loader
menu
© 2024 Eddyburg

In calce, i pdf scaricabili della traiettoria

LA STRADA

Fiumefreddo Bruzio è un piccolo paese in provincia di Cosenza, abbarbicato su una rupe del monte Cocuzzo, che, oltre ad avere un bel centro storico molto ben tenuto, ha una terrazza panoramica, da cui è possibile apprezzare la vista verso la costa. Il turista che si accinge a fotografare il suggestivo panorama probabilmente resterà deluso, trovandosi di fronte una fascia, più o meno ampia, stretta tra mare e montagna, in mezzo alla quale strada e ferrovia gli appariranno forse come gli unici elementi ordinatori nel più totale caos edilizio.

Quella strada è la statale 18, la Tirrenica Inferiore, la prima Salerno-Reggio Calabria del ’900. Anche se alcuni tratti erano preesistenti, la strada venne interamente costruita negli anni ’30, quando in pieno fascismo si procedette al riordino stradale di tutto il paese. Fino ad allora l’unica vera via d’accesso alla Calabria era la cosiddetta Strada delle Calabrie, un tracciato ottocentesco che, seguendo la romana via Popilia, partiva da Capua, si inerpicava sul Pollino, attraversava Cosenza e l’entroterra e raggiungeva Pizzo Calabro, per poi proseguire fino a Reggio lungo la costa. Questa strada oggi esiste ancora come SS19 ed è stato il tracciato ricalcato, per volere di Giacomo Mancini, dall’A3 negli anni ’70; contemporaneamente ai lavori dell’autostrada, anche la statale 18 fu modificata, con parziali ampliamenti e cambiamenti nel tracciato.

A ben vedere, quella fascia che da Fiumefreddo sembrava così continua e omogenea è al suo interno variamente articolata e il nostro turista potrà ben rendersene conto dal basso, percorrendola in macchina e apprezzando quel caos spesso informe da una prospettiva diversa. In un’ora e mezza circa di macchina, da Paola, la città di San Francesco, a Pizzo Calabro, la città del gelato, vedrà come quel caos assume diverse configurazioni, tutte originate, però, dal fatto di trovarsi su una stessa strada.

Si parte da Paola, in provincia di Cosenza, si percorre un tracciato a mezza costa che lambisce molti piccoli comuni (S.Lucido, Torremezzo, Falconara Albanese, Fiumefreddo, Longobardi, Belmonte) fino ad arrivare ad Amantea, uno dei centri più popolati; da qui si prosegue nella provincia di Catanzaro, attraversando Nocera, Falerna, Gizzeria, tutte frazioni marine dei rispettivi paesi collinari; si attraversa per qualche chilometro la parte costiera del comune di Lamezia Terme, il più grande di tutto il percorso, e di altri piccoli comuni (Maida, Curinga, Francavilla), per arrivare infine nel territorio della provincia di Vibo Valentia, con l’ultimo comune di Pizzo Calabro.

Questi 80 km circa possono essere letti in base ad alcuni elementi, quali la delimitazione della strada, le modalità di accesso, gli allineamenti, la densità edilizia, la presenza di spazi pedonali definiti, il tipo di incroci, quantità e qualità del mix funzionale; l’insieme di questi elementi ci permette di riconoscere una certa varietà di paesaggi. La diversità individuata trova spesso una conferma in quella che è la storia del territorio e la politica regionale e provinciale, ma mantiene sempre un minimo comune denominatore: la costante presenza dell’edificato, a carattere prevalentemente residenziale.


IL VIAGGIO

Il basso tirreno cosentino da Paola ad Amantea (km 317-340)

Il nostro viaggio inzia a Paola, all’incrocio con la statale 107, proveniente da Cosenza; siamo più o meno equidistanti dai due capi della SS18, a 250 km da Salerno e a 217 da Reggio Calabria. Ci troviamo a mezza costa, ad una quota molto più alta rispetto al mare; la statale qui è l’unica via di comunicazione, dato che l’A3 è ancora all’altezza di Cosenza. I lati della strada sono disseminati di “casette”, generalmente articolate secondo lo schema commercio/bottega + appartamento genitori + 1 o più appartamenti per i figli, e di qualche albergo-ristorante: piccoli saggi di sprawl. Va avanti così per diversi km: gli edifici ora si addensano, ora si diradano, in relazione alla vicinanza con i centri abitati lambiti, ma mai attraversati. Si tratta per lo più di piccoli e piccolissimi centri: con l’eccezione di Paola e Amantea che si attestano rispettivamente sui 17.000 e sui 13.000 abitanti, non superano i 5.000 abitanti.

Hanno tutti, però una caratteristica comune: il centro storico si trova sulla costa e spesso il lungomare è parte integrante del paese; originariamente, infatti, non erano attraversati dalla statale, che passava ad una quota più alta. Con la modifica del tracciato degli anni ’70 la crescita edilizia si è poi orientata verso la statale che è rimasta così una strada periferica rispetto al centro.

In questo tratto, dunque, la SS18 è una vera e propria strada extraurbana, delimitata da guard-rail, lungo la quale gli edifici si allineano solo in prossimità dei centri abitati. Ai paesi si accede mediante semplici incroci a raso, localizzati in genere in corrispondenza delle originarie strade di crinale. In molti casi sono semplicemente le insegne, più o meno vistose, a suggerirci la nostra localizzazione.


Il paese-nastro: Amantea e Campora (km 340-351)

A darci il benvenuto nel comune di Amantea, oltre al consueto cartello, troviamo anche un semaforo. Nulla di straordinario, se non fosse che, allo scatto del verde, entriamo in un tratto di statale molto diverso dal precedente; a meno di cento metri dal semaforo un marciapiede, un portico e fronti perfettamente allineati; ancora qualche centinaia di metri e un altro semaforo ci introduce in una vera e propria via cittadina.

Amantea, come i piccoli centri già incontrati, vive soprattutto d’estate, ma non solo; si tratta di zone stabilmente abitate, dove si trovano scuole, uffici, e servizi di vario genere. Proseguendo, troviamo alcuni elementi “canonici” delle strade urbane: il commercio ai piani terra, edifici che arrivano anche a 5 piani, un mix funzionale “a grana fine”, spazi pedonali ben definiti, parcheggi a bordo strada. L’espansione verso la costa qui è cosa recente. Si tratta dello stesso fenomeno già osservato nel tratto precedente – la crescita edilizia da un centro esistente verso la statale – con la differenza che qui il centro storico è in collina e non sul mare.

Dopo circa 4 km, la via cittadina ritorna ad essere strada extraurbana; gli edifici a bordo strada ci sono ancora, ma sono “sparsi” qua e là, senza un ordine preciso. Prima di arrivare alla galleria di Coreca, uno dei pochi punti paesaggisticamente interessanti di tutto il percorso, notiamo che verso l’interno, sulla collina, sta succedendo qualcosa; strade in mezzo al vuoto e, in alto, una nuova serie di villette. E’ qui che la città ha deciso di espandersi e le opere di urbanizzazione sono già pronte.

Attraversata la galleria ci si trova nella zona di Campora S.Giovanni; una fascia non più larga di 150 m, stretta tra la montagna da un lato e la ferrovia e il mare dall’altra, si snoda fino al km 351. Qui, sulla sinistra, perpendicolare alla statale, si apre il “corso” di Campora, lungo il quale si densifica l’edificato. Questa fascia oggi è interamente costruita: l’edilizia prevalente è sempre la stessa – edificio con più appartamenti per la stessa famiglia con commercio e/o spazio lavoro al piano terra – ed è corredata di spazi esterni che diventano nel migliore dei casi piccoli orticelli privati; è assente, però, quell’ordine “cittadino” riscontrato ad Amantea. Il tipo di edifici e la grande varietà di stili ci suggerisce che la crescita edilizia è avvenuta nel tempo per singole aggiunte, a seconda delle dimensioni dei lotti di proprietà e secondo il proprio gusto personale.

Amantea e Campora ricadono nello stesso confine amministrativo; a separare i due “centri” una fascia lunga meno di 10 km. Quelle nuove urbanizzazioni prima della galleria di Coreca, dunque, sono una presa d’atto della pianificazione comunale di una saldatura edilizia che lenta e inesorabile è avvenuta negli ultimi trent’anni, legalmente e abusivamente. Per questa ragione possiamo sicuramente parlare di un paese-nastro: un’unica entità amministrativa, in cui due centri hanno polarizzato la crescita edilizia. Se e quanto questa crescita sia stata controllata non è ancora ben chiaro; certo è che questa fascia oggi appare come uno spazio “ibrido”, simile ad una strada extraurbana nella forma, ma dove le pratiche d’uso sono simili a quelle di una qualunque strada cittadina.


Da Campora a Nocera (km 351 – 357)

Un tratto breve ma interessante quello che inizia al km 351, dopo il semaforo che segna l’uscita dal centro di Campora, perchè rappresenta uno dei pochi momenti di tregua lungo il nostro percorso tra gli edifici. Si tratta inoltre del primo tratto veramente costiero della SS18: l’accesso alla spiaggia, infatti, è direttamente a bordo strada. Da un punto di vista amministrativo siamo a cavallo tra il comune di Amantea, ultimo centro della provincia cosentina, e quello di Nocera Terinese, primo centro della provincia di Catanzaro. Pochi i segni di antropizzazione: due o tre edifici, l’immancabile porticciolo turistico, un distributore di benzina. Intorno molti piccoli campi coltivati.

Il fatto che questo tratto sia rimasto sostanzialmente libero non è certo un caso; come sempre accade è un fatto di pura convenienza, sia economica che logistica. Attraversiamo, infatti, una zona troppo lontana dalle attrezzature e dai servizi di Amantea e dallo svincolo autostradale di Falerna, che sta più a sud, perché possa essere presa d’assalto dalle seconde case o diventare sede di residenze stabili. Ma c’è probabilmente anche un fatto culturale: Amantea e Campora sono comunque legate a Cosenza, verso la quale c’è un forte pendolarismo. Nocera è già rivolta verso Lamezia Terme, così come lo saranno tutti gli “agglomerati” che incontreremo verso sud. Una zona di confine, dunque, una frontiera fisica e culturale che segna una prima importante discontinuità nel nostro percorso.


Il villaggio nastro: Nocera e Falerna (km 357 – 364)

Al km 357 la visuale si riapre verso il mare. La strada qui è più alta rispetto ai bordi, di circa 5-6 m; una costellazione di piccoli e grandi edifici ci accompagna per circa 7 km. Per qualche chilometro gli edifici sono tutti ad una quota più bassa, sia a destra, dove hanno un accesso direttissimo al mare, che a sinistra; i collegamenti sono rappresentati da ripide rampe carrabili e scalette per i pedoni. Il confine tra i due comuni, Nocera Torinese e Falerna, entrambi frazioni marine dei rispettivi paesi a monte, non è segnato; al km 360 le indicazioni di un incrocio ci avvertono che siamo in prossimità dello svincolo autostradale di Falerna; da qui fino a Reggio Calabria la statale e l’A3 proseguiranno quasi parallele.

Oltre l’incrocio la strada e i suoi bordi ritornano sulla stessa quota: siamo su uno dei tratti originari della statale (l’unico percorso finora è quello tra la galleria di Coreca e il km 351), come testimoniano anche alcuni edifici più datati e un allineamento seguito rigorosamente anche dalla crescita edilizia degli ultimi decenni. Al km 363 il lato destro diventa un quasi-lungomare attrezzato, luogo deputato alle “vasche” estive, con chioschi, panchine, alberi; il quasi sta nel fatto che tra la promenade e il mare c’è un ampio parcheggio a pagamento. I cartelli ci informano che un pezzo di questo quasi-lungomare è di Falerna, mentre l’altro pezzo ricade nel territorio di Gizzeria (altra frazione marina di un paese collinare). L’edificato e il lungomare terminano di colpo quando la ferrovia (che da Campora abbiamo sul lato sinistro) si fa più vicina alla strada, troppo per lasciare spazio a qualsiasi costruzione.

I 7 km compresi tra Nocera e Falerna ( e Gizzeria per un breve tratto) sono l’opposto del sistema Amantea/Campora. Lì c’è un nastro che è cresciuto in relazione alla presenza di due centri piccoli ma stabilmente abitati; qui c’è la crescita di un nastro fatto di alberghi, villaggi e seconde case. Una crescita che è avvenuta per singole unità immobiliari o al massimo per piccole lottizzazioni, e che non ha mai visto formarsi un centro; il lungomare infatti è cosa recente e la sua differenziazione formale a seconda del comune di appartenenza è solo l’ultimo esempio di un’assenza storica di un coordinamento sovracomunale in questa crescita.

Completamente spopolato da settembre a giugno, congestionato ai limiti della praticabilità nei mesi estivi, vista anche l’assenza di una strada alternativa, il villaggio formato da Nocera e Falerna è un continuum di edifici, grandi e piccoli, più o meno vicini al mare (alcuni molto – forse troppo – vicini). C’è una probabile spiegazione dietro questa situazione: la presenza dell’autostrada. Non pare solo un caso, infatti, che lo svincolo autostradale sia più o meno al km 360, a 3 km dall’ingresso di Nocera e a 4 km dall’uscita da Falerna. Una quasi perfetta equidistanza che diventa ancor più interessante se si pensa che a 20 km a sud dallo svincolo di Falerna c’è quello di Lamezia Terme e che negli ultimi trent’anni molti lametini hanno eletto Nocera e Falerna a luoghi prediletti per le vacanze estive di lungo periodo.


Da Falerna a Lamezia Terme (km 364 – 371)

Usciti da Falerna, restiamo nel comune di Gizzeria per circa 7 km; percorriamo un altro lungo tratto sostanzialmente libero, almeno per ora: le gru, infatti, sono già in azione per colonizzare gli ultimi spazi vuoti. Anche in questo caso possiamo spiegare la mancanza di edifici con la lontananza dall’autostrada; lungo la strada incrociamo solo qualche hotel e qualche attività commerciale isolata, che danno il nome alla località. Gli spazi aperti sono generalmente incolti, vengono coltivati solo piccoli appezzamenti di terreno. La ferrovia costeggia ancora la strada sul lato sinistro e in alcuni punti sono separate solo da pochi metri.

Verso la fine di questo tratto incontriamo il centro di Gizzeria Marina; anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un villaggio estivo ma stavolta di dimensioni più compatte e ridotte. La statale, qui, lambisce l’agglomerato, il cui centro si trova sul lato destro, a ridosso del mare. Anche questo piccolo villaggio conferma le considerazioni fatte precedentemente: oltrepassato l’abitato, ci troviamo all’incrocio con una diramazione della SS18 che raggiunge il centro di Lamezia Terme. I villaggi estivi crescono dunque a ridosso dei punti di accesso al mare da Lamezia: per chi proviene dall’autostrada Nocera e Falerna, per chi proviene dalla statale Gizzeria. I conti tornano.


Da Lamezia Terme a Pizzo (km 371-372)

L’incrocio con la diramazione della 18 segna il confine tra Gizzeria e Lamezia Terme; siamo ancora molto vicini al mare, tuttavia il turista che arriva qui dall’interno probabilmente non avrà la sensazione di trovarsi a così poca distanza dalla costa: non un’indicazione, un cartello, solo piccole strade, alcune sterrate, che si perdono nella vegetazione. Lungo la strada troviamo solo pochi piccoli capannoni: tra questi spicca quello occupato dal “centro culturale islamico”. Una grossa comunità marocchina è presente sul territorio e, come spesso accade, ha trovato uno spazio stabile lontano dal centro più grande, quello di Lamezia. Gran parte di loro risiede proprio a Gizzeria Marina, ed è quindi logico trovare qui una struttura di questo tipo: vicino a casa loro, lontano dalla casa degli altri.

Procedendo oltre, oltrepassiamo, tra il km 373 e il km 375, un altro nodo importante della statale, dove si incrociano , in una grande rotonda, gli accessi all’aeroporto, alla stazione di Lamezia, alla superstrada per Catanzaro e alla provinciale che raggiunge il centro di Lamezia. Proseguiamo con un tratto in sopraelevata che ci evita il transito sulla rotonda; da qui fino a Pizzo il paesaggio è abbastanza omogeneo: pochissimi edifici, molti campi coltivati - soprattutto frutteti specializzati - , i vivai come attività prevalente. In questo contesto risaltano particolarmente i capannoni, nuovi e vecchi, nell’area dell’ex-SIR, in quella che è la più grande area progettata per essere industriale del meridione ma di fatto mai utilizzata.

Il mare da qui resta abbastanza lontano per vedere costruzioni a ridosso della strada, ma non mancano gli ingressi ai resort e ai grandi complessi turistici immersi nel verde. Anche in questo caso, per capire il perchè della conformazione della strada dobbiamo rapportarci all’A3, che qui corre parallela, come anche la ferrovia, alla 18. La lontananza dal mare e il fatto che qui sia l’autostrada il corridoio privilegiato per il trasporto su gomma ha fatto sì che questo pezzo rimanesse un’eccezione nel panorama di continuum costruito lungo la statale.

Statale 18 e A3 si ricongiungono sotto il viadotto ferroviario presso il bivio dell’Angitola (che prende il nome dall’omonimo lago) e da qui seguono poi tracciati diversi fino a Vibo Valentia; il fatto che questo bivio sia un vero e proprio crocevia (qui arriva anche la statale 19, la vecchia Strada delle Calabrie) è testimoniato dalla presenza costante nel tempo dei bazar sotto i piloni.

Oltre il viadotto, continua il carattere di eccezione di questo tratto rispetto non solo al continuum di edifici tra Paola e Pizzo ma rispetto a tutta la statale 18 nel tratto calabrese. In questo caso, la mancanza di costruito è dovuto alla morfologia della strada, che in questo tratto sale di quota con strettoie e continui tornanti. Gli edifici fanno di nuovo la loro comparsa arrivati al km 428, all’ingresso di Pizzo. Ritroviamo qui i caratteri di via urbana che avevamo già visto ad Amantea, con una densità edilizia sensibilmente maggiore. Anche in questo caso l’apertura della statale ha comportato una saldatura da un centro storico, che si trova ad una quota più bassa, verso la nuova strada a monte.


QUALCHE CONSIDERAZIONE

Dovendo descrivere in sintesi il nostro viaggio alla scoperta della SS18, potremmo raccontare di tre paesaggi principali che, forse non a caso, rientrano nei confini amministrativi delle tre province:

1) quello del cosentino, da Paola a Campora, in cui lo sprawl è di tipo puntuale (singoli edifici disposti seguendo la logica dei lotti di proprietà) e in cui tutto sommato si registra la presenza di centri grandi e piccoli costruiti e cresciuti secondo una logica più “urbana”, con un mix funzionale abbastanza consolidato

2) quello del catanzarese, dominato dai nastri di seconde case e villaggi, che assomiglia più alla periferia estiva di un centro più grande come Lamezia che a un insieme di piccoli centri dotati di una loro autonomia, in cui prevale la monofunzionalità

3) quello del vibonese, come già detto l’eccezione nel panorama di tutta la costa tirrenica calabrese, dove la lontananza dal mare e dall’autostrada e l’orografia hanno interrotto il continuum di edifici che caratterizza il resto della statale.

L’elemento chiave per la lettura della traiettoria è il tipo di residenza. Da una parte c’è la residenza stabile, di chi abita un luogo tutto l’anno. Dall’altra c’è la residenza stagionale, la “seconda casa”, abitata solo da giugno a settembre. Possiamo dunque parlare di centri abitati veri e propri (la definizione di urbano è impropria viste le dimensioni dei comuni) e di “luoghi di aggregazione estiva”, per indicare quegli agglomerati che centri diventano solo d’estate. I primi sono quasi tutti nel territorio cosentino, mentre in quello catanzarese prevalgono i secondi.

Gli 80 km analizzati condensano probabilmente tutta la diversità di paesaggi lungo l’intera statale nel tratto calabrese; una diversità che però trova sempre una ragione comune nella presenza della statale e da questo punto di vista può essere considerata assolutamente unitaria. Semplificando, possiamo dire che i diversi paesaggi lungo la SS18 corrispondono ad altrettante modalità di sfruttamento edilizio della costa.

Come si è arrivati a tutto questo? E quali esaltanti prospettive ci regalerà il futuro? Alla prima domanda è facile rispondere: anni di mancanza totale di pianificazione o di gravi carenze negli strumenti urbanistici esistenti, a livello regionale, provinciale e comunale. Anni in cui gli abitanti stessi hanno dimostrato scarsa sensibilità verso il proprio territorio. Anni in cui non si è riusciti a frenare o a coordinare le spinte autonomistiche dei comuni, anche di quelli più piccoli, che hanno puntato su politiche, non solo urbanistiche, autoreferenziali. E c’è, last but not least, un’illegalità diffusa, che ha favorito l’abusivismo, soprattutto quello di piccolo “taglio” costantemente ripetuto.

Il futuro non sembra molto più roseo per quanto riguarda la pianificazione: se è vero che le tre province stanno finalmente preparando i piani territoriali è anche vero che ormai si troveranno di fronte ad uno stato di fatto difficilmente modificabile. Quali le soluzioni possibili? Prendere atto della tendenza esistente e agevolare la saldatura come sta facendo Amantea con le nuove lottizzazioni? Dichiarare guerra aperta all’abusivismo e procedere con le demolizioni per ripristinare lo status quo come sta faticosamente provando a fare il sindaco di Falerna? Cercare di lavorare sulla sensibilizzazione degli abitanti come cerca di fare la Regione con un programma, “Paesaggi e identità”, volto a coinvolgere la popolazione e le istituzioni locali nella lotta agli ecomostri costieri? Ce lo dirà forse il turista che tra qualche anno si affaccerà di nuovo sulla terrazza di Fiumefreddo per ammirare il panorama.

Qui una traiettoria nel parmense, qui una lungo la costa ligure e qui, in calce all'articolo, un'altra lungo la statale adriatica. I "compiti a casa" della "Scuola di Eddyburg" 2007

In calce, il pdf scaricabile della traiettoria

"Sazia e disperata

Con o senza tv

Piatta monotona moderna

attrezzata ben servita consumata,

afta epizootica, nebbia, calce

copertoni bruciati

cataste di maiali sacrificati….”

Cccp – “Rozzemilia

Una piccola introduzione

Un percorso dal Po alle colline dell’Appennino, da Casalmaggiore (Cr) a Fornovo Taro (Pr), lambendo Parma percorrendo la tangenziale ovest. Nel tratto di pianura fino a Parma percorrendo l’Asolana e poi, una volta “scavalcato” il capoluogo imboccando Via Spezia. Non si tratta di un percorso omogeneo, tuttavia se si osservano i Sistemi Locali di Lavoro (SSL) ci si accorge che il percorso scelto rappresenta un asse che attraversa il SSL di Parma. Il tragitto fotografa quindi aspetti molto interessanti delle trasformazioni territoriali in un passaggio cruciale della vita economica parmense: il passaggio da un’economia la cui chiave di volta è da quasi un secolo l’industria agroalimentare, a un’economia basata sul cosiddetto “terziario avanzato”, la logistica e il settore immobiliare.

Una realtà economica che ha lasciato la sua impronta sul paesaggio con sedimentazioni stratificate nel tempo. Il paesaggio rurale caratterizzato da agricoltura intensiva associata spesso a zootecnia e attività casearie. Alcune grandi industrie multinazionali locali che hanno generato una filiera industriale verticale sparsa sul territorio, senza creare un vero e proprio distretto come nel resto della regione (eccezion fatta per quello del prosciutto di Langhirano). Questo il quadro di insieme per iniziare la riflessione sul paesaggio che sfuma dal finestrino in una bella giornata d’Agosto, tra Casalmaggiore e Fornovo, attraversando quella che è stata definita Food Valley.


Da Casalmaggiore a Parma

Appena superato il ponte sul Po, oltre il guard-rail sfila un paesaggio agrario in cui ai capannoni si alterano vecchie case e che riflette la storia produttiva sopra menzionata. E’ un paesaggio prevalentemente agricolo, regolare, punteggiato da rotatorie che rompono appena la monotonia della retta di asfalto che taglia quasi perfettamente a metà la pianura parmense da nord a sud. La presenza insediativa è molto diradata e bisogna attendere di arrivare nella piccola frazione di Osteria per osservare una concentrazione insediativa degna di menzione. Si tratta di vecchie case rurali trasformate in villette o in attesa di diventarlo e di un pugno di costruzioni nuove che stanno cominciando a sorgere in questa zona, particolarmente appetibile per i bassi costi degli immobili rispetto al capoluogo e alle zone limitrofe. Le nuove villette, da qui in poi sempre più frequenti, costituiscono un’importante mutazione genetica del tessuto sociale di questa zona, i cui abitanti si scollano progressivamente dal tessuto produttivo circostante. Un fenomeno qui appena percettibile ma che di chilometro in chilometro si fa più evidente.

Prendendo una delle viuzze laterali probabilmente arrivi in una di quelle trattorie sperdute in pianura, dove per una modica cifra puoi farti un buon pasto che inizia sempre, quasi senza chiedertelo, con del salume buono e, se sei fortunato, ti capita che nel piatto ti mettano anche il prelibato culatello. Ma devi saperlo. Gli unici cartelli sulla strada sono per improbabili cantanti di piano bar o di liscio che si esibiranno in qualche festa dell’Unità o dell’Avis, lì nei dintorni.

Dopo 9 chilometri l’Asolana passa attraverso Colorno, sede della residenza estiva della duchessa di Parma, Maria Luigia, un paese incastrato tra zone agricole e i primi insediamenti industriali di una certa consistenza. San Polo, frazione di Torrile, 6 chilometri dopo Colorno, è il luogo che più di ogni altro in questo percorso esprime l’equilibrio tra insediamenti e produzione. La frazione, sviluppatasi ai margini dell’Asolana è dominata dalla mole grigia di un grande mangimificio lungo il percorso è possibile osservare ergersi in mezzo alle colture i silos o la silouhette allungata dei capannoni. Nonostante la forte pressione demografica che ha fatto registrare uno degli incrementi di popolazione più consistenti degli ultimi in anni in provincia, il Comune di Torrile ha avuto un’urbanizzazione meno consistente, soprattutto confrontando il trend degli altri comuni limitrofi e del capoluogo. Le attività agricole perdono terreno anche in conseguenza della crisi industriale del comparto alimentare, costretto a confrontarsi con mercati molto competitivi, tuttavia la perdita di suolo agricolo si limita in pianura al 6%, modesta in confronto alle media provinciale, la più alta in regione (-19%).

San Polo è anche l’ingresso in quella che potremmo chiamare l’area metropolitana di Parma: gli appezzamenti agricoli non dominano più lo spazio ma sono semplici intervalli, verrebbe quasi da definirli “vuoti”, tra i capannoni e i piccoli insediamenti residenziali, fino al cavalcavia sulla A1, che taglia perpendicolarmente l’Asolana.

Subito sull’autostrada si stagliano sul lato sinistro della strada i palazzoni del complesso residenziale di Paradigma, un’area monofunzionale ad alta densità. Dritti fino all’imbocco della tangenziale, vere proprie nuove mura che debilitano il contesto urbano “vero e proprio”, si innalzano sovrastando i parcheggi zeppi d’auto anche in Agosto, come torri di vedetta, due mall, Centro Torri e Eurotorri. Un intreccio cavalcavia e rotatorie per poi lambire dal lato ovest la città di cui si vedono i tetti più alti sfocati nell’aria afosa e appiccicaticcia.


Da Parma a Fornovo

La tangenziale, a due corsie per senso di marcia, corre ad anello intorno alla città; il tratto nord è il più vecchio, mentre oltrepassata la via Emilia, a sud-ovest è uno dei pezzi più recenti; dall’anonimo ripetersi di viadotti e curve segnalate con sensori luminosi si spunta dal sottopasso in via Spezia, ormai fuori dalla città. Alcune industrie attorno alla strada, superstiti dello sviluppo industriale degli sessanta, sopravvivono alla loro trasformazione in uffici, banche o attività commerciali. L’ex Simonazzi fa capolino sulla destra a Vigheffio, un’industria di imbottigliamento di prodotti alimentari, tra le più importanti della provincia, passata da diverse proprietà ed ora in mano alla multinazionale Sidel: un destino emblematico della realtà industriale parmense….

A Vigheffio, prima frazione in direzione Collecchio, si notano villette, palazzine e i prati incolti da cui si innalzano cartelli che illustrano il loro destino: riempire quello che sempre più viene considerato vuoto, uno spazio che andrebbe “sprecato” se usato per l’agricoltura, e che renderebbe molto bene dal punto di vista immobiliare. Il Comune di Parma dagli anni sessanta ad oggi ha avuto un’urbanizzazione dai ritmi vertiginosi (+27.4%), in particolare negli anni ’90, nonostante abbia subito un calo demografico dal 1980 in poi, arrestatosi solo a metà degli anni ’90 registrando nel 2003 un saldo positivo rispetto al 1960 pari all’11.7%.

Dati analoghi a quelli del Comune di Collecchio, cosicché la via Spezia da Parma a Collecchio quasi un continuum: residenziale a bassa densità nella zona di Vigheffio, attività artigianali e piccole industrie oltre i pioppi in fila indiana a separare la strada dal fosso, a Lemignano e Stradella, prime frazioni del Comune di Collecchio. Da Stradella in poi il paesaggio, come dire, si rilassa. Cominciano a vedersi i primi rilievi collinari e si diradano le costruzioni. I piccoli rilievi sembrano pettinati accuratamente in attività agricole e la vista è sicuramente più gradevole….

Poi arriva Collecchio all’ingresso del quale una serie di rotatorie ti chiede di scegliere se passare dentro il paese o by-passarlo tramite una tangenziale con gli immancabili cartelli Parmalat. E l’impronta di quello che fu il settimo gruppo industriale italiano, che ha lasciato un segno indelebile sul paesaggio. Innanzi tutto il centro sportivo del Parma F.C., il vecchio giocattolo dei Tanzi, che occhieggia discreto con un cartello posto di fronte a fila di alberi proprio all’ingresso del paese.

La crisi del gruppo di Collecchio è una sorta di rimosso nella coscienza civile della provincia, non una riga è uscita dall’università sul crac finanziario più grande della storia europea e i giornali locali ne parlano con pudore non parlando nemmeno di crac Parmalat ma di crac Tanzi, quasi a voler scongiurare un coinvolgimento che suona quasi come un “excusatio non petita”. Collecchio non è solo la Parmalat ma senza la Parmalat Collecchio forse non avrebbe avuto la sua tangenziale gigantesca e deserta come ti immagini una strada americana, in questi giorni di Agosto, simile a quella di Parma, sebbene di formato ridotto per girare intorno a un paese di 8 mila anime.

Uscendo dalla tangenziale di Collecchio si esce di fatto da quella che abbiamo già definito l’area metropolitana di Parma e la via Spezia si snoda tra il Parco Fluviale del Taro e il parco dei Boschi di Carrega e il paesaggio appena oltre le prime colline coltivate concede le cime dei castagni di uno dei tratti collinari più pittoreschi del parmense. Il ristorante messicano proprio lì, sulla strada dice che sei arrivato a Gaiano, un pugno di case compatte e un po’ datate di qua e di là dalla strada a due corsie che taglia i campi che si estendono fino alle colline della val Parma. Per un lungo tratto solo campi punteggiati di case coloniche e capannoni dedicati alla zootecnia. La forte vocazione produttiva di queste aree è minacciata dalla suaccennata crisi agricola e zootecnica, che in quest’area è più forte che in pianura. La vocazione zootecnica del settore primario parmense è fortissima, tant’è che le aziende agricole che possiedono allevamenti sfiorano il 55%, 10 punti percentuali in più che in regione. La dimensione della crisi si può leggere nel drastico calo del numero di aziende agricole dotate di allevamenti (-47.2% dal 1990 al 2003; Emilia-Romagna -38,8%). Oltre al fenomeno della concentrazione è anche l’abbandono di queste attività a contribuire alla diminuzione del numero di aziende.

La strada comincia salire sulle prime colline costeggiando il torrente Taro e attraversando piccole frazioni come Ozzano Taro e Riccò. Dopo qualche curva si addentra a Fornovo, la vecchia Forum Novum di fondazione romana, punto strategico sulla riva destra Taro, punto nevralgico dal punto di vista militare in passato e oggi snodo di vie di comunicazioni importanti per la provincia. La Via Spezia a Fornovo tocca l’A15. Anche qui l’attività principale è quella agro-industriale, ma affiancata dalla chimica e dall’estrazione del metano, e sono queste attività altre a sorvegliare il ponte che porta all’imbocco dell’autostrada. Il ponte apre la visuale alla valle del Taro, appena oltre un bar grande e piuttosto affollato vista la vicinanza all’autostrada e il periodo. E di fatti è usanza per tanti abitanti di Parma uscire dell’A15 a Fornovo quando si torna dal mare per contenere i costi di un’autostrada incredibilmente cara. .E’ qui che mi fermo per il caffè, a viaggio concluso


Conclusioni

La rottura di quell’equilibrio tra forma e sostanza, tra economia e territorio e benessere, peraltro anche in precedenza piuttosto precario, che si sta consumando nella provincia di Parma credo possa avere effetti piuttosto gravi e non solo sul paesaggio ma anche sul piano sociale.

Rompere l’equilibrio tra a agricoltura e industria, puntando tutto su logistica e terziario può rivelarsi un errore incredibile. Innanzi tutto i prodotti agro-indutriali parmensi sono concorrenziali in particolare per la loro qualità e quindi strettamente dipendenti da un equilibrio tra produzione e salvaguardia di determinate caratteristiche ambientali. L’evoluzione urbanistica e le politiche industriali devono essere molto attente a questo meccanismo, e devono cercare di rafforzarlo invece di indebolirlo.

Non è soltanto un problema di paesaggio: spesso, quello che vediamo è anche quello che mangiamo.

Qui una traiettoria lungo la costa tirrenica calabrese, qui una lungo la costa ligure e qui, nel pdf in calce all'articolo, un'altra lungo la statale adriatica. I "compiti a casa" della "Scuola di eddyburg" 2007

In calce, i pdf scaricabili della traiettoria

Il percorso

E' una breve traiettoria, 35 Km circa sulla Strada Provinciale 1 Aurelia, dal porto di Savona allo snodo viario di Voltri sito nel centro dell'arco ligure alle soglie della periferia di Genova. Il segmento scelto è forse il meno noto, ma contiene tutti i tratti caratteristici e soprattutto i problemi del territorio ligure. In primo luogo occorre specificare che per i liguri, l'Aurelia non è solo una strada. E' il filo conduttore del territorio. Un filo di una collana in cui ogni paese della costa sa di essere collocato e sa che attraverso essa può far parte di un insieme che ha una identità precisa. Questa consapevolezza però è abbastanza recente.

L'Aurelia infatti non è la strada romana. La via Aurelia che partiva da Roma terminava a Pisa. La strada romana ligure che si chiama Æmilia Scauri, costruita nel 109 a.C., secondo la testimonianza del geografo Strabone raggiungeva Vada Sabatia - l'odierna Vado Ligure - presso Savona, partendo da Luna (Luni), ma il tracciato non coincide quasi mai con quello dell'attuale Aurelia.

Il tratto ligure dell'Aurelia contemporanea nasce all'interno del grande disegno napoleonico di organizzazione del territorio europeo, come segmento della strada imperiale di prima classe da Parigi a Napoli. La continuità territoriale della regione si può considerare dunque una conquista recente: basti dire che in nessun dialetto ligure esiste una parola che significhi Liguria.

Per i liguri percorrerla è fondamentale: è la conoscenza di se stessi come liguri, ovvero connotati da quel territorio. L'Aurelia è specifica di questo territorio: "non è che una ricucitura, un orlo a giorno tra il mare e le montagne" (Maggiani).

Su questo orlo a giorno è concentrata gran parte della vita dei centri rivieraschi e ogni suo cm quadrato è sempre più denso di attenzioni, di tensioni e di azioni che mutano gli scenari e i panorami già di per sé vari e complessi.


Il viaggio

Chiamarlo viaggio è un po' presuntuoso, ma solo cento anni fa muoversi via terra su questo lembo di costa era difficilissimo, si preferiva decisamente il mare, perchè era meno rischioso. Chi vive in questi luoghi avverte questi limiti, non si ci si può muovere a 360°,ci si può solo spostare lungo una linea; verso est ci si ritrova a Genova, che attrae ma è più facile che respinga, cambiando direzione di marcia sempre sulla stessa linea si va ad ovest, verso il confine francese.

Gli spostamenti con l'auto o con il treno possibili sono generalmente solo ad est e ovest, perché a sud c'è il mare e a nord le montagne. Questa schematicamente è la condizione mentale dell'orientamento spaziale di chi vive in Liguria. Inoltre è diverso spostarsi da un luogo all'altro, dal viaggiare. Il viaggio è la condizione ottimale per vedere cose nuove, ma anche per vedere consapevolmente per la prima volta cose che si avevano da sempre sotto gli occhi.

E' uno splendido pomeriggio di inizio settembre e mentre raggiungo il punto di partenza e percorro già l'Aurelia verso ovest lasciandomi alle spalle Genova, mi viene alla mente un brano di un famoso viaggiatore che ha percorso anch'esso questi tratti di strada: "Erano le prime ore del pomeriggio e splendeva il sole. Sotto il mare era azzurro, pieno di creste bianche di spuma verso Savona. Lontano al largo del promontorio l'acqua giallastra e quella azzurra si fondevano. Davanti a noi un piroscafo mercantile navigava lungo la costa. «Vedi Genova?» «Oh sì.» «Il prossimo promontorio dovrebbe coprircela» «La vedremo ancora a lungo. Dietro vedo ancora la punta di Portofino». Finalmente non riuscimmo più a scorgere Genova. Guardai indietro quando girammo la punta del promontorio ma non vidi che il mare e sotto, nella baia, una fetta di spiaggia piena di barche da pesca e sopra, sul fianco della collina, un paese e promontori a perdita d'occhio lontano lungo la costa." (E. Hemingway, Che ti dice le Patria, in Quarantanove racconti).


Partenza e ... arrivo

Km 572 della SP1, che qui si chiama Corso G. Mazzini; infatti, pur rimanendo se stessa, l'Aurelia quando entra nei centri urbani si adegua e assume i nomi dei riferimenti storici o geografici locali. Infatti siamo vicino al Priamar fortezza del XVI secolo, costruita dai Genovesi, che divenne nell'ottocento un centro di guarnigione militare e prigione e dove vi fu recluso, tra gli altri, G. Mazzini. Attualmente il Priamar è un contenitore culturale di grande prestigio, la scultura che compare dal finestrino dell'auto e sembra dare il via al viaggio è la Rosa nel deserto di Arnaldo Pomodoro. Dopo pochi metri si svolta a sinistra in via Antonio Gramsci e si ha ora il privilegio di osservare un grosso vuoto. Uno spazio vuoto fa sempre un grosso effetto in questa regione che ne é spesso priva, ma generalmente non dura per molto. Questo è il luogo dove sorgeva lo stabilimento Omsav/Italsider, le cui vicende sono molto bene narrate da Bruno Lugaro (giornalista del quotidiano locale Il Secolo XIX), nel libro intitolato Il fallimento perfetto.

E qui sta per crescere il Crescent denominato già crescempio, una costruzione residenziale lunga 150 m e alta 8 piani. Nel libro si traccia una precisa e approfondita cronistoria delle aree che, da proprieta' demaniale e ad uso industriale (ovvero le aree Omsav/Italsider), si sono trasformate, con metodi poco chiari, in terreno di proprieta' di privati, con destinazione d'uso residenziale. Un'area che per secoli è stata occupata prima dagli spalti della fortezza genovese e poi dagli impianti industriali. Un'area vasta più di 250.000 mq, dei quali soli 33.500 di proprietà privata; un'area superiore a quella occupata dall'intera città murata del 1800; un'area che ha uno sviluppo sul mare di oltre 1200 metri. Un'area di grandissimo valore; un patrimonio, quasi tutto di proprietà pubblica, sul quale si gioca l'avvenire della Città.

La via fiancheggia il porto e in piazza Leon Pancaldo si passa accanto alla torretta medievale simbolo di Savona che appare sempre più sparuta, vicino alle altezzosità algide delle architetture griffate Bofill. Anche dal finestrino di un auto in transito questa architettura, né dritta né storta , comunica instabilità e fredda estraneità, non pare sia abitata, dai savonesi è già stata simpaticamente denominata "Il box doccia di Godzilla".

Superate le vecchie funivie che servivano per il trasporto del carbone, l'Aurelia percorre un tratto di strada più recente (1933) realizzata all'interno di un più vasto progetto comprendente l'allargamento della strada esistente per Vado Ligure: l'intervento presentava alcuni aspetti interessanti sotto il profilo tecnico e dimostrava la volontà di conferire alla nuova strada un carattere fortemente monumentale. Il tratto più vicino a Savona era stato realizzato in viadotto, con l'acqua che circondava la strada da due lati. L'intervento è ancora percepibile dalla banchina della Darsena Vecchia: l'effetto originario è tuttavia andato completamente perduto, a causa dei riempimenti e delle edificazioni. Notevoli anche, per l'imponenza, le opere di sostegno presso la punta della Margonara, che ancora oggi caratterizzano l'immagine di questo segmento di costa. Per queste caratteristiche, che dimostrano come volesse essere utilizzata anche come macchina di comunicazione, il tratto tra Savona e Albissola Marina è stato fatto oggetto, sia pure con intenzioni diverse, di interessanti rappresentazioni pittoriche: un ciclo di affreschi, dipinto da Raffaele Collina (1932- 1934) che adorna la sala di giunta del palazzo comunale di Savona, e una tela di Mario Rossello intitolata Un chilometro di strada da Albissola e Savona (1975). L'opera, lunga 35 metri, è stata esposta con l'aiuto di un congegno capace di far scorrere in un periodo di circa 7 minuti la tela davanti al pubblico.

Usciti dalla galleria Valloria, al km 570 circa, si raggiunge punta della Margonara; su rocce prospicienti la strada appaiono improvvisamente, come fantasmi, alcuni lenzuoli con scritte di protesta contro la cementificazione annunciata del tratto di costa della Margonara. Qui è prevista la realizzazione di un porticciolo e la costruzione di una torre residenziale di 120 m. Il progetto è anch'esso d'autore, pare però sia un ciclone riciclato, ma tanto che importa il genio globale non ha bisogno di contestualizzarsi. Anche la Madonnina sullo scoglio di fronte sembra augurarsi una sorte migliore.

"Ma il cielo è sempre più blu " cantava Rino Gaetano ed è meglio lasciarsi alle spalle questi incubi per percorrere la passeggiata degli artisti, il lungomare di Albissola Marina, con i suoi colori e le sue ceramiche, "la cui industria fa concorrenza a quella di Vallauris" diceva Liégéard (lo scrittore che ha nel 1887 ha coniato il nome di Costa Azzurra): "La strada principale (l'Aurelia) è una lunga interminabile fabbrica di terraglie che espone marmitte ad ogni porta, che appende casseruole ad ogni finestra. E' un miracolo se il turista non mette i piedi sopra un piatto....che sta seccando sul marciapiede".

Ancora oggi ci si accorge subito che non è un luogo come un altro: la pensilina con la panchina di ceramica, la vela di ceramica al bordo della spiaggia, i lampioni colorati. Qui nel secolo passato vi fu una grande concentrazione di episodi artistici, in gran parte legati alla ceramica, da cui l'Aurelia si propone ancor come grande vetrina. Vi sono rimasti fortemente impressi due momenti magici vissuti ad Albissola marina nel secolo scorso: gli anni trenta, con alcuni edifici di pregio che si affacciano sulla strada, e il secondo dopoguerra che ha trovato la sua migliore espressione nella passeggiata degli artisti. Inaugurata nel 1963, costituisce con i suoi 800 metri di sviluppo lineare e 4000 metri di superficie un grande museo “calpestabile”. La sua particolarità è costituita dalla presenza di 20 pannelli di pavimentazione policromi di 10 x 5 m realizzati su disegni di 20 artisti (Caldanzano, Capogrossi, Crippa, De Salvo, Fabbri, Fontana, Franchini, Gambetta, Garelli, Lam, Luzzati, Porcù, Quattrini, Rambaldi, Rossello, Sabatelli, Salino, Sassu, Siri, Strada).

Il successivo tratto di strada una volta, attraversato il ponte sul torrente Sansobbia che scende dalle valli di Stella (paese di Pertini), è sempre intasato di traffico che confluisce dal vicino casello autostradale e guidare in certe ore del giorno è un'impresa di grande pazienza e attenzione.

Superata la galleria di Albisola Capo, aperta nei primi anni del secondo dopoguerra, si entra in una dimensione completamente differente, in cui l'Aurelia riacquista il carattere di grande spazio aperto. Siamo al Km.567: la storia ritorna con le sue memorie ad ogni curva e qui si trova una lapide che ricorda delle vittime di un bombardamento aereo del 1944.

Un altro cartello ci avvisa che siamo entrati nella Riviera del Parco del Beigua, un altopiano che sovrasta la zona e che dà il nome anche ad un Parco Naturale Regionale.


Questa alternanza di litorali e di promontori, di spazi urbani e di spazi naturali, crea un effetto di pausa e di attesa che rende gradevole il percorso; purtroppo le opere stradali di contenimento a monte sono dei tagli nei vari promontori che abbiamo incontrato di notevole entità; hanno in alcuni casi ferite permanenti, dove le frane a volte invadono la carreggiata stradale nonostante gli imbrigliamenti delle pareti.

In alcuni tratti sembra che ci siano solo cielo e mare poi improvvisamente, sotto il parco Bottini, si svolta e qui c'è uno dei punti di vista dove particolare è il gradimento estetico in quanto appare improvvisamente l'armonico fronte mare del centro storico di Celle Ligure.

La brutta edilizia speculativa degli anni ’60 e ’70 qui prende una pausa. Ultimamente sono stati curati in questi Comuni di riviera gli arredi stradali, le passeggiate a mare e il rifacimento delle facciate dei vecchi palazzi; inoltre, la dismissione della ferrovia in questo tratto ha permesso di ricucire il paese con la spiaggia e in altri di formare una lunga passeggiata costiera. L' Aurelia lambisce il centro storico di Celle a monte, senza separarlo dal mare, come invece succede negli altri centri.

Altro promontorio, Punta dell'Aspera, km 561 circa, ed ecco il nuovo esteso porto di Varazze; questa volta la sorpresa ha un sapore surreale perchè i tetti verdi tipo baita delle valli alpine sbucano improvvisamente dal mare.

L'Aurelia, che per Celle era di Levante, (ma per Varazze è a ponente) prende il nome di via Savona, in quanto a levante dell'abitato, e passa in mezzo ai capannoni dei cantieri per la realizzazione di imbarcazioni, attività che ha reso famosa Varazze nell'800. Anche qui, al posto di queste aree produttive, sorgeranno alti palazzi residenziali.

La strada corre adiacente alla passeggiata di Varazze, il traffico in questo punto è notevole e molti pedoni la attraversano qua e là, bisogna stare sempre molto attenti, le macchine sono spesso posteggiate nella sede dell'Aurelia. In questo tratto stanno predisponendo delle opere a mare, pennelli e barriere sommerse per proteggere la spiaggia dalle erosioni. E' inevitabile, quando si realizza un'opera a mare si modifica l'andamento dei depositi, ma non la loro quantità. Se la spiaggia aumenta da una parte, diminuisce da un'altra.

Ora l'Aurelia, che qui si chiama via Genova in quanto a ponente di Varazze, ultimo paese della costa nella provincia di Savona, sale faticosamente con curve e contro curve verso i Piani d'Invrea (km 555 circa). La consueta apparizione dell' astronave dell'Autogrill della Autostrada A10 Genova - Ventimiglia, ci segnala la momentanea adiacenza delle due uniche vie stradali orizzontali della costa. Poi ci si rimmerge nella vegetazione ancora rigogliosa della suggestiva Punta d'Invrea.

Una curva dopo l'altra qui si avverte il piacere di viaggiare quasi volando fra cielo mare. Le cicale riescono a farsi sentire anche da un viaggiatore distratto e tornano alla mente le parole di una famosa la descrizione di C.E. Gadda: "qui la cicala persiste. Le tombe dei Marchesi Centurione vedo che non difettan d'epigrafe, nella frescura e nella penombra della piccola chiesa dove i maggiori hanno pace, dove arriva ancora, sommesso come una divozione, lo stridere antico: dai lecci, dalla vastità polverosa del meriggio....."

Ma siamo quasi al confine provinciale sul torrente Arresta, al km 554. E si entra in tutt'altra realtà. Cogoleto, ora è un centro balneare ma ha un’antica tradizione industriale. Il lungomare è stato risistemato e anche il centro storico è molto migliorato negli ultimi tempi: forse i lampioni sono persino eccessivi, come certe barriere antiattraversamento della passeggiata, (forse è solo eccessivo campanilismo da parte mia in quanto abito ad Arenzano ).

Purtroppo questi due paesi adiacenti una cosa in comune l'hanno di certo ed è l'area della ex Fabbrica Stoppani nella valle del Lerone, torrente che segna il confine fra i due territori comunali. Infatti alla prima curva a 90° verso nord eccola là la famigerata azienda chimica costruita ai primi del ‘900, che produceva additivi per la cromatura e per la nichelatura, causando un inquinamento del suolo e delle acque le cui dimensioni sono perfino difficili da immaginare. Dati della Regione Liguria parlano di 92.000 mc di fanghi tossici stoccati nella discarica di Pian di Masino contenenti elevatissime quantità di metalli pesanti, mentre l'agenzia regionale protezione ambiente (Arpal) ha trovato concentrazioni di cromo esavalente nelle acque di falda 64.000 volte superiore. Da molto tempo è in atto una vicenda che vede coinvolti tutti gli Enti territoriali per bonificare il sito e poterlo utilizzare per un progetto che possa rappresentare la possibilità di creare nuove prospettive di lavoro, non in contrasto con l'ambiente.

Con notevoli e impattanti muraglioni l'Aurelia aggira un altopiano costituito da un antichissimo cristallino marino,ampiamente lottizzato da residenze per vacanze negli anni ’60 – ’70. Valicata la Colletta, l'Aurelia prende il nome di Via di Francia e scende di nuovo verso il mare nel centro di Arenzano; recentemente sono state costruite due rotonde che hanno sfoltito il traffico proveniente dal casello autostradale e soprattutto interrotto le discese troppo ardite di alcuni automobilisti e motociclisti. Questo è il luogo dove vivo e lavoro e pertanto è per me sede di mille problemi, pur essendo oggettivamente un paese gradevole e con molte risorse sia ambientali sia per risolvere i suoi problemi .

L'Aurelia anche qui divide il frontemare del centro storico dalla passeggiata, costituendo, come nel caso di quasi tutti gli altri centri attraversati, un pericolo costante per i pedoni. Purtroppo, anche se spesso ci sono semafori, in alcuni tratti si crea confusione, congestione e distrazione, che anche quest'anno hanno causato delle vittime. Da tempo si cerca di trovare un tracciato alternativo, ma visto il territorio compresso e complesso non è stato ancora possibile trovarne uno fattibile.

Abbandonato il centro di Arenzano si transita in una galleria al Km 547 denominata del Pizzo, in quanto attraversa il Promontorio del Pizzo. Questo tratto di strada è sempre stato oggetto di interventi in relazione alla situazione instabile delle rocce soprastanti; nel corso di tali opere è andato perduto uno dei punti più suggestivi del percorso, l'arco scavato nella roccia di cui restano delle fotografie d'epoca, il Garbo du Pizzo.

Siamo al Km 546 dove, in una vasta ansa, l'Aurelia circumnaviga un camping, sovrastante una vasta Cava detta della Lupara,oggi in disuso, nella quale vi sono in atto progettazioni e realizzzazioni infrastrutturali. Ma al Km 545 si incontra ancora Vesima formata da due nuclei: il primo è quello che si è sviluppato attorno all'antico convento dei Padri Cruciferi, costruito nel 1155 e poi diventato dimora estiva di nobili famiglia genovesi, mentre il secondo, a Punta Nave, conosciuto anche come Villa Azzurra, è diventato famoso dopo che l'architetto Renzo Piano vi ha insediato il proprio quartier generale. La struttura che si vede vicino alla galleria di Villa Azzurra segnala la localizzazione del sito. Nei pressi si posso notare dei resti del muro a sostegno a mare del percorso ottocentesco, mentre alcuni tratti della vecchia strada sono stati dismessi a causa della rettifica in galleria del tracciato attuale (1980-1990) che utilizza il sedime ferroviario a sua volta dismesso. Questo tratto di curve e contro curve, sebbene un po' pericoloso, è l'ultimo contatto dell'Aurelia con il mare prima che si immerga nel tessuto cittadino periferico della cosiddetta grande Genova. In alto si intravede la chiesa del borgo Crevari. Uno slargo sul mare, capolinea dell'autobus n.1, segna il confine tra la città e la riviera. A Voltri, snodo viario antico e moderno, incrocio di ponti e viadotti, dove si può andare anche verso Nord, attraverso il passo del Turchino, e verso Sud, perchè qui sul mare si è ormai esteso il porto di Genova, si conclude questo piccolo viaggio.


Considerazioni

Il percorrere con l'intenzione di guardarlo e l' attenzione necessaria per poi raccontarlo fa sì che anche un breve tragitto percorso mille volte diventi improvvisamente ricolmo di tante informazioni inaspettate. Inevitabilmente, su una strada come l'Aurelia non si può che percorrere parallelamente altre strade: una sola nello spazio presente, le altre nella dimensione temporale, in un passato e un futuro prossimo.

Viaggiare per questa strada con lentezza, con gli occhi aperti, aderendo alle sue curve, alla circolazione della vita delle comunità attraversate, godendo della continua mutazione dei punti di vista, è davvero ritrovare un filo conduttore, non solo fra un luogo e l'altro, ma fra passato e futuro senza troppa nostalgia per il primo e paura per il secondo, per quanto siamo di nuovo di fronte ad un fenomeno analogo a quello degli anni ’60 – ’70, quando Italo Calvino così bene descriveva la situazione ligure: “Certo, in questo affidarsi alla domanda del mercato come all'unica realtà sicura c'è anche una profonda sfiducia per la civiltà contemporanea, da cui ci si aspetta sempre il peggio e da cui non resta che strappare giorno per giorno qualcosa che è come indennizzo d'un bene perduto. Un fondo di diffidenza e pessimismo cova sotto l'efficienza e l'immediatezza: è l'eredità che i secoli di vita guardinga e ostinata hanno trasmesso agli abitanti di questa regione, come condizione di sopravvivenza. Oggi la Liguria sta diventando qualcosa di completamente diverso da quello che è stata: economicamente fa parte d'un tutto italiano ed europeo che presenta sempre meno soluzioni di continuità; e ancor più è diversa la popolazione. Come negli ultimi centocinquant'anni una diaspora di liguri mise radici nelle Americhe, così negli ultimi decenni masse nuove si sono stabilite in Liguria, (omissis). Nel giro di poche generazioni si parlerà della Liguria in nuovi termini, che ancora non riusciamo a prevedere. A rappresentare un antico modo di "vivere in Liguria "non resterà che la patella attaccata allo scoglio."(1973).

Alla luce di quello che è successo e probabilmente succederà, non si può che convenire con queste parole, sebbene molto amare. Non si può inoltre nemmeno dire che questa porzione di territorio non sia stata pianificata. Ormai siamo alla terza o quarta generazione di piani regolatori, compresi i numerosi piani regionali e provinciali che certamente hanno prodotto delle norme la cui assenza sarebbe stata disastrosa, soprattutto riguardo al periodo ’80 – ’90.

Purtroppo l'assalto non è finito, anzi, si ripresenta più duro che in passato: l'aggressione delle coste da parte di "pirati contemporanei", che mirano solo a rapinare le risorse di tutti e lasciare accumuli di materie informi e nocive, è più imminente che mai. Non resta che ritrovare attraverso la partecipazione degli abitanti delle nuove sensibilità, per comprendere quanto sia necessario bonificare l'ambiente delle nostre vite, non solo dall' inquinamento da petrolio o da cromo, ma da quello di un mercato perverso e volgare, dalla disarmonia, dal disamore dei luoghi e dalla disequità sociale che avvelenano, a volte senza che ce ne rendiamo conto, di infelicità le nostre anime. In questa ottica, pare sia un progetto della Regione Liguria, che si intitola Aurelia e le altre in quanto propone, attraverso una lettura strutturata e articolata della strada, di individuare un grande parco culturale e paesistico, oggi non ancora adeguatamente apprezzato e conosciuto. La conoscenza di questa arteria vitale penso che possa far comprendere, anche agli stessi patrocinatori del progetto, che l'Aurelia e quindi la Liguria non necessitano, per essere alla moda, di mostuose spettacolarità, gli basta essere se stesse.

Qui una traiettoria lunco la costa tirrenica calabrese, qui una nel parmense e qui, in calce all'articolo, un'altra lungo la statale adriatica. I "compiti a casa" della "Scuola di Eddyburg" 2007

Avere il territorio come alleato vuol dire saper usare con intelligenza le sue irregolarità, i suoi punti alti e bassi, le sue curve, i suoi passaggi fissi e segreti, le zone abbandonate, le sue alture, ecc. traendo il massimo da tutto questo per il vantaggio delle azioni” (Carlos Marighella, Piccolo Manuale della Guerriglia Urbana)

E naturalmente non solo alla guerriglia urbana, è utile “avere il territorio come alleato”.

Ci sono molti modi per attraversare il territorio, il paesaggio, e altrettanti per riportarne impressioni, suggestioni, informazioni: dal pellegrino con bastone e blocchetto per appunti/schizzi, al regista della pellicola on the road, alla fantozziana famigliola che immortala l’annuale transumanza da casa al campeggio.

Ai partecipanti alla Scuola estiva di Eddyburg, che si è tenuta quest’anno al castello di Corigliano d’Otranto, è stato proposto di cercare di unire la lenta sistematicità del pellegrino coi suoi acquerelli, al fluire continuo del racconto parallelo alla strada, tipo Easy Rider, o più autarchicamente Il Sorpasso, o la bozzettistica naïve delle diapositive delle vacanze, spesso ricche di informazioni sparse che basta saper evidenziare. Obiettivo: alimentare con una “materia seconda” autoprodotta, una riflessione sia personale che collettiva, il percorso di apprendimento e scambio proposto dalla Scuola.


Ma che sarà mai, una traiettoria nel paesaggio contemporaneo?

Sin dai primi vagiti novecenteschi dell’approccio della pianificazione territoriale ai temi della tutela del paesaggio, tutti sottolineano come si tratti di entità in costante mutamento ed evoluzione: vuoi per le lente trasformazioni dei suoi elementi naturali e/o legati all’agricoltura, vuoi per gli interventi più o meno vistosi dell’uomo in termini edilizi e infrastrutturali, vuoi infine per la particolare prospettiva in cui colloca questo insieme la sensibilità dell’osservatore e il contesto di osservazione.

Una delle prospettive più caratteristicamente “moderne” di osservazione del paesaggio, è senza dubbio quella rappresentata dall’automobile. Senza scomodare il solito Le Corbusier, che privilegiava comunque un paesaggio fruito ad alta velocità e dominato dagli elementi tecnologici delle (sue) architetture e infrastrutture urbane, forse va ricordata la definizione che il fondatore del Touring Club, Luigi Bertarelli dava dei paesaggi inquadrati per la prima volta dal finestrino di un’auto: “la riscoperta della Patria dimenticata”.

Ed è proprio a questo tipo di “riscoperta” che gran parte degli itinerari scelti si sono ispirati.


Paesaggi urbani, metropolitani, dell’insediamento diffuso con qualche brandello di campagna. In qualche modo resi unici e fluidi dai nastri delle arterie di comunicazione, che arrivano a dominare, esplicitamente o implicitamente, sia le immagini che il punto di vista generale delle “traiettorie”. È una modernità certo invadente, e certo di notevole impatto: ma è l’ambiente nel quale siamo immersi, esposto nei termini più quotidiani e meno enfatici possibili.

Con quest’ambiente, piaccia o meno, dobbiamo confrontarci: da studiosi, operatori culturali, divulgatori, ma prima ancora da cittadini.

I risultati delle “traiettorie” riportati in questa cartella sono organizzati secondo un testo illustrato, che restituisce le riflessioni sui paesaggi attraversati, e una serie di materiali scaricabili, composti dagli scatti fotografici “in tempo reale”, con brevi didascalie e materiali di orientamento.

Come dicono sempre i critici cinematografici: buona visione.

© 2024 Eddyburg