processo di imborghesimento – nella letteratura di settore, processo definito «gentrificazione» – è in atto, e si realizza nella formula che fa coincidere il rinnovamento dei settori urbani con il rinnovamento dei residenti[15]. Laddove invece la concentrazione di popolazione migrante impedisce l’innalzamento di rango e di valore immobiliare dei quartieri centrali, la risposta dell’amministrazione risiede nell’adozione di soluzioni securitarie: l’illuminazione violenta di stile carcerario e le videocamere periferizzano alcuni settori della Firenze duecentesca (quartiere di San Lorenzo, via Palazzuolo). È l’altra faccia del modello centro-periferico che relega l’«umanità eccedente»[16] in aree non necessariamente remote.

La città felice?

Il capitalismo dalle nuove fattezze, del money by money, ha una sua precisa idea di città e di governo delle cose urbane. Una città mercantil-proprietaria che, individualista, indifferente alle relazioni ecosistemiche, nega la presenza attiva della cittadinanza che si autodetermina, ne nasconde i corpi, cancella le pratiche urbane con cui «gli abitanti usano e vivono lo spazio, e al contempo [...] gli attribuiscono un significato e un valore simbolico»[17]. Nel capoluogo toscano un esempio, forse minore, è tuttavia indicativo: il Mercato centrale, trasformato in una batteria di ristorantini bobó (bourgeois-bohème), non risponde alla richiesta diffusa nel quartiere di luoghi di assemblea e di riunione, di cui la città di Renzi-Nardella è sempre più avara.

La città comune – lo spazio urbano, le strade, le piazze, gli edifici collettivi, il suo paesaggio e la sua corona agricola – è gestita in stile privatistico, “valorizzata” con i metodi classici della produzione capitalista e i più moderni del turbocapitalismo. L’urbanistica neoliberista cala la maschera. Si accanisce sui luoghi di sperimentazione creativa, sociale e di «welfare dal basso», su ogni pratica di appropriazione collettiva di luoghi dismessi e oggi nuovamente appetiti. La sua fisionomia autoritaria si tratteggia nitida ogni volta che la legalità di un vuoto piano urbanistico viene a prevalere sulla legittimità di usi pluridecennali, autorganizzati, a servizio di quartieri poveri di luoghi di aggregazione.

Le autrici e gli autori dei saggi contenuti nel presente volume sono, oltre che narratori, protagonisti di quella decennale sperimentazione di ipotesi teoriche ed operative che abbiamo definito “urbanistica resistente”: un complesso di azioni animate dalla riflessione critica – di segno politico-tecnico, ecologico ed antropologico – sull’involuzione neocapitalista della città e sullo smantellamento in atto delle basi stesse della civiltà urbana. La loro esperienza dà linfa alla convinzione che sia ancora possibile progettare una città della gioia, una città felice. Un progetto che implica la costituzione di una nuova civitas avvertita delle relazioni col territorio, che dia spazio al mutualismo senza soffocare i conflitti, che incoraggi l’autorganizzazione e l’autogoverno delle risorse naturali, economiche e demiche[18]. In questo progetto tutti sono chiamati all’impegno in prima persona, ad essere il corpo vivo della città, presente nelle piazze e nei luoghi di rinascita collettiva, e a sostenere pratiche di cura e di accoglienza per rafforzare le convivenze possibili e ricostruire il legame sociale indebolito. Impegno non limitato, come talvolta accade, a mantenere «vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro», ma capace – sono ancora parole di Simone Weil – di rifondare «città umane [che...] avvolgono di poesia la vita di coloro che vi abitano»[19]. A partire da questa resistenza corale si invera l’altra idea di città.

Il libro è stato discusso e progettato collettivamente dal Gruppo Urbanistica della lista di cittadinanza perUnaltracittà (Puc). I suoi capitoli descrivono il quadro teorico e politico, le vicende urbanistiche, l’impegno e il lavoro di opposizione, le ipotesi progettuali condivise. Ma il libro non mira a raccontare dieci anni di storia urbanistica. Esso registra i modi della resistenza vissuta e ne delinea quelli futuri, raccoglie i risultati di una ricerca-azione di durata decennale che ha favorito e messo a frutto capacità relazionali e competenze nell’ascolto, abilità pratiche e organizzative con attenzione al calendario politico etc. Così la narrazione, da una parte, affonda nella memoria personale e collettiva, mentre dall’altra attinge alle fonti documentarie consentanee alla ricerca in urbanistica. Ossia alla produzione del Comune (delibere, atti, determine etc.) e ai piani urbanistici (studiati con attenzione e puntualità anche per la loro traduzione alla cittadinanza attiva “non esperta”); all’informazione a stampa; alla controinformazione. E, infine, sui materiali autoprodotti per l’opposizione in Consiglio: dai comunicati stampa alle pubblicazioni cartacee e digitali, disponibili sul sito della lista consiliare.

Il sito è tutt’oggi attivo e costantemente aggiornato dal “Gruppo Comunicazione”: nelle pagine del libro, Cristiano Lucchi ne rivela i segreti che non di rado hanno permesso di far breccia nel muro di silenzio dell’informazione ufficiale. Maurizio Da Re, segretario “in palazzo”, estrae dalla mole documentaria prodotta quegli atti consiliari, interrogazioni e domande di attualità che hanno avuto maggiori ripercussioni sull’andamento della politica cittadina, dando talvolta vita a vicende trasposte nelle aule del tribunale. Infine, lo spirito dell’azione politica della lista è illustrato dalla consigliera Ornella De Zordo che ha instancabilmente intessuto relazioni tra il palazzo, i quartieri cittadini e il territorio metropolitano, mettendo in rete l’esperienza fiorentina con le analoghe che cominciavano a dispiegarsi a scala nazionale.



[1]Per agevolare la lettura, con “perUnaltracittà” (o con la relativa sigla Puc) denominiamo la lista consiliarenell’intero periodo in esame, benché nella prima legislatura (2004-2009) essaassumesse il nome di “Unaltracittà/Unaltromondo”.
[2]Cfr. Sergio Brenna, La strana disfatta dell’urbanisticapubblica. Breve ma veridica storia dell’inarrestabile ma controversa fortunadel «privatismo» nell’uso della città e del territorio, Maggioli,Santarcangelo di Romagna, 2009. Sulla perdita della titolarità pubblica nelgoverno del territorio si veda anche EdoardoSalzano, Vent’anni e più diurbanistica contrattata, in Maria PiaGuermandi (a cura di), La cittàvenduta, atti del convegno (Roma, 6 aprile 2011), Italia Nostra, Gangemi,Roma, 2011, pp. 24-38.
[3]Cfr. Paolo Berdini, Le città fallite. I grandi comuni italiani ela crisi del welfare urbano, Donzelli, Roma, 2014.
[4]Cfr., oltre al mio Pianificar twittando,“il manifesto”, 3 aprile 2014, la prefazione di Ornella de Zordo a Riccardo Michelucci, Guida alla Firenze ribelle, Voland,Roma, 2016.
[5]«Più l’economia siinternazionalizza, più le funzioni centrali si concentrano: è la dinamica dellacittà globale» (Saskia Sassen, La ville globale, “Le Débat”, n. 80, 1994), cfr. anche Jean-Pierre Garnier, Un développement insoutenable. Sécuriser orassurer?, “L’homme et la société”, 2005, n. 155, trad. it. in Ilaria Agostini,Daniele Vannetiello (a cura di),La conversione dell’abitare. Comunità,fertilità, sapienza, “L’Ecologist italiano”, Lef, Firenze, 2015, pp. 68-83.
[6]Il riferimento è al classico HenriLefebvre, Le droit à la ville,Anthropos, Paris, 1968. Un’analisi marxista degli effetti del neocapitalismosull’ambiente urbano è in David Harvey,Il capitalismo contro il dirittoalla città. Neoliberismo, urbanizzazione, resistenze, Ombre Corte,Verona, 2012.
[7]Paolo Berdini, Quali regole per la bellezza della città?,“Casa della cultura”, 22 gennaio 2016, http://www.casadellacultura.it/paglaboratorio.php?id=257
[8]Franco La Cecla, Control’urbanistica, Einaudi, Torino, 2015, p. 41.
[9]Ad esempio in Berdini, Le città fallite cit.; cfr. anche il mioLa borsa valori dell’urbanistica, “ilmanifesto”, 22 aprile 2015.
[10]Cfr. Paolo Maddalena, Il territorio bene comune degli italiani.Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico, Donzelli,Roma, 2014.
[11]Cfr. Ilaria Agostini, Le dieci cose da sapere sull’aeroporto diFirenze, “La Città invisibile”, 8 luglio 2015, n. 24.
[12]Franco Farinelli, Bologna che ha perso la memoria, “ilmanifesto”, 13 marzo 2014, di prossima ripubblicazione in un libro collettivo acura di Piero Bevilacqua e della scrivente.
[13]Jean-Pierre Garnier, Une violence éminemment contemporaine. Essais sur la ville, la petitebourgeoisie intellectuelle & l’effacement des classes populaires,Agone, Marseille, 2010, p. 11.
[14]Cfr. Marco D’Eramo, Unescocide, “New Left Review”, 2014, n.88, pp. 47-53.
[15]Così in Anne Clerval, Paris sans le peuple. La gentrification dela capitale, La Découverte, Paris, 2013. Sul tema si veda anche il piùrecente Giovanni Semi, Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, il Mulino,Bologna, 2015.
[16]Enzo Scandurra, Un paese ci vuole. Ripartire dai luoghi,Città aperta, Troina, 2007, p. 108.
[17]Carlo Cellamare, Autorganizzazione e vita quotidiana. Storiedi città, a Roma, in Id., Roberto DeAngelis, Massimo Ilardi, Enzo Scandurra, Recinti urbani. Roma e i luoghi dell’abitare, manifestolibri, Roma,2014, p. 69.
[18]Rimando alle pagine dedicate a La cittàin Vandana Shiva (a cura di), Manifesto Terra Viva. Il nostro suolo, i nostribeni comuni, il nostro futuro, Navdanya International, Firenze, 2015,consultabile su www.navdanyainternational.it.
[19]Risp. Simone Weil, La prima radice. Preludio ad unadichiarazione dei doveri verso l’essere umano (1949), SE, Milano, 1990, p.39 ed Ead., Attesa di Dio (1950), Adelphi, Milano, 2008, p. 138.

La succosa introduzione a un libro collettaneo che racconta come nelle città italiane (non a caso l'esempio scelto è Firenze, cavia dello stregone Renzi) i declina l'idea di città del neoliberismo e come un pugno di urbanisti può animare una molteplice attività di resistenza

Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista, perUnaltracittà 2004-2014, a cura di Ilaria Agostini, AIÒN edizioni 2016, €18,00

UN'ALTRA IDEA DI CITTÀ
L’urbanistica neoliberista provoca resistenza popolare. Alla rappresentazione ufficiale delle politiche urbane si contrappone, in queste pagine, il racconto corale e antagonista di cittadine e cittadini, comitati ed esperti critici, uniti a Firenze nel “Gruppo Urbanistica” che ha fornito il sostegno tecnico alla lista di cittadinanza “perUnaltracittà”[1], per due legislature all’opposizione in Consiglio comunale.

Due legislature, dal 2004 al 2014: anni in cui, a livello planetario, si accresce per poi deflagrare, la “bolla” edilizia. Favorita, in Italia, dalla diminuzione dei trasferimenti statali ai comuni e dall’opera demolitoria di Franco Bassanini che, a cavallo del millennio, da una parte incrementava a dismisura il potere nelle mani dei sindaci, mentre dall’altra rendeva possibile riversare gli oneri di fabbricazione nella spesa ordinaria dei comuni. Lo scivolamento progressivo dal welfare state al real estate si traduce in una nuova fase di cementificazione, interpretata a livello nazionale come unica risposta alla penuria di cassa dai comuni sempre più poveri. In epoca di dismissione industriale conclamata, l’economia peninsulare si orienta francamente sul mattone. La città diventa un grosso affare economico, i valori immobiliari aumentano e sulla loro crescita si fonda il consenso politico.

Il «lucido disegno derogatorio» perseguito dagli anni Novanta[2], corrobora l’attività speculativa nell’edilizia. La contrattazione pubblico-privato nel decennio è prassi consolidata che immediatamente si trasforma in arbitrio e che sistematicamente – e legalmente – piega l’interesse comune a quello dei particolari. Il mestiere dell’urbanista, puntualizzava recentemente Edoardo Salzano, si trasforma in «facilitatore delle operazioni immobiliari». Dal canto loro, strette nella morsa del sistema finanziario, le imprese edili – che accedono al credito sulla base del capitale fisso (ossia del costruito) – costruiscono per poter continuare a costruire: è un circolo vizioso. Con un milione di nuovi alloggi invenduti[3], il consumo di suolo in Italia doppia generosamente la media europea. Lo scenario muta quando nel 2008, facendo seguito alla crisi dei mutui subprime, il mercato immobiliare crolla e i prezzi al metro quadro arrivati alle stelle, cadono in picchiata.

Firenze è per l’intero decennio il banco di prova per il grande cantiere politico nazionale. Nel 2004, alla Provincia è eletto presidente in quota democristiana (Margherita) Matteo Renzi, ignoto trentenne, che diventerà sindaco nel giugno 2009 raccogliendo il testimone da Leonardo Domenici (Ds-Pd) ma cedendolo per occupare Palazzo Chigi, pochi mesi prima della naturale scadenza. Nella città toscana sono messe in atto le politiche che dal febbraio 2014, in qualità di presidente del Consiglio dei ministri, il “sindaco d’Italia” estenderà dalla scala urbana all’intero paese[4]: concentrazione del potere e svilimento del ruolo degli organi collegiali, velocità decisionale e forzatura delle norme, propaganda in luogo della pianificazione, obliterazione del dato sociale in nome del nuovo, del brand e dello smart. E apologia della tabula rasa.

La città iniqua

Nel decennio, la pianificazione urbanistica rinuncia ai suoi compiti statutari ed è diffusamente percepita come anacronistica limitazione al finanzcapitalismo fondato sul «mattone di carta». Le politiche urbane si allineano al paradigma neoliberista che vuole l’1% arricchito a spese del restante 99%. Sintetizzato da Joseph Stiglitz nel 2011 nella formula fatta propria dal movimento di Occupy Wall Street («We are the 99%»), il paradigma produce “centri” – cittadelle del potere, fortificate e interconnesse da comunicazioni ad alta velocità – e “periferie” sempre più estese e distanti dai luoghi della politica[5], nelle quali i cittadini, lo registra in queste pagine Maurizio De Zordo, sono espropriati del naturale «diritto alla città»[6].

Non solo. L’urbanistica si rende “mezzo politico” capace di trasformare i quartieri in territorio di conquista da parte di quel segmento finanziario che non intrattiene «alcun legame con i luoghi in cui la ricchezza si produce»[7]. L’urbanistica diventa «qualcosa che può essere quotato in borsa, giocato con la stessa logica dei “derivati” su proiezioni del futuro»[8]. Si fa tossica. Alligna tra la debolezza dell’amministrazione e la miopia della speculazione finanziaria. Acceca i politici cui offre scenari a prospettiva raccorciata. In questa temperie si generano i disastri dei fallimenti comunali che alcuni critici denunciano da tempo[9].

Così, le «città infelici del neoliberismo» diventano sempre più estese e più ingiuste. All’aumento della superficie urbana segue infatti l’incremento delle spese – a tempo indeterminato – per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture di servizio e per i trasporti. Più la città cresce, più si indebita facendo ricorso agli strumenti finanziari che deliberatamente rompono il patto sociale su cui si fonda la vita civile (i debiti a lunga scadenza intaccano peraltro anche il patto generazionale). I bilanci comunali vacillano. Il rientro dal debito – nel segno dell’“austerità” – crea nuove sofferenze urbane nelle «periferie dolenti». A Firenze la polarizzazione delle risorse economiche nell’1% dello spazio urbano, tirato a lucido e usato come mero strumento di accumulazione e finanziarizzazione, ha valenza didascalica: a dispetto della propaganda renziana basata sulla necessità di un ribaltamento del vecchio sistema economico-politico che erodeva risorse a danno dei “giovani”, il «restyling» di via Tornabuoni fortemente voluto dallo stesso Renzi, è stato finanziato con un mutuo a lungo termine. Proprio il contrario di quanto sbandierato nei salotti televisivi.

«Tutto quello che vedi è in vendita», ricordava uno striscione sulla ringhiera del piazzale Michelangelo da cui si offre la vista di una città ridotta a puro valore di scambio. La mercificazione si attua prioritariamente attraverso la svendita del patrimonio edilizio pubblico e l’abdicazione al controllo della trasformazione di quello privato. La cittadinanza viene espropriata del fondativo diritto alla proprietà collettiva, osso della società civile e speranza per la sua rifondazione come avverte da anni Paolo Maddalena[10].

L’alienazione degli edifici pubblici rientra tra i principali elementi di pauperizzazione delle città italiane. Nel solo centro storico fiorentino sono centinaia di migliaia i metri quadri in vendita e in trasformazione, spesso in edifici di valore monumentale dei quali è negata la disponibilità sociale, come illustra Daniele Vannetiello nel saggio dedicato alla Firenze intramuros. La loro vendita vede tra i maggiori acquirenti una compiacente Cassa depositi e prestiti Spa (su cui ritorna Berdini nel capitolo che segue) e nel post-Renzi assume i toni grotteschi del “Florence, city of the opportunities” (sic): operazione propagandistica che vede il neosindaco Nardella vestire l’abito dell’agente immobiliare per promuovere edifici pubblici (ma anche privati) presso le fiere internazionali del real estate. È la parodia della politica urbana, che si sovrappone al mercato immobiliare, e con esso coincide.

I servizi alla cittadinanza, mercificati e privatizzati, drenano enormi ricchezze pubbliche. Rappresentano un non secondario aspetto della città iniqua: forniscono servizi peggiori ai cittadini più “periferici”, mentre costituiscono uno dei favoriti finanziamenti occulti della politica. La privatizzazione dell’Ataf, il servizio comunale di autotrasporti pubblici fiorentini, ha avuto forti ripercussioni sulla qualità della vita cittadina. Ma il presidente della società, privatizzata nel 2012, è ora amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato. Mobilità sociale.

Sulla mobilità veicolare si concentra in effetti il progetto “pubblico” della città, più futurista che moderno. Sottolineava Enzo Scandurra, in un recente dialogo, che l’urbanistica fiorentina si riduce ormai a due soli elementi: l’aeroporto e il sottoattraversamento Tav. Il nuovo aeroporto, fortemente voluto da Renzi presidente del Consiglio[11], adombra per mole di affari il grande nodo irrisolto della lottizzazione di Castello, come spiega nel suo saggio Antonio Fiorentino. Della resistenza civile e dei controprogetti “dal basso” al passaggio sotto Firenze del treno ad alta velocità parlano in questo libro Tiziano Cardosi e Alberto Ziparo, dando testimonianza, l’uno, del lavoro di costruzione corale del sapere critico nel comitato No Tunnel Tav, e l’altro, dell’impegno di un docente di urbanistica organico al movimento.

La città desacralizzata

A Firenze – palcoscenico del “nuovo” nazionale – è fatto abuso dei concetti di città creative e smart, invenzioni strumentali all’urbanistica «ossessionata dal marketing». Le une, le creative cities, ridicolizzano l’autorappresentazione urbana tramite un “brand”, creato espressamente per la competizione globale tra città che aspirano a collocarsi in classifiche di attrattività internazionale (per sedi di expó, olimpiadi o capitali della cultura, e per gli agognati “investimenti stranieri”). In esse, eventi e grattacieli sono icone che uccidono i simboli autocostruiti. Ognuna singolarmente, ognuna alienata dal contesto, le nuove icone sono messe in campo per mascherare l’obliterazione del dato sociale nelle politiche urbane. La civitas è sostituita con un simulacro vendibile: in questa logica, nel 2012, l’affitto del Ponte vecchio ad un sodale politico del sindaco, prima dell’arrampicata a palazzo Chigi, passa come atto di normale amministrazione.

Dal canto loro, invece, le smart cities – città furbette più che intelligenti, stigmatizzava Franco Farinelli[12] – incarnano il sogno delle città informatizzate: i problemi del traffico, della “sicurezza” o quelli ambientali, ognuno a sé stante, sono rimandati agli esperti di settore. Urbanisti e piani possono essere buttati al macero. In fondo, lo si è già detto, gestire la città secondo i principi neoliberisti, comporta la «de-significazione» del piano urbanistico. Nel caso fiorentino, il Piano strutturale (2011) e il Regolamento urbanistico (adottato nel 2014) – ormai privi del significato di “progetto comune sullo spazio comune” – eludono la materia pianificatoria e, infarciti di proclami, rifuggono una “narrazione” che possa contribuire al disegno della città futura.

Gli strumenti approvati o concepiti nel decennio si inviluppano nella triade «mixité sociale-governance-sviluppo sostenibile»[13], valida per lenire tutti i mali della città globale, che a Firenze si declina: nel «mix di funzioni» (funzioni che tuttavia sarà il privato a determinare, come approfondiamo nel saggio dedicato ai Piani neoliberisti); nella partecipazione (risolta nella farsa dei «facilitatori del consenso»); negli ammiccamenti a una “natura in città” (lo studio delle relazioni profonde dell’ecosistema urbano è tuttavia accuratamente evitato). In contrapposizione alle “scelte” di piano del tutto avulse dal contesto ambientale e impermeabili ai suggerimenti morfologici offerti dai luoghi, Roberto Budini Gattai offre in queste pagine soluzioni convincenti e non prive di fascino. Mentre Giorgio Pizziolo costruisce l’ipotesi a scala territoriale della «città/paesaggio» nella quale le relazioni ecologiche – ambientali, soggettive, sociali – guidano il progetto futuro di una città come «luogo vivente».

Il «bacio mortale»[14] dell’Unesco – che dal 1982 ha inserito nel world heritage il centro storico di Firenze – completa il quadro della desacralizzazione urbana nel segno della monocultura economicista. Il turismo, inesauribile «cash machine», estrae beni territoriali e li reinveste nelle cittadelle della finanza mondiale. Il tessuto della città storica è sottoposto a una pressione insostenibile che, ancora una volta, produce risultati nel segno dell’iniquità. La città dell’1% si realizza prioritariamente sull’espulsione dei residenti. Il centro da offrire ai media come immagine del successo del sindaco e della riuscita della città nella “competizione globale” è stato – da tempo – sterilizzato: via residenti e luoghi di aggregazione, via le bancarelle e via anche le macchine (oggi l’espulsione si attua anche attraverso una pedonalizzazione cui non faccia seguito un buon servizio di trasporto pubblico). Nei quartieri storici limitrofi al “salotto buono”, il processo di imborghesimento – nella letteratura di settore, processo definito «gentrificazione» – è in atto, e si realizza nella formula che fa coincidere il rinnovamento dei settori urbani con il rinnovamento dei residenti[15]. Laddove invece la concentrazione di popolazione migrante impedisce l’innalzamento di rango e di valore immobiliare dei quartieri centrali, la risposta dell’amministrazione risiede nell’adozione di soluzioni securitarie: l’illuminazione violenta di stile carcerario e le videocamere periferizzano alcuni settori della Firenze duecentesca (quartiere di San Lorenzo, via Palazzuolo). È l’altra faccia del modello centro-periferico che relega l’«umanità eccedente»[16] in aree non necessariamente remote.

La città felice?

Il capitalismo dalle nuove fattezze, del money by money, ha una sua precisa idea di città e di governo delle cose urbane. Una città mercantil-proprietaria che, individualista, indifferente alle relazioni ecosistemiche, nega la presenza attiva della cittadinanza che si autodetermina, ne nasconde i corpi, cancella le pratiche urbane con cui «gli abitanti usano e vivono lo spazio, e al contempo [...] gli attribuiscono un significato e un valore simbolico»[17]. Nel capoluogo toscano un esempio, forse minore, è tuttavia indicativo: il Mercato centrale, trasformato in una batteria di ristorantini bobó (bourgeois-bohème), non risponde alla richiesta diffusa nel quartiere di luoghi di assemblea e di riunione, di cui la città di Renzi-Nardella è sempre più avara.

La città comune – lo spazio urbano, le strade, le piazze, gli edifici collettivi, il suo paesaggio e la sua corona agricola – è gestita in stile privatistico, “valorizzata” con i metodi classici della produzione capitalista e i più moderni del turbocapitalismo. L’urbanistica neoliberista cala la maschera. Si accanisce sui luoghi di sperimentazione creativa, sociale e di «welfare dal basso», su ogni pratica di appropriazione collettiva di luoghi dismessi e oggi nuovamente appetiti. La sua fisionomia autoritaria si tratteggia nitida ogni volta che la legalità di un vuoto piano urbanistico viene a prevalere sulla legittimità di usi pluridecennali, autorganizzati, a servizio di quartieri poveri di luoghi di aggregazione.

Le autrici e gli autori dei saggi contenuti nel presente volume sono, oltre che narratori, protagonisti di quella decennale sperimentazione di ipotesi teoriche ed operative che abbiamo definito “urbanistica resistente”: un complesso di azioni animate dalla riflessione critica – di segno politico-tecnico, ecologico ed antropologico – sull’involuzione neocapitalista della città e sullo smantellamento in atto delle basi stesse della civiltà urbana. La loro esperienza dà linfa alla convinzione che sia ancora possibile progettare una città della gioia, una città felice. Un progetto che implica la costituzione di una nuova civitas avvertita delle relazioni col territorio, che dia spazio al mutualismo senza soffocare i conflitti, che incoraggi l’autorganizzazione e l’autogoverno delle risorse naturali, economiche e demiche[18]. In questo progetto tutti sono chiamati all’impegno in prima persona, ad essere il corpo vivo della città, presente nelle piazze e nei luoghi di rinascita collettiva, e a sostenere pratiche di cura e di accoglienza per rafforzare le convivenze possibili e ricostruire il legame sociale indebolito. Impegno non limitato, come talvolta accade, a mantenere «vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro», ma capace – sono ancora parole di Simone Weil – di rifondare «città umane [che...] avvolgono di poesia la vita di coloro che vi abitano»[19]. A partire da questa resistenza corale si invera l’altra idea di città.

Il libro è stato discusso e progettato collettivamente dal Gruppo Urbanistica della lista di cittadinanza perUnaltracittà (Puc). I suoi capitoli descrivono il quadro teorico e politico, le vicende urbanistiche, l’impegno e il lavoro di opposizione, le ipotesi progettuali condivise. Ma il libro non mira a raccontare dieci anni di storia urbanistica. Esso registra i modi della resistenza vissuta e ne delinea quelli futuri, raccoglie i risultati di una ricerca-azione di durata decennale che ha favorito e messo a frutto capacità relazionali e competenze nell’ascolto, abilità pratiche e organizzative con attenzione al calendario politico etc. Così la narrazione, da una parte, affonda nella memoria personale e collettiva, mentre dall’altra attinge alle fonti documentarie consentanee alla ricerca in urbanistica. Ossia alla produzione del Comune (delibere, atti, determine etc.) e ai piani urbanistici (studiati con attenzione e puntualità anche per la loro traduzione alla cittadinanza attiva “non esperta”); all’informazione a stampa; alla controinformazione. E, infine, sui materiali autoprodotti per l’opposizione in Consiglio: dai comunicati stampa alle pubblicazioni cartacee e digitali, disponibili sul sito della lista consiliare.

Il sito è tutt’oggi attivo e costantemente aggiornato dal “Gruppo Comunicazione”: nelle pagine del libro, Cristiano Lucchi ne rivela i segreti che non di rado hanno permesso di far breccia nel muro di silenzio dell’informazione ufficiale. Maurizio Da Re, segretario “in palazzo”, estrae dalla mole documentaria prodotta quegli atti consiliari, interrogazioni e domande di attualità che hanno avuto maggiori ripercussioni sull’andamento della politica cittadina, dando talvolta vita a vicende trasposte nelle aule del tribunale. Infine, lo spirito dell’azione politica della lista è illustrato dalla consigliera Ornella De Zordo che ha instancabilmente intessuto relazioni tra il palazzo, i quartieri cittadini e il territorio metropolitano, mettendo in rete l’esperienza fiorentina con le analoghe che cominciavano a dispiegarsi a scala nazionale.

Note

[1] Per agevolare la lettura, con “perUnaltracittà” (o con la relativa sigla Puc) denominiamo la lista consiliare nell’intero periodo in esame, benché nella prima legislatura (2004-2009) essa assumesse il nome di “Unaltracittà/Unaltromondo”.
[2] Cfr. Sergio Brenna,
La strana disfatta dell’urbanistica pubblica. Breve ma veridica storia dell’inarrestabile ma controversa fortuna del «privatismo» nell’uso della città e del territorio, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2009. Sulla perdita della titolarità pubblica nel governo del territorio si veda anche Edoardo Salzano, Vent’anni e più di urbanistica contrattata, in Maria Pia Guermandi (a cura di), La città venduta, atti del convegno (Roma, 6 aprile 2011), Italia Nostra, Gangemi, Roma, 2011, pp. 24-38.
[3] Cfr. Paolo Berdini,
Le città fallite. I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano, Donzelli, Roma, 2014.
[4] Cfr., oltre al mio
Pianificar twittando, “il manifesto”, 3 aprile 2014, la prefazione di Ornella de Zordo a Riccardo Michelucci, Guida alla Firenze ribelle, Voland, Roma, 2016.
[5] «Più l’economia si internazionalizza, più le funzioni centrali si concentrano: è la dinamica della città globale» (Saskia Sassen,
La ville globale, “Le Débat”, n. 80, 1994), cfr. anche Jean-Pierre Garnier, Un développement insoutenable. Sécuriser o rassurer?, “L’homme et la société”, 2005, n. 155, trad. it. in Ilaria Agostini, Daniele Vannetiello (a cura di), La conversione dell’abitare. Comunità, fertilità, sapienza, “L’Ecologist italiano”, Lef, Firenze, 2015, pp. 68-83.
[6] Il riferimento è al classico Henri Lefebvre,
Le droit à la ville, Anthropos, Paris, 1968. Un’analisi marxista degli effetti del neocapitalismo sull’ambiente urbano è in David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città. Neoliberismo, urbanizzazione, resistenze, Ombre Corte, Verona, 2012.
[7] Paolo Berdini,
Quali regole per la bellezza della città?, “Casa della cultura”, 22 gennaio 2016, http://www.casadellacultura.it/paglaboratorio.php?id=257

[8] Franco La Cecla, Contro l’urbanistica, Einaudi, Torino, 2015, p. 41.
[9] Ad esempio in Berdini,
Le città fallite cit.; cfr. anche il mio La borsa valori dell’urbanistica, “il manifesto”, 22 aprile 2015.
[10] Cfr. Paolo Maddalena, I
l territorio bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico, Donzelli, Roma, 2014.
[11] Cfr. Ilaria Agostini,
Le dieci cose da sapere sull’aeroporto di Firenze, “La Città invisibile”, 8 luglio 2015, n. 24.
[12] Franco Farinelli,
Bologna che ha perso la memoria, “il manifesto”, 13 marzo 2014, di prossima ripubblicazione in un libro collettivo a cura di Piero Bevilacqua e della scrivente.
[13] Jean-Pierre Garnier,
Une violence éminemment contemporaine. Essais sur la ville, la petite bourgeoisie intellectuelle & l’effacement des classes populaires, Agone, Marseille, 2010, p. 11.
[14] Cfr. Marco D’Eramo,
Unescocide, “New Left Review”, 2014, n. 88, pp. 47-53.
[15] Così in Anne Clerval,
Paris sans le peuple. La gentrification de la capitale, La Découverte, Paris, 2013. Sul tema si veda anche il più recente Giovanni Semi, Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, il Mulino, Bologna, 2015.
[16] Enzo Scandurra,
Un paese ci vuole. Ripartire dai luoghi, Città aperta, Troina, 2007, p. 108.
[17] Carlo Cellamare,
Autorganizzazione e vita quotidiana. Storie di città, a Roma, in Id., Roberto De Angelis, Massimo Ilardi, Enzo Scandurra, Recinti urbani. Roma e i luoghi dell’abitare, manifestolibri, Roma, 2014, p. 69.
[18] Rimando alle pagine dedicate a La città in Vandana Shiva (a cura di),
Manifesto Terra Viva. Il nostro suolo, i nostri beni comuni, il nostro futuro, Navdanya International, Firenze, 2015, consultabile su www.navdanyainternational.it.
[19] Risp. Simone Weil,
La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano (1949), SE, Milano, 1990, p. 39 ed Ead., Attesa di Dio (1950), Adelphi, Milano, 2008, p. 138.

Che il progetto del nuovo aeroporto di Firenze sia un autentico imbroglio perpetrato ai danni dei cittadini è fuori... (continua a leggere)

Che il progetto del nuovo aeroporto di Firenze sia un autentico imbroglio perpetrato ai danni dei cittadini è fuori da ogni ragionevole dubbio. Alla base dell’imbroglio vi è il doppio ruolo dell’ENAC, da una parte proponente e dall’altra controllore del progetto. Perciò, alle obiezioni di cittadini e associazioni cui è impossibile rispondere nel merito, l’ENAC – parola di re - obietta a sua volta di avere già valutato ed espresso parere favorevole a sé stesso! Inoltre, per meglio nascondere le magagne del progetto, l’ENAC ha presentato nello Studio di impatto ambientale (SIA) una documentazione pletorica e ridondante su questioni inutili (con tabelle, addirittura, sull’obesità infantile in Toscana), ma lacunosa e contraddittoria su temi cruciali.

Afferma l’ENAC che la pista è esclusivamente monodirezionale e che in caso di problemi i piloti atterreranno su un altro aeroporto; ma nelle controdeduzioni alle osservazioni dell’Università di Firenze ammette che i voli saranno “prevalentemente unidirezionali”, e nello Studio di impatto ambientale prevede un 18-20% di voli su Firenze. Sostiene l’ENAC che il Polo universitario “ricadrebbe nella zona di rischio D” (la meno impattante), ma dalle tavole presentate nello SIA risulta che una buona parte del Polo (frequentata da circa 1500 tra professori, personale e studenti) si trova nella zona C, dove, secondo il Codice di Navigazione, devono essere escluse attività che comportino “insediamenti a elevato affollamento e la costruzione di scuole, ospedali e, in generale, obiettivi sensibili”.

Ed ecco che segue il gioco delle tre carte. All’Università che chiede perché non abbia predisposto i piani di rischio, l’ENAC risponde: “Il compito di redazione del piano di rischio è posto dal Codice della Navigazione in capo ai Comuni territorialmente competenti che prima della loro adozione devono sottoporre i piani al parere di competenza dell'ENAC”. Viceversa, il Codice della Navigazione recita: “Al fine di garantire la sicurezza della navigazione aerea, l'ENAC individua le zone da sottoporre a vincolo ... Gli enti locali, nell'esercizio delle proprie competenze … adeguano i propri strumenti di pianificazione alle prescrizioni dell'ENAC” (CdN, art 707). ENAC inverte – e non si può credere che sia un refuso - titolarità e priorità delle competenze; quando fa comodo se ne appropria, ad esempio, decidendo, contro il Pit, la lunghezza della pista; quando queste responsabilità sono scomode, le scarica su altri, in questo caso sugli incolpevoli Comuni.
Si aggiunga che l’ENAC non risponde a molte delle richieste di integrazioni dello stesso Ministero dell’Ambiente, glissando su tutto ciò che può disturbare; in una parola: lo Studio di impatto ambientale, comprese le integrazioni, è un concentrato di irregolarità, di omissioni e di affermazioni contradditorie che si aggiungono a refusi, tabelle invertite, dati lacunosi o non controllabili (per scelta del proponente), formule incomplete o la cui fonte non è spiegata. Un vero e proprio imbroglio!

Un imbroglio che è stata denunciato in molte assemblee nei Comuni interessati e da due convegni organizzati da ‘rami’ della Cgil, l’ultimo, recentissimo, dei lavoratori del Polo scientifico di Sesto, direttamente interessati dal rischio di catastrofe. Ma tutti gli argomenti, le analisi tecniche, le valutazioni scientifiche che, in questo convegno, come nei precedenti, hanno letteralmente distrutto il progetto del nuovo aeroporto di Firenze, non oltrepassano la cerchia ristretta degli ambientalisti attivi e delle popolazioni direttamente interessate. I giornali nazionali ignorano la cosa, quando non danno improbabili annunci di presunti via libera ai lavori o di improbabili inaugurazioni. La politica regionale volta la testa dall’altra parte e avalla le menzogne dell’ENAC. I cittadini – la grande maggioranza - sono informati solo dai depliant e dagli opuscoli di Toscana Aeroporti, dove l’aeroporto è una lingua sottile, circondata di verde, laghetti e paperelle; loro, i cittadini, sono, invece, circondati da un muro di silenzio.

Vedi sull'argomento le sette domande al presidente Enrico Rossi, le sue risposte e la replica della associazioni ambientalistiche della Toscana

«Raffaele Cantone ripercorre davanti ai consiglieri regionali quello che la politica toscana continua a negare da anni ai cittadini attivi nel Comitato No Tunnel Tav, ovvero che l’appalto così come è stato pensato e realizzato non va». Il Fatto quotidiano online, blog"Alle porte co' sassi", 26 febbraio 2016

Quello dei cantieri fiorentini della Tav è un «problema tutto italiano, tipico del nostro Paese e del nostro sistema di appalti pubblici. Un caso emblematico che non ci fa onore». Così ieri Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione durante l’audizione che si è tenuta davanti alla Commissione ambiente del Consiglio regionale. Cantone ha ripercorso tutti i guai del grande appalto dell’Alta velocità a Firenze vinto dalle cooperative rosse: una programmazione «come al solito carente», un aumento contrattuale molto elevato che ha comportato «enormi ritardi», un contenzioso «rilevante, con 300 milioni di riserve, ancora non riconosciuto ma comunque pesantissimo» e, non ultima, la «difficoltà ad interfacciarsi con i cittadini» con le istituzioni locali, in primis Comune e Regione che sulla trasparenza continuano a fare orecchi da mercante.

Per la Procura di Firenze i cantieri Tav sono da tempo “un concentrato di illegalità”, come hanno scritto nel dispositivo che ha chiuso un’inchiesta nata con l’arresto dell’ex presidente di ItalferrMaria Rita Lorenzetti, già presidente della Regione Umbria in quota Partito Democratico. Le accuse dei pm sull’appalto per costruire il tunnel e la stazione sotterranea di Firenze vanno da associazione a delinquere, corruzione, frode in forniture pubbliche, falso e truffa con un ruolo importante dei casalesi nello smaltire i rifiuti.

Raffaele Cantone ripercorre davanti ai consiglieri regionali quello che la politica toscana continua a negare da anni ai cittadini attivi nel Comitato No Tunnel Tav, ovvero che l’appalto così come è stato pensato e realizzato non va. Il magistato anticorruzione ha ribadito quanto vergato lo scorso 4 agosto nella relazione Anac su Firenze in cui si afferma che sono mancati gli “adeguati controlli” da parte degli enti pubblici preposti e che le “criticità emerse dalle indagini della Procura non possono ritenersi del tutto superate”. Tra queste i permessi scaduti, i vertici delle società arrestati, chi per corruzione chi per associazione a delinquere, chi per abuso d’ufficio, chi per tutti e tre i reati e per altri ancora. L’opera doveva costare poco più di 500 milioni, è lievitata fino a 750 prima di essere bloccata e «registrerà ulteriori incrementi». Inoltre il materiale utilizzato nei cantieri è «privo della qualità richiesta» e l’opera «sotto-attraversa il centro cittadino, interferendo con la falda idrica» come si evince anche dai «dissesti che hanno interessato la scuola Rosai confermando la delicatezza del contesto». E infine l’accusa peggiore: Cantone mette nero su bianco come «i comportamenti dei soggetti preposti all’esecuzione sono finalizzati a conseguire maggiori utili a discapito di una minore qualità dell’opera». Considerato il danno erariale l’Anac trasmetterà nei prossimi giorni il dossier Tav alla Corte dei Conti.

Tutto ciò è disarmante e allontana ancora più i cittadini dalla politica, dagli amministratori locali che a Firenze e in Toscana, da sempre, hanno fatto finta di non vedere ciò che accadeva sotto i loro occhi nonostante le denunce dei NoTav prima e della magistratura poi. Ancora oggi nessuno amministratore interviene nel dibattito se non per dire che i “lavori riprendano quanto prima”,come dichiarò alla Nazione Enrico Rossi il giorno del sequestro dei cantieri, in una sorta di riflesso pavloviano in cui la ragione e il buon senso sembrano smarriti per sempre.

A margine dell’incontro di Raffaele Cantone - la cui diretta streaming non è stata diffusa, e non fatichiamo a capire il perché, dal presidente della Commissione Stefano Baccelli (Pd), con l’opposizione di M5S e SìToscana -, il Comitato No Tunnel Tav ha raccolto alcune testimonianze di chi vi ha partecipato e ha reso pubbliche altre criticità emerse nell’audizione. Per i No Tav l’Autorità anticorruzione ha ribadito alcune critiche radicali alla grande opera a partire “dalla figura del General Contractor”, definita “criminogena”; che “la Valutazione di impatto ambientale sul progetto va rifatta”. Il Comitato conclude la sua nota stigmatizzando la mancata trasparenza della Commissione e ricorda come il governo della Regione “voglia procedere a testa bassa, ad occhi chiusi, ad orecchie tappate su questo indecente progetto”.

Ora, considerata la commistione tra partiti, camorra e cooperative rosse (presto il processo presso il Tribunale di Firenze sbroglierà questa criminosa matassa), non sarà forse il caso di dire basta a questa grande opera costosa per i bilanci pubblici, dannosa per la città ma soprattutto inutile, considerato che addirittura l’Università di Firenze ha prodotto un approfondito studio che dimostra come un passante di superficie, e non sotterraneo, consenta all’Alta velocità di attraversare la città spendendo un quarto e rafforzando il trasporto pendolare? Per chi volesse approfondire l’alternativa possibile, ma a quanto pare poco conveniente per la “casta” suggeriamo la lettura di TAV sotto Firenze. Impatti, problemi, disastri, affari; e l’alternativa possibile a cura di Alberto Ziparo, Maurizio De Zordo, Giorgio Pizziolo, Alinea Editrice, Firenze 2011.

Questo articolo sarà pubblicato sul n°37 della rivista La Città invisibile, edita da perUnaltracittà

Firenze centro storico: un primo passo, finalmente, nella direzione giusta, oppure l'ennesimo tweet truffapopolo? Lo vedremo dai successivi passi necessari, tutti elencati nell'articolo. La Repubblica, 19 gennaio 2016

IL cosiddetto “regolamento Unesco” varato dal sindaco di Firenze Dario Nardella può essere un passo importante nella direzione giusta: quella che restituisce le città d’arte ai loro cittadini, mantenendo le comunità ancorate alle loro meravigliose pietre. Questo insieme di regole colpisce quella che si potrebbe chiamare la “gentrificazione dal basso”: e cioè il proliferare di minuscole attività economiche seriali e senza nessi con il contesto, catene dell’anonimato urbano che privano i centri storici di ogni identità.

Il principio che ne sta alla base trascende di molto il peso del provvedimento stesso. Perché si ha il coraggio di dire che il mercato non è il regolatore ultimo della qualità delle nostre vite: si ha la forza di mettere in discussione il dogma della concorrenza come fine, e si torna a parlare di regole.

Ora, perché questo passo non resti isolato e perché tutto questo non si riduca ad una maramaldesca esibizione di forza contro i deboli (questi esercizi commerciali sono infatti per lo più tenuti da immigrati), bisogna che lo stesso principio sia applicato verso l’alto. Non solo a Firenze, l’espulsione dei residenti dal centro storico è infatti assai più legata alla “gentrificazione dall’alto”, cioè alla disneyficazione: i palazzi pubblici (improvvidamente svenduti dal comune) che si trasformano in alberghi di lusso, la proliferazione di vendite di costosi prodotti tipici al posto dei negozi di quartiere, l’assenza di sostegni alla produzione culturale, l’indisponibilità verso ogni gestione dal basso dei beni comuni, la contrazione dello spazio pubblico. Se Nardella e gli altri sindaci saranno capaci di imporre anche contro interessi ben altrimenti forti la stessa linea — quella per cui il mercato non può dire l’ultima parola — allora le cose cambieranno sul serio.

In una delle nostre più antiche costituzioni — il Costituto di Siena, del 1309 — si legge che i governanti devono «preoccuparsi della belleza della città, perché dev’essere onorevolmente dotata et guernita, tanto per cagione di diletto et alegreza de’ forestieri quanto per onore, prosperità et acrescimento de la città e de’ cittadini». Questo è il punto: attrarre un turismo di qualità è un obiettivo fondamentale, ma non si può perseguirlo senza costruire la felicità dei cittadini, e non solo di quelli ricchi.

È la lezione di una lunga storia in cui bellezza è stata sinonimo di giustizia: una lezione ancora carica di futuro.

Un servizio di Ernesto Ferrara e un commento di Tomaso Montanari sull'incredibile gaffe di Nardella, Anche Firenze ha il suo Brugnaro. La Repubblica, 25 novembre 2015

L’assalto del turismo ai monumenti. I tunnel della Tav e della nuova tramvia che passerebbero non lontani da capolavori come il Duomo, Santa Croce e la Fortezza da Basso. E poi lo shopping immobiliare, decine di grandi palazzi che passano in mani private per diventare alberghi o residenze di lusso, e in certi casi si tratta di opere storiche come la Rotonda del Brunelleschi, gioiello quattrocentesco che l’associazione invalidi di guerra sta valutando di vendere. L’Unesco lancia l’allarme su Firenze. Tramite l’Icomos, il consiglio internazionale per la tutela dei siti che è il principale consigliere del World Heritage Council, trasmette già nel maggio scorso un avvertimento con richiesta di spiegazioni al Comune.

Per 5 mesi la missiva resta top secret finché non è proprio l’erede di Matteo Renzi a Palazzo Vecchio, il sindaco Dario Nardella, a rivelarne in parte i contenuti lo scorso 16 ottobre: «Ci è arrivata una comunicazione formale dall’Unesco in base alla quale Firenze è sotto osservazione. Questo perché non abbiamo ancora applicato il piano di gestione della tutela in maniera completa», confessa Nardella presentando un pacchetto di misure contro degrado e minimarket che, dice, va proprio nella direzione chiesta dall’Unesco. Ma il “warning” dell’ente internazionale in realtà pone pure altri problemi. Che emergono dal testo integrale della missiva, trasmesso dal Comune ai consiglieri di opposizione che ne avevano fatto richiesta e oggi diffuso dalla rete dei comitati cittadini e da alcuni firmatari di un esposto proprio all’Unesco: impatto delle grandi opere, palazzi in vendita, gestione dei flussi turistici. «L’Icomos ritiene che l’Italia potrebbe accogliere nel centro storico di Firenze una missione di consulenza», si legge addirittura nella lettera che il 27 maggio l’ex direttore del centro mondiale Unesco Kishore Rao trasmette all’ambasciatrice permanente Vincenza Lomonaco e poi a Palazzo Vecchio. E ora in città scoppia la polemica: «Altro che degrado, c’è ben altro».

Non che Firenze sia la prima città italiana a finire sotto la lente dell’Unesco. Venezia per le grandi navi, Pompei per i crolli, Tivoli con la sua Villa Adriana sono solo i casi più recenti. Se Pompei ha seriamente rischiato di finire nella “black list”, Firenze è ben lontana da questo punto. Ma un segnale è arrivato. Da una parte l’invito a varare un piano di gestione che affronti il tema dell’arrembaggio del turismo con strategie migliori. Dall’altra, l’allarme sulle opere e sul rischio di snaturare con cessioni e piani urbanistici un centro storico ritenuto dall’Unesco «unica realizzazione artistica». Nardella minimizza: «Quello dell’Unesco non è un allarme e non è un richiamo. È una richiesta di spiegazioni cui stiamo rispondendo. Sul turismo abbiamo un piano contro il “mordi e fuggi”, sulla tramvia interrata ancora non c’è nemmeno lo studio di fattibilità ». Anche il presidente della commissione italiana Unesco, Francesco Puglisi, frena: «È una lettera di routine». Ma la polemica infuria.

Idea di Renzi sindaco, il progetto di un “mini metrò” sotto il centro con fermate sotto piazza Repubblica e Santa Croce è ancora una teoria. Eppure Icomos già nota «che il centro storico è a rischio inondazione e la situazione idrogeologica di vaste parti della città è a classificata a rischio molto alto», e chiede chiarimenti sull’ipotesi. «Il progetto non c’è ancora, appena avremo più informazioni le daremo all’Unesco in uno spirito di piena collaborazione », garantisce Nardella. E c’è anche il tunnel Tav ad allarmare: 7 chilometri con tracciato sotto la medicea Fortezza da Basso. «Icomos nota che l’arresto imposto dalle inchieste giudiziarie e dai problemi tecnici potrebbe essere un’opportunità per un’analisi più approfondita sull’impatto prima che ricomincino i lavori». E poi i palazzi del centro storico in vendita con possibili cambi di destinazione d’uso, 13 grandi edifici storici sul mercato e trasformazioni in vista su 200mila metri quadrati. Icomos, in particolare, chiede chiarimenti sulla Rotonda del Brunelleschi che l’Associazione nazionale mutilati di guerra, proprietaria, valuta se vendere. I comitati temono ci possa nascere un albergo. «Noi stiamo dando slancio ai nuovi investimenti con attenzione alla residenza, il nostro problema sono gli edifici dismessi», obietta Nardella.

La lettera datata maggio ma resa nota dai comitati cittadini in questi giorni Il sindaco: risponderemo A destare timori anche l’assalto dei turisti e il progetto del mini-metrò non lontano dal Duomo


SALVIAMO LA CITTÀ DALLA SINDROME DI VENEZIA
di Tomaso Montanari
Che la lettera dell’Unesco al governo italiano sullo stato di Firenze abbia una vera rilevanza politica lo prova il fatto che il sindaco Dario Nardella l’abbia chiusa per sei mesi in un cassetto: se oggi tutti possiamo leggerla è grazie alla Rete dei comitati per la difesa del territorio.

L’Unesco entra a piè pari nella politica della città, rilevando l’«insufficient management of tourism», anzi l’«absence of tourist strategy». L’assenza di un qualunque governo del turismo è uno dei problemi principali del Paese: sia da un punto di vista dello sviluppo economico (fino a quando l’Enit sarà bloccato da una paralisi che Dario Franceschini non riesce a sanare?), sia da quello della sostenibilità ambientale e sociale. Firenze va verso Venezia, dice l’Unesco: cioè verso una progressiva espulsione dei residenti, una irreversibile trasformazione in lussuoso parco a tema del passato. Il rimedio non è certo fermare il turismo, ma governarlo: indirizzandolo verso l’enorme parte del Paese che è tagliata fuori, decongestionando i feticci ormai al collasso.
Colpisce poi la critica radicale alla privatizzazione dello spazio pubblico italiano. La lettera nomina esplicitamente il luogo simbolo di piazza Brunelleschi, nel cuore di Firenze. Qua si sta per scavare l’ennesimo, inutile parcheggio: pericoloso per i monumenti (siamo a pochi passi dalla Cupola del Duomo), lesivo della piazza (che sarà ridotta a tetto di un grande silos interrato), dannoso per i residenti. Contestualmente la Rotonda di Brunelleschi, opera importantissima del padre del Rinascimento, rischia di essere venduta, magari trasformata in albergo di lusso: sarebbe l’ennesimo caso. Anche questa è una tendenza nazionale: pericolosissima dopo che lo Sblocca Italia ha estromesso il ministero per i Beni culturali dalla scelta degli immobili da alienare. Il fatto che l’Unesco si preoccupi non solo della conservazione materiale dei monumenti, ma anche della loro funzione sociale e civile dovrebbe aprire gli occhi ai molti che — in Italia — sostengono che valorizzazione significhi mercificazione: dobbiamo invertire la rotta, se non vogliamo ridurci a guardiani di un luna park altrui.
Infine, l’impatto delle Grandi Opere sul tessuto del paesaggio e delle città: l’Unesco guarda con preoccupazione al sottoattraversamento Tav e al folle sventramento del centro storico previsto per la tranvia (cui ora si aggiunge il pessimo progetto del nuovo aeroporto fiorentino). Su questi temi l’Unesco loda l’azione dei comitati (i “comitatini” sbeffeggiati da Matteo Renzi) e critica la mancanza di collaborazione del governo italiano. Se quei cittadini fossero stati ascoltati (ovunque: pensiamo alla Val di Susa, dove il Tribunale Permanente dei Popoli ha appena condannato «l’intero sistema delle grandi opere inutili e imposte»), oggi l’Unesco non dovrebbe denunciare il tramonto di Firenze. La morale è che «è sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative. Nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato». E questo non è l’Unesco, né i comitati: è l’enciclica di papa Francesco.

Riferimenti
Qui potete leggere la denuncia della Rete dei comitati e il link al documento dell'Unesco e l'ampia relazione critica dell'Icomos. che abbiamo inserito ieri su eddyburg

I sostenitori del nuovo aeroporto di Firenze chiedono che le contestazioni siano fatte su solide basi scientifiche. Perché no? Ma non si sono ...(continua a leggere)

I sostenitori del nuovo aeroporto di Firenze chiedono che le contestazioni siano fatte su solide basi scientifiche. Perché no? Ma non si sono accorti della mole di dati e osservazioni scientifiche che il mondo accademico ha già prodotto e messo a disposizione. Ricordiamoli allora questi dati, perché il nuovo aeroporto di Firenze non è un intervento qualsiasi: inciderà infatti fortemente sulla salute e la sicurezza degli abitanti e modificherà le condizioni di vita nella Piana e nei comuni limitrofi. Ecco alcune delle numerose osservazioni al progetto:

1) non è definitivo, come richiede la legge, ma solo un Master Plan;
2) la pista di 2400 è difforme rispetto ai 2000 metri previsti dalla pianificazione regionale, e perciò sono altrettanto difformi le modifiche al reticolo idraulico e alla viabilità;
3) il progetto non valuta adeguatamente l'efficienza del nuovo sistema di smaltimento delle acque alte e basse ed è da dimostrare il non aggravio delle attuali condizioni di rischio idraulico;
4) non sono stati valutati gli effetti cumulativi dell'inquinamento provocati dall'esercizio contemporaneo dell'aeroporto e del termovalorizzatore di Case Passerini, altra opera di cui si prevede tra breve la realizzazione.

Sono solo alcune delle segnalazioni di criticità e carenze del progetto che provengono non da 'comitatini' o da 'gufi', ma dal Nucleo di valutazione di impatto ambientale della Regione Toscana e dall'Università di Firenze. È bene riportare le conclusioni del documento dell’Ateneo fiorentino: "Si ritiene che, già sin d’ora, nella procedura di valutazione dell’impatto ambientale relativa al progetto siano rilevabili evidenti profili di illegittimità tali da giustificare un parere negativo da parte dell’Autorità competente". Evidenti profili di illegittimità: non si tratta di bazzecole, se dall'Università, quindi in sede scientifica, viene segnalata addirittura “la carenza degli elaborati rispetto al rischio di catastrofe aerea”.

In un paese normale, in cui leggi e procedure fossero rispettate, la Commissione VIA chiederebbe integrazioni al progetto, sospendendone l'iter autorizzativo fino a che non fossero superate le criticità evidenziate. Viceversa, sembra che la strategia sia di approvare il progetto così come è, rimandando le eventuali modifiche alla fase esecutiva dove i controlli sono praticamente impossibili. Così è stato fatto per la Tav nel Mugello, con le conseguenze che tutti conosciamo: sarebbe una vera iattura se altrettanto si facesse per il nuovo aeroporto di Firenze. È doveroso, perciò, che il progetto, in questa fase non definitiva, sia portato a conoscenza delle popolazioni interessate da un soggetto 'super partes' e sottoposto a dibattito pubblico o a una forma ampia ed effettiva di partecipazione: così si era impegnata la Regione Toscana che ora sembra dimenticare quanto prescritto nella variante al Pit che ha dato il via all'aeroporto (con pista – ricordiamolo - di 2000 metri). Un comportamento che non ispira fiducia nelle istituzioni rappresentative e cui, si spera, il Presidente Rossi vorrà ovviare mantenendo fede alle proprie determinazioni.

Infine, un'ultima considerazione: nella mole dei documenti, ancorché incompleti, presentati dal proponente ne manca uno fondamentale: uno studio serio e approfondito sui vantaggi e i costi del nuovo aeroporto. Finora sono stati prodotti dall'IRPET due documenti: uno contiene un algoritmo, mutuato dalla letteratura internazionale, che correla passeggeri con occupazione diretta e indotta per l’area interessata, come se tutte le situazioni, New York o Peretola, fossero uguali! L'altro si limita a dire che, col nuovo aeroporto vi sarà un risparmio di tempo per i viaggiatori diretti a Firenze (circa 20 minuti rispetto a Pisa). Veramente troppo poco! Ma cosa importa. Adf conosce benissimo i propri vantaggi e perciò, insieme alla maggior parte della stampa, a tutti i politici o quasi, ripete che il nuovo aeroporto porterà "lo sviluppo". Quale e per chi non viene detto. Ma noi lo sappiamo benissimo: soldi per il privato, magari con qualcosa che finirà in tasca ai politici. Sviluppo del rischio idraulico, dell'inquinamento, del rumore e dei sorvoli su Firenze. Ma cosa importa! Basta per mettere a tacere i gufi, l'Università e qualche Comune dissidente. E se poi il progetto incompleto e sbagliato costerà il doppio, cari contribuenti preparatevi a contribuire.

«A Sesto Fiorentino, un comune di 50.000 abitanti alle porte di Firenze, sta andando in scena la crisi della post-democrazia italiana». La Repubblia, blog "Articolo 9", 10 luglio 2015

Nel maggio del 2014 è stata eletta sindaco Sara Biagiotti, già dimenticabile assessore al turismo del Comune di Firenze e componente del più stretto cerchio magico di Matteo Renzi. Ad un anno di distanza la maggioranza dei consiglieri comunali (compresi otto del suo partito, il Pd) ha presentato una mozione di sfiducia: salvo ripensamenti e abiure, il sindaco cadrà e si andrà al commissariamento e alle elezioni.

I giornali fiorentini hanno parlato di un Renzi furente, e in effetti il Pd toscano ha subito minacciato scomuniche ed espulsioni: «Anche perché la democrazia è fatta di regole e all’interno del nostro partito comportamenti come questi sono espressamente sanzionati». Si fa davvero fatica a comprendere: la procedura seguita dai consiglieri è perfettamente regolare, e la legittimazione democratica di un sindaco non è certo maggiore di quella dei consiglieri eletti con lui nelle stesse urne. E usare le sanzioni di partito per coartare la libertà degli eletti dal popolo è un riflesso condizionato che appartiene al peggio del nostro passato. Un passato che non passa: perché è sempre più evidente che si scrive Partito della Nazione ma si legge Nazione del Partito. E dunque il punto non è chi abbia ragione e chi abbia torto nel merito, cioè chi stia facendo davvero l'interesse di tutti: il punto è l'affermazione del principio di autorità e di quello di appartenenza.

Ma la cosa veramente interessante di questa storia della provincia italiana, nonché la ragione per cui occuparsene in un blog intitolato all'articolo 9 della Costituzione, è il motivo per cui i consiglieri sfiduciano la Biagiotti. Essi sostengono – a ragione – che la sindaco stia imponendo due infrastrutture di rilevo regionale, ma dalle ricadute pesantissime sull'ambiente e sulla salute dei cittadini di Sesto, e che lo stia facendo non perché convinta della loro bontà, ma semplicemente perché quella era la precisa missione con cui Renzi l'ha inviata a Sesto. Un punto di vista peraltro confermato anche da parte renziana, visto che il sindaco di Firenze Dario Nardella ha appena dichiarato: «Sara non è sola. Ha tutte le istituzioni dalla sua parte - ha sottolineato - vada avanti per un progetto di sviluppo per tutta l'area metropolitana che porta occupazione e finalmente ci consente di uscire da polemiche che vanno avanti da trent'anni e da trent'anni tengono congelato il territorio».

Ebbene, queste infrastrutture sono un inceneritore di rifiuti e l'ampliamento dell'aeroporto di Firenze. Nel primo caso, i Medici per l’Ambiente, sezione di Firenze, e Medicina Democratica di Firenze hanno chiesto di «sospendere sine die, l'iter per la costruzione dell'inceneritore di Case Passerini, nel Comune di Sesto Fiorentino perché siste una corposa letteratura scientifica prodotta in oltre 40 anni, ribadita dallo studio Moniter del 2007 e ripresa dalla Asl 10 Firenze, in relazione a microinquinanti indicati come più pericolosi tra quelli prodotti dalla combustione dei rifiuti, quali diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), metalli pesanti (cadmio, arsenico, berillio, nickel) e polveri ultrafini. La popolazione che vive e/o lavora nei pressi degli inceneritori, anche se di ultima generazione, è esposta ad una maggior incidenza di tumori, ad alterazioni degli esiti riproduttivi umani (maggior incidenza di aborti spontanei, di nati pretermine e di basso peso), a contaminazione della catena alimentare. Dai camini vengono emesse sostanze cancerogene che sono comunque pericolose anche se a basse dosi, anche se entro i limiti di legge, anche per le future generazioni, perché epigenotossiche, cioè trasmissibili da una generazione all’altra. Gli inceneritori producono enormi quantità di scorie, ceneri e fanghi contenenti sostanze cancerogene. Questi rischi sono assolutamente ingiustificati in quanto esistono tecniche di gestione dei rifiuti alternative alla combustione, già ampiamente sperimentate e prive di effetti nocivi».

Il caso, annoso e complesso, dell'assurdo aeroporto di Firenze è invece perfettamente illustrato da questo articolo da Ilaria Agostini, un'urbanista dell'Università di Bologna, attiva nel laboratorio fiorentino di perUnaltracittà, un articolo riassunto nel cartello qui a fianco.
E l'inconsistenza della sguaiata risposta del regista dell'operazione aeroporto – Marco Carrai: l'alter ego di Renzi – dimostra in modo lampante la fondatezza degli argomenti della professoressa Agostini.

A me pare che se, dopo un anno, la maggioranza dei consiglieri comunali ritiene che la sindaco non sia in grado di garantire l'interesse pubblico e il bene comune di Sesto Fiorentino in due casi così sensibili e importanti, quella maggioranza non solo ha il diritto, ma soprattutto ha il dovere, morale e politico, di sfiduciarla.

Perché la democrazia non è la partitocrazia. O, almeno, non ancora del tutto.

Un'analisi veloce ed efficace delle politiche e della gestione della città di Firenze, che da anni gioca un ruolo di laboratorio sperimentale per il grande cantiere nazionale di rottamazione della civiltà delle città e del territorio. La città invisibile, 11 maggio 2015

Il Piano Strutturale fiorentino e l’appena approvato Regolamento Urbanistico, in linea con la gestione delle città globali, rispecchiano il paradigma neoliberista che vuole l’1% arricchito sulle spalle del 99%. Paradigma che spazialmente produce un “centro” (un luogo di potere) sempre più piccolo e fortificato, e “periferie” sempre più grandi e lontane dai luoghi della politica [1].

La politica neoliberista produce una polarizzazione delle risorse economiche nell’1% dello spazio urbano, tirato a lucido. L’esempio più classico è quello della via Tornabuoni e della sua recente riqualificazione di segno renziano: la realizzazione del nuovo volto del salotto cittadino viene finanziata con debiti a lunga scadenza che rompono il patto generazionale (nel progetto, i previsti “sbuffi di profumo” sono evitati grazie all’opposizione in consiglio comunale). Ma rientrano nella stessa logica anche:

- i parcheggi interrati, funzionali all’1% della popolazione e alla trasformazione borghese (gentrificazione) dei quartieri storici, che si realizza attraverso la formula: rinnovamento dei settori urbani = rinnovamento dei residenti;
- i servizi pubblici mercificati e privatizzati che drenano enormi ricchezze sono un altro aspetto della detta polarizzazione: forniscono servizi peggiori ai cittadini più “periferici” mentre costituiscono uno dei favoriti «finanziamenti occulti della politica» (P. Berdini).

Gestire la città secondo i principi neoliberisti, comporta lo svuotamento di senso pianificatorio di progetto, di disegno del PS e RU, che eludono la materia, girano intorno ai temi fondanti senza mai stringere; zeppi di proclami ma vuoti di strumenti/soluzioni/idee/progetti che possano veramente contribuire al governo della città o a disegnare la città futura. I due atti urbanistici ripetono come un mantra la triade mixité sociale-governance-sviluppo sostenibile. Triade che, valida per lenire tutti i mali della città globale, si declina localmente in:
1) “mix di funzioni”, ripetuto incessantemente, ma che sarà il privato a determinare poiché il RU abdica alla determinazione degli usi della città;
2) pseudo-partecipazione, risolta nella farsa dei facilitatori del consenso;
3) ammiccamenti a una “natura in città” in disegnini a margine dell’articolato (quando poi è previsto, tra l’altro, la copertura del canale Macinante con una strada a quattro corsie che, come una vecchia “penetrante”, condurrà i cosiddetti “city users” dall’aeroporto fino al cuore del consumo turistico).

Inutile sottolineare il ricorso asfissiante alla metafora della smart city: la città intelligente che, come un automa, si autoregolerebbe buttando al macero urbanisti e piani. E poi, le politiche del “brand” messe in atto in una logica di competizione internazionale tra città, che si risolvono:
- nella mercantilizzazione della città e della sua immagine. Pro domo sua (del sindaco) ovviamente: l’affitto del Ponte vecchio ad un sodale politico, prima dell’arrampicata a palazzo Chigi, passa come atto di normale amministrazione;
- e nella logica degli eventi, ognuno singolarmente, ognuno alienato dal contesto: la pedonalizzazione di piazza del Duomo e la cantierizzazione tuttora irrisolta del servizio di trasporto pubblico che prima vi transitava, ne sono l’emblema.
Vediamo quali sono i caratteri della città dell’1%, del centro (o centri), delle eccellenze. Tutto si gioca sull’espulsione/occultazione alla vista dei residenti. Il centro da offrire ai media come immagine del successo del sindaco, o della riuscita della città nella competizione mondiale (le città competitive...), deve essere sterilizzato: via le persone, via i mercati e anche le macchine (oggi – è duro ammetterlo – l’espulsione si attua anche attraverso la pedonalizzazione, in specie se non seguita da buon servizio di mezzi pubblici).

Progetti, politiche e misure sono quindi mirate ad eliminare dagli spazi pubblici la presenza fisica (o prendendo a prestito dal lessico femminista, i corpi e le pratiche). Soprattutto la presenza fisica attiva, della cittadinanza che si autodetermina. È significativo in tal senso il mercato centrale trasformato in una batteria di ristorantini bobó (bourgeois bohémiens), nel cuore di un quartiere che avrebbe invece un bisogno impellente di luoghi di assemblea e di riunione. La città di Renzi-Nardella è sempre più avara di sale per riunioni pubbliche (viene in mente la trasformazione della sala Est-Ovest di palazzo Medici Riccardi, trasformata in galleria di passaggio da un Renzi allora ventenne presidente provinciale).

La città pubblica (lo spazio urbano, le strade, le piazze) è interpretata e gestita come proprietà privata, come prodotto da valorizzare nel senso più feroce del termine, anche con i metodi più classici della produzione capitalista. Perciò procede senza arresto la vendita/svendita del patrimonio pubblico, patrimonio che, come da anni avverte Paolo Maddalena, costituisce l’osso della società civile, la speranza per la sua rifondazione civile. La vendita a Firenze stenta a decollare, il maggior aquirente è una connivente Cassa Depositi e Prestiti Spa, e assume i toni grotteschi dell’operazione “Florence, city of the oppurtunities” nella quale il sindaco Nardella si trasforma in piazzista (di edifici pubblici, ma anche privati) presso le fiere internazionali della speculazione immobiliare. Se ciò da un lato rappresenta la delega al privato del disegno della città, dall’altro è la parodia di un governo della città che si sovrappone al mercato immobiliare, e con esso coincide.

Il valore d’uso dello spazio è, in quest’ottica, l’ultimo elemento ad esser preso in considerazione nel piano e nelle trasformazioni urbane. Potremmo dire che anzi non viene preso in considerazione. Le centinaia di schede del RU lasciano, edificio per edificio, aperte tutte le possibilità al mercato. L’esempio che pare più espressivo è quello della scheda dell’area su cui ora insiste il centro sociale autogestito “nextEmerson”, e per la quale il RU presenta già un rendering con villette a schiera sul sedime della fabbrica da demolire. L’urbanistica neoliberista cala la maschera: nel voler cancellare un’esperienza pluridecennale di pratiche di appropriazione collettiva e di uso di un luogo oggi appetito, mostra le sue fattezze autoritarie. La legalità del piano urbanistico nega la legittimità di un uso pluridecennale a servizio di un quartiere di periferia povero di spazi di aggregazione.

Nelle aree periferiche la risposta risiede inoltre nell’adozione di soluzioni securitarie: l’illuminazione carceraria (via Palazzuolo-via Panicale) e le videocamere periferizzano anche alcuni settori della Firenze duecentesca.

Nel corso del lavoro collettivo di lettura e interpretazione dei documenti del piano, come laboratorio politico abbiamo più volte denunciato che il PS non ha un’idea di città, che cioè non ha un’idea condivisibile di città. Perché la sua idea invece l’ha, e ben chiara: quella di una città mercantil-proprietaria in cui prolifera l’individualismo.
Ci chiediamo invece se è ancora possibile progettare una città della gioia, una città felice. Quali sono le vie da percorrere? Come intraprendere la formazione di nuova comunità, che dia spazio al mutualismo, ma anche al conflitto? Come rafforzare le comunità possibili, ricostruire il legame sociale indebolito?

È sicuro che vanno nella direzione opposta i parcheggi (che esasperano l’uso dei mezzi individuali), il “banchetto infrastrutturalista” del PS e le grandi opere (che sottraggono risorse alla cittadinanza).

Tantomeno è risolutiva l’ultima chicca dell’amministrazione che si impegna a «valutare entro 3 mesi dall’entrata in vigore del Regolamento Urbanistico la possibilità di istituire un Registro dei Crediti edilizi finalizzato alla commercializzazione degli stessi, così come richiesto dalla Consulta Interprofessionale di Firenze» (delibera 27 marzo 2015). Insomma, un’accelerata (con i metodi della speculazione finanziaria, del mattone di carta) verso l’ “urbanistica tossica” che crea titoli e crediti, che nega il futuro, che relega a periferia il 99% della popolazione e del territorio urbano e rurale, per molti anni a venire.

Ecco, non è questa la nostra idea di città


[1] Intervento letto all’assemblea della “ReTe deicomitati per la difesa del territorio”, Firenze, 9 maggio 2015. Corre l’obbligo diricordare un bel convegno romano, appena svoltosi, organizzato dal corso didottorato diretto da Enzo Scandurra (La Sapienza) col titolo Gli angeli non abitano più qui, in cui siè discusso sulla permanenza – oggi – del binomio dialettico centro-periferia esul dilagare del modello periferico anche nel centro città: da quel consessonascono alcune delle considerazioni che seguono.

Il capolavoro del nuovo regolamento urbanistico sta nell'aver accontentato tutti i portatori 'interesse (speculativo) spogliando al tempo stesso la pianificazione d'ogni senso pianificatorio. La città invisibile, 4 marzo 2015

L’approvazione del regolamento urbanistico di Firenze si approssima. Lo zelo con cui è stato redatto è strumentale – ma non ci meravigliamo – ad appetiti minori distribuiti qua e là sul territorio comunale. Il capolavoro consiste però nell’averlo spogliato di senso pianificatorio.

Da una parte, il sindaco arrampicatore aveva fatto partire nel 2011, in variante con piroetta, le grandi aree industriali dismesse sulle quali avrebbe dovuto concentrarsi il disegno condiviso della città futura (Manifattura tabacchi etc.). Dall’altra, i nodi cruciali del piano vengono semplicemente elusi: nessuna vincolante destinazione d’uso, nessun disegno organico per i grandi contenitori, tutti, o quasi, in vendita. Anzi, il sindaco in sedicesimo si arrabatta per trovare acquirenti dal potere taumaturgico. Ma, è bene ricordarlo, per ora solo la Cassa Depositi e Prestiti, società per azioni private con soldi pubblici – sai che bravura – ha comprato al banco della Renzi-Nardella, con puntualità svizzera a trarre in salvo i bilanci comunali.

Che poi il regolamento sia a indici edificatori zero sulle aree rurali (le poche rimaste…) è merito della legge urbanistica regionale di nuovo varo, la 65/2014 che impedisce ogni ulteriore impegno di suolo fuori dalle aree urbanizzate. Dentro alle aree urbanizzate invece gli indici salgono: una coriandolata di concessioni, di edifici che volano e atterrano (i posteri potranno giudicare che risultati darà poi questa norma cervellotica), di premialità fino al 30% sul volume, di parcheggi interrati e a raso, di impianti sportivi.

Avremmo voluto vedere invece un piano a indici edificatori negativi, che annullava vecchie concessioni (area Castello) o nuove inutili edificazioni in luogo di volumi dismessi: chi mai ha sancito che una volumetria concessa a fini produttivo-sociali (fabbriche, opifici etc.) debba trasformarsi automaticamente in appartamenti o in supermercati? Dove sta scritto che, nell’interesse comune, il Panificio militare ad esempio debba mutarsi in centro commerciale anziché in giardino pubblico?

Ma l’interesse comune viene dopo quello particolare: è questo il senso precipuo dell’approvando regolamento, utile forse alla sola normale amministrazione. Per i grossi appetiti le regole evidentemente stanno altrove.

Ilaria Agostini, urbanista, è attivista del laboratorio politico perUnaltracittà

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Il sindaco di Firenze a fine mese sarà in Cina, poi a Cannes. "Possiamo mettere in moto 1,5 miliardi di investimenti". Saranno consentiti fino al 20% di ampliamenti delle superfici degli immobili trasferiti. La Repubblica - Firenze, 9 settembre 2014.

Fai investimenti immobiliari a Firenze? Palazzo Vecchio ti agevola sulle tasse locali: sconti o addirittura esenzioni sulla Tasi e l'Imu. E se la montagna non va a Maometto, ci penserà Maometto ad andare alla montagna, giura il sindaco Dario Nardella reduce da un giorno a Monaco di Baviera all'Expo Real, la più grande fiera internazionale del Reale estate, dove si è presentato insieme al super manager Giacomo Parenti con un pacchetto di 60 tra immobili e aree su cui investire a Firenze: "Io d'ora in poi andrò ovunque a promuovere la città: a fine mese sarò in Cina, poi a Cannes. Abbiamo l'opportunità di mettere in moto la più grande operazione immobiliare degli ultimi 150 anni: un miliardo e mezzo di investimenti possibili, 60 milioni di euro di oneri d'urbanizzazione per il Comune, 10 mila posti di lavoro. Un'occasione da non perdere", sogna ad occhi aperti Nardella.

E' di fatto l'inizio di una nuova stagione per Palazzo Vecchio. Anche negli anni della grandeur renziana solo una vendita è andata a segno, quella del teatro comunale di Corso Italia, comprato dalla Cassa depositi e Prestiti ma tuttora in cerca di un futuro, visto che un progetto (e un investitore) ancora non c'è. Per il resto, aste deserte su immobili pubblici (palazzo Vivarelli Colonna) e operazioni immobiliari private o miste al palo in molte zone della città: da viale Belfiore alla Manifattura Tabacchi. E così ora via alla caccia spietata all'investitore. Prima con le armi della seduzione: «Nel prossimo bilancio sgravi fiscali per attrarre investimenti», annuncia Nardella. Se non basta l'idea del sindaco è quella di andare lì dove gli affari si muovono: "Nardella Real Estate", già lo prendono in giro i suoi.

Va proprio in questa direzione il corposo dossier di opportunità di investimento che il sindaco ha illustrato martedì a Monaco a imprenditori, fondi d'investimento, consoli e uomini di Stato: dall'exManifattura Tabacchi all'area delle ex Officine grandi riparazioni fino al complesso Lavagnini e alla Querce, che potrebbe trasformarsi in un albergo di lusso. E poi ancora la Cassa di risparmio di via Bufalini, palazzi in via di Quarto a Careggi, il convento cappuccino di via dei Massoni, Poggiosecco. Nardella ha proposto di tutto, palazzi enormi, vecchi depositi del tram, ville, l'ex tribunale di San Firenze, persino l'immobile con l'arco di piazza Repubblica.

Anche beni privati con iter urbanistici avanzati: "Ci siamo fatti dare una liberatoria", spiega il sindaco. "Molti interessamenti da parte di gruppi alberghieri", si lascia solo sfuggire Parenti. Per il resto trattative top secret. «Tutti sono beni su cui c'è certezza dell'investimento, consentiamo di ampliare fino al 20% la superficie della trasformazione per gli immobili trasferiti”, rivendica l'assessora all'urbanistica Elisabetta Meucci. Nella top 5 dei beni più gettonati: l'ex Telecom di via Masaccio, il teatro Comunale, la Manifattura Tabacchi, le ex officine Grandi riparazioni dietro la Leopolda, il palazzo Vivarelli Colonna, il "palazzo del sonno" delle Ferrovie in viale Lavagnini. Una volta a Monaco Nardella non si è fatto sfuggire l'occasione di una visita all'Allianz Arena, lo stadio del Bayern: "E' pensato per le famiglie: mi piacerebbe averne uno così a Firenze".

Uno scenario . La città come motore di sviluppo della Toscana, crocevia e nodo propulsore di un progetto di riequilibrio e valorizzazione regionale. Una integrazione dell'analisi di Ilaria Agostini. Il manifesto, 3 aprile 2014
Il futuro di Firenze dipende, come nei pre­ce­denti illu­stri della città rina­sci­men­tale e lore­nese, da quale ruolo stra­te­gico intende attri­buirsi rispetto alla «sua» città metro­po­li­tana e alla regione toscana.

In par­ti­co­lare nel periodo lore­nese Firenze ebbe un ruolo di cen­tro motore di un grande pro­getto di infra­strut­tu­ra­zione del ter­ri­to­rio regio­nale (boni­fi­che, strade, porti, popo­la­mento, valo­riz­za­zione delle comu­nità locali…) imple­men­tan­done il carat­tere for­te­mente poli­cen­trico, senza ampliare il sistema urbano cen­trale. È l’economista Gia­como Becat­tini a ricor­darci che oggi «un passo avanti nell’impostazione cor­retta dell’intervento pub­blico sul ter­ri­to­rio può esser rap­pre­sen­tato da un ripen­sa­mento siste­ma­tico delle “Rela­zioni sul governo della Toscana” di più di due secoli fa» (La lezione di Pie­tro Leo­poldo, www .socie ta dei ter ri to ria li sti .it). Quale può essere dun­que il pro­getto stra­te­gico di Firenze oggi?

Riprendo uno sce­na­rio che veda Firenze svi­lup­pare i suoi ruoli di ser­vi­zio, coor­di­na­mento, pro­mo­zione di un modello regio­nale di svi­luppo poli­cen­trico, fon­dato innan­zi­tutto sulla riqua­li­fi­ca­zione in chiave bio­re­gio­nale del sistema metro­po­li­tano Firenze-Prato-Pistoia, (piana, valli appen­ni­ni­che e col­line che ne con­no­tano l’identità di lunga durata: una col­lana di «perle» urbane affac­ciate sull’antico lago plei­sto­ce­nico, testate di sistemi val­livi pro­fondi). È una visione di città metro­po­li­tana come fede­ra­zione soli­dale di città, riaf­fac­ciate sull’Arno e sui suoi affluenti e sul grande parco agri­colo multifunzionale.

Que­sta fede­ra­zione urbana fio­ren­tina lan­cia «umil­mente» a Pisa, Lucca, Massa, Livorno, Siena, Arezzo e Gros­seto e via via alle città d’arte minori una pro­po­sta di rete soli­dale che tra­sformi Firenze in cro­ce­via e nodo pro­pul­sore di un pro­getto di rie­qui­li­brio e valo­riz­za­zione regio­nale che veda:
- la valo­riz­za­zione delle iden­tità dei sistemi ter­ri­to­riali e pae­sag­gi­stici locali entro un con­te­sto rela­zio­nale for­te­mente mul­ti­po­lare, fon­dato sugli equi­li­bri ambien­tali, sociali, pro­dut­tivi e cul­tu­rali di cia­scun sistema locale e sulle reti poli­cen­tri­che (mate­riali e imma­te­riali) di pic­cole e medie città: il sistema a rete dei poli uni­ver­si­tari «ter­ri­to­ria­liz­zati» fa da bat­ti­strada all’elevamento del rango gerar­chico delle città stesse;
- l’investimento nelle aree interne per pro­getti di ripo­po­la­mento rurale dell’alta col­lina, della mon­ta­gna degli entro­terra costieri, base sociale e pre­si­dio di nuovi equi­li­bri socio-produttivi, idrau­lici, eco­lo­gici, ener­ge­tici, nel con­te­sto di una con­ver­sione eco­lo­gica dell’economia a supe­ra­mento del modello inse­dia­tivo che ha pro­dotto, con il domi­nio del cen­tro regio­nale, aree peri­fe­ri­che e marginali;
- il blocco del con­sumo di suolo agri­colo che, entro un nuovo patto fra città e cam­pa­gna, può con­sen­tire stra­te­gie di rie­qui­li­brio idro­geo­mor­fo­lo­gico, eco­lo­gico, inse­dia­tivo; nuove fron­tiere dell’agricoltura nella pro­du­zione di cibo per le città e di ser­vizi eco­si­ste­mici; la chiu­sura locale dei cicli dei rifiuti, dell’alimentazione, dell’acqua e dell’energia.

Firenze capi­tale, sede della Regione, può gui­dare que­sto pro­getto dando l’esempio:
- riat­ti­vando la città sto­rica con fun­zioni e atti­vità di ter­zia­rio avan­zato con­nesse alla con­ver­sione pro­dut­tiva del sistema regio­nale e alla qua­lità dell’abitare, fer­mando gli effetti distrut­tivi della iden­tità urbana da parte della disney­land turistico-finanziaria-immobiliare;
- ridi­se­gnando i con­fini della città metro­po­li­tana e dei suoi cen­tri urbani attra­verso la valo­riz­za­zione mul­ti­fun­zio­nale del suo parco agri­colo in riva destra dell’Arno (Firenze-Prato) e svi­lup­pando quello in costru­zione in riva sini­stra (Firenze-Lastra a Signa); e avviando pro­getti di riqua­li­fi­ca­zione, riuso e rici­clo delle peri­fe­rie e dei loro mar­gini, verso una città di vil­laggi urbani ad alta qua­lità abi­ta­tiva, eco­lo­gica e energetica;
- atti­vando la riqua­li­fi­ca­zione del sistema dell’Arno e dei suoi affluenti nelle loro fun­zioni frui­tive, eco­lo­gi­che, pro­dut­tive, agri­cole, turi­sti­che, in stretta con­nes­sione con i par­chi agri­coli rivieraschi;
- valo­riz­zando il sistema mul­ti­po­lare di città affac­ciate sulla piana, di valli pro­fonde, di nodi oro­gra­fici, in grado di supe­rare il degrado del modello centro-periferico dell’urbanizzazione recente;
- pro­du­cendo un sistema di tra­sporti al ser­vi­zio della mobi­lità della città metro­po­li­tana poli­cen­trica con­nesso al pro­getto di mobi­lità dolce della piana (ivi com­presa la navi­ga­bi­lità «leg­gera» dell’Arno fra Firenze e Pisa); e con la rivi­ta­liz­za­zione del sistema fer­ro­via­rio metro­po­li­tano e delle fer­ro­vie regio­nali minori, inve­sten­dovi i capi­tali rispar­miati con una solu­zione di super­fi­cie dell’alta velocità;
- poten­ziando gli accessi da Firenze ai sistemi aereo­por­tuali di Pisa e di Bolo­gna, con­te­nendo il ruolo del city air­port fiorentino;
- sot­to­po­nendo infine a dibat­tito pub­blico e a pro­cessi par­te­ci­pa­tivi capil­lari e per­ma­nenti la pro­pria tran­si­zione urba­ni­stica e socioe­co­no­mica a una visione di bio­re­gione urbana.

La città metro­po­li­tana così con­ce­pita, riqua­li­fi­cando in senso demo­cra­tico e fede­ra­tivo la pro­pria magni­fi­cenza civile (con­tro i gio­chi in atto che vedono Firenze alla con­qui­sta gerar­chica del ter­ri­to­rio metro­po­li­tano), può aspi­rare a dive­nire motore di svi­luppo del futuro della Toscana, pro­muo­vendo modelli inse­dia­tivi vir­tuosi nelle aree ex peri­fe­ri­che e mar­gi­nali della regione; modelli dei quali essa stessa si pro­pone come esem­pli­fi­ca­zione di eccellenza

Prosegue l'analisi del manifesto sulle cittàitaliane. Dopo Milano (7 febbraio), Sassari(13 febbraio), Venezia (20febbraio), Napoli (27 Febbraio), Avellino (6 marzo), Bologna (13 marzo),Parma (20 marzo 2014) eccoci a Firenze, trent’anni dopo la telefonata diOcchetto che tentò di bloccare la speculazione contrattata sull’areaFiat-Fondiaria. 3 aprile 2014

Due avve­ni­menti segnano il capo e la coda di un quin­di­cen­nio di tran­quilla urba­ni­stica fio­ren­tina: la tele­fo­nata del segre­ta­rio di un Pci in fase di auto­de­mo­li­zione - Achille Occhetto - che bloc­cava la grande, tut­tora irri­solta, espan­sione occi­den­tale di Castello (1989); e il rece­pi­mento, negli anni 2000, del trac­ciato urbano dei 7 km sot­ter­ra­nei dell’alta velo­cità fer­ro­via­ria. Nella seconda giunta Dome­nici (2004–2009) la pia­ni­fi­ca­zione entra nella fase di risve­glio, per assu­mere poi spe­ci­fici con­no­tati, dal valore di prova in vitro per l’urbanistica penin­su­lare avvenire.

Ripor­tando in auge il vec­chio piano attua­tivo, Leo­nardo Dome­nici (Ds poi Pd), di con­certo con l’assessore Gianni Biagi, imba­sti­sce nel 2005 l’affaire Castello, patto tra gen­ti­luo­mini stretto e cele­brato con Sal­va­tore Ligre­sti. Un milione e 400mila metri cubi di cemento nella piana a nord-ovest della città, a ridosso dell’aeroporto, in ter­reni acqui­tri­nosi poco appe­ti­bili e per­ciò da desti­nare a ser­vizi pub­blici: oltre alla ciclo­pica caserma dei Cara­bi­nieri e alla sven­tata Cit­ta­della dello Sport (ora alla Mer­ca­fir), spicca nel pro­getto un polo didat­tico voluto dalla Pro­vin­cia, allora gover­nata da un pro­met­tente Mat­teo Renzi. Il sin­daco Dome­nici, lavo­rato ai fian­chi dalla lista di cit­ta­di­nanza per U­nal­tra­città e indi­cato presso il grande pub­blico da Repub­blica, in segno di pro­te­sta si inca­te­nerà sotto la sede romana dell’Espresso.

La caduta verso la gene­rale dere­go­la­zione acce­lera: in Regione Toscana l’urbanistica è nelle mani dell’assessore Ric­cardo Conti, pas­sato alla cro­naca (anche) per le cari­che con­tem­po­ra­nea­mente rive­stite di respon­sa­bile infra­strut­ture del Pd e di con­si­gliere di ammi­ni­stra­zione della F2I, il fondo spe­cia­liz­zato in inve­sti­menti in infra­strut­ture gui­dato da Vito Gam­be­rale. L’ordine degli archi­tetti si alli­nea: il pre­si­dente è a capo della pluri-indagata società Qua­dra Pro­getti, com­po­sta da archi­tetti e costrut­tori, con un con­si­gliere Pd in qua­lità di socio occulto, secondo l’accusa. Nel 2009, come ultimo atto con­si­liare viene ten­tata l’approvazione del Piano Strut­tu­rale (ovvero della parte stra­te­gica del Prg). Il piano Dome­nici non è un lavoro di qua­lità; la con­te­sta­zione cit­ta­dina ai piedi di Palazzo Vec­chio ne accom­pa­gna la déba­cle: man­cano i numeri della mag­gio­ranza e il Piano Strut­tu­rale è ritirato.

Tra 2009 e 2010 il governo del ter­ri­to­rio passa di mano. È eletto sin­daco Mat­teo Renzi (Mar­ghe­rita poi Pd); nomi­nata asses­sore regio­nale al ter­ri­to­rio Anna Mar­son, accolta con favore dai comi­tati; nel frat­tempo, a colpi di peti­zioni degli iscritti, l’ordine degli archi­tetti si rinnova.

Renzi, a dispetto dell’ammirazione pro­cla­mata urbi et orbi per La Pira (che, detto per inciso, aveva affi­dato la ste­sura del Prg a Edoardo Detti, urba­ni­sta di rico­no­sciute qua­lità), trat­tiene ad inte­rim l’assessorato all’urbanistica, e riparte da zero. Il nuovo Piano Strut­tu­rale, appro­vato nel 2011, allude ai temi disci­pli­nari che pun­tual­mente elude, e si pone in una dimen­sione extra­pia­ni­fi­ca­to­ria. Vediamo come.

L’abilità comu­ni­ca­tiva del primo cit­ta­dino adotta e con­so­lida tele­vi­si­va­mente lo slo­gan dei «volumi zero», smen­tito dai grandi volumi fatti par­tire in variante al Prg, non­ché dal milione e passa di metri cubi di Castello (ora pro­prietà Uni­pol) dati per già edi­fi­cati e non ricon­trat­tati. E dalla grande cemen­ti­fi­ca­zione che dà l’assalto al sot­to­suolo: sta­zione e tun­nel Tav, dieci par­cheggi inter­rati nelle piazze sto­ri­che, tram sot­ter­ra­neo sotto il cen­tro città, «pas­sante urbano» nelle col­line costi­tui­scono il ban­chetto per impren­di­tori pri­vati a cui di fatto viene deman­data la tra­sfor­ma­zione urbana.

Il piano è ridu­ci­bile a un coa­cervo di slo­gan, privo di un’idea di città, povero di inda­gine cono­sci­tiva, cor­re­dato da eventi di pseudo-partecipazione; deli­neato nell’indifferenza di quanto si sta pre­di­spo­nendo in Regione, sia sul fronte del Parco della Piana e del Piano pae­sag­gi­stico, sia su quello nor­ma­tivo che vede la legge urba­ni­stica in piena, auspi­cata riforma. La pia­ni­fi­ca­zione fio­ren­tina pro­cede, così, in soli­ta­rio e per fram­menti, frutto di deci­sioni auto­cra­ti­che di forte riso­nanza media­tica a cui fanno seguito altre innu­me­re­voli affer­ma­zioni, con­tra­stanti e irrea­liz­za­bili, al di fuori di una pro­gram­ma­zione e di una con­di­vi­sione delle scelte. Esem­pio lumi­noso del «pia­ni­fi­car twit­tando» è la pedo­na­liz­za­zione di piazza Duomo, attuata d’autorità, senza dibat­tito in con­si­glio e senza un piano per il rias­setto del tra­sporto pub­blico arran­giato con logica di can­tiere che aumenta il disa­gio dei frui­tori, men­tre la piazza viene pri­va­tiz­zata dai «dehors» di bar e risto­ranti. In un cen­tro sto­rico esan­gue, deser­ti­fi­cato e mer­ci­fi­cato, ormai preda della spe­cu­la­zione turi­stica, l’affitto del Ponte Vec­chio alla Fer­rari passa per un atto di nor­male amministrazione.

Stante la rimar­che­vole sen­si­bi­lità del governo cit­ta­dino verso pro­prietà pri­vata, il Piano Strut­tu­rale rinun­cia alla tito­la­rità pub­blica del pro­getto sulla città chia­mando a rac­colta, con un bando di pub­blico avviso, i medio-grandi pro­prie­tari di aree in tra­sfor­ma­zione. I loro 217 pro­getti «pre­de­ter­mi­ne­ranno» il Rego­la­mento Urba­ni­stico zelan­te­mente redatto dall’ufficio tec­nico comu­nale in linea coi det­tami del prin­cipe ammic­canti alla stru­men­ta­zione finan­zia­ria (cre­diti edi­lizi in pri­mis) e adot­tato nei giorni scorsi.

In città per­si­ste tut­ta­via una tra­di­zione di labo­ra­tori cri­tici che dagli anni ‘90 vede attivo il LaPei (Labo­ra­to­rio di Pro­get­ta­zione eco­lo­gica degli inse­dia­menti) con il pro­getto par­te­ci­pato delle «4 pic­cole città sull’Arno» all’Isolotto e, ai tempi della Pan­tera, con l’ipotesi di «boni­fica ter­ri­to­riale» per l’area metro­po­li­tana impo­stata sul pro­getto eco­lo­gico social­mente pro­dotto di con­certo coi comi­tati locali. Nell’orbita del LaPei, è il recente pro­getto alter­na­tivo di sopra attra­ver­sa­mento Tav. La Comu­nità delle Piagge oppone resi­stenza in un quar­tiere povero di ser­vizi, affron­tando il dise­gno degli spazi pub­blici e il tema dell’autocostruzione per fini sociali. Rac­co­glie il testi­mone di que­ste espe­rienze il "Gruppo urba­ni­stica perU­nal­tra­città" che si ado­pera per una con­trof­fen­siva radi­cale fon­data sulla riap­pro­pria­zione degli stru­menti analitico-critici, sulle pra­ti­che urba­ni­sti­che con­di­vise e sulle rela­zioni sociali, costruita con incon­tri pub­blici, ela­bo­ra­zione di pro­getti e di testi spe­ci­fici. Il gruppo, che fa rete con le espres­sioni dell’autogestione, dell’autorecupero e della cit­ta­di­nanza attiva (San Salvi chi può, NoTun­nel­Tav, Oltrar­no­fu­turo etc.) e intesse rela­zioni con espe­rienze nazio­nali (ReTe dei comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio, GrIG, etc.), porta avanti una rifles­sione col­let­tiva sulla forma della città, sul destino dei con­te­ni­tori dismessi, sui luo­ghi della socia­lità, sul ridi­se­gno delle rela­zioni ecologiche.

Espe­rienze di con­di­vi­sione del sapere e di col­let­ti­viz­za­zione del pen­siero cri­tico, scuole disci­pli­nari e luo­ghi di spe­ri­men­ta­zione poli­tica con­vi­viali, liberi e liber­tari, que­sti labo­ra­tori arric­chi­scono il fronte di resi­stenza penin­su­lare a con­tra­sto di un’urbanistica distrut­tiva e neo­li­be­ri­sta che da Firenze viene dispie­gan­dosi nelle sue forme più «nuove».

Troppo costoso e tempi lunghi, meglio non scavare, tanto più che il bucone è marcio e l'alternativa c'è. Ma dopo le inchieste giudiziarie Renzi, il facondo sindaco di Firenze e aspirante al trono d'Italia tace, Il manifesto, 14 novembre 2013

Il "grande buco" di Firenze, il progetto di attraversamento Tav del centro storico della città, con megatunnel a doppia canna e macrostazione sotterranea, viene travolto dalle inchieste della magistratura, che evidenziano gravissimi profili di illegittimità ed illegalità amministrative, civili e penali, da parte di una "cricca" che coinvolge pesantemente non solo la governance delle ferrovie e del progetto e le imprese interessate, ma anche l'amministrazione pubblica ai diversi livelli, compresi ministeri e vertici della Regione Toscana. Tra i rilievi della procura si trovano: uso di materiali inidonei, irregolarità procedurali, forzature decisionali, reati ambientali, aggiramento delle norme dei lavori pubblici, evasioni ambientali, occultamento degli impatti, fino alla rimozione di dirigenti "scomodi", perché, facendo scrupolosamente il proprio dovere, bloccavano e impedivano i disegni di devastazione, spreco e accaparramento di risorse pubbliche da parte della "squadra".

Appare scontato che in tale quadro non ci fosse alcuna attenzione per il centro urbano di Firenze, né per il suo patrimonio artistico, culturale, ambientale e abitativo. Il sindaco Matteo Renzi, prossimo possibile dominus del Pd, nonché candidato alla premiership, che pure chiacchiera su tutto, in questo caso mantiene un rigoroso, quanto imbarazzato e clamoroso, silenzio.Movimenti e comitati, insieme agli studiosi dell'università che hanno analizzato il problema, chiedono invece con forza l'abbandono definitivo di questo progetto, «inutile e dannoso», e il ritorno a un più agevole e meno costoso passante di superficie, di cui gli stessi tecnici hanno di recente aggiornato la proposta progettuale. Lo scenario, che Giorgio Pizziolo ed altri tecnici hanno curato, è infatti molto più conveniente dal punto di vista di tempi, costi, impatto ambientale ed efficacia della realizzazione, anche rispetto all'intero sistema di mobilità urbana e metropolitana interessato.

Per avviare i lavori del «passante» fiorentino è molto più semplice e rapido rendere definitivo il progetto nuovo di sovrattraversamento, piuttosto che tentare di proseguire l'iter, interrotto di fatto dalla magistratura, di megatunnel e grande stazione sotterranea. Almeno se si vuol rispettare il criterio di «assoluta legalità» per le operazioni a venire, dichiarato dalla stessa Rfi. Come ricordato in questi giorni dall'attivissimo «Comitato No Tunnel Tav», le illegittimità ambientali, amministrative, civili e penali già emerse nell'inchiesta costituiscono solo una parte di un quadro di irregolarità assai più vasto,di cui chi ha studiato il progetto è ben consapevole. Tra le "magagne" che devono ancora emergere vi è, per esempio, l'assoluta mancanza di Valutazione d'impatto ambientale della megastazione sotterranea, per la quale il proponente tentò di spacciare per buona altra valutazione redatta per altro progetto (circostanza ammessa successivamente dai suoi stessi legali). Tra le altre questioni ancora da sollevare vi è la mancanza di nulla osta paesaggistico; e infine il fondamentale dato già emerso per cui "Monna Lisa", ovvero la fresa montata per lo scavo, è inadeguata a lavorare nel sottosuolo del centro storico fiorentino e andrebbe sostituita.

Provvedere correttamente a sanare o aggiustare tutti questi problemi significherebbe, oltre a far lievitare i costi, poter avviare i lavori non prima di un anno. Quindi si aprirebbe il problema dell'impatto dello scavo vero e proprio, mai avviato finora.

Indagando i documenti progettuali e programmatici relativi al sottoattraversamento e in generale al nodo fiorentino della linea ad alta velocità, viene confermato che la vera scelta della governance toscana e fiorentina era legata alla necessità di premiare il sistema locale con un progetto finanziariamente all'altezza di quanto si stava spendendo negli altri grandi nodi ferroviari nazionali. Se a Firenze fosse stato confermato il progetto di superficie, nell'area ci sarebbe stata un'allocazione di risorse sensibilmente minore: un progettino da 350 milioni di euro. Bisognava cambiare: Firenze pretendeva il suo vero progetto di alta velocità.

L’ultima vicenda delle città in vendita spetta a Firenze. Appena si scende dalla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella per andare verso il centro storico si passa per la piccola piazza dell’Unità d’Italia. Vi affacciano due alberghi di livello, lo storico Baglioni e il Majestic. Dalle loro finestre c’è la vista meravigliosa sul campanile e sul transetto di S. Maria. Il panorama dall’ultimo piano è – ovviamente – unico e straordinario: figuriamoci quale livello di bellezza ed esclusività si potrebbe raggiungere soprelevando gli edifici esistenti.

E quì entrano in gioco le regole e le città in vendita. Siamo nel centro storico di Firenze, uno dei più straordinari esempi della storia delle città e le regole parlano chiaro: gli edifici esistenti non possono superare l’altezza di venti metri. Quando l’hotel Baglioni chiese di poter soprelevare oltre il consentito l’ultimo piano dell’edificio per ricavarne un ancor più meraviglioso roof garden, quelle regole urbanistiche vennero invocate dalla commissione edilizia comunale che bocciò inevitabilmente la proposta. Era il 7 luglio 2011.

Ma siamo il paese dove le regole vengono aggiustate in relazione alle esigenze di chi esercita il potere e si mette in moto la potente macchina dei legulei. Nella normativa del comune di Firenze esiste un’unica eccezione: le strutture pubbliche possono – ovviamente in casi di assoluta necessità – chiedere di derogare dal divieto di soprelevazione. Ma un albergo è una struttura privata e non potrebbe avvalersi di quella possibilità. Occorre che sia “assimilata” a una struttura pubblica, e cioè che venga giudicata di pubblica utilità.

Il 26 luglio 2012 – poco tempo fa e la vicenda ha avuto eco solo per la denuncia della consigliera comunale Ornella De Zordo da sempre in prima fila nella difesa della città – una nuova riunione della commissione edilizia approva la sopraelevazione. Il trionfo dell’economia senza regole prosegue senza alcun ripensamento: a chi investe, specie in un momento di crisi economica, deve essere consentito tutto, anche di alterare il cento storico di Firenze.

C’è da chiedersi come sia possibile che chi ha espresso il parere positivo non si sia reso conto che l’eccezione approvata per il Baglioni potrà essere invocata dalla decine e decine di alberghi esistenti a Firenze, ad iniziare dall’adiacente Majestic oggi caratterizzato da un’altezza inferiore al Baglioni. Dovrebbe essere chiaro a tutti che le regole valgono fintanto che le amministrazioni pubbliche hanno la capacità di farle rispettare. Se sono proprio quelle istituzioni ad aggirarle si mette inevitabilmente in moto un processo dagli esiti imprevedibili.

Un’ultima questione. L’hotel Baglioni ha messo sul piatto della bilancia 20 mila euro (un modesto obolo) “per riqualificare la piazza”. La morale accettata dal comune di Firenze è dunque questa: siccome non ho risorse per rendere più bella e più vivibile la città, accetto che venga alterata la sua memoria storica perché posso averne in cambio soldi per finanziare opere pubbliche! E pensare che negli anni ’80 l’Italia era un fulgido esempio nel mondo per le regole che tutelavano i centri storici.

Ora c’è una sola via di uscita. Il sindaco Matteo Renzi potrebbe trovare un piccolo ritaglio di tempo nella sua nuova attività di candidato alle primarie del Pd, ricordarsi che era stato eletto per governare Firenze e cancellare la vergogna. Non ci si può candidare a governare un paese se nella propria città le regole sono poco più che carta straccia e si aggredisce la sua storia.

La replica del pm Giuseppina Mione al processo sulla urbanizzazione dell’area di Castello, nel quale sono imputati per corruzione, fra gli altri, gli ex assessori Pd Gianni Biagi e Graziano Cioni e il costruttore Salvatore Ligresti, patron di Fondiaria Sai, proprietaria dei terreni

Gli scempi compiuti in nome dell’urbanistica contrattata e la lottizzazione politica degli incarichi sono stati i temi più sottolineati nella replica del pm Giuseppina Mione al processo sulla urbanizzazione dell’area di Castello, nel quale sono imputati per corruzione, fra gli altri, gli ex assessori Pd Gianni Biagi e Graziano Cioni e il costruttore Salvatore Ligresti, patron di Fondiaria Sai, proprietaria dei terreni. Il processo si avvia alla conclusione. Altre due udienze di maggio saranno riservate alle repliche dei difensori. Il tribunale tornerà a riunirsi in aula bunker il 29 giugno e per quel giorno è prevista la sentenza.

"L’urbanistica contrattata ha rappresentato per i difensori un tema salvifico. Ci si sono gettati a capofitto", ha osservato il pm Mione. Molti avvocati hanno sostenuto che le norme urbanistiche non escludono e in alcuni casi prevedono convenzioni fra pubblico e privato. "Si è criticato aspramente il pm per la sfiducia negli accordi fra privati e pubblica amministrazione", ha replicato Giuseppina Mione: "Eh sì —ha aggiunto con una punta di ironia venata di amarezza — perché notoriamente la pubblica amministrazione italiana è forte, è un interlocutore capace di garantire l’interesse pubblico e di sottrarsi alle lusinghe corruttive. Noi siamo stati invitati a studiare il diritto amministrativo. Ed è giusto. Noi invitiamo i difensori a leggere i numerosi testi che documentano gli scempi compiuti in nome dell’urbanistica

contrattata. E chiediamo se per caso essa autorizzi i pubblici amministratori a scostarsi dal ruolo ad essi affidato dalla Costituzione, che è quello di rappresentare e difendere l’interesse pubblico. In questa vicenda urbanistica l’interesse pubblico è stato la stella polare per gli amministratori? La risposta per il pm è no. I difensori sostengono che l’assessore Biagi voleva una cosa bella, voleva che in quell’area sorgesse un mix di funzioni. In realtà ha fatto esattamente il contrario. Ha favorito il rilascio di permessi per la realizzazione di case e centri commerciali, quando ancora non si sapeva se Regione e Provincia si sarebbero spostate in quell’area, né se sarebbe sorto il parco, né se la convenzione sarebbe stata buttata all’aria in forza di accordi che si proponevano di portare a Castello un indotto del tutto nuovo: la cittadella dello sport. Per volontà dell’assessore Biagi sono stati rilasciati permessi al gruppo Ligresti che hanno aumentato a dismisura il valore dell’area. Questa non è urbanistica contrattata, è interesse pubblico svenduto".

Riguardo agli incarichi professionali agli architetti Vittorio Savi e Marco Casamonti, per un importo complessivo a carico di Fondiaria Sai di circa tre milioni di euro, il pm ha sostenuto che "nessuna norma può rendere lecita la nomina occulta di professionisti voluti da un assessore a spese del privato". E ricordando che i nomi dell’assessore Biagi e degli architetti Savi, Casamonti e Natalini (altro professionista indicato a Fondiaria) figurano nella lista degli aderenti al Partito democratico, ha parlato di "rapporto collusivo intessuto da Biagi con professionisti che quanto meno erano a lui vicini politicamente". Per concludere con una stoccata: "I difensori non hanno mai sentito parlare di lottizzazione politica, di incarichi pilotati?".

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