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L’ultimo "Controcanto" ha attirato gli strali di una parte dell’opposizione, soprattutto là dove parlavo della trasversalità degli interessi immobiliari. L’articolo di Andrea Greco sulle pagine milanesi di Repubblica di venerdì scorso ne dà egregiamente conto. Per altro è un vecchio vizio della sinistra. Negli anni Ottanta già polemizzavo con l’amico Umberto Dragone, vicepresidente della Lega delle Cooperative, perché consideravo quantomeno curioso che i più importanti lavori pubblici fossero appaltati a consorzi d’imprese sempre a tre: imprese delle partecipazioni statali, imprese private e imprese cooperative, in genere nella quota di 1/3, 1/3 e 1/3. Quindi le compagnie più "eterogenee" della sinistra non mi stupiscono ma mi stupisce lo stupore che nasce quando lo ricordo.

Veniamo al Pgt che ho sempre considerato "irricevibile" e "indiscutibile" per l’opposizione. Non si tratta di un documento urbanistico puro ma del "manifesto" di Cl in materia di visione sociale della città e, contemporaneamente, il "manifesto" della democrazia urbana secondo Cl, dove si ridistribuiscono i poteri tra organi elettivi diretti, il consiglio comunale e la Giunta. È un che ridisegna Milano.

Perché l’opposizione non si è ribellata? Perché non ha accettato il confronto su questi elementi del Pgt? Mentre la sinistra si sciacqua la bocca sulla scomparsa delle ideologie c’è chi - Cl - , dobbiamo riconoscerlo, con un documento complesso e di difficile decrittazione, rozzo in molte parti, ricomincia a pensare in termini ideologici: senza ideologia non si va da nessuna parte. Quest’opposizione sembra non essersi accorta che nell’inseguimento di qualche ettaro di verde è caduta nella trappola di quella specie di sindrome di Stoccolma della dialettica politica: essere lentamente persuasi delle opinioni del tuo avversario, in questo caso abile, perché ti distrae dalla visione d’insieme e porta il gioco dove gli fa comodo.

Quanto al meccanismo della perequazione, ossia l’attribuzione alla maggior parte del suolo comunale di un’edificabilità media generalizzata, il primo a pensarci fu l’onorevole Sullo (1921-2000) che ne fece oggetto di una proposta nel 1963 (bocciata su pressione degli immobiliaristi), poi ci riprovò il senatore Achille Cutrera e non ebbe miglior fortuna, mancatogli l’appoggio della sinistra.

Ora tutti d’accordo a Milano? E non vogliamo parlare di trasversalismo? L’Istituto italiano di urbanistica per anni ha tentato inutilmente di riprendere il discorso. Ma quale è la vera novità della perequazione secondo il Pgt milanese? In passato si parlava semplicemente di non penalizzare quei cittadini che si trovassero ad avere le loro aree sottoposte a vincoli (verde pubblico, servizi e così di seguito) rispetto a quelli che se le "trovavano" con possibilità edificatorie libere (residenza in particolare). Oggi, col nuovo Pgt e l’assegnazione di un indice di edificabilità unico a zone si è anche introdotto il criterio della vendita di questi diritti e la loro trasferibilità su altre aree. Un’ipotesi praticabile ma che richiede ben altre e più articolate norme e che stride persino con quel minimo di pianificazione contenuto nel Pgt stesso: una norma che andrebbe discussa a parte e non nel calderone del Pgt. Peccato che per "loro" sia un principio intoccabile.

Postilla

Fiorentino Sullo non può essere considerato un antesignano della spalmatura dell'edificabilità, e della conseguente "perequazione", come proposto allora da Achille Cutrera e Michele Achilli, come applicata nel recente PRG di Roma. Il ministro democristiano dell'epoca aveva proposto l'acquisizione preventiva dei suoli resi edificabili dal PRG e un'indennità pari al valore agricolo per le aree di nuova urbanizzazione e pari al valore venale per quelle già urbanizzate o urbanizzabili (si veda su eddyburg la sua proposta,e in particolare l'articolo 24 )

Sfila per strada la rabbia della gente contro il progetto di riqualificazione dell´ex Alfa di Arese. Al posto della storica azienda in rampa di lancio ci sono un centro commerciale, il più grande d´Europa, ville e palazzi, e una nuova tangenziale. Una colata di cemento e asfalto che sconvolgerà la zona. È l´accordo di programma tra Regione, i quattro comuni interessati (Garbagnate, Arese, Lainate e Rho) e i proprietari dell´area, tra cui spicca il nome di Marco Brunelli, numero uno di Finiper e azionista di Gs. Una colata di cemento a cui si oppongono comitati di cittadini, commercianti, il Pd ma anche la Lega, che nei quattro Comuni sta con la maggioranza.

Ieri in 500 hanno marciato per le vie di Arese in segno di protesta portando davanti al municipio la contestazione, fin sotto le finestre del sindaco Gianluigi Fornaro. Mamme, bambini, anziani e giovani, operai, impiegati e casalinghe, una presenza trasversale per una manifestazione nata dal basso e riunita attorno al vessillo del "Coordinamento di difesa del territorio area Alfa", capace di raccogliere in poche settimane 4mila firme da spedire al Pirellone per bloccare il progetto.

"Non svendete il territorio", recitava lo striscione tenuto da centinaia di mani. «Siamo qui per fermare questo scempio – spiega Sara Belluzzo, presidente del Coordinamento –. In un territorio già congestionato dal traffico e divorato della presenza dell´uomo non servono altre strade e nuove case.

L´ex Alfa deve mantenere la sua vocazione produttiva. In passato le parole della Regione ci hanno illuso, ci è sempre stato detto che per il rilancio dell´area si sarebbe puntato sulla green economy, adesso sembra svanita qualsiasi promessa». La preoccupazione per il futuro si mischia al senso di impotenza, lo fa capire il vice presidente di Legambiente, Gianluigi Forloni: «Se anche dovessimo riuscire a far saltare l´attuale accordo di programma, corriamo il rischio di vederci costruire sotto il naso come nulla fosse». La zona è nel cuore dell´area Expo, e il governo potrebbe decidere di intervenire con procedura d´urgenza, senza più ascoltare la voce dei cittadini.

Green economy, un sogno tradito sull´area solo palazzi e ipermercati



Sui cancelli d´ingresso dell´ex Alfa rimangono le bandiere, sgualcite, mangiate dal sole e dalla pioggia. Sono quelle dei sindacati, ultimi segni di una lotta operaia che ad Arese è stata lunga e ha finito per segnare un´epopea. Echi lontani, immagini ancora in bianco e nero, ora gli stabilimenti (costruiti negli anni ´60 per sostituire quelli del Portello a Milano) sono abbandonati. Eppure solo 20 anni fa, sotto le volte dei capannoni lavoravano 12mila persone. Oggi ne rimangono 120, impiegati e ricercatori. Se ne andranno tra poco, entro questo 2010 in cui per uno scherzo della storia ricorre il centenario di fondazione dell´Alfa Romeo: saranno ricollocati negli stabilimenti Fiat di Pregnana e Corbetta. Quello che rimane è archeologia industriale su un´area sconfinata, due milioni di metri quadrati, incastonata tra Garbagnate, Arese, Lainate e Rho, giunte di centrodestra. È qui, nell´ombelico della Lombardia almeno fino al 2015, anno di Expo, che si gioca una delle partite più importanti per il rilancio della Regione.

Di riqualificare la zona si parla da 15 anni, sul tavolo di Formigoni e su quello dei sindaci sono già passati tre accordi di programma nel 1996, nel 2002 e nel 2009, ma da febbraio l´iter è bloccato. Regione e Comuni dicono che non ci sono problemi eppure le loro firme per il via libera ancora non arrivano. L´ultimo progetto però ha scatenato una sollevazione popolare. In quelli precedenti si puntava tutto sull´industria e sulla green economy, per stabilire un ponte tra passato e futuro, come aveva più volte ribadito lo stesso Formigoni. Quel progetto ha lasciato il passo a un centro commerciale di 77mila metri quadrati, primo per dimensioni in Europa, che andrà a prendere il posto del parcheggio coperto a sei piani dove venivano stoccate le automobili destinate alle concessionarie. Nello spicchio che insiste su Garbagnate, 17mila metri quadrati, sorgeranno 1.200 nuove abitazioni, e dalla parte opposta un parcheggio di 3.000 posti auto in vista dell´Expo. È prevista anche una parte produttiva, 700mila metri quadrati, «ma senza contenuti - attacca Andrea Orlandi, consigliere del Pd a Rho - . Si era parlato di auto elettriche, di progetti industriali ecosostenibili, tutto nel dimenticatoio. Occorre ridimensionare il commerciale e aumentare le aree verdi». Le aree boschive hanno ceduto il passo a una tangenzialina di collegamento tra Rho e Garbagnate, dove la giunta sta aspettando solo il via dei lavori per cambiare destinazione d´uso al cuscinetto verde, oggi esistente tra i suoi confini e la nuova cittadella. Un insediamento di 4mila persone, per cui non sono ancora stati pensati servizi indispensabili come le scuole, per fare un esempio.

In un territorio dal fragile equilibrio, attraversato dalla A8 e da un reticolo di superstrade e tangenziali, l´aumento esponenziale delle auto è un cancro capace di mandare all´aria la viabilità. Sia il tessuto sociale che quello economico rischiano di essere travolti dal nuovo volto dell´ex Alfa. Da mesi i negozianti sono sul piede di guerra contro il nuovo centro commerciale, in procinto di essere affiancato da un secondo ipermercato sul territorio di Garbagnate. Per loro, i proprietari dell´area, la Immobiliare estate Sei insieme ad Alfa Business Park (una controllata di Fiat) hanno previsto 4,4 milioni di euro di indennizzo. «Una goccia nel mare se si divide la cifra per gli 800 esercenti interessati dal contentino», dicono i vertici locali della Lega.

Dalla parte opposta della barricata c´è Roberto Zucchetti, sindaco di Rho, esponente di spicco di Cl vicino a Formigoni: «È un´occasione da cogliere. Gli insediamenti è meglio farli dove ci sono già capannoni e se ci sono industriali pronti a investire in tecnologie pulite che si facciano avanti». Di certo, per ora, ci sono già molti commensali alla tavola dell´ex Alfa, dai signori del mattone alla criminalità organizzata, decisa a giocare la sua parte come nei cantieri Expo.

I signori del mattone attendono fiduciosi, il Pgt dovrebbe rivelarsi un assist prezioso. Il gruppo Ligresti, Hines, Pirelli Re, i soggetti più finanziari come Allianz e Generali. E i loro prestatori di riferimento, quel trittico Mediobanca, Unicredit e Intesa Sanpaolo che si incastona nel miglio tra Cordusio e la Scala.

I signori hanno certo conosciuto tempi più felici. Per anni hanno gestito grandi affari entro una rete di potere consolidata; e ben rappresentata a Palazzo Marino. Pure, i costruttori di Milano ora sono in difficoltà, per colpa della crisi finanziaria e poi economica che li ha colti mentre erigevano nuovi moloch, già faraonici quando furono pensati, figurarsi nelle ristrettezze attuali. Santa Giulia è lo spauracchio di tutti. Finire come Luigi Zunino, che sognava una cittadella d’oro ai bordi della tangenziale Est. A braccetto con quei poteri ammaccati, i poteri amministrativi, anemici per le diete imposte dal governo e costretti a triplicare gli oneri di urbanizzazione, l’anno scorso, e a rilanciare una delle prime industrie dell’intorno, ora.

Per trovare una soluzione che tenga tutte le variabili e gli interessi, si tenta il volo alto. Piano di governo del territorio, la carta che riscrive l’urbanistica cittadina e pianifica l’edilizia dei prossimi decenni. Ancora nelle more della dialettica politica, il Pgt svela una filosofia di base molto chiara. Più flessibilità a chi costruisce e nella destinazione delle aree, un nuovo "mercato dei diritti edificatori" che convenga un po’ a tutti, sistematica sussidiarietà nelle funzioni di servizio (significa che il Comune non si occuperà di ospedali, scuole e simili nei futuri nuovi quartieri; creando nuove opportunità per un altro sicuro business privato, totalmente in mano a Compagnia delle Opere e Cl).

Per declinare sulla mappa cittadina i principi, fanno al caso una quantità di spazi ex pubblici - caserme, scali e stazioni ferroviarie su tutti - che saranno messi al bando per assegnarli, con nuove funzioni ed edificabilità, ai migliori offerenti. Si dice che l’ex scalo Farini, l’area più grossa e forse appetibile (651mila metri quadrati) piacerebbe a Ligresti e ad Hines Italia, due big già alleati nei cantieri Garibaldi-Repubblica. E che confidano molto anche nel progetto di via Stephenson (446mila metri quadrati, solo un quinto a verde) dove potrebbe sorgere una "Defense" milanese.

Ma non c’è solo il binomio Ligresti-Hines. La grande area Cascina Merlata, vicina all’Expo di Rho-Pero, è di Euromilano, società composta da cooperative bianche e rosse, più Intesa Sanpaolo, Unipol, Brunelli, Greenway. Poco lontano, Euromilano possiede il progetto Bovisa (846mila metri quadrati), altro quartiere residenziale-uffici che spera nel traino della sede bis del Politecnico. I maligni dicono che Euromilano, e il ruolo delle cooperative, sono un elemento che pesa nella trattativa politica tra giunta e opposizione di centrosinistra. Questi i bocconi ghiotti, ma la cartina cittadina è zeppa di aree dove si potrà costruire, o comunque guadagnare con il nuovo Pgt. E qui entra in gioco il concetto di "perequazione", che prevede lo scambio di diritti a costruire (come avviene per i certificati verdi): chi ha l’area si accorda con chi ha il diritto, sotto la regia del Comune. Meglio ancora, chi ha l’area trasferisce quei diritti a costruire dove più gli conviene. Quel che farà, probabilmente, Ligresti con le sue aree nel Parco Sud, e altre periferiche. Si creerà un mercato i diritti e aree, scambiati in una "Borsa" dai contorni ancora grigi, ma gli esperti scommettono che i grandi operatori faranno incetta dai piccoli di diritti e aree strumentali, per successivi arbitraggi tra cubature su aree di diverso pregio.

Un altro tema riguarda i prezzi, che in città non scendono mai abbastanza, e con le future maggiori volumetrie potrebbero adeguarsi al livello, scarso, della domanda. «Il Pgt è uno strumento innovativo pensato per stimolare il mercato e consentire prodotti immobiliari in linea con la domanda possibile», dice un costruttore. I compratori sono sempre più poveri, perché migranti, giovani o semplicemente colpiti dalla crisi. Per questo c’è chi dice che l’assessore Masseroli punterà molto sull’edilizia convenzionata, per i nuovi progetti. E una svolta "popolare" potrebbe preparare lo sbarco dei costruttori romani, come Caltagirone, Acqua Marcia e Lamaro, che già a vario titolo hanno avuto esperienze di affari in città.

«Il Pgt ha il merito di pensare a uno sviluppo più ampio della città, con una pianificazione urbanistica intelligente», dice Manfredi Catella, ad di Hines Italia, convinto che l’adozione di «una nuova cornice di regole certe e trasparenti» e lo scambio dei diritti a costruire «favorirà tutti gli operatori, non solo i più grandi».

Un albergo a 5 stelle, un residence di lusso, un green per il golf e un altro hotel in costruzione in un sito di interesse comunitario. Accade a Is Arenas, nell’Oristanese, un gioiello tra dune e fondali protetti.

La Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia per la colata di cemento piovuta su Is Arenas. Un paradiso ambientale unico nel suo genere, racchiuso tra dune incontaminate e mare cristallino della zona di Oristano, inserito già nel 2006 tra i SIC, i siti d’importanza comunitaria. Una braccio di terra dove non si poteva realizzare una speculazione immobiliare. Invece i signori del mattone, avevano pensato di incastonare, lì tra le dune altissime, un complesso turistico di 222.900 metri cubi. La Corte di Giustizia Europea non ci sta, e così condanna la comunità intera a pagare una sanzione che sarà altissima.

«Quello di Is Arenas- spiega l’architetto Sandro Roggio – è un caso emblematico di aggressione al paesaggio e ci toccherà pagare pure i danni. Fa specie poi, che sia stata la Corte Europea a sottolineare in maniera così netta l’inammissibilità di un intervento di quel tipo in una zona da salvaguardare. È una figuraccia con il resto del mondo perché ci dice, tra l’altro, che non siamo in grado di tutelare le nostre bellezze naturali». In realtà, l’Europa aveva già avvisato che lì, in quel paradiso naturale, non si poteva mettere su un villaggio turistico con tanto di campo di golf. L’aveva fatto nel ’98, aprendo la prima procedura d’infrazione di fronte alla Commissione Europea per “cattiva applicazione della direttiva relativa alla conservazione degli habitat naturali”».

UNA STORIA INIZIATA NEL 1997

Nessuno però ha voluto ascoltare. Perché il 9 giugno del ’97 era stato firmato un accordo di programma tra Regione,Comune di Narbolia e i vari rami della società Is Arenas srl. Al posto delle dune metri di cubi di cemento per aprire la strada al turismo con le betoniere, e pazienza se il bene comune andava a farsi benedire.

Nonostante tutto si va avanti con l’operazione immobiliare. Fino a che nel 2000 arriva la prima messa in mora e nel febbraio del 2001 il parere motivato. Così, accogliendo le rumorose proteste dell’Europa, si pensa di sottoporre tutto il progetto alla procedura di verifica di impatto ambientale. Ma il direttore del Servizio di conservazione della Natura e degli Habitat dichiara che basta soltanto la valutazione d’incidenza ambientale. Dice ancora Sandro Roggio che qui «inizia il trucco più grande. Perché se la valutazione di impatto ambientale è prevista per tot metri cubi, l’ostacolo si può aggirare con la frammentazione in vari lotti. Nel frattempo si attacca una zona protetta». L’Europa però continua ad essere lontana da Is Arenas, anche il Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra cercano con esposti e denunce riempire il silenzio. Si va avanti lo stesso con il progetto. Si cercano le pezze, come “La determinazione del Servizio Conservazione della Natura e degli Habitat” che conclude la VIA (valutazione d’incidenza ambientale). Prevede misure ritenute inadeguate dall’Unione che per questo avvia una nuova procedura d’infrazione con due lettere di messa in mora del 22 dicembre 2004 e del 13 dicembre 2005. La potente società Is Arenas srl, però, non si arrende, e scomoda il ministro all’Ambiente Altero Matteoli del governo Berlusconi. Che propone, caso unico in Europa, la cancellazione di Is Arenas dall’elenco dei Sic. Sconcertante la motivazione adottata: il direttore generale del ministero Aldo Cosentino presenta una relazione dove diceva, in pratica, che visto che l’ambiente era ormai compromesso a causa dei lavori, tanto valeva cancellarla dai siti di interesse comunitario.

Nel 2006, finalmente qualcosa si muove. L’Assessore all’Ambiente della giunta Soru Cicitto Morittu cerca di arrivare ad un accordo e presenta un Percorso Concordato da sottoscrivere insieme alla Is Arenas srl e ai comuni della zona protetta. Punti salienti sono il dieci per cento in meno delle volumetrie e ampliamento del perimetro del Sic, la zona tutelata. L’accordo viene approvato con una delibera il 28 aprile del 2009. Troppo tardi per l’Unione Europea, i termini erano già scaduti. Scrivono infatti i giudici Ue nella sentenza che: «anche il piano di gestione provvisorio elaborato dalle autorità italiane nel 2006 è stato approvato dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato complementare». Secondo i magistrati europei «la Repubblica italiana non ha quindi adottato misure di conservazione idonee». E risulta che i lavori «sono proseguiti oltre il termine di due mesi fissato nel parere motivato complementare del 29 febbraio 2008 e sono stati condotti sulla base del progetto originario». Insomma, si è fatto finta di non vedere e non sentire mentre pezzi di territorio venivano devastati dal cemento. E Adesso è troppo tardi: il danno fatto da altri sarà pagato dalla comunità, tanto per cambiare.

MONTICHIARI (Brescia)— Lo avevano già ribattezzato «l' aereo dei bagnanti»: un volo low-cost che ogni fine settimana, con partenza alle 13.50, in 40 minuti avrebbe dovuto portare turisti da Brescia a Rimini.

Ieri, sulla carta, al «D’Annunzio» di Montichiari si doveva festeggiare il primo decollo del volo Dnm220, gestito dalla OristanoFly. Peccato che quell’aereo nessuno l'abbia mai visto. Cancellato prima di prendere servizio. Il volo per Rimini non è decollato perché nessun passeggero si è presentato all'imbarco.

Si tratta dell'ennesima partenza falsa di uno scalo nato addirittura con l'ambizione di fare concorrenza aMalpensa e Linate, ma che dopo 11 anni di vita è inchiodato agli ultimi posti della graduatoria nazionale di traffico. La direzione di Montichiari non vuole sentire parlare di flop: «La rotta per Rimini è gestita dalla OristanoFly, la stessa che dal 3 giugno ha riattivato i collegamenti con Roma e per la Sardegna. La cancellazione del volo d’esordio per Rimini è solo frutto di un disguido — chiosa Vigilio Bettinsoli, presidente dello scalo —. La prossima settimana sarà tutto regolare. I collegamenti con la Romagna, la Sardegna e la Toscana saranno fondamentali per farci ripartire».

Dallo scalo bresciano ieri sono decollati solo tre aerei: due per Londra (gestiti dalla Ryanair) e uno per Oristano via Roma (riattivato proprio dalla compagnia sarda).

Montichiari si conferma una cattedrale nel deserto dei cieli: i soci— principalmente enti pubblici— devono ripianare ogni anno un debito che è arrivato a sfiorare i 30milioni di euro.

I passeggeri e le compagnie latitano, preferendo muoversi sugli scali di Bergamo e Verona, ciascuno dei quali dista dal D'Annunzio 40 chilometri al massimo.

I trentadue poliziotti assegnati allo scalo, assieme a finanzieri, vigili del fuoco e controllori di volo lavorano in concreto solo pochi minuti al giorno.

Ieri c'erano dieci taxi in fila, passeggeri zero.

Nota: su questo fantasmagorico hub fantasma, mi sono già parzialmente "sfogato" qualche anno fa, inserendoa lcuni articoli, a partire dal mio HUB? BURP! (f.b.)

IL PARADOSSO DELLA TERZA PISTA

La Giunta regionale ed altri Enti stanno imprimendo un grande movimento ai programmi per la terza pista ed il colpo di scena è l’annuncio del Consiglio regionale a Malpensa: sarà veramente convocato? A volte, come è noto, basta dirlo… vedremo.

Ma siccome l’obiettivo è la terza pista (Bonomi: “non c’è un momento da perdere”) evidenziamo quello che, della terza pista, è il paradosso.

• Quando il traffico di un aeroporto è in aumento può rendersi necessario aggiungere una pista, quando il traffico cala bruscamente (ed è il caso di Malpensa), normalmente non ci pensa nessuno.

• Alcuni dati: Malpensa gestisce, oggi, con 2 piste, 17 milioni di passeggeri/anno ed è noto che, purtroppo, può arrivare con questa configurazione a ca. 30 milioni di passeggeri ma, francamente, dove li potrà trovare 30 milioni di passeggeri, anche fra 5, 10 anni o più? Il “traffico che aumenta” (ancora Bonomi) è il futuro dietro l’angolo (Expo???), è un sogno o è solo propaganda?

• Quindi per l’operatività di Malpensa la terza pista non serve: ma allora a cosa serve?

IL PARADOSSO DELLA REGIONE LOMBARDIA

• La Regione Lombardia, con D.G.R. N°8/5290 del 03/08/2007, ha classificato i Comuni del C.U.V. in zona di risanamento in cui devono essere ridotte le fonti emissive.

• L'elevato rapporto di emissioni prodotte da Malpensa (dati rilevati e pubblicati da ARPA Lombardia) rispetto alle altre attività presenti sul territorio, indica come unica compensazione possibile la riduzione delle attività aeroportuali.

• Quindi il supporto che Regione Lombardia dà ai piani di crescita dell’aeroporto di Malpensa è sorprendentemente in contrasto con:

- il sopracitato D.G.R. N° 8/5290 del 03/08/2007,

- il collocamento dei Comuni attorno all'aeroporto di Malpensa in “zona di risanamento”, e costituisce una PARADOSSALE AMBIGUITA’.

Alla qualità e quantità delle emissioni inquinanti di Malpensa (dati di ARPA Lombardia, causa Quintavalle e relativa sentenza), si correla un rischio reale per la salute umana, rischio ben noto in Medicina che capiremo quando (troppo tardi) avremo i dati dagli ospedali della zona.



CONCLUSIONE

• Ci auguriamo che la squallida offerta di 1 € per passeggero e l’abbaglio di 300.000 posti di lavoro non stimolino l’appetito di Sindaci e Sindacati, visto che stiamo ancora aspettando i 100.000 posti a cui qualcuno aveva creduto 20 anni fa.

• Il vero valore aggiunto per il Territorio non è Malpensa e la cementificazione dei suoli ma è il parco del Ticino, “Riserva della Biosfera dell’UNESCO e Patrimonio dell’Umanità”

Gallarate, 10 giugno 2010

UNI.CO.MAL. Lombardia

Beppe Balzarini

«Tutti sono molto affezionati alla nota ditta Martini&Rossi, che produce un vermouth internazionalmente conosciuto, ma adesso il presidente della Regione è Enrico Rossi e bisognerà farsene una ragione». La polemica scoppiata tra il neo assessore Anna Marson da una parte e una bella fetta di sindaci della Costa, con il rinforzo del Pd, non riscalda il cuore del presidente, che anzi liquida con una battuta l’ammutinamento dei primi cittadini, insoddisfatti per il cambio di rotta in materia di urbanistica. Uno a zero, e con un gol pesante, per la Marson. Ma un attimo prima, lo stesso Enrico Rossi aveva chiuso a doppia mandata ogni possibilità di rimettere in discussione la realizzazione della Tirrenica, dopo il pesante giudizio espresso del suo assessore all’Urbanistica che quindi da una parte esce rafforzata e dall’altra ridimensionata.

Dopo giorni di polemiche, alla fine Enrico Rossi ha insomma sciolto, con un taglio netto, la questione.

A far divampare le fiamme, una serie di affermazioni della titolare dell’Urbanistica che avevano, di fatto, ribaltato la filosofia del suo predecessore Riccardo Conti.

«L’errore più grande - aveva dichiarato al Tirreno Anna Marson - è di aver dato autonomia ai Comuni senza accompagnarla con un adeguato sostegno. Non bisogna tornare al centralismo regionale, ma creare ai poteri dei Comuni dei contropoteri».

Marson aveva inoltre criticato la «Villettopoli» versiliese, l’eccessiva cementificazione di zone di grande pregio come l’Arcipelago e sostenuto l’idea che «c’è un limite allo sviluppo urbanistico». Al posto della vecchia filosofia, la Marson ne ha proposta un’altra, all’insegna del recupero degli edifici esistenti, di centri storici da riqualificare, di «interi quartieri da rottamare».

Queste parole hanno provocato la reazione di una serie di sindaci, con in testa il livornese Cosimi e il piombinese Anselmi. Il primo cittadino di Piombino ha parlato di «un approccio ideologico al non consumo di territorio che rischia di alimentare la rendita, anziché contrastarla», bollando l’impostazione della Marson come il frutto di una posizione elitaria e conservatrice.

Alessandro Cosimi, che è anche il presidente dell’Anci toscana, è andato oltre chiamando in causa direttamente Enrico Rossi.

«Mi pare incredibile - aveva dichiarato Cosimi - che si possano dare dei giudizi su dieci anni di governo regionale e aprire una nuova fase senza un’adeguata riflessione».

La posizione di Rossi, al riguardo, è stata chiara: «Una legislatura è finita e ne è iniziata un’altra, è normale che ci sia un cambiamento nelle politiche, senza che questo significhi rinnegare e contestare le scelte effettuate in precedenza».

Rossi ha ricordato che la scelta di limitare il consumo di territorio e di incentivare il riuso «è scritta nel mio programma» ed ha aggiunto che «stiamo lavorando all’elaborazione di proposte concrete che possano incentivare, in accordo con i Comuni e con i privati, delle esperienze importanti in grado di tutelare le città toscane e i centri storici, piuttosto che consumare il territorio, oltretutto adesso che c’è un elevato livello di invenduto».

Sul fronte della Tirrenica, porte chiuse, invece, alla Marson che aveva criticato l’opera per il suo «impatto pesante sul paesaggio rurale storico» e perché «introduce un elemento di frattura forte tra area costiera e centri retrostanti». Anche su questo, Rossi è netto: nessuna marcia indietro e anzi la volontà di andare in tempi brevi «a un punto complessivo con il ministro Matteoli». Sulla Tirrenica, ha aggiunto, si andrà alla piena «attuazione dell’accordo Martini-Conti sulle infrastrutture».

Che cosa fare per salvare la campagna romana dalle colate di cemento, dall’assedio delle periferie (che l’etichetta ipocrita di «centralità» non salva dallo squallore e dal degrado)?

Il Sindaco Alemanno ha una sua ricetta: per «fermare la crescita a macchia d’olio» occorre «rompere i tabù», abolire l’antico vincolo per cui nulla nel territorio comunale può superare l’altezza della cupola di San Pietro.

«Densificare la periferia», costruendo grattacieli «come l’Eurosky dell´Eur, che sarà l’edificio residenziale più alto d’Italia». Anzi, «demolire le periferie e ricostruirle», «densificando»: una Roma di grattacieli «accanto al centro storico più importante al mondo».

Diagnosi giusta, ricetta sbagliata. L’orrido urban sprawl che assedia non solo Roma, ma tutte le nostre città, va contrastato mediante nuove politiche dell’abitare, con una gestione del paesaggio conforme alla tradizione (e alla Costituzione), abbattendo e riqualificando. Rivoluzione che non si compie in una notte, ma presupporrebbe il diffondersi di una cultura urbanistica e architettonica meno sgangherata di quella che sta divorando un Bel Paese sempre meno meritevole di tal nome.

Richiederebbe il rispetto delle regole, a cominciare da un Codice dei Beni Culturali che è quanto di più bipartisan si possa immaginare (portando le firme dei ministri Urbani, Buttiglione, Rutelli), ma che tutti s’industriano a dilazionare, modificare, aggirare con deroghe, o francamente a ignorare.

Esigerebbe legioni di architetti meglio attrezzati, di assessori meno proni al volere d’ogni palazzinaro, di cittadini capaci d’indignarsi. Nell’orizzonte italiano (e non solo di Roma) io non vedo l’alba di questa nuova consapevolezza, né il tentativo di crearla, agendo (per esempio) nelle scuole, facendo di questi temi uno dei centri della discussione politica, coinvolgendo nella discussione i cittadini, le associazioni per la tutela e per l’ambiente.

Vi fu un tempo, specialmente in Italia, in cui la costruzione della città implicava, per scelta civile ma anche per tensione etica e politica, un atto consapevole di auto-limitazione. Il principio era uno e uno solo: il bene comune, con l’intesa (che non ebbe mai bisogno di argomenti, perché non aveva avversari che osassero fiatare) che esso doveva coincidere con la bellezza e l’ornamento della città. Il Costituto di Siena del 1309 dice espressamente che «intra li studii et solicitudini è quali procurare si debiano per coloro, che hanno ad intendere al governamento de la città, è quello massimamente che s’intenda a la bellezza della città», perchè la città --continua—dev’essere «onorevolmente dotata et guernita», tanto «per cagione di diletto et allegrezza» ai forestieri quanto «per onore, prosperità et accrescimento de la città et de’ cittadini di Siena».

Gli Statuti comunali (ma anche quelli delle città regie, per esempio di Sicilia) prescrissero per secoli gli stessi principi in tutta quella che oggi si chiama Italia, e con buona pace della Lega si chiamava così anche allora: bellezza, decoro, ornamento, dignità, onore pubblico sono le parole martellate dalle Alpi alla Sicilia, alla Sardegna. Per secoli.

Al privato che rivendicava i propri diritti di proprietà, sempre si rispose che ogni interesse del singolo dev’esser sovrastato dal pubblico bene, e si ricorse alla nozione giuridica di publica utilitas fondandola sopra la tradizione del diritto romano. A Roma Gregorio XIII, nella costituzione apostolica Quae publice utilia et decora (1574), proclamò sin dalle prime righe l’assoluta priorità del bene e del decoro pubblico sulle cupiditates e sui commoda [interessi, profitti] dei privati, e sottopose a rigoroso controllo l’attività edilizia di tutti i privati (anche gli ecclesiastici, anche i cardinali).

Non vi fu, allora, un Berlusconi che al grido di «padroni in casa propria!» accusasse quel Pontefice di cripto-comunismo. Ma l’urban sprawl che ci affligge, e che giustamente Alemanno denuncia e vuole arrestare, è figlio del tramonto del pubblico bene, e del trionfo degli interessi del singolo.

Le periferie-centralità che si sono insediate fra gli acquedotti dell’antica Roma, fra le tombe e le ville dei Cesari, da questo nacquero: dietro ogni orrore c’è un cedimento (per non dir complicità) delle amministrazioni capitoline, una genuflessione davanti ai vantati diritti del privato, un’offesa a due millenni di priorità del bene pubblico sulla cupiditas privata.

Di quelle scelte Alemanno non ha colpa: ma i suoi grattacieli, che pretendono di essere l’opposto dell’urban sprawl, sono più probabilmente il rilancio e la legittimazione di una crescita periurbana tanto più disordinata quanto più «densificata».

In molte città d’Italia si scelse per secoli il monumento-simbolo che servisse da esaltazione dello skyline: a Siena fu la Torre del Mangia, a Modena la Ghirlandina, a Roma la cupola di San Pietro. Misure convenzionali, certo, ma altamente simboliche di un’etica del self-restraint, di un’idea della città unitaria, compatta, dotata di memoria, di un’anima. Capace di pensare se stessa. Quello che Alemanno chiama «tabù» fu in verità proprio il contrario: una scelta meditata, misurata, consapevole, ricca non solo di storia o di memoria, ma di quella che potrebbe chiamarsi la modellazione del futuro. L’idea era semplice: conservare lo spirito della forma urbis imperniandola su moduli-base di crescita. Costringere l’architetto (anche il più grande) entro regole di rispetto della memoria storica, così come il poeta (anche il più grande) deve comporre i suoi versi secondo misure prestabilite. Creare per i nostri figli un’armonia che somigli a quella che abbiamo ricevuto dai nostri padri.

Vedremo a che cosa somiglieranno i grattacieli proposti da Alemanno, e in che cosa sapranno distinguersi dalle architetture in genere scellerate che infestano quello che fu l’agro romano. Vedremo se essi tracceranno una nuova forma urbana, o saranno una corona di spine che assedia, o crocifigge, il centro storico «più importante al mondo». Vedremo se sapranno rimediare a quella indeterminata e incessante espansione delle periferie ai danni dell’ambiente naturale e storico, sempre più marcatamente dissolto nella confusione di una disordinata megalopoli; o se, al contrario, ne aggraveranno i problemi proprio col «densificarla». Lo vedranno, prima di tutto, i romani, se –come Alemanno promette - saranno chiamati a una consultazione popolare. Ma con quali informazioni? Con quale cultura urbanistica e architettonica? Con quale senso del bene comune?

Grattacieli in periferia, che superino in altezza persino la cupola di San Pietro e siano perciò in grado di riqualificare e ridisegnare porzioni di città lontane dal centro storico, troppo spesso trascurate. Parla della Roma del futuro il sindaco Gianni Alemanno, a Milano in occasione dell´apertura dell´Eire, l´Expo Italia Real Estate: «La città storica - sottolinea - deve mantenere l´antico vincolo di non superare il Cupolone, ma nella periferia dobbiamo poter costruire in altezza, perché è necessario trasformare le periferie, demolirle e ricostruirle». A volerne fare una questione teorica, si può dire che si mira a infrangere il tabù per realizzare il totem, abbandonare la morbida orizzontalità del paesaggio (i sette colli) per cedere alla più topica delle sfide umane, dalla torre di Babele allo skyline di Hong Kong, il migliore del mondo. È la tendenza, insomma, a toccare il cielo con un dito, ora anche nella città del papa.

E date le polemiche intorno agli interventi di architettura dell´ultimo decennio, dall´Ara Pacis di Richard Meier all´Auditorium di Renzo Piano al più recente Maxxi di Zaha Hadid, Alemanno (ri)annuncia di voler consultare i romani con un referendum che ponga un quesito come "volete voi palazzi più alti della cupola di San Pietro?". Intanto la Città Eterna il "tabù" sta provando ad infrangerlo da un po´, e qualcosa sta nascendo. «La tua casa, nel punto più alto da cui guardare il mondo» è lo slogan con cui si presenta Eurosky, progettato dall´architetto Franco Purini «ispirata alle torri medievali che troneggiano al centro della città», in lavorazione. Mentre l´architetto spagnolo Santiago Calatrava ha di recente (in occasione di un summit di urbanistica organizzato dal Campidoglio in aprile) fatto il suo ultimo sopralluogo alla Città dello Sport che sta sorgendo a Tor Vergata: non è una torre degna di Chicago, lo skyline più griffato del pianeta, ma i suoi 90 metri li raggiunge. Cresce in altezza, e fino a 80 metri, anche la cosiddetta Lama di Fuksas, l´albergo annesso al centro congressi, noto come Nuvola anch´esso in costruzione nella zona dell´Eur piacentiniano e mussoliniano.

La crescita verticale della città trova in netto disaccordo l´urbanista che forse, fra tanti, ha più ragionato e scritto su Roma e sul suo sviluppo architettonico, Italo Insolera. Che ragiona così: «In tutto il mondo i grattacieli sono nati per accogliere servizi. A Roma dovrebbero servire come abitazioni. Mi sembra una scelta infelice. Difendo al contrario un modello di palazzine più contenute, come è la Garbatella. Al tempo stesso credo che luoghi come Corviale, il palazzone di periferia costruito negli anni Settanta e ribattezzato "il chilometro", andrebbero conservati, e fatti funzionare meglio dal punto di vista sociale. Perché bisogna ragionare sempre sui contesti: alle città non servono le "archistar" che arrivano e piantano astronavi firmate in mezzo al nulla». Francesco Garofalo, curatore del padiglione italiano alla Biennale di Venezia e della Festa dell´Architettura che apre oggi a Roma con la lectio magistralis di Alvaro Siza, sottolinea: «La questione dei grattacieli mi sembra astratta. Credo che serva una buona committenza. Se ci accapigliamo su certi simboli, è finita e, d´altra parte, dire a priori che le torri sono sbagliate è pura petizione ideologica».

Stando ai fatti, il piano regolatore della città di Roma, varato dalla giunta Veltroni, definisce limiti e proporzioni della crescita delle cosiddette "centralità metropolitane" (leggi: periferie). Ma non si spinge fino a chiarire se ciò debba verificarsi, per esempio, in dieci palazzine da tre piani o in una da trenta. Carta bianca, dunque, a contrastare quella consuetudine a non superare in direzione del cielo la "santità del Cupolone" (e nemmeno la "maestà del Colosseo") sancita all´epoca dei Patti Lateranensi. Una sfida che nessuno ha finora osato intraprendere.

Sull'eolico in Sardegna si discute molto in questi giorni. Ma non si spiega che il danno non è quello di acchiappare il vento (il maestrale soffierà sempre forte) ma prendersi l'orizzonte, occupare il paesaggio bene comune e limitato, e quando lo deturpi è per sempre. Le mosse, sotto osservazione degli inquirenti, pare servissero per addomesticare le regole utili a frenare la diffusione delle torri eoliche nel mare e nelle campagne.

Nessuna novità. Le politiche della destra non hanno a cuore il bene comune. Il programma è prendere da ogni territorio senza restituire nulla. Dalla Sardegna per lungo tempo si è portato via gratis. Non servivano grandi investimenti per trasferire legname o corallo o selvaggina. Qualche attrezzo indispensabile - per la pesca del tonno o per l'estrazione di minerali- non ha impoverito le imprese che poi hanno abbandonato tutto lì (sembra di vederle le torri eoliche arrugginite ai piedi di qualche altura).

Da mezzo secolo in Sardegna restano i segni di cangianti scorrerie che si adeguano ai tempi. Si sono fatti buoni affari nell'isola. Basta guardare la distruzione delle coste - per compiacere speculatori più che turisti-, le dune e le scogliere diventate piedistalli di brutte case. E se non bastano le proprietà private, terre e immobili pubblici saranno a disposizione nel girone del federalismo demaniale.

Il programma era/è chiarissimo e i sardi hanno deciso di favorirlo, così dopo la parentesi del governo Soru, nuova corsa.

Piano-casa: i primi effetti. Tutto ampiamente previsto in quell'idea bizzarra di piano-casa: evidente che avrebbe premiato le case grandi come villa Certosa. Chi più ha più gli tocca. Altro che un posto letto per il figlio che cresce. Poteva ritrarsi Berlusconi, esibire il bel gesto di rinunciare all'incremento? “La legge è uguale per tutti” - pronta risposta del portavoce di turno.

La legge appunto. La decisione di impugnare di fronte alla Consulta qualunque provvedimento autorizzativo del piano-casa - assicurano gli esponenti dell'opposizione- è una bella notizia. Sarà divertente: in giudizio l'ampliamento del villone dell'ispiratore del piano-casa sardo (ricordate Cappellacci convocato a Roma per questo?). L'ennesima prova del tentacolare conflitto di interessi del premier nel surreale dibattimento sulla deroga regionale ai vincoli prevalenti (quelli del Piano Paesaggistico secondo una legge dello Stato). Lo spettacolo servirà ai cittadini di destra per rendersi conto ? Solo se si evidenzieranno bene le notevoli contraddizioni nelle politiche di annunci reiterati e noiosi. O meglio delle politiche dei gusci vuoti che restano vuoti, pure perché c'è chi è sempre pronto a prendersi il contenuto.

Ieri Letizia Moratti non è scesa nell’aula del Consiglio comunale per raccontare e spiegare alla città la vicenda delle presunte molestie di uno dei suoi assessori. Appena qualche giorno fa, viceversa, si era precipitata, sorriso sulle labbra, per festeggiare l’accordo sul Piano del territorio con l’opposizione. L’intesa ha lasciato nello stupore tutto il popolo della sinistra che si aspettava quantomeno la barricata degli emendamenti, invece prontamente ridotti per consentire che i tempi non costringessero la maggioranza probabilmente a rinviare l’approvazione a dopo la nuova tornata elettorale ormai alle porte. Perché l’ha fatto? Siamo in molti a domandarcelo. Detto brutalmente: perché la sinistra ormai ha preso l’abitudine, su certi temi, e in particolare quelli di contenuto urbanistico, a calare le braghe.

Gli interessi edilizi sono trasversali ed è inutile che quando lo si dice qualche pezzo dell’opposizione gridi alla lesa maestà. Ricapitoliamo. Quali sono le "ragioni" dell’operazione Pgt per chi l’ha promossa? La rimozione della rigidità del vecchio strumento rispetto alla richiesta di cambiamenti di destinazione d’uso sotto la spinta di una società in continua mutazione; questa rigidità era un freno all’attività edilizia (a dire dei promotori pronta a esplodere se solo avesse potuto); la necessità di uno strumento che consentisse di riequilibrare alcuni comparti della città sottodotati di strutture di servizio e di verde; la necessità di dare un alloggio a chi non può permetterselo andando direttamente sul mercato.

Questo strumento aveva anche il pregio, dicevano, di autofinanziarsi con il meccanismo delle convenzioni, con la perequazione (lo scambio di volumetrie tra aree a destinazione diversa), ovviamente con il nuovo gettito degli oneri di urbanizzazione. Condizione essenziale era che lo scenario del mercato immobiliare restasse immutato. Da quando l’assessore al territorio Carlo Masseroli si è insediato è cambiato tutto nell’economia mondiale, nell’economia locale e nel mercato immobiliare. Ma l’idea primigenia è rimasta tale e quale e quindi se l’intento era la tanto conclamata flessibilità, primo motore immobile e apoteosi del liberismo ciellino, di un aspetto di questa flessibilità non si è tenuto conto: la flessibilità dello strumento ai cambiamenti economici e di conseguenza ai cambiamenti del mercato.

Nel nostro caso se la domanda solvibile di case non riprende vigorosamente (forse in anni a venire) avremo uno strumento urbanistico da buttare: dopo tante discussioni. Ma non sarà facile farlo, checché ne dica la sinistra, perché saranno scattati meccanismi di diritti acquisiti. Resta comunque un documento non emendabile per l’intreccio d’interessi che lo rendono di difficile decrittazione, tra finanziari (bancari) e politici (anche apparentemente assai lontani dallo specifico del Pgt) e un insieme di trappole tutte tese all’aumento della densità edilizia.

Quanto poi alla discussione in Consiglio e in particolare sul tunnel, possiamo archiviare l’argomento secondo le idee di ciascuno di noi o nell’armadio degli incubi o nell’armadio dei sogni: egualmente ben chiusi né per merito né per colpa ma per fortuna. Io mi domando solo se vale la pena di andare avanti, tra l’altro, ad affrontare il meccanismo della perequazione e del mercato delle volumetrie: lasciamolo solo oggetto di dotte discussioni per accademici, un circolo Pickwik per intendersi, quello descritto da Charles Dickens col titolo originale The Posthumous Papers of the Pickwick Club, dove il Posthumous Paper è il Pgt. Rassegnamoci, comunque vadano le cose: la battaglia per il mattone sostenibile con questa sinistra a Milano è persa tra ambiguità, ammiccamenti e poteri forti.

L’errore più grande? «Aver dato autonomia ai comuni senza accompagnarla con adeguato sostegno. Non bisogna tornare al centralismo regionale ma creare ai poteri dei comuni i corrispettivi contropoteri», risponde il neo assessore all’urbanistica Anna Marson dalla sua casa a Mercatale, un borgo vicino a Firenze, che negli ultimi mesi è entrato nell’occhio del ciclone per alcuni presunti scandali edilizi. Da qui, dal suo buen retiro toscano, Anna Marson, veneta, docente di urbanistica a Venezia, dove è stata assessore alla Provincia, ha inviato ieri una lettera di apertura alla Rete dei comitati per la difesa del territorio.

L’assessore Marson ha promesso la revisione del Pit, il piano integrato del territorio, del suo predecessore Riccardo Conti. Sull’urbanistica si volta pagina.

Torniamo all’autonomia dei sindaci. Cosa intende per contropoteri?

«Dobbiamo sottoporre gli esiti delle pratiche di autonomia a una effettiva valutazione pubblica e se questi sono insoddisfacenti devono poter scattare dei poteri sostitutivi».

Proprio in questi giorni i sindaci dell’Elba si sono scagliati contro il presidente del parco Mario Tozzi che li ha accusati di voler cementificare. E’ d’accordo con il grido di Tozzi?

«Nel mio ruolo di assessore non sta a me gridare, ma migliorare le pratiche. Posso solo far mia l’osservazione di un famoso economista politico secondo cui è vero che tutti vorrebbero avere la casa nel bosco. Ma se tutti costruiscono una casa nel bosco, il bosco inevitabilmente sparisce. E’ chiaro che sull’Elba, sulla costa tirrenica e sulle zone più pregiate della Toscana dovremo fare una riflessione per affermare che c’è un limite allo sviluppo urbanistico e che se non lo si rispetta la bellezza del territorio è gravemente a rischio».

Che fare?

«Credo che si imponga, anche per la crisi economica del Paese, una politica di recupero degli edifici esistenti. La costruzione di nuove case in aree agricole comporta opere di urbanizzazione, che i comuni, anche per la crisi economica, non sono in grado di fare».

Troppo cemento?

«Io penso che di cemento non ce ne sia troppo in assoluto ma è male distribuito. Se ragioniamo sullo sfilacciamento di molti tessuti urbanizzati ritengo che ci sia spazio ancora per costruire nuovi volumi. Altra cosa è secondo me andare ad aggredire nuovo territorio».

Troppe seconde case?

«Dovremo riqualificare i centri esistenti e portarci i turisti. Anche all’Elba la domanda delle seconde case è più forte lungo la costa e meno all’interno dell’isola. La costa toscana è abbastanza differenziata. La Versilia sembra un pezzetto di Padania per il modello insediativo nel senso che c’è una dispersione insediativa molto elevata, quella che Pier Luigi Cervellati chiama Villettopoli. A sud di Pisa ci sono ancora porzioni di territorio rurale che è importante salvaguardare, portando i turisti nei centri all’interno».

San Vincenzo e Val di Cornia: ha letto la polemica sulle troppe case?

«Sono intervenuta solo per notare che in quelle zone, come anche in altre in Toscana, è stato esaurito il dimensionamento previsto dal piano strutturale. Ci sono comuni che con il primo regolamento urbanistico hanno bruciato le previsioni del piano strutturale. Il mercato rispetto a questo eccesso di offerta non è che l’assorbe tutta. Realizzare le previsioni un po’ qui e un po’ là è un disastro economico nel medio lungo termine per i comuni, che deve fornire i servizi».

Stop all’attività edilizia?

«Occorre indirizzare l’attività edilizia a intervenire sul tessuto già urbanizzato. Puntare soprattutto al recupero edilizio. Sia attraverso una maggiore chiarezza normativa che con procedure più snelle per promuovere il recupero e la ristrutturazione. Ci sono quartieri da rottamare. C’è un problema rilevante di edifici energivori da riqualificare o sostituire. Di centri storici da restituire allo splendore di un tempo. Occorre una maggiore qualità urbana. Ma, dentro questo obiettivo, c’è spazio anche per nuovi volumi».

Dalle case alla Tirrenica: superstrada o autostrada?

«Non c’è dubbio che l’autostrada, rispetto alla superstrada, soprattutto nel tratto da Grosseto a Civitavecchia, ha un impatto molto pesante sul paesaggio rurale e storico e introduce un elemento di frattura forte tra area costiera e centri retrostanti. Oltre a questo mi sembra che ci siano problemi per il project financing nel senso che scarica costi consistenti sulla collettività sia per i pedaggi che per il finanziamento chiesto alle istituzioni pubbliche».

Si potrà rivedere il progetto autostradale?

«Questa non è mia competenza. C’è una cosa che mi sta a cuore: le trasformazioni dell’uso dei suoli contermini all’opera prevista. Il problema è quello delle attese di valorizzazione dei terreni vicino all’autostrada, ai suoi svincoli e alle opere complementari».

In quelle zone i terreni non dovranno passare da agricoli a edificativi?

«Se qualche trasformazione è utile e necessaria andrebbe pianificata. Però nell’interesse collettivo e non di pochi soggetti...».

Foto choc, dossier ai magistrati: guardate lo scempio di Pompei

Vincenzo Esposito

Fosse biologiche per i bagni, scavate a pochi metri dalle mura innalzate oltre duemila anni fa. Massetti e colate di cemento tra le colonne delle antiche dimore. Prefabbricati incastrati nei locali che furono la palestra dei gladiatori. Il Peristilio del quadriportico invaso da trapani elettrici, martelli pneumatici e levigatrici. Colonnati corinzi e archi in reticolato romano che diventano appendipanni per giacche e giubbotti, magari con qualche chiodo inserito all’occorrenza dagli operai. Nessuno controlla, nessuno sa, nessuno vede. Eppure è lo scempio di Pompei, degli Scavi archeologici. Unici al mondo. Guardare le foto e ricevere un pugno nello stomaco della propria sensibilità, è un tutt’uno.

Le opere vengono definite ufficialmente come il restauro del teatro antico. Omeglio «Restauro e sistemazione per spettacoli del complesso dei teatri in Pompei scavi». Più che una sistemazione, però, è un rifacimento ex novo. Le gradinate, che esistevano solo in parte, sono state integrate con pietre di tufo giallo. Sostituiti i supporti di ferro sui quali venivano poste assi di legno rimovibili per far sedere gli spettatori. «Il teatro antico non è più il teatro antico, è una nuova struttura - spiegano all’Osservatorio del patrimonio culturale - che lascia più che perplessi. E intorno l’invadenza di questi lavori selvaggi lascia sgomenti». Dieci giorni fa l’Osservatorio ha scritto al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi. Ora quelle foto choc fanno parte di un corposo dossier inviato alla Procura della Repubblica. L’inchiesta, spiegano, dovrebbe scattare immediatamente perché su quello che è stato fatto non ci sono dubbi. E i magistrati dovranno capire chi ha autorizzato quei lavori e chi doveva soprintenderli.

Come è Il Teatro oggi: mattoni di tufo per formare le gradinate. La struttura è stata ricostruita con materiali anomali

Questo, infatti, è un giallo. Il commissario straordinario di Pompei, Marcello Fiori, ha spiegato: «Quello è un progetto redatto dal precedente soprintendente Pietro Giovanni Guzzo e approvato dal ministero generale per l’Archeologia, dal segretario generale, dal capo gabinetto del ministero, dal capo gabinetto della Regione Campania. Nel teatro così restaurato suonerà il 10 giugno il maestro Riccardo Muti». Come dire: non chiedete a me. Va bene, ma allora? Chi deve controllare quali ditte entrano e mettono le mani in uno dei tesori dell’umanità. Secondo i sindacati le gare per l’aggiudicazione dei lavori hanno subito ribassi fino al 40 per cento.

«L’evidenza della gravità degli interventi - ha scritto al ministro Bondi l’Osservatorio del patrimonio culturale - è facilmente e banalmente dimostrabile attraverso una rapida ricognizione dell’attuale consistenza del teatro, in particolare della cavea, che, rispetto ad una qualsiasi foto o disegno di diversi momenti della vita degli scavi, risulta completamente costruita ex novo con mattoni in tufo di moderna fattura. L’intervento sul teatro è un vero e proprio inconcepibile scempio compiuto all’interno del monumento archeologico tra i più significativi dell’umanità». E non si chiede solo ai magistrati di intervenire, ma al mondo intero di condannare lo scempio di Pompei. Per gli archeologi, infatti, gli interventi compiuti sono in evidente contrasto con i principi internazionali sulla conservazione del patrimonio storico artistico e con le norme che regolano e tutelano il patrimonio archeologico italiano e mondiale. Gli esperti del pianeta si mobilitano, su internet nascono gruppi che protestano con corpose petizioni. L’ultimo è «Stop killing Pompei ruins», su Facebook che lievita ogni giorno di adesioni. E di sdegno.

Appello degli archeologi a Muti: difendiamo l’antica città

Antonio Irlando - Osservatorio Patrimonio culturale

opcitalia@gmail.com

Caro direttore,

gli scavi di Pompei sono ancora sotto la scure del vandalismo di lavori di edilizia civile, spacciati per interventi di restauro del Teatro Grande e della Palestra dei Gladiatori. Stanno facendo in fretta e male per inaugurare il «Nuovo Teatro degli scavi di Pompei», con un concerto di Riccardo Muti. Si, è proprio un «Nuovo Teatro», sorto sull’area di quello romano. Quello antico, originale, autentico, non c'è più. Chi ha visto lo scempio è sbigottito. Quasi nessuno crede a ciò che vede, perché è tutto ferocemente assurdo. Hanno selvaggiamente sostituito molto di quello che c’era (e soprattutto che non c’era) con una cavea quasi completamente nuova, con materiale in tufo di moderna fattura. Il Corriere della Sera in un’inchiesta pubblicata il 25 maggio scorso spiegava molto bene, quanto è in corso al teatro romano di Pompei. E non è servita ad arrestare la barbarie (autorizzata?) una dettagliata relazione al ministro per i Beni culturali da parte dell’Osservatorio Patrimonio culturale, con un elenco dettagliato degli scempi (quello al teatro non è l’unico) perché si lavora cementificando superfici archeologiche per realizzare le infrastrutture del nuovo teatro con pale meccaniche, martelli pneumatici, levigatrici ed altro ancora.

Inizia, però, a crescere l’indignazione (ovviamente con i tempi di reazione all’italiana) tra chi è informato su quanto si consuma ai danni del patrimonio archeologico di Pompei e, soprattutto, nella comunità internazionale che spesso ama Pompei più degli italiani. Il 10 giugno il maestro Riccardo Muti è in calendario per inaugurare la stagione dei concerti a Pompei. Viene da chiedersi, ma il maestro Riccardo Muti è a conoscenza dello scempio compiuto al Teatro Grande di Pompei? È a conoscenza il maestro Muti che non inaugurerà il «restaurato Teatro Grande», ma un «Nuovo Teatro» edificato negli scavi di Pompei? Certamente non sa nulla, impegnato com’è in giro per il mondo o forse ha letto il Corriere della Sera. Dal grande artista internazionale, dall’icona della cultura e dell’arte italiana nel mondo, sarebbe utile per l’intero Paese se arrivasse un forte segnale di sintonia tra la conservazione del patrimonio archeologico e il patrimonio musicale italiano, magari evitando di inaugurare proprio lo scempio agli scavi di Pompei.

Trivelle e cemento a Pompei Questa non è «valorizzazione»

Tomaso Montanari

Cosa possono aggiungere le parole all'immagine pubblicata qui sopra e a quelle della pagina interna? Verrebbe da dire che nessun ragionamento può rendere più chiara la situazione, più tangibile la devastazione, più terribile la barbarie. Come sempre, invece, le immagini sono ambigue: e anche le più evidenti hanno bisogno di essere tradotte. Prendiamo le fotografie del martello pneumatico in azione, per esempio quello brandito dall'operaio col casco azzurro, che fa le tracce per i tubi squarciando la colata di cemento appena gettata tra il muro e la colonna antichi. Quello non è un martello pneumatico, ma una trivella petrolifera. E’ la trivella che cerca il «petrolio d'Italia»: quei giacimenti culturali che da quasi trent'anni vengono magnificati (a sinistra quanto a destra) come la grande risorsa che il nostro Paese dovrebbe imparare finalmente a «sfruttare».

Abbiamo cessato di parlare di «opere d'arte» o di «belle arti», per celebrare invece i «beni culturali», il «patrimonio», la «valorizzazione»: e tutto questo ha finito con lo spostare insensibilmente, ma fatalmente, il discorso dalla dimensione culturale, gratuita, a quella economica. Sotto il ministero di Sandro Bondi la retorica della valorizzazione ha raggiunto il suo apice: se da una parte si sottrae al bilancio del ministero dei Beni culturali l'enorme cifra di un miliardo e trecento milioni di euro, dall'altra si istituisce la nuova Direzione generale per la valorizzazione, e la si affida all'amministratore delegato di McDonald's Italia. Il disegno è chiarissimo: lo Stato non vuole più investire sul «patrimonio artistico», ma vuole invece metterlo a reddito. Come? Per esempio sostituendo i soprintendenti archeologi o storici dell'arte con commissari che provengono dalla Protezione civile, e che sono abituati a gestire i grandi eventi con il disinvolto efficientismo ormai noto alle cronache.

Se il fine è fare soldi, e farli in fretta, le cautele, le competenze e il senso storico degli studiosi non sono che un intralcio. I politici «del fare» non possono perdere tempo a guardare, a leggere o a pensare. E questa non è forse la mentalità che conduce alla rovina l'ambiente naturale e culturale di un Paese al cui orizzonte c'è sempre un condono che, proprio come la confessione, lava via tutte le colpe? Dunque, ciò che succede al Teatro di Pompei non è un incidente, o un caso: è l'esemplare applicazione della dottrina del petrolio d'Italia. E quel martello pneumatico è una delle mille trivelle che stanno devastando il nostro tessuto culturale. La marea nera che sgorgherà da quei pozzi non rischia di cancellare solo il Teatro di Pompei e gli altri mille monumenti violati, ma minaccia di sommergere la nostra stessa identità. Stiamo sacrificando Pompei sull'altare del marketing di Pompei. Le prossime generazioni potranno perdonarci?

Ora la scure per il taglio dei contributi statali agli enti culturali è nelle mani del ministro Bondi. Se seguirà i criteri clientelari utilizzati per i pingui fondi Arcus (molto ai “fedeli”, del clan Ghedini ad esempio, nulla ai meritevoli), saremo alla “bassa macelleria culturale”. Targata MiBAC. Il suo “pupillo” Sgarbi deve insediarsi a Venezia, al Polo Museale, ma è sospeso per 10 giorni per la condanna definitiva a 6 mesi e 10 giorni di reclusione del ‘96, “per produzione di documenti falsi e assenteismo” ai danni dello Stato. E poi? Alla faccia dei tagli, avrà un robusto contratto “esterno”, da dirigente di prima fascia pari a direttore generale, firmato Bondi da lui definito un incrocio fra don Abbondio e Massimo Boldi. Morta la commedia dell’arte? Per niente. Sopravvive nel cuore dello Stato. Coi nostri soldi.

C’è un altro ministro ormai “storico”: Maria Stella Gelmini. E’ riuscita a ridurre o eliminare le rare ore di Storia dell’arte elemento, si sa, trascurabile in Italia (ignoranti che fate la fila per Caravaggio: era un pittore francese, borgognone, Le Caravage…). Via pure negli Istituti Professionali destinati a formare le nuove guide per il turismo culturale. Le quali così faranno la figura di quelle abusive che presentano il Colosseo “opera di Giulio Cesare”. Via anche lo studio del diritto per i geometri. Così potranno dire di non sapere nulla di vincoli e di altre bubbole sul paesaggio. E la musica, la sua storia? Inessenziali, zero via zero. E pensare che Radio3 Rai ha aumentato del 60% gli ascolti da quando è di nuovo, con Marino Sinibaldi, rete culturale, e che Rai3 ha segnato uno splendido 15,5 % di share con Barenboim/Chopin da Fazio. La domanda culturale c’è, da fame autentica. Ma a cosa ridurranno l’offerta?

Quel che c’è di buono nel Piano del territorio

di Ivan Berni

Ci sono due modi di leggere l’intesa fra maggioranza e opposizione, a Palazzo Marino, sui tempi di approvazione del Pgt, il Piano di governo del territorio. Il primo è che, così facendo, l’opposizione regala al sindaco Moratti e alla sua scassata maggioranza un risultato che altrimenti non sarebbe mai stato raggiunto. Il secondo è che, pur nella netta distinzione dei ruoli, maggioranza e, soprattutto, opposizione stanno finalmente privilegiando l’interesse della città sull’interesse "particulare", di schieramento e di partito.

Per come sono andate le cose, stavolta si può propendere per la seconda ipotesi. Il lunghissimo e accidentato negoziato che ha visto protagonisti l’assessore Masseroli e i capigruppo dell’opposizione, qualche esito di rilievo l’ha messo sul piatto. Lo stralcio del tunnel sputatraffico da Linate a Rho, che ci si augura preluda al definitivo accantonamento; l’aumento al 35% della percentuale dell’housing sociale (ovvero case a prezzo calmierato, in una città dove non si fa edilizia popolare da più di un ventennio); l’incremento delle aree a verde; la previsione di un nuovo metrò leggero "circle line" sul confine urbano.

Un complesso di modifiche che ha portato, beneficamente, a ridurre l’ambizione annunciata del nuovo Pgt. Ora si parla di una città che punta ad avere un milione e 600mila abitanti, obiettivo ragionevole e persino sostenibile, contro la previsione temeraria di 2 milioni di residenti, dalla quale si era partiti un anno fa. Il capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino parla di «riduzione del danno», mutuando la definizione dalla nota strategia di gestione delle tossicodipendenze, ma forse si può riconoscere anche qualche miglioramento nell’impianto complessivo del provvedimento. Non che tutto sia finito in rosa. Resta il gigantesco nodo del Parco Sud, per il quale Masseroli si oppone alla riduzione dell’indice edificatorio da 0,20 a 0,10. E resta il mistero della "perequazione", nebbioso meccanismo attraverso il quale si teme, con qualche buona ragione, una crescita smisurata delle cubature nelle aree di pregio e più promettenti dal punto di vista immobiliare.

Il Pd ritirerà gli emendamenti ostruzionistici, lasciando in votazione quelli che, parola di Masseroli, anche il centrodestra è pronto a votare. Questo dovrebbe consentire l’approvazione del Piano urbanistico entro il 28 giugno, data oltre la quale è praticamente impossibile che il provvedimento venga davvero adottato prima della scadenza della legislatura, nella primavera del 2011. L’intesa, tuttavia, non comporta un voto positivo sul Piano – che infatti riceverà il no in aula da tutte le opposizioni – e nemmeno il salvagente della garanzia del numero legale. Insomma, sarà la maggioranza con le sue sole forze a dover approvare il Piano di governo del territorio, com’è naturale in democrazia. Sempre che le sue non compattissime fila resistano alle sirene delle partite del Mondiale di calcio e alla tentazione di qualche resa dei conti interna.

Se il quadro, nelle prossime settimane, non muterà, va colto un segnale importante: un Consiglio apertamente snobbato dal sindaco e che, più volte, ha dato prova di scarso impegno civico verso la città, si riscatta mettendo mano alla più importante riforma urbanistica degli ultimi vent’anni. Non è un regalo dell’opposizione a Letizia Moratti e al centrodestra. È una scelta per la città, che l’opposizione ha interpretato pensando anche alla scadenza del 2011 e all’eventualità che la maggioranza cambi di segno. E che l’inquilino principale di Palazzo Marino non sia più Letizia Moratti. Perché fra l’attuale insufficienza di regole e un Pgt pessimo, frutto della sola maggioranza e dettato dagli interessi del mattone, forse valeva la pena di spendersi. Purché se ne renda sempre conto ai cittadini. Con trasparenza, rigore e senza consociativismi.

"Troppi rischi per il Parco Sud salvate l’agricoltura dal disastro"

intervista a Carlo Petrini, di Stefano Rossi

Parco Sud, ultima chiamata. O il parco agricolo si aggancia al treno dell’Expo per un indifferibile rilancio o muore. E a quel punto sarà irrilevante se il Comune acquisirà o no le aree protette. Finiranno per essere edificate comunque e un altro presidio ambientale verrà distrutto. È preoccupato e deluso Carlo Petrini, fondatore di Slow food, di fronte all’intreccio fra Pgt, Expo 2015 e Parco Sud, pur premettendo di non conoscere nel dettaglio i meccanismi del Piano di governo del territorio.

Petrini, cominciamo col dire che il Parco Sud sarà un serbatoio di volumetrie, sia pure da costruire in città.

«Se il parco serve per giustificare altro cemento è una iattura e io sarei fortemente contrario. Il Parco Sud è un patrimonio che Milano deve valorizzare ma mancano idee chiare e managerialità. L’agricoltura italiana è al collasso, i comparti sono tutti in passivo. Latte, grano, riso, carne non rendono niente. La situazione è drammatica, il disastro incombente di proporzioni bibliche. Anche l’agricoltura nel Parco Sud è obsoleta, marginale, da reinventare con un forte legame con la città».

Come?

«Accorciamo la filiera con le vendite ai consumatori, senza una intermediazione che si mangia tutto il profitto. A Milano ci vorrebbero dieci mercati diretti, come quello di largo Marinai d’Italia, una volta al mese, con una burocrazia pazzesca. Incoraggiamo i giovani a fare i contadini con contratti agrari a lungo termine, mentre gli attuali proprietari fanno contratti capestro di un anno. Eppure spesso si tratta di proprietà pubblica, come gli ospedali. È vergognoso, perché l’agricoltura ha bisogno di tempi lunghi. Serve però una progettualità politica, economica e sociale, mentre - ahimè - vedo un’attenzione molto maggiore all’edificabilità. Se però il sistema agricolo non torna produttivo, Milano si mangerà anche la biosfera del Parco Sud, contro le norme europee sul contenimento della CO2».

Che cosa potrebbe fare il Parco Sud contro l’inquinamento?

«Avrebbe un enorme valore se ci fosse un’agricoltura sostenibile. Certo non penso agli allevamenti intensivi, seconda causa di produzione di CO2 dopo il riscaldamento e prima dei trasporti».

Ma ora cosa si coltiva nel Parco Sud?

«Dal censimento avviato da Slow food emerge che si producono riso e cereali, c’è un po’ di allevamento. Dal punto di vista storico quel sistema agricolo è fra i più prestigiosi d’Europa. Il riso è buono ma è venduto grezzo, non c’è un impianto di pilatura per la raffinazione. Così si guadagna troppo poco, occorre ridare dignità a questo settore e a chi ci lavora».

Anche con l’agriturismo, avendo la città a due passi?

«Forme integrative di reddito per i contadini mi stanno bene ma è l’attività primaria a dover essere redditizia. Altrimenti piste ciclabili nei campi, agriturismo fasulli dove si mangia pesce alla faccia della filiera corta, visite alle fattorie didattiche non servono a nulla».

Se il Comune acquisirà le aree con la perequazione volumetrica potrà far rivivere il Parco Sud?

«Il Comune deve incentivare i produttori con affitti adeguati, creare i mercati diretti, sostenere i Gruppi d’acquisto solidali e i sottoscrittori dei prestiti individuali. Investire in agricoltura può far rendere il capitale e ti fa risparmiare sugli acquisti».

L’Expo è un’occasione irripetibile.

«Sicuro. Però il tempo passa, non parlo con il sindaco Moratti da otto mesi. Si pensa alle infrastrutture, a cosa fare dell’area Expo e di quelle circostanti dopo l’Esposizione ma se non si punta su contenuti progettuali, sulla cultura del cibo, non si vede perché uno dovrebbe venire a Milano. Sono anime pie ad aspettarsi 20 milioni di visitatori andando avanti così».

Guardata dal punto di vista dell’urbanistica e del progetto urbano, la parabola delle amministrazioni di centrosinistra a Napoli può essere delimitata da due fatti urbanistici ben definiti. Il primo è la disordinata e spiacevole vicenda di Bagnoli, emblema fisico, nei proclami demiurgici di fine anni Novanta, di quella che doveva essere la rinascita e la riconversione di un pezzo di città. L’ultimo è il Grande Programma per il centro storico, un arcipelago di progetti e di idee in attesa di finanziamenti.

Questa parabola, lunga circa quindici anni, è stata inframmezzata da proposte e progetti "decisivi", "imperdibili", "cruciali", "pronti" e rimasti sistematicamente vuoti annunci: l’inutile e sbracata variante urbanistica à la carte con la quale ci si propose di accogliere la Coppa America a Bagnoli; la strana fretta con cui si stava cercando, in modo stravagante, di realizzare un nuovo stadio, con annessi mega-servizi, nellìarea delle caserme a Secondigliano; il concorso di architettura, vinto dal francese Michel Euvè, per il nuovo waterfront e la riqualificazione dell’area monumentale del porto, sprecato assieme ai soldi investiti per la progettazione; le decine di milioni di euro ingoiati dal restauro dell’Albergo dei Poveri senza che nessuna funzione sensata vi sia stata ancora allocata, reiterando da anni un curioso vuoto di idee e fatti (Città dei Bambini, Stoà e altre genericità); il recupero delle Vele, edifici ingiustamente simbolo del degrado della periferia pubblica napoletana, martoriate prima da giudizi architettonici sommari, poi dal tritolo, poi da fasulli progetti di riconversione e riutilizzo (università, protezione civile); persino l’ampliamento del Centro Direzionale, già esecutivo e appaltato, è fermo in incomprensibili incognite burocratiche e nuove incertezze relative al project financing.

In questo vasto, e solo parziale, repertorio di occasioni annunciate e sistematicamente mancate, il Grande Programma sarebbe potuto ancora diventare una buona, ultima, opportunità, per la città, in grado di costruire almeno una "visione" credibile di futuro. In questo senso, proprio su questo giornale Carmine Gambardella proponeva utilmente l’immagine di una Napoli "città-fabbrica della conoscenza", da attuare promuovendo soprattutto azioni immateriali e non soltanto "fisiciste". In ultimo, la notizia del blocco, da parte della nuova giunta regionale, dei 222 milioni di fondi europei per il centro storico, non può che allarmare, perché ancora una volta strategie politiche poco comprensibili vengono fatte a spese della collettività.

È all’interno di questa cornice instabile, nella quale i ritardi che si stanno accumulando sono già insostenibili, che si discuterà, negli incontri che si terranno il 3 e 4 giugno a Napoli e Ravello, in occasione dell’ennesima visita in città della commissione Unesco, per valutare in che modo e in che tempi il "patrimonio" del centro storico di Napoli (del quale, è forse utile ricordarlo, solo il 16 per cento è interessato dal Grande Programma) sarà tra le azioni prioritarie dell’amministrazione comunale e del nuovo governo regionale. In particolare, come hanno già fatto gran parte degli altri siti italiani "patrimonio dell´umanità" (Firenze, la Val d’Orcia, Assisi), si dovrà discutere della redazione del cosiddetto Management plan (Piano di Gestione), che rappresenterà il riferimento normativo e prestazionale al quale dovranno adeguarsi tutte le azioni, materiali e immateriali, che riguarderanno il centro storico, garantendo la coerenza degli interventi. L’alternativa, già paventata, è la graduale espulsione dalla lista del patrimonio Unesco.

E questo mentre dovunque il marchio "Unesco" viene utilizzato come brand, attraverso il quale vendere il prodotto "città", o "territorio", e attorno al quale vengono modellati i progetti-guida, i canali prioritari di finanziamento, le politiche e persino i programmi politici, che di un tale marchio fanno elemento di comunicazione e diffusione di idee. Tra l’altro, come già denunciato nella precedente visita congiunta degli ispettori Unesco e Icomos del dicembre 2008, a Napoli appare ancora insufficiente il coinvolgimento trasparente di quanti possono fornire contributi a questo processo, aumentando la condivisione delle informazioni e delle soluzioni.

Con quali argomenti l’amministrazione comunale interagirà con i sempre più meravigliati delegati Unesco? La giunta Caldoro ha valutato con rigore gli esiti di scelte che rischiano di diventare poco strategiche e ulteriormente penalizzanti la città? Come evitare, insomma, che anche quanto programmato per il centro storico sia catalogato anch’esso, e tra non molto, fra i progetti soltanto enunciati o malamente portati a termine?

La lista nera di un banditore

Arianna Di Genova – il manifesto

Dopo aver finto di essere caduto dalle nuvole e aver recitato la parte dell'offeso con il suo stesso governo («mi hanno esautorato», si lamentava di fronte alla imponente lista di tagli che di fatto censurava ogni manifestazione culturale in Italia) ora il ministro Bondi gongola e ha ritrovato il sorriso. Di più, si lancia in sperticati elogi: «Ringrazio il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, il ministro Tremonti e il dottor Gianni Letta per la sensibilità che hanno dimostrato», stralciando la black list di fondazioni e istituti.

Ha anche assicurato i suoi di non sentirsi per nulla arrabbiato e di essere pronto a mettersi «al lavoro come sempre, con l'assoluta convinzione della necessità e giustezza della manovra, coinvolgendo tutti i colleghi ministri, presidenti dei gruppi parlamentari e l'intero mondo della cultura su come e in che modo ridurre le spese inutili, salvaguardando le eccellenze...».

Questo il suo editto pauroso. Perché non è poi così vero che i tagli agli istituti di cultura e al pensiero libero tout court siano stati scongiurati o ridotti di importanza: la discrezionalità politica e ideologica non è preferibile al calderone caotico della lista. Il ministro, infatti, deciderà quali rami recidere, in base a motivazioni imperscrutabili e certamente non tarate su ragioni economiche. Bondi potrebbe disporre che i fondi non debbano più andare alla Casa Buonarroti perché magari ama più Raffaello che Michelangelo; oppure, che Galileo sia ormai desueto con quell'ossessione della terra rotonda che gira intorno al sole o ancora che la Magna Grecia sia da cancellare perché le generazioni future si «istruiranno» con l'iPad e non spolverando antichi reperti di civiltà sepolte.

In un teatrino politico alla ricerca del consenso acritico (le parole di Mariastella Gelmini sulla manovra sono illuminanti al riguardo: «le promesse di Berlusconi sono state tutte confermate. Tutela dei ceti deboli, senza tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola, ai centri di ricerca e al fondo per l'università...»), un paese colto, costituito di individui consapevoli e formati non è augurabile, è anzi fattore urticante. Assoggettare è una ricetta migliore. Così come l'editoria costretta a rimettere i suoi diritti nelle mani del governo di turno. E va ribadito che non è un'umiliazione per la cultura ricevere contributi e sostegni pubblici perché il suo campo magnetico non è esattamente il mercato, ma la ricerca, la libertà degli studi, la passione intellettuale. E un welfare serio non si sognerebbe mai di abbrutire un paese lasciandolo al palo, deprivato del futuro e a corto di cervelli (dopo averli istigati alla fuga). Per non toccare poi il tasto dell'occupazione in questo settore e dei livelli agghiaccianti di depauperamento e depressione raggiunti già oggi, con il progressivo dimagrimento (fino in alcuni casi alla sparizione) dei finanziamenti.

Non siamo di fronte a una manovra economica, ma a una farsa politica in cui l'arma di Tremonti è un silenziatore delle coscienze. Basta mettere in fila i termini del «confronto con la crisi»: editoria, scuola, ricerca, università, cultura. E come mai nelle voci «contabili» sono sparite le spese militari?

Un attacco alla storia e al patrimonio d’Italia

Il Tirreno

La scure del taglio dei contributi a enti culturali colpisce indirettamente anche Grosseto, almeno in un caso, che ci riguarda. Nella lista dei 232 c’è l’Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, cui l’Isgrec è associato e di cui da anni la direttrice è membro del consiglio di amministrazione. Oggi è annunciato lo stralcio di questo capitolo della finanziaria, per intervento del Presidente della Repubblica. Rimane la consapevolezza che la cultura può continuare a essere il luogo verso cui far convergere i primi tagli della spesa pubblica. Ricerca scientifica, università, scuola sono oggetto non di investimento sul futuro, ma di riduzione di un impegno statale, che la comparazione con l’Europa rivela tra i più bassi.

Abbiamo letto, nella lista: Domus Galileiana, Accademia Chigiana, Gabinetto Vieusseux... Una volta cancellata la regolare tabella in cui sono iscritti gli enti di rilievo nazionale sostenuti dal Ministero dei beni culturali, il 30% dei risparmi sarebbe stato distribuito a chi Premier e membri del Governo scegliessero di sostenere, a loro arbitrio. Non vi leggiamo, come qualcuno ha sostenuto, un sovrappiù di libertà, in quanto rinuncia della politica al controllo sulla cultura, inevitabile se la finanzia. È l’opposto: cancellazione di regole e cultura sotto tutela. Ma anche il segno di un processo di desertificazione della cultura, che asseconda - o produce? o è prodotto da? - un dilagare di modelli veicolati da un brutto mercato. L’Insmli, di cui siamo parte, conserva e gestisce un pezzo non piccolo di patrimonio dello Stato: archivi storici consegnati nel 1949 al suo fondatore, Ferruccio Parri. Analogamente, l’Isgrec nel suo territorio rende fruibili fondi archivistici di interesse collettivo. Quanto vale il patrimonio pubblico in beni culturali per chi ha pensato questi tagli? Non più del Comitato per la celebrazione del quarto centenario dalla morte di Alberico Gentili, che cadeva nel 2008! Non sappiamo prevedere, ora, il seguito di questa storia; niente ci autorizza ad essere ottimisti.

Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea

Su questa vicenda, l’opinione su eddyburg: Il colore della cultura

La Repubblica ed. Milano

Accordo sulla rivoluzione urbanistica ma resta fuori il nodo del Parco Sud

di Stefano Rossi



Dopo cinque mesi e mezzo di ostruzionismo, sul Piano di governo del territorio maggioranza e opposizione raggiungono un accordo. Mediazione faticosa e incompleta, che esclude il Parco Sud, sul quale ci si confronterà in aula. Soddisfatta il sindaco Letizia Moratti, con tutto il centrodestra. Polemica, malgrado l’intesa, l’opposizione, che annuncia voto finale contrario. Ma le nuove regole lasciano perplessi gli urbanisti: «Milano potrà sostenere altri cento milioni di metri cubi di costruzioni?» si chiede Federico Oliva del Politecnico.

Pgt, ora si può. L’accordo politico cercato invano fin dallo scorso 15 dicembre, quando il primo consiglio comunale sulle nuove regole urbanistiche fu vanificato dalla mancanza del numero legale, è stato raggiunto ieri. Non totale, perché resta fuori il Parco Sud, ma ampio. Non definitivo, perché l’opposizione voterà comunque contro il provvedimento, ma l’ostruzionismo, (va ricordato, anche interno al Pdl), è finito: in cinque mesi erano stati smaltiti appena 244 dei 1.395 emendamenti originari. Ora i 1.151 rimasti si ridurranno a un centinaio: una cinquantina sul Parco Sud, una ventina della maggioranza di carattere tecnico e infine i diciannove che recepiscono i risultati delle trattative.

Così il Piano di governo del territorio sarà adottato, si calcola, il 28 giugno. A luglio i tecnici lo riscriveranno in base alle modifiche. Pausa concordata ad agosto, i trenta giorni per le osservazioni di associazioni e cittadini scatteranno a settembre. Da ottobre, la corsa per l’approvazione in seconda lettura in tempo per la campagna elettorale della rielezione del sindaco, che ieri è scesa in aula a festeggiare «un lavoro molto costruttivo, grazie al quale Milano potrà beneficiare di uno sviluppo più armonioso, nell’interesse pubblico. Sarà una città più verde, con più edilizia sociale, più infrastrutture e servizi sociali più vicini alle abitazioni. La maggioranza ha dimostrato di saper governare e questo spesso significa essere capaci di ascolto e di mediazione». La Moratti ha rinunciato al viaggio a Shanghai a metà giugno per seguire le sedute di Consiglio.

Attenzione, l’avverte però in aula il capogruppo del Pd, Pierfrancesco Majorino: «Non è finita. Non solo voteremo contro, pensiamo anche che il centrodestra non ce la farà per il 2011. Abbiamo ridotto il danno del Pgt e in alcuni casi lo abbiamo migliorato». Poi una battuta ad uso del suo partito: «Ai colleghi che frequentano altri palazzi dico che il confronto duro dall’opposizione paga, le cose non vanno chieste alla maggioranza per favore e con timidezza».

Il centrosinistra giudica di aver portato a casa parecchio. Il tunnel dalla Fiera da Rho a Linate caro al centrodestra è quasi fuori gioco, venendo subordinato al giudizio di fattibilità del Piano urbano della mobilità. Inoltre non potrà avere contributi pubblici. Sugli Ambiti urbani di trasformazione (Atu), i grandi progetti urbanistici, si costruiranno 3 milioni di metri cubi in meno sui 7-8 previsti.

Negli stessi Atu il verde aumenta di un milione di metri quadrati, mentre la quota di housing sociale è portata al 35% e resa obbligatoria (tranne allo scalo Farini: 20 per cento). È più stringente per le Ferrovie l’obbligo di investire in infrastrutture i ricavi della dismissione dei loro scali: «In particolare sulla metropolitana leggera Circle Line», dice il verde Enrico Fedrighini. Per l’area Expo è sancita una sostenibilità ambientale anche dopo il 2015.

«Resta fuori il Parco Sud», sottolinea Milly Moratti (Milano civica). Il centrodestra ha rifiutato di ridurre a 0,10 (da 0,20 del Pgt) l’indice edificatorio, ma porterà in aula la mediazione dello 0,15 offerta al tavolo. Nessun chiarimento sulla perequazione: «Ma il regolamento verrà redatto dal consiglio e il meccanismo sarà vigilato da una Authority pubblica», spiega il capogruppo Pdl, Giulio Gallera.

«Accordo all’insegna del pragmatismo - sostiene l’assessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli - anche l’opposizione ha lavorato per il bene della città. Non avere regole è peggio che averle, sebbene non del tutto condivise». Il leghista Matteo Salvini, soddisfatto per l’esito generale della trattativa, vuole «l’obbligo di una buona classe energetica, la "B", per le nuove costruzioni. C’è il consenso di Assimpredil». Il clima è favorevole, ieri è stato approvato un emendamento bipartisan per fissare nel regolamento edilizio un livello minimo elevato di ecosostenibilità.

Scompare la tradizionale destinazione d’uso: residenziale, industriale, commerciale, terziaria. Ogni area è libera. A evitare che si metta una discoteca (una fabbrica no, le industrie insalubri vengono espulse dalla città) vicino a un ospedale dovrà pensare una forte regia pubblica, costante di tutto il Piano. O i Piani attuativi per singole aree, quando previsti.

[Gli spazi pubblici ]

Milano è grande 180 milioni di metri quadrati. Un terzo viene destinato a spazi pubblici, compresi però quelli esistenti. Nella categoria rientrano strade e piazze, giardini e parchi ma anche negozi e laboratori artigiani. Supermercati, ospedali, impianti sportivi ne fanno parte quando non sono considerati sovralocali per le loro dimensioni (come lo stadio Meazza). Gli spazi pubblici, meno appetibili economicamente, non sono conteggiati nella volumetria. L’idea è che il costruttore li inserirà più volentieri in progetto, perché non gli toglieranno cubatura e daranno pregio agli edifici. È il metodo adottato a Londra, Barcellona, Lione.

[Indice volumetrico ]

L’indice generale per qualune area cittadina è di 0,50 metri quadrati per metro quadrato di superficie. Questa è la soglia minima, un tetto massimo non c’è ma il Pgt non ha per ora previsto zone dove salire sopra i 2, come in via Stephenson. L’attribuzione dell’indice non significa che ogni area sia edificabile, apre semplicemente la via alla perequazione.

[Perequazione ]

Una delle maggiori novità del Pgt. Perequare significa scambiare l’indice assegnato a un’area non edificabile con denaro o con la possibilità di costruire di più in un’altra proprietà. Come contropartita, il Comune acquisisce l’area il cui indice è stato perequato. L’unico modo, si sostiene, di rendere pubblico e fruibile il Parco Sud. La giunta non ha reso noti i criteri di funzionamento della Borsa o Banca dei diritti volumetrici, ancora non istituita. Il centrosinistra ha ottenuto che sia messa sotto il controllo di una Authority pubblica.

[Densificazione ]

Un altro dei punti qualificanti del Piano. Densificare vuol dire che si costruirà lungo gli assi più infrastrutturati da strade di grande calibro, ferrovie, metropolitane. La densità è consentita se comprende una quota proporzionale di servizi.

[rottamazione ]

È speculare alla densificazione. Il Pgt prevede la distruzione parziale e graduale di diversi quartieri periferici ormai deboli per età e qualità del costruito. Andranno riedificati con criteri nuovi, fra i quali il risparmio energetico.

[Risparmio energetico ]

Il Pgt ne parla molto e molto ci sarebbe da fare. Solo lo 0,5% delle case milanesi si guadagna la categoria A, quella con consumo fra 1,5 e 3 litri di gasolio per metro quadrato all’anno. La media milanese è di 20. Centrosinistra e Lega vorrebbero obblighi più stringenti nel Piano[. Su questi temi sarebbe favorevole anche Assimpredil.

[Ambiti di trasformazione]

Gli Atu sono grandi aree con uno o pochi proprietari. Tipicamente, gli scali ferroviari in via di dismissione come Farini, Porta Genova, Greco, Lambrate (1.280.000 metri quadrati) il demanio militare (1.400.000 metri quadrati a Baggio). Il valore complessivo supera i 6 miliardi. Saranno oggetto di funzioni complesse, vedi l’ipotesi di stadio a Baggio, ma certamente ospiteranno anche molte abitazioni, uffici, spazi commerciali. Il Comune impone che almeno il 50% sia destinato a verde (l’opposizione per Farini ha strappato il 65%, housing ridotto al 20), dunque vedremo molti grattacieli. Ma per i progetti dettagliati è presto.

[Housing sociale ]

In tutti gli Atu e nelle altre aree di densificazione era contemplata una quota di housing sociale che il centrosinistra è riuscito a rendere obbligatoria (30mila case in tutto). Appartiene al Pgt l’idea che l’housing sociale sia diffuso e non concentrato in quartieri-ghetto.

[Forma e dimensioni]

Da città radiocentrica, Milano si deve trasformare in una rete di 88 quartieri, ciascuno con piazza, scuola, parco, parcheggio, negozi, pista ciclabile, metrò, impianto sportivo e così via. In alcuni casi (Greco, Bovisa, Porta Romana, Ortles, Lambrate) il Pgt vuole reinventare una identità compromessa dalla delocalizzazione delle industrie. Il modello della città reticolare è Londra, per il rapporto fra la compattezza delle aree costruite e la miglior qualità degli spazi aperti ci si è ispirati a Madrid e Barcellona. Si vuole aumentare la popolazione, anche se da 2 milioni di abitanti si è scesi a 1,6. E poiché non si vuole consumare altro suolo, Milano si svilupperà in altezza.



la Repubblica ed. Milano

"Troppe nuove costruzioni senza verde e servizi così la città andrà in crisi"

intervista a Federico Oliva, di Teresa Monestiroli

Federico Oliva, presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica e professore del Politecnico, che cosa ne pensa del Piano di governo del territorio?

«Qualche riserva ce l’ho, anche se il fatto che Milano si dia delle nuove regole dopo trent’anni è positivo. Gli ultimi interventi, seppur importanti, sono stati del tutto casuali, senza alcuna strategia».

Che cosa non la convince?

«Prima di tutto il fatto che a parole il Pgt aspira a una dimensione metropolitana, ma di fatto non è così. Tutte le aree di trasformazione sono all’interno dei confini di Milano, le stesse linee metropolitane si fermano dove finisce la città. Il Piano non ha il respiro metropolitano che dovrebbe».

Un domani arriveranno i piani di cintura urbana della Provincia che si occuperanno dell’hinterland.

«Milano è una città piccola come territorio e quasi interamente costruita. Concentrare tutte le volumetrie della perequazione all’interno della città rischia di non essere sostenibile».

Il rischio è un’eccessiva densificazione?

«Sì. Nel Pgt si parla di 36 milioni di metri cubi in più (pari a 12 milioni di metri quadrati di superficie da edificare) solo nelle aree di trasformazione. A questi ne vanno aggiunti almeno il doppio, 72 milioni, come possibilità di intervento nelle aree già edificate. Su questo secondo punto il piano è molto generoso».

Il totale supera i 100 milioni di metri cubi.

«Appunto. Non mi spavento di fronte a questi numeri, quello che mi preoccupa è se la città è in grado di sostenerli. Una città che già soffre di eccessiva densità in alcune zone, di mancanza di verde, spazi pubblici, servizi e infrastrutture».

Masseroli ha sempre difeso il suo Piano sostenendo la necessità di avere uno strumento più flessibile e meno rigido del vecchio piano regolatore. L’assenza di regole non è pericolosa?

«Il passaggio a un piano più flessibile è importante ed era necessario. Il problema è che questo nuovo impianto comporta una capacità gestionale che non vedo nell’amministrazione pubblica. Quando indebolisci il sistema delle regole devi avere una forte capacità di gestione per bilanciare».

Uno dei punti cruciali della trattativa è stato il tunnel Rho-Linate. Lei è favorevole o contrario?

«Contrario. Il progetto del tunnel sostiene ancora una volta le automobili come strumento di mobilità privilegiato. L’uso dell’auto va ridotto e basta. Invece Palazzo Marino fa ricorso a una serie di palliativi, come Ecopass, che non risolvono il problema dell’inquinamento. Il tunnel è solo un ulteriore incentivo a muoversi in macchina per la città, anche se poi le auto finiranno sotto terra. Cosa succederà vicino alle rampe?».

C’è stato un acceso dibattito anche sulle volumetrie nel Parco Sud.

«Non sono contrario di principio alla compensazione di volumetrie per acquisizione di aree da parte del Comune, il problema è che la perequazione genera grande edificabilità che sarà localizzata in città».

Che problemi potrebbero esserci?

«Aumentare la densità di abitanti, o di terziario, genera problemi di mobilità, per esempio. Ma anche carenza di servizi. Masseroli continua a insistere che tutte le nuove trasformazioni urbanistiche avverranno su ferro, servite quindi da una mobilità di massa ed ecologica. Mi auguro che questo principio venga rispettato perché sappiamo bene che gli ultimi grandi interventi hanno fatto affidamento solo sull’auto, dalla Bicocca a Citylife».

Il Pgt porterà in città l’housing sociale.

«Bene, purché per housing sociale si intenda edilizia in affitto a canone sociale e non vendita a prezzi calmierati perché è di questo che Milano ha bisogno

Il Corriere della Sera ed. Milano

Urbanistica, accordo Pdl-Pd

di Maurizio Giannattasio

Addio al vecchio piano regolatore. Dopo sei mesi di battaglie a colpi di emendamenti in aula, maggioranza e opposizione sono riusciti a trovare l’accordo: il piano del governo del territorio verrà adottato entro il 28 giugno. In tempo utile per arrivare all’approvazione definitiva entro gennaio 2011 prima della scadenza del mandato Moratti. Resta fuori dall’accordo il Parco Sud: gli emendamenti dell’opposizione non verranno ritirati.

Nove sedute per dare il via alla rivoluzione urbanistica e ritirare gran parte dei 1.350 emendamenti che hanno bloccato a lungo il Pgt. Alla fine ne dovrebbero rimanere un centinaio. Le trattative condotte in grande solitudine dall’assessore Carlo Masseroli sono state faticose. Alla fine, la «mediazione», a detta di maggioranza e opposizione è stata al rialzo, anche se rimangono le differenze e i distinguo.

Partiamo dal vero ostacolo: il tunnel Expo-Linate. È tutto rimandato al Piano urbano della mobilità che stabilirà la necessità o meno dell’opera infrastrutturale. Con un codicillo: se il Pum dovesse approvare il tunnel, non potranno essere comunque utilizzati soldi pubblici per la sua realizzazione.

Altro capitolo l’housing sociale. La mediazione ha portato a un innalzamento della quota di edilizia sociale negli scali ferroviari e negli ambiti di trasformazione urbana: non potrà essere inferiore al 35 per cento. Significano circa 30 mila alloggi a canone moderato. Tranne che nello Scalo Farini dove la quota si fermerà al 20 per cento in quanto il resto sarà destinato a verde. Anche qui c’è un vincolo: le plusvalenze derivanti dal cambio di destinazione verranno investiti nel trasporto pubblico, in particolare nella Circle Line meneghina come chiesto dal verde Enrico Fedrighini. Altro risultato: sono stati ridotti i metri cubi di volumetrie nelle aree di trasformazione urbana: 3 milioni di metri cubi di cemento in meno. In compenso, si è alzata la percentuale di verde con un milione di metri quadrati in più.

Niente accordo invece sul Parco Sud. Gli indici di scambi volumetrici restano fermi allo 0,15 per cento. Pari a circa 4.800.000 metri quadrati da costruire nel resto della città, 1 milione e 600 mila metri quadrati in meno rispetto a prima. Il centrosinistra non ci sta. E gli emendamenti sul Parco Sud non verranno ritirati.

«È un momento molto importante per la città— attacca il sindaco Letizia Moratti —. C’è stato un lavoro molto importante del consiglio comunale e la maggioranza ha dimostrato una grande capacità di ascolto e di mediazione con l'opposizione e l’opposizione ha lavorato nell’interesse della città».

«Il Pgt resta pericolosamente ambiguo sul meccanismo della perequazione — replica il capogruppo del Pd, Pierfrancesco Majorino che nonostante l’accordo ha annunciato il voto contrario del Pd — ed è solo grazie al nostro atteggiamento così duro se siamo riusciti a ridurre 3 milioni di metri cubi di cemento, ad aumentare 1milione di metri quadrati di verde e a portare il tunnel stradale Linate-Expo su un binario morto». E avverte la maggioranza: «Bene l’accordo, ma il centrodestra dovrà garantire sempre il numero legale».

Le recenti polemiche sul regolamento urbanistico di Campiglia, quanto oggetto di dichiarazioni da parte dell'assessore Marson alla Commissione del Consiglio Regionale competente in materia di assetto del territorio, richiamano alla mente la narrazione di Vezio De Lucia nel suo ultimo libro "le mie città".

Non si vuole di nuovo recensire quel libro, ma molto di quel libro precipita naturalmente nel dibattito odierno. Infatti, illustrando un percorso che mobilita, prima ancora dell'intelletto, delle capacità tecniche e professionale, la coscienza, l'etica dell'agire professionale e politico, De Lucia richiama l'attenzione su una tendenza, o forse sarebbe meglio dire deriva, che sembra accompagnare molte parabole degli uomini politici: il riflusso figlio esclusivamente delle logiche di potere, dei giochi di forza e della carriera politica, che inevitabilmente conduce a sposare interessi particolari assunti come alleati in campo.

Illustrando proprie esperienze ci richiama all'importanza dei piani territoriali di coordinamento, ad una loro forza e cogenza, a fronte dell'evanescenza normativa, della struttura narrativa di strumenti che hanno finito per lasciare campo libero agli interessi particolari che attraversano i nostri territori.

E d'altra parte se l'assessore Marson dice "che dovremo riprendere in mano l'intera questione" per ridefinire il rapporto tra piano strutturale e regolamento urbanistico, qualcosa che non funziona ci deve essere.

E allora se è così appare utile ricordare che in Toscana si è data una interpretazione estrema del principio di sussidiarietà che è stata veicolo della atomizzazione comunale dell'urbanistica e della complessiva perdita di controllo delle trasformazioni; appare utile annotare che troppe volte ragion politica e accordi politici, o di potere che dir si voglia, hanno piegato la logica urbanistica; sembra ancora necessario ricordare che il progressivo affidamento delle trasformazioni urbanistiche, per l'individuazione delle realizzazioni con il bando aperto delle proposte per la formazione del regolamento urbanistico, come con i concorsi per il cofinanziamento degli interventi per la realizzazione di edilizia a canone controllato o sostenibile, ha di fatto finito spesso per relegare l'amministrazione pubblica al ruolo di notaio che avvalla scelte ed interessi altrui.

In questo contesto la citazione del libro di De Lucia appare utile non solo perché ripropone all'attenzione temi e problemi che sono il nocciolo del fare urbanistica, ma anche perché richiama ad un rigore professionale, oltre che disciplinare, che sono le uniche vere armi con le quali si possono affrontare le complesse vicende del governo del territorio, con le quali resistere al sistema degli interessi che via via si sono fortificati perchè l'Italia ha fatto del mattone, della relativa facilità di accumulare denaro speculando sul passaggio dei terreni da agricoli a edificabili, una pratica diffusa, un volano di sviluppo a discapito della nostre risorse (perché di tutti):identità culturale e integrità fisica.

Incrociando le vicende urbanistiche toscane e la lettura di un libro: le prime come espressione dei tempi e dei bisogni, la seconda come occasione per riallineare buone prassi e priorità del governo del territorio, si può insomma sperare di riavviare un cammino positivo a partire da una capacità di confronto che negli ultimi anni è mancata o è stata ridotta a comunicazione unidirezionale.

Bossi sindaco di Milano. Improbabile. Ma la boutade del senatur è il segno di una grossa difficoltà. Letizia Moratti non è amata, non solo dai leghisti ma anche dalle anime della sua maggioranza. Mal tollerata dall'area «laica» e non particolarmente apprezzata neppure dai ciellini che le preferiscono Formigoni. L'elezione del sindaco di Milano del prossimo anno è l'unico test elettorale prima della scadenza delle legislatura. E se non fosse per le debolezze dell'opposizione, mai come ora la battaglia sarebbe apertissima.

Il futuro di Letizia

Su cosa si gioca la partita? Non solo su alchimie politiciste, ma piuttosto su questioni molto concrete: soldi e cemento. Il prossimo sindaco sarà chiamato a gestire Expo 2015, il fiore all'occhiello fortemente voluto da donna Letizia. I problemi non mancano, con Formigoni pronto a mettere i capitali per comprare le aree di Expo e rubare la scena al sindaco. C'è però un'altra questione, meno patinata, forse, ma ancora più sostanziale. Ieri il consiglio comunale è tornato a discutere del Piano di governo del territorio (Pgt). Si tratta del primo piano regolatore dal 1954 (poi rivisto nel 1980) che è destinato a cambiare la faccia di Milano. Gli interessi in gioco sono enormi. Gli immobiliaristi largamente foraggiati dalle banche hanno già trasformato la città in un cantiere e spingono perché il piano venga approvato in fretta. Invece la discussione ha segnato il passo. Molte sedute del consiglio sono fallite perché la stessa maggioranza, che ha presentato 200 emendamenti, ha mancato il numero legale. E adesso i tempi sono strettissimi: otto mesi in tutto. Da qui le continue manovre per strappare un accordo con l'opposizione. Se il Pgt passerà, Letizia Moratti sarà chiamata a garantire che i progetti previsti vengano realizzati nel prossimo mandato. Se invece non passerà, saranno ben pochi quelli che la vorranno rivedere ancora a Palazzo Marino.

Lavori in corso

Milano è un cantiere a cielo aperto. Basta passare accanto alla stazione Garibaldi per vedere crescere palazzi come funghi. Qui in meno di due anni è sorto il grattacielo delle nuova Regione, il Pirellone 2, voluto da Formigoni. Lo stesso sta avvenendo alla ex Fiera dove tutto è pronto per la costruzione dei «tre grattacieli storti» di Citylife. Sono solo due dei tanti progetti faraonici già in programma. Tutto è nato sotto la giunta Albertini che approvò grandi piani edilizi a macchia di leopardo senza alcuna visione d'insieme e grazie a continue varianti del vecchio piano regolatore. L'Expo ha offerto alla Moratti l'occasione per dare un marchio forte allo sviluppo di Milano. E il Pgt, dopo decenni di far west, promette di dare delle regole generali al di là del grande evento del 2015. O almeno dovrebbe. In realtà si tratta di una vera e propria deregulation che spiana la strada ai privati. «Sanno meglio del pubblico cosa costruire - ha spiegato candidamente l'assessore allo sviluppo del territorio, Carlo Masseroli - basta destinzioni d'uso e vincoli, basta lungaggini amministrative. Basta con un sistema vincolistico che fa tanto Unione Sovietica».

I tre pilastri

Il Pgt prende via dalla legge regionale 12 del 2005 che dà mandato ai comuni di pianificare lo sviluppo urbano. Si basa su tre pilastri: densificazione, perequazione e sussidiarietà. Oggi i milanesi sono circa 1 milione e 300 mila. Masseroli punta ad un aumento di 700 mila abitanti. E' per questi nuovi cittadini che bisognerebbe costruire ovunque. Densificare: se non c'è posto sul terreno, puntare al cielo. L'indice di edificabilità non sarà più dello 0,65% in tutta la città ma cambierà a seconda delle circostanze. Eppure questa ipotesi demografica è piuttosto irrealistica. Negli ultimi 30 anni Milano ha perso mezzo milione di abitanti (-30%) per un fisiologico calo demografico e perché molti sono stati spinti ad uscire dalla città per il costo troppo alto proprio delle case. Previsioni più accorte parlano al massimo di 50 mila milanesi in più nei prossimi venti anni soprattutto grazie all'afflusso di stranieri e al loro maggiore tasso di natalità. D'altronde Milano è già la quarta città per densità abitativa in Europa (7084 abitanti per chilometro quadrato), dopo Parigi, Barcellona e Atene. Con 700 mila new entry andrebbe a 11.427 abitanti per chilometro quadrato. Una cifra enorme.

L'altra parola d'ordine è perequazione. Si tratta di una sorta di borsa dei diritti volumetrici i quali potranno essere contrattati e scambiati tra privati e con l'amministrazione pubblica. Un vero e proprio escamotage per poter costruire grattacieli in terreni piccoli. Là dove la superficie del terreno non permetterebbe di costruire palazzi di enorme volume, basterà andare a comprare o scambiare le volumetrie di altri terreni, prendendole anche là dove non ci sono. A Milano c'è un grande bacino verde e agricolo: il Parco Sud. Per Il Comune e per gli immobiliaristi diventerà una specie di banca delle volumetrie che permetterà di costruire in centro e di sconvolgere il polmone verde della città. Secondo Legambiente, negli ultimi 15 anni 30 progetti hanno trasformato 12 milioni di metri quadri di territorio: in 40 anni Milano ha consumato il 37% delle aree agricole. Il ratto delle volutmerie del Parco Sud non farà che peggiorare le cose. E chi fornirà i servizi per tutte queste nuove case e questi nuovi abitanti? I privati! E' il principio della sussidiarietà secondo cui il pubblico interviene solo là dove il privato non arriva, o non ha interesse a farlo. Quanto ai monumenti, Masseroli ancora una volta è chiaro: «Il rapporto con la sovrintendenza va oliato, per me tutto ciò che ha oltre 50 anni più che tutelato va buttato giù».

Patto col diavolo

Il Pgt finora ha incassato solo il parere negativo dell'ordine degli architetti e degli urbanisti. Gli emendamenti in tutto sono 1.395, 200 della stessa maggioranza, 200 circa del Pd e 650 dei consiglieri di opposizione Milly Moratti, Giuseppe Landonio e Patrizia Quartieri che hanno redatto un vero e proprio piano alternativo, frutto di molto studio e di una vasta partecipazione della cittadinanza (info www.chiamamilano.it). La maggioranza per chiudere in tempo cerca un accordo con il Pd. La settimana scorsa si è continuato a trattare anche fuori dall'aula. La giunta potrebbe rinunciare, almeno per il momento, al faraonico piano del tunnel che dovrebbe collegare Rho a Linate, un'arteria che sconvolgerebbe la città. E ha già concesso una quota di housing sociale: 35% di costruzioni, di cui il 5% per le case popolari (a Milano ci sono 20.710 richieste di case popolari in attesa). Un analogo scambio verrebbe fatto per gli spazi verdi cui verrebbe dedicata una quota minoritaria in cambio del permesso di costruzione dei grattacieli. E' ciò che, ad esempio, accade all'ex scalo Farini (le arie dismesse delle ferrovie sono una delle miniere di terreno più grandi e desiderate dai costruttori). Ma il punto fondamentale riguarda il Parco Sud sul quale il Pd non ha mai avuto una posizione netta: basti pensare alla politica dell'ex presidente della provincia Filippo Penati.

C'è poi un ricatto ben più forte. Pgt vuol dire soldi e lavoro per un grosso indotto, anche per cooperative di «sinistra» che si dividono la torta con la Compagnia delle opere. Se non si investe sul mattone, si dice, visto che l'industria non c'è più, su che altro si può investire per far girare l'economia? La risposta non è semplice, e il rischio economico è alto. Quello politico invece è evidente. Se il Pgt passerà, magari grazie ad un accordo con il Pd, la Moratti avrà ancora un possibile futuro. Altrimenti per lei sarà molto dura.

«Parco Sud, volumi finti creati per fare finanza»

(intervista alla consigliera di opposizione Milly Moratti)

Da mesi, al Negozio Civico Chiamamilano, i consiglieri d'opposizione Patrizia Quartieri, Giuseppe Landonio e Milly Moratti discutono del Pgt con i cittadini mentre continuano la loro battaglia in consiglio comunale per un altro piano di Milano. Ne parliamo con Milly Moratti.

Cosa non va in questo Pgt?

Fare un piano di governo del territorio è giusto. Fino ad ora si viveva su continue varianti al vecchio piano. Varianti che a volte erano legate alle esigenze della città che cambia, ma che spesso erano scorciatoie per aggirare le regole. Questa fu la procedura anche ai tempi di tangentopoli. Il problema è che il Pgt non è un piano regolatore: sancisce una vera e propria deregulation che non tiene conto delle esigenze di vivibilità, della funzionalità, dell'ambiente e della bellezza della città. Si tratta piuttosto di un piano che risponde squisitamente ad esigenze di mercato. L'assessore Masseroli non a caso è un manager che si vanta di non intendersi di urbanistica.

Ma regge almeno sul piano del mercato? Smuove l'economia?

Non regge. Si basa sul presupposto teorico di un forte aumento demografico che oltre a non essere sostenibile non è credibile. Il rischio è che ci sia un eccesso di offerta di abitazioni, oltretutto per una fascia di reddito alta, sproporzionata alla domanda che resterà bassa, sia in termini quantitativi che qualitativi. I nuovi milanesi per lo più saranno stranieri e non potranno comprarsi nuove case da 7 mila euro al metro quadro.

Ma allora che interesse possono avere Comune e immobiliaristi per un affare così rischioso?

Non è un'operazione urbanistica e architettonica. Gli ordini degli architetti e degli urbanisti hanno bocciato il piano. E non è nemmeno una buona operazione economica ma piuttosto finanziaria. Si creano volumetrie fittizie inventando indici di edificabilità sul Parco Sud, si scambiano queste volumetrie come azioni in borsa, e le aziende le possono depositare in banca per fare bilancio. E' una concezione di tipo speculativo lontano dall'economia reale. Un modello vecchio, distante del prodotto, cioè la casa, la città e chi la abita. Scompare la destinazione d'uso: significa che si costruisce non si sa cosa, per chi e perché.

Gli immobiliaristi sostengono che in tempi di stagnazione del mercato è il momento di costruire e comprare a prezzi bassi, perché prima o poi risaliranno.

Un bell'azzardo. Queste sono le stesse pratiche neoliberiste e di deregulation che hanno generato la crisi mondiale. Non dico che le istituzioni debbano rinunciare a fare da volano all'economia, ma puntare su questo tipo di economia è datato oltre che sbagliato. Non si crea mercato e affari per tutti: si fanno gli interessi di una ristretta cerchia immobiliaristi, che a Milano sono sempre gli stessi.

L'Italia è sconvolta da fenomeni di corruzione legati proprio alla casa. Milano è immune?

La logica dell'emergenza ha prodotto i disastri che ora sono sotto gli occhi di tutti. Il ragionamento che si fa a Milano è il seguente: togliamo lacci e lacciuoli al mercato, i tempi saranno più veloci e dunque non ci sarà più bisogno di corruzione per aggirare regole e procedure. Di fatto si stanno legittimando le stesse pratiche dei tempi di tangentopoli (vedi la questione delle volumetrie, ieri come oggi). E gli attori non sono cambiati.

Quanto si gioca sul Pgt il futuro del sindaco Letizia Moratti?

Credo sia il punto di caduta. Mentre Expo, con tutti i ridimensionamenti, rimane una vittoria del sindaco, il Pgt non è popolare. Credo che in campagna elettorale su questo si possa giocare una battaglia decisiva.

E allora perché il Pd sembra pronto all'accordo sul Pgt?

I grandi partiti, tutti, continuano ad avere una visione ancorata al vecchio modello economico chiuso che non tiene conto dei problemi ambientali e sociali. Un modello aperto allacciato al prodotto più che alla finanza è ancora lontano dalla politica. Vogliamo una città a misura d'uomo, non di investimento. Sul meccanismo che regge il Pgt, cioè l'invenzione di volumi virtuali sul Parco Sud, non siamo disposti a cedere e ne faremo oggetto d'informazione fino alle prossime elezioni.

Il pericoloso gioco del mattone di immobiliaristi e banchieri

Il Piano generale del territorio (Pgt) pone grossi problemi per la tenuta sociale e ambientale della città. Ma almeno dal punto di vista economico, si dice, tutto ciò porterà sviluppo e lavoro. E' davvero così o il Pgt farà solo gli interessi dei grandi immobiliaristi? E se anche per loro non si rivelasse un affare?

Il condizionamento dei prìncipi del mattone è forte. Non a caso la discussione sul Pgt fu anticipata da una richiesta di commissariamento del comune di Milano da parte del re della casa, Salvatore Ligresti. Il cantiere Milano vale non meno di 8 miliardi, per l'85% anticipati dal gotha finanziario e bancario (Intesa San Paolo, Unicredit, Mediobanca). Un investimento ad alto rischio visto che molte imprese immobiliari sono in sofferenza.

Un anno fa è fallito Zunino, che aveva grandi progetti in corso nel quartiere Santa Giulia e sull'area dell'Ex Falck a Sesto San Giovanni. La vendita dei nuovi alloggi di lusso nei grattacieli di Citylife, sull'area dell'ex Fiera, non decolla, mentre volano i costi di costruzione: Citylife ha avuto bisogno di ricapitalizzare, ora prevede di fare grattacieli meno storti e ha chiesto di poter costruire più case che uffici. Il punto è che il mercato immobiliare vive per la prima volta da molti anni una fase di stagnazione, che si è aggravata sull'onda della crisi dei subprime americani. Benché il sistema italiano goda di meno volubilità, (l'80% degli italiani possiede una casa) investire sul mattone espone a rischi maggiori. In Italia da tre anni le vendite sono in calo (non accadeva del 1985: nel 2007 -4,7%, nel 2008 -14,8%, nel 2009, -11%). Per il residenziale il mercato dal 2005-2006 si è ridotto di un terzo, il fatturato si è fermato a 90 miliardi di euro (-10%), registrando un crollo per le abitazioni sotto i 200 mila euro e sulle nuove abitazioni dove si è accumulato molto invenduto.

La domanda per le vendite diminuisce per la crisi e per le difficoltà di accedere a un mutuo, e dunque si alza la domanda e il costo degli affitti. I prezzi hanno raggiunto l'apice nel 2006, dal 2007 hanno cominciato a calare, ma a Milano calano molto poco (-0,2% dice la Camera di commercio). Per tutto il settore il Sole24ore prevede ancora calo o stagnazione fino al 2012. A Milano si parla di una diminuzione del 3,5. In questa situazione il rischio è che le nuove abitazioni rimangano invendute e che un'eccessiva offerta non venga riassorbita da un domanda che soffre la crisi. La scommessa di banche e immobiliaristi, invece, si basa sull'assunto che proprio grazie alla crisi i prezzi sono bassi, non solo per le case ma anche per i materiali di costruzione e i terreni, e che dunque sia questo il momento di comprare e costruire nella convinzione che presto i prezzi ricominceranno a salire. Un azzardo. E intanto l'acquisto di volumetrie, terreni e concessioni edilizie serve a tenere a galla i bilanci aziendali. Si investe sulle case come su azioni in un gioco che ha poco a che fare con l'urbanistica e molto con le speculazioni finanziarie. Data la fase di stallo, è essenziale il supporto finanziario. Un sostegno che si basa molto sui rapporti politici e economici tra banchieri e immobiliaristi che spesso siedono allo stesso tavolo negli stessi consigli di amministrazione.

«Io, compagno eretico, accuso Venturina»

Zucconi: il Pd dovrebbe ascoltare di più.

E questo paese è un dormitorio senza identità

In Toscana ci sono buoni principi e cattiva prassi. Non c’è una visione del futuro e non ci sono anticorpi. Manca l’aspetto educativo della politica

«La Toscana, il Pd toscano, dovrebbe farne tesoro, invece le critiche le vive con sofferenza. Il partito dovrebbe ascoltare di più, essere più dinamico. Se non lo capisce vuol dire che è in crisi». Parola di un ex. Un ex di lusso come Massimo Zucconi, fino al 2004 uno degli uomini di punta dei Ds piombinesi, dirigente pubblico e dal 2002 al 2007 presidente della società Parchi Val di Cornia. Oggi, quasi sostituendo l’opposizione nel Consiglio comunale di Campiglia Marittima, è la vera spina nel fianco della giunta di centrosinistra guidata dal sindaco Rossana Soffritti. È stata la sua lista civica, «Comune dei cittadini» — l’anno scorso ha incassato il 18,5% — a sollevare un caso che rischiava di passare inosservato. Quello di un piano strutturale che fino al 2020 prevede un massimo di 650 alloggi da costruire, ma che secondo i «civici» grazie al regolamento urbanistico approvato dal Comune il 12 maggio, consentirebbe già per i prossimi cinque anni la costruzione di oltre 700 alloggi grazie all’edilizia sociale (che premia il costruttore) e lo sfruttamento delle cosiddette aree critiche.

Zucconi siete i responsabili di uno scontro politico che in Val di Cornia non si vedeva da almeno quindici anni. Stupisce che il grimaldello di questa situazione sia un ex del partito...

«Sono stato iscritto prima al Pci, poi al Pds e ai Ds. Me ne sono andato nel 2004 dopo una serie di tensioni che si erano create proprio a partire dai temi urbanistici». Spieghi meglio... «Non ho condiviso i piani regolatori di questo territorio fin dal 1995. Alcune scelte che hanno riguardato il parco di Rimigliano a San Vincenzo dove il Comune ha permesso la costruzione di un grande albergo. Era il ’96 e io da consigliere comunale di Campiglia non votai il piano regolatore perché secondo me conteneva già i germi di una logica espansiva. Oggi infatti ci troviamo con una quantità di alloggi smisurata e una qualità abitativa che peggiora».

Siete stati accusati dai sindaci di Piombino, Suvereto e Campiglia di «sfacciataggine» e «smemoratezza». Loro difendono la bontà della pianificazione territoriale in Val di Cornia. È davvero tutto da buttare?

«Mi riaggancio a quanto ha detto l’assessore Anna Marson. Dico che i principi contenuti nella legge 1 del 2005 che tutela il paesaggio sono di buon governo. Un altro discorso è come viene applicata questa legge. Dobbiamo però riflettere sulla natura stessa dei piani strutturali, che sono piani di principio, ma non fanno quello che l’urbanistica dovrebbe fare: scelte concrete sul territorio. Disciplinare e localizzare gli interventi».

Vuol dire che i Comuni applicano male la legge toscana?

«Il punto critico sono i regolamenti. Che ogni Comune si fa e approva. Nel caso di Campiglia il regolamento tradisce il piano strutturale. La Toscana può essere presentata come una terra di buoni principi, ma con una prassi che spesso li contraddice. Condivido quanto dice il presidente Enrico Rossi che l’identità della nostra regione è fatta di patrimonio culturale, di centri storici e campagna. Ma non mi sembra ci sia una seria volontà di tutela del nostro territorio se nelle campagne consentiamo di fare di tutto trascurando agricoltura e paesaggio». È una critica anche al Pd toscano? «Credo che la Toscana nei suoi gangli istituzionali e politici non sia così consapevole e convinta della strategia che viene annunciata. A mio parere c’è una debolezza politica. Guardo a Campiglia dove secondo me è venuto meno anche l’aspetto educativo della politica con gli amministratori lasciati da soli nello scontro tra interessi privati e interessi generali. C’è un appiattimento del dibattito, qui l’opposizione è da 15 anni in silenzio. E se penso ai Ds e al Pd locale sono decenni che non vedo un comunicato del partito, ma solo del sindaco e dei tecnici del Comune. Credo non ci sia una visione del futuro e senza anticorpi abbiamo subito le pressioni degli interessi immobiliari. È mancata la politica. In Toscana c’è uno scarto troppo ampio tra la fase dell’enunciazione e la pratica. Si predica bene e si razzola male. Non avremo tutte le ragioni, ma il confronto è necessario. Qui criticare è quasi come essere eretici».

E voi con la lista civica ne avete approfittato...

«Abbiamo intercettato il voto di protesta. I dieci anni del sindaco Silvia Velo (oggi parlamentare) sono stati anni di silenzi che hanno mortificato la democrazia e la trasparenza del Comune. Non hanno saputo gestire le cave e gli impianti produttivi sono stati realizzati in campagna lasciando degradare il centro. Venturina è un dormitorio, non c’è una piazza, non c’è identità».

Eppure lei fino al 2007 e ancora oggi da dirigente al Comune di Piombino è a stretto contatto con gli uomini e il partito che critica...

«Sono sempre stato un dirigente pubblico e tuttora lo sono. Ho scelto di dedicarmi alla costruzione dei parchi, alla società Parchi Val di Cornia. In quel momento mi sono reso conto quanto valga il nostro patrimonio paesaggistico e più cresceva la mia sensibilità più mi staccavo dalla politica. Sono uscito nel 2007 dalla gestione dei parchi da uomo libero. Il mio mandato cessava, ma credo che non fossi nemmeno più gradito. La mia lista civica non vuole diventare un partito, solo riportare la discussione e la trasparenza in Consiglio comunale. Se non ci fossimo stati noi nessuno avrebbe detto nulla su questo regolamento».

Il regolamento ammette il raddoppio degli alloggi in edilizia sociale. Ma secondo i tecnici del Comune ciò non avverrà «per mancanza oggettiva di spazio fisico a disposizione». Insomma il raddoppio ci sarà o no?

«Questo mi sembra un principio inedito nell’urbanistica: l’autoregolazione dei costruttori. Ogni considerazione è superflua. Così come è scritta quella norma vuol dire raddoppio. Se il Comune non vuole davvero il raddoppio degli alloggi deve fare una cosa molto semplice: cancellare la norma».

Vezio De Lucia

«Volevo soltanto migliorare,

e sono diventato un pretesto»

Il padre del piano strutturale dei Comuni di Campiglia, Suvereto e Piombino, l’architetto Vezio De Lucia, nei giorni scorsi aveva criticato il regolamento urbanistico di Campiglia. Quello che rischia di far aumentare il numero di alloggi previsti fino al 2020 già nei sui primi cinque anni di attuazione.

I sindaci dei tre comuni, Rossana Soffritti, Gianni Anselmi e Giampaolo Pioli martedì hanno scritto una lettera anche per criticare le parole del noto urbanista. Eccone un passaggio: «Stupisce che l’architetto di scagli contro sue medesime scelte». E ancora: «Limitare esclusivamente al numero degli alloggi il contenuto di un regolamento urbanistico denota un approccio al tema meramente ideologico e, cosa più grave, denuncia un appannamento deontologico che fa il paio con l’opportunismo politico: entrambi aspetti aggiuntivi e preoccupanti del degrado etico che ci avvolge».

Ieri De Lucia ha voluto replicare ai sindaci. Ecco il testo del suo comunicato: «Come sempre, quando mancano gli argomenti, si ricorre agli insulti (mi si accusa nientemeno di "appannamento deontologico" e "opportunismo politico". Perbacco). Nell’intervista al Corriere Fiorentino mi sono limitato a dire che si è bruciata, in un brevissimo periodo, una previsione di lungo periodo. E ho aggiunto: "O il mio lavoro era sbagliato o con questo regolamento c’è stato un eccesso". Questo è tutto. Non ho accennato neanche alle aree critiche (le cosiddette aree degradate non compatibili con i centri abitati, ndr) che, nel piano strutturale, sono definite come limitate porzioni di territorio che confliggono con l’assetto urbanistico nel quale sono inserite (edifici abbandonati, sottoutilizzati o destinati a funzioni improprie). L’obiettivo del piano era la riqualificazione ambientale e paesaggistica, e in questo senso va letta anche la norma che, solo per alcune aree critiche, non fissa il dimensionamento. Succede invece che una previsione volta a migliorare esteticamente e funzionalmente luoghi degradati viene utilizzata come pretesto per sovradimensionare il regolamento urbanistico (e si accusa me di appannamento deontologico)».

Alessandro Grassi

«Nessun raddoppio di alloggi, chiariremo tutto»

Lettera del coordinatore dell’ ufficio urbanistica Val di Cornia

Caro direttore, la notizia di una quantità così rilevante di edilizia sociale tutta a carico dei privati sarebbe stata, per il Comune di Campiglia Marittima, una cosa di cui andare fieri. Siccome, purtroppo, la cosa non è vera, mi spiace deludere le attese delle tante famiglie che non trovano la casa in affitto.

Mi dispiace soprattutto per coloro i quali, pur distanti dalla vita delle comunità locali, si sono affrettati a sentenziare giudizi senza aver approfondito più di tanto la proposta di piano o, più semplicemente, fidandosi di dossier, di letture e giudizi altrui.

Innanzi tutto mi preme tranquillizzare Vezio De Lucia che in più di una occasione, dopo la conclusione del lavoro sul piano strutturale, si è espresso con giudizi poco lusinghieri sulla Val di Cornia. Dico a De Lucia che i regolamenti urbanistici di Campiglia e Suvereto sono perfettamente coerenti al «suo» piano strutturale, sia sotto il profilo normativo che per i principi fondativi e strategici.

Nello specifico è bene ricordare che l’edilizia sociale riguarda la possibilità di realizzare alloggi da destinare permanentemente alla locazione. Il legislatore ha ulteriormente introdotto, suppongo per facilitare la sostenibilità finanziaria da parte di capitali privati, la possibilità di una locazione temporanea, generalmente compresa tra i 10 e i 30 anni.

Non si tratta quindi di nuove «case popolari» ma di un nuovo strumento a disposizione dei Comuni per coniugare governo del territorio e politica della casa.

L’equivoco dei 300 alloggi sociali a Campiglia nasce da una forzata interpretazione della norma contenuta nel nuovo piano comunale, che recita testualmente: «La realizzazione di n˚1 alloggio a canone sociale per ogni alloggio di edilizia libera realizzato come premio in aggiunta al limite stabilito nella presente scheda». Scusate tanto, ma quale razza di «premio» sarebbe la possibilità di realizzare alloggi da destinare permanentemente alla locazione ad un canone che non supera i 300 euro mensili? Si conoscono le difficoltà dei bandi regionali sull’affitto e del sistema di fondi immobiliari a rilevanza locale per la costruzione di edilizia sociale privata?

Il premio individuato dalla norma di piano prevede la possibilità di realizzare ulteriori alloggi liberi (rispetto al numero indicato nella norma) nella misura pari a quelli sociali. Siccome poi lo spazio fisico è comunque limitato dalle prescrizioni di verde, parcheggi, strade, e così via, diciamo che sarà quasi impossibile andare oltre qualche unità di alloggi aggiuntivi. Detto quindi che la teoria del raddoppio del dimensionamento del piano nasce da una errata interpretazione normativa, che sarà certamente chiarita in sede di osservazioni, ribadisco la piena conformità del regolamento urbanistico al piano strutturale di Vezio De Lucia.

Aspetto di vedere altrettanto equilibrio nei futuri piani comunali in Toscana, unitamente ad un’attenta valutazione politica sui tempi e sui costi della pianificazione, sulla continua e ininterrotta attività di adeguamento del Ps al Pit e al Ptc, prima di affrontare il rapporto tra piano strutturale e regolamento urbanistico.

«Rivedere il rapporto tra piani strutturali e regolamenti urbanistici». Probabilmente nemmeno ieri mattina si riferiva al caso specifico di Venturina, ma l’assessore regionale all’urbanistica Anna Marson, nel corso della prima riunione della commissione territorio e paesaggio in Consiglio regionale, è andata a toccare proprio il punto. Quello contestato dai comitati di cittadini, dalle liste civiche e da noti urbanisti e professori (Vezio De Lucia, Rossano Pazzagli, Massimo Zucconi e ultimo il direttore della Normale di Pisa Salvatore Settis). Il cuore o il fattore principale del contestato sviluppo urbanistico nei comuni di Campiglia Marittima e Suvereto: il rapporto tra piano strutturale e regolamento urbanistico con quest’ultimo che secondo il fronte del no ha «bruciato» già nei primi cinque anni il numero di alloggi previsti dal piano strutturale pensato da De Lucia che ne prevedeva 650 fino al 2020.

Il tema è questo. Da una parte i piani strutturali, dall’altra i margini di manovra e di interpretazione delle norme dei Comuni. E su questo, Venturina o non Venturina, ha puntato l’assessore che ieri mattina avrebbe anche telefonato ai sindaci di Suvereto, Campiglia e (sicuramente) Piombino dopo la lettera pubblicata ieri dal Corriere Fiorentino in cui, forse con troppa irruenza, vengono duramente criticate le dichiarazioni rilasciate al nostro giornale dall’assessore. «Il rapporto tra piano strutturale e regolamento urbanistico — ha detto Marson in commissione — è problematico perché i regolamenti tendono ad allocare subito tutte le quantità edificabili previste dai piani strutturali (come è successo a Venturina secondo i comitati, ndr). Oltretutto, visto che in situazioni di crisi come quella attuale il mercato non assorbe tutta l’edilizia, a trovarsi in difficoltà sono gli stessi Comuni».

L’assessore ha riconosciuto l’importanza dell’autonomia dei Comuni, «ma tali autonomie vanno accompagnate da strumenti di indirizzo, monitoraggio e valutazione adeguati». E infine ha confermato quanto aveva già detto lunedì sulla legge 1 del 2005 (norme per il governo del territorio che la Toscana ha varato quando al posto della Marson c’era Riccardo Conti): «Ha introdotto elementi positivi, ma va rivista in alcuni punti chiave, a partire dal rapporto tra i piani strutturali, di medio-lungo periodo (come quello di Campiglia, Suvereto e Piombino, ndr) e i regolamenti urbanistici che dovrebbero invece corrispondere al mandato di un sindaco » . Da Campiglia però arriva un nuovo allarme. A lanciarlo sempre la lista civica guidata da Massimo Zucconi, urbanista, ex uomo di punta dei Ds piombinesi che alle elezioni del 2009 ha raggiunto il 18,5%. «Il regolamento urbanistico ignora completamente il centro storico, dal quale scompaiono progressivamente i residenti. Degli oltre 700 nuovi alloggi previsti nei prossimi 5 anni, solo 24 sono localizzati a Campiglia e tutti in discutibili aree di espansione nel paese nuovo. Ma la cosa ancora più sconcertante è che dei 299 alloggi di edilizia sociale (destinati ai residenti e alle fasce sociali più deboli), neppure uno è destinato a Campiglia e al centro storico. Gli alloggi di edilizia sociale previsti dal regolamento urbanistico appaiono più come "premio edificatorio" per coloro che costruiranno nuove case a Venturina: un meccanismo che raddoppia le volumetrie nelle zone dove sono già previste troppe nuove case, mentre ignora del tutto le esigenze del riuso del centro».

Postilla

Mentre prosegue il dibattito sui piani urbanistici dei comuni della Val di Cornia (si veda in proposito la tempestiva rassegna stampa del sito Il comune dei cittadini), il nuovo assessore regionale all’urbanistica sottolinea uno dei nodi della discutibile gestione della legge urbanistica toscana attuato ai tempi dell’assessore Riccardo Conti, emerso nella denuncia di Vezio De Lucia a pèroposito del Piano strutturale dei comuni della Val di Cornia («il mio piano urbanistico» Bruciato il mio piano urbanistico»): il rapporto tra l’assetto a lungo termine del piano strutturale e quello a breve termine del regolamento urbanistico. Il primo dovrebbe indicare, secondo la stessa legge regionale, le condizioni che le caratteristiche del territorio pongono alle potenziali utilizzazioni, ed essere riferito al lungo periodo (tendenzialmene “a tempo indeterminato”), il regolamento urbanistico dovrebbe definire le previsioni a breve periodo, tendenzialmente commisurate al quinquennio del mandato amministrativo (il “piano del sindaco”). Le possibilità di trasformazione edilizia definite dal Piano strutturale dovrebbero insomma costituire il contenuto di molti, successivi Regolamenti urbanistici. In molti comuni è invece prassi, tollerata se non incoraggiata negli anni scorsi dalla giunta Martini-Conti, esaurire in un solo quinquennio tutta l’edificabilità teoricamente consentita per l’eternità dal Piano strutturale. Una follia, che ha indotto molti a ritenere ormai del tutto inutile l’articolazione del piano regolatore generale in due distinti strumenti: appunto, in Toscana, il Piano strutturale e il regolamento urbanistico.

L’errore del rapporto scorretto tra Piano strutturale e Regolamento urbanistico è comunque un aspetto della più generale impostazione errata del rapporto tra regione e comuni, che è stato predicato e praticato dalla giunta Martini-Conti. Questa ha sostanzialmente lasciato mano libera ai comuni (salvo che per le grandi infrastrutture), trascurando il fatto che esistono interessi - quali quelli del paesaggio - che travalicano le competenze comunali, e che la sommatoria delle decisioni dei comuni possono pesantemente compromettere l’assetto territoriale regionale. Come è puntualmente avvenuto nella Regione Toscana.

L’assessore: “Qualcosa non ha funzionato. troppe critiche, legge da ripensare” - Arriva sul tavolo della Regione il dossier sulla Val di Cornia, sul Web appello dei comitati ai cittadini

CAMPIGLIA (Livorno) — I comunicati, le lettere dei comitati dei cittadini. Ma anche le critiche di importanti urbanisti — da Vezio De Lucia a Massimo Zucconi — sono entrati a far parte di un piccolo dossier che l’assessore regionale all’urbanistica Anna Marson prenderà in analisi già nei prossimi giorni. Comunque sia, la chiaccherata con l’assessore parte proprio da qui. Dal caso del piano strutturale e del successivo regolamento urbanistico di Campiglia-Venturina e di Suvereto che in questi giorni sta agitando, e non poco, la Val di Cornia.

Cittadini e associazioni stanno protestando con le reciproche amministrazioni comunali, accusandole di aver stravolto i buoni propositi contenuti nel piano strutturale realizzato proprio dal noto urbanista De Lucia che, ad esempio, per Campiglia prevedeva di realizzare un massimo di 650 alloggi da qui al 2020 e che invece già il primo di tre regolamenti urbanistici potrebbe innanzare a oltre 700. Secondo comitati e urbanisti, con una sorta di escamotage perfettamente legale che è l’edilizia sociale (in alcuni casi consente ai costruttori di raddoppiare gli edifici come una sorta di premio) e in seconda battuta con la previsione delle aree critiche (zone degradate non compatibili con l’abitato che veranno sostituite da case).

Il tema è sì in questo caso la Val di Cornia, ma più in generale la tenuta della legge regionale sull’urbanistica. Un tema che l’assessore Marson affronterà presto. Per sgomberare il campo dai sospetti. «Di sicuro nel rapporto tra piano strutturale e regolamenti urbanistici c’è qualcosa che non funziona — spiega — non so quanta sia la responsabilità di chi ha scritto quella legge o se il problema stia nel fatto che non sono stati realizzate linee di indirizzo adeguate sul come applicare la norma. Certamente, dovremo riprendere in mano l’intera questione, ma non è detto che sia necessario rivedere la legge, anche se le critiche su questo aspetto della normativa regionale arrivano da più parti. Prima voglio sentire tutti i soggetti coinvolti, anche perché alcune valutazioni sono condivise dagli stessi Comuni».

L’assessore Marson domani, tra le altre cose, farà il suo esordio nella prima riunione della commissione regionale ambiente e territorio. Probabilmente qualche consigliere regionale le chiederà una presa di posizione o chiarimenti sulle vicende della Val di Cornia e più in generale sul rapporto tra piani strutturali e regolamenti urbanistici varati dalle amministrazioni comunali. «Non c’è solo il caso di Campiglia o Venturina — continua l’assessore — le critiche che ci arrivano un po’ da tutta la regione ci impongono una riflessione. Il fatto che il regolamento urbanistico abbia esaurito tutte le quantità edificabili previste dal piano strutturale è un caso molto diffuso in Toscana, non riguarda solo la Val di Cornia. In questo momento sto cercando di valutare come muovermi».

Intanto, mentre la lista civica «Il Comune dei Cittadini» ha chiesto un incontro all’assessore Marson, sui siti internet del movimento e sui blog dei cittadini, come quello di Uniti per Suvereto, non si discute di altro che dei due regolamenti urbanistici — quello di Campiglia e di Suvereto appunto — approvati il 12 maggio scorso. Su facebook, sui forum online i «civici» incitano i cittadini e le associazioni di categoria a presentare in questi due mesi di tempo le osservazioni per ribaltare quanto previsto dai regolamenti urbanistici. E tornare al vecchio piano strutturale.

«Il mio piano strutturale è stato bruciato». O meglio, «il mio piano era un ragionamento, una previsione di lungo periodo che è stata bruciata in un periodo brevissimo. Allora, i casi sono due: o il mio lavoro era sbagliato o con questo regolamento c’è stato un eccesso». A parlare è l’urbanista Vezio De Lucia, il padre del piano strutturale di Campiglia-Venturina, Suvereto e Piombino. De Lucia è un urbanista di fama, ha lavorato come consulente di amministrazioni comunali, provinciali e regionali in numerose città e territori del Lazio, della Toscana e dell’Emilia Romagna. Per Venturina, il suo piano strutturale prevedeva un massimo di 650 alloggi e che questi fossero realizzati entro il 2020 attraverso tre regolamenti urbanistici. Il 12 maggio il Comune di Campiglia, con i voti della maggioranza, ha dato il via libera a un regolamento che sulla carta rispetta il piano realizzato da De Lucia. Ma che prevede deroghe all’edificazione di ulteriori alloggi nelle cosiddette aree critiche (zone degradate con attività incompatibili con i centri abitati) che secondo il comitato Comune ai Cittadini «sarebbero schizzate in modo improprio» e attraverso l’edilizia sociale che premia i costruttori ai quali è consentito realizzare alloggi aggiuntivi.

Due clausole che per la lista civica capeggiata dall’urbanista Massimo Zucconi, ex presidente della società Parchi Val di Cornia, hanno consentito al Comune di Campiglia guidato da Rossana Soffritti di aumentare già con il primo dei tre regolamenti urbanistici previsti il numero di alloggi consentito dal piano strutturale (713 contro 650). «Un piano strutturale deve cercare equilibrio tra domanda e offerta, non c’è dubbio che a Campiglia si possano costruire case — spiega De Lucia — visto che c’è domanda, ma il punto è che un piano strutturale non può seguire l’offerta altrimenti perde tutte le sue caratteristiche di tutela».

Secondo l’urbanista, la vicenda di Campiglia-Venturina «non è l’unica in Toscana e questa storia dei regolamenti urbanistici successivi al piano strutturale mettono in discussione la bontà della legge toscana, la sua efficacia. Se il regolamento assorbe e anzi supera le previsioni del piano, la sussistenza dei due atti è inutile. Ed è del tutto inutile anche un piano strutturale di lungo termine (quindicennale) come questo. Probabilmente la nuova giunta regionale dovrà affrontare questo tema».

Rossano Pazzagli, ex sindaco di Suvereto (dal 1995 al 2004 come indipendente, appoggiato da una coalizione di centrosinistra), il Comune che ha approvato lo stesso giorno di Campiglia il suo regolamento urbanistico, è ancora più netto: «Corriamo gli stessi rischi di Campiglia e Venturina. Bisognerebbe interrogarsi sul perché chi ha fatto il piano strutturale non è stato messo nelle condizioni di fare anche i regolamenti urbanistici visto che si è voluto interrompere il rapporto con De Lucia e affidare la pratica a un altro consulente. Così è chiaro che la coerenza tra i due piani viene meno. In questa zona, è vero, c’è una pressione turistica e ovviamente c’è la pressione immobiliare, della rendita. Due fattori a cui le amministrazioni pubbliche dovrebbero resistere».

A Suvereto, tra l’altro, proprio ieri un comitato di cittadini (Uniti per Suvereto) ha denunciato sia «i 700 alloggi in cinque anni previsti a Campiglia, più di quanti ne prevedeva il piano strutturale in quindici» che i rischi cui va incontro il piccolo comune: «A Suvereto oltre a nuovi alloggi e capannoni si prevede di costruire, ampliare, un centro commerciale subito fuori il centro storico medievale, lungo le mura antiche. Ci auguriamo che le osservazioni dei cittadini e delle associazioni di categoria possano ribaltare una previsione che farebbe fare un salto indietro alla qualità di Suvereto. Ma temiamo che al di là del nostro Comune, stiano suonando gravi campanelli di allarme per l’intera Val di Cornia».

L’ex sindaco che dice? «L’impressione è che le aree critiche e l’edilizia convenzionata siano il grimaldello per rispondere agli appetiti imprenditoriali. Si predica bene e si razzola male, questa la linea data dall’ex assessore Riccardo Conti. Il Pd toscano fa buone leggi, buoni principi, ma poi nei piani regolatori si fa altro».

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