Mettete il Parco Sud al centro dell’Expo
di Stefano Pareglio
Lo scorso anno Repubblica Milano ospitò la proposta di Battisti e Deganello per un’Expo diffusa, non rinchiusa nel recinto espositivo, che reimpiegasse strutture esistenti senza consumare aree libere. Che si diluisse nella città rivitalizzandola per (almeno) sei mesi. Che lasciasse in eredità spazi pubblici, alberghi low cost e magari residenze universitarie. Pareva un ragionamento di buon senso, ma non è stato preso in considerazione. Oggi registriamo il ritardo di M5 e soprattutto M4, anche se il recente Pgt, sconnesso dalla realtà, rilancia con una "circle line" e ben 10 linee di metropolitana. Assistiamo allo spegnersi di Ecopass, mentre Tem e Brebemi si preparano a portare nuovo traffico alle soglie della città. Vediamo apparire, e sparire, un fantascientifico tunnel urbano. E prendiamo atto che le suggestive vie di terra e d’acqua sono ormai sepolte, o naufragate, a seconda del caso.
Non si ragiona sul tema di Expo 2015, ma si baruffa sulla governance e sui tagli di bilancio. La querelle è ora rivolta alle modalità e ai costi per acquisire le aree e per attrezzare il sito espositivo: ulteriore testimonianza che è il lato "fisico" di Expo, quello che davvero interessa.
E allora chiediamoci: è opportuno, di questi tempi, e a questo punto, spendere qualche centinaio di milioni di euro (pubblici) per "valorizzare" aree libere in gran parte di proprietà privata? Le grandi serre bioclimatiche (250 anni dopo Kew Gardens, in piena era Internet), e l’orto globale, saranno sufficienti per attirare 20 milioni di visitatori? Chi assicurerà l’equilibrio economico di tali strutture, una volta terminato l’evento?
La risposta è sempre la solita: serve più sobrietà. Va preso atto che le risorse e soprattutto i tempi disponibili già impongono una (ulteriore) riduzione di scala del progetto. E suggeriscono l’adozione di un diverso modello espositivo: vediamola come un’opportunità. L’Italia è conosciuta nel mondo per la bontà e la varietà dei suoi prodotti agroalimentari. La Lombardia è la prima regione agricola in termini economici e occupazionali (70mila strutture, 200mila lavoratori, indotto compreso). Ogni città o paese ha un "suo" prodotto: insaccati e formaggi dalla pianura fino agli alpeggi montani, riso nel pavese, vini in Franciacorta, in Valtellina e nell’Oltrepo, olio e limoni sul Garda e via elencando. Prodotti di grande qualità. Milano è il secondo Comune agricolo d’Italia, con 130 imprese agricole e 3mila ettari coltivati nel cuore del Parco Agricolo Sud, che abbraccia 62 Comuni, si estende su 45mila ettari e conta ben 1.400 aziende. Un Parco occupato da svincoli autostradali e da inguardabili lottizzazioni, ma anche da splendide abbazie, castelli, ville e cascine. Che è luogo di svago e di educazione alla natura per centinaia di migliaia di persone, oltre che insostituibile polmone ecologico.
A questo straordinario patrimonio, da tutelare senza tentennamenti, il nuovo Pgt di Milano prospetta di assegnare (regalare, sarebbe meglio dire) indici di edificazione da trasferire nella città, senza neppure la giustificazione di un credibile progetto di parco (e neppure di città). Nessuno, al di là della retorica, pare interessato a cogliere l’opportunità di Expo per fare del Sud Milano un paradigma dell’agricoltura metropolitana europea del XXI secolo, chiamata a rispondere alle sfide dell’urbanizzazione, dell’evoluzione demografica e sociale, della caduta dei redditi agricoli, delle nuove domande del mercato (salubrità, qualità, tracciabilità, filiera corta, vendita diretta) e della fornitura di beni e servizi pubblici. In altri termini: più che accanirsi sulle serre di Rho-Pero, bisognerebbe realizzare un moderno padiglione virtuale, en plein air e a basso costo nel Sud Milano. E ripetere poi questa operazione in altri territori della Lombardia (e del Paese), affinché possano esporre la propria identità, fatta di prodotti, di paesaggio e di cultura, nella vetrina planetaria di Expo. Si avrebbe anche il vantaggio di attivare un’offerta sicuramente più attrattiva per i 20 milioni di persone attese tra cinque anni.
Serre Expo in ritardo Sala convoca un vertice dei tecnici
di Alessia Gallione
È ancora una volta legato all’incognita dei terreni, il futuro di Expo. A quel milione di metri quadrati di Rho-Pero che, dopo oltre due anni dalla vittoria di Parigi, rimane nelle mani dei proprietari privati. Perché mentre va in scena lo scontro politico tra Comune, Provincia e Regione che oggi torneranno a riunirsi per trovare un accordo sulle aree, gli agronomi che hanno studiato come realizzare le serre e i grandi appezzamenti con i paesaggi naturali e le colture di tutte le latitudini non hanno ancora neppure potuto fare i test necessari per la fase operativa. Sono loro, gli esperti, a esprimere preoccupazione per i tempi sempre più stretti. Ma il sindaco Letizia Moratti assicura: «Sala se ne sta già occupando e stiamo lavorando continuando a studiare anche esperienze simili già presenti in Europa come l’Eden Project in Cornovaglia». Perché se anche il progetto-serre potrà essere sbloccato definitivamente quando arriveranno i terreni, la società disegnerà un nuovo percorso per l’orto globale. «Siamo fiduciosi che a breve arrivi una soluzione per le aree», dice il neodirettore generale della società di gestione Giuseppe Sala. È lui, il manager appena chiamato alla guida del 2015, che adesso convocherà «al più presto riunione con gli esperti» per capire tempi e modi.
Dovranno rappresentare una delle eredità di Expo: i cinque "agrosistemi" che riprodurranno, sotto tre serre alte fino a 50 metri e su due vasti appezzamenti, tutti i climi e le colture del mondo. Dalla foresta pluviale alla tundra fino al deserto. Una scommessa perché saranno il biglietto da visita dell’Esposizione che vuole attirare 20 milioni di visitatori non con architetture e grattacieli, ma con il tema stesso della manifestazione - l’alimentazione - che diventa parte integrante del sito espositivo. Perché il progetto conservi le ambizioni promesse sulla carta, però, per gli agronomi che lo hanno impostato bisognerà partire al più presto. Una necessità che la società di gestione adesso ascolterà. Un nuovo corso, quello intrapreso da Expo spa. Che proprio domani formalizzerà la nomina di Sala ad amministratore delegato. Il consiglio di amministrazione servirà per fare il punto anche sui fondi: i soldi in cassa permettono di andare avanti fino a settembre.
È la giornata di oggi, però, a rivelarsi come decisiva per i terreni. Letizia Moratti, Roberto Formigoni e Guido Podestà si incontreranno per discutere un nuovo piano formulato da Fondazione Fiera e gruppo Cabassi. Prove tecniche di compromesso dopo che anche il Pirellone, da sempre favorevole all’acquisto, potrebbe dire sì al comodato d’uso. A patto però, continua a ripetere la Regione, che il guadagno per i privati, una volta che avranno la possibilità di costruire, non sia eccessivo e non superi i 100 milioni.
Nota: sul medesimo argomento si vedano anche gli articoli riportati recentemente su questo sito, a partire dal piccolo contributo del sottoscritto e relativi links (f.b.)
Una città da 140 mila abitanti con uno skyline composto da quattro torri che si stagliano contro il Resegone e la Grigna: ecco come potrebbe presentarsi la Monza del futuro. La variante al Piano di governo del territorio messa a punto dalla giunta di Marco Mariani debutterà in consiglio comunale solo dopo le vacanze estive. Tuttavia, fa già discutere. L'assessore all'Urbanistica, Silverio Clerici, che ha ricevuto la delega direttamente dalle mani dell'onorevole Paolo Romani, non si è limitato a illustrare i numeri del documento, ma ha anche una visione: «Mi piace l’idea di uno sviluppo verticale della città — spiega Clerici —, a patto però che avvenga nelle periferie. L'amministrazione ha messo a disposizione un certo quantitativo di metri cubi, adesso spetta ai privati avanzare proposte intriganti». La variante individua sei poli tematici: sanitario, tecnologico, sportivo, energetico, Expo 2015 (Cascinazza) e ricreativo.
Tre verrebbero identificati con delle torri: torre dello sport, dove inserire per esempio un palazzetto del ghiaccio, torre dell'energia rinnovabile con tetti verdi, sistemi di recupero delle acque piovane e aziende specializzate nel settore dell'energia rinnovabile e torre tecnologica, dove dare spazio ad aziende in grado di garantire ricerca sul fronte innovazione. A queste se ne aggiungerebbe una quarta, un albergo alto sessanta metri in via Borgazzi angolo viale Campania. Il tutto, però, in periferia — prosegue Clerici —. Se le avessero fatte in centro, invece, sarebbero state uno scempio». I numeri parlano di 3 milioni e rotti di metri cubi di residenziale (quasi due sono recupero dell'esistente), di 980 mila metri quadrati di terziario e produttivo e di uno sviluppo di circa 20mila abitanti in dieci anni. Il principio cardine è «urbanistica contrattata»: metri cubi in cambio di servizi e aree verdi attrezzate.
L'esempio è l'area della Cascinazza, zona sud di Monza, da anni al centro di roventi polemiche fra l'amministrazione comunale e l'ex proprietà, la famiglia Berlusconi. Su questo lotto di oltre 500 mila metri quadrati l'amministrazione ha autorizzato 400 mila metri cubi. Il 25% sarà di residenziale, il 75% potrà essere suddiviso fra terziario, produttivo ed espositivo. E per non perdere il treno di Expo 2015, si ipotizzata la realizzazione di uno o più centri legati all' esposizione universale. I privati dovranno realizzare un parco fluviale e un parco attrezzato di 15 ettari complessivi. Inoltre lungo l'asse viabilistico che corre di fronte alla Cascinazza è stato programmato la realizzazione di un boulevard delle industrie e degli artigiani, una specie di «viale vetrina» dove potranno trovare spazio le attività produttive della città.
I partiti di minoranza però non ci stanno e sono già partiti all'attacco. Alfredo Viganò, consigliere della lista Faglia, parla di «svendita del territorio e norme che esautoreranno il consiglio comunale» eMichel Faglia, capogruppo dell'omonima lista nonché ex sindaco, si chiede se «il documento non sia a rischio bocciatura da parte della Provincia», che ha appena detto no a tre insediamenti nel Vimercatese. «Ha lo stesso metro usato in passato — commenta Faglia —, questa variante non ha alcun futuro». Per Marco Mariani, però, non c'è alcun rischio — spiega il primo cittadino — e quelle zone vanno salvaguardate. Tuttavia, non c'entrano nulla con noi. Anzi, la variante al Pgt, oltre a piste ciclabili, asili nido e centro ricreativi, prevede ben 400 mila metri quadrati di verde attrezzato, fra i quali un mega parco proprio sulla Cascinazza».
I nuovi barbari dilagano a Roma e nel Lazio. La povera Città Eterna non è mai stata così offesa, svilita a merce da vendere nel modo più cafone. È passata una linea di svendita dell’immagine stessa senza più freni. Se l’assessore alla Cultura, Croppi, e il sottosegretario ai Beni culturali Giro oppongono una qualche resistenza alle proposte più indecenti, è lo stesso premier, cantante discotecaro, ad autorizzare il caffè-discoteca nella Valle delle Accademie e dei Musei. E sono interessi potenti ad imporre a Villa Borghese lo sfregio del maxischermo per i Mondiali con atti vandalici diffusi. Come negare allora a Renato Zero la gloria di 6 concerti 6 nella stessa martoriata Villa? Andate al Circo Massimo, zona archeologica di pregio assoluto, e lo vedrete ridotto a luna-park. Salite sul Gianicolo e anche lì vi accoglierà un caffè-discoteca.
E pensare che l’eccellente lavoro svolto dalla Soprintendenza archeologica statale ha regalato al Museo dell’ex Collegio Massimo, diretto dalla brava Rita Paris, la sezione-gioiello degli affreschi della Villa romana della Farnesina. Da sindrome di Stendhal. Un’altra Italia avrebbe montato una “promozione” planetaria ad hoc (chissà se l’ex McDonald’s Resca ne ha saputo qualcosa).
Ora poi c’è il “nuovo” Piano Casa, rivisto a fondo dalla Giunta Polverini, col quale, per la prima volta dopo decenni, si consentiranno, nei centri storici, ampliamenti, demolizioni e ricostruzioni. Mentre l’emendamento Azzolini alla manovra tremontiana travolge ogni norma e consente di costruire ovunque. Italia rovinata dagli Italiani. Stavolta per sempre.
La neo-presidente del FAI, Ilaria Borletti Buitoni, protesta duramente, e dove la confina il “Corriere”? Pagina interna, due colonne, in basso. Alègher!
Mantova, splendida città sulla quale s’allungava l’ombra di una lottizzazione edilizia che avrebbe violato una città dichiarata patrimonio dell’Unesco, è salva. E stavolta, nella complessa storia di conflitti fra i costruttori, con i loro interessi, e le associazioni dei cittadini, impegnati nella difesa di quel paesaggio che la nostra carta fondamentale tutela, spunta anche il nome di Fabio De Santis, il provveditore alle opere pubbliche della Toscana arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla «cricca». Il principio da cui prende spunto questo caso è, ahinoi, il solito: «L’economia deve girare». E così i comuni, strangolati dalle finanziarie, si ritrovano con l’acqua alla gola, pronti a vendere i gioielli di famiglia. Tutto parte della lottizzazione della Lagocastello: 200 nuove villette in riva al Lago Inferiore che si affacciano sulle sagome del Palazzo Ducale dei Gonzaga, del castello di san Giorgio e della cupola di sant’andrea, entro la cui fabbrica si custodiscono le preziosissime reliquie del sangue di Gesù, recentemente popolarizzate, fra i non fedeli, dalle storie new age sul sacro Graal.
Una cornice di rara bellezza, dove i valori artistici di Filippo Juvarra e del Mantegna si iscrivono in un habitat lacustre prezioso, fra uccelli migratori, aironi e fiori di loto.
È su queste sponde aggraziate da salici piangenti e ibisco che il costruttore Antonio Muto della Lagocastello avrebbe voluto erigere le 200 nuove villette con vista sulla Basilica di Sant’Andrea. Una legittima decisione d’impresa, d’altronde, avallata da una concessione edilizia del 2005, quand’era a guida dell’amministrazione il sindaco di centro sinistra Gianfranco Burchiellaro. Fra lo sdegno di cittadini e intellettuali, tuttavia, fa marcia indietro il sindaco seguente, del Pd, Fiorenza Brioni. Nel frattempo, inoltre, la Soprintendenza, nel 2008, tre anni dopo, cioè, il rilascio della concessione edilizia, vincolava l’area. La faccenda finisce in tribunale: Muto si sente danneggiato, impugna il provvedimento della Soprintendenza e minaccia di chiedere danni al Comune per 80 milioni. Una richiesta di risarcimento in grado di mettere in ginocchio l’amministrazione. Mentre il Tar di Brescia deve decidere in merito alla legittimità del vincolo d’inedificabilità della Soprintendenza, si attiva un altro ricorso presso il Consiglio di Stato in merito alla decisione relativa all’obbligo di sottoporre a Valutazione d’impatto ambientale (Via) le villette, a fronte del pregio della zona di lottizzazione. La Via, in pratica, potrebbe salvare la sponda del Lago Inferiore, indipendentemente dalla legittimità dei vincoli della Soprintendenza. La questione, nel frattempo, passa, nella primavera di quest’anno, al neosindaco del Pdl Nicola Sodano. Il nuovo primo cittadino, anche per evitare i danni, cambia nuovamente rotta e sembra, forse, più propenso a lasciare che la Lagocastello finisca i lavori o a mediare sui risarcimenti.
Tutto, infatti, congiura a favore dell’impresa di Muto. Il Consiglio di Stato, infatti, affida una perizia proprio al neoarrestato Fabio De Santis il quale conclude che, per le villette, non è necessaria la Via. Il Comune sembra spacciato: se si dà il via alla lottizzazione, per risparmiare l’esoso risarcimento richiesto dalla Lagocastello, Mantova rischia di essere depennata dalla Lista Unesco. Questa infamia, d’altronde, già è capitata a Dresda per aver voluto fare un ponte sull’Elba che danneggiava l’immagine storica della città eternata da Bernardo Bellotto. Insomma, Mantova risparmierebbe sui danni a Muto ma pagherebbe in termini di perdita di privilegi e visibilità Unesco.
Lo scorso 5 luglio, infine, ecco la nuova sentenza dei giudici amministrativi che sconfessano le conclusioni di Fabio De Santis. La Via si deve fare, e l’altra sponda del Mincio, rispetto al centro antico, rappresenta un continuum paesaggistico-ambientale la cui protezione è un valore non comprimibile. Mantova, ora, è salva. La Via, infatti, non potrà che bocciare il progetto della Lagocastello, e il Comune è al riparo dalle richieste di risarcimento indipendentemente dalla sentenza sul vincolo d’inedificabilità.
Sulla vicenda di Mantova vedi anche su eddyburg gli articoli del 21/08/2008 (non firmato) e del (12/10/2006 (di Francesco Erbani)
Il Corriere della Sera ed. Milano
«Così cambierà Milano»
di Rossella Verga,
Milano manda in soffitta il piano regolatore del 1980. Alle quattro del mattino di ieri, dopo 55 sedute di consiglio comunale e con un dibattito lungo 162 ore che si trascinava dallo scorso dicembre, Palazzo Marino ha votato l’adozione del nuovo piano di governo del territorio. Ora, entro febbraio, il testo dovrà essere approvato in via definitiva. Dopo le osservazioni dei cittadini. Il documento è stato approvato (in seconda convocazione) da 28 consiglieri del centrodestra, mentre l’opposizione ha votato contro.
Milano manda in soffitta il piano regolatore del 1980. Alle quattro del mattino di ieri, dopo 55 sedute di consiglio comunale e con un dibattito lungo 162 ore che si trascinava dallo scorso dicembre, l’aula di Palazzo Marino ha votato l’adozione del nuovo piano di governo del territorio. Ora, entro febbraio, il testo dovrà essere licenziato in via definitiva. Dopo le osservazioni dei cittadini.
Il documento è stato approvato da 28 consiglieri del centrodestra (l’assemblea era in seconda convocazione), mentre l’opposizione ha votato contro. Assente Letizia Moratti. Poco prima del voto la maggioranza ha cercato di raggiungerla al telefono, ma senza successo perché il cellulare era spento: il sindaco ha saputo del via libera al Pgt a cose fatte, da un sms inviato dall’assessore allo Sviluppo del Territorio, Carlo Masseroli. Lei stessa l’aveva definito «il provvedimento più importante del mandato» e per presentarlo, ieri, ha chiamato a raccolta, insieme all’assessore, i capigruppo della sua maggioranza e i rappresentanti dell’Unione del Commercio e dei costruttori edili.
«Questa è una giornata bellissima che rimarrà nella storia di Milano — ha commentato il sindaco ringraziando anche l’opposizione che «quasi tutta si èmostrata disponibile al dialogo» — Da adesso al 2030 raddoppierà lo spazio verde in città e ci saranno più infrastrutture e servizi».
A settembre il nuovo piano di governo di territorio verrà pubblicato e presentato con assemblea pubblica, per essere sottoposto alle osservazioni dei cittadini. Entro febbraio - più precisamente entro 5 mesi dal momento della pubblicazione - dovrà essere votato in via definitiva dal consiglio comunale, dopo la valutazione sulle osservazioni dei milanesi e le eventuali controdeduzioni degli uffici e della giunta. «Questi termini sono imposti dalla legge regionale e sono quindi tassativi — avverte Masseroli — Dopo 5 mesi e un giorno il Pgt decade». Detto in altre parole, per l’assessore «non c’è più spazio per l’ostruzionismo».
La corsa contro il tempo, quindi, non è finita. Ma questo è ilmomento, sia per il sindaco sia per l’assessore all’Urbanistica, di mettere in risalto tre obiettivi centrali da raggiungere da qui al 2030: la crescita del verde da 21 a 50milioni di metri quadrati, l’aumento del trasporto pubblico locale con 11 linee metropolitane che assicureranno a tutti i cittadini una fermata a non più di 500 metri da casa e una rete di trasporto pubblico a livello di Londra e Parigi e l’incremento dei servizi in modo che siano raggiungibili in dieci minuti da ogni abitazione.
Raggiante l’assessore Masseroli, che non ha mai smesso di credere alla possibilità di arrivare all’approvazione del Pgt, anche di fronte ai 1419 emendamenti presentati. «Ciascuno ha fatto un passo indietro per far fare un passo avanti alla città», ha sottolineato. Per lui le parole chiave del piano sono quattro: «Libertà, equità, semplificazione e sussidiarietà».
Uno dei piatti forti è l’housing sociale, con la realizzazione di 30 mila nuovi alloggi dove sarà assicurato il mix sociale. «Le case nasceranno su aree degradate oggi spesso appannaggio dei rom», ha puntualizzato Masseroli. «Insomma non si costruirà su suolo nuovo, ma su spazi riconvertiti e rigenerati come gli scali ferroviari». E a legare tutto, il meccanismo della perequazione: le aree a parco, in particolare il Parco Sud, o destinate a infrastrutture, diventeranno di proprietà comunale «attraverso lo spostamento delle volumetrie in ambiti in cui è ragionevole costruire». «Dire che spunterà una grande quantità di grattacieli — ha concluso l’assessore — è terrorismo ideologico privo di fondamento».
la Repubblica ed. Milano
Primo sì alla Milano del futuro
di Teresa Monestiroli
Ieri mattina alle 3.55 il consiglio comunale ha adottato il Piano di governo del territorio con 28 voti favorevoli e 20 contrari. Assente il sindaco, che però nel pomeriggio ha detto: «È una giornata storica per Milano». Dopo sette mesi di lavoro – costati mezzo milione di euro tra gettoni presenza e cene a Palazzo Marino – e 55 sedute, l’assessore all’Urbanistica Masseroli ha vinto il primo round portando a casa il primo voto favorevole al piano. Un provvedimento che tornerà in aula a inizio 2011, dopo le osservazioni dei cittadini, per l’approvazione finale. «Un piano innovativo» per il sindaco Moratti, «un’occasione persa» per l’opposizione che promette una nuova battaglia. E Legambiente commenta: «Il Pgt va migliorato, restano troppi rischi per il Parco Sud».
Dopo sette mesi di lavoro, 55 sedute, 162 ore di dibattito, 1.395 emendamenti discussi e mezzo milione di euro spesi tra gettoni, cene e straordinari, il consiglio comunale ha adottato il Piano di governo del territorio, il nuovo documento urbanistico che sostituirà il Piano regolatore dell’80 e disegnerà la Milano del futuro. È successo nella notte tra martedì e ieri, alle 3.55, con il voto favorevole di 28 consiglieri di centrodestra e quello contrario di 20 del centrosinistra. E senza il voto del sindaco Moratti che, nonostante le ultime apparizioni in aula per salvare il numero legale, l’altra notte non ha assistito all’approvazione di quello che lei stessa ha più volte definito «il provvedimento più importante del mandato». Eppure, nell’affollatissima conferenza stampa convocata per spiegare i meriti del Pgt, commenta: «È una giornata bellissima per Milano, che rimarrà nella storia». Così «come la sua assenza» aggiunge l’opposizione: «È stato uno sgarbo per la città - spiega il consigliere Giuseppe Landonio - e dimostra disprezzo per il consiglio comunale, dove il sindaco si è distinta solo per il suo assenteismo».
Nonostante il ritardo e il confronto serrato tra i partiti (soprattutto sul futuro del Parco Sud) che ha fatto pensare più volte che non se ne venisse a capo, il Consiglio ieri ha chiuso il primo round del Pgt. Il secondo partirà a settembre con la pubblicazione del documento, la raccolta delle osservazioni (ottobre) e il ritorno in aula per l’approvazione definitiva tra febbraio e marzo 2011. «È un piano che prevede più verde, più infrastrutture e più servizi per i cittadini - spiega la Moratti - , costruito affinché l’interesse sociale prevalga rispetto a quello pur legittimo dei privati». Con l’obiettivo, entro il 2030, di garantire una fermata della metro a non più di 500 metri da casa per tutti e i servizi di base - che saranno realizzati dai privati - a massimo 10 minuti a piedi. E ancora, riqualificazione urbana, ecosostenibilità, housing sociale e rilancio della vocazione agricola del Parco Sud (almeno nella parte di competenza del Comune di Milano).
«Quella di ieri è stata una grande vittoria della politica che ha dimostrato di essere più matura di tanti intellettuali - commenta Carlo Masseroli, assessore all’Urbanistica e padre del Pgt - , lavorando insieme per fare un importante passo avanti per la città. L’adozione è stata il frutto di una discussione giustamente accanita, che ha permesso anche di apportare una serie di cambiamenti al testo originale». E anche se la battaglia non è ancora finita, Masseroli aggiunge: «Mai Milano ha avuto un piano così innovativo che permetterà alla città di crescere in maniera armoniosa, senza consumare un metro quadrato di suolo vergine». Applausi arrivano dal mondo delle imprese. Con Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, che dice: «Il Pgt è un importante atto politico e amministrativo per fornire un quadro certo di obiettivi e regole». Anche Carlo Sangalli, presidente dell’Unione del commercio, è favorevole, ma si augura che «il Pgt guardi fuori dai confini comunali per confrontarsi con il grande sviluppo alle porte di Milano».
Resta molto critica l’opposizione, che in aula ha votato contro. «Il Pgt è un piano finanziario, figlio di un’economia vecchia, lontana dal prodotto e vicina alle bolle speculative» spiega Milly Moratti. Con Pierfrancesco Majorino, capogruppo del Pd, che aggiunge: «Una grande occasione persa per Milano, lo riscriveremo da cima a fondo dopo le elezioni». Il centrosinistra infatti conta di riprendere la battaglia contro il provvedimento a gennaio, quando il Piano tornerà in consiglio comunale per l’approvazione. E dopo che la città avrà fatto le sue osservazioni. I tempi sono molto stretti - non oltre 90 giorni dalla fine del periodo delle osservazioni - e le elezioni del 2011 un grosso ostacolo.
la Repubblica ed. Milano
Di Simine: "Restano troppi rischi lavoreremo per farlo migliorare"
di Stefano Rossi
Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia, il Pgt vi piace?
«No, tanto è vero che con altre associazioni porteremo il Pgt nei quartieri, perché i milanesi lo conoscano. Le osservazioni che, anche in questo modo, la città presenterà al consiglio comunale saranno di merito, per migliorare un Piano che pone alcune sfide, non tutte negative».
Ad esempio?
«Legambiente è contro il consumo del suolo di una città in continua espansione, perciò costruire dove ci sono le metropolitane ci va bene. Ma se le sei nuove metropolitane previste dal Pgt rimangono sulla carta perché tanto soldi non ce ne sono, si rischia di avere cemento reale attorno a metrò inesistenti».
È la cosiddetta densificazione.
«Se si densifica con uffici che poi restano vuoti non serve a niente. Se si fanno case per far tornare un po’ di gente a Milano, non siamo contrari. La città deve essere densa, sì, ma di relazioni sociali. Per fortuna, in Consiglio, una opposizione competente e responsabile e una maggioranza non arcigna hanno almeno allontanato il tunnel da Rho a Linate».
Che però non è del tutto scongiurato. Perché non lo volete?
«Inietta traffico dalle tangenziali direttamente in città, fuori da ogni logica. Per centomila veicoli in più sottoterra ci vorrebbe un chilometro di rampa sia entrata che in uscita, con un impatto devastante anche in superficie».
E il Parco Sud?
«Siamo molto perplessi. Mi sembra che l’amministrazione cerchi, nel Pgt, di sottrarlo alle grinfie degli immobiliaristi ma il meccanismo di assegnare diritti edificatori da usare altrove alle aree del Parco, in cambio della loro cessione, non può funzionare».
Perché?
«Autorizza nuove volumetrie forse ingestibili per la città. Inoltre, già oggi molte aree agricole sono pubbliche e non sono in condizioni migliori di quelle private. Non è detto che la proprietà pubblica consenta il rilancio dell’agricoltura se non c’è dietro (e non c’è) un progetto preciso che preveda, accanto alla produzione, una integrazione con la città: poter mangiare fuori la sera, fare agriturismo e così via. Ad ogni modo, il pericolo maggiore per il Parco viene dalla Provincia, che intende rosicchiarlo consentendo nuove costruzioni nella aree di frangia. Già con il centrosinistra la Provincia cercò di modificare i confini del Parco, ci sono pressioni in atto da tempo».
la Repubblica ed. Milano
Case per 500mila abitanti e grattacieli nei parchi per far crescere la città futura
di Alessia Gallione
È la cartolina spedita dalla Milano del 2030. La nuova città modellata dalle regole del Pgt. Una città con 490mila abitanti in più e 24 nuovi quartieri che nasceranno al posto di binari ferroviari abbandonati e caserme: otto milioni di metri quadrati di superficie da reinventare e su cui, come nel caso dello scalo Farini, le case si trasformeranno in grattacieli per lasciare spazio a un Central park. Perché il documento che è uscito da sette mesi di battaglia in aula, è un piano che ha raddoppiato la quantità di verde (da 1 milione e mezzo a 3 milioni di metri quadrati di giardini aggiuntivi) e 35mila case a prezzi accessibili. Una città che non avrà più un solo centro, ma 88 piccoli "distretti" dove a non più di dieci minuti a piedi dalla propria abitazione si troveranno i servizi necessari: dalla fermata del metrò alla scuola. Una città dei sogni? Forse. Il Pgt traccia ambizioni lasciando irrisolti dubbi: dai soldi pubblici necessari per aumentare i trasporti e i servizi (all’appello mancano almeno 7,7 miliardi), alla capacità del pubblico di trasformarsi davvero in un regista del futuro sviluppo fino al destino del Parco Sud.
I NUOVI QUARTIERI e il verde
La mappa del Pgt ne individua 24, compreso il milione di metri quadrati a Rho-Pero di Expo. Alcuni hanno già una vocazione: a Stephenson, dove si potrà edificare molto, il Comune vorrebbe veder sorgere una novella Défense con uffici e negozi. Sull’ex scalo Farini sono le abitazioni che svetteranno attorno al parco da 400mila metri quadrati. E poi la stazione di Porta Genova, dove costruire atelier e spazi espositivi legati al design e la Bovisa che immagina una cittadella scientifica e tecnologica. Su altre aree sarà il tempo a tracciare la via anche se rimane irrisolta la destinazione di Porto di Mare. Sulla carta dovrebbe ospitare la Cittadella della giustizia, ma il Pgt stralcia il Tribunale dalle zone da riqualificare e non risolve il futuro di San Vittore. Dopo il voto, il Pgt è diventato un po’ più verde. Adesso, per ogni nuovo quartiere, è specificata la percentuale da riservare a parchi in proporzione alla grandezza: in tutto 3 milioni di metri quadrati in più. Dai 4.126 metri quadrati alla caserma XXIV Maggio al 65 per cento dell’area di Farini. Palazzo Marino, però, fa promesse ambiziose e nel 2030 sogna 22 nuovi parchi grandi come dieci Sempione in più.
LE CASE LOW COST
Si chiama housing sociale. Tradotto: nuove case per chi non è abbastanza ricco per i prezzi di mercato e non così povero per un alloggio popolare. Nei quartieri ne sono state previste 25.832 in più. Appartamenti da 75 metri quadrati in media in ogni zona rigenerata: dai 103 di Rogoredo ai 3.400 alla Santa Barbara. Secondo le stime dell’assessore Carlo Masseroli altre 10mila potrebbero nascere in altre parti della città.
I TRASPORTI
Il tunnel sotterraneo Expo-Linate è stato "stralciato" e spostato sul documento dedicato ai trasporti, rimanendo però negli obiettivi della giunta. Il Pgt però immagina una rete che, per ora, è una scommessa. La "Circle line", la linea ferroviaria da Rho-Fiera a San Cristoforo, sarà in parte ripagata con le operazioni immobiliari sugli ex scali. Dovrebbe funzionare già nel 2015 insieme alle linee 4 e 5 del metrò; per il 2030, invece, sono previste altre sei linee di trasporto pubblico. Dove si troveranno i soldi necessari?
I DISTRETTI
La città viene suddivisa in 88 piccoli quartieri. In ognuno il consiglio comunale individuerà i servizi da far nascere in base alle necessità con l’obiettivo di avere tutto vicino a casa. Il catalogo di cosa può essere considerato servizio è lungo e contempla non solo impianti sportivi e scuole, ma anche negozi di vicinato, orti urbani, e residenze temporanee per studenti.
IL PARCO SUD
I consiglieri comunali hanno voluto che fosse scritto chiaramente: sui 42 milioni di metri quadrati di parco Sud non si potrà costruire. I diritti volumetrici sono solo virtuali e saranno trasferiti in altre zone della città. Ma il pericolo cemento rimane perché la Provincia, che dovrà redigere i Piani di cintura, ha il potere di proporre nuove regole prevedendo anche la possibilità di edificare.
Nota: su questo sito, il riferimento è evidentemente all'ampia documentazione sull'iter del piano contenuta nlla cartella Milano; in particolare si vedano fra gli ultimissimi contributi quelli di Sergio Brenna e di Luca Beltrami Gadola(f.b.)
L’aveva detto. E alla fine, con un blitz, l’ha fatto. L’assessore regionale all’urbanistica Anna Marson ha messo nero su bianco quanto annunciato nelle settimane scorse: la Regione vigilerà sui Comuni, i regolamenti urbanistici che in alcuni casi hanno «bruciato» le previsioni pluriennali dei piani strutturali e l’autonomia che in diverse zone della Toscana sarebbe sfuggita al controllo.
Tutto questo è contenuto in poche righe. In una variazione al Dpef (documento di programmazione economica e finanziaria) approvata con una delibera di giunta il 12 luglio. Nella quale si stabilisce «di rivedere e perfezionare la legge 1 del 2005 (quella con le norme per il governo del territorio) per quanto concerne le relazioni fra Regione, Province e Comuni in merito alla redazione e approvazione degli atti di pianificazione e governo del territorio, al fine di assicurare un corretto ed efficace rapporto fra piani strutturali e regolamenti urbanistici e di accompagnare le autonomie comunali con adeguati strumenti di indirizzo, monitoraggio e valutazione».
Ma perché si tratterebbe di un blitz? Perché questa modifica, secondo il Pdl, è venuta dopo la fase di concertazione con le parti sociali e le associazioni, compresa quella dei Comuni, l’Anci. L’ultimo tavolo prima della variazione che riporta poteri di controllo, indirizzo e valutazione sull’urbanistica in seno alla Regione si era tenuto il 21 giugno scorso. A rappresentare l’Anci era intervenuto il sindaco di Pontassieve Marco Mairaghi, ma di una simile (anche se annunciata sui giornali e in Consiglio regionale) variazione quel giorno non se ne parlò, come si legge sui verbali della riunione.
La mossa della Regione è preliminare. Ma con due certezze importanti: si farà in fretta (il Dpef dovrebbe essere approvato entro la fine di luglio) e ci sarà la revisione della legge 1 sul governo del territorio (per la felicità della Rete dei comitati toscani, era la prima loro richiesta ufficiale a Rossi e Marson). Con in più, scritti neri su bianco nel Dpef altri principi dell’inversione di tendenza nell’urbanistica toscana: il potenziamento del riuso e della riqualificazione dei volumi edilizi esistenti; la tutela del territorio rurale; la definizione del pianto integrato territoriale rendendo effettiva la salvaguardia, la valorizzazione e la riqualificazione dei paesaggio regionali e l’adeguamento degli strumenti conoscitivi dello stato del territorio regionale (in primis il progetto di una nuova cartografia). Sulla carta insomma un bel giro di vite alla nuova edilizia.
Un blitz— dove è stata cancellata anche la soppressione delle Comunità Montane ma non un suo possibile «superamento» in favore delle Unioni dei Comuni — appunto, per il consigliere regionale del Pdl Nicola Nascosti: «Le comunità Montane non saranno soppresse e con le Unioni dei Comuni nascerà una nuova sovrastruttura. Sull’urbanistica invece la "sovietizzazione" tanto temuta dal presidente della Provincia di Firenze Andrea Barducci si è realizzata con il commissariamento delle politiche urbanistiche dei Comuni introdotto in un vero e proprio blitz dopo la concertazione a cui aveva partecipato anche l’Anci. La linea Marson è stata introdotta in maniera subdola». Per tutto il gruppo del Pdl però c’è di più in questo Dpef: «Una crisi istituzionale senza precedenti». «La giunta — ha detto il capogruppo Alberto Magnolfi — ha portato avanti la concertazione infrangendo le regole statutarie. Rossi contravvenendo allo statuto non ha presentato al tavolo delle parti sociali ed economiche gli atti di indirizzo del consiglio. Così si inficia la procedura. Ci riserviamo di impugnare il tutto davanti alla commissione di garanzia».
Cinquanta euro a pezzo. Sono prezzi da saldi stagionali quelli previsti dalla nuova versione dell´archeocondono. La proposta di legge numero 3540, depositata alla Camera dei deputati, reca come titolo «Disposizioni per il censimento e la riemersione dei beni archeologici in possesso di privati». Pagando appena cinquanta euro per «spese di registrazione e di catalogazione», chiunque possegga un reperto archeologico mai denunciato può mettersi tranquillo: verranno estinti i reati commessi. Quelli, appunto, di detenzione illegale di un bene archeologico.
Una sanatoria. Un colpo di spugna radicale su una delle piaghe che affliggono il patrimonio d´arte del paese. E che va in direzione opposta rispetto agli sforzi che si compiono per far rientrare in Italia opere trafugate ed esposte nei musei di diversi paesi. Al momento è una proposta di legge, ma sono in molti a sospettare che il vero obiettivo fosse di infilarlo nel maxi emendamento del governo alla manovra finanziaria. Finora l´operazione non è riuscita. Sollecitato da un allarme lanciato da Manuela Ghizzoni, pd, il relatore della manovra, Antonio Azzollini, pdl, ha smentito che l´archeocondono fosse fra gli emendamenti. Ieri, però, è intervenuto Fabio Granata, pdl legato a Gianfranco Fini, che ha di nuovo messo in guardia.
Tutta la vicenda è comunque misteriosa. Il testo presentato alla Camera è firmato da cinque deputati del Pdl, Giuseppe Marinello, Gioacchino Alfano, Roberto Antonione, Marco Marsilio e Gerardo Soglia. Marinello non è nuovo a iniziative del genere, essendo stato autore nel 2004 di un progetto analogo, insieme a Gabriella Carlucci. Questa proposta è sostanzialmente diversa rispetto a un altra circolata qualche giorno fa (e di cui Repubblica aveva scritto). Ed è molto più favorevole a chi possiede una ceramica attica o etrusca. Prevede infatti che, dichiarato il possesso di un bene, di quel bene si diventi a tutti gli effetti proprietario (nell´altro testo si parla di "depositario"). E che dunque quel bene possa essere venduto. D´altronde nella relazione che introduce gli articoli, si legge che fra gli obiettivi c´è quello di riavviare in Italia il mercato dell´arte e di tutelare il collezionismo, compresso da norme illiberali e da una «cultura del sospetto». Che ostacolano un diritto definito «inalienabile», quello di possedere reperti, cioè «un´espressione del gusto e della sensibilità artistica».
Stando alla proposta di legge, chiunque possegga collezioni archeologiche, anche all´estero, può comunicarlo alla Soprintendenza, la quale semplicemente prende atto. All´articolo 11 si stabilisce che «le spese di registrazione e di catalogazione sono fissate in 50 euro a pezzo» (nell´altro testo circolato si pagava il 30 per cento del valore e la Soprintendenza poteva contestare la valutazione). 50 euro si pagano anche per dieci pezzi di collezioni numismatiche. Poi, come al supermercato, ci sono le offerte: «I frammenti ricomponibili sono considerati come pezzo unico». Cioè sempre 50 euro.
La Repubblica ed. Milano
La lunga notte dell’urbanistica
di Luca Beltrami Gadola
Questa specie di calvario che è l’approvazione del Piano di governo del territorio sembra veramente non finire mai e, nella storia delle delibere adottate negli ultimi anni dal Consiglio comunale milanese, non ne ricordo una altrettanto travagliata.
Già questo sta a indicare di quanto poco consenso goda questo nuovo strumento urbanistico, poco consenso che è rispecchiato anche dalla sua poca notorietà presso il grande pubblico.
L’opposizione, pur con qualche grave sbandamento, sta conducendo la sua battaglia e, opposizione a parte, lo spettacolo del Consiglio che alle quattro del mattino, in un’aula praticamente deserta nei banchi del governo cittadino, delibera sul futuro di Milano, dovrebbe indurre tutti a una riflessione sulla serietà di adunanze consiliari che durano venti e più ore consecutive. Ammettiamo pure che molti degli emendamenti avessero lo scopo di tirare in lungo, ve ne sono invece molti che richiederebbero grande attenzione.
A margine di questo calvario sono state spese opinioni di difficile comprensione come questa, apodittica: «Meglio un brutto Pgt, ancorché emendato, che andare avanti con il vecchio Piano regolatore». Nessuno ha spiegato compiutamente quest’affermazione se non adducendo a sostegno della sua tesi una cosa sola: i tempi son cambiati e tanto rapidamente che ci vuole uno strumento agile e snello che consenta di seguire le mutazioni della città. Pregherei i sostenitori di questa tesi di andarsi a riguardare il Pgt, quello oggi in discussione, e spiegare al colto e all’inclita, meglio sarebbe dire agli informati e agli ignari, dove sta quest’agilità in un documento di migliaia di pagine.
Non è detto che questo documento arrivi in porto, perché vi sono ancora alcuni determinanti passaggi per la sua definitiva adozione, ma mi domando alla fine che diavolo di documento sarà. La legge 18.6.2009 n.69 su semplificazione e altro, ma anche molti precedenti provvedimenti e direttive ministeriali e circolari della Presidenza del Consiglio, hanno vanamente raccomandato ai legislatori che i testi amministrativi fossero chiari e tenessero conto della specificità degli operatori cui sono indirizzati. Molte Regioni hanno emanato norme e raccomandazioni alle amministrazioni locali perché si muovessero in tal senso: la Lombardia, che sappia io, no. Sarebbe bene lo facesse prima dell’adozione definitiva del Pgt milanese che, per com’è steso, non rispecchia certo le caratteristiche che da più parti si auspicano: chiarezza, semplicità e concisione.
Queste caratteristiche sono anche quelle che garantirebbero la nuova norma da continui ricorsi ai Tribunali amministrativi, fatti salvi i ricorsi di legittimità, insomma eviterebbero almeno le infinite liti sugli aspetti interpretativi ma anche, quel che è più importante, le furbizie di qualche funzionario troppo sensibile agli interessi di una parte soltanto dei cittadini o per affiliazione politica o per altre meno nobili ragioni. Il sindaco in questi giorni ci ha anticipato che farà la sua campagna elettorale – a spese del Comune – illustrando i risultati raggiunti, senza dubbio anche parlando di Pgt e di là dalle solite affermazioni, anch’esse apodittiche, che ci dirà al riguardo?
Il Corriere della Seraed. Milano
Innse, dalla lotta sul tetto ai turni di lavoro notturno
di Andrea Galli
Certe sere si tira l’alba perché non bastavano primo e secondo turno, ora c’è anche il terzo. E non si sa se tutti riusciranno a fare le ferie, dipende dalle urgenze della produzione. All’Innse, un anno dopo, oggi si lavora anche di notte.
Ogni tre giorni in media arriva un curriculum, certe sere si tira l’alba perché non bastavano primo e secondo turno ora c’è anche il terzo, il prossimo mese sono previste due settimane di ferie e non è detto che tutti le faranno, bisogna vedere. Bisogna vedere se ci saranno commesse urgenti, come a esempio le enormi valvole per metanodotti e gasdotti in fabbricazione.
All’Innse, un anno dopo, è così, proprio così: si lavora, tanto, anche di notte — il terzo turno inizia alle 22.30 e finisce alle 6.30 —, da fuori lo sanno, e in portineria si presentano quarantenni e cinquantenni altrove licenziati, una decina al mese, magari all’Innse assumeranno a settembre, nel settore amministrativo, si viene a sapere, e non fra gli operai. Anche i simboli, i modelli, e la Innse lo è — quanti l’hanno copiata e mutuata in altre aziende, cassintegrati saliti sui tetti, trincerati in presidi —, anche i simboli e i modelli in fondo hanno dei limiti. E comunque l’organico è al completo. Ci sono, gli operai. Ci sono sempre stati. Il problema è che mancava il padrone. «Buono o cattivo non importava, ci serviva un padrone, volevamo un padrone. Sì, fa strano a dirlo. Però è la verità» racconta Max Merlo.
Merlo è uno dei quattro del carroponte ed è anche quello di una fotografia. Partiamo da questa. Nella fotografia ci sono due persone. A sinistra Attilio Camozzi, a destra Merlo. Si stringono la mano. È il giorno della svolta. Camozzi guarda il fotografo, è un sorriso un po’ timido. Merlo guarda Camozzi e non ride, anzi è serissimo, pare perfino arrabbiato, forse è soltanto stanco. Sul carroponte rimasero otto giorni. Era l’atto estremo, e sarebbe stato nel bene o nel male l’ultimo atto. Ricordate?
Via Rubattino. Periferia di Milano. Uscita della tangenziale. Qualche metro proseguendo sulla sinistra ci sono i Martinitt; qui davanti, invece, si alzano, stendono e sbriciolano i capannoni scheletrici dell’ex Innocenti, dell’ex Maserati: è una zona di storia questa.
In mezzo ai capannoni, c’è il padiglione occupato dall’Innse. Ci fabbricavano presse. Poi il proprietario licenziò gli operai, cercò di portarsi via i macchinari, e successe il finimondo. I lavoratori occuparono, mandarono avanti la produzione in autogestione, fu resistenza, andarono sui giornali, in televisione, si svegliarono i sindacati e soprattutto i politici, in Prefettura s’aprì un tavolo, i quattro si arrampicarono sul carroponte e senza certezze, senza accordi, non sarebbero più scesi, giuravano; si fece avanti Attilio Camozzi, quello della fotografia con Merlo. Il Cavalier Camozzi, capo dell’omonimo gruppo industriale bresciano, acquisì l’attività della Innse.
Camozzi è uno di poche parole. A chiamarlo al telefono, dice «pronto» e dalla voce si capisce che vorrebbe subito chiuderla lì e passare al «d’accordo, arrivederci», è già passato troppo tempo. Figurarsi provare a chiacchierare un po’. Lo avevamo cercato alla fine di marzo, quando alla Innse avevano assunto due ragazzi a tempo determinato. Cavaliere, e le assunzioni? «Ma no, non diciamo niente, manteniamo un basso profilo». Ieri mattina, nuova chiamata. Cavaliere, abbiamo saputo del terzo turno, addirittura, non è un risultato clamoroso? «Ma no, non diciamo niente, manteniamo un basso profilo».
Più tardi, Camozzi farà chiamare dall’avvocato del Gruppo, il dottor Claudio Tatozzi. Avvocato, in fabbrica gira bene, no? «Ci sono tanti passaggi da completare. Dev’essere deciso come verrà riqualificata tutta questa enorme area sulla quale siamo presenti anche noi. Il Comune e la società proprietaria dei terreni debbono completare l’istruttoria, vediamo gli sviluppi. Le posso dire, in ogni modo, che per il Gruppo la Innse rappresenta un investimento tra i dieci e i quindici milioni di euro complessivi. L’operazione non è stata uno spot. C’è un obiettivo. A lungo termine. In questo progetto crediamo tantissimo».
La Innse è ridipinta a nuovo, giallo e grigio predominano, è stata fatta pulizia, c’è un’aria, un odore, di fabbrica, di tornio, di ingranaggi, di olio, che strano, a Milano, e di questi tempi, con la crisi. Possibile? Il dottor Pietroboni è il direttore dello stabilimento. Dice: «Piano, piano. Il nostro settore, quello della meccanica pesante, è stato colpito a lungo. La ripresa, dicono, avverrà a fine anno. Molto più probabilmente nel primo settembre del 2011. Abbiamo commesse per i prossimi due, tre mesi. Bastano? Non bastano. Puntiamo ad avere commesse per i quattro, cinque mesi successivi, scadenza che garantisce un certo margine».
C’è un operaio che tossisce, che sputa. «Lavoriamo moltissima ghisa al posto del ferro. Il motivo? Prendiamo commesse in ghisa anziché in ferro, se ne trova di più sul mercato e non tutti la vogliono lavorare... La ghisa mette in circolo una polverina che invade la gola, scende giù, ti uccide i polmoni».
Ci sono torni che hanno quasi un secolo. Li han fatti in America, altri in Germania. Non tutti funzionano. «A vero regime dovremmo essere molti di più, almeno centocinquanta operai» raccontano. Difatti metà stabilimento è vuoto, le luci spente, polvere e ruggine. Dicono che Camozzi sistemerà un mega impianto fotovoltaico sul tetto. Dicono anche attorno alla fabbrica sorgeranno alti palazzi e giardini, negozi e piste ciclabili. Il termine ultimo per firmare il progetto di riconversione dell’area è il 31 dicembre prossimo.
Le cose si complicano per il governo regionale. Al tempo della Prima Repubblica la crisi sarebbe esplosa. Improbabile la minimizzazione del clamoroso voto in consiglio contro il «Piano casa». Al centro di quel voto un tema, quello «edilizio», centrale nel programma elettorale di Ugo Cappellacci. In quell’altra epoca le questioni connesse al governo del territorio sono state spesso causa di dimissioni, e quegli argomenti, mai così decisivi nel confronto elettorale, emergevano con forza. Un rimpasto dovrebbe aggiustare tutto, si dice. Silenzio sulla principale materia del contendere.
Molti osservatori di questa recente fase avevano escluso un disaccordo oltre i piccoli fisiologici dissapori. Tutto liscio, con un presidente eletto direttamente dai sardi e così tanto sostenuto da Berlusconi che sul tema si è esposto molto e volentieri. Sua l’indicazione riassunta nello slogan «la libertà in Sardegna dopo le angherie di Soru». Il patto sembrava insomma cementato (il termine è appropriato) da una visione che la destra italiana - con rare eccezioni - dichiara attraverso il suo massimo esponente: il territorio luogo dei diritti a edificare, i vincoli esagerazioni di certa sinistra.
Grandi e piccole attese soddisfatte da questa facile visione: un pezzo di terra-una casa. Tutto sembrava andare nel verso giusto (l’assessore all’ urbanistica prescelto il più preparato per svolgere il difficile compito); grande compiacimento, come se la politica neoliberista avesse trovato un suo laboratorio ideale in questo piccolo pezzo di mondo. Invece le cose si sono complicate, e non poco negli ultimi mesi. Il percorso è diventato accidentato. Molti i fatti attorno alla stessa matrice, in una sequenza che ci vorrebbero quelli di blob per rendere evidenti con la dovuta efficacia le connessioni. Primo spazzare via il piano paesaggistico di Soru (con prudenza secondo alcuni, avanti senza esitazioni secondo i falchi). Quindi il piano-casa. Pensato a Roma sembrava fatto apposta per aprire varchi nelle regole urbanistiche in Sardegna, presentato in una versione e ripresentato. Troppo evanescente per dare risposte al bisogno inevaso di case, molto azzardato nel secondo capitolo, laddove tra l’altro è offerta surrettiziamente la soluzione a casi altolocati rimasti impigliati nelle norme del Ppr. Così a una parte degli alleati la linea svincolante è apparsa troppo sbilanciata, a favore di un’altra parte. Un doppio binario inaccettabile, perché un piano non si smonta con un articolo di legge, men che meno per rispondere a qualche pretesa, se per gli altri vale il lungo percorso verso un nuovo piano paesaggistico.
Nel blob c’è altro. Ci sono le sentenze su Cala Giunco - caso illuminante - che riaffermano la solidità del piano paesaggistico proprio in relazione ai vincoli che si vorrebbero sopprimere. Ci sono le ombre lunghe sul caso Tuvixeddu (le intercettazioni che spiegano alcuni retroscena, le richieste di rinvio a giudizio di cui si sa troppo poco). C’è il caso Is Arenas, doppia beffa per i sardi. E poi i gravi sospetti per gli affari legati all’eolico, Flavio Carboni suggeritore di quella linea spericolata è oggi in carcere con tutto ciò che sottintende.
Sembra la versione al mirto di ciò che accade a Roma, il paesaggio - fonte di grandi rendite - è il tratto dominante della politica dalle nostre parti. Le reazioni di un pezzo della maggioranza sono un segnale da non trascurare. Qualche dubbio sul rovesciamento di una linea giusta? Forse influisce lo smarrimento di chi ci guarda da fuori. Prima l’apprezzamento per la tutela orgogliosa del territorio. Ora il disorientamento per ragioni opposte; per gli eccessi, come ad esempio il furore contro la Conservatoria delle coste cancellata inopinatamente. Soru ha perso nella sua maggioranza, si è detto sinteticamente, perché concedeva troppo poco ai cacciatori di diritti a prendere dal paesaggio sardo; per il suo successore Cappellacci si vedrà.
Aggiudicare i lavori e accorciare la tabella di marcia. Il Pirellone vuole far ripartire il cammino della controversa autostrada regionale Broni-Pavia-Mortara, 65 chilometri d’asfalto a tagliare la Bassa e il Parco del Ticino per collegare l’Oltrepo a Pavia. Tra la A21 (Torino-Brescia) e la A7 (Milano-Genova) più le opere connesse, fino al Vercellese. Pensati, nelle intenzioni, per alleggerire il traffico locale ma osteggiati da ambientalisti (tra cui Fai e Legambiente) e cittadini che, invece, ne escludono ogni beneficio. Mercoledì la giunta regionale voterà la convenzione con cui Infrastrutture Lombarde affiderà i lavori alla Società autostrada Broni-Mortara, la SaBroM di cui i soci principali sono il gruppo Gavio e la Serravalle.
Un passaggio necessario, ora che il Tar ha respinto il ricorso degli altri due competitor. In particolare degli spagnoli Sacyr, vincitori della gara ma poi esclusi. In attesa del responso del consiglio di Stato, la Regione accelera sull’opera. Che sarà pronta prima: «Da quasi tre anni e mezzo, i tempi si sono ridotti a 2 anni e 9 mesi - annuncia Raffaele Cattaneo, assessore ai Trasporti - i lavori inizieranno nel 2012, la fine ad agosto 2015». E poi pedaggi ridotti, un canone annuo di concessione (42 anni) di 270 milioni e un investimento che sfiora il miliardo.
Il territorio, però, è in rivolta. «È un’alternativa alla A4 che riverserà 44mila veicoli al giorno aggravando il traffico - contesta Renato Bertoglio, coordinatore del gruppo Territorio di Legambiente pavese - serve un collegamento Nord-Sud e non Est-Ovest. E poi rovina le risaie della Lomellina e il Parco del Ticino». Che, però, a suo tempo, diede parere favorevole: «Ma condizionato - precisa la presidente Milena Bertani - Le nostre osservazioni agricole e ambientali furono accolte: la ritengo una vicenda chiusa, pur assicurando gli opportuni controlli sul rispetto delle prescrizioni». C’è anche una critica pratica. «È tutta rialzata di oltre due metri - denuncia Nicola Ghisiglieri del coordinamento contro la Broni-Mortara - ci sarà un grande movimento di terra che incrementerà il progetto cave della provincia pavese. Intanto noi aspettiamo di sapere l’esito dei quattro ricorsi fatti dai cittadini contro quest’opera inutile e troppo costosa».
Nota: per capire meglio di cosa si tratta, chi non l’avesse già letto può far riferimento al mio vecchio La Fabbrica dello Sprawl, riassunto “in chiaro” su Mall e scaricabile in pdf (f.b.)
Se persino il Vaticano è lieto di «trasmettere il ringraziamento e il benedicente saluto di Sua Santità», allora si può davvero cementificare il cielo di Milano. «No-Spot city» è un mostro, devasta 40 chilometri quadrati del centro, demolisce una torre del Castello, s’alza per un miglio, è un enorme complesso di grattacieli, 200 milioni di metri cubi per un milione di abitanti. Lorenzo Degli Esposti, architetto e professore al Politecnico, ha depositato la Dichiarazione d’inizio attività nel 2009 (numero di protocollo: 473371), integrata da un’approfondita e assurda relazione tecnica. Risposte dal Comune? «Nessuna. Dunque, nulla osta. Per altro, il 19 novembre sono arrivati i "distinti ossequi" del Papa...». Ieri, l’architetto ha comunicato la data (simbolica) d’inizio lavori: 11 luglio 2010, ore 11.
Una picconata al Castello seppellirà il Pgt? È l’obiettivo. Lorenzo Degli Esposti dirige l’Architectural & Urban Forum, sostiene che «Milano deve crescere in modo critico e intelligente» e colpisce la città al cuore per «svelare» i rischi del Pgt: una provocazione intellettuale sostenuta da associazioni, storici e critici d’arte.
Trenta giorni e scatta il silenzio-assenso. Qui è passato un anno: «Qualcuno — continua Degli Esposti — si sarebbe dovuto accorgere che non sono proprietario delle aree, che il progetto devasta il Castello...». No: è passato inosservato. A Palazzo Marino dicono che qualche pratica è in ritardo, d’accordo, ma la legge e il diritto penale non si discutono, tutelano Milano e condannano la «No-Spot city»: «Non è che uno può svegliarsi e decidere di abbattere il Duomo». Qualcuno ha già fatto domanda?
Vista con gli occhi di un americano, Roma è un crocevia di follie, culturalmente parlando. Se poi lo straniero in questione è un giornalista e di quel che ha visto negli ultimi mesi fa un articolo, a tutta pagina nella sezione cultura del New York Times, forse è il momento di guardarsi allo specchio e preoccuparsi. "Mentre si modernizza, Roma lascia che il proprio passato lentamente si sbricioli". Ed è solo il titolo.
Giornalismo anglosassone: allinea dati ma non lesina colpi e spiega, per cominciare, che il Maxxi è fatto di «spazi tutti curve, magari sexy ma poco pratici, testimonianza di un gusto superato e in vari scorci sgraziato», che ha richiamato il mondo dell’arte per il vernissage e dato spunto al sindaco per esternazioni sulla Roma del XXI secolo. Insomma, Roma ci prova ma non ci riesce: sfortuna ha voluto che, in quelle stesse settimane un pezzo della Domus Aurea di Nerone sia crollata; tutti sapevano da sempre delle infiltrazioni ma si è aspettato il crollo senza fare nulla. Poi, poco dopo, i calcinacci giù dal Colosseo. Per di più - aggiunge ancora il NYT - una commissione, istituita da tempo per fare fronte a questi problemi «ha speso milioni senza evitare l’ultima sventura».
«I cambiamenti qui non sono mai facili», aggiunge Michael Kimmelman: l’intervento di Richard Meier ha fatto «strillare» i romani («inadeguato, sembra un mausoleo fascista») mentre l’Auditorium di Renzo Piano, insieme al cantiere di Fuksas per la Nuvola sono gli unici interventi "assolti". A ragione poi, si sottolinea il paradosso di «una nazione la cui identità e sopravvivenza fiscale poggia sulla cultura che investe solo lo 0,21% del proprio bilancio (dato in calo) in cultura». Ma il grido di dolore più straziante viene degli archeologi: «i politici non vedono nel patrimonio un ritorno che li incoraggi a ulteriori investimenti»: bisogna cominciare a ripensare le regole, a guardare avanti... Conclusione: «Questa è Roma: alcune cose sono eterne». Il sottosegretario Giro dichiara: «Un articolo pieno di lacune e fuorviante».
NELL´AULA DEL CONSIGLIO COMUNALE - quando non cade il numero legale dei presenti, come ieri - è l´argomento più caldo da settimane. Ma fuori dal portone di Palazzo Marino sembra che il Pgt non lo conosca nessuno. E che, in realtà, le grandi trasformazioni urbanistiche immaginate dal piano non piacciano a tanti.
Questo, almeno, è il risultato di un sondaggio commissionato all´Ispo dall´associazione civica ChiamaMilano: il 62 per cento degli intervistati non ha mai sentito parlare del Pgt, il 29 ammette di aver sentito "qualcosa" ma di sapere di cosa si tratta: totale, quasi il 90 per cento, nove milanesi su dieci, che ignorano il tema e solo uno che dice di aver seguito la (travagliata) vicenda del piano.
Tra i dati, presentati da Renato Mannheimer nella sede dell´associazione presieduta dal consigliere di opposizione Milly Moratti, anche quelli sul gradimento di uno dei fini del Pgt, l´aumento degli abitanti della città: l´80 per cento - soprattutto di anziani - non condivide l´obiettivo, e una percentuale simile non vuole uno skyline di grattacieli. Alla domanda sulla perequazione, il meccanismo per "scambiare" diritti di superficie in zone edificabili con aree del Parco Sud, il 68 per cento ha detto di non condividere il sistema.
Commenta Milly Moratti: «Bisogna informare i cittadini: è vero che il Pgt è complesso, ma è talmente innovatore che bisogna che la gente sappia. Con questi dati prendiamo atto che quella del Pgt non corrisponde alla visione dei cittadini, è ora che ci diamo da fare». Una posizione ribadita dal capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino: «Il sondaggio conferma le nostre preoccupazioni, i milanesi vogliono una città più verde e vivibile». Oggi si torna in aula (restano da esaminare ancora 200 emendamenti) dopo la seduta andata a vuoto. Polemico il presidente del consiglio comunale Palmeri: «Sarebbe auspicabile che su un provvedimento di rilevanza strategica il Consiglio lavorasse utilizzando tutte le ore previste».
Ogni giorno a Milano famiglie morose vengono sfrattate e aumenta la richiesta di edilizia convenzionata. Eppure c’è un complesso in via dei Missaglia, "Le Terrazze", dove da anni gli appartamenti restano sfitti: ora siamo a quota 54. La proprietà, una società del gruppo Ligresti, avrebbe dovuto affittarli a equo canone, secondo una convenzione stipulata con il Comune: ma l’accordo è stato quasi del tutto disatteso, tra le proteste inascoltate dell’opposizione e degli inquilini di un condominio sempre più fantasma.
Bilocali e quadrilocali a poche fermate di tram dal centro città. Edilizia da ceto medio, costruzioni dei primi anni Novanta con affitti cari la metà dei prezzi di mercato. In via dei Missaglia, nel quartiere "Le Terrazze", sono 54 gli appartamenti vuoti, sfitti da anni, che potrebbero andare a dare un po’ di sollievo alla richiesta continua e pressante di case a prezzi calmierati di Milano. Ma due fattori lo impediscono: da una parte una proprietà, la Immobiliare Milano assicurazioni del gruppo Ligresti, che ha tutto l’interesse a lasciare vuote case che aveva l’obbligo di affittare se non ad equo canone, almeno a un canone equo. Dall’altra, l’inerzia, la lentezza da pachiderma della macchina comunale: che, pur davanti a evidenti infrazioni, rimanda o non effettua controlli sull’edilizia convenzionata, facendo prosperare gli abusi.
In mezzo c’è l’amarezza di chi avrebbe i requisiti per affittare una casa dignitosa senza finire dagli strozzini e le preoccupazioni di chi vive nel complesso residenziale, con i problemi di sicurezza e di degrado che fioriscono quando poco meno di un appartamento su quattro è deserto.
Eppure "Le Terrazze", a metà anni Ottanta, erano un progetto ambizioso: far costruire residenze ai privati sui terreni agricoli tra via dei Missaglia e via Selvanesco abbuonando gli oneri di urbanizzazione in cambio dell’obbligo di affittare a equo canone per dodici anni i cinque sesti dei metri cubi costruiti. Un progetto mai realizzato in pieno: il gruppo del costruttore Salvatore Ligresti, lo stesso che ora coltiva sogni ambiziosi sul Parco Sud, costruisce effettivamente migliaia di abitazioni di diverse metrature, ma molte restano vuote per anni, senza un motivo apparente. Altre, tante altre, dopo qualche anno vengono sì affittate, ma a prezzi di mercato, ovvero quasi il doppio di quei canoni sociali previsti. Un abuso che ignora la convenzione stipulata, ma che il Comune non contesta mai davanti a un giudice, limitandosi a appoggiare la causa che oltre cento famiglie intentano alcuni anni fa. A gennaio 2009 il comitato di inquilini, rappresentati dall’avvocato Alessio Straniero, vince il ricorso contro l’Immobiliare lombarda della galassia Ligresti, che viene condannata ad applicare i parametri economici della convenzione e a restituire agli inquilini le somme pagate in eccesso (che viaggiano oltre i tre milioni).
È proprio nei giorni di quella battaglia che emerge l’altro aspetto della vicenda: tra via Tomaselli, via Bugatti, via Rosselli e via Fraschini - ovvero nel quadrilatero di una delle costruzioni che formano il complesso residenziale - sempre più appartamenti, man mano che gli inquilini vanno via, non vengono riaffittati. Molti, ormai, sono sfitti dal 2002. E il motivo, per chi conosce i segreti di quei palazzi, è semplice: si sta aspettando che scadano i dodici anni durante i quali secondo la convenzione con il Comune è obbligatorio l’affitto dei locali, per vendere gli appartamenti a prezzi di mercato. Lasciarli vuoti, alla fine, conviene, perché si usurano meno.
A novembre i consiglieri Aldo Ugliano del Pd e Basilio Rizzo della Lista Fo fanno un’interrogazione che chiede conto della situazione al sindaco e all’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli. «Perché nessun controllo è stato finora? Perché il Comune non interviene per garantire il rispetto degli obblighi?», chiedono. E denunciano «l’inerzia politica»: «Perché il Comune non utilizza azioni politiche oltre che giudiziarie per chiudere definitivamente il contenzioso con la proprietà?». Domande che cadono nel vuoto, tanto che un mese fa il consigliere Ugliano torna a scrivere all’assessore Masseroli (segnalando la mancata risposta alla presidenza del Consiglio) per sottolineare come «le decine di sfratti a Milano potrebbero essere almeno ridotte se il Comune facesse valere le sue ragioni». Invece gli uffici, quando va bene, fanno semplici solleciti che restano lettera morta per la proprietà del condominio. Dove nel frattempo, come segnalano gli inquilini, gli appartamenti vuoti aumentano di mese in mese.
Trieste e Siracusa, due modi opposti di coniugare la tutela con lo sviluppo economico legato al mare. Soprattutto di intendere il rapporto tra istituzioni e associazioni ambientaliste. Per esempio Italia Nostra. Dice Alessandra Mottola Molfino, presidente nazionale dell’associazione: «Non abbiamo ideologie, non siamo contrari per principio a quegli interventi necessari per il nostro futuro. Ma ci opponiamo all’avidità e alla speculazione, al disprezzo dei vincoli. Che invece proteggono un bene collettivo, cioè il nostro patrimonio storico e paesaggistico».
Dunque, Trieste e Siracusa. A Trieste, tra pochi giorni, il complesso ottocentesco del Porto Vecchio verrà affidato a un nuovo concessionario (ancora da indicare) che non lo abbatterà, come si era immaginato fino a dieci anni fa, ma lo riqualificherà sul modello dello «Speicherstadt» di Amburgo, dove le strutture del vecchio porto sono state riutilizzate e dialogano con fantasia e creatività con interventi contemporanei di ottima qualità. Dice Antonella Caroli, ex segretario dell’autorità portuale di Trieste e ora impegnata in Italia Nostra: «Si voleva abbattere. Poi, grazie a noi, è arrivato il vincolo nel 2001. E ora gli imprenditori sono soddisfatti, ormai convinti della validità di un’operazione di riuso che porterà benefici senza distruggere».
Discorso diametralmente opposto per Siracusa, per quel secondo porto turistico che diventerà uno dei casi-simbolo della campagna 2010 di Italia Nostra sui Paesaggi Sensibili, quest’anno interamente dedicata alle coste. I fatti. A Siracusa sono a buon punto i lavori per il primo porto turistico, ratificato dal 18 gennaio 2007, proposto dalla società «Marina di Archimede Spa», progetto poi acquistato dalla Acqua Pia Antica Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone: 500 posti barca, negozi, ristorante, caffetteria, centro benessere. Italia Nostra ha avuto le sue perplessità ma ormai lo considera un dato acquisito. Ciò che invece allarma è il progetto del secondo porto turistico, estremamente a ridosso del primo, presentato nel novembre 2008 dalla società locale «Spero srl»: altri 350 posti barca, altri edifici, ulteriori 50.000 metri quadrati di interramento del mare, soprattutto un braccio particolarmente lungo proteso verso il largo.
Il progetto è ora sul tavolo del sindaco ed è sottoposto alla valutazione ambientale strategica e alla valutazione di incidenza. Il 13 luglio scadranno i termini entro i quali gli enti competenti potranno presentare osservazioni e perplessità per la valutazione ambientale, poi si passerà al gradino successivo.
Protesta Enzo Maiorca, siracusano, uomo-record dell’immersione in apnea: «Avrei da ridire anche sul primo porto ma capisco che non ci si può schierare sempre contro tutto e tutti. Invece sul secondo non se ne parla neppure. Mi pare solo sporco business. Siracusa meriterebbe maggior rispetto anche perché non è mai stata realizzata una vera campagna di esplorazione del fondo: qui, nel 412 avanti Cristo, Siracusa sconfisse Atene nella grandiosa battaglia navale. Lì sotto chissà quanti resti di navi si potrebbero trovare». Per questa ragione Alessandra Mottola Molfino ha pronto un esposto all’Unesco, visto che dal 2005 Siracusa fa parte della lista dei bei considerati Patrimonio culturale dell’umanità: «Quel secondo porto sembra fatto apposta per far attraccare le navi da crociera da centinaia di passeggeri. Un turismo mordi e fuggi che non porta ricchezza ma allontana quello pregiato».
Gli ambientalisti locali sono in fermento. Lucia Acerra, presidente di Italia Nostra-Siracusa: «L’impatto di questa seconda struttura portuale altererà irrimediabilmente l’armonica linea del bacino portuale. Ricordo che sul porto c’è il vincolo paesaggistico del 1988». Un vincolo studiato ai tempi dal funzionario della soprintendenza architetto Antonio Pavone e poi firmato dall’allora soprintendente Giuseppe Voza, creatore del museo archeologico cittadino «Paolo Orsi». Il quale assicura: «Nessuno vuole musealizzare Siracusa né bloccare uno sviluppo intelligente capace di confrontarsi col nostro retaggio culturale. Ma non siamo Singapore, non c’è bisogno di due porti turistici». Aggiunge Amedeo Tullia, anche lui archeologo: «Quell’opera altererebbe sostanzialmente l’aspetto storico del porto e lo renderebbe illeggibile. Per non dire del contraccolpo sulle correnti marine e sulla stessa pesca».
Il progetto del secondo porto ha impensierito anche i responsabili del primo del Gruppo Acqua Pia Antica Marcia, che tengono a precisare di aver «sempre manifestato la più ampia apertura sul progetto della Spero a condizione che non vengano lesi i diritti consolidati» del primo porto. Comunque le dimensioni e la collocazione del molo centrale di sopraflutto comprometterebbero l'accesso al primo porto turistico e la fruibilità dei servizi. Dice Oreste Braga, amministratore del settore portuale della Società di Caltagirone: «Abbiamo formulato alcune osservazioni alle autorità amministrative competenti e lo stesso Assessorato regionale Territorio e Ambiente ha ritenuto di dettare alcune prescrizioni la cui legittimità è stata confermata da una pronuncia cautelare del Tribunale amministrativo regionale di Catania».
Invece il sindaco Paolo Visentin, centrodestra, ribatte con decisione: «Il secondo porto turistico sta seguendo tutte le procedure ed è stato ammesso alla seconda fase delle valutazioni di legge. Navi da crociera? Italia Nostra sbaglia, quel porto ospiterà solo barche da diporto, i natanti più grandi attraccheranno al Porto Grande e non vedo alcuno scandalo, anche quel turismo serve. Capienza sovradimensionata? Il porto di Caltagirone ospiterà solo nautica di alta qualità, qui le condizioni saranno diverse». E l’impatto con la storia del porto? «Possiamo benissimo mummificare tutto. Ma a un prezzo sociale enorme. Noi dobbiamo portare turismo a Siracusa, trasformare il nostro patrimonio in occasione anche economica. Siracusa ha fame di occupazione, il porto può offrirne. Non vedo perché non si possa fare, nel pieno rispetto delle regole».
Postilla
Nel consueto stile cerchiobottista tipico del Corrierone, ed ancor più dell’articolista, la sacrosanta denuncia (ma l’ultima parola, come si noterà, è lasciata al sindaco cementificatore) del devastante progetto del secondo porto turistico a Siracusa, eclissa e anzi finisce per giustificare lo scempio che si sta per abbattere sul bacino portuale della città siciliana.
Il cosiddetto primo porto turistico in corso di costruzione ad opera della società di Francesco Bellavista Caltagirone è infatti altrettanto devastante di quello ora contestato: prevede l'interramento di un'area di grande importanza archeologica con annessa costruzione, sopra l'interramento, di alberghi del medesimo Caltagirone, oltre a dragaggi, moli ecc.
Il progetto fu approvato in spregio a vincoli e pronunciamenti (fra cui uno del consiglio regionale dei BBCC) nel silenzio quasi generale degli organi di tutela e delle associazioni ambientaliste. Il Soprintendente del Mare Sebastiano Tusa, potenziale oppositore, fu escluso illegittimamente dalla conferenza dei servizi e addirittura un provvidenziale provvedimento ad hoc tolse, per l’occasione, alla Soprintendenza del Mare, la competenza sui porti della Sicilia, per poi decadere: ma ormai il danno era fatto e la conferenza dei servizi aveva approvato il porto di Caltagirone.
L’avidità di speculatori e amministratori è però tale che i progetti sono raddoppiati, in nome del consueto paradigma, secondo il quale le risorse del nostro patrimonio culturale e paesaggistico vanno spremute a fini turistici quanto più possibile, anche se ciò, come inevitabilmente succederà anche in questo caso, ne provoca il degrado e la perdita in tempi sempre più accellerati.
La vicenda dei due porti di Siracusa, oltre a sottolineare ancora una volta l’insensatezza della frenesia cementificatoria che si sta abbattendo sulle nostre coste, evidenzia una preoccupante schizofrenia presente anche in chi dovrebbe tutelare e denunciare – senza distinzioni- chi sta deturpando, ad esclusivo scopo speculativo, uno dei porti storicamente più famosi di tutto il Mediterraneo.(m.p.g.)
Non ha avuto molto risalto sulla stampa la dichiarazione del sindaco di Arcore, Marco Rocchini di tre giorni fa. Ha affermato che visto che il suo comune –come tutti gli altri- è strozzato dal patto di stabilità e dai tagli alla finanza locale, ha dato l’assenso al cambio di destinazione d’uso a 30 ettari di terreni agricoli che ricadono nel parco del Lambro. Sopra quei terreni, l’immobiliare Idra della famiglia Berlusconi realizzerà 400 appartamenti, qualcosa come 1.200 nuove persone. Si chiamerà Milano 4, in onore e ricordo di Milano 2 e 3 dello stesso ideatore-benefattore, Silvio Berlusconi.
Facciamo un po’ di storia e di conti. Berlusconi acquista i terreni agricoli negli anni ’80 ed il loro valore di mercato all’epoca si aggira ragionevolmente intorno a 5 miliardi di lire. Con la variante che si vuole approvare si concedono 150 mila metri cubi di residenze: un valore immobiliare pari ad almeno 200 milioni di euro.
Certo ci sono dei trascurabili intoppi da superare. I terreni sono ancora classificati agricoli e occorre fare una variante “francobollo” che li renda edificabili. Che problema c’è? Le leggi ci sono e il sindaco è dello stesso partito del proprietario dei terreni, e questo aiuta. C’è poi la seccatura di dover togliere il vincolo del parco, ma anche qui non sembra ci siano ostacoli insormontabili: basta con i vincoli che bloccano lo sviluppo. Sono infatti favorevoli l’assessore all’urbanistica della provincia di Monza Antonino Brambilla, e il presidente del Parco Valle del Lambro.
Visto che l’incidenza dell’area sul costo delle abitazioni è pari al 15-20 % del totale, quei terreni pagati trent’anni fa 2,5 milioni di euro ne valgono oggi 30 – 40. Un bel colpo davvero!. Solo con la variante urbanistica si guadagnano 30 milioni. E poi dicono che il nostro presidente del Consiglio non sia bravo.
A questo punto la commedia degli inganni appare con i contorni più chiari, perché il sindaco Rocchini afferma che il comune beneficerà delle seguenti opere a totale carico del benefattore: restauro e sistemazione di villa Borromeo col suo parco, piste ciclabili, sottopassi per gli attraversamenti ferroviari, ristrutturazione della stazione ferroviaria della Buttafava, un centro per anziani e abitazioni da affittare a canoni agevolati. Il valore di queste contropartite, affermano le cronache, è pari a 20 milioni di euro, e cioè meno di quanto il privato guadagna solo con la variante, poi verrà il resto dell’affare.
Un vergognoso esempio di urbanistica contrattata e di conflitto di interessi, perché non si deve andare molto lontano per trovare chi toglie i finanziamenti ai comuni per realizzare opere pubbliche normali come la manutenzione delle stazioni o il restauro della villa Borromeo. E’ sempre lui, il presidente del Consiglio Berlusconi. Un fatto così non sarebbe accaduto in nessun paese della civile Europa: da noi si accetta ormai ogni nefandezza.
E per finire lo scandalo più grave. La recentissima proposta governativa di variazione dell’articolo 41 della nostra Costituzione contiene anche una proposta di cambiamento dell’articolo 118, quello che regolamenta l’attività urbanistica delle regioni e degli enti locali. La proposta è la seguente (comma 3): “In materia urbanistica lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge costituzionale provvedono anche ad adeguare le proprie normative in modo che le restrizioni del diritto di iniziativa economica siano limitate allo stretto necessario per salvaguardare altri valori costituzionali”.
L’Italia lasciata in mano alla più feroce speculazione edilizia, altro che libertà d’impresa. Questo è l’obiettivo del Partito delle libertà.
Scambiare una balla (di fieno) con un mattone. Primo, si prende l'ultimo polmone verde di Milano e gli si attribuisce un indice di edificabilità. Secondo, si trasferiscono in città i diritti a costruire appena creati, dando il colpo di grazia a una metropoli già soffocata. Perequazione, la chiamano, e in origine aveva un fine nobile: salvare le zone degradate e costruire altrove. Ma a Milano si sta votando un Piano di Governo del Territorio (Pgt) che, insieme con i progetti già approvati, riverserà sulla città 80 milioni di metri cubi di cemento. Case per 400 mila abitanti, quando, secondo lo stesso Comune, la popolazione da qui al 2030 aumenterà di sessantamila al massimo.
Ma ieri pomeriggio la società civile dell'ex Capitale morale non si è lasciata fiaccare dal caldo e si è ritrovata davanti a Palazzo Marino, la sede del Comune, dove si vota il nuovo strumento urbanistico. Una manifestazione con il sapore malinconico della testimonianza, perché la giunta di Letizia Moratti ha già deciso. Il Pgt è l'emblema di tante questioni irrisolte. Per dirla con Milly Moratti, consigliere comunale di opposizione, "il piano urbanistico è una prova di violenza del centrodestra che schiaccerà l'opposizione". Si va avanti come rulli compressori, il modello della "fiducia" di Montecitorio fa scuola. "Il Pgt – continua Moratti – segue un mosaico di richieste. Non dei cittadini, però, ma dei potenti". I nomi sono sulla bocca di tutti: Ligresti, con tutte le sue società in cui siede la famiglia La Russa. Poi i grandi del mattone e i nuovi principi dell'economia milanese: le cooperative, da Cl a quelle rosse.
NELLE GRANDI STORIE si parte da una vicenda minima: siamo nella periferia Sud, dove la città cede alla campagna. Qui ti ricordi che le radici di Milano non sono nelle fondamenta dei grattacieli che crescono ovunque, dal progetto City Life (doveva diventare "il Central Park di Milano" e si è trasformato in una colata) alla Porta Garibaldi. Alle sedi della nuova Regione che Formigoni vorrebbe lasciare come simbolo del suo passaggio. Milano affonda le radici nella Pianura: in piazza Duomo, come ricorda lo scrittore Luca Doninelli, "fino a pochi anni fa nelle notti d'estate arrivava il profumo del grano falciato". Oggi c'è solo puzza di smog, il Pm10 che ti avvelena.
Alle porte di Milano c'è la Cascina del Campazzo, oggetto di contesa tra due uomini: Andrea e Salvatore. Andrea, 58 anni, è il signor Falappi che da decenni con la sua famiglia coltiva la terra. Salvatore è Ligresti, 78 anni, l'uomo che a Milano ha costruito più di chiunque altro e oggi è proprietario della cascina. Ecco il paradosso: Ligresti è forse il più grande proprietario terriero del milanese. Verrebbe da gridare al miracolo, alla conversione sulla via di Binasco (comune dell'hinterland): dal mattone all'agricoltura. Non è così. Basta guardare le mappe: la provincia di Milano è un'enorme macchia grigia (in Lombardia il cemento si mangia ogni giorno dodici ettari di vegetazione), ma tra Milano e Pavia è sopravvissuto un polmone verde di 46.300 ettari. Eccolo, il Parco Sud. Così da anni i grandi immobiliaristi, Ligresti in testa, ci hanno puntato gli occhi sopra. Oggi forse la grande occasione è arrivata: il Pgt. E il paradosso, come racconta l'ambientalista Michele Sacerdoti, è che la manovra rischia di passare come un salvataggio. "La parolina magica – spiega Sacerdoti – è 'perequazione'. Si prende l'area vincolata del Parco, le si attribuiscono indici di edificabilità. Poi si proclama di voler salvare il verde trasferendo il diritto a costruire nella città che già scoppia". Basilio Rizzo, consigliere comunale nella lista per Dario Fo, sorride amaro: "In Comune dicono che si faranno ‘atterrare’ i nuovi volumi in città. Un capolavoro: Ligresti e colleghi potranno costruire milioni di metri cubi”.
MA È SOLO L'INIZIO: “Qui non si tratta soltanto di un'operazione immobiliare, ma anche finanziaria, che consentirà ai costruttori in difficoltà di rimettere in piedi i bilanci”, racconta Milly Moratti. Aggiunge: “I diritti di edificazione potranno infatti iscriversi in una ‘borsa’ apposita”. Si potrà costruire altrove oppure rivendere. Indifferente a chi, non importa se da anni l'Antimafia lancia allarmi.
Poi c'è la fetta per le cooperative. È certo un caso che l'assessore all'Urbanistica del Comune, Carlo Masseroli, sia un ciellino, e dallo stesso ambiente provenisse il predecessore, Maurizio Lupi (oggi vicepresidente della Camera). Ma che vantaggio avranno le cooperative? Sacerdoti non ha dubbi: "Si dice che il piano è utile anche per i meno abbienti, che il 35 per cento delle costruzioni sono destinate al social housing". E non è vero? "Solo il 5 per cento diventeranno vere case popolari. Un buon 20 per cento sarà affidato alle cooperative – bianche e rosse – che magari venderanno a prezzi ridotti, ma comunque a famiglie con un reddito fino a ottantamila euro l'anno. Non è edilizia popolare". Masseroli promette 3 milioni di metri quadrati di verde... "Basteranno appena per i nuovi abitanti, la quota pro capite resta bassa".
Non è finita. Il grande regalo alle cooperative è nel "Piano dei servizi", scuole, strutture sanitarie, tanto per dire. "Il documento si apre con una citazione di don Giussani", sostiene Sacerdoti. Ma in concreto che cosa succederà? "Il Comune rinuncia ai nuovi servizi che passeranno ai privati". Alle cooperative. Il nuovo Pgt andrebbe letto riga per riga. Così scopri che il Comune lascerà quasi carta bianca ai privati: “Spariranno le destinazioni d'uso”, conclude Sacerdoti, “E si potranno elevare i palazzi: addio all'antico divieto di costruire case più alte della larghezza della strada. No, gli edifici potranno alzarsi al livello del più alto nelle vicinanze”.
ORMAI GLI ALBERI a Milano non sono più di alti 30 piani, come diceva Celentano. Ne hanno 80. Intorno alla Madonnina "atterrerà" l'equivalente di 800 Pirelloni. Almeno, però, quello lo aveva disegnato Giò Ponti. Adesso ci pensa Arata Isozaki, che per City Life ha rifilato alla città un progetto già disegnato per Tokyo. Un buon simbolo della Milano di oggi, un grattacielo "usato".
Caro direttore, nel Comune di Milano si nasconde un incendiario molto più pericoloso di quel Nerone dell´Impero romano: si tratta della giunta terroristica milanese che, essendosi emancipata nel male, non usa il fuoco per distruggere. Le fiamme, pur se devastanti, una volta spente si estinguono senza lasciare traccia sull´autore dello scempio. E ciò risulterebbe deprimente per gli abitanti dell´inferno comunale che, non potendo dire quello scempio l´ho fatto io, hanno ben pensato di firmare i nuovi sfaceli con una colata di cemento che non avrà precedenti nella storia.
Pare che Milano abbia perso più di 700.000 abitanti negli ultimi anni (perché le condizioni di vita sono troppo costose, non adatte alle coppie giovani con bambini che crescono asmatici e allergici in una città inquinata oltre ogni norma, poverissima di verde e quel poco di bellezza rimasta ha già un piede nella fossa), perciò non si capisce la velleità del Comune di Milano (sindaco, giunta e consiglieri di maggioranza) di preventivarne il ritorno di circa mezzo milione, se non per soddisfare i bisogni degli investitori immobiliari, considerando inoltre che il tipo di costruzioni non sono alla portata della maggioranza delle persone che vivono di stipendio.
È così che coi lineamenti di Ligresti, la giunta ci mostra il suo nuovo spaventoso sembiante: con la scusa di salvare l´economia, il Comune ha deciso di rendere edificabile gran parte del Parco Sud. Ma non basta. L´inghippo è molto più diabolico. L´edificabilità del Parco Sud sarà virtuale. Ma cosa significa? Milano è stata così assassinata che forse sarebbe indecente e vergognoso da parte del Comune rendere edificabile ciò che, per gli spazi ormai ridotti all´impossibile, non potrebbe essere edificabile. Per cui urge una legge per continuare a distruggere. Ecco perché si è deciso di rendere edificabili milioni di metri cubi dividendoli in tanti mattoncini pari ad occupare gran parte del Parco Sud e metterli in banca come dei lingotti d´oro. Che a piacere se ne possono prelevare tanti quanti ne servono per la costruzione di un nuovo mostro, non necessariamente al Parco Sud, anche in Piazza del Duomo, visto che la legge lo permetterebbe.
L´ambigua banda comunale si difende col dire che il Parco Sud sarà sì edificabile ma rimarrà agricolo. Ma allora perché renderlo edificabile vi domanderete voi milanesi. Perché quando spunterà il nuovo "albero di 200 piani" in Piazza Castello e qualcuno dovesse reclamare, il Comune gli risponderà: «C´è un decreto che dice che noi possiamo lapidare Milano fino all´ultimo metro di edificabilità. E, siccome la cubatura a nostra disposizione, è grande come il Parco Sud, noi lapidiamo».
Cappellacci sulla graticola
Manovra, cancellata la Conservatoria delle coste
Dopo la batosta elettorale, i franchi tiratori. La giunta Cappellacci e il centrodestra sono sull’orlo di una crisi, almeno di nervi. Il terremoto della bocciatura del Piano casa-bis anticiperà la verifica politica e forse il rimpasto. Nuove tensioni Cappellacci-Asunis. L’opposizione tuona: «Se non siete in grado di governare è meglio che andiate a casa». La giunta reagisce varando la manovra correttiva e tagliando quattro Agenzie, tra cui la Conservatoria delle coste.
Senza cemento la giunta è a rischio
Dopo la batosta elettorale, i franchi tiratori. La giunta Cappellacci e il centrodestra sono sull’orlo di una crisi, almeno di nervi. Il terremoto provocato mercoledì dalla bocciatura del Piano casa-bis in Consiglio regionale ha fatto salire ulteriormente la tensione politica: per ironia della sorte il cemento della maggioranza ha ceduto proprio sulla cementificazione. Il caso ha provocato anche un nuovo scontro a distanza tra il presidente e l’assessore Gabriele Asunis, tanto che l’opposizione di centrosinistra, con il capogruppo del Pd Mario Bruno in prima fila, ha tuonato: «Se non siete in grado di governare è meglio trarne subito le conseguenze e andare a casa».
La maggioranza caduta su un provvedimento considerato strategico è ormai a un bivio: rilancio o crisi politica vera e irreversibile ad appena un anno e mezzo dalle elezioni regionali. Il pericolo lo ha avvertito con lucidità il decano dei consiglieri, Mario Floris, leader dell’Uds: «Sento che qualcuno pensa di risolvere tutto con un rimpasto di giunta, io dico che è l’ultima cosa a cui pensare: prima vanno affrontati i problemi politici e vanno aggiornati il programma e le priorità. Non bisogna fare finta di niente, occorre forse rivedere anche gli assetti e va costruito un rapporto con la minoranza sulla crisi economica e sulle riforme». Già martedì nel vertice di maggioranza, Floris aveva posto l’esigenza il tema di una «verifica vera e profonda».
Ugo Cappellacci, che sta cercando di non finire sulla graticola, è apparso in sintonia con la linea di Floris. Senza citare l’incidente in Consiglio, il presidente, nell’annunciare la manovra correttiva varata ieri sera dalla giunta, ha dichiarato che si «apre una stagione di grande responsabilità per l’intera classe dirigente sarda per affrontare questa stagione difficile con comportamenti coerenti e il massimo di condivisione generale». Il governatore sembra annunciare una svolta e ha così segnalato nuovamente una presa di distanze dall’assessore all’Urbanistica, Gabriele Asunis, il presentatore del testo bocciato dal Consiglio. Ieri mattina Asunis ha cercato di minimizzare l’accaduto: la comparsa dei franchi tiratori non è contro la giunta, ha dichiarato, ma «fa emergere i malumori della coalizione» perché «siamo in un momento politico di grande fibrillazione» con «lo stato di malessere che coinvolge alcune forze politiche».
Il coordinatore e il capogruppo del Pdl, Mariano Delogu e Mario Diana, hanno detto che una riunione della maggioranza «è indispensabile» per «avviare un confronto che valga ad evitare il ripetersi di situazioni analoghe che potrebbero condizionare in maniera del tutto negativa l’azione della giunta e del Consiglio». E hanno detto stop a «sgradevoli diatribe», occorre «un rilancio dell’azione politica dell’esecutivo e della maggioranza, con iun’univoca assunzione di responsabilità da parte di tutti».
D’accordo i sardisti, che con il capogruppo Giacomo Sanna hanno respinto il sospetto di aver votato contro la giunta: «I numeri sono ben altri». Quanto al chiarimento: «Poteva già partire martedì e in ogni caso si deve concludere entro luglio, anche con la verifica di giunta. Nessuno pensi alle vacanze».
Si è detto preoccupato anche uno dei leader dei dissidenti del Pdl, il finiano Ignazio Artizzu: «Il Pdl ha tenuto, è stato un episodio grave, il Piano casa andava completato, era un impegno con gli elettori, sono messaggi politici che fanno male alla coalizione».
In mattinata i leader consiliari del centrosinistra hanno tenuto una conferenza stampa per denunciare «il fallimento della giunta e della maggioranza di centrodestra». Secondo Mario Bruno (Pd), Carlo Sechi (Sel), Adriano Salis (Idv) e Chicco Porcu (Pd) l’opposizione è disponibile a confronti serrati sui temi vitali dell’isola, ma il centrodestra «ossessionato dal cemento, è assolutamente inadeguato».
Si voleva recuperare Costa Turchese. E non solo
Il provvedimento poteva salvare tra i tanti altri i progetti in posti di costa pregiata a Teulada, Villasimius e S.Caterina di Pittinurri
Il progetto berlusconiano di Costa Turchese, vietato dal Ppr della gestione di Renato Soru, sarebbe diventato realtà se la legge-bis del Piano casa sardo fosse stata approvata. Ma non era certo l’unica lottizzazione che la giunta, non trovando però il pieno consenso della maggioranza, voleva recuperare. Le nuove norme, eliminando alcuni vincoli, avrebbero consentito di sbloccare, ad esempio, il villaggio dei Benettom sulla Costa di Teulada, le “micro” lottizzazioni a Santa Caterina di Pittinurri e il villaggio di Cala Giungo, a Villasimius, dell’editore-costruttore Sergio Zuncheddu. Il quale, secondo quanto dichiarato dagli esponenti dell’opposizione, sperava anche in una modifica delle procedure del Piano casa per gli ampliamenti: nuove procedure di cui avrebbe avuto bisogno un suo mega-progetto cagliaritano a Santa Gilla.
Il piatto grosso delle lottizzazioni da sbloccare era servito da uno dei numerosi commi del disegno di legge dell’assessore Gabriele Asunis, stoppato mercoledì dal Consiglio regionale con una quindicina di franchi tiratori. Il Ppr aveva previsto che non potessero essere realizzate le lottizzazioni convenzionate ma senza l’avvio delle opere di urbanizzazione. Il ddl del Piano casa-bis faceva cadere, tra gli altri, questo vincolo. L’ex assessore Gian Valerio Sanna (Pd) ha detto che «è stata bocciata una politica arrogante e clientelare che ha evitato il confronto con l’opposizione e di prendere in giro settori della maggioranza, mentre per uscire dalla crisi servono franchezza e dialogo».
Manovra, tagliata la Conservatoria delle coste
Cancellate altre 3 Agenzie, l’esecutivo vara le correzioni al bilancio
Taglio della spesa regionale per 380 milioni, eliminazione di una parte dei residui passivi, cancellazione della Conservatoria delle coste e di altre 3 Agenzie (Entrate, Sardegna Promozione e Osservatorio Economico). Sono i principali contenuti della manovra correttiva approvata ieri sera dalla giunta Cappellacci. Che ha tenuto a sottolineare: «Abbiamo confermato le scelte strategiche poste alla base dell’azione di governo per lo sviluppo, le infrastruttrure, il contrasto alla povertà, le politiche per il lavoro».
Rispetto alle anticipazioni dei giorni scorsi la sorpresa è stata la cancellazione delle quattro agenzie, tre delle quali (Conservatoria, Sardegna Promozione e Agenzia delle Entrate) erano state introdotte dalla giunta di Renato Soru. Secondo quanto è stato chiarito ieri sera dalla stessa giunta, loe funzioni delle quattro agenzie saranno assegnati a servizi della presidenza o di alcuni assessorati.
Come sarà accolta la manovra? lo si vedrà in Consiglio regionale non appena l’assessore Giorgio La Spisa presenterà gli emendamenti al collegato alla Finanziaria. «La manovra - ha spiegato Cappellacci lanciando un chiaro messaggio politico dopo la comparsa dei franchi tiratori in Consiglio - introduce azioni strutturali finalizzate a una maggiore razionalizzazione della spesa, privilegiando lo sviluppo e il mantenimento delle azioni di governo volte a contrastare l’emergenza economico-sociale. Quella che si apre è una stagione di grande responsabilità: con la proposta che presentiamo al Consiglio vogliamo testimoniare dell’attenzione non solo per le fasce più deboli ma anche per tutte le azioni richieste da una visione strategica dello sviluppo; la responsabilità è quella che deve assumere l’intera classe dirigente sarda per affrontare questa stagione difficile con comportamenti coerenti e il massimo di condivisione generale».
«Il bilancio di previsione per il 2010 - ha detto La Spisa - è stato elaborato nel 2009 sulla base di previsioni di entrate derivanti dalle quote di compartecipazione al gettito fiscale che oggi devono tener conto della crisi economica: il calo del Pil produce la diminuzione delle riscossioni di imposte e conseguentemente delle spettanze della Regione. La manovra approvata dalla giunta si rende necessaria nel 2010 proprio perché la nostra è una Regione a statuto speciale che ha entrate originarie e non derivate, come le altre Regioni. A fronte delle riduzioni di entrate occorre puntare al contenimento della spesa dell’anno in corso e quella per il 2011 verrà raggiunta attraverso cancellazioni di alcune spese di minore importanza o col differimento delle stesse a esercizi successivi».
Postilla
La Conservatoria delle coste, insieme al Piano paesaggistico regionale, ha costituito il più prezioso contributo della giunta di Renato Soru alla difesa e alla messa in valore (il termine “valorizzazione” non piace né a eddyburg né a Soru) dei residui paesaggi della costa della Sardegna. Essa è stata costituita sul modello inglese del National Trust e quello francese del Conservatoire du littoral ; acquisisce beni immobili mediante trasferimento dalle proprietà pubbliche, donazioni da privati e – dove ve n’è l’opportunità e le risorse – acquisizione diretta. Si occupa poi della gestione sociale dei beni acquisiti, per garantirne, insieme alla più rigorosa tutela, anche la fruizione culturale.
Decidere la chiusura della Conservatoria delle coste rivela la meschinità politica e culturale dell’attuale giunta sarda, mossa da due obiettivi concorrenti: fare un dispetto a chi ha promosso la bocciatura il loro “piano casa” e ha difesso il piano paesaggistico, e contemporaneamente cancellare una istituzione che, attuando modo intelligente e moderno la protezione del bene comune costituito dal paesaggio, ostacola il suo saccheggio da parte dei soliti padroni. Nel caso specifico, questi ultimi sono ben rappresentati dai titolari delle lottizzazioni interrotte dal piano paesaggistico (che il “Piano casa” avrebbe voluto ripristinare), di cui parlano le cronache qui sopra.
A questa vicenda bisogna che la Sardegna, l’Italia, l’Europa e tutto il mondo civile reagiscano esprimendo la più radicale critica allo spegnimento della Conservatoria delle coste.
Qualche articolo di stampa ha commentato in maniera un po’ scontata e convenzionale che il PGT in discussione a Milano ne segnerà il destino urbanistico per i prossimi venti-trent’anni: i giornali non si sono resi conto, tuttavia, di accreditare con ciò una verità paradossale. Infatti, con una scelta per vero discutibile e assai probabilmente illegittima, la legge urbanistica regionale del 2005 ha deciso di utilizzare in Lombardia solo una pianificazione urbanistica di durata quinquennale, senza più alcun orizzonte strategico di medio-lungo periodo, e quindi le p
revisioni del PGT di Milano cesseranno di avere effetto verso il 2016. Ciò nonostante le quantità edificatorie messe in gioco corrispondono effettivamente ad un ritmo di crescita che è dell’ordine di tre-quattro volte quello ritenuto sostenibile da realtà socio-economiche ben più solide e strutturate di quella italiana, anche se per qualche verso comparabili con quella lombarda, come quella della Repubblica Federale Tedesca, che ha imposto alle amministrazioni locali un consumo di suolo massimo di 1,34 mq/abitante/anno (cioè 30 ettari al giorno per l’intera RFT). Se applicassimo quel parametro alla situazione milanese il PGT dovrebbe consentire la nuova urbanizzazione di 8-9 milioni di mq, mentre ne prevede invece quasi 32 milioni di metri quadri. Vale a dire, appunto, un consumo urbanizzativo di suolo che la Germania riterrebbe sostenibile in un orizzonte temporale di venti-venticinque anni. Su quelle aree alla densità geografico-urbanizzativa attualmente in atto a Milano (comprendendo cioè il consumo di suolo per reti infrastrutturali e attrezzature generali), che è di oltre 90 mq/abitante e che, come constatiamo quotidianamente, produce una qualità di vita piuttosto congestionata, si può stimare una nuova quantità edificatoria dai 10 ai 17 milioni di metri quadri di superficie lorda abitabile (sia residenziale che terziaria), a seconda dell’indice di affollamento previsto (1 utente ogni 30 o 50 mq abitabili). Gli stessi dati del PGT (in genere piuttosto propensi alla sottovalutazione) stimano una quantità abitabile di nuova realizzazione di 12-13,5 milioni di metri quadri. E’ assai interessante rilevare, inoltre, che l’ulteriore residua superficie di suolo ancora urbanizzabile dopo quella messa in gioco dal PGT è di altri 8 milioni di metri quadri: cioè, dopo questo PGT ci resta nuovo suolo urbanizzabile solo per un altro PGT, ma se ci acconciamo a comportarci come la prudente Germania.
A queste quantità edificatorie vanno aggiunte le nuove edificazioni negli ambiti già urbanizzati che, come dimostrano alcune simulazioni recentemente illustrate all’Ordine degli Architetti di Milano, con densità edificatorie superiori ai 7 mc/mq, alcuni stimano possano produrre altri 12 milioni di metri quadri edificatori abitabili. E’ assai difficile credere che tutte queste quantità possano davvero realizzarsi nel prossimo quinquennio, anche in considerazione delle iniziative immobiliari già in atto e della difficile situazione economico-finanziaria. In realtà ciò che il PGT prefigura è una vasta prateria di iniziative immobiliari nella quale la finanza possa scorrazzare acquisendo diritti edificatori virtuali (dei veri e propri futures speculativi, cui possono accedere solo coloro che hanno una dimensione economica in grado di attendere nel medio-lungo periodo la ripresa dei mercati), e che con il meccanismo dei cosiddetti scambi perequativi non si sa dove, come e quando si consolideranno in forme insediative. Ma al Comune questo sembra non importare gran che: l’importante è far girare il business.
In fondo è quello che già era accaduto con il sovradimensionamento dei PRG negli anni Cinquanta-Sessanta, e per alcuni la nostalgia sembra davvero irrefrenabile, se si è avuto il coraggio di rievocare, rivalutandolo, il cosiddetto “rito ambrosiano”, tempo addietro simbolo di pratiche consociative deteriori tra amministratori pubblici e interessi speculativi. Basti dire che per garantire l’attuale livello della rendita fondiaria (900-1.200 Euro/mq abitativo realizzabile) basterebbe un indice edificatorio di 0,40 mq/mq ad uso privato, mentre il PGT promuove senza alcuna contropartita usi edificatori privati di 0,65 mq/mq, cui si aggiungono le quantità edificatorie per l’edilizia sociale e per la premialità ambientale, sino a spingere la densità edificatoria a superare 1 mq/mq. Nei casi dei grandi operatori pubblici di trasformazioni urbane (gli ex scali ferroviari, le ex caserme, ecc.), bisognerebbe perseguire negli accordi di programma un meccanismo di alienazione dei patrimoni fondiari al ribasso sulla quota di edificazione privata che stabilizza la rendita attuale, anziché al rialzo sul suo valore. Ma è il Comune stesso, invece, ad incentivarne l’omologazione al comportamento degli speculatori immobiliari nella ricerca della massimizzazione delle rendite.
Quella che domina è la legge della prateria: chi è più rapido ad impossessarsene è quello che detta la legge. Come nei peggiori western, la banda degli allevatori (di rendite) spadroneggia sui cittadini che non sanno più a chi rivolgersi perché anche lo sceriffo fa finta di non vedere, quando non è della congrega o sul libro paga dei potenti. E’ quello che sta accadendo attorno alle aree di Expo, dove gli appetiti speculativi che aleggiavano nella contesa tra Fondazione Fiera/Cabassi e SOGE attorno all’agognato indice edificatorio di 0,65 mq/mq (il che vorrebbe dire ottenere una rendita fondiaria di 600-700 milioni di Euro da un’area acquisita a prezzi agricoli e oggi già rivalutata a 200 milioni), rispuntano in capo alla futura Newco regionale.
Per quanto grande possa essere il potere di convincimento/condizionamento dell’istituzione Regione, anche in caso di un Accordo di programma in vista dell’evento Expo 2015, la decisione sull’uso finale delle aree resta in capo al Comune di Milano, che dovrà esprimersi al riguardo già in occasione del PGT. Ecco un banco di prova concreto per verificare, al di là di divisioni ideologiche e schieramenti strumentali, dove risieda la volontà reale delle forze politiche e dei programmi amministrativi di farsi difensori civici dell’interesse collettivo della città.
Infatti, se non si vuole ridurre la discussione sull’assetto urbano che si vuol ottenere a mero pettegolezzo sulle personali preferenze estetiche di questo o quel pubblico amministratore, di questo o di quell’architetto di grido, occorre avere il coraggio di rivendicare alle scelte dell’amministrazione pubblica la responsabilità che una collettività si assume nei confronti della conformazione urbana di cui intende dotarsi, e che non può essere appannaggio delle preferenze e delle convenienze della proprietà immobiliare o di decisioni burocratiche sulla corrispondenza al valore economico dovuto, sullo sgravio degli uffici tecnici da compiti esecutivi cui sarebbero impari, sulle garanzie “chiavi in mano”.
Un tempo la sinistra vedeva nel contenimento della rendita fondiaria non solo la possibilità di destinare nuove risorse ad usi più produttivi e socialmente più utili, ma anche di rivendicare una democrazia nelle decisioni su quel bene primariamente pubblico e collettivo che è l’uso della città, del territorio, dell’ambiente. Oggi, in questa frenesia di privatismo che sembra coinvolgere in consiglio comunale sia la maggioranza che gran parte dell’opposizione, nemmeno le idee sono più di libera disponibilità, come accadrebbe in una pianificazione promossa da proposte dall’Ente pubblico. Esse, invece, in questo modo appartengono privatamente a qualcuno. Il Comune e i cittadini sono, cioè, liberi di discutere solo le impostazioni progettuali e insediative dell’acquirente con cui il proprietario delle aree ha stretto un contratto, di chi – col più caro prezzo pagato – si è comprato anche il diritto di essere padrone delle idee della città e suo interlocutore unico.
L’associazione “Vivi e progetta un’altra Milano” che già da tempo si è opposta al “banco di prova” di questo modo di concepire la città, cioè il progetto Citylife sull’area dell’ex Fiera di Milano, ha promosso un appello perché l’Amministrazione comunale indirizzi le proprie scelte verso una concezione civile e ragionevole dell’assetto urbano cui ha corrisposto una vasta adesione non solo da parte degli addetti ai lavori (urbanisti e architetti, tra cui Gregotti e Gae Aulenti), ma anche tra gli esponenti di altri settori della cultura (scrittori, poeti, editori, avvocati, scienziati di vasta di fama al più alto livello, quali l’Accademia dei Lincei), preoccupati degli effetti disastrosi che altrimenti si riverserebbero sulla città.
Di fronte a questa vasta mobilitazione, che avrà una propria pubblica visibilità lunedì 5 alle 18 davanti a di Palazzo Marino dove sarà in riunione il Consiglio comunale, suonano quanto mai ridicole le imprudenti affermazioni dell’Assessore all’urbanistica Masseroli, secondo il quale “il Consiglio comunale è anni-luce più avanti di questi intellettuali retrò”. Quanti vogliano unire la propria voce all’appello possono inviare il proprio nominativo e qualifica a
mastro.donato.rolando@tiscali.it
Prima o poi si arriva sempre a una resa dei conti nella quale i fatti, le scelte e i comportamenti superano il fragile alibi delle parole e disvelano la vera natura delle cose. È così è stato anche per la giunta guidata da Ugo Cappellacci che, pur poggiando su piedi d’argilla, non ha mai saputo nascondere un cuore duro di cemento. In un singolare contrappasso, è così accaduto che, proprio in questi giorni, si sono concentrati eventi che hanno fatto affiorare crudamente la reale sostanza politica di questo esecutivo: l’offensiva (fallita) guidata dall’assessore Asunis su un “piano-casa 2” che creava percorsi agevolati per robusti investimenti immobiliari e la sforbiciata per “tagliare” ciò che viene ritenuto superfluo e far così quadrare i conti della Regione. Ebbene, in questo dimagrimento reso necessario per recuperare 380 milioni di euro, è stata cancellata anche la Conservatoria delle coste. Cioé quell’agenzia, nata dopo una lunga gestazione, che è stata considerata a livello internazionale come un gioiello, come l’espressione istituzionale di una filosofia politica che pone l’ambiente tra i valori primari di una cultura comunitaria.
E così, in una riunione di giunta, sono stati azzerati anni di lavoro, di riflessione e di progresso civile. È vero che la Conservatoria ha sempre avuto una vita difficile: è nata in un clima di diffidenza, se non proprio di ostilità, e fortissime sono state le resistenze che le hanno impedito di diventare adulta. Lo stesso ex governatore Renato Soru, che pure l’aveva pensata imitando l’esperienza inglese del National Trust e soprattutto quella francese del Conservatoire du littoral, si era dovuto muovere in un clima vischioso di tensioni nascoste.
Impossibile ora, in questi primi giorni d’estate, non declinare l’offensiva del “piano casa 2” con la cancellazione della Conservatoria delle coste. È il vero volto di una politica che ha selezionato molto chiaramente le sue priorità, ma ha soprattutto mostrato il suo vero Dna politico. E nella reazione inattesa del Consiglio regionale non è forse stato secondario il sospetto denunciato l’altro ieri dall’ex assessore Gian Valerio Sanna: il “piano casa 2” avrebbe aperto un’autostrada a operazioni come quella di Costa Turchese (targata Berlusconi) o di Teulada (Benetton e altri). Il sisma all’interno della stessa maggioranza è quindi intimamente politico. La cancellazione della Conservatoria delle coste è esattamente il rovescio del problema del “piano casa 2”. Proprio perché la Conservatoria è esattamente la negazione del dilagare del cemento sui litorali sardi. Ne consegue una valutazione forse un po’ velenosa, ma sicuramente fondata. E cioé che l’agenzia regionale, che doveva progressivamente creare lungo le coste una sorta di parco naturale asimmetrico e fruibile in un intelligente equilibrio tra tutela e sfruttamento dolce dell’ambiente, avrebbe potuto rappresentare un ostacolo, una fastidiosa complicazione per lo sviluppo di strategie edificatorie. Per questo era meglio liquidarla alla prima occasione. Tutto questo mentre nella vicina Corsica la tendenza è diametralmente contraria: il centrodestra, da decenni al potere, è stato clamorosamente spazzato via nei mesi scorsi dopo aver cercato di imporre il Padduc, una legislazione derogatoria che, in nome dello sviluppo economico, avrebbe consentito la cementificazione di tratti di costa. E dire che l’operazione era sponsorizzata dal presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy in prima persona. Non basta, i tribunali amministrativi francesi stanno bocciando tutti i piani urbanistici che cercavano di “bucare” la severa Loi littoral. È accaduto nei giorni scorsi a Pianottoli-Caldarello e a Bonifacio.
Ora, dunque, la Conservatoria delle coste viene cancellata. Senza uno straccio di dibattito, senza un minimo di confronto. Un atto politico molto eloquente.
E intanto fanno sentire la loro voce i collaboratori della Conservatoria. «Noi - scrivono in una lettera aperta - non abbiamo alcuna intenzione di rinunciare a quest’opportunità lavorativa e vogliamo realizzare, con i fatti, un’idea concreta di sviluppo nella ferma convinzione che rappresenti l’unica strategia possibile per la Sardegna». «Conservare il patrimonio costiero della Sardegna - dicono ancora - vuol dire seguire una scelta strategica capace di riattivare realtà fortemente compromesse dalla crisi che stiamo vivendo, attraverso un investimento a lungo termine che mantenga e valorizzi beni ambientali, storico-culturali e umani».
LETTERA APERTA PER LE COSTE DELLA SARDEGNA
Siamo i collaboratori dell’Agenzia Conservatoria delle Coste della Regione Sardegna. Siamo ingegneri, architetti, geologi, progettisti europei, biologi marini, naturalisti, esperti in turismo e comunicazione.
Solo due anni fa frequentavamo master e dottorati in tutta Europa, facevamo le nostre esperienze internazionali con un’idea in testa: quella di poter tornare in Sardegna per mettere a disposizione le nostre competenze e applicarle nella nostra terra.
Ci è stata data la possibilità di farlo attraverso il programma Master and Back, uno strumento messo a disposizione dalla Regione Sardegna a favore dei giovani sardi altamente specializzati, per evitare la dispersione di risorse umane e contenere la disgregazione sociale in atto sulla nostra Isola.
Abbiamo scelto di mettere la nostra professionalità a disposizione della Conservatoria delle Coste, accettando un contratto da precari, rinunciando a lavori da professionisti meglio retribuiti. Lo abbiamo fatto perché crediamo profondamente nell’idea di sviluppo che la Conservatoria oggi rappresenta, basato sulla gestione integrata delle aree costiere, sul riuso dei beni in stato di abbandono, sulla valorizzazione delle risorse locali, sul coordinamento con le principali iniziative in campo mediterraneo ed internazionale. In una parola: su un’idea di sviluppo sostenibile. Lo stesso sviluppo sostenibile di cui il più delle volte non si comprende il reale significato.
Oggi apprendiamo dalla stampa che l’Agenzia con la quale collaboriamo, per decisione della Giunta, verrà “cancellata”. La Conservatoria viene quindi considerata un ente superfluo da “tagliare” per favorire “scelte strategiche poste alla base dell’azione di governo per lo sviluppo, le infrastrutture, il contrasto alla povertà, le politiche per il lavoro”. La realtà è esattamente opposta.
Conservare il patrimonio costiero della Sardegna vuol dire seguire una scelta strategica capace di riattivare realtà fortemente compromesse dalla profonda crisi che stiamo vivendo, attraverso un investimento a lungo termine che mantenga e valorizzi i beni ambientali, storico-culturali, e umani che rappresentano i fattori produttivi primari della nostra economia.
Per questo è importante la creazione di posti di lavoro nel Sulcis legati alla realizzazione del primo ostello ecosostenibile della Sardegna, la cui riqualificazione è affidata ad imprese sarde e per la cui gestione si stanno tenendo i corsi per formare i giovani del territorio attraverso tirocini di alta formazione all’estero e renderli competitivi con il mercato europeo.
Non è di secondaria importanza il programma di sviluppo per l’Isola dell’Asinara, nella quale l’Agenzia sta realizzando un polo sperimentale sul turismo ad “impatto zero”, attraverso il recupero dei beni dismessi e la creazione di centri di turismo alternativo. Nel borgo di Cala d’Oliva, entro quest’autunno partiranno i bandi pubblici per la realizzazione di un ittiturismo, di un albergo diffuso e di un ristorante a filiera corta basato sull’offerta e sulla promozione di prodotti locali.
Portiamo avanti diverse azioni di educazione e di sensibilizzazione ambientale con scuole e comuni per la fruizione responsabile delle nostre spiagge affinché i sardi conoscano, apprezzino e si riapproprino del loro territorio.La manovra proposta dalla Giunta, finalizzata ad una “maggiore razionalizzazione della spesa” limiterà in realtà l’accesso diretto a fondi nazionali ed europei che hanno permesso di attivare il recupero delle torri costiere del patrimonio regionale, il progetto FOR ACCESS per la fruibilità delle fortificazioni costiere, il progetto PERLA per la sicurezza della balneazione e l’accessibilità alle spiagge, e il progetto GIRA per rilanciare l’economia dell’astice a Castelsardo, del polpo a San Vero Milis, e del riccio di mare a Buggerru ed Arbus rivolto a tutti gli operatori della pesca di questi territori costieri.
Le funzioni dell’Agenzia “saranno assegnate a servizi della presidenza o di alcuni assessorati”. Questa scelta è, a nostro avviso, un mezzo attraverso il quale si interromperebbero inevitabilmente le dinamiche che hanno permesso alla Conservatoria di diventare un esempio di efficienza e produttività, una fucina di idee che coniugano la tutela ambientale e lo sviluppo economico riconosciuta ed apprezzata a livello nazionale ed internazionale.
Noi, collaboratori dell’Agenzia Conservatoria delle Coste, non abbiamo nessuna intenzione di rinunciare a questa opportunità lavorativa, e vogliamo realizzare, con i fatti, un’idea concreta di sviluppo nella ferma convinzione che rappresenti l’unica strategia possibile per la Sardegna.
Claudia Dessy (geologo), Nicola Lecca (architetto), Matteo Lecis Cocco-Ortu (ingegnere), Elisa Mura (pianificatore), Noemi Murgia (turismo sostenibile), Antonello Naseddu (architetto paesaggista), Barbara Pintus (progettista europeo), Manuela Puddu (ricercatore), Tiziana Saba (biologo marino), Gabriele Sanna (naturalista), Maria Pina Usai (architetto).
Sulle dichiarazioni rilasciate dal presidente della Provincia, per ribadire che il nuovo Pgt comunale tutelerà in ogni modo il polmone verde più importante del milanese. “Serve una visione europea”
Corsico (2 luglio 2010) - “A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina”: anche la sindaca di Corsico Maria Ferrucci usa una metafora, come ha fatto il presidente della Provincia Guido Podestà che l'altro giorno, di fronte all'assemblea di Assimpredil (associazione imprenditori edili), ha detto che il Parco sud non è un totem.
“Non sarà un totem – dice l'assessore all'Urbanistica, Emilio Guastamacchia – ma è sicuramente un bene comune e per questo va tutelato in ogni modo. Le dichiarazioni del presidente Podestà, che è anche presidente del consiglio direttivo del Parco sud, sul futuro dell'area verde destano preoccupazione a noi amministratori locali e lasciano aperti molti interrogativi”.
Ci sono troppi “appetiti” nell'area sud milanese, dopo che altre zone della cintura cittadina sono state già oggetto, negli ultimi decenni, di numerosi interventi edificatori.
“Gli adeguamenti di cui parla chi guida la Giunta di palazzo Isimbardi – prosegue Guastamacchia – potrebbero portare a ulteriori possibilità di edificazione, forse anche di ulteriore cementificazione in aree agricole oggi tutelate”.
Nessun arroccamento su posizioni anacronistiche o atteggiamenti ideologici, ma c'è la volontà di fare uno sforzo congiunto per assicurare un patrimonio di estrema importanza dal punto di vista ambientale. Di cui la città di Corsico è direttamente interessata.
“Nell'ambito della discussione sulle linee guida del nuovo Pgt – spiega l'assessore Guastamacchia - stiamo valutando come salvaguardare l’unica area agricola oggi presente in città, nei pressi della Cascina Guardia di Sotto, che ha un'estensione complessiva di quasi sessanta ettari. Per Corico questa è l’unica area ancora agricola e non urbanizzata, se si escludono i diversi parchi cittadini, di un territorio che registra l’indice di consumo di suolo più elevato di tutto il sud Milano. In uno studio recente dell’Osservatorio sul consumo di suolo, realizzato dal Politecnico di Milano e da Legambiente, la nostra città registra un indice superiore all’80% di territorio urbanizzato”.
Cosa si può fare? “Per il Parco sud – prosegue Guastamacchia - c’è la necessità di fare uno sforzo di immaginazione, per costruire una visione di ciò che l’immensa area agricola che racchiude il sud Milano può avere: l’idea che l’attività agricola sia ancora possibile in aree periurbane ci viene anche suggerita, oltre che offerta come esempio concreto, da molte realtà metropolitane europee”.
(QUI le dichiarazioni del Presidente della Provincia)
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Brutta impasse quello dei terreni. Così «congelata» e priva di sbocchi immediati che qualche socio dell' Expo sarebbe pronto a sfilare dal cassetto il piano B. Un piano concepito per le situazioni d'emergenza, e proprio per questo motivo ad alto rischio: rinunciare ai terreni di proprietà della Fiera e del gruppo Cabassi e traslocare Expo in un'altra zona di Milano. Nella mente degli artefici del piano di riserva, la nuova località ha un nome preciso: Porto di Mare, dove dovrebbe sorgere la Cittadella della Giustizia.
Un'area quasi doppia rispetto a quella di Pero-Rho che ha il vantaggio di essere già in mano pubblica (è del Comune). Ma rischiosissima dal punto di vista del Bureau International des Exposition che ha già ricevuto il dossier di registrazione (con il masterplan del sito a Pero-Rho). Proprio giovedì a Parigi, il monito del presidente del Bie, Pierre Lafon è stato chiarissimo: vietato modificare il dossier di registrazione. I sostenitori di Porto di Mare si dicono sicuri che il Bie potrebbe accettare un'eccezione del genere perché il terreno sarebbe disponibile subito e non si dovrebbe far altro che trasferire il masterplan nel nuovo sito.
Non è fantascienza. Il piano esiste anche se ha il sapore di un avvertimento. Come esistono gli attriti tra i soci di Expo sulla questione dei terreni. Lo scontro è durissimo. Il governatore Roberto Formigoni non molla sull'acquisto dei terreni. E nutre fortissimi dubbi di legittimità sulla proposta di comodato d'uso prediletta dal sindaco Letizia Moratti. La critica principale: così si favorirebbe il privato, con le aree che torneranno ai proprietari gonfi di volumetrie mentre le aree pubbliche resterebbero senza volumetrie e destinate a restare parco od orto botanico. Stesse perplessità che ha il Comune nei confronti dell’acquisto: perché dare una cifra tra i 170 e 200 milioni ai privati, quando quei terreni si potrebbero avere senza spendere un euro? Ma dietro la posizione della Regione ci sarebbe anche Infrastrutture Lombarde. Se i terreni venissero acquistati dalla newco con i soldi del Pirellone, Infrastrutture diventerebbe la stazione appaltante del sito Expo. Non solo per la realizzazione, ma soprattutto per il dopo evento.
Un braccio di ferro. Per chi sarà il dominus o la domina di Expo. Che potrebbe avere conseguenze disastrose. Fino ad arrivare alla decisione da parte della Regione di sfilarsi dalla partita. Non quella dei terreni, ma quella di Expo. Basta andarsi a rivedere le dichiarazioni di Formigoni di qualche giorno fa: «Se la maggioranza decide diversamente, vedremo...».
Non è originale parlare di periferie. Quotidiani e periodici ne descrivono da tempo lo stato penoso. Ma alla descrizione impietosa dello stato di fatto non sembra facile contrapporre un disegno propositivo. Occorre anzitutto liberarci dal diffuso equivoco per il quale periferia e centro sono entità contrapposte e antagoniste.
Allo stesso modo è errato pensare che periferia e territorio circostante siano sciolti da reciproci rapporti. È vero il contrario: periferia e centro-città sono parti di uno stesso organismo; così come lo sono periferia e territorio. Queste tre realtà socio-geografiche oggi non possono concepirsi separate e divise.
Un tempo, in Europa, la periferia non si sapeva cosa fosse. Vi era solo la città murata, isolata in mezzo alla campagna e chiusa entro un recinto fortificato. Oggi, nell´anello periferico che circonda le città, si assiste a un disordinato e ininterrotto moltiplicarsi di costruzioni "a macchia d´olio". Un fenomeno che presenta terrificanti analogie con la malattia del nostro secolo: il cancro. Visto che ormai è impossibile eliminare il male commesso, che cosa si può ancora fare per arrestarlo?
La risposta è semplice: occorre interrompere le costruzioni all´interno sia del perimetro costruito, sia dell´anello periferico; e collocare i futuri insediamenti all´esterno della zona urbana, nel territorio ancora libero e poco edificato che si estende intorno, fuori e lontano dalla città. Ma a questi nuovi insediamenti occorre dare una forma conclusa; e mantenere tra di loro una distanza ragionevole, così da creare unità circoscritte e riconoscibili, separate da intervalli di campagna, da zone di verde agricolo, da parchi per ricreazione e svago. Altrimenti si verifica il pauroso fenomeno dello "sprawl" (che in urbanistica equivale ad "espandersi in modo disordinato"), ossia la proliferazione ininterrotta e spinta indifferentemente in tutte le direzioni; la copertura dell´intero territorio con una miriade di edifici dissimili, eterogenei, ammassati senza ordine né criterio; la scomparsa di ogni differenza fra aree costruite ed aree verdi.
Tutta la zona a Nord di Milano è ormai costruita fittamente, tanto da formare un´unica continua successione di fabbricati che si estendono dalla metropoli fino ai piedi delle Prealpi. La zona a Sud, al contrario, è ancora libera da costruzioni. Ma proprio per questo motivo deve essere lasciata intatta. E allora dove indirizzare lo sviluppo della città? In quale parte del territorio prevedere le future costruzioni? La risposta è elementare: i nuovi insediamenti vanno collocati entro un raggio di distanza che non sarà più metropolitano ma diventerà regionale; non più a ridosso dell´area urbanizzata, ma nell´ampia distesa della pianura lombarda.
Il problema urbanistico di Milano è costretto a trovare soluzione spostandosi sempre più lontano: partito dal centro città, prima si è esteso alla periferia, poi si è dilatato nel territorio, e ora raggiunge la regione. Qui sarà necessario coinvolgere anche le città di provincia e ritrovare un nuovo rapporto tra queste e la metropoli. Milano, capoluogo della Lombardia, soltanto se dirige il suo sviluppo verso l´intera regione, potrà un giorno risolvere i suoi problemi urbanistici.