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La giusta sottolineatura di un elemento centrale dell'enciclica di Francesco: le «rilevanti implicazioni di tipo politico generale che possono apparire “rivoluzionarie” rispetto alla normale cautela della Chiesa verso la politica». "Cautela" che caratterizza, ahimè, la massima parte della cultura laica, a partire dall'Accademia e dalla Politica. Il Fatto Quotidiano, Blog "Ambiente e veleni", 26 giugno 2015 .

A mio sommesso avviso, il maggior pregio della recente enciclica papale sull’ambiente Laudato si’ consiste nel quadro complessivo che viene delineato, da cui derivano rilevanti implicazioni di tipo politico generale che possono apparire “rivoluzionarie” rispetto allanormale cautela della Chiesa verso la politica.

In realtà, i singoli temi rilevanti ci sono tutti. Ne cito qualcuno:

L’acqua non può essere privatizzata o trasformata in “merce soggetta alle leggi di mercato”'; i mari stanno trasformandosi in“cimiteri subacquei” a causa delle attività umane; l’era del petrolio e dei combustibili fossili deve essere sostituita “senza indugio” dalle energie rinnovabili'; ‘Le leggi ambientali possono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono lettera morta'; netta condanna del consumismo e dell’attuale ‘modello distributivo in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare…'; valorizzazione della ricerca; preoccupazione per il ‘tremendo potere’ della tecnologia accentrata in ‘una piccola parte dell’umanità'; ripudio della‘concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese e degli individui'; proclamare la libertà economica quando si riduce l’accesso al lavoro ‘diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica’.

Quanto all’ecologia in particolare, il Santo Padre evidenzia che ‘cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità’ che ‘ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo’.

Per la Chiesa, invece, ‘la cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnicoper ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale‘.

Insomma, occorre una profonda trasformazione politica, che abbandoni i dogmi della crescita, del mercato e del Pil. Infatti, ‘è realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano. Inoltre, quando si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità dei poveri’.

Il progresso, cioè, è cosa ben diversa dalla crescita e ‘dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo ad un’altra modalità di progresso e di sviluppo’. Per questo è fondamentale il ruolo della politica. Infatti ‘non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale’.

Tanto più che ‘una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida’. In questo quadro, ‘la sobrietà vissuta con libertà e consapevolezza è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario’.

Sembra di risentire Enrico Berlinguer quando, molti anni fa, affermava che “la politica di austerità quale è da noi intesa, può essere fatta propria dal movimento operaio proprio in quanto essa può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano su quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismi e privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura…».

All’epoca nessuno lo ascoltò. E oggi? E’ prevedibile una totale inversione di rotta da un governo che, tanto per fare qualche esempio, punta tutto sulla “crescita”, che autorizza trivellazionipetrolifere nei nostri mari più preziosi, che propugna “tutto inceneritori” – e, quindi, il massimo del consumismo con usa e getta, o ci sforna leggi ambientali mal fatte eliminando quei pochi organi di controllo (come il Corpo Forestale dello Stato) esistenti sul territorio?

La Repubblica, 27 giugno 2015, con postilla
IL GOVERNO del patrimonio culturale italiano versa oggi in uno stato confusionale. Come in molti avevano previsto, l’applicazione della riforma Franceschini (pur non priva di moventi condivisibili) rischia di dare il colpo di grazia al corpo, già provatissimo, delle soprintendenze e dei musei italiani.

Il punto più critico riguarda la rigida e meccanica «separazione della funzione di tutela da quella di fruizione/valorizzazione» (così l’ultima circolare della Direzione Mibact per l’Organizzazione): che è come la separazione tra la circolazione sanguigna e i muscoli di un corpo. Gli effetti più gravi di questo ideologico smembramento riguardano il destino dei musei confluiti nei Poli regionali: cioè di tutti tranne che dei venti supermusei, i quali peraltro aspettano ancora i superdirettori che avrebbero dovuto essere nominati entro maggio.

La ratio della riforma, come fu pensata dalla commissione Bray (della quale faceva parte anche chi scrive), era quella di consentire una vera autonomia, in primo luogo culturale e dunque anche ammi-nistrativa, ad alcuni grandi musei: per farli diventare veri istituti di ricerca e di redistribuzione della conoscenza. Ma la creazione parallela dei Poli museali regionali ha invece generato il caos. Questi contenitori omnibus tengono insieme musei di rilevanza mondiale (si pensi alla Pinacoteca Nazionale di Siena) con piccolissimi siti (come il Castello di Lerici), e mescolano musei storico-artistici a musei di antichità, staccando questi ultimi dalle soprintendenze archeologiche. L’unico criterio seguito è quello, brutalmente burocratico, della bigliettazione: se si paga è «valorizzazione», e dunque si va nel calderone dei Poli, se non si paga è tutela, e dunque si rimane nelle soprintendenze. Prendiamo il caso cruciale dell’archeologia: a chi devono essere assegnate, per esempio, le cassette colme di materiali di scavo non ancora studiati e inventariati? Devono rimanere alle soprintendenze, come vorrebbe il buon senso, o confluire in piccolissimi siti museali spesso senza personale archeologico?

Ma anche i supermusei si troveranno alle prese con l’assurdo divorzio tra tutela e valorizzazione. Il futuro direttore degli Uffizi — pur essendo uno storico dell’arte (sempre che alla fine non sia scelto tra i “manager” collegati alla politica: ipotesi che per ora va ricacciata nel novero degli incubi) — non potrà decidere né il restauro né il prestito di un suo dipinto senza il benestare della Soprintendente di Firenze: che è una architetto. Né potrà usare come meglio crede il personale del proprio museo, farcito di custodi col dottorato di ricerca, cui però è proibito alzarsi dalla obsoleta sedia di sorveglianza. E dunque, nonostante tutto, non sarà ancora un vero direttore.

Si aggiunga il fatto che passano di mano «gli immobili e i mobili», ma non li segue il personale: le risorse umane vengono assegnate ai Poli museali in via transitoria e provvisoria. E per le fondamentali strutture (come i laboratori fotografici e quelli di restauro) si resta in attesa di un «piano di razionalizzazione »: che è difficile da partorire perché se è arduo smembrare (o accorpare: come nel caso delle nuove soprintendenze miste, che infatti non decollano) organismi complessi, è davvero impossibile farlo a costo zero. Caratteristica, questa ultima, che è l’irredimibile peccato originale della riforma.

Si sta rivelando critico anche il rapporto tra i nuovi segretariati regionali e i soprintendenti: perché i primi tendono a intendere il proprio ruolo come quello dei vecchi direttori regionali, e dunque a intervenire nelle autonome scelte dei secondi. E questi ultimi, già privati della valorizzazione, rischiano di essere di fatto svuotati da ogni funzione. Certo, potrebbero dedicarsi finalmente alla tutela del territorio: difendendolo, per esempio, dalla cementificazione selvaggia. Ma lo Sblocca Italia, e ora la riforma Madia della Pubblica Amministrazione, che in questi giorni approda in commissione, impongono il silenzio-assenso, togliendo di fatto l’ultimo compito alle morenti soprintendenze. Sarà un caso, ma è stato Matteo Renzi a scrivere che «sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia».

Postilla
Troppo spesso si considerano gli errori di oggi interamente legati all'avvento del ducetto Renzi e ai suoi complici di oggi. L'uomo è lo sviluppo di un pensiero, e così lo sono atati altri. E' utile ricordare che chi introdusse nella Costituzione la sciagurata separazione tra tutela e valorizzazione fu Claudio Martini, maggiore responsabile delle mofifiche "federaliste" della Costituzione. Pochi lo ricordano oggi, come pochi ricordano che la deregolazione urbanistica a Roma e l'introduzione nella capitale dell'ìurbanistica contrattata fu avviata dai sindaci che recedettero Alemanno.

Secondo l'ambientalista del Worldwatch Institute, tra le emergenze globali spiccano demografia, povertà, energia e suoli. Il resto viene da sé, ma il dibattito politico pare schivare in massa ogni ostacolo. Corriere della Sera 27 giugno 2015 (f.b.)

La «Grande Siccità» del 2012, negli Stati Uniti, ha fatto salire i prezzi del mais ai massimi storici; eppure le quotazioni dei prodotti alimentari sul mercato globale, già raddoppiate nel corso dell’ultimo decennio, sono destinate ad aumentare ancora. scatenando così una nuova ondata di rivolte per il cibo. La penuria del raccolto di mais registrata anche quest’anno non farà che accelerare la transizione dall’era dell’abbondanza e dei surplus a un’era di scarsità cronica. L’impennata dei prezzi alimentari si accompagna a una sempre più intensa competizione internazionale per il controllo di terra e risorse idriche. In questa nuova realtà globale, l’accesso al cibo si sostituisce all’accesso al petrolio quale preoccupazione principale dei governi. Il cibo è il nuovo petrolio, la terra è il nuovo oro: benvenuti nella nuova geopolitica alimentare.

I nuovi carnivori

Per gli americani — che spendono solo il 9% del proprio reddito per il cibo — il prezzo raddoppiato dei prodotti alimentari non è un grosso problema. Per coloro che, invece, impiegano il 50-70% del budget disponibile per la spesa alimentare, è un danno grave. Questi ultimi hanno ben pochi margini di manovra per compensare l’aumento dei prezzi spendendo di più: devono mangiare di meno. Con i prezzi in aumento, molte delle famiglie più povere del mondo avevano già ridotto i consumi alimentari a un pasto al giorno. Purtroppo. In un’alta percentuale di casi non possono più permettersi neppure quello. Così milioni di nuclei familiari danno ormai per scontato che ogni settimana dovranno trascorrere giornate intere senza cibo. Secondo Save the Children, in India il 24% delle famiglie si astiene abitualmente dal mangiare; in Nigeria lo fa il 27%; in Perù il 14%. In un mondo affamato, la denutrizione ha spesso il volto di un bambino: milioni di piccoli sono pericolosamente denutriti, e spesso così debilitati da non riuscire neppure ad andare a scuola a piedi.

In molti casi soffrono di ritardi fisici e mentali. Mentre la fame dilaga, gli agricoltori devono affrontare nuove sfide su entrambi i versanti dell’equazione alimentare. Sul versante della domanda, intervengono due fattori di crescita. Il più antico è l’incremento demografico: ogni anno la popolazione mondiale aumenta di circa 80 milioni, e stasera si siederanno a tavola 219 mila persone in più rispetto a ieri, molte delle quali davanti a un piatto vuoto. Il secondo fattore di crescita e la tendenza dei consumatori a salire lungo la catena alimentare: con l’aumento dei livelli di reddito, crescono anche i consumi di pollame e altri alimenti di origine animale a impiego intensivo di cereali. Nelle economie emergenti, in particolare, il fenomeno riguarda almeno 3 miliardi di persone, ma la maggiore concentrazione dei nuovi carnivori si rileva in Cina, che ha ormai raddoppiato il consumo di carne rispetto agli Stati Uniti. Oggi, inoltre, i cereali vengono utilizzati come carburante per le automobili: nel 2011 gli Usa hanno raccolto qualcosa come 400 milioni di tonnellate di granaglie. (...) Sul versante dell’offerta, poi, gli agricoltori si trovano ancora di fronte all’antica minaccia dell’erosione del suolo. Circa il 30% delle terre coltivabili sta perdendo lo strato superficiale produttivo a un ritmo più rapido della sua rigenerazione naturale. E si stanno formando due enormi «catini di polvere» ( dust bowl ), uno nella Cina nordoccidentale e l’altro in Africa centrale. (...)

Mangiare a scuola

Sul versante della domanda si presentano quattro necessità impellenti: la stabilizzazione della popolazione mondiale, l’eliminazione della povertà, la riduzione dell’eccessivo consumo di carne e la revisione delle politiche sui biocarburanti (che incentivano l’utilizzo di beni alimentari, terreni e risorse idriche utilizzabili invece per sfamare la popolazione).

Occorre agire su tutti questi fronti contemporaneamente. I primi due obiettivi sono strettamente collegati: la stabilizzazione demografica dipende infatti dall’eliminazione della povertà.
Basta un rapido sguardo ai tassi di crescita della popolazione per rendersi conto che i Paesi in cui il numero degli abitanti è stabile sono praticamente tutte nazioni ad alto reddito. Viceversa, quasi tutti i Paesi con alti tassi di crescita demografica si collocano agli ultimi gradini della scala economica globale.

Il mondo deve impegnarsi a colmare le lacune nell’accesso ai servizi di salute riproduttiva e di pianificazione familiare e battersi per sconfiggere la povertà: i progressi nell’uno e nell’altro campo si rafforzano a vicenda. Due sono i presupposti fondamentali per eliminare la povertà: far sì che tutti i bambini, maschi e femmine, ricevano almeno un’educazione scolastica elementare e le cure sanitarie di base. Nei Paesi più poveri, inoltre, occorre avviare programmi di alimentazione scolastica sia per incoraggiare le famiglie a mandare i propri figli a scuola sia per mettere questi ultimi in condizione di imparare una volta che vi accedono.

Ettari di asfalto desolatamente vuoti attorno a Expo, frutto di calcoli sbagliati e stupidi, su comportamenti collettivi previsti che non si sono verificati. Riconoscere l'errore e correggerlo?
Negli anni ’70 girava molto lo slogan «il personale è politico», di cui una delle più concrete interpretazioni, al netto di qualunque legittima divagazione filosofica, suona più o meno: quel che faccio e sento io, è già almeno in nuce qualcosa di grande, collettivo, di interesse comune. Cosa del resto ben nota a chi sviluppa strategie di mercato, perché gira e rigira se al cliente il prodotto proprio non va giù, hai voglia parlare di grandi rivoluzioni, principi generali, mutamenti epocali. Qualcosa del genere succede da sempre col prodotto-processo-immaginario per eccellenza del ‘900, l’automobile privata, privata certamente nell’essere una specie di prolungamento di nostri desideri, appendice funzionale assai simile al guscio di una lumaca o di una tartaruga, ma in grado di proiettarsi nella sfera «politica» al punto da condizionare tutto lo spazio, le leggi, le aspirazioni, anche di chi non ci ha proprio a che fare col trabiccolo in sé.

Certo che, se la cosa vale secondo un certo percorso, deve automaticamente valere anche per la direzione opposta: si incrina lievemente qualcosa nella soggettività, nella sensibilità personale, e cominciano ad apparire grosse crepe anche in alcuni solidi «grandi principi condivisi» che sin qui hanno dominato senza discussioni. Con l’automobile, lo sappiamo, si è plasmato non solo il territorio, ma si sono costruiti sedimentati interessi, e aspettative di enormi dimensioni. Quando si incrina il legame fra personale e politico, per così dire, quegli interessi barcollano, sbattono la coda, si agitano convulsi senza ben capire cosa accade. Succede spudoratamente, davanti agli occhi di tutto il mondo, a Expo 2015, dove la filosofia automobilistica trasformata in fede integralista, aveva indotto un certo calcolo di standard: tot visitatori previsti, tot piazzole a parcheggio negli spazi di corrispondenza del sito. Tutto perfetto, salvo che quella perfezione dipendeva da un immaginario appunto incrinato, pur pietrificato in leggi, norme, convenzioni. Il cosiddetto anello debole della catena, il singolo utente, ha deciso che no, lui quel prodotto non lo compra, non lo gradisce: a vedere Expo lui ci va con la metropolitana, comodissima, e pure assai più ecologica.

Panico tra i leghisti e interessi correlati, perché quello standard era stato calcolato diversamente, e se ne aspettavano gli automatici frutti economici come quando si vende un appartamento in centro: tot metri quadri, tot soldi. Ma se l’appartamento in centro è stato studiato, poniamo, per una famiglia di quindici persone alte in media un metro e mezzo, si intuisce la divaricazione col mercato. Allo stesso modo gli ettari di piazzali asfaltati dei parcheggi erano stati concepiti e realizzati sui comportamenti medi, poniamo, di un villettaro padano elettore leghista, quello che non esce di casa se non in auto, anche per portare il cane a pisciare lontano dal giardino domestico.

Il visitatore medio, globale o locale che sia, di un evento comunque di un certo valore ambientale, magari ragiona in modo diverso, magari non è proprio di quel tipo, e infatti da mesi i piazzali a parcheggio sono deserti, mentre traboccano i mezzi pubblici. E cosa fa, il nostro operatore pubblico-privato che aveva investito in un comparto momentaneamente morto e sepolto? Facile, da un certo punto di vista: vuole convincere ad ogni costo quei signori a smetterla, di prendere la metropolitana, e comportarsi ammodo salendo educatamente in auto, e parcheggiando nell’apposita comoda piazzola, magari a Arese, ex tempio della produzione automobilistica che si vuole riciclare in museo dell’automobile, tanto per cambiare. E questo passaggio «virtuoso» dal mezzo pubblico al mezzo privato viene lubrificato con soldi pubblici, regalando un biglietto gratis di Expo a chi ci va in automobile.

Non è un errore di battitura, ma la pura verità: si usano soldi pubblici, rinunciando a incassare le tariffe dei biglietti Expo, per sostenere artificiosamente comportamenti dannosi per l’ambiente, e legittimare trasformazioni altrettanto dannose come i parcheggi. Potendo, forse, i nostri eroi degli «interessi consolidati» arriverebbero a sabotare la metropolitana, un po’ come fanno di solito con la viabilità ordinaria, lasciata andare in malora per promuovere le loro autostrade, bretelle, raccordi sparsi nel nulla, che non vanno da nessuna parte, ma che aiutano lo «sviluppo del territorio». Solo che stavolta, con quella manovra del piangere miseria per le proprie avventate stupidaggini, l’hanno fatta davvero spudorata. Ma ci riproveranno, se li si lascia fare.

Si afferra con maggiore pienezza la portata eversiva dell'enciclica Laudato si' di Papa Francesco – rispetto a tutta la tradizione millenaria della chiesa - se si tiene conto della storia del pensiero ambientalista... (continua a leggere)

Si afferra con maggiore pienezza la portata eversiva dell'enciclica Laudato si' di Papa Francesco – rispetto a tutta la tradizione millenaria della chiesa- se si tiene conto della storia del pensiero ambientalista.Nel 1967, uno storico americano, Lynn White jr, pubblicò su Science un saggio che fece scandalo . Nel suo Le radici storiche della nostra crisi ecologica, White sosteneva, con notevole precocità, che le condizioni di progressiva alterazione degli equilibri ambientali risiedevano nel dominio esercitato in Occidente dalla cultura religiosa giudaico cristiana. Già nella Bibbia, nel libro della Genesi egli ritrovava le prime origini di quella cultura «E Dio disse: “Facciamo l'uomo a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Era dunque la Chiesa, al centro dell'accusa. L'ampia discussione che ne seguì ridimensionò in parte le argomentazioni di White.Qualcuno ricordò che della storia del cattolicesimo faceva parte anche San Francesco. Giusta osservazione, specie in questo caso. Ma San Francesco fu una stella solitaria. Altri ricordarono che in Giappone, plasmato da una ben diversa storia religiosa, già a fine 800 lo sviluppo industriale aveva generato gravi alterazioni ambientali. Vero. Ma ormai il capitalismo poteva vincere anche le resistenze religiose più radicate. In realtà nessuno poté sminuire il carattere per così dire fondativo della cultura cattolica nel plasmare il rapporto dominante uomo-natura nelle società dell'Occidente. Del resto lo stesso Francesco – all'interno di un ragionamento “laico”- ammette che «il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura» .Mentre Max Weber, che oltre a essere un grande sociologo era prima di tutto uno storico delle religioni, ha ricordato, nei sui studi sul capitalismo, come le religioni orientali, col loro animismo, tendessero a rendere sacri non solo le altre creature, ma anche , i territori, le acque le montagne...

Ora è vero che nel frattempo la Chiesa ha mutato la sua visione della natura.In questa enciclica Francesco ricorda i primi contributi “ambientalisti” di Paolo VI, quelli di Giovanni Paolo II, di Bendetto XVI. Ma la sua posizione è oggi dirompente: «Siamo cresciuti - scrive, a proposito della Terra - pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla.» Ma non solo non siamo più padroni incontrastati, siamo fatti della stessa materia che stiamo distruggendo: «Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora». Qui papa Francesco fa proprio il più avanzato pensiero scientifico ambientalista. Si pensi alle affermazioni sorprendenti a proposito della biodiversità:««Probabilmente ci turba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi.» Anche se non appare citato Edgar Morin, con i sui studi pubblicati nei volumi della Méthode, o la vasta letteratura ecologista radicale, l'impronta a ma pare onnipresente. Non meno coerente con tale impostazione appare la critica alla cultura dominante: «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri.».

Ma un altro aspetto della radicalità eversiva di questa enciclica risiede a mio avviso nel fatto che papa Francesco evidenzia costantemente la connessione tra la violenza alla natura e dominio di classe: lo sfruttamento esercitato dalle potenze economiche del nostro tempo contro i poveri della terra. Egli coglie «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta» e mette in luce come il saccheggio delle risorse colpisce l'economia delle popolazioni, mentre l'inquinamento danneggia in primo luogo i più deboli. E non rimane nel vago.E' il caso di una risorsa come l'acqua. « Un problema particolarmente serio è l’acqua disponibile per i poveri, che provoca molte morti ogni giorno. » Problema che non è frutto della fatalità: «Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.»

Infine un altro elemento sembra dare a questa enciclica un profilo politico di assoluta novità. E' la denuncia, se non di un nemico, certamente di un avversario.Sappiamo che in passato la Chiesa non ha mancato di esprimere denunce serrate alla società capitalistica e alle sue ingiustizie. Nella sua dottrina sociale, negli ultimi decenni, è venuta accentuando la radicalità di queste critiche. Ma alla fine una sintesi ecumenica finiva col rendere indistinguibili i responsabili.Gli agenti, i reali vessatori, assumevano un profilo evanescente.

Il papa, naturalmente non può scendere in casi particolari, ma denuncia apertamente – come ha ricordato E.Scandurra( Il manifesto, 23/6) - che «Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi ». E il problema del debito dei paesi è lumeggiato come meglio non si poteva:«Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso.»

E poiché il papa ha parole per tutti, non manca di ricordare le responsabilità dei governi e del ceto politico del nostro tempo:«La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente.»

Dunque, la Chiesa, la più antica istituzione di potere della storia umana,per due millenni strumento di controllo e conservazione sociale, rovescia il suo passato e lancia la sua sfida aperta ai poteri del mondo laico. Lo fa, naturalmente col suo linguaggio, che può essere quello di tutti, credenti e non credenti:«Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale.». Credo che la sinistra debba cogliere questa svolta culturale che fa epoca. Essa può ritrovare il suo universalismo perduto, quell'”internazionalismo proletario” , naufragato con l'involuzione autoritaria dell'URSS, che era stato la stella polare di diverse generazioni.

In 'Italia ha un grande precedente storico cui ispirarsi. Quando, ai primi anni '60, emerse la figura di Papa Giovanni e si aprì il Concilio Vaticano II, il Partito comunista avviò un ampio dialogo con il mondo cattolico, sui temi della pace nel mondo e dell'emancipazione sociale.Ne seguirono conseguenze politiche di grande portata, con tante nuove forze che entrarono nella lotta politica progressista. La salvezza della casa comune della Terra oggi è il nuovo terreno di dialogo. Ma occorre un mutato paradigma e nuovi dirigenti politici all'altezza della sfida, che non possono certo essere i giovani “rottamatori”di oggi, in realtà rappresentanti del fronte avversario, tardi epigoni di una cultura senza avvenire.

Huffington Post, 24 giugno 2015
Mentre leggete questo articolo, sfrecciano sulla vostra testa aerei carichi di Caravaggio e Botticelli: mai la definizione di patrimonio artistico mobile è stata presa alla lettera come oggi, quando si stima che ogni anno (e solo in Italia) vengano movimentati circa 15.000 pezzi archeologici e circa 10.000 opere d'arte dal Medioevo all'Ottocento. Ma dove va tutto questo ben di Dio? Alle mostre, naturalmente: nell'ultimo anno per il quale esistono dati attendibili (2009) in Italia se ne sono inaugurate 225 di arte antica, alle quali bisogna aggiungerne 365 di arte dell'Otto e del primo Novecento, 73 di archeologia e 96 di architettura. E senza contare l'imbarazzante bazar dell'arte italiana che è stato messo in piedi nel serraglio dell'Expo di Milano. Sono molti i motivi per i quali dovremmo avere seri dubbi su questa sarabanda: uno è che gli effetti di questo moto perpetuo sulla conservazione delle opere saranno misurabili quando forse sarà troppo tardi.

Un altro è che si tratta di un'industria che genera profitto privato a spese di un patrimonio pubblico. Ma forse il più serio è che siamo di fronte alla più grande operazione di rimozione del contesto mai messa in atto. Tanto che nel senso comune è ormai ovvio che esistano due turismi di massa: quello delle persone e quello delle opere d'arte. E oltre ai problemi che ciò pone sul fronte della conoscenza, ce n'è uno anche più serio sul fronte della democrazia: anche nel patrimonio culturale siamo sempre più clienti, sempre meno cittadini. Come si può provare ad invertire la rotta? Sarebbe urgente che il Ministero per i Beni Culturali italiano si desse regole più serie, e che il vaglio della qualità delle mostre fosse più rigoroso. Ma la pressione degli interessi economici e la debolezza culturale del Mibact inducono a credere che questo non avverrà. E, d'altra parte, la vera battaglia contro un simile modello commerciale si deve combattere sul piano culturale, non su quello dei divieti. E non in nome di tabu cattedratici, ma mostrando l'attualità e la forza di un modello alternativo.

Un modello come quello della filosofia Sloow Food, per esempio. Carlo Petrini ha raccontato più volte l'aspirazione contestuale di Sloow Food: non "la gastronomia nelle asettiche cucine di lusso delle città", ma la frequentazione dei contadini, degli osti e dei vignaioli "a casa loro". Bisognava attuare l'idea di Luigi Veronelli, che parlava di "camminare le osterie", "camminare le cantine": e da lì "camminare la terra", "camminare le campagne". Insomma: "bisognava rompere la gabbia", e riconquistare il nesso essenziale con la salubrità di aria, terra, acqua, con la memoria e la storia, con la salvaguardia del paesaggio. Non sono parole e valori ignoti alla tradizione della storia dell'arte: anzi, le appartengono da sempre. Ma oggi dobbiamo avere l'umiltà di reimpararli da chi ha saputo, più degli storici dell'arte, parlare al nostro tempo. Perché c'è urgente bisogno di "rompere la gabbia" degli eventi, e di ricominciare a "camminare il patrimonio". Come farlo, in concreto? Per esempio, adottando il paradigma del "chilometro zero".

Nessuno di noi è stato educato a guardarsi intorno, a considerare il rapporto con l'arte del passato un fatto quotidiano. Per farlo bisogna costruire e condividere un modello sostenibile di rapporto con il contesto che abitiamo: con lo spazio pubblico monumentale, che è il vero capolavoro della storia dell'arte italiana. Invece di andare a vedere una mostra che si intitola "Tuthankamon Caravaggio Van Gogh" (è il successo annunciato per il 2015), potremmo camminare per quindici minuti nella nostra città (per esempio andando al lavoro), accorgendoci finalmente di ciò che ci circonda: un palazzo, una cappella, anche solo un portale o un'epigrafe memoriale, un albero secolare, semplici frammenti del passato inglobati dal tessuto moderno. E sculture e quadri, naturalmente: perché in Italia i quadri (anche quelli di Caravaggio) stanno ancora nelle chiese (quando non sono in mostra, beninteso).

Potremmo iniziare a "camminare" il fitto tessuto artistico delle nostre città: ricominciare a leggere una bellezza le cui chiavi ci sono scivolate di mano. Questo consumo culturale consapevole, spontaneo e non organizzato potrebbe indurci a scegliere di non entrare, diciamo per un anno, in nessun evento per cui occorra pagare un biglietto. Una simile astensione dall'industria culturale - ormai insostenibile - ci farebbe immediatamente vedere l'enorme patrimonio cui possiamo accedere gratuitamente: il "patrimonio storico e artistico della nazione italiana" (art. 9 della Costituzione), che manteniamo con le nostre tasse. E non sarebbe certo un risultato irraggiungibile, se solo le amministrazioni locali, le soprintendenze, le società di servizi e gli editori si convincessero che un monumento può avere il successo di una mostra. Allora si potrebbe mettere al servizio del patrimonio artistico monumentale e permanente una parte anche minima dell'onnipotente marketing che oggi vende con tanto successo l'effimero e l'inesistente. Naturalmente questa presa di coscienza dovrebbe cominciare a scuola: dove si studia, invece, sempre meno storia dell'arte. Se i ragazzi fossero messi in grado di prendere coscienza del luogo che dà forma alla loro vita, se avessero il desiderio e gli strumenti per farlo, per così dire, in automatico, e quotidianamente, sarebbe un successo strepitoso: anche se non sapessero nulla di Tuthankamon, Caravaggio o Van Gogh. Ribaltiamo il modello mainstream: prendiamo tutto il tempo che avremmo speso in manifestazioni 'culturali' a pagamento e dedichiamolo a visitare luoghi culturali gratuiti, e possibilmente a chilometro zero, cioè presenti sui nostri itinerari quotidiani. Una simile scelta equivale ad aprire gli occhi: ad accendere la luce nella casa in cui abitiamo al buio perché mai abbiamo avuto il desiderio di vederla. Ed equivale anche ad essere cittadini, e non clienti; visitatori e non consumatori; educatori di noi stessi e non contenitori da riempire.

Ma accanto al "km zero" della piccola patria ci vuole l'ambizione di conoscere, direttamente e profondamente, la grande patria europea. E perché questo accada davvero c'è bisogno di un segnale molto forte, di un accordo europeo per invertire la rotta. La proposta, dunque, è la seguente: i governi dell'Unione europea dovrebbero firmare un accordo per sospendere per (diciamo) cinque anni i prestiti delle opere d'arte tra i rispettivi musei. Ma questa è solo la prima parte della proposta, quella negativa. La seconda, costruttiva, è che quell'accordo preveda di destinare tutti i fondi pubblici (centrali, locali, museali) che sarebbero stati spesi nelle mostre ad un fondo europeo per incentivare viaggi di cittadini europei tra i 18 e i 25 anni, vincolando i giovani viaggiatori a itinerari che includano visite ai musei e al patrimonio culturale monumentale, dove li aspetterebbe una campagna di comunicazione a loro rivolta. Una specie di Grand Tour popolare, e finanziato dall'Unione, che ribalti il paradigma dominante: e cioè che sostituisca ai viaggi delle opere i viaggi dei cittadini. Un modo per rispettare il patrimonio, ma soprattutto per ridare al patrimonio culturale europeo la sua funzione fondamentale: formare europei del futuro che abbiano un senso vivo dell'identità collettiva europea fondata sulla cultura. Ritornare a camminare l'Europa per costruire più Europa.

Un'intelligente lettura delle possibili ricadute dell'atteggiamento dimostrato da papa Francesco nella"Laudato si'" sul delicato terreno dei rapporti di genere, e un richiamo alle responsabilità di uno stato che sappia sentirsi pienamente laico. La Repubblica, 24 giugno 2015

Chi sono io per giudicare?». Così aveva detto papa Francesco; la seconda frase che ha dolcemente sfumato la dottrina dell’infallibilità papale. La prima era stata quella, indimenticabile, di papa Wojtyla: «Se mi sbaglio mi corrigerete». La frase di Bergoglio fu pronunziata nel corso di una celebre intervista, sull’ aereo di ritorno da Rio de Janeiro. Le domande dei giornalisti riguardarono allora la pastorale per i divorziati e la cosiddetta lobby gay in Vaticano.
All’indomani del Family day, su questi temi leggiamo dei documenti che dicono intanto una cosa: qualcuno deve pur giudicare. Dunque papa Francesco intende dare delle risposte. Le ha preparate tastando il polso della Chiesa: dopo otto mesi di confronto nelle diocesi, ecco pronto un documento di lavoro elaborato dal sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e destinato al tavolo del sinodo ordinario previsto in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. Oggi questo documento è sotto gli occhi di tutti. Ed è evidente che questa circolazione allargata è stata concepita come il secondo tempo della consultazione: un modo per valutare le reazioni e le opinioni del mondo. Una Chiesa che ascolta il mondo, dunque. E che nello stesso tempo gli suggerisce una propria ipotesi di lavoro su terreni difficili e controversi. Viene in mente un consiglio di Sant’Ignazio ai suoi seguaci: lui diceva che bisognava «entrare con la loro e uscire con la nostra». Un suggerimento fondamentale: adeguarsi a culture e contesti anche remotissimi dal cristianesimo europeo per radicarvisi.
Ma vediamo questo documento. Sui sacramenti ai divorziati sembra che si apra un percorso non impervio, di tipo penitenziale, capace di portare alla “integrazione” di queste persone nella Chiesa: e non si trascuri l’offerta di rendere agevoli le procedure dei tribunali ecclesiastici per i casi di nullità matrimoniale. La lunga storia della Chiesa è lì per insegnare come, una volta fatto entrare il matrimonio tra i sacramenti, si sono trovate le soluzioni ai problemi posti dalla natura labile dei legami coniugali: dalla poligamia delle culture non europee ai problemi di alleanze matrimoniali dei regnanti europei. Ma sarà possibile che le coppie del secondo o terzo matrimonio accettino di vivere in castità per potersi sentire “nella” Chiesa? Vedremo, anzi vedranno loro. Una cosa è certa: il metodo della “via penitenziale” alla riconciliazione spazza via i pronunciamenti dottrinali tipo “prendere o lasciare” e apre la strada all’incontro privato e sommesso di persone portatrici di problemi concreti con un paziente confessore - un metodo che rappresentò la proposta fondamentale dei gesuiti nell’Europa lacerata dalle guerre di religione della prima età moderna.
La vera difficoltà sembra invece risiedere nella questione delle coppie omosessuali. Qui il lettore italiano è obbligato a scrutare con particolare inquietudine quel che si prepara nella vasta fucina di idee e di norme dove è stato elaborato questo documento. Noi, qui, non siamo negli Usa e nemmeno in Irlanda. E abbiamo capito, senza bisogno della rumorosa manifestazione romana recente, quanta confusione e quanta tensione alberghi in tanta parte del Paese, spinta dalla paura dell’ignoto a tapparsi occhi e orecchie davanti alla realtà del nostro tempo per chiudersi nelle sue più arcaiche certezze. Il documento che leggiamo, tra molte frasi fraterne e misericordiose sui problemi delle famiglie, conferma che l’unico matrimonio concepibile per la Chiesa è quello tra uomo e donna, «aperto alla procreazione» come ha commentato il teologo Bruno Forte. Ma riconosce anche che «vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partner». Basta questo per capire che la chiesa di papa Francesco non desidera capeggiare battaglie di religione su questa materia.
E viene naturale chiedersi: questo mutuo sostegno non potrebbe essere riconosciuto dalla legge di uno Stato che pensi a tutti i cittadini senza paraocchi confessionali e gli conferisca il riconoscimento legale di un legame coniugale a tutti gli effetti? E uno Stato cavourrianamente libero non potrebbe fare la sua parte nel compito che una libera Chiesa propone a se stessa, quello di garantire formalmente il principio del rispetto dovuto a ogni persona? Un principio fondamentale, che apre un orizzonte respirabile: «Ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità, sia nella Chiesa sia nella società». Parole sante, si vorrebbe dire. Anche parole laiche. Non dice forse la costituzione italiana all’articolo 3 che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, senza distinzione di sesso etc., » e che il compito della Repubblica è quello di rimuovere gli ostacoli che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana»?

«La nuova frontiera del low cost. Tariffe basse per viaggiare nelle principali città. Ma con l'incremento del trasporto su gomma a perderci sarà l'ambiente». Ci avevano già tolto i treni per tutti, adesso ci restituiscono un po' d'inquinamento in più, e arricchiscono qualche supporter del governo. Il manifesto, 24 giugno 2015
Adesso c’è un’alternativa per chi trova l’Alta Velo­cità Torino-Milano-Roma troppo costosa: arri­vano i mega­bus. L’omonima com­pa­gnia, ope­rante già da oltre un decen­nio in Usa e in Nord Europa, avvia infatti la sua atti­vità nel cen­tro­nord del nostro paese, con auto­mezzi che tra­spor­tano un cen­ti­naio di per­sone, un prezzo low cost di 15 euro a tratta e tempi poco meno che doppi rispetto a quelli della AV. Ma con un incon­ve­niente non da poco per le infra­strut­ture e l’ecologia del Bel­paese: lo sdo­ga­na­mento, pure incen­ti­vato ed isti­tu­zio­na­liz­zato, dell’incremento del traf­fico col­let­tivo su gomma; con tanti saluti ai pro­blemi di inqui­na­mento e con­ge­stione connessi.

Esulta — insieme al governo — l’Associazione Nazio­nale Auto­tra­sporto Viag­gia­tori, che auspica addi­rit­tura una forte cre­scita del com­parto; sistema che invece, secondo l’ultimo Piano Gene­rale Nazio­nale della Mobi­lità e dei Tra­sporti (2001, ormai pre­i­sto­ria), doveva essere addi­rit­tura ridi­men­sio­nato fino all’abbandono.

Col­pi­sce su que­sti temi (come su molto altro) l’insipienza e l’ignoranza del governo, sod­di­sfatto; che non perde occa­sione per mostrare la pro­pria inca­pa­cità e mio­pia poli­tica, non solo sui temi ter­ri­to­riali ed infra­strut­tu­rali, ma in gene­rale su qual­si­vo­glia capa­cità di espri­mere uno strac­cio di pro­gram­ma­zione inno­va­tiva ed orien­tata ai pro­blemi reali. A meno che que­sta capa­cità di vedere solo nel bre­vis­simo periodo (il treno costa troppo? Pren­dete l’autobus!) senza alcuna stra­te­gia eco­no­mica, né let­tura delle con­se­guenze, non sia inten­zio­nale; det­tata dagli inte­ressi finan­ziari spe­cu­la­tivi, legati a varie lobby, non solo mas­so­ni­che; evi­den­te­mente in grado di deter­mi­nare le azioni dell’esecutivo.

A parte infatti l’iniquità sociale del treno “più moderno e con­for­te­vole” acces­si­bile solo agli abbienti (con spe­re­qua­zioni esa­spe­rate dall’abolizione della quasi tota­lità degli inter­city e inter­re­gio­nali) – e al di là del soste­gno all’aumento di vet­tori pro­gram­ma­ti­ca­mente supe­rati e ad alto impatto, come i grandi bus – è da tempo che si regi­stra il ritorno, soprat­tutto pri­vato, al traf­fico su gomma, come con­se­guenza dei nuovi assetti fer­ro­viari a domi­nanza TAV, e delle nuove con­di­zioni fun­zio­nali e tariffarie.

Da Bolo­gna o da Firenze, per esem­pio, rag­giun­gere Roma e Milano in treno, fre­quen­te­mente o perio­di­ca­mente, è diven­tato scon­ve­niente da quando gli Euro­star si sono ride­no­mi­nati “Alta Velo­cità”, con abbas­sa­mento di qual­che minuto nei tempi di per­cor­renza e costi del biglietto di viag­gio più che rad­dop­piati. Il ritorno alla mobi­lità pri­vata su gomma — spe­cie della domanda a più forte con­no­ta­zione sociale — riguarda il traf­fico regio­nale e locale del cen­tro nord, per i motivi citati; con un gene­rale sbi­lan­cia­mento degli inve­sti­menti verso la moda­lità Alta Velo­cità, rispon­dente a quote assai basse dell’utenza. Ma avviene anche al sud, dove a fronte di incre­di­bili tagli al set­tore, anche per la regio­na­liz­za­zione del tra­sporto locale su ferro, si è regi­strato un crollo gene­ra­liz­zato degli investimenti.

In realtà, come per la poli­tica urba­ni­stica, una poli­tica dei tra­sporti manca total­mente, fin dall’avvento nel 2001 della ber­lu­sco­niana legge Obiet­tivo. Che oggi Can­tone defi­ni­sce “cri­mi­no­gena” e prin­ci­pale ali­mento “dell’enorme cor­ru­zione nazio­nale”. Ma che Renzi e Del Rio non hanno abo­lito, ma solo ridi­men­sio­nato; solo per ren­derla più cre­di­bile dal punto di vista della cre­di­bi­lità eco­no­mico finan­zia­ria. Men­tre giace in Par­la­mento la pro­po­sta di legge sul con­te­ni­mento del con­sumo di suolo, si per­si­ste con le vec­chie logi­che legate alle grandi opere inu­tili (com­preso l’assurdo e deva­stante Sot­toat­tra­ver­sa­mento TAV di Firenze, bloc­cato dalla magi­stra­tura ed evi­den­te­mente abu­sivo, pro­getto che Renzi cono­sce bene, ma non si decide a cancellare).

Oggi il rilan­cio del traf­fico su gomma col­let­tivo costi­tui­sce l’ulteriore corol­la­rio di tutto ciò. Con tanti saluti all’ecologia e buona pace, oltre che del Santo Padre, anche di que­gli eco-ottimisti, che non mol­lano il par­tito della nazione, osti­nan­dosi a vedere il “bic­chiere mezzo pieno”. Le con­di­zioni sociali, eco­no­mi­che e ter­ri­to­riali impon­gono invece il ritorno a una cate­go­ria tanto igno­rata quanto invisa al nostro pre­mier: la pia­ni­fi­ca­zione. Senza una pro­gram­ma­zione ter­ri­to­ria­liz­zata, mirata al pae­sag­gio, anche le istanze della green eco­nomy e della smart city diven­tano occa­sioni per le scor­re­rie della spe­cu­la­zione finan­zia­ria, più o meno cor­rotta, più o meno criminale.

«L'archistar (escluso dal cantiere) pronto a revocare la firma dal progetto se diventa solo un centro esclusivo del gruppo Luis Vuitton Moet Hennessy, chiuso alla cittadinanza». Eppure molti dicevano che è tanto intelligente. La Nuova Venezia, 23 giugno 2015

Venezia. L’archistar olandese Rem Koolhaas potrebbe a breve scaricare Benetton. I lavori per ultimare il blindatissimo Fontego dei Tedeschi proseguono a ritmo sostenuto, ma negli ultimi mesi ai referenti dello studio Oma di Koolhaas non è stato permesso entrare in cantiere a controllare, come invece l’accordo iniziale prevedeva.

Lo studio avrebbe dovuto seguire fino al termine (giugno 2016) il recupero della struttura e l’allestimento degli spazi comuni, come la corte interna e la terrazza. Sembra invece che il mandato per coordinare il progetto non sia stato rinnovato da Benetton con la conseguenza che si è ai ferri corti. Per ora, dallo studio di Rotterdam, ci si limita a una telegrafica conferma: «Effettivamente», fanno sapere senza dire una parola in più, «c’è un interrogativo sul proseguimento della partecipazione al progetto». In passato Oma ha firmato e depositato in Comune il progetto di recupero del Fontego e, come si evince anche dal pannello affisso sul Canal Grande, risulta responsabile della voce “Progetto architettonico e coordinamento”. Eppure si dice che, da quando la Rinascente è stata messa da parte ed è subentrato Dfs (Duty free shops) group, divisione del colosso multinazionale Lvmh (Luis Vuitton Moet Hennessy) e leader mondiale della vendita di prodotti extra lusso, le cose siano cambiate.

Prima di tutto si sa che gli interni degli spazi commerciali sono stati affidati da Dfs all’architetto inglese James Fobert, scelta che di fatto avrebbe escluso lo Studio Oma da qualsiasi altro incarico e mettendolo già da parte, per esempio, come supervisione generale. Poi non c’è chiarezza sui motivi che avrebbero spinto Benetton a emarginare Oma, impedendo di entrare in cantiere. Sembra infatti che siano state fatte delle modifiche al progetto non condivise da Oma. A quanto dice chi segue la vicenda fin dall’inizio, la situazione che si respira nell’ultimo periodo sta per esplodere. C’è chi sostiene che il colpo finale sia stato dato dall’uscita di scena delle ex soprintendente Renata Codello che seguiva attentamente lo sviluppo dei lavori. Dall’aria che tira, non è escluso che nei prossimi giorni Oma arrivi addirittura a prendere le distanze dal comportamento di Benetton.

Per adesso le bocche sono cucite, ma è evidente la differenza di approccio concettuale allo store di Dfs e di Oma per capire che qualcosa non sta funzionando. Per quanto ci siano sempre state polemiche sull’uso commerciale dello spazio, Oma ha dichiarato di aver concepito il Fontego pensando alla fruizione da parte della cittadinanza. Dfs Group sembra invece essere più propensa a un luogo esclusivo, con un target di clienti chic. Oltre a queste ipotesi, ci sono dei fatti che attestano la marginalizzazione di Oma e che pongono degli interrogativi. Se il mandato iniziale prevedeva che Oma seguisse fino alla fine il recupero dei lavori, si dovrà spiegare come mai nessuno dell’entourage di Koolhaas può accedere al Fontego e che genere di interventi si stanno facendo all’interno, dato che non viene aperto da molto tempo per fare un punto sul restauro. Il rischio è che, se è vero che Benetton stia escludendo Oma, il risultato finale sia diverso da quello che i veneziani si attendono e da quello che Rem Koolhaas aveva ideato. Se così fosse, l’incomprensione tra le due star con il tempo potrebbe trasformarsi in materia per avvocati e lo Studio Oma dimostrare di essere stato usato e abbandonato.

I molti meriti di un documento di eccezionale rilievo che non arriva però «a condividere l’“ecologia profonda” teorizzata dagli ecofilosofi - per primo da Arne Naess - portatori di una critica radicale all’utilitarismo antropocentrico, oltre che al “pragmatismo utilitaristico”». Inviato a Comune.info e a eddyburg

Dopo mezzo secolo dalla Primavera silenziosa della Carson (1964), dai Limiti della crescita del Club di Roma (1968), dalle teorie sulla dinamica dei sistemi complessi di Bateson, di Capra e di Commoner, per non ricordare gli scafali ricolmi di studi delle agenzie scientifiche internazionali sul collasso dei principali cicli bio-geo-chimici del pianeta, le scienze ecologiche varcano i sacri sogli della Chiesa romana. L’enciclica di Bergoglio è innanzitutto un omaggio – esplicito in molti passaggi – alle scienze naturali e ai movimenti sociali che le hanno sorrette. La parte centrale è un meticoloso compendio di tutte le battaglie ecologiste in corso: “Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza” (§ 13, § 166). Il popolo ambientalista, quindi, non può che rallegrarsi ed entusiasmarsi nel constatare che un papa si preoccupa dei “corridoi ecologici”, del traffico automobilistico privato nelle città, della rotazione delle colture… solo per ricordare alcuni degli esempi tra i tanti trattati nell’enciclica Laudato sì. Irrisi come catastrofisti retrogradi, romantiche anime belle e via dicendo, è venuto il momento della rivincita per tutte quelle persone, quei comitati, quelle associazioni che hanno fatto della difesa della qualità dell’ambiente naturale e della salute la ragione principale del loro impegno civile. Il “saccheggio della natura” (§ 192) ha inghiottito l’umanità in una “spirale di autodistruzione” (§ 163). “Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia” (§ 161). “L’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia” (§ 165). “Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli” (§ 53). E potremmo continuare citando giudizi che non ammettono scuse sui “crimini contro la natura” (§ 8) commessi dagli umani contemporanei.

Ma c’è di più. Bergoglio va molto oltre il tradizionale ambientalismo in auge nei paesi ricchi e lo stesso movimento politico “verde” troppo spesso portatori di una visione della questione ecologica separata da quella sociale. Crisi ambientale e sofferenza degli esclusi, dei poveri, degli “scarti umani” sono visti dalla enciclica in “intima relazione” (§ 16). Ambiente umano e ambiente naturale si degradano o si salvano assieme.

Bergoglio sente la necessità di accostare sempre al sostantivo “ecologia” l’aggettivo “integrale”, nel doppio senso di ecologia integrata alle dimensioni umane e sociali e di ecologia opposta a quella “superficiale” (§ 59) di facciata, evasiva, che non incide sulle cause del degrado ambientale e che non tiene conto delle connessioni funzionali tra tutte le forme di vita del pianeta: “Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta” (§ 2). Biologia e Libro della Genesi sono in sintonia: “Noi stessi siamo terra”. Da qui la constatazione che: “L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune” (§ 164). Niente di meno che una “conversione ecologica globale”(§ 5) e una “conversione comunitaria” (§ 219) capaci di “eliminare le cause strutturali” del degrado ambientale che si trovano nelle relazioni sociali, nei comportamenti individuali, nel sistema normativo, nelle “forme del potere derivate dal paradigma tecno-economico” (§ 53) dominate e performante la cultura delle persone. Insomma, Bergoglio pensa che: “Ciò che sta accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale” (§ 114) che investe tutti i campi dell’agire umano e – prima ancora – della capacità del genere umano di pensarsi su questa terra, di dare un senso alla vita di ogni essere umano. “Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso” (§194).

Non sono richiesti piccoli aggiustamenti. Con buona pace dei sostenitori della green economy, delle smart cities e degli altri business verdi, Bergoglio sferra una spallata definitiva all’ambigua parola d’ordine della “crescita sostenibilità” che tiene banco nelle agenzie dello sviluppo economico da decenni: “La crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine” (§ 194). “Quando si parla di ‘uso sostenibile’ bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti” (§ 140). La valutazione degli impatti ambientali va svolta seriamente. Il principio di precauzione va applicato rigorosamente. “Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro” (§ 194). Non ci può essere compromesso tra i valori intrinseci degli esseri viventi (tutti: piante e animali non umani compresi) e loro valorizzazione economica, monetaria. Il dilemma tra salute e denaro a cui quotidianamente il sistema industriale costringe ognuno di noi come produttore o come consumatore o come abitante è respinto al mittente e risolto senza tentennamenti a favore della preservazione della vita.

Le forti e inedite parole del Papa sicuramente serviranno a scuotere molte centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, non solo tra i credenti cristiani, portandole a rafforzare le fila di quanti si battono per la giustizia ambientale e sociale, a partire dalle mobilitazioni in vista della Conferenza delle parti prevista a Parigi in dicembre per riscrivere il protocollo di Kioto. Ma - mi chiedo - riusciranno a far breccia anche nelle menti e nei cuori dei potenti della terra?

I repubblicani di Washington hanno già fatto sapere che lo stile di vita degli statunitensi non cambierà certo per le suggestioni che provocano le Laudi a Dio di un santo vissuto qualche secolo fa da questa parte dell’Atlantico ad Assisi. E temo che non si faranno commuovere nemmeno le plutocrazie finanziarie che tengono i fili dei governi nazionali attraverso il debito, il ricatto occupazionale, i media e quant’altro è in loro possesso. Non solo per la loro insensibilità etica e morale, ma perché penso che le tesi della enciclica, nonostante la loro novità e forza, siano ancora al di sotto del bisogno.

I punti di attacco che papa Bergoglio indica per avviare la necessaria “rivoluzione culturale” sono due: il superamento del “paradigma tecno-economico”, più e più volte nominato (§ 53), e la fuoriuscita dal “paradigma utilitaristico” (§ 215) dalla “ragione strumentale (individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole)” (§ 210). Il primo riguarda l’organizzazione politico-economica della società mondializzata, il secondo l’antropologia sociale. In tutti e due i casi il capo della Chiesa sembra non volere arrivare al nocciolo della questione e giungere a nominare la bestia che scatena l’apocalisse: la logica economica del capitalismo e il suo presupposto antropologico: l’individualismo possessivo dell’homo oeconomicus. Ho l’impressione che in alcuni discorsi precedenti e nella esortazione Evangelii Gaudium dello scorso anno (vedi Tornielli e Galeazzi, Papa Francesco. Questa economia uccide, Piemme, 2015), papa Bergoglio fosse andato più in là. Nella nuova enciclica vengono evidenziate le aporie fondamentali del mercato e delle tecno-scienze, ma non mi pare che se ne colga la loro origine nel sistema di relazioni sociali e umane che il capitalismo (mai nominato nell’enciclica, in nessuna delle sue forme più o meno liberiste) determina. E’ certo importantissimo affermare che: “L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente”. E che: “occorre evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui.” (§ 190). Ma la debolezza del ragionamento di Bergoglio sta nel non chiedere esplicitamente il superamento dei meccanismi di dominio che la concentrazione del potere economico determina sul genere umano. Bergoglio sembra molto più preoccupato dell’attività di una generica e impersonale “tecnocrazia” che non della plutocrazia che domina il mondo ai vertici di poche centinaia di multinazionali che controllano l’80% della produzione di ricchezza del pianeta. Non sono solo la “rendita finanziaria che soffoca l’economia reale” (§ 109), nemmeno il “profitto economico rapido” (§ 54) e il “consumismo compulsivo” (§ 203) che impediscono di transitare verso una società responsabile, più equa e armoniosa, ma i principi e le logiche stesse che reggono l’economia di mercato capitalistico: la mercificazione delle risorse naturali e l’alienazione del lavoro umano, l’accumulazione monetaria e la privatizzazione dei profitti, la concentrazione dei poteri. Senza queste precisazioni, senza nominare quali sono i gruppi ai vertici delle istituzioni economiche e finanziarie, private e pubbliche, che formano “la minoranza che detiene il potere” (§ 203), il sacrosanto bisogno di costruire “un’altra modalità di progresso e di sviluppo” (§ 191) rischia di rimanere una perorazione astratta.

Così come, sul versante più culturale, Bergoglio sembra volersi collocare a metà strada: oltre l’ambientalismo main stream, ma senza arrivare a condividere l’“ecologia profonda” teorizzata dagli ecofilosofi - per primo da Arne Naess - portatori di una critica radicale all’utilitarismo antropocentrico, oltre che al “pragmatismo utilitaristico” (§ 215). Bergoglio afferma che siamo in presenza di un “antropocentrismo deviato” (§ 119) e “dispotico” (§ 68), derivante da una cattiva interpretazione del Libro della Genesi. “Una interpretazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo. Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo (…). Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile” (§116). Una espressione molto vicina a quella che Gandhi usava per definire l’economia fiduciaria: trustee ship. “Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento” (§ 68). Ma, aggiunge Bergoglio: “Questo non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità”. Più avanti nella Laudato sì si chiarisce il concetto ancora più esplicitamente: “il pensiero cristiano rivendica per l’essere umano un peculiare valore al di sopra della altre creature” (§ 119). La preoccupazione della Chiesa romana continua ad essere quella di non “cedere il passo a un biocentrismo” (§ 118) e ad una “divinizzazione della terra” (§ 90), come fu già con Ratzinger che, nella Caritas in vertate, si scagliava contro gli “atteggiamenti neo pagani” di chi pensa che la natura sia un tabù intoccabile. Non si tratta, ovviamente, di adorare “lo frate sole”, “sora luna e le stelle”, “sor’aqua” e “frate focu”, ma di riconoscere – come fa la bioeconomia – che il sistema economico e sociale umano è un sottosistema dipendente da quello naturale. Trattare la biosfera con una certa sacralità non nuocerebbe affatto alla causa della sua conservazione.

La critica che Bergoglio muove all’antropocentrismo non arriva al superamento della visione gerarchica specista del creato. Quell’edificio a piramide ben descritto da Max Horkheimer (Crepuscolo, 1933) “la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale”. Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa, del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, c’è ancora scritto: “Credenti e non credenti sono generalmente d’accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come suo centro e a suo vertice”.

Nonostante notevolissimi passi avanti anche lessicali (il modo tradizionale di scrivere “uomo” in rappresentanza di tutta l’umanità è stato abolito a favore della locuzione “essere umano”, più rispettosa delle donne) e nonostante gli influssi di Francesco d’Assisi, l’“etica ecologica” e la “spiritualità ecologica” (§ 216) di Bergoglio, non si avvicinano ancora all’“etica della terra” auspicata da Aldo Leopol (Almanacco di un mondo semplice) e nemmeno al bio-umanesimo dei movimenti latinoamericani che hanno ispirato la costituzione dell’Ecuador e dotato Pacha Mama di diritti inviolabili.

La transizione dall’attuale economia predatoria alla auspicata “cultura della cura” (§ 231) dei beni comuni del creato e il superamento dei paradigmi tecno-economici oggi prevalenti (la crescita per la crescita, il consumismo come compensazione alla perdita di senso del lavoro) potranno avvenire solo se si abbatteranno le relazioni di potere asimmetriche che si determinano nei rapporti tra le persone: tra le ricche e le povere, tra quelle incluse ed quelle escluse, tra quelle libere e quelle subordinate. Democrazia è un’altra parola che non compare nell’enciclica. Eppure è difficile pensare ad un percorso di liberazione umana che non abbia la centro le istanze dell’autogoverno e dell’autodeterminazione, secondo l’incontenibile desiderio di libertà che vi è in ognuno essere umano. Un conflitto permanente è in corso. Va riconosciuto e aiutato, perché, ha ragione Bergoglio: “mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza” (§179).

Le buone pratiche di sostenibilità individuali e familiari sono prese in grande considerazione dalla enciclica. Per due motivi: primo, “La felice sobrietà (…) vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante” (§ 223, § 224), aiuta a diminuire le ansie competitive e a trovare il tempo per realizzare i propri autentici bisogni; secondo, creano “reti comunitarie” (§ 219) che aiutano a formare le trame di relazioni della nuova società. In questo contesto Bergoglio giunge anche a sperare che sia “arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti del mondo” (§ 193). Una decrescita vista solo in termini meramente redistributivi, anche se viene auspicato che possano sorgere “nuovi modelli di progresso (…) la qual cosa implica riflettere responsabilmente sul senso dell’economia e sulla sua finalità” (§ 194).

In definitiva, l’irruzione della questione ambientale nella Chiesa mette a nudo le contraddizioni di un sistema economico naturalmente insostenibile e umanamente insopportabile, per il carico di sofferenze e ingiustizie che comporta. Chiama cattolici e non ad attivarsi per superare le cause strutturali e culturali che determinano questo pericoloso stato di cose. Lascia aperte le porte per sperimentare le vie di uscita possibili. E non si potrebbe chiedere di più.

Una intelligente lettura di un'anciclica che non è solo "ambientalista, e tutt'altro che "green". A dispetto del titolista di la Repubblica (23 giugno) la definiremmo "rosso-verde"

AVRÀ un impatto anche politico la prima enciclica interamente attribuibile a papa Francesco,
Laudato si’ . Sembra confermarlo la diffusione anticipata a pochi giorni dalla sua presentazione pubblica, per alimentare le polemiche e ridurne l’impatto. Ma sarebbe sbagliato pensare che il testo condanni la proprietà privata o neghi la libertà della scienza. Lo caratterizza, invece, la scelta – che supera in audacia quella di Giovanni XXIII, la cui Pacem in terris era indirizzata a “tutti gli uomini di buona volontà” – di rivolgersi a tutti gli abitanti della Terra, di affrontare problemi che riguardano l’intero genere umano e di tracciare proposte di portata globale. Laudato si’ , insomma, è un Manifesto per l’umanità del XXI secolo a rischio di restare senza futuro. È la prima volta che un papa parla con tanta autorevolezza al mondo intero, non su questioni religiose ma su così tanti problemi di comune interesse.

Francesco, infatti, presenta l’ecologia come un problema che ne contiene molti altri e parla in questo senso di “ecologia integrale”. Ma segue una bussola che gli impedisce di disperdersi: insieme ai gemiti di sorella Terra, occorre ascoltare anche quelli dei fratelli poveri. Sono infatti questi che più subiscono le conseguenze più pesante della crisi ecologica, dall’uso distorto delle risorse idriche alle disuguaglianze crescenti, della mancanza di lavoro agli universi artificiosi creati dai mass media. Le grandi città del mondo sono ormai divise in aree nettamente separate, anche sotto il profilo ambientale, e coloro che abitano nell’area dei ricchi non sono in grado i capire veramente la portata della crisi ecologica attuale, di cui costituiscono una manifestazione impressionante le montagne di spazzatura dove vivono tanti poveri delle megalopoli extraeuropee. Ecco perché nei grandi incontri internazionali le questioni che li riguardano non vanno trattate come un’appendice dopo che sono stati affrontati tutti gli altri problemi: solo assumendo la prospettiva dei poveri si trovano le chiavi per risolverli.

Come si è detto, il papa si rivolge a tutti. Ma l’enciclica presenta un forte nucleo religioso. Francesco non lo colloca in apertura e non lo propone come la premessa da cui far discendere in via deduttiva le diverse argomentazioni. Lo inserisce piuttosto nel cuore dei problemi sottolineando che i cristiani – e in parte anche i credenti di altre religioni – hanno motivazioni forti per contrastare la crisi ecologica. Ciò in cui essi credono costituisce perciò – insieme ad altri apporti - una risorsa preziosa per tutti, nella resistenza contro quell’ideologia del dominio assoluto dell’uomo sull’ambiente che si ritorce contro l’uomo stesso. Ispirandosi a Romano Guardini, Francesco critica quell’idea di verità da cui è scaturito il mito di un progresso senza limiti e che egli ha spesso contrastato con lo slogan: “la realtà è superiore all’idea”. Nella corsa verso il dominio sulle cose, infatti, si è perso di vista il limite costituito dalla realtà: è ciò che definisce “relativismo pratico, ancora più pericoloso di quello teorico”. Nell’enciclica, però, Francesco non contrappone natura e cultura: insiste invece sulla necessità di un rapporto armonioso tra l’iniziativa dell’uomo e la realtà della creazione, tra l’umanità e l’ambiente.

Francesco non ruba il mestiere né agli intellettuali né ai politici. Ma nel vuoto che avverte intorno a sé rilancia vigorosamente l’esigenza espressa dalla Veritas in caritate di Benedetto XVI di intraprendere la strada di “un impegno inedito e creativo” per “conoscere ed orientare le imponenti nuove dinamiche” del mondo globalizzato. Il suo è un appello preoccupato. «Non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade» per rispondere alle necessità delle generazioni presenti senza compromettere quelle future. Ancora oggi la politica si sviluppa nell’orizzonte degli Stati nazionali o al massimo della loro proiezione transnazionale. Ma oggi i problemi sono globali, come conferma il dramma dell’immigrazione, uno dei problemi chiave di un’ecologia veramente umana. Ponendo la questione ecologica in termini tanto ampi, Francesco chiama tutti gli abitanti della Terra a sentirsi cittadini dello stesso spazio politico e le classi dirigenti di tutto il mondo ad assumersi responsabilità sconosciute ad altre epoche.

Deindustrializzazione e riuso delle superfici dismesse con l'intervento del privato salvatore della patria: il copione classico è rispettato, e alla società locale restano i cocci da mettere insieme. Corriere della Sera, 23 giugno 2015, postilla (f.b.)

Anche i luoghi hanno un’anima: quella di Arese palpita al ritmo di un sei cilindri. Erano 19 mila, ai tempi d’oro, le tute blu che entravano e uscivano dai cancelli dello stabilimento voluto nel 1962 da Giuseppe Luraghi alle porte di Milano. Da quando, nel 2002 qui si è smesso di produrre automobili si sono moltiplicati i progetti di riqualificazione. Ora, finalmente, il futuro prende forma. I primi di maggio è stata inaugurata senza clamori una pista di collaudo nuova di zecca dove si trovava il vecchio tracciato dell’Alfa Romeo. Accanto al percorso, due edifici firmati Michele De Lucchi dove si terranno, eventi, corsi di guida, presentazioni. Viste da lontano le due costruzioni appaiono come un’unica bandiera a scacchi che sventola sulla pianura.

Artefice del rilancio della pista è Marco Brunelli, il patron del gruppo Finiper. Fu Brunelli nei primi anni Duemila a rilevare i due milioni di metri quadrati dell’area. Il primo passo della riqualificazione ha coinvolto gli 86 mila metri quadrati della pista stessa. Entro marzo 2016 sarà completato il centro commerciale che cresce a vista d’occhio a breve distanza, anch’esso progettato da De Lucchi. Si arriva così a un milione di metri quadrati. Per il milione che resta si stanno valutando diverse opzioni. A oggi una parte dell’area ospita undicimila posti auto al servizio del sito di Expo, a pochi chilometri in linea d’aria. Poi non è escluso che quella che inizialmente sembrava dovesse diventare un’area residenziale alla fine abbia un altro destino.

Lui, Marco Brunelli, 88 anni, uno che ha fatto la storia della grande distribuzione in Italia, si aggira nei nuovi edifici con malcelato orgoglio. L’imprenditore è attento a ogni dettaglio. Anche uno spigolo troppo sporgente può essere di disturbo: «Non si può aggiustare? Potrebbe creare disagio a chi è di passaggio». Perché Brunelli vede ogni cosa con gli occhi degli appassionati di motori che verranno qui ad affondare il piede sull’acceleratore. E tutto deve essere perfetto, a regola d’arte.
Il genio deve stare proprio qui, nella capacità di entrare nei panni di chi si ha di fronte e di coglierne i bisogni. Grazie a questo dono negli anni Cinquanta Brunelli comprese tra i primi che il momento era arrivato per passare dai negozi ai supermercati. E oggi? «Oggi è cambiato tutto. Il vecchio supermercato è destinato a essere soppiantato da luoghi in cui il momento degli acquisti si mescola con lo sport, la cura di se stessi sia sul fronte della salute che su quello della bellezza», risponde Brunelli. Non a caso l’imprenditore ha affidato lo sviluppo di 1.500-2.000 mila metri quadrati all’interno del nuovo centro commerciale di Arese ad un importante complesso diagnostico. E a pensarci bene anche la pista, oggi gestita da Aci Vallelunga, potrebbe dialogare con la nuova struttura commerciale che aprirà i battenti nel marzo prossimo.

Spesa, corso di guida sicura e check up: nel fine settimana si può fare tutto insieme. In un unico luogo. Che poco ha a che fare con i centri commerciali vecchia maniera, spesso simili ad astronavi atterrate in mezzo alla città. Il nuovo edificio punta su materiali naturali, legno in primis, su tutti i 120 mila metri quadrati su due livelli che a lavori ultimati ospiteranno 230 negozi.
Come i piloti, anche Brunelli a suo modo ama il rischio. «L’acquisizione di questa area è stata una scommessa. Ora però dormo sonni tranquilli». Come dire: ogni business è un sorpasso azzardato, ma quando rientri in carreggiata tiri il fiato. Un brivido a cui Brunelli è abituato.

Fondatore di Esselunga insieme con Bernardo Caprotti nel ’57, Brunelli ha creato Finiper nel ’74 e nello stesso anno ha inaugurato il primo ipermercato italiano. Nell’84 si deve a lui la prima galleria commerciale. Oggi, con 26 ipermercati a insegna «Iper la grande I» e circa 170 supermercati, a nome Unes e U2, il gruppo genera un giro d’affari di 2,7 miliardi di euro l’anno ed è in utile a differenza di molte realtà del settore. Dà lavoro a novemila persone resistendo alla gelata dei consumi. «No, la crisi non è finita ma qualche segnale si vede - racconta Brunelli -. La gente, per esempio, sta tornando gradualmente a scegliere prodotti di qualità più alta. Ma basta poco, un evento sciagurato di cui si è avuto notizia alla tv, a bloccare la fiducia e svuotare i carrelli della spesa. Il fatturato ne risente subito». E allora meglio distrarsi. E tornare a sognare con un giro in pista.

postilla
A parte l’endorsement istituzionale del quotidiano vicino alla Fiat, per il «felice epilogo» della vicenda ex Alfa, volata via coi suoi posti di lavoro verso lontani lidi globalizzati, qui andrebbe davvero sottolineato sino a che punto il copione del salvatore della patria a colpi di ovvietà vetuste appaia consunto: automobili, parcheggi, monocoltura commerciale, ovvero la predisposizione di tutto quanto prepara a nuove dismissioni probabili, in tempi a discrezione degli operatori. Resilienza urbana, in senso sociale, economico, ambientale, neppure parlarne, sarà di certo «economicamente insostenibile». Così ci teniamo l’ennesimo baraccone ottenuto a colpi di ennesimi ricatti, con la minaccia di mantenere eterni deserti urbani, a cui tutto è ovviamente preferibile, invece di delineare qualcosa di un po’ più simile a un quartiere metropolitano mixed-use (veramente multifunzionale, non molti negozi), con la speranza di restare tale, vitale, resiliente. In altra parte del giornale, qualcuno nota come la Città Metropolitana, che magari a regime avrebbe potuto contare un po’ di più sulla qualità di quella riqualificazione, sia nata morta, colpevolmente abbandonata dal Governo. There Is No Alternative? (f.b.)

Il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2015

Dissero che era colpa del destino cinico e baro, che i piloni del viadotto Himera sull’autostrada tra Palermo e Catania avevano ceduto a causa degli smottamenti causati dalle piogge torrenziali e quindi non era assolutamente possibile prevedere il repentino evento in modo da evitare il disastro. E che in ogni caso la faccenda non riguardava l’Anas. Non era vero niente. Il vertice della società stradale, a cominciare dal presidente di allora, Pietro Ciucci, e compresa la prima linea tecnica che gli faceva corona e che è rimasta al suo posto con il nuovo presidente ed amministratore Gianni Armani, sapevano benissimo che quel ponte era a rischio, ma non fecero assolutamente nulla per metterlo in sicurezza. Il risultato è che dal 10 aprile il viadotto è chiuso, impraticabile, l’autostrada in quel tratto non percorribile e la Sicilia spaccata in due dal punto di vista automobilistico. La situazione è così grave e destinata a durare a lungo che per unire le due importanti città le Ferrovie hanno deciso di impiegare sette treni in più al giorno.

Le gravi responsabilità dell’Anas emergono chiaramente dal rapporto di un gruppo di tecnici incaricati di fare chiarezza sull’accaduto dal ministro dei Trasporti, Graziano Delrio. I tecnici sono gli ingegneri Salvatore Acampora, Giovanni Coppola, Carlo Ricciardi e Andrea Tumbiolo. Dopo un’indagine accurata i quattro hanno consegnato al ministro un documento molto dettagliato di un centinaio di pagine che è un severo atto d’accusa nei confronti dell’ex presidente Ciucci e del vertice Anas. Le conclusioni non lasciano spazio a dubbi: «L’Anas era in possesso degli elementi atti ad avere la consapevolezza della esistenza, entità e gravità del fenomeno di dissesto e delle criticità geologiche sin dalla definizione della scelta di progetto ed era a conoscenza dell’aggravio della situazione dal 2005». Detto in parole più semplici: l’Anas sapeva fin dal momento della costruzione del viadotto all’inizio degli anni Settanta che c’erano movimenti franosi gravi in atto, ma fecero finta di niente. Peggio: nel 2005, quando le condizioni complessive si aggravarono tanto da far temere il crollo, i responsabili dell’azienda pubblica delle strade fecero di nuovo orecchie da mercante.

Ciucci diventò presidente Anas l’anno successivo ed è rimasto in carica per circa un decennio fino alle dimissioni forzate a metà maggio 2015: in tutto questo tempo non ha mosso foglia per il viadotto Himera. E invece era suo dovere intervenire. A disastro avvenuto l’allora presidente si giustificò dicendo che avrebbero dovuto provvedere altri, a cominciare dalla Protezione civile. Il rapporto ministeriale sostiene esattamente l’opposto: «L’Anas aveva l’onere di intervenire in quanto soggetto cui spetta la gestione e la manutenzione delle infrastrutture autostradali in gestione diretta e, di conseguenza, aveva l’obbligo di vigilare sull’efficienza e salvaguardia di tali opere».

Il disastro dell’Himera purtroppo non è isolato. In Sicilia soprattutto, ma anche in molte altre parti d’Italia, al sud in particolare, le strade, i ponti e i viadotti, segnatamente quelli costruiti dalla Cassa del Mezzogiorno, stanno letteralmente cadendo a pezzi. E’ un fatto gravissimo, ma assolutamente non imprevedibile. I tecnici Anas delle gestioni precedenti a quella di Ciucci sapevano che quelle opere stavano arrivando a fine corsa e per questo cercavano di curarle con una manutenzione costante. Con Ciucci cambiò tutto. Ossessionato dai tagli dei nastri e dalle grandi opere, l’ormai ex presidente mise la manutenzione in terza fila. I tecnici che più gli sono stati vicini hanno condiviso con lui questa scelta. Uscito di scena il capo, sono rimasti tutti ai loro posti.

A cominciare da Michele Adiletta ingegnere specializzato in aeronautica che conserva il compito di responsabile della manutenzione delle strade Anas. Sopra Adiletta c’è Alfredo Bajocon direttore generale tecnico, ex Stretto di Messina, ex Toto costruzioni dove si occupava di nuove opere, ma a corto pure lui di competenze inerenti la manutenzione. Sul suo curriculum pesano i crolli e i monumentali fallimenti sulla Salerno-Reggio Calabria. Il vicedirettore esercizio e coordinamento del territorio, Roberto Mastrangelo, è laureato in ingegneria meccanica, quindi anche lui non ha competenze specifiche in geologia, geotecnica, frane, fondazioni, asfalti e cemento armato. Ancora: Stefano Caroselli fu assunto da Ciucci il primo gennaio 2014 per seguire le manutenzioni straordinarie, anche se nel suo curriculum ufficiale non sono segnalate precedenti e specifiche attività in materia.

Al suo posto resta pure Ugo Dibennardo, direttore centrale progettazione e per anni direttore regionale proprio in Sicilia, la regione del viadotto Himera e del record di crolli e strade interrotte. E non ha mosso un passo neanche Salvatore Tonti, il direttore regionale attuale della Sicilia, il tecnico che aveva negato di essere a conoscenza dei pericoli incombenti sull’Himera. Ai tempi di Ciucci era stato pure premiato per gli eccellenti risultati ottenuti sulla Salerno-Reggio.

Il testo dell'enciclica"Laudato si', Cura della casa comune", bozza da l'Espresso online, in calce l'indice e i file scaricabili in formato .doc e .pdf


Premessa

Forse è giusto che sia così. C’è grande sofferenza nel mondoper le conseguenze inumane d’un sistema economico-sociale perverso edistruttivo (quello capitalistico giunto nella sua ultima incarnazione, quelladel “neoliberismo”), e c’è una grandeattesa di una nuova politica: d’una politica capace di modificare dalle radiciquesto sistema. Ma la politica politicante non dà risposte convincenti a questeattese, e le speranza si rovesciano in disperazione,le sofferenze in rabbia, leattese in indifferenza. La politica dei partiti non sa dire più niente, nonsa delineare un’analisi comprensiva e una visione strategica condivisibile.

Forse è giusto che le risposte vengano da dimensioni delpensiero umano diverse dalla politica, e da una cultura che non resta racchiusanell'ambito di quella della civiltà di matrice giudaico-greco-romana, ma da unbacino culturale che comprende le civiltà di tutti i continenti.

Oggi sembra che sia un papa, papa Borgoglio, a fornire un' analisi e una visione strategica capaci d’indicare strade nuove: nonsolo ricette per sopravvivere e per mitigare gli effetti del danno, ma un’analisi e una visione che ne indicano le radici e segnalano la necessità disvellerle. Questa è la lettura che crediamo si debba dare dell’enciclica “cura della casa comune”.

C’è indubbiamente molto da discutere sui contenuti di queltesto, nella parte che appartiene al campo delle argomentazioni proprie di unpensiero laico. Ma c’è moltissimo da condividere, e da approfondire e declinarein toni diversi da quello di papa Francesco. Ci proveremo a farlo, ma per ora cilimitiamo a fornire ai nostri lettori la possibilità di leggere il testo, e diriflettere su di esso.

Dall’originario formato immagine (.pdf) lo abbiamo tradotto in formato di testo (.doc, rendendoli entrambiscaricabili. E tentiamo anche di inserire il testo "in chiaro" nei documentidirettamente leggibili nelle pagine di eddyburg. Precisiamo che il testo chepresentiamo è quello reso pubblico dall’Espresso online, e che in eddyburg loabbiamo depurato dalle note a pie' di pagina, che invece trovate nel testo in formato.pdf.
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LETTERA ENCICLICA SULLA CURA DELLA CASA COMUNE
1. « Laudato si’, mi’ Signore », cantavasan Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casacomune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e comeuna madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: « Laudato si’, mi’ Signore,per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et producediversi fructi con coloriti flori et herba ».
2. Questa sorella protesta per il male che leprovochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio haposto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari edominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umanoferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamonel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra ipoveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra,che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noistessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituitodagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la suaacqua ci vivifica e ristora.
Niente di questo mondo ci risultaindifferente
3. Più di cinquant’anni fa, mentre il mondovacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisseun’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensìvolle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem interris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva «nonché a tutti gliuomini di buona volontà». Adesso, di fronte al deterioramento globaledell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta. Nellamia Esortazione Evangelii gaudium, ho scritto ai membri della Chiesa permobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere. In questaEnciclica, mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardoalla nostra casa comune.
4. Otto anni dopo la Pacem in terris, nel1971, il beato Papa Paolo VI si riferì alla problematica ecologica,presentandola come una crisi che è «una conseguenza drammatica» dell’attivitàincontrollata dell’essere umano: «Attraverso uno sfruttamento sconsideratodella natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima disiffatta degradazione».Parlò anche alla FAO della possibilità, «sotto l’effettodi contraccolpi della civiltà industriale, di [...] una vera catastrofeecologica», sottolineando «l’urgenza e la necessità di un mutamento radicalenella condotta dell’umanità», perché «i progressi scientifici piùstraordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica piùprodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale,si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo».
5. SanGiovanni Paolo II si è occupato di questo tema con un interesse crescente.Nella sua prima Enciclica, osservò che l’essere umano sembra «nonpercepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli cheservono ai fini di un immediato uso e consumo». Successivamente invitò ad una conversioneecologica globale.Ma nello stesso tempo fece notare che si mette pocoimpegno per «salvaguardare le condizioni morali di un’autentica ecologiaumana». Ladistruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dioha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa vita èun dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspirazionea curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli « stilidi vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate dipotere che oggi reggono le società ». L’autentico sviluppo umano possiede un caratteremorale e presuppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestareattenzione anche al mondo naturale e «tener conto della natura di ciascunessere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato».Pertanto, lacapacità dell’essere umano di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla basedella prima originaria donazione delle cose da parte di Dio.
Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondorichiede di cambiare profondamente gli «stili di vita, i modelli di produzionee di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». L’autenticosviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispettodella persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e«tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in unsistema ordinato». Pertanto, la capacità dell’essere umano di trasformare la realtàdeve svilupparsi sulla base della prima originaria donazione delle cose daparte di Dio.
Il mio predecessore Benedetto XVI ha rinnovatol’invito a «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economiamondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci digarantire il rispetto dell’ambiente». Ha ricordato che il mondo non può essereanalizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché «il libro della natura èuno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia,le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della naturaè strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana»
Uniti da una stessapreoccupazione
7. Questi contributi dei Papi raccolgono lariflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazionisociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni. Nonpossiamo però ignorare che anche al di fuori della Chiesa Cattolica, altreChiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato unaprofonda preoccupazione e una preziosa riflessione su questi temi che stanno acuore a tutti noi. Per citare solo un esempio particolarmente significativo,voglio riprendere brevemente parte del contributo del caro Patriarca EcumenicoBartolomeo, con il quale condividiamo la speranza della piena comunioneecclesiale.
8. Il Patriarca Bartolomeo si è riferitoparticolarmente alla necessità che ognuno si penta del proprio modo dimaltrattare il pianeta, perché «nella misura in cui tutti noi causiamo piccolidanni ecologici», siamo chiamati a riconoscere « il nostro apporto, piccolo ogrande, allo stravolgimento e alla distruzione dell’ambiente».Su questo punto,egli si è espresso ripetutamente in maniera ferma e stimolante, invitandoci ariconoscere i peccati contro la creazione: «Che gli esseri umani distruggano ladiversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettanol’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliandola terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gliesseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati».Perché «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccatocontro Dio».
9. Allo stesso tempo Bartolomeo ha richiamatol’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ciinvitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamentodell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci haproposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità,dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che «significa impararea dare, e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare, di passaregradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. Èliberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza». Noicristiani, inoltre, siamo chiamati ad «accettare il mondo come sacramento dicomunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scalaglobale. È nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nelpiù piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persinonell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta».
San Francesco d’Assisi
10. Non voglio procedere in questa Enciclicasenza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guidae come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo cheFrancesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di unaecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il santo patrono ditutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche damolti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso lacreazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per lasua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico eun pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio,con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a chepunto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso ipoveri, l’impegno nella società e la pace interiore.
11. La sua testimonianza ci mostra anche chel’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono illinguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenzadell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni voltache Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la suareazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Eglientrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «liinvitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione ».La suareazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcoloeconomico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui convincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tuttociò che esiste. Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, «considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo dipietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nomedi fratello o sorella». Questa convinzione non può essere disprezzata come unromanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano ilnostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questaapertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggiodella fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostriatteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del merosfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoiinteressi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tuttociò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. Lapovertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamenteesteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà unmero oggetto di uso e di dominio.
12. D’altra parte, san Francesco, fedele allaScrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nelquale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della suabontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia sicontempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e divinitàvengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere dalui compiute» (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento silasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero leerbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare ilpensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che unproblema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia enella lode.
Il mio appello
13. La sfida urgente di proteggere la nostracasa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nellaricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cosepossono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nelsuo progetto di amore, non si pente di averci crea to. L’umanità ha ancora lacapacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimerericonoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariatisettori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione dellacasa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano convigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nellavita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi sidomandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senzapensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.
14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare ildialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamobisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale cheviviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimentoecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita anumerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza.Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientalesono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche daldisinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione,anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, allarassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamobisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi delSudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari perriparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio».Tutti possiamocollaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con lapropria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.
15. Spero che questa Lettera enciclica, che siaggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere lagrandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. In primoluogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisiecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientificaoggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base diconcretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questapanoramica, riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizionegiudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza al nostro impegno perl’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, inmodo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Cosìpotremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri ilposto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazionicon la realtà che lo circonda. Alla luce di tale riflessione vorrei fare unpasso avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano siaognuno di noi, sia la politica internazionale. Infine, poiché sono convinto cheogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporròalcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperienza spiritualecristiana.
16. Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematicapropria e una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuovaprospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Questoriguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica.Per esempio: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; laconvinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovoparadigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito acercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio diogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sincerie onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; lacultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. Questi temi nonvengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti.
CAPITOLO PRIMO: QUELLOCHE STA ACCADENDO ALLA NOSTRA CASA
17. Le riflessioniteologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possonosuonare come un messaggio ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente apartire da un confronto con il contesto attuale, in ciò che ha di inedito perla storia dell’umanità. Per questo, prima di riconoscere come la fede apportanuove motivazioni ed esigenze di fronte al mondo del quale facciamo parte,propongo di soffermarci brevemente a considerare quello che sta accadendo allanostra casa comune.
18. La continuaaccelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta si unisce oggiall’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro, in quella che in spagnoloalcuni chiamano “rapidación” (rapidizzazione). Benché il cambiamentofaccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le azioniumane gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzionebiologica. A ciò si aggiunge il problema che gli obiettivi di questocambiamento veloce e costante non necessariamente sono orientati al bene comunee a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale. Il cambiamento è qualcosa diauspicabile, ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondoe della qualità della vita di gran parte dell’umanità.
19. Dopo un tempo difiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane, una parte dellasocietà sta entrando in una fase di maggiore consapevolezza. Si avverte unacrescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e maturauna sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostropianeta. Facciamo un percorso, che sarà certamente incompleto, attraversoquelle questioni che oggi ci provocano inquietudine e che ormai non possiamopiù nascondere sotto il tappeto. L’obiettivo non è di raccogliere informazionio saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osaretrasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e cosìriconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare.
I.INQUINAMENTO E CAMBIAMENTI CLIMATICI
Inquinamento, rifiuti ecultura dello scarto
20. Esistono forme diinquinamento che colpiscono quotidianamente le persone. L’esposizione agliinquinanti atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, inparticolare dei più poveri, e provocano milioni di morti premature. Ci siammala, per esempio, a causa di inalazioni di elevate quantità di fumo prodottodai combustibili utilizzati per cucinare o per riscaldarsi. A questo siaggiunge l’inquinamento che colpisce tutti, causato dal trasporto, dai fumidell’industria, dalle discariche di sostanze che contribuisconoall’acidificazione del suolo e dell’acqua, da fertilizzanti, insetticidi,fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in generale. La tecnologia che,legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fattonon è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono trale cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri.
21. C’è da considerareanche l’inquinamento prodotto dai rifiuti, compresi quelli pericolosi presentiin diversi ambienti. Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiutil’anno, molti dei quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali,detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiutialtamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsisempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta,gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaionosommersi da spazzatura. Tanto i rifiuti industriali quanto i prodotti chimiciutilizzati nelle città e nei campi, possono produrre un effetto dibio-accumulazione negli organismi degli abitanti delle zone limitrofe, che siverifica anche quando il livello di presenza di un elemento tossico in un luogoè basso. Molte volte si prendono misure solo quando si sono prodotti effettiirreversibili per la salute delle persone.
22. Questi problemi sonointimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseriumani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura.Rendiamoci conto, per esempio, che la maggior parte della carta che si produceviene gettata e non riciclata. Stentiamo a riconoscere che il funzionamentodegli ecosistemi naturali è esemplare: le piante sintetizzano sostanzenutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimentano icarnivori, che forniscono importanti quantità di rifiuti organici, i qualidanno luogo a una nuova generazione di vegetali. Al contrario, il sistemaindustriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppatola capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancorariusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorseper tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimol’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzarel’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare talequestione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisceper danneggiare il pianeta intero, ma osserviamo che i progressi in questadirezione sono ancora molto scarsi.
Il clima come benecomune
23. Il clima è un benecomune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complessoin relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste unconsenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di unpreoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, taleriscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello delmare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento deglieventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possaattribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomenoparticolare. L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità dicambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questoriscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano. Èvero che ci sono altri fattori (quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbitae dell’asse terrestre, il ciclo solare), ma numerosi studi scientifici indicanoche la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovutaalla grande concentrazione di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido diazoto ed altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana. La loroconcentrazione nell’atmosfera impedisce che il calore dei raggi solari riflessidalla terra si disperda nello spazio. Ciò viene potenziato specialmente dalmodello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili, che staal centro del sistema energetico mondiale. Ha inciso anche l’aumento dellapratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione perfinalità agricola.
24. A sua volta, ilriscaldamento ha effetti sul ciclo del carbonio. Crea un circolo vizioso cheaggrava ancora di più la situazione e che inciderà sulla disponibilità dirisorse essenziali come l’acqua potabile, l’energia e la produzione agricoladelle zone più calde, e provocherà l’estinzione di parte della biodiversità delpianeta. Lo scioglimento dei ghiacci polari e di quelli d’alta quota minacciala fuoriuscita ad alto rischio di gas metano, e la decomposizione della materiaorganica congelata potrebbe accentuare ancora di più l’emissione di anidridecarbonica. A sua volta, la perdita di foreste tropicali peggiora le cose,giacché esse aiutano a mitigare il cambiamento climatico. L’inquinamentoprodotto dall’anidride carbonica aumenta l’acidità degli oceani e compromettela catena alimentare marina. Se la tendenza attuale continua, questo secolopotrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di unadistruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tuttinoi. L’innalzamento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni diestrema gravità se si tiene conto che un quarto della popolazione mondiale vivein riva al mare o molto vicino ad esso, e la maggior parte delle megalopolisono situate in zone costiere.
25. I cambiamenti climaticisono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali,economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principalisfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadrannonei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo. Molti poveri vivono inluoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loromezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e daicosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorseforestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse chepermettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte asituazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela.Per esempio, i cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali evegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca lerisorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrarecon grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli. È tragicol’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale,i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali eportano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa.Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, cheaccadono tuttora in diverse parti del mondo. La mancanza di reazioni di frontea questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quelsenso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni societàcivile.
26. Molti di coloro chedetengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsisoprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo diridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomiindicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo congli attuali modelli di produzione e di consumo. Perciò è diventato urgente eimpellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione dianidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente,ad esempio, sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energiarinnovabile. Nel mondo c’è un livello esiguo di accesso alle energie pulite erinnovabili. C’è ancora bisogno di sviluppare tecnologie adeguate diaccumulazione. Tuttavia, in alcuni Paesi ci sono stati progressi che comincianoad essere significativi, benché siano lontani dal raggiungere una proporzioneimportante. Ci sono stati anche alcuni investimenti in modalità di produzione edi trasporto che consumano meno energia e richiedono minore quantità di materieprime, come pure in modalità di costruzione o ristrutturazione di edifici chene migliorino l’efficienza energetica. Ma queste buone pratiche sono lontanedal diventare generali.
II.LA QUESTIONE DELL’ACQUA
27. Altri indicatoridella situazione attuale sono legati all’esaurimento delle risorse naturali.Conosciamo bene l’impossibilità di sostenere l’attuale livello di consumo deiPaesi più sviluppati e dei settori più ricchi delle società, dove l’abitudinedi sprecare e buttare via raggiunge livelli inauditi. Già si sono superaticerti limiti massimi di sfruttamento del pianeta, senza che sia stato risoltoil problema della povertà.
28. L’acqua potabile epulita rappresenta una questione di primaria importanza, perché èindispensabile per la vita umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri eacquatici. Le fonti di acqua dolce riforniscono i settori sanitari,agropastorali e industriali. La disponibilità di acqua è rimasta relativamentecostante per lungo tempo, ma ora in molti luoghi la domanda supera l’offertasostenibile, con gravi conseguenze a breve e lungo termine. Grandi città,dipendenti da importanti riserve idriche, soffrono periodi di carenza dellarisorsa, che nei momenti critici non viene amministrata sempre con una adeguatagestione e con imparzialità. La povertà di acqua pubblica si ha specialmente inAfrica, dove grandi settori della popolazione non accedono all’acqua potabilesicura, o subiscono siccità che rendono difficile la produzione di cibo. Inalcuni Paesi ci sono regioni con abbondanza di acqua, mentre altre patisconouna grave carenza.
29. Un problemaparticolarmente serio è quello della qualità dell’acqua disponibile per ipoveri, che provoca molte morti ogni giorno. Fra i poveri sono frequenti lemalattie legate all’acqua, incluse quelle causate da microorganismi e dasostanze chimiche. La dissenteria e il colera, dovuti a servizi igienici eriserve di acqua inadeguati, sono un fattore significativo di sofferenza e dimortalità infantile. Le falde acquifere in molti luoghi sono minacciatedall’inquinamento che producono alcune attività estrattive, agricole eindustriali, soprattutto in Paesi dove mancano una regolamentazione e deicontrolli sufficienti. Non pensiamo solamente ai rifiuti delle fabbriche. Idetergenti e i prodotti chimici che la popolazione utilizza in molti luoghi delmondo continuano a riversarsi in fiumi, laghi e mari.
30. Mentre la qualità dell’acquadisponibile peggiore costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza aprivatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggidel mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un dirittoumano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenzadelle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri dirittiumani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hannoaccesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il dirittoalla vita radicato nella loro inalienabile dignità. Questo debito si saldain parte con maggiori contributi economici per fornire acqua pulita e servizidi depurazione tra le popolazioni più povere. Però si riscontra uno spreco diacqua non solo nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo chepossiedono grandi riserve. Ciò evidenzia che il problema dell’acqua è in parteuna questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza dellagravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità.
31. Una maggiorescarsità di acqua provocherà l’aumento del costo degli alimenti e di variprodotti che dipendono dal suo uso. Alcuni studi hanno segnalato il rischio disubire un’acuta scarsità di acqua entro pochi decenni se non si agisce conurgenza. Gli impatti ambientali potrebbero colpire miliardi di persone, ed’altra parte è prevedibile che il controllo dell’acqua da parte di grandiimprese mondiali si trasformi in una delle principali fonti di conflitto diquesto secolo.
III. PERDITA DIBIODIVERSITÀ
32. Anche le risorsedella terra vengono depredate a causa di modi di intendere l’economia el’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. Laperdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie chepotrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo perl’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi. Lediverse specie contengono geni che possono essere risorse-chiave per risponderein futuro a qualche necessità umana o per risolvere qualche problemaambientale.
33. Ma non basta pensarealle diverse specie solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando chehanno un valore in sé stesse. Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetalie animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potrannovedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni chehanno a che fare con qualche attività umana. Per causa nostra, migliaia dispecie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarciil proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto.
34. Probabilmente citurba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, perla loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sononecessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili el’innumerevole varietà di microorganismi. Alcune specie poco numerose, che disolito passano inosservate, giocano un ruolo critico fondamentale perstabilizzare l’equilibrio di un luogo. È vero che l’essere umano deveintervenire quando un geosistema entra in uno stadio critico, ma oggi illivello di intervento umano in una realtà così complessa come la natura è tale,che i costanti disastri causati dall’essere umano provocano un suo nuovointervento, in modo che l’attività umana diventa onnipresente, con tutti irischi che questo comporta. Si viene a creare un circolo vizioso in cuil’intervento dell’essere umano per risolvere una difficoltà molte volte aggravaulteriormente la situazione. Per esempio, molti uccelli e insetti che siestinguono a motivo dei pesticidi tossici creati dalla tecnologia, sono utilialla stessa agricoltura, e la loro scomparsa dovrà essere compensata con unaltro intervento tecnologico che probabilmente porterà nuovi effetti nocivi.Sono lodevoli e a volte ammirevoli gli sforzi di scienziati e tecnici checercano di risolvere i problemi creati dall’essere umano. Maosservando il mondo notiamo che questo livello di intervento umano, spesso alservizio della finanza e del consumismo, in realtà fa sì che la terra in cuiviviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia, mentrecontemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle offerte di consumocontinua ad avanzare senza limiti. In questo modo, sembra che ci illudiamo dipoter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altracreata da noi.
35. Quando si analizzal’impatto ambientale di qualche iniziativa economica , si è soliti consideraregli effetti sul suolo, sull’acqua e sull’aria, ma non sempre si include unostudio attento dell’impatto sulla biodiversità, come se la perdita di alcunespecie o di gruppi animali o vegetali fosse qualcosa di poco rilevante. Lestrade, le nuove colture, le recinzioni, i bacini idrici e altre costruzioni,vanno prendendo possesso degli habitat e a volte li frammentano in modo taleche le popolazioni animali non possono più migrare né spostarsi liberamente,cosicché alcune specie vanno a rischio di estinzione. Esistono alternative chealmeno mitigano l’impatto di queste opere, come la creazione di corridoibiologici, ma in pochi Paesi si riscontra tale cura e tale attenzione. Quandosi sfruttano commercialmente alcune specie, non sempre si studia la loromodalità di crescita, per evitare la loro eccessiva diminuzione con ilconseguente squilibrio dell’ecosistema.
36. La cura degliecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quandosi cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessaveramente la loro preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuriaegoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si puòottenere. Nel caso della perdita o del serio danneggiamento di alcune specie,stiamo parlando di valori che eccedono qualunque calcolo. Per questo, possiamoessere testimoni muti di gravissime inequità quando si pretende di ottenereimportanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura, glialtissimi costi del degrado ambientale.
37. Alcuni Paesi hannofatto progressi nella conservazione efficace di determinati luoghi e zone –sulla terra e negli oceani – dove si proibisce ogni intervento umano che possamodificarne la fisionomia o alterarne la costituzione originale. Nella curadella biodiversità, gli specialisti insistono sulla necessità di porre unaspeciale attenzione alle zone più ricche di varietà di specie, di specieendemiche, poco frequenti o con minor grado di protezione efficace. Ci sonoluoghi che richiedono una cura particolare a motivo della loro enormeimportanza per l’ecosistema mondiale, o che costituiscono significative riservedi acqua e così assicurano altre forme di vita.
38. Ricordiamo, peresempio, quei polmoni del pianeta colmi di biodiversità che sono l’Amazzonia eil bacino fluviale del Congo, o le grandi falde acquifere e i ghiacciai. È bennota l’importanza di questi luoghi per l’insieme del pianeta e per il futurodell’umanità. Gli ecosistemi delle foreste tropicali hanno una biodiversità digrande complessità, quasi impossibile da conoscere completamente, ma quandoqueste foreste vengono bruciate o rase al suolo per accrescere le coltivazioni,in pochi anni si perdono innumerevoli specie, o tali aree si trasformano inaridi deserti. Tuttavia, un delicato equilibrio si impone quando si parla diquesti luoghi, perché non si possono nemmeno ignorare gli enormi interessieconomici internazionali che, con il pretesto di prendersene cura, possonomettere in pericolo le sovranità nazionali. Di fatto esistono «proposte diinternazionalizzazione dell’Amazzonia, che servono solo agli interessieconomici delle multinazionali». È lodevole l’impegno di organismiinternazionali e di organizzazioni della società civile che sensibilizzano lepopolazioni e cooperano in modo critico, anche utilizzando legittimi meccanismidi pressione, affinché ogni governo adempia il proprio e non delegabile doveredi preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senzavendersi a ambigui interessi locali o internazionali.
39. Neppure lasostituzione della flora selvatica con aree piantate a bosco, che generalmentesono monocolture, è solitamente oggetto di un’adeguata analisi. In realtà essapuò colpire gravemente una biodiversità che non è albergata dalle nuove specieche si piantano. Anche le zone umide, che vengono trasformate in terrenoagricolo, perdono l’enorme biodiversità che ospitavano. In alcune zone costiereè preoccupante la scomparsa degli ecosistemi costituiti da mangrovie.
40. Gli oceani non solocontengono la maggior parte dell’acqua del pianeta, ma anche la maggior partedella vasta varietà di esseri viventi, molti dei quali ancora a noi sconosciutie minacciati da diverse cause. D’altra parte, la vita nei fiumi, nei laghi, neimari e negli oceani, che nutre gran parte della popolazione mondiale, si vedecolpita dal prelievo incontrollato delle risorse ittiche, che provocadiminuzioni drastiche di alcune specie. Ancora si continua a svilupparemodalità selettive di pesca che scartano gran parte delle specie raccolte. Sonoparticolarmente minacciati organismi marini che non teniamo in considerazione,come certe forme di plancton che costituiscono una componente moltoimportante nella catena alimentare marina, e dalle quali dipendono, indefinitiva, specie che si utilizzano per l’alimentazione umana.
41. Addentrandoci neimari tropicali e subtropicali, incontriamo le barriere coralline, checorrispondono alle grandi foreste della terraferma, perché ospitanoapprossimativamente un milione di specie, compresi pesci, granchi, molluschi,spugne, alghe. Molte delle barriere coralline del mondo oggi sono sterili osono in continuo declino: «Chi ha trasformato il meraviglioso mondo marino incimiteri subacquei spogliati di vita e di colore?». Questo fenomeno è dovuto in gran parteall’inquinamento che giunge al mare come risultato della deforestazione, dellemonoculture agricole, dei rifiuti industriali e di metodi distruttivi di pesca,specialmente quelli che utilizzano il cianuro e la dinamite. È aggravatodall’aumento della temperatura degli oceani. Tutto questo ci aiuta a capirecome qualunque azione sulla natura può avere conseguenze che non avvertiamo aprima vista, e che certe forme di sfruttamento delle risorse si ottengono acosto di un degrado che alla fine giunge fino in fondo agli oceani.
42. È necessarioinvestire molto di più nella ricerca, per comprendere meglio il comportamentodegli ecosistemi e analizzare adeguatamente le diverse variabili di impatto diqualsiasi modifica importante dell’ambiente. Poiché tutte le creature sonoconnesse tra loro, di ognuna dev’essere riconosciuto il valore con affetto eammirazione, e tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri.Ogni territorio ha una responsabilità nella cura di questa famiglia, per cuidovrebbe fare un accurato inventario delle specie che ospita, in vista disviluppare programmi e strategie di protezione, curando con particolareattenzione le specie in via di estinzione.
IV.DETERIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA UMANA E DEGRADAZIONE SOCIALE
43. Se teniamo conto delfatto che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto avivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamotralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modellodi sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone.
44. Oggi riscontriamo,per esempio, la smisurata e disordinata crescita di molte città che sonodiventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo perl’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma anche per il caos urbano,i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico. Molte città sonograndi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Cisono quartieri che, sebbene siano stati costruiti di recente, sonocongestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice adabitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto,vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura.
45. In alcuni luoghi,rurali e urbani, la privatizzazione degli spazi ha reso difficile l’accesso deicittadini a zone di particolare bellezza; altrove si sono creati quartieriresidenziali “ecologici” solo a disposizione di pochi, dove si fa in modo dievitare che altri entrino a disturbare una tranquillità artificiale. Spesso sitrova una città bella e piena di spazi verdi ben curati in alcune aree“sicure”, ma non altrettanto in zone meno visibili, dove vivono gli scartatidella società.
46. Tra le componentisociali del cambiamento globale si includono gli effetti occupazionali dialcune innovazioni tecnologiche, l’esclusione sociale, la disuguaglianza nelladisponibilità e nel consumo dell’energia e di altri servizi, la frammentazionesociale, l’aumento della violenza e il sorgere di nuove forme di aggressivitàsociale, il narcotraffico e il consumo crescente di droghe fra i più giovani,la perdita di identità. Sono segni, tra gli altri, che mostrano come lacrescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti unvero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita. Alcuni diquesti segni sono allo stesso tempo sintomi di un vero degrado sociale, di unasilenziosa rottura dei legami di integrazione e di comunione sociale.
47. A questo siaggiungono le dinamiche dei media e del mondo digitale, che, quando diventanoonnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere consapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità. I grandi sapientidel passato, in questo contesto, correrebbero il rischio di vedere soffocata laloro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell’informazione. Questo ci richiedeuno sforzo affinché tali mezzi si traducano in un nuovo sviluppo culturaledell’umanità e non in un deterioramento della sua ricchezza più profonda. Lavera sapienza, frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generosofra le persone, non si acquisisce con una mera accumulazione di dati chefinisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale. Nellostesso tempo, le relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide cheimplicano, tendono ad essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata dainternet. Ciò permette di selezionare o eliminare le relazioni secondo ilnostro arbitrio, e così si genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali,che hanno a che vedere più con dispositivi e schermi che con le persone e lanatura. I mezzi attuali permettono che comunichiamo tra noi e che condividiamoconoscenze e affetti. Tuttavia, a volte anche ci impediscono di prenderecontatto diretto con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e conla complessità della sua esperienza personale. Per questo non dovrebbe stupireil fatto che, insieme all’opprimente offerta di questi prodotti, vada crescendouna profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o undannoso isolamento.
V. INEQUITÀ PLANETARIA
48. L’ambiente umano el’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontareadeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause chehanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramentodell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più debolidel pianeta: «Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricercascientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioniambientali li subisce la gente più povera». Per esempio, l’esaurimento delleriserve ittiche penalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigianalee non hanno come sostituirla, l’inquinamento dell’acqua colpisce in particolarei più poveri che non hanno la possibilità di comprare acqua imbottigliata, el’innalzamento del livello del mare colpisce principalmente le popolazionicostiere impoverite che non ha dove trasferirsi. L’impatto degli squilibriattuali si manifesta anche nella morte prematura di molti poveri, nei conflittigenerati dalla mancanza di risorse e in tanti altri problemi che non trovanospazio sufficiente nelle agende del mondo.
49. Vorrei osservare chespesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpisconoparticolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardidi persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economiciinternazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano comeun’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in manieraperiferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, almomento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto.Questo si deve in parte al fatto che tanti professionisti, opinionisti, mezzidi comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in areeurbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettonoa partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sonoalla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza dicontatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione dellenostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtàin analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso “verde”. Ma oggi nonpossiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventasempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nellediscussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quantoil grido dei poveri.
50. Invece di risolverei problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano aproporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali suiPaesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinatepolitiche di “salute riproduttiva”. Però, «se è vero che l’inegualedistribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allosviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescitademografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale». Incolparel’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, èun modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimarel’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto diconsumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché ilpianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre,sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che siproducono, e «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa delpovero». Adogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo squilibrio nelladistribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello nazionale sia alivello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a situazioni regionalicomplesse, per le combinazioni di problemi legati all’inquinamento ambientale,ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla perdita di risorse, allaqualità della vita.
51. L’inequità noncolpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’eticadelle relazioni internazionali. C’è infatti un vero “debito ecologico”,soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali conconseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorsenaturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le esportazioni di alcune materieprime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto dannilocali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido dizolfo in quelle di rame. In modo particolare c’è da calcolare l’uso dellospazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sonoandati accumulandosi durante due secoli e hanno generato una situazione che oracolpisce tutti i Paesi del mondo. Il riscaldamento causato dall’enorme consumodi alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra,specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità haeffetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono idanni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiutisolidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno neiPaesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano lorocapitale: «Constatiamo che spesso le imprese che operano così sonomultinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesisviluppati o del cosiddetto primo mondo. Generalmente, quando cessano le loroattività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come ladisoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali,deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale,crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non sipuò più sostenere ».
52. Il debito estero deiPaesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade lastessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via disviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuanoad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e delloro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accessoalla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessitàvitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietàstrutturalmente perverso. È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano arisolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia nonrinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuoverepolitiche e programmi di sviluppo sostenibile. Le regioni e i Paesi più poverihanno meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell’impattoambientale, perché non hanno la preparazione per sviluppare i processinecessari e non possono coprirne i costi. Perciò, bisogna conservare chiara lacoscienza che nel cambiamento climatico ci sono responsabilità diversificatee, come hanno detto i Vescovi degli Stati Uniti, è opportuno puntare«specialmente sulle necessità dei poveri, deboli e vulnerabili, in un dibattitospesso dominato dagli interessi più potenti». Bisogna rafforzare la consapevolezzache siamo una sola famiglia umana. Non ci sono frontiere e barriere politiche osociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazioper la globalizzazione dell’indifferenza.
VI. LA DEBOLEZZA DELLEREAZIONI
53. Queste situazioniprovocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degliabbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta. Maiabbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi duesecoli. Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché ilnostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suoprogetto di pace, bellezza e pienezza. Il problema è che non disponiamo ancoradella cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruireleadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessitàdelle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazionifuture. Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limitiinviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove formedi potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere nonsolo la politica ma anche la libertà e la giustizia.
54. Degna di nota è ladebolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione dellapolitica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Verticimondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmentel’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolarel’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. In questa linea il Documentodi Aparecida chiede che « negli interventi sulle risorse naturali nonprevalgano gli interessi di gruppi economici che distruggono irrazionalmente lefonti di vita ».L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tuttociò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbeaspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate,e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in realtàqualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose saràvisto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo daeludere.
55. A poco a poco alcuniPaesi possono mostrare progressi importanti, lo sviluppo di controlli piùefficienti e una lotta più sincera contro la corruzione. È cresciuta lasensibilità ecologica delle popolazioni, anche se non basta per modificare leabitudini nocive di consumo, che non sembrano recedere, bensì estendersi esvilupparsi. È quello che succede, per fare solo un semplice esempio, con ilcrescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori d’aria: imercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda. Sequalcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di frontea un simile comportamento che a volte sembra suicida.
56. Nel frattempo ipoteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cuiprevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendonoad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente.Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sonointimamente connessi. Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioniimmorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgercidella realtà di un mondo limitato e finito. Per questo oggi «qualunque cosa chesia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi delmercato divinizzato, trasformati in regola assoluta».
57. È prevedibile che,di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenariofavorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. La guerracausa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, ei rischi diventano enormi quando si pensa all’energia nucleare e alle armibiologiche. Infatti «nonostante che accordi internazionali proibiscano laguerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratoricontinua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alteraregli equilibri naturali ». Si richiede dalla politica una maggiore attenzione per preveniree risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il poterecollegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegnipolitici spesso non hanno ampiezza di vedute. Perché si vuole mantenere oggi unpotere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando eraurgente e necessario farlo?
58. In alcuni Paesi cisono esempi positivi di risultati nel migliorare l’ambiente, come ilrisanamento di alcuni fiumi che sono stati inquinati per tanti decenni, ilrecupero di boschi autoctoni, o l’abbellimento di paesaggi con opere dirisanamento ambientale, o progetti edilizi di grande valore estetico, progressinella produzione di energia non inquinante, nel miglioramento dei trasportipubblici. Queste azioni non risolvono i problemi globali, ma confermano chel’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente. Essendo statocreato per amare, in mezzo ai suoi limiti germogliano inevitabilmente gesti digenerosità, solidarietà e cura.
59. Nello stesso tempo,cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certointorpidimento e una spensierata irresponsabilità. Come spesso accade in epochedi profonde crisi, che richiedono decisioni coraggiose, siamo tentati dipensare che quanto sta succedendo non è certo. Se guardiamo in modosuperficiale, al di là di alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado,sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere permolto tempo nelle condizioni attuali. Questo comportamento evasivo ci serve permantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. È il modo in cuil’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi:cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioniimportanti, facendo come se nulla fosse.
VII. DIVERSITÀ DIOPINIONI
60. Infine, riconosciamoche si sono sviluppate diverse visioni e linee di pensiero in merito allasituazione e alle possibili soluzioni. Da un estremo, alcuni sostengono ad ognicosto il mito del progresso e affermano che i problemi ecologici si risolverannosemplicemente con nuove applicazioni tecniche, senza considerazioni etiche nécambiamenti di fondo. Dall’altro estremo, altri ritengono che la specie umana,con qualunque suo intervento, può essere solo una minaccia e comprometterel’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta eimpedirle ogni tipo di intervento. Fra questi estremi, la riflessione dovrebbeidentificare possibili scenari futuri, perché non c’è un’unica via disoluzione. Questo lascerebbe spazio a una varietà di apporti che potrebberoentrare in dialogo in vista di risposte integrali.
61. Su molte questioniconcrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisceche deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettandole diversità di opinione. Basta però guardare la realtà con sincerità pervedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune. La speranzaci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo semprecambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi.Tuttavia, sembra di riscontrare sintomi di un punto di rottura, a causa dellagrande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto incatastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie, datoche i problemi del mondo non si possono analizzare né spiegare in modo isolato.Ci sono regioni che sono già particolarmente a rischio e, aldilà di qualunqueprevisione catastrofica, è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibileda diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agireumano: «Se lo sguardo percorre le regioni del nostro pianeta, ci si accorgesubito che l’umanità ha deluso l’attesa divina».
CAPITOLO SECONDO: ILVANGELO DELLA CREAZIONE
62. Perché inserire inquesto documento, rivolto a tutti le persone di buona volontà, un capitoloriferito alle convinzioni di fede? Sono consapevole che, nel campo dellapolitica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o laritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambito dell’irrazionale laricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per ilpieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscanouna sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata. Tuttavia, la scienza ela religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare inun dialogo intenso e produttivo per entrambe.
I. LA LUCE CHE LA FEDEOFFRE
63. Se teniamo contodella complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmoriconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo diinterpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diversericchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore ealla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permettadi riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze enessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa conil suo linguaggio proprio. Inoltre la Chiesa Cattolica è aperta al dialogo conil pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede eragione. Per quanto riguarda le questioni sociali, questo lo si può constatarenello sviluppo della dottrina sociale della Chiesa, chiamata ad arricchirsisempre di più a partire dalle nuove sfide.
64. D’altra parte, anchese questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti per cercare insieme cammini diliberazione, voglio mostrare fin dall’inizio come le convinzioni di fedeoffrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte perprendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili. Se il solofatto di essere umani muove le persone a prendersi cura dell’ambiente del qualesono parte, « i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compitiall’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatoresono parte della loro fede». Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondoche noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturisconodalle nostre convinzioni.
II. LA SAPIENZA DEIRACCONTI BIBLICI
65. Senza riproporre quil’intera teologia della Creazione, ci chiediamo che cosa ci dicono i grandiracconti biblici sul rapporto dell’essere umano con il mondo. Nel primoracconto dell’opera creatrice nel libro della Genesi, il piano di Dio includela creazione dell’umanità. Dopo la creazione dell’uomo e della donna, si diceche «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen1,31). La Bibbia insegna che ogni essere umano è creato per amore, fatto adimmagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26). Questa affermazione cimostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che «non è soltanto qualchecosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamentedonarsi e di entrare in comunione con altre persone». San Giovanni Paolo II haricordato come l’amore del tutto speciale che il Creatore ha per ogni essereumano «gli conferisce una dignità infinita». Coloro che s’impegnano nella difesadella dignità delle persone possono trovare nella fede cristiana le ragioni piùprofonde per tale impegno. Che meravigliosa certezza è sapere che la vita diogni persona non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dallapura casualità o da cicli che si ripetono senza senso! Il Creatore può dire aciascuno di noi: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto» (Ger1,5). Siamo stati concepiti nel cuore di Dio e quindi «ciascuno di noi è ilfrutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato,ciascuno è necessario».
66. I racconti dellacreazione nel libro della Genesi contengono, nel loro linguaggio simbolico enarrativo, profondi insegnamenti sull’esistenza umana e la sua realtà storica.Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazionifondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con ilprossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitalisono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è ilpeccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è statadistrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando diriconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la naturadel mandato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28) e di coltivarla ecustodirla (cfr Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamentearmonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto (cfr Gen3,17-19). Per questo è significativo che l’armonia che san Francescod’Assisi viveva con tutte le creature sia stata interpretata come unaguarigione di tale rottura. San Bonaventura disse che attraverso lariconciliazione universale con tutte le creature in qualche modo Francesco erariportato allo stato di innocenza originaria. Lungi da quel modello, oggi il peccatosi manifesta con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverseforme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili, negliattacchi contro la natura.
67. Noi non siamo Dio.La terra ci precede e ci è stata data. Ciò consente di rispondere a un’accusalanciata contro il pensiero ebraico-cristiano: è stato detto che, a partire dalracconto della Genesi che invita a soggiogare la terra (cfr Gen 1,28),verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentandoun’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore. Questa non è unacorretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa. Anche se èvero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo noncorretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati aimmagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre undominio assoluto sulle altre creature. È importante leggere i testi biblici nelloro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a«coltivare e custodire» il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre«coltivare» significa arare o lavorare un terreno, « custodire » vuol direproteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazionedi reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità puòprendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propriasopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuitàdella sua fertilità per le generazioni future. In definitiva, «del Signore è laterra» (Sal 24,1), a Lui appartiene «la terra e quanto essa contiene» (Dt10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: «Le terre nonsi potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di mecome forestieri e ospiti» (Lv 25,23).
68. Questaresponsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano,dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibritra gli esseri di questo mondo, perché «al suo comando sono stati creati. Li haresi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà» (Sal148,5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi aproporre all’essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altriesseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri viventi: «Se vedi l’asinodi tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averliscorti [...]. Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra unnido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini ole uova, non prenderai la madre che è con i figli» (Dt 22,4.6). Inquesta linea, il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’essereumano, ma anche «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino» (Es23,12). Così ci rendiamo conto che la Bibbia non dà adito ad unantropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature.
69. Mentre possiamo fareun uso responsabile delle cose, siamo chiamati a riconoscere che gli altri esseriviventi hanno un valore proprio di fronte a Dio e «con la loro sempliceesistenza lo benedicono e gli rendono gloria», perché il Signore gioisce nelle sueopere (cfr Sal 104,31). Proprio per la sua dignità unica e per esseredotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con lesue leggi interne, poiché «il Signore ha fondato la terra con sapienza» (Pr 3,19).Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sonocompletamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero unvalore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Così i Vescovi dellaGermania hanno spiegato che per le altre creature « si potrebbe parlare dellapriorità dell’essere rispetto all’essere utili». Il Catechismopone in discussione in modo molto diretto e insistito quello che sarebbe unantropocentrismo deviato: «Ogni creatura ha la sua propria bontà e la suapropria perfezione [...] Le varie creature, volute nel loro proprio essere,riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio.Per questo l’uomo deve rispettare la bontà propria di ogni creatura, per evitareun uso disordinato delle cose».
70. Nel racconto diCaino e Abele, vediamo che la gelosia ha spinto Caino a compiere l’estremaingiustizia contro suo fratello. Ciò a sua volta ha causato una rottura dellarelazione tra Caino e Dio e tra Caino e la terra, dalla quale fu esiliato.Questo passaggio è sintetizzato nel drammatico colloquio tra Dio e Caino. Diochiede: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Caino dice di non saperlo e Dio insiste:«Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Orasii maledetto, lontano da [questo] suolo» (Gen 4,9-11). Trascurarel’impegno di coltivare e mantenere una relazione corretta con il prossimo,verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge la miarelazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra.Quando tutte queste relazioni sono trascurate, quando la giustizia non abitapiù sulla terra, la Bibbia ci dice che tutta la vita è in pericolo. Questo èciò che ci insegna il racconto di Noè, quando Dio minaccia di spazzare vial’umanità per la sua persistente incapacità di vivere all’altezza delleesigenze della giustizia e della pace: «È venuta per me la fine di ogni uomo,perché la terra, per causa loro, è piena di violenza» (Gen 6,13). Inquesti racconti così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenutauna convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autenticadella nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabiledalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri.
71. Anche se «lamalvagità degli uomini era grande sulla terra» (Gen 6,5) e Dio «si pentìdi aver fatto l’uomo sulla terra» (Gen 6,6), tuttavia, attraverso Noè,che si conservava ancora integro e giusto, Dio ha deciso di aprire una via disalvezza. In tal modo ha dato all’umanità la possibilità di un nuovo inizio.Basta un uomo buono perché ci sia speranza! La tradizione biblica stabiliscechiaramente che questa riabilitazione comporta la riscoperta e il rispetto deiritmi inscritti nella natura dalla mano del Creatore. Ciò si vede, per esempio,nella legge dello Shabbat. Il settimo giorno, Dio si riposò da tutte lesue opere. Dio ordinò a Israele che ogni settimo giorno doveva essere celebratocome giorno di riposo, uno Shabbat (cfr Gen 2,2-3; Es 16,23;20,10). D’altra parte, fu stabilito anche un anno sabbatico per Israele e lasua terra, ogni sette anni (cfr Lv 25,1-4), durante il quale siconcedeva un completo riposo alla terra, non si seminava e si raccoglievasoltanto l’indispensabile per sopravvivere e offrire ospitalità (cfr Lv 25,4-6).Infine, trascorse sette settimane di anni, cioè quarantanove anni, si celebravail giubileo, anno del perdono universale e della «liberazione nella terra pertutti i suoi abitanti» (Lv 25,10). Lo sviluppo di questa legislazione hacercato di assicurare l’equilibrio e l’equità nelle relazioni dell’essere umanocon gli altri e con la terra dove viveva e lavorava. Ma, allo stesso tempo, eraun riconoscimento del fatto che il dono della terra con i suoi fruttiappartiene a tutto il popolo. Quelli che coltivavano e custodivano ilterritorio dovevano condividerne i frutti, in particolare con i poveri, levedove, gli orfani e gli stranieri: «Quando mieterete la messe della vostraterra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che restada spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e nonraccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero» (Lv19,9-10).
72. I Salmi invitano confrequenza l’essere umano a lodare Dio creatore, Colui che «ha disteso la terrasulle acque, perché il suo amore è per sempre» (Sal 136,6). Ma invitanoanche le altre creature alla lode: «Lodatelo, sole e luna, lodatelo, voi tutte,fulgide stelle. Lodatelo, cieli dei cieli, voi, acque al di sopra dei cieli.Lodino il nome del Signore, perché al suo comando sono stati creati» (Sal 148,3-5).Esistiamo non solo per la potenza di Dio, ma davanti a Lui e con Lui. Perciònoi lo adoriamo.
73. Gli scritti deiprofeti invitano a ritrovare la forza nei momenti difficili contemplando il Diopotente che ha creato l’universo. La potenza infinita di Dio non ci porta asfuggire alla sua tenerezza paterna, perché in Lui affetto e forza siconiugano. In realtà, ogni sana spiritualità implica allo stesso tempoaccogliere l’amore divino e adorare con fiducia il Signore per la sua infinitapotenza. Nella Bibbia, il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creatol’universo, e questi due modi di agire divini sono intimamente eindissolubilmente legati: «Ah, Signore Dio, con la tua grande potenza e la tuaforza hai fatto il cielo e la terra; nulla ti è impossibile [...]. Tu hai fattouscire dall’Egitto il tuo popolo Israele con segni e con miracoli» (Ger 32,17.21).«Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non siaffatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allostanco e moltiplica il vigore allo spossato» (Is 40,28b-29).
74. L’esperienza dellaschiavitù in Babilonia generò una crisi spirituale che ha portato ad unapprofondimento della fede in Dio, esplicitando la sua onnipotenza creatrice,per esortare il popolo a ritrovare la speranza in mezzo alla sua infelicesituazione. Secoli dopo, in un altro momento di prova e di persecuzione, quandol’Impero Romano cercò di imporre un dominio assoluto, i fedeli tornarono atrovare conforto e speranza aumentando la loro fiducia in Dio onnipotente, ecantavano: «Grandi e mirabili sono le tue opere, Signore Dio onnipotente;giuste e vere le tue vie!» (Ap 15,3). Se Dio ha potuto creare l’universodal nulla, può anche intervenire in questo mondo e vincere ogni forma di male.Dunque, l’ingiustizia non è invincibile.
75. Non possiamosostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questomodo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo alposto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Luisenza conoscere limite. Il modo migliore per collocare l’essere umano al suoposto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto dellaterra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padronedel mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre allarealtà le proprie leggi e i propri interessi.
III. IL MISTERO DELL’UNIVERSO
76. Per la tradizionegiudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a chevedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e unsignificato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, sicomprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un donoche scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminatadall’amore che ci convoca ad una comunione universale.
77. «Dalla parola delSignore furono fatti i cieli » (Sal 33,6). Così ci viene indicato che ilmondo proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità, e questo loinnalza ancora di più. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice.L’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di unadimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione. La creazioneappartiene all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale ditutto il creato: «Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non providisgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, nonl’avresti neppure formata » (Sap 11,24). Così, ogni creatura è oggettodella tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfinol’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e inquei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto. Dicevasan Basilio Magno che il Creatore è anche «la bontà senza calcolo», e DanteAlighieri parlava de «l’amor che move il sole e l’altre stelle». Perciò, dalleopere create si ascende «fino alla sua amorosa misericordia».
78. Allo stesso tempo,il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura. Senza smettere diammirarla per il suo splendore e la sua immensità, non le ha più attribuito uncarattere divino. In questo modo viene sottolineato ulteriormente il nostroimpegno nei suoi confronti. Un ritorno alla natura non può essere a scapitodella libertà e della responsabilità dell’essere umano, che è parte del mondo conil compito di coltivare le proprie capacità per proteggerlo e svilupparne lepotenzialità. Se riconosciamo il valore e la fragilità della natura, e allostesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi diporre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Un mondofragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura, interpella lanostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare elimitare il nostro potere.
79. In questo universo,composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri,possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione. Questo ciporta anche a pensare l’insieme come aperto alla trascendenza di Dio,all’interno della quale si sviluppa. La fede ci permette di interpretare ilsignificato e la bellezza misteriosa di ciò che accade. La libertà umana puòoffrire il suo intelligente contributo verso un’evoluzione positiva, ma puòanche aggiungere nuovi mali, nuove cause di sofferenza e momenti di veroarretramento. Questo dà luogo all’appassionante e drammatica storia umana,capace di trasformarsi in un fiorire di liberazione, crescita, salvezza eamore, oppure in un percorso di decadenza e di distruzione reciproca. Pertanto,l’azione della Chiesa non solo cerca di ricordare il dovere di prendersi curadella natura, ma al tempo stesso «deve proteggere soprattutto l’uomo contro ladistruzione di sé stesso».
80. Ciononostante, Dio,che vuole agire con noi e contare sulla nostra collaborazione, è anche in gradodi trarre qualcosa di buono dai mali che noi compiamo, perché «lo Spirito Santopossiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere asciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili». In qualchemodo, Egli ha voluto limitare sé stesso creando un mondo bisognoso di sviluppo,dove molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza,fanno parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a collaborare conil Creatore. Egliè presente nel più intimo di ogni cosa senza condizionare l’autonomia della suacreatura, e anche questo dà luogo alla legittima autonomia delle realtàterrene. Questapresenza divina, che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, « èla continuazione dell’azione creatrice». Lo Spirito di Dio ha riempitol’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cosepossa sempre germogliare qualcosa di nuovo: « La natura non è altro che laragione di una certa arte, in specie dell’arte divina, inscritta nelle cose,per cui le cose stesse si muovono verso un determinato fine. Come se il maestrocostruttore di navi potesse concedere al legno di muoversi da sé per prenderela forma della nave».
81. L’essere umano,benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamentespiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sédi un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Diostesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività,l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originalimostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novitàqualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universomateriale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare chiamata alla vitae alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi biblici,consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto allacategoria di oggetto.
82. Sarebbe però anchesbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati comemeri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. Quando sipropone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse,ciò comporta anche gravi conseguenze per la società. La visione che rinforzal’arbitrio del più forte ha favorito immense disuguaglianze, ingiustizie eviolenze per la maggior parte dell’umanità, perché le risorse diventanoproprietà del primo arrivato o di quello che ha più potere: il vincitore prendetutto. L’ideale di armonia, di giustizia, di fraternità e di pace che Gesùpropone è agli antipodi di tale modello, e così Egli lo esprimeva riferendosiai poteri del suo tempo: «I governanti delle nazioni dominano su di esse e icapi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande travoi, sarà vostro servitore » (Mt 20,25-26).
83. Il traguardo delcammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta daCristo risorto, fulcro della maturazione universale. In tal modo aggiungiamo un ulterioreargomento per rifiutare qualsiasi dominio dispotico e irresponsabiledell’essere umano sulle altre creature. Lo scopo finale delle altre creaturenon siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, versola meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risortoabbraccia e illumina tutto. L’essere umano, infatti, dotato di intelligenza edi amore, e attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte lecreature al loro Creatore.
IV. IL MESSAGGIO DI OGNICREATURA NELL’ARMONIA DI TUTTO IL CREATO
84. Insistere nel direche l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ognicreatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è unlinguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua,montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio sisviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale,e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene.Chi è cresciuto tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al ruscello perbere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in queiluoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità.
85. Dio ha scritto unlibro stupendo, «le cui lettere sono la moltitudine di creature presentinell’universo».I Vescovi del Canada hanno espresso bene che nessuna creatura restafuori da questa manifestazione di Dio: «Dai più ampi panorami alla più esiliforme di vita, la natura è una continua sorgente di meraviglia e di reverenza.Essa è, inoltre, una rivelazione continua del divino». I Vescovi del Giappone, daparte loro, hanno detto qualcosa di molto suggestivo: «Percepire ogni creaturache canta l’inno della sua esistenza è vivere con gioia nell’amore di Dio enella speranza».Questa contemplazione del creato ci permette di scoprire attraverso ognicosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare, perché «per il credentecontemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voceparadossale e silenziosa». Possiamo dire che «accanto alla rivelazione propriamente dettacontenuta nelle Sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nellosfolgorare del sole e nel calare della notte ». Prestando attenzione a questamanifestazione, l’essere umano impara a riconoscere sé stesso in relazione allealtre creature: «Io mi esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralitàdecifrando quella del mondo».
86. L’insiemedell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezzainesauribile di Dio. San Tommaso d’Aquino ha sottolineato sapientemente che lamolteplicità e la varietà provengono « dall’intenzione del primo agente», ilQuale ha voluto che «ciò che manca a ciascuna cosa per rappresentare la bontàdivina sia supplito dalle altre cose »,perché la sua bontà « non può essereadeguatamente rappresentata da una sola creatura». Per questo, abbiamo bisogno dicogliere la varietà delle cose nelle loro molteplici relazioni. Dunque, sicapisce meglio l’importanza e il significato di qualsiasi creatura, se la sicontempla nell’insieme del piano di Dio. Questo insegna il Catechismo:«L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedroe il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità edisuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, cheesse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsivicendevolmente, al servizio le une delle altre ».
87. Quando ci si rendeconto del riflesso di Dio in tutto ciò che esiste, il cuore sperimenta ildesiderio di adorare il Signore per tutte le sue creature e insieme ad esse,come appare nel bellissimo cantico di san Francesco d’Assisi: «Laudato sie, mi’Signore,
cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qualè iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grandesplendore: de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore,per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno etonne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
edello è bello et iocundo et robustoso et forte».
88. I Vescovi delBrasile hanno messo in rilievo che tutta la natura, oltre a manifestare Dio, èluogo della sua presenza. In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante checi chiama a una relazione con Lui. La scoperta di questa presenza stimola in noi losviluppo delle «virtù ecologiche». Ma quando diciamo questo, non dimentichiamo cheesiste anche una distanza infinita, che le cose di questo mondo non possiedonola pienezza di Dio. Diversamente nemmeno faremmo un bene alle creature, perchénon riconosceremmo il loro posto proprio e autentico, e finiremmo per esigereindebitamente da esse ciò che nella loro piccolezza non ci possono dare.
V. UNA COMUNIONEUNIVERSALE
89. Le creature diquesto mondo non possono essere considerate un bene senza proprietario: «Sonotue, Signore, amante della vita» (Sap 11,26). Questo induce allaconvinzione che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseridell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famigliauniversale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevolee umile. Voglio ricordare che «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo checi circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia perciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse unamutilazione ».
90. Questo non significaequiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valorepeculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmenocomporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata acollaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Queste concezionifinirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtàche ci interpella. Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umanaqualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che nonmettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamenteci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modoirresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianzeche esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che alcuni siconsiderino più degni di altri. Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinanoin una miseria degradante, senza reali possibilità di miglioramento, mentrealtri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanitàuna pretesa superiorità e lasciano dietro di sé un livello di spreco tale chesarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta. Continuiamonei fatti ad ammettere che alcuni si sentano più umani di altri, come sefossero nati con maggiori diritti.
91. Non può essereautentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, senello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazioneper gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il trafficodi animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davantialla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato adistruggere un altro essere umano che non gli è gradito. Ciò mette a rischio ilsenso della lotta per l’ambiente. Non è un caso che, nel cantico in cui lodaDio per le creature, san Francesco aggiunga: «Laudato si’, mi’ Signore, perquelli che perdonano per lo tuo amore». Tutto è collegato. Per questo sirichiede una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gliesseri umani e un costante impegno riguardo ai problemi della società.
92. D’altra parte,quando il cuore è veramente aperto a una comunione universale, niente e nessunoè escluso da tale fraternità. Di conseguenza, è vero anche che l’indifferenza ola crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre pertrasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseriumani. Il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare unanimale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone. Ognimaltrattamento verso qualsiasi creatura «è contrario alla dignità umana». Non possiamoconsiderarci persone che amano veramente se escludiamo dai nostri interessi unaparte della realtà: «Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono trequestioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da esseretrattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo». Tuttoè in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle inun meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna dellesue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratellosole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra.
VI. LA DESTINAZIONECOMUNE DEI BENI
93. Oggi, credenti e noncredenti sono d’accordo sul fatto che la terra è essenzialmente una ereditàcomune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti. Per i credenti questodiventa una questione di fedeltà al Creatore, perché Dio ha creato il mondo pertutti. Di conseguenza, ogni approccio ecologico deve integrare una prospettivasociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati. Ilprincipio della subordinazione della proprietà privata alla destinazioneuniversale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regolad’oro” del comportamento sociale, e il «primo principio di tutto l’ordinamentoetico-sociale».La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto ointoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto lafunzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. San Giovanni Paolo IIha ricordato con molta enfasi questa dottrina, dicendo che «Dio ha dato laterra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senzaescludere né privilegiare nessuno». Sono parole pregnanti e forti. Harimarcato che «non sarebbe veramente degno dell’uomo un tipo di sviluppo chenon rispettasse e non promuovesse i diritti umani, personali e sociali,economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli». Con grandechiarezza ha spiegato che «la Chiesa difende sì il legittimo diritto allaproprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogniproprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alladestinazione generale che Dio ha loro dato». Pertanto afferma che « non è secondoil disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano avantaggio soltanto di alcuni pochi». Questo mette seriamente in discussione leabitudini ingiuste di una parte dell’umanità.
94. Il ricco e il poverohanno uguale dignità, perché «il Signore ha creato l’uno e l’altro» (Pr 22,2),«egli ha creato il piccolo e il grande» (Sap 6,7), e «fa sorgere il suosole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). Questo ha conseguenze pratiche,come quelle enunciate dai Vescovi del Paraguay: «Ogni contadino ha dirittonaturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilirela sua casa, lavorare per il sostentamento della sua famiglia e avere sicurezzaper la propria esistenza. Tale diritto dev’essere garantito perché il suoesercizio non sia illusorio ma reale. Il che significa che, oltre al titolo diproprietà, il contadino deve contare su mezzi di formazione tecnica, prestiti,assicurazioni e accesso al mercato».
95. L’ambiente è un benecollettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi nepossiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lofacciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza deglialtri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosasignifica il comandamento “non uccidere” quando «un venti per cento dellapopolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazionipovere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere».
VII. LO SGUARDO DI GESÙ
96. Gesù fa propria lafede biblica nel Dio creatore e mette in risalto un dato fondamentale: Dio èPadre (cfr Mt 11,25). Nei dialoghi con i suoi discepoli, Gesù liinvitava a riconoscere la relazione paterna che Dio ha con tutte le creature, ericordava loro con una commovente tenerezza come ciascuna di esse è importanteai suoi occhi: «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppurenemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio » (Lc 12,6). « Guardategli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai;eppure il Padre vostro celeste li nutre » (Mt 6,26).
97. Il Signore potevainvitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perchéEgli stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzionepiena di affetto e di stupore. Quando percorreva ogni angolo della sua terra,si fermava a contemplare la bellezza seminata dal Padre suo, e invitava idiscepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino: «Alzate i vostri occhi eguardate i campi, che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4,35). «Ilregno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminònel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, èpiù grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero» (Mt 13,31-32).
98. Gesù viveva unapiena armonia con la creazione, e gli altri ne rimanevano stupiti: « Chi è maicostui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono? » (Mt 8,27). Nonappariva come un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli dellavita. Riferendosi a sé stesso affermava: «È venuto il Figlio dell’uomo, chemangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone”» (Mt 11,19).Era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtàdi questo mondo. Tuttavia, questi dualismi malsani hanno avuto un notevoleinflusso su alcuni pensatori cristiani nel corso della storia e hanno deformatoil Vangelo. Gesù lavorava con le sue mani, prendendo contatto quotidiano con lamateria creata da Dio per darle forma con la sua abilità di artigiano. È degnodi nota il fatto che la maggior parte della sua vita è stata dedicata a questoimpegno, in un’esistenza semplice che non suscitava alcuna ammirazione: «Non ècostui il falegname, il figlio di Maria?» (Mc 6,3). Così ha santificatoil lavoro e gli ha conferito un peculiare valore per la nostra maturazione. SanGiovanni Paolo II insegnava che «sopportando la fatica del lavoro in unione conCristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dioalla redenzione dell’umanità».
99. Secondo la comprensionecristiana della realtà, il destino dell’intera creazione passa attraverso ilmistero di Cristo, che è presente fin dall’origine: «Tutte le cose sono statecreate per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16). Il prologo delVangelo di Giovanni (1,1-18) mostra l’attività creatrice di Cristo come Paroladivina (Logos). Ma questo prologo sorprende per la sua affermazione chequesta Parola «si fece carne» (Gv 1,14). Una Persona della Trinità si èinserita nel cosmo creato, condividendone il destino fino alla croce.Dall’inizio del mondo, ma in modo particolare a partire dall’incarnazione, ilmistero di Cristo opera in modo nascosto nell’insieme della realtà naturale,senza per questo ledere la sua autonomia.
100. Il Nuovo Testamentonon solo ci parla del Gesù terreno e della sua relazione tanto concreta eamorevole con il mondo. Lo mostra anche risorto e glorioso, presente in tuttoil creato con la sua signoria universale: «È piaciuto infatti a Dio che abitiin lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui sianoriconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce siale cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20).Questo ci proietta alla fine dei tempi, quando il Figlio consegnerà al Padretutte le cose, così che «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,28). In talmodo, le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtàmeramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta aun destino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Eglicontemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenzaluminosa.
CAPITOLO TERZO: LARADICE UMANA DELLA CRISI ECOLOGICA
101. A nulla ci serviràdescrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisiecologica. Vi è un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato eche contraddice la realtà fino al punto di rovinarla. Perché non possiamofermarci a riflettere su questo? Propongo pertanto di concentrarci sulparadigma tecnocratico dominante e sul posto che vi occupano l’essere umano ela sua azione nel mondo.
I. LA TECNOLOGIA: CREATIVITÀE POTERE
102. L’umanità è entratain una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte ad unbivio. Siamo gli eredi di due secoli di enormi ondate di cambiamento: lamacchina a vapore, la ferrovia, il telegrafo, l’elettricità, l’automobile,l’aereo, le industrie chimiche, la medicina moderna, l’informatica e, piùrecentemente, la rivoluzione digitale, la robotica, le biotecnologie e lenanotecnologie. È giusto rallegrarsi per questi progressi ed entusiasmarsi difronte alle ampie possibilità che ci aprono queste continue novità, perché « lascienza e la tecnologia sono un prodotto meraviglioso della creatività umanache è un dono di Dio». La trasformazione della natura a fini di utilità è unacaratteristica del genere umano fin dai suoi inizi, e in tal modo la tecnica «esprimela tensione dell’animo umano verso il graduale superamento di certicondizionamenti materiali». La tecnologia ha posto rimedio a innumerevolimali che affliggevano e limitavano l’essere umano. Non possiamo non apprezzaree ringraziare per i progressi conseguiti, specialmente nella medicina,nell’ingegneria e nelle comunicazioni. E come non riconoscere tutti gli sforzidi molti scienziati e tecnici che hanno elaborato alternative per uno svilupposostenibile?
103. La tecnoscienza,ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose permigliorare la qualità della vita dell’essere umano, a partire dagli oggetti diuso domestico fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, aglispazi pubblici. È anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essereumano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza. Sipuò negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono prezioseopere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumentitecnici. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quellabellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamenteumana.
104. Tuttavia nonpossiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, laconoscenza del nostro stesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito cioffrono un tremendo potere. Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza esoprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionantesull’insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l’umanità ha avuto tantopotere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto sesi considera il modo in cui se ne sta servendo. Basta ricordare le bombeatomiche lanciate in pieno XX secolo, come il grande spiegamento di tecnologiaostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al serviziodello sterminio di milioni di persone, senza dimenticare che oggi la guerradispone di strumenti sempre più micidiali. In quali mani sta e in quali puògiungere tanto potere? È terribilmente rischioso che esso risieda in unapiccola parte dell’umanità.
105. Si tende a credereche «ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento disicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza divalori»,come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dalpotere stesso della tecnologia e dell’economia. Il fatto è che « l’uomo modernonon è stato educato al retto uso della potenza», perché l’immensa crescitatecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano perquanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza. Ogni epoca tende asviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo èpossibile che oggi l’umanità non avverta la serietà delle sfide che le sipresentano, e « la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza è incontinuo aumento» quando «non esistono norme di libertà, ma solo pretesenecessità di utilità e di sicurezza ». L’essere umano non è pienamente autonomo.La sua libertà si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio,dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale. In tal senso, ènudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senzaavere gli strumenti per controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali,ma possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida, unacultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contenganoentro un lucido dominio di sé.
II. LA GLOBALIZZAZIONEDEL PARADIGMA TECNOCRATICO
106. Il problemafondamentale è un altro, ancora più profondo: il modo in cui di fatto l’umanitàha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneoe unidimensionale. In tale paradigma risalta una concezione del soggettoche progressivamente, nel processo logico razionale, comprende e in tal modopossiede l’oggetto che si trova all’esterno. Tale soggetto si esplica nellostabilire il metodo scientifico con la sua sperimentazione, che è già esplicitamenteuna tecnica di possesso, dominio e trasformazione. È come se il soggetto sitrovasse di fronte alla realtà informe totalmente disponibile alla suamanipolazione. L’intervento dell’essere umano sulla natura si è sempreverificato, ma per molto tempo ha avuto la caratteristica di accompagnare, diassecondare le possibilità offerte dalle cose stesse. Si trattava di riceverequello che la realtà naturale da sé permette, come tendendo la mano. Viceversa,ora ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraversol’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtàstessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessatodi darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti. Da qui sipassa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tantoentusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciòsuppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, checonduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falsopresupposto che «esiste una quantità illimitata di energia e di mezziutilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effettinegativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti».
107. Possiamo perciòaffermare che all’origine di molte difficoltà del mondo attuale vi è anzituttola tendenza, non sempre cosciente, a impostare la metodologia e gli obiettividella tecnoscienza secondo un paradigma di comprensione che condiziona la vitadelle persone e il funzionamento della società. Gli effetti dell’applicazionedi questo modello a tutta la realtà, umana e sociale, si constatano nel degradodell’ambiente, ma questo è solo un segno del riduzionismo che colpisce la vitaumana e la società in tutte le loro dimensioni. Occorre riconoscere che iprodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce percondizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nelladirezione degli interessi di determinati gruppi di potere. Certe scelte chesembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vitasociale che si intende sviluppare.
108. Non si può pensaredi sostenere un altro paradigma culturale e servirsi della tecnica come di unmero strumento, perché oggi il paradigma tecnocratico è diventato cosìdominante, che è molto difficile prescindere dalle sue risorse, e ancora piùdifficile è utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica. Èdiventato contro-culturale scegliere uno stile di vita con obiettivi che almenoin parte possano essere indipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suopotere globalizzante e massificante. Di fatto la tecnica ha una tendenza a farsì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica, e «l’uomo che ne è ilprotagonista sa che, in ultima analisi, non si tratta né di utilità, né dibenessere, ma di dominio; dominio nel senso estremo della parola». Per questo«cerca di afferrare gli elementi della natura ed insieme quelli dell’esistenzaumana». Siriducono così la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazioper la creatività alternativa degli individui.
109. Il paradigmatecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sullapolitica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto,senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano.La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisifinanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramentoambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e latecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui siafferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e dellamiseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato.Non è una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere,bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro chenon lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembranopreoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzionedella ricchezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazionifuture. Con il loro comportamento affermano che l’obiettivo dellamassimizzazione dei profitti è sufficiente. Il mercato da solo però nongarantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale. Nel frattempo,abbiamo una «sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta inmodo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante», mentrenon si mettono a punto con sufficiente celerità istituzioni economiche eprogrammi sociali che permettano ai più poveri di accedere in modo regolarealle risorse di base. Non ci si rende conto a sufficienza di quali sono leradici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere conl’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescitatecnologica ed economica.
110. La specializzazionepropria della tecnologia implica una notevole difficoltà ad avere uno sguardod’insieme. La frammentazione del sapere assolve la propria funzione nel momentodi ottenere applicazioni concrete, ma spesso conduce a perdere il senso dellatotalità, delle relazioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte ampio, sensoche diventa irrilevante. Questo stesso fatto impedisce di individuare vieadeguate per risolvere i problemi più complessi del mondo attuale, soprattuttoquelli dell’ambiente e dei poveri, che non si possono affrontare a partire daun solo punto di vista o da un solo tipo di interessi. Una scienza che pretendadi offrire soluzioni alle grandi questioni, dovrebbe necessariamente tenerconto di tutto ciò che la conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere,comprese la filosofia e l’etica sociale. Ma questo è un modo di agire difficileda portare avanti oggi. Perciò non si possono nemmeno riconoscere dei veriorizzonti etici di riferimento. La vita diventa un abbandonarsi allecircostanze condizionate dalla tecnica, intesa come la principale risorsa perinterpretare l’esistenza. Nella realtà concreta che ci interpella, appaionodiversi sintomi che mostrano l’errore, come il degrado ambientale, l’ansia, laperdita del senso della vita e del vivere insieme. Si dimostra così ancora unavolta che «la realtà è superiore all’idea».
111. La culturaecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali aiproblemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimentodelle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso,un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e unaspiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigmatecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possonofinire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimediotecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare coseche nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi delsistema mondiale.
112. È possibile,tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace dilimitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipodi progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale. La liberazionedal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Peresempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzionemeno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialitànon consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere iproblemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con piùdignità e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del bello e lasua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una sorta disalvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla.L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzoalla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtrasotto una porta chiusa. Sarà una promessa permanente, nonostante tutto, chesboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è autentico?
113. D’altronde, lagente ormai non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente inun domani migliore a partire dalle attuali condizioni del mondo e dallecapacità tecniche. Prende coscienza che il progresso della scienza e dellatecnica non equivale al progresso dell’umanità e della storia, e intravede chesono altre le strade fondamentali per un futuro felice. Ciononostante, neppureimmagina di rinunciare alle possibilità che offre la tecnologia. L’umanità si èmodificata profondamente e l’accumularsi di continue novità consacra unafugacità che ci trascina in superficie in un’unica direzione. Diventa difficilefermarci per recuperare la profondità della vita. Se l’architettura riflette lospirito di un’epoca, le megastrutture e le case in serie esprimono lo spiritodella tecnica globalizzata, in cui la permanente novità dei prodotti si uniscea una pesante noia. Non rassegniamoci a questo e non rinunciamo a farci domandesui fini e sul senso di ogni cosa. Diversamente, legittimeremo soltanto lostato di fatto e avremo bisogno di più surrogati per sopportare il vuoto.
114. Ciò che staaccadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosarivoluzione culturale. La scienza e la tecnologia non sono neutrali, ma possonoimplicare dall’inizio alla fine di un processo diverse intenzioni epossibilità, e possono configurarsi in vari modi. Nessuno vuole tornareall’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia perguardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi esostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti dauna sfrenatezza megalomane.
III. CRISI E CONSEGUENZEDELL’ANTROPOCENTRISMO MODERNO
115. L’antropocentrismomoderno, paradossalmente, ha finito per collocare la ragione tecnica al disopra della realtà, perché questo essere umano « non sente più la natura nécome norma valida, né come vivente rifugio. La vede senza ipotesi,obiettivamente, come spazio e materia in cui realizzare un’opera nella qualegettarsi tutto, e non importa che cosa ne risulterà ».In tal modo, si sminuisceil valore intrinseco del mondo. Ma se l’essere umano non riscopre il suo veroposto, non comprende in maniera adeguata sé stesso e finisce per contraddire lapropria realtà. «Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deveusarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli èstata donata; ma l’uomo è donato a sé stesso da Dio e deve, perciò, rispettarela struttura naturale e morale, di cui è stato dotato ».
116. Nella modernità siè verificato un notevole eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggicontinua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo dirafforzare i legami sociali. Per questo è giunto il momento di prestarenuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a lorovolta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano efecondo. Una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito perpromuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con ilmondo. Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondoche ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli.Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signoredell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile.
117. La mancanza dipreoccupazione per misurare i danni alla natura e l’impatto ambientale delledecisioni, è solo il riflesso evidente di un disinteresse a riconoscere ilmessaggio che la natura porta inscritto nelle sue stesse strutture. Quando nonsi riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrioneumano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi –,difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto èconnesso. Se l’essere umano si dichiara autonomo dalla realtà e si costituiscedominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola, perché«Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera dellacreazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare laribellione della natura».
118. Questa situazioneci conduce ad una schizofrenia permanente, che va dall’esaltazione tecnocraticache non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione dinegare ogni peculiare valore all’essere umano. Ma non si può prescinderedall’umanità. Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essereumano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia. Quando la personaumana viene considerata solo un essere in più tra gli altri, che deriva da ungioco del caso o da un determinismo fisico, «si corre il rischio che siaffievolisca nelle persone la coscienza della responsabilità».Unantropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un“biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, chenon solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri. Non si puòesigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non siriconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità diconoscenza, volontà, libertà e responsabilità.
119. La criticaall’antropocentrismo deviato non dovrebbe nemmeno collocare in secondo piano ilvalore delle relazioni tra le persone. Se la crisi ecologica è un emergere ouna manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale dellamodernità, non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la naturae l’ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali. Quando ilpensiero cristiano rivendica per l’essere umano un peculiare valore al di sopradelle altre creature, dà spazio alla valorizzazione di ogni persona umana, ecosì stimola il riconoscimento dell’altro. L’apertura ad un “tu” in grado diconoscere, amare e dialogare continua ad essere la grande nobiltà della personaumana. Perciò, in ordine ad un’adeguata relazione con il creato, non c’èbisogno di sminuire la dimensione sociale dell’essere umano e neppure la suadimensione trascendente, la sua apertura al “Tu” divino. Infatti, non si puòproporre una relazione con l’ambiente a prescindere da quella con le altrepersone e con Dio. Sarebbe un individualismo romantico travestito da bellezzaecologica e un asfissiante rinchiudersi nell’immanenza.
120. Dal momento chetutto è in relazione, non è neppure compatibile la difesa della natura con lagiustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo perl’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti oimportuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivosia causa di disagi e difficoltà: «Se si perde la sensibilità personale esociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienzautili alla vita sociale si inaridiscono».
121. Si attende ancoralo sviluppo di una nuova sintesi che superi le false dialettiche degli ultimisecoli. Lo stesso cristianesimo, mantenendosi fedele alla sua identità e altesoro di verità che ha ricevuto da Gesù Cristo, sempre si ripensa e siriesprime nel dialogo con le nuove situazioni storiche, lasciando sbocciarecosì la sua perenne novità.
Il relativismo pratico
122. Un antropocentrismodeviato dà luogo a uno stile di vita deviato. Nell’Esortazione apostolica Evangeliigaudium ho fatto riferimento al relativismo pratico che caratterizza lanostra epoca, e che è «ancora più pericoloso di quello dottrinale ». Quandol’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta aisuoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo. Perciò nondovrebbe meravigliare il fatto che, insieme all’onnipresenza del paradigmatecnocratico e all’adorazione del potere umano senza limiti, si sviluppi neisoggetti questo relativismo, in cui tutto diventa irrilevante se non serve aipropri interessi immediati. Vi è in questo una logica che permette dicomprendere come si alimentino a vicenda diversi atteggiamenti che provocano altempo stesso il degrado ambientale e il degrado sociale.
123. La cultura delrelativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare diun’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, oriducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta asfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servonoai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che leforze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sullasocietà e sulla natura sono danni inevitabili. Se non ci sono verità oggettivené princìpi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazionie delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseriumani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamantiinsanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logicarelativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo divenderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perchénon rispondono al desiderio dei loro genitori? È la stessa logica “usa e getta”che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più diquello di cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che iprogrammi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamentiche colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non siriconosce più alcuna verità oggettiva o princìpi universalmente validi, leleggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli daevitare.
La necessità didifendere il lavoro
124. In qualunqueimpostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, èindispensabile integrare il valore del lavoro, tanto sapientemente sviluppatoda san Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Laborem exercens.Ricordiamo che, secondo il racconto biblico della creazione, Dio pose l’essereumano nel giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non solo per prendersicura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché producesse frutti(coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la creazione eterna» (Sir38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppodel creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsicome strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Eglistesso ha inscritto nelle cose: «Il Signore ha creato medicamenti dalla terra,l’uomo assennato non li disprezza» (Sir 38,4).
125. Se cerchiamo dipensare quali siano le relazioni adeguate dell’essere umano con il mondo che locirconda, emerge la necessità di una corretta concezione del lavoro, perché, separliamo della relazione dell’essere umano con le cose, si pone l’interrogativocirca il senso e la finalità dell’azione umana sulla realtà. Non parliamo solodel lavoro manuale o del lavoro della terra, bensì di qualsiasi attività cheimplichi qualche trasformazione dell’esistente, dall’elaborazione di un studiosociale fino al progetto di uno sviluppo tecnologico. Qualsiasi forma di lavoropresuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire conl’altro da sé. La spiritualità cristiana, insieme con lo stupore contemplativoper le creature che troviamo in san Francesco d’Assisi, ha sviluppato anche unaricca e sana comprensione del lavoro, come possiamo riscontrare, per esempio,nella vita del beato Charles de Foucauld e dei suoi discepoli.
126. Raccogliamo anchequalcosa dalla lunga tradizione monastica. All’inizio essa favorì in un certomodo la fuga dal mondo, tentando di allontanarsi dalla decadenza urbana. Perquesto i monaci cercavano il deserto, convinti che fosse il luogo adatto perriconoscere la presenza di Dio. Successivamente, san Benedetto da Norcia volleche i suoi monaci vivessero in comunità, unendo la preghiera e lo studio con illavoro manuale (Ora et labora). Questa introduzione del lavoro manualeintriso di senso spirituale si rivelò rivoluzionaria. Si imparò a cercare lamaturazione e la santificazione nell’intreccio tra il raccoglimento e illavoro. Tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e dirispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la nostra relazione con ilmondo.
127. Affermiamo che«l’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale». Ciononostante,quando nell’essere umano si perde la capacità di contemplare e di rispettare,si creano le condizioni perché il senso del lavoro venga stravolto. Convienericordare sempre che l’essere umano è nello stesso tempo «capace di divenirelui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suoprogresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale».Il lavorodovrebbe essere l’ambito di questo multiforme sviluppo personale, dove simettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nelfuturo, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazionecon gli altri, un atteggiamento di adorazione. Perciò la realtà sociale delmondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di unadiscutibile razionalità economica, esige che «si continui a perseguire quale prioritàl’obiettivo dell’accesso al lavoro [...] per tutti».
128. Siamo chiamati allavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre piùil lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanitàdanneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso dellavita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazionepersonale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre unrimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivodovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro.Tuttavia l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progressotecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione delladiminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulterioremodo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzionedei posti di lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano economico,attraverso la progressiva erosione del “capitale sociale”, ossia diquell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delleregole, indispensabili ad ogni convivenza civile». In definitiva «i costi umani sonosempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempreanche costi umani». Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggiorprofitto immediato è un pessimo affare per la società.
129. Perché continui adessere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economiache favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale.Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e dipiccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazionemondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua eproducendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nellacaccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Leeconomie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringerei piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le lorocoltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altreforme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa delladifficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastrutturadi vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hannoil diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio aipiccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia unalibertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte puòessere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse epotere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quandoperò le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, equando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio chedisonora la politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazioneorientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere unmodo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività,soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parteimprescindibile del suo servizio al bene comune.
L’innovazione biologicaa partire dalla ricerca
130. Nella visionefilosofica e teologica dell’essere umano e della creazione, che ho cercato diproporre, risulta chiaro che la persona umana, con la peculiarità della suaragione e della sua scienza, non è un fattore esterno che debba esseretotalmente escluso. Tuttavia, benché l’essere umano possa intervenire nel mondovegetale e animale e servirsene quando è necessario alla sua vita, il Catechismoinsegna che le sperimentazioni sugli animali sono legittime solo se «simantengono in limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o a salvare viteumane ».106 Ricordacon fermezza che il potere umano ha dei limiti e che « è contrario alla dignitàumana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente dellaloro vita ». Qualsiasiuso e sperimentazione «esige un religioso rispetto dell’integrità dellacreazione ».
131. Desidero recepirequi l’equilibrata posizione di san Giovanni Paolo II, il quale metteva inrisalto i benefici dei progressi scientifici e tecnologici, che «manifestanoquanto sia nobile la vocazione dell’uomo a partecipare responsabilmenteall’azione creatrice di Dio», ma che al tempo stesso ricordava «come ogniintervento in un’area dell’ecosistema non possa prescindere dal considerare lesue conseguenze in altre aree». Affermava che la Chiesa apprezza l’apporto «dellostudio e delle applicazioni della biologia molecolare, completata dalle altrediscipline come la genetica e la sua applicazione tecnologica nell’agricolturae nell’industria». Benché dicesse anche che questo non deve dar luogo ad una«indiscriminata manipolazione genetica» che ignori gli effetti negativi diquesti interventi. Non è possibile frenare la creatività umana. Se non si puòproibire a un artista di esprimere la sua capacità creativa, neppure si possonoostacolare coloro che possiedono doni speciali per lo sviluppo scientifico etecnologico, le cui capacità sono state donate da Dio per il servizio deglialtri. Nello stesso tempo, non si può fare a meno di riconsiderare gliobiettivi, gli effetti, il contesto e i limiti etici di tale attività umana cheè una forma di potere con grandi rischi.
132. In questo quadrodovrebbe situarsi qualsiasi riflessione circa l’intervento umano sul mondovegetale e animale, che implica oggi mutazioni genetiche prodotte dallabiotecnologia, allo scopo di sfruttare le possibilità presenti nella realtàmateriale. Il rispetto della fede verso la ragione chiede di prestareattenzione a quanto la stessa scienza biologica, sviluppata in modoindipendente rispetto agli interessi economici, può insegnare a proposito dellestrutture biologiche e delle loro possibilità e mutazioni. In ogni caso, èlegittimo l’intervento che agisce sulla natura «per aiutarla a svilupparsisecondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio».
133. È difficileemettere un giudizio generale sullo sviluppo di organismi geneticamentemodificati (OGM), vegetali o animali, per fini medici o in agricoltura, dalmomento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinteconsiderazioni. D’altra parte, i rischi non vanno sempre attribuiti allatecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione. In realtà, lemutazioni genetiche sono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa.Nemmeno quelle provocate dall’essere umano sono un fenomeno moderno. Ladomesticazione di animali, l’incrocio di specie e altre pratiche antiche euniversalmente accettate possono rientrare in queste considerazioni. Èopportuno ricordare che l’inizio degli sviluppi scientifici sui cereali transgeniciè stato l’osservazione di batteri che naturalmente e spontaneamente producevanouna modifica nel genoma di un vegetale. Tuttavia in natura questi processihanno un ritmo lento, che non è paragonabile alla velocità imposta daiprogressi tecnologici attuali, anche quando tali progressi si basano su unosviluppo scientifico di secoli.
134. Sebbene nondisponiamo di prove definitive circa il danno che potrebbero causare i cerealitransgenici agli esseri umani, e in alcune regioni il loro utilizzo ha prodottouna crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, siriscontrano significative difficoltà che non devono essere minimizzate. Inmolte zone, in seguito all’introduzione di queste coltivazioni, si constata unaconcentrazione di terre produttive nelle mani di pochi, dovuta alla «progressivascomparsa dei piccoli produttori, che, in conseguenza della perdita delle terrecoltivate, si sono visti obbligati a ritirarsi dalla produzione diretta». I più fragilitra questi diventano lavoratori precari e molti salariati agricoli finisconoper migrare in miserabili insediamenti urbani. L’estendersi di questecoltivazioni distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce ladiversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economieregionali. In diversi Paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo dioligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per lacoltivazione, e la dipendenza si aggrava se si considera la produzione di semisterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle impreseproduttrici.
135. Senza dubbio c’èbisogno di un’attenzione costante, che porti a considerare tutti gli aspettietici implicati. A tal fine occorre assicurare un dibattito scientifico esociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tuttal’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome. A volte nonsi mette sul tavolo l’informazione completa, ma la si seleziona secondo ipropri interessi, siano essi politici, economici o ideologici. Questo rendedifficile elaborare un giudizio equilibrato e prudente sulle diverse questioni,tenendo presenti tutte le variabili in gioco. È necessario disporre di luoghidi dibattito in cui tutti quelli che in qualche modo si potrebbero vederedirettamente o indirettamente coinvolti (agricoltori, consumatori, autorità,scienziati, produttori di sementi, popolazioni vicine ai campi trattati ealtri) possano esporre le loro problematiche o accedere ad un’informazioneestesa e affidabile per adottare decisioni orientate al bene comune presente efuturo. Quella degli OGM è una questione di carattere complesso, che esige diessere affrontata con uno sguardo comprensivo di tutti i suoi aspetti, e questorichiederebbe almeno un maggiore sforzo per finanziare diverse linee di ricercaautonoma e interdisciplinare che possano apportare nuova luce.
136. D’altro canto, èpreoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integritàdell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica,mentre a volte non applicano questi medesimi princìpi alla vita umana. Spessosi giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenticon embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essereumano va molto oltre il grado del suo sviluppo. Ugualmente, quando la tecnicanon riconosce i grandi princìpi etici, finisce per considerare legittimaqualsiasi pratica. Come abbiamo visto in questo capitolo, la tecnica separatadall’etica difficilmente sarà capace di autolimitare il proprio potere.
CAPITOLO QUARTO: UN’ECOLOGIAINTEGRALE
137. Dal momento chetutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono unosguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo disoffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologiaintegrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali.
I. ECOLOGIA AMBIENTALE, ECONOMICAE SOCIALE
138. L’ecologia studiale relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essaesige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e disopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo,produzione e consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto chetutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, eneppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerareseparatamente. Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici ebiologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano unarete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere. Buona parte della nostrainformazione genetica è condivisa con molti esseri viventi. Per tale ragione,le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza sefanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà.
139. Quando parliamo di“ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella trala natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare lanatura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostravita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioniper le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamentodella società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi dicomprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibiletrovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte delproblema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino leinterazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sonodue crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola ecomplessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono unapproccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agliesclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.
140. A causa dellaquantità e varietà degli elementi di cui tenere conto, al momento dideterminare l’impatto ambientale di una concreta attività d’impresa diventaindispensabile dare ai ricercatori un ruolo preminente e facilitare la lorointerazione, con ampia libertà accademica. Questa ricerca costante dovrebbepermettere di riconoscere anche come le diverse creature si relazionano,formando quelle unità più grandi che oggi chiamiamo “ecosistemi”. Non liprendiamo in considerazione solo per determinare quale sia il loro usoragionevole, ma perché possiedono un valore intrinseco indipendente da taleuso. Come ogni organismo è buono e mirabile in sé stesso per il fatto di essereuna creatura di Dio, lo stesso accade con l’insieme armonico di organismi inuno spazio determinato, che funziona come un sistema. Anche se non ne abbiamocoscienza, dipendiamo da tale insieme per la nostra stessa esistenza. Occorrericordare che gli ecosistemi intervengono nel sequestro dell’anidridecarbonica, nella purificazione dell’acqua, nel contrasto di malattie einfestazioni, nella composizione del suolo, nella decomposizione dei rifiuti ein moltissimi altri servizi che dimentichiamo o ignoriamo. Quando si rendonoconto di questo, molte persone prendono nuovamente coscienza del fatto che viviamoe agiamo a partire da una realtà che ci è stata previamente donata, che èanteriore alle nostre capacità e alla nostra esistenza. Perciò, quando si parladi “uso sostenibile” bisogna sempre introdurre una considerazione sullacapacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori easpetti.
141. D’altra parte, lacrescita economica tende a produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine disemplificare i processi e ridurre i costi. Per questo è necessaria un’ecologiaeconomica, capace di indurre a considerare la realtà in maniera più ampia.Infatti, «la protezione dell’ambiente dovrà costituire parte integrante delprocesso di sviluppo e non potrà considerarsi in maniera isolata ». Ma nellostesso tempo diventa attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che faappello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione piùintegrale e integrante. Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabiledall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazionedi ciascuna persona con sé stessa, che genera un determinato modo direlazionarsi con gli altri e con l’ambiente. C’è una interazione tra gliecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e così si dimostraancora una volta che «il tutto è superiore alla parte».
142. Se tutto è inrelazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comportaconseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana: «Ogni lesionedella solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali ». In tal senso,l’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamentele diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, finoalla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione. All’internodi ciascun livello sociale e tra di essi, si sviluppano le istituzioni cheregolano le relazioni umane. Tutto ciò che le danneggia comporta effettinocivi, come la perdita della libertà, l’ingiustizia e la violenza. DiversiPaesi sono governati da un sistema istituzionale precario, a costo dellesofferenze della popolazione e a beneficio di coloro che lucrano su questostato di cose. Tanto all’interno dell’amministrazione dello Stato, quanto nellediverse espressioni della società civile, o nelle relazioni degli abitanti traloro, si registrano con eccessiva frequenza comportamenti illegali. Le leggipossono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono come letteramorta. Si può dunque sperare che la legislazione e le normative relative all’ambientesiano realmente efficaci? Sappiamo, per esempio, che Paesi dotati di unalegislazione chiara per la protezione delle foreste, continuano a rimaneretestimoni muti della sua frequente violazione. Inoltre, ciò che accade in unaregione esercita, direttamente o indirettamente, influenze sulle altre regioni.Così per esempio, il consumo di droghe nelle società opulente provoca unacostante o crescente domanda di prodotti che provengono da regioni impoverite,dove si corrompono i comportamenti, si distruggono vite e si finisce coldegradare l’ambiente.
II. ECOLOGIA CULTURALE
143. Insieme alpatrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale,ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base percostruire una città abitabile. Non si tratta di distruggere e di creare nuovecittà ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta desiderabilevivere. Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di undeterminato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologiarichiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel lorosignificato più ampio. In modo più diretto, chiede di prestare attenzione alleculture locali nel momento in cui si analizzano questioni legate all’ambiente,facendo dialogare il linguaggio tecnico-scientifico con il linguaggio popolare.È la cultura non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nelsuo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si può escludere nel momentoin cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente.
144. La visioneconsumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economiaglobalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensavarietà culturale, che è un tesoro dell’umanità. Per tale ragione, pretenderedi risolvere tutte le difficoltà mediante normative uniformi o con interventitecnici, porta a trascurare la complessità delle problematiche locali, cherichiedono la partecipazione attiva degli abitanti. I nuovi processi ingestazione non possono sempre essere integrati entro modelli stabilitidall’esterno ma provenienti dalla stessa cultura locale. Così come la vita e ilmondo sono dinamici, la cura del mondo dev’essere flessibile e dinamica. Lesoluzioni meramente tecniche corrono il rischio di prendere in considerazionesintomi che non corrispondono alle problematiche più profonde. È necessarioassumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, e in tal modocomprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storicoall’interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degliattori sociali locali a partire dalla loro propria cultura. Neppure lanozione di qualità della vita si può imporre, ma dev’essere compresa all’internodel mondo di simboli e consuetudini propri di ciascun gruppo umano.
145. Molte forme diintenso sfruttamento e degrado dell’ambiente possono esaurire non solo i mezzidi sussistenza locali, ma anche le risorse sociali che hanno consentito un mododi vivere che per lungo tempo ha sostenuto un’identità culturale e un sensodell’esistenza e del vivere insieme. La scomparsa di una cultura può esseregrave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale.L’imposizione di uno stile egemonico di vita legato a un modo di produzione puòessere tanto nocivo quanto l’alterazione degli ecosistemi.
146. In questo senso, èindispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le lorotradizioni culturali. Non sono una semplice minoranza tra le altre, mapiuttosto devono diventare i principali interlocutori, soprattutto nel momento incui si procede con grandi progetti che interessano i loro spazi. Per loro,infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenatiche in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno diinteragire per alimentare la loro identità e i loro valori. Quando rimangononei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura. Tuttavia, indiverse parti del mondo, sono oggetto di pressioni affinché abbandonino le loroterre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamentoche non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura.
III. ECOLOGIA DELLA VITAQUOTIDIANA
147. Per poter parlaredi autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un miglioramentointegrale nella qualità della vita umana, e questo implica analizzare lo spazioin cui si svolge l’esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamoinfluiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempostesso, nella nostra stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro enel nostro quartiere facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostraidentità. Ci sforziamo di adattarci all’ambiente, e quando esso è disordinato,caotico o saturo di inquinamento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette allaprova i nostri tentativi di sviluppare un’identità integrata e felice.
148. È ammirevole lacreatività e la generosità di persone e gruppi che sono capaci di ribaltare ilimiti dell’ambiente, modificando gli effetti avversi dei condizionamenti, eimparando ad orientare la loro esistenza in mezzo al disordine e allaprecarietà. Per esempio, in alcuni luoghi, dove le facciate degli edifici sonomolto deteriorate, vi sono persone che curano con molta dignità l’interno delleloro abitazioni, o si sentono a loro agio per la cordialità e l’amicizia dellagente. La vita sociale positiva e benefica degli abitanti diffonde luce in unambiente a prima vista invivibile. A volte è encomiabile l’ecologia umana cheriescono a sviluppare i poveri in mezzo a tante limitazioni. La sensazione disoffocamento prodotta dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad altadensità abitativa, viene contrastata se si sviluppano relazioni umane divicinanza e calore, se si creano comunità, se i limiti ambientali sono compensatinell’interiorità di ciascuna persona, che si sente inserita in una rete dicomunione e di appartenenza. In tal modo, qualsiasi luogo smette di essere uninferno e diventa il contesto di una vita degna.
149. È provato inoltreche l’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezzae possibilità d’integrazione, facilita il
sorgere di comportamentidisumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali.Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidianadi passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandicittà, può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamentiantisociali e violenza. Tuttavia mi preme ribadire che l’amore è più forte.Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami diappartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienzacomunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barrieredell’egoismo. Questa esperienza di salvezza comunitaria è ciò che spessosuscita reazioni creative per migliorare un edificio o un quartiere.117
150. Datal’interrelazione tra gli spazi urbani e il comportamento umano, coloro cheprogettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città, hanno bisogno delcontributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, ilsimbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezzanel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: laqualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro el’aiuto reciproco. Anche per questo è tanto importante che il punto di vistadegli abitanti del luogo contribuisca sempre all’analisi della pianificazioneurbanistica.
151. È necessario curaregli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani cheaccrescono il nostro senso si appartenenza, la nostra sensazione diradicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno della città che cicontiene e ci unisce. È importante che le diverse parti di una città siano benintegrate e che gli abitanti possano avere una visione d’insieme invece dirinchiudersi in un quartiere, rinunciando a vivere la città intera come unospazio proprio condiviso con gli altri. Ogni intervento nel paesaggio urbano orurale dovrebbe considerare come i diversi elementi del luogo formino un tuttoche è percepito dagli abitanti come un quadro coerente con la sua ricchezza disignificati. In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si puòpercepire come parte di un “noi” che costruiamo insieme. Per questa stessaragione, sia nell’ambiente urbano sia in quello rurale, è opportuno preservarealcuni spazi nei quali si evitino interventi umani che li modifichinocontinuamente.
152. La mancanza dialloggi è grave in molte parti del mondo, tanto nelle zone rurali quanto nellegrandi città, anche perché i bilanci statali di solito coprono solo una piccolaparte della domanda. Non soltanto i poveri, ma una gran parte della societàincontra serie difficoltà ad avere una casa propria. La proprietà della casa hamolta importanza per la dignità delle persone e per lo sviluppo delle famiglie.Si tratta di una questione centrale dell’ecologia umana. Se in un determinatoluogo si sono già sviluppati agglomerati caotici di case precarie, si trattaanzitutto di urbanizzare tali quartieri, non di sradicarne ed espellerne gliabitanti. Quando i poveri vivono in sobborghi inquinati o in agglomeratipericolosi, «nel caso si debba procedere al loro trasferimento e per nonaggiungere sofferenza a sofferenza, è necessario fornire un’adeguata e previainformazione, offrire alternative di alloggi dignitosi e coinvolgeredirettamente gli interessati ». Nello stesso tempo, la creatività dovrebbeportare ad integrare i quartieri disagiati all’interno di una cittàaccogliente. «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana eintegrano i differenti e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore disviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico,sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono ilriconoscimento dell’altro!».
153. La qualità dellavita nelle città è legata in larga parte ai trasporti, che sono spesso causa digrandi sofferenze per gli abitanti. Nelle città circolano molte automobiliutilizzate da una o due persone, per cui il traffico diventa intenso, si alzail livello d’inquinamento, si consumano enormi quantità di energia nonrinnovabile e diventa necessaria la costruzione di più strade e parcheggi, chedanneggiano il tessuto urbano. Molti specialisti concordano sulla necessità didare priorità ai trasporti pubblici. Tuttavia alcune misure necessariedifficilmente saranno accettate in modo pacifico dalla società senza unmiglioramento sostanziale di tali trasporti, che in molte città comporta untrattamento indegno delle persone a causa dell’affollamento, della scomodità odella scarsa frequenza dei servizi e dell’insicurezza.
154. Il riconoscimentodella peculiare dignità dell’essere umano molte volte contrasta con la vitacaotica che devono condurre le persone nelle nostre città. Questo però nondovrebbe far dimenticare lo stato di abbandono e trascuratezza che soffronoanche alcuni abitanti delle zone rurali, dove non arrivano i servizi essenzialie ci sono lavoratori ridotti in condizione di schiavitù, senza diritti néaspettative di una vita più dignitosa.
155. L’ecologia umanaimplica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vitadell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura,relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso. AffermavaBenedetto XVI che esiste una «ecologia dell’uomo» perché «anche l’uomo possiedeuna natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere ». In questalinea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione direttacon l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpocome dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero comedono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo sitrasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare adaccogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati èessenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nellasua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessinell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare congioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, earricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretendadi «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».
IV. IL PRINCIPIO DELBENE COMUNE
156. L’ecologia umana èinseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolocentrale e unificante nell’etica sociale. È «l’insieme di quelle condizionidella vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri diraggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».
157. Il bene comunepresuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con dirittifondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche idispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppiintermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risaltaspecialmente la famiglia, come cellula primaria della società. Infine, il benecomune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilità e la sicurezza di undeterminato ordine, che non si realizza senza un’attenzione particolare allagiustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza. Tutta lasocietà – e in essa specialmente lo Stato – ha l’obbligo di difendere epromuovere il bene comune.
158. Nelle condizioniattuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sonosempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umanifondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, comelogica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in unaopzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre leconseguenze della destinazione comune dei beni della terra, ma, come ho cercatodi mostrare nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, esige dicontemplare prima di tutto l’immensa dignità del povero alla luce delle piùprofonde convinzioni di fede. Basta osservare la realtà per comprendere cheoggi questa opzione è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva realizzazionedel bene comune.
V. LA GIUSTIZIA TRA LEGENERAZIONI
159. La nozione di benecomune coinvolge anche le generazioni future. Le crisi economicheinternazionali hanno mostrato con crudezza gli effetti nocivi che porta con séil disconoscimento di un destino comune, dal quale non possono essere esclusicoloro che verranno dopo di noi. Ormai non si può parlare di svilupposostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. Quando pensiamo allasituazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo inun’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se laterra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterioutilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Nonstiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questioneessenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevutoappartiene anche a coloro che verranno. I Vescovi del Portogallo hanno esortatoad assumere questo dovere di giustizia: «L’ambiente si situa nella logica delricevere. È un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere allagenerazione successiva». Un’ecologia integrale possiede tale visione ampia.
160. Che tipo di mondodesideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini chestanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato,perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamocirca il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suoorientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in essequesta domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologichepossano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta concoraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: Ache scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita?Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le futuregenerazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità dinoi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabileper l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciòchiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.
161. Le previsionicatastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia.Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti esporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente hasuperato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vitaattuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come difatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione deglieffetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto sepensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovrannosopportare le peggiori conseguenze.
162. La difficoltà aprendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico eculturale, che accompagna quello ecologico. L’uomo e la donna del mondopostmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti,e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricercaegoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari esociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte adun consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli, che trovanosempre più difficoltà ad acquistare una casa propria e a fondare una famiglia.Inoltre, questa incapacità di pensare seriamente alle future generazioni èlegata alla nostra incapacità di ampliare l’orizzonte delle nostrepreoccupazioni e pensare a quanti rimangono esclusi dallo sviluppo. Nonperdiamoci a immaginare i poveri del futuro, è sufficiente che ricordiamo ipoveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su questa terra e non possono continuaread aspettare. Perciò, «oltre alla leale solidarietà intergenerazionale, occorrereiterare l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietàintragenerazionale
CAPITOLO QUINTO: ALCUNELINEE DI ORIENTAMENTO E DI AZIONE
163. Ho cercato di prenderein esame la situazione attuale dell’umanità, tanto nelle crepe del pianeta cheabitiamo, quanto nelle cause più profondamente umane del degrado ambientale.Sebbene questa contemplazione della realtà in sé stessa già ci indichi lanecessità di un cambio di rotta e ci suggerisca alcune azioni, proviamo ora adelineare dei grandi percorsi di dialogo che ci aiutino ad uscire dalla spiraledi autodistruzione in cui stiamo affondando.
I. IL DIALOGO SULL’AMBIENTENELLA POLITICA INTERNAZIONALE
164. Dalla metà delsecolo scorso, superando molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza aconcepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casacomune. Un mondo interdipendente non significa unicamente capire che leconseguenze dannose degli stili di vita, di produzione e di consumo colpisconotutti, bensì, principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte apartire da una prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi dialcuni Paesi. L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, adun progetto comune. Ma lo stesso ingegno utilizzato per un enormesviluppo tecnologico, non riesce a trovare forme efficaci di gestioneinternazionale in ordine a risolvere le gravi difficoltà ambientali e sociali.Per affrontare i problemi di fondo, che non possono essere risolti da azioni disingoli Paesi, si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, adesempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppareforme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienzaenergetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali emarine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile.
165. Sappiamo che latecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie ilcarbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve esseresostituita progressivamente e senza indugio. In attesa di un ampio sviluppodelle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimooptare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie. Tuttavia, nellacomunità internazionale non si raggiungono accordi adeguati circa laresponsabilità di coloro che devono sopportare i costi maggiori dellatransizione energetica. Negli ultimi decenni le questioni ambientali hanno datoorigine a un ampio dibattito pubblico, che ha fatto crescere nella societàcivile spazi di notevole impegno e di generosa dedizione. La politica el’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza dellesfide mondiali. In questo senso si può dire che, mentre l’umanità del periodopost-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili dellastoria, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa esserericordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità.
166. Il movimentoecologico mondiale ha già fatto un lungo percorso, arricchito dallo sforzo dimolte organizzazioni della società civile. Non sarebbe possibile quimenzionarle tutte, né ripercorrere la storia dei loro contributi. Ma grazie a tantoimpegno, le questioni ambientali sono state sempre più presenti nell’agendapubblica e sono diventate un invito permanente a pensare a lungo termine.Ciononostante, i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hannorisposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hannoraggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci.
167. Va ricordato ilVertice della Terra celebrato nel 1992 a Rio de Janeiro. In quella sede è statodichiarato che «gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relativeallo sviluppo sostenibile ». Riprendendo alcuni contenuti della Dichiarazionedi Stoccolma (1972), ha sancito, tra l’altro, la cooperazione internazionaleper la cura dell’ecosistema di tutta la terra, l’obbligo da parte di chiinquina di farsene carico economicamente, il dovere di valutare l’impattoambientale di ogni opera o progetto. Ha proposto l’obiettivo di stabilizzare leconcentrazioni di gas serra nell’atmosfera per invertire la tendenza al riscaldamentoglobale. Ha elaborato anche un’agenda con un programma di azione e unaconvenzione sulla diversità biologica, ha dichiarato principi in materiaforestale. Benché quel vertice sia stato veramente innovativo e profetico perla sua epoca, gli accordi hanno avuto un basso livello di attuazione perché nonsi sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e disanzione delle inadempienze. I principi enunciati continuano a richiedere vieefficaci e agili di realizzazione pratica.
168. Tra le esperienzepositive si può menzionare, per esempio, la Convenzione di Basilea sui rifiutipericolosi, con un sistema di notificazione, di livelli stabiliti e dicontrolli; come pure la Convenzione vincolante sul commercio internazionaledelle specie di fauna e flora selvatica minacciate di estinzione, che prevedemissioni di verifica dell’attuazione effettiva. Grazie alla Convenzione diVienna per la protezione dello strato di ozono e la sua attuazione mediante ilProtocollo di Montreal e i suoi emendamenti, il problema dell’assottigliamentodi questo strato sembra essere entrato in una fase di soluzione.
169. Riguardo alla curaper la diversità biologica e la desertificazione, i progressi sono stati moltomeno significativi. Per quanto attiene ai cambiamenti climatici, i progressisono deplorevolmente molto scarsi. La riduzione dei gas serra richiede onestà,coraggio e responsabilità, soprattutto da parte dei Paesi più potenti e piùinquinanti. La Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibiledenominata Rio+20 (Rio de Janeiro 2012), ha emesso un’ampia quanto inefficaceDichiarazione finale. I negoziati internazionali non possono avanzare inmaniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano ipropri interessi nazionali rispetto al bene comune globale. Quanti subiranno leconseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza dicoscienza e di responsabilità. Mentre si andava elaborando questa Enciclica, ildibattito ha assunto una particolare intensità. Noi credenti non possiamo nonpregare Dio per gli sviluppi positivi delle attuali discussioni, in modo che legenerazioni future non soffrano le conseguenze di imprudenti indugi.
170. Alcune dellestrategie per la bassa emissione di gas inquinanti puntano allainternazionalizzazione dei costi ambientali, con il pericolo di imporre aiPaesi con minori risorse pesanti impegni sulle riduzioni di emissioni, simili aquelli dei Paesi più industrializzati. L’imposizione di queste misure penalizzai Paesi più bisognosi di sviluppo. In questo modo si aggiunge una nuovaingiustizia sotto il rivestimento della cura per l’ambiente. Anche in questocaso, piove sempre sul bagnato. Poiché gli effetti dei cambiamenti climatici sifaranno sentire per molto tempo, anche se ora si prendessero misure rigorose,alcuni Paesi con scarse risorse avranno bisogno di aiuto per adattarsi aglieffetti che già si stanno producendo e colpiscono le loro economie. Resta certoche ci sono responsabilità comuni ma differenziate, semplicemente perché, comehanno affermato i Vescovi della Bolivia, «i Paesi che hanno tratto beneficio daun alto livello di industrializzazione, a costo di un’enorme emissione di gasserra, hanno maggiore responsabilità di contribuire alla soluzione dei problemiche hanno causato ».
171. La strategia dicompravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma dispeculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti.Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza diun certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamentoradicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente checonsente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori.
172. Per i Paesi poverile priorità devono essere lo sradicamento della miseria e lo sviluppo socialedei loro abitanti; al tempo stesso devono prendere in esame il livelloscandaloso di consumo di alcuni settori privilegiati della loro popolazione econtrastare meglio la corruzione. Certo, devono anche sviluppare forme menoinquinanti di produzione di energia, ma per questo hanno bisogno di contaresull’aiuto dei Paesi che sono cresciuti molto a spese dell’inquinamento attualedel pianeta. Lo sfruttamento diretto dell’abbondante energia solare richiedeche si stabiliscano meccanismi e sussidi in modo che i Paesi in via di sviluppopossano avere accesso al trasferimento di tecnologie, ad assistenza tecnica e arisorse finanziarie, ma sempre prestando attenzione alle condizioni concrete,giacché «non sempre viene adeguatamente valutata la compatibilità degliimpianti con il contesto per il quale sono progettati». I costi sarebbero bassise raffrontati al rischio dei cambiamenti climatici. In ogni modo, è anzituttouna decisione etica, fondata sulla solidarietà di tutti i popoli.
173. Urgono accordiinternazionali che si realizzino, considerata la scarsa capacità delle istanzelocali di intervenire in modo efficace. Le relazioni tra Stati devonosalvaguardare la sovranità di ciascuno, ma anche stabilire percorsi concordatiper evitare catastrofi locali che finirebbero per danneggiare tutti. Occorronoquadri regolatori globali che impongano obblighi e che impediscano azioniinaccettabili, come il fatto che Paesi potenti scarichino su altri Paesirifiuti e industrie altamente inquinanti.
174. Menzioniamo ancheil sistema di governance degli oceani. Infatti, benché vi siano statediverse convenzioni internazionali e regionali, la frammentazione e l’assenzadi severi meccanismi di regolamentazione, controllo e sanzione finiscono con ilminare tutti gli sforzi. Il crescente problema dei rifiuti marini e dellaprotezione delle aree marine al di là delle frontiere nazionali continua arappresentare una sfida speciale. In definitiva, abbiamo bisogno di un accordosui regimi di governance per tutta la gamma dei cosiddetti beni comuniglobali.
175. La medesima logicache rende difficile prendere decisioni drastiche per invertire la tendenza alriscaldamento globale è quella che non permette di realizzare l’obiettivo disradicare la povertà. Abbiamo bisogno di una reazione globale più responsabile,che implica affrontare contemporaneamente la riduzione dell’inquinamento e losviluppo dei Paesi e delle regioni povere. Il XXI secolo, mentre mantiene una governancepropria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Statinazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, concaratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. In questocontesto, diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali piùforti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in manieraimparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere disanzionare. Come ha affermato Benedetto XVI nella linea già sviluppata dalladottrina sociale della Chiesa, « per il governo dell’economia mondiale; perrisanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti dellastessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmointegrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardiadell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di unavera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mioPredecessore, [san] Giovanni XXIII». In tale prospettiva, la diplomaziaacquista un’importanza inedita, in ordine a promuovere strategie internazionaliper prevenire i problemi più gravi che finiscono per colpire tutti.
II. IL DIALOGO VERSONUOVE POLITICHE NAZIONALI E LOCALI
176. Non solo ci sonovincitori e vinti tra i Paesi, ma anche all’interno dei Paesi poveri, in cui sidevono identificare diverse responsabilità. Perciò, le questioni relativeall’ambiente e allo sviluppo economico non si possono più impostare solo a partiredalle differenze tra i Paesi, ma chiedono di porre attenzione alle politichenazionali e locali.
177. Dinanzi allapossibilità di un utilizzo irresponsabile delle capacità umane, sono funzioniimprorogabili di ogni Stato quelle di pianificare, coordinare, vigilare esanzionare all’interno del proprio territorio. La società, in che modo ordina ecustodisce il proprio divenire in un contesto di costanti innovazionitecnologiche? Un fattore che agisce come moderatore effettivo è il diritto, chestabilisce le regole per le condotte consentite alla luce del bene comune. Ilimiti che deve imporre una società sana, matura e sovrana sono attinenti aprevisione e precauzione, regolamenti adeguati, vigilanza sull’applicazionedelle norme, contrasto della corruzione, azioni di controllo operativosull’emergere di effetti non desiderati dei processi produttivi, e interventoopportuno di fronte a rischi indeterminati o potenziali. Esiste una crescentegiurisprudenza orientata a ridurre gli effetti inquinanti delle attivitàimprenditoriali. Ma la struttura politica e istituzionale non esiste solo perevitare le cattive pratiche, bensì per incoraggiare le buone pratiche, perstimolare la creatività che cerca nuove strade, per facilitare iniziativepersonali e collettive.
178. Il dramma di unapolitica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da popolazioniconsumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo ainteressi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazionecon misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischioinvestimenti esteri. La miope costruzione del potere frena l’inserimentodell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda pubblica deigoverni. Si dimentica così che «il tempo è superiore allo spazio », che siamosempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi, piuttosto chedi dominare spazi di potere. La grandezza politica si mostra quando, in momentidifficili, si opera sulla base di grandi princìpi e pensando al bene comune alungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo doverein un progetto di Nazione.
179. In alcuni luoghi,si stanno sviluppando cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabiliche consentono l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzionein eccesso. Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondialeesistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale puòfare la differenza. È lì infatti che possono nascere una maggioreresponsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e unacreatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure ilpensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti. Questi valori hanno radicimolto profonde nelle popolazioni aborigene. Poiché il diritto, a volte, sidimostra insufficiente a causa della corruzione, si richiede una decisionepolitica sotto la pressione della popolazione. La società, attraverso organisminon governativi e associazioni intermedie, deve obbligare i governi asviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini noncontrollano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure èpossibile un contrasto dei danni ambientali. D’altra parte, le legislazionimunicipali possono essere più efficaci se ci sono accordi tra popolazionivicine per sostenere le medesime politiche ambientali.
180. Non si può pensarea ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese eregione. È vero anche che il realismo politico può richiedere misure etecnologie di transizione, sempre che siano accompagnate dal disegno edall’accettazione di impegni graduali vincolanti. Allo stesso tempo, però, inambito nazionale e locale c’è sempre molto da fare, ad esempio promuovere formedi risparmio energetico. Ciò implica favorire modalità di produzioneindustriale con massima efficienza energetica e minor utilizzo di materieprime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vistaenergetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una buona gestione deitrasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di edifici che neriducano il consumo energetico e il livello di inquinamento. D’altra parte,l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei consumi, allosviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclaggio, alla protezione dideterminate specie e alla programmazione di un’agricoltura diversificata con larotazione delle colture. È possibile favorire il miglioramento agricolo delleregioni povere mediante investimenti nelle infrastrutture rurali,nell’organizzazione del mercato locale o nazionale, nei sistemi di irrigazione,nello sviluppo di tecniche agricole sostenibili. Si possono facilitare forme dicooperazione o di organizzazione comunitaria che difendano gli interessi deipiccoli produttori e preservino gli ecosistemi locali dalla depredazione. Èmolto quello che si può fare!
181. È indispensabile lacontinuità, giacché non si possono modificare le politiche relative aicambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente ogni volta che cambia ungoverno. I risultati richiedono molto tempo e comportano costi immediati coneffetti che non potranno essere esibiti nel periodo di vita di un governo. Perquesto, senza la pressione della popolazione e delle istituzioni, ci sarannosempre resistenze ad intervenire, ancor più quando ci siano urgenze darisolvere. Che un politico assuma queste responsabilità con i costi cheimplicano, non risponde alla logica efficientista e “immediatista”dell’economia e della politica attuali, ma se avrà il coraggio di farlo, potrànuovamente riconoscere la dignità che Dio gli ha dato come persona e lascerà,dopo il suo passaggio in questa storia, una testimonianza di generosaresponsabilità. Occorre dare maggior spazio a una sana politica, capace diriformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, chepermettano di superare pressioni e inerzie viziose. Tuttavia, bisognaaggiungere che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancanole grandi mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significato,capaci di conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso.
III. DIALOGO ETRASPARENZA NEI PROCESSI DECISIONALI
182. La previsionedell’impatto ambientale delle iniziative imprenditoriali e dei progettirichiede processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre lacorruzione che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in cambio difavori spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di informare ed aun dibattito approfondito.
183. Uno studio diimpatto ambientale non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di unprogetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Va inserito findall’inizio e dev’essere elaborato in modo interdisciplinare, trasparente eindipendente da ogni pressione economica o politica. Dev’essere connesso conl’analisi delle condizioni di lavoro e dei possibili effetti sulla salutefisica e mentale delle persone, sull’economia locale, sulla sicurezza. Irisultati economici si potranno così prevedere in modo più realistico, tenendoconto degli scenari possibili ed eventualmente anticipando la necessità di uninvestimento maggiore per risolvere effetti indesiderati che possano esserecorretti. È sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, chepossono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative. Ma neldibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali siinterrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenerein considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato.Bisogna abbandonare l’idea di “interventi” sull’ambiente, per dar luogo apolitiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate. La partecipazionerichiede che tutti siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui varirischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto,ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante. C’è bisogno disincerità e verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsia considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione.
184. Quando compaionoeventuali rischi per l’ambiente che interessano il bene comune presente efuturo, questa situazione richiede « che le decisioni siano basate su unconfronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile sceltaalternativa » Questo vale soprattutto se un progetto può causare un incrementonello sfruttamento delle risorse naturali, nelle emissioni e nelle scorie,nella produzione di rifiuti, oppure un mutamento significativo nel paesaggio,nell’habitat di specie protette o in uno spazio pubblico. Alcuni progetti, nonsupportati da un’analisi accurata, possono intaccare profondamente la qualitàdella vita di un luogo per questioni molto diverse tra loro come, ad esempio,un inquinamento acustico non previsto, la riduzione dell’ampiezza visuale, laperdita di valori culturali, gli effetti dell’uso dell’energia nucleare. Lacultura consumistica, che dà priorità al breve termine e all’interesse privato,può favorire pratiche troppo rapide o consentire l’occultamentodell’informazione.
185. In ogni discussioneriguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie didomande, per poter discernere se porterà ad un vero sviluppo integrale: Perquale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto?Quali sono i rischi? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà? In questoesame ci sono questioni che devono avere la priorità. Per esempio, sappiamo chel’acqua è una risorsa scarsa e indispensabile, inoltre è un dirittofondamentale che condiziona l’esercizio di altri diritti umani. Questo èindubitabile e supera ogni analisi di impatto ambientale di una regione.
186. Nella Dichiarazionedi Rio del 1992, si sostiene che «laddove vi sono minacce di danni gravi oirreversibili, la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituireun motivo per ritardare l’adozione di misure efficaci » che impediscano ildegrado dell’ambiente. Questo principio di precauzione permette la protezionedei più deboli, che dispongono di pochi mezzi per difendersi e per procurareprove irrefutabili. Se l’informazione oggettiva porta a prevedere un dannograve e irreversibile, anche se non ci fosse una dimostrazione indiscutibile,qualunque progetto dovrebbe essere fermato o modificato. In questo modo siinverte l’onere della prova, dato che in questi casi bisogna procurare unadimostrazione oggettiva e decisiva che l’attività proposta non vada a procuraredanni gravi all’ambiente o a quanti lo abitano.
187. Questo nonsignifica opporsi a qualsiasi innovazione tecnologica che consenta dimigliorare la qualità della vita di una popolazione. Ma in ogni caso deverimanere fermo che la redditività non può essere l’unico criterio da tenerpresente e che, nel momento in cui apparissero nuovi elementi di giudizio apartire dagli sviluppi dell’informazione, dovrebbe esserci una nuovavalutazione con la partecipazione di tutte le parti interessate. Il risultatodella discussione potrà essere la decisione di non proseguire in un progetto,ma potrebbe anche essere la sua modifica o l’elaborazione di propostealternative.
188. Ci sonodiscussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficileraggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretendedi definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, mainvito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari ole ideologie non ledano il bene comune.
IV. POLITICA ED ECONOMIAIN DIALOGO PER LA PIENEZZA UMANA
189. La politica nondeve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e alparadigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune,abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo,si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana.Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo allapopolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema,riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà sologenerare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisifinanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia piùattenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attivitàfinanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazioneche abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare ilmondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabilieconomiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al lorovalore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcunemerci, con un impatto ambientale non necessario, che al tempo stesso danneggiamolte economie regionali. La bolla finanziaria di solito è anche una bollaproduttiva. In definitiva, ciò che non si affronta con decisione è il problemadell’economia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si migliorila produzione, che le imprese funzionino adeguatamente, che le piccole e medieimprese si sviluppino e creino occupazione, e così via.
190. In questo contestobisogna sempre ricordare che «la protezione ambientale non può essereassicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici.L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado didifendere o di promuovere adeguatamente». Ancora una volta, conviene evitareuna concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi sirisolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui. Èrealistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profittisi fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossimegenerazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensareai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e allacomplessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alteratidall’intervento umano. Inoltre, quando si parla di biodiversità, al massimo lasi pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe essere sfruttata,ma non si considerano seriamente il valore reale delle cose, il lorosignificato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità deipoveri.
191. Quando si pongonotali questioni, alcuni reagiscono accusando gli altri di pretendere di fermareirrazionalmente il progresso e lo sviluppo umano. Ma dobbiamo convincerci cherallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo aun’altra modalità di progresso e di sviluppo. Gli sforzi per un uso sostenibiledelle risorse naturali non sono una spesa inutile, bensì un investimento chepotrà offrire altri benefici economici a medio termine. Se non abbiamoristrettezze di vedute, possiamo scoprire che la diversificazione di unaproduzione più innovativa e con minore impatto ambientale, può essere molto redditizia.Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano difermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto diincanalare tale energia in modo nuovo.
192. Per esempio, unpercorso di sviluppo produttivo più creativo e meglio orientato potrebbecorreggere la disparità tra l’eccessivo investimento tecnologico per il consumoe quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbegenerare forme intelligenti e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionalee di riciclo; potrebbe migliorare l’efficienza energetica delle città; e cosìvia. La diversificazione produttiva offre larghissime possibilitàall’intelligenza umana per creare e innovare, mentre protegge l’ambiente e creapiù opportunità di lavoro. Questa sarebbe una creatività capace di far fiorirenuovamente la nobiltà dell’essere umano, perché è più dignitoso usarel’intelligenza, con audacia e responsabilità, per trovare forme di svilupposostenibile ed equo, nel quadro di una concezione più ampia della qualità dellavita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo e più superficiale insistere nelcreare forme di saccheggio della natura solo per offrire nuove possibilità diconsumo e di rendita immediata.
193. In ogni modo, se inalcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, inaltri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodottaper molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porrealcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi.Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano edistruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformitàalla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certadecrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possacrescere in modo sano in altre parti. Diceva Benedetto XVI che «è necessarioche le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorirecomportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo dienergia e migliorando le condizioni del suo uso».
194. Affinché sorganonuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di « cambiare il modello di sviluppoglobale », laqual cosa implica riflettere responsabilmente «sul senso dell’economia e sullasua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni». Non bastaconciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la renditafinanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo temale vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente sitratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico chenon lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, nonpuò considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale dellavita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassaqualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nelcontesto di una crescita dell’economia. In questo quadro, il discorso dellacrescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazioneche assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica dellafinanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delleimprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.
195. Il principio dellamassimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altraconsiderazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta laproduzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o dellasalute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione,nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare unterritorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a direche le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte infima deicosti. Si potrebbe considerare etico solo un comportamento in cui «i costieconomici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni sianoriconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro chene usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future». Larazionalità strumentale, che apporta solo un’analisi statica della realtà in funzionedelle necessità del momento, è presente sia quando ad assegnare le risorse è ilmercato, sia quando lo fa uno Stato pianificatore.
196. Qual è il postodella politica? Ricordiamo il principio di sussidiarietà, che conferiscelibertà per lo sviluppo delle capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempostesso esige più responsabilità verso il bene comune da parte di chi detienepiù potere. È vero che oggi alcuni settori economici esercitano più poteredegli Stati stessi. Ma non si può giustificare un’economia senza politica, chesarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i variaspetti della crisi attuale. La logica che non lascia spazio a una sincerapreoccupazione per l’ambiente è la stessa in cui non trova spazio la preoccupazioneper integrare i più fragili, perché «nel vigente modello “di successo” e“privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangonoindietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita».
197. Abbiamo bisogno diuna politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovoapproccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversiaspetti della crisi. Molte volte la stessa politica è responsabile del propriodiscredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politichepubbliche. Se lo Stato non adempie il proprio ruolo in una regione, alcunigruppi economici possono apparire come benefattori e detenere il potere reale,sentendosi autorizzati a non osservare certe norme, fino a dar luogo a diverseforme di criminalità organizzata, tratta delle persone, narcotraffico eviolenza molto difficili da sradicare. Se la politica non è capace di rompereuna logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti,continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità. Una strategia dicambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non bastainserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette indiscussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sanadovrebbe essere capace di assumere questa sfida.
198. La politica el’economia tendono a incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà eil degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i proprierrori e trovino forme di interazione orientate al bene comune. Mentre gli unisi affannano solo per l’utile economico e gli altri sono ossessionati solo dalconservare o accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordiambigui dove ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente eavere cura dei più deboli. Anche qui vale il principio che «l’unità è superioreal conflitto».
V. LE RELIGIONI NELDIALOGO CON LE SCIENZE
199. Non si puòsostenere che le scienze empiriche spieghino completamente la vita, l’intimaessenza di tutte le creature e l’insieme della realtà. Questo vorrebbe diresuperare indebitamente i loro limitati confini metodologici. Se si riflette conquesto quadro ristretto, spariscono la sensibilità estetica, la poesia, epersino la capacità della ragione di cogliere il senso e la finalità dellecose. Desidero ricordare che «i testi religiosi classici possono offrire unsignificato destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante cheapre sempre nuovi orizzonti [...]. È ragionevole e intelligente relegarlinell’oscurità solo perché sono nati nel contesto di una credenza religiosa? ». Inrealtà, è semplicistico pensare che i princìpi etici possano presentarsi inmodo puramente astratto, slegati da ogni contesto, e il fatto che appaiano conun linguaggio religioso non toglie loro alcun valore nel dibattito pubblico. Iprincìpi etici che la ragione è capace di percepire possono riapparire sempresotto diverse vesti e venire espressi con linguaggi differenti, anchereligiosi.
200. D’altra parte,qualunque soluzione tecnica che le scienze pretendano di apportare saràimpotente a risolvere i gravi problemi del mondo se l’umanità perde la suarotta, se si dimenticano le grandi motivazioni che rendono possibile il vivereinsieme, il sacrificio, la bontà. In ogni caso, occorrerà fare appello aicredenti affinché siano coerenti con la propria fede e non la contraddicano conle loro azioni, bisognerà insistere perché si aprano nuovamente alla grazia diDio e attingano in profondità dalle proprie convinzioni sull’amore, sullagiustizia e sulla pace. Se una cattiva comprensione dei nostri princìpi ci haportato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispoticodell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, comecredenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro disapienza che avremmo dovuto custodire. Molte volte i limiti culturali didiverse epoche hanno condizionato tale consapevolezza del proprio patrimonioetico e spirituale, ma è precisamente il ritorno alle loro rispettive fonti chepermette alle religioni di rispondere meglio alle necessità attuali.
201. La maggior partedegli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingerele religioni ad entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura dellanatura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e difraternità. È indispensabile anche un dialogo tra le stesse scienze, dato cheognuna è solita chiudersi nei limiti del proprio linguaggio, e laspecializzazione tende a diventare isolamento e assolutizzazione del propriosapere. Questo impedisce di affrontare in modo adeguato i problemidell’ambiente. Ugualmente si rende necessario un dialogo aperto e rispettosotra i diversi movimenti ecologisti, fra i quali non mancano le lotteideologiche. La gravità della crisi ecologica esige da noi tutti di pensare albene comune e di andare avanti sulla via del dialogo che richiede pazienza,ascesi e generosità, ricordando sempre che « la realtà è superiore all’idea ».
CAPITOLO SESTO: EDUCAZIONE
ESPIRITUALITÀ ECOLOGICA
202. Molte cose devonoriorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno dicambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza edi un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe losviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge cosìuna grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghiprocessi di rigenerazione.
I. PUNTARE SU UN ALTROSTILE DI VITA
203. Dal momento che ilmercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare isuoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degliacquisti e delle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflessosoggettivo del paradigma tecno-economico. Accade ciò che già segnalava RomanoGuardini: l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuetedella vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchinenormalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo siaragionevole e giusto». Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finchéconservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro chepossiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detieneil potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità postmodernanon ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, equesta mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi perscarsi e rachitici fini.
204. La situazione attualedel mondo «provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua voltafavorisce forme di egoismo collettivo». Quando le persone diventanoautoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propriaavidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti dacomprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile chequalcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte nonesiste nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende apredominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura incui non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo allapossibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, maanche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stiledi vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potràprovocare soltanto violenza e distruzione reciproca.
205. Eppure, non tutto èperduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo,possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di làdi qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sonocapaci di guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il proprio disgustoe di intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Non esistono sistemi cheannullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né lacapacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostricuori. Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non dimenticare questa suadignità che nessuno ha diritto di toglierle.
206. Un cambiamentonegli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione sucoloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accadequando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta diacquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare ilcomportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e imodelli di produzione. È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano iprofitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo.Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori. «Acquistare èsempre un atto morale, oltre che economico». Per questo oggi «il tema deldegrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi».
207. La Carta dellaTerra ci chiamava tutti a lasciarci alle spalle una fase di autodistruzione e acominciare di nuovo, ma non abbiamo ancora sviluppato una coscienza universaleche lo renda possibile. Per questo oso proporre nuovamente quella preziosa sfida:«Come mai prima d’ora nella storia, il destino comune ci obbliga a cercare unnuovo inizio [...]. Possa la nostra epoca essere ricordata per il risveglio diuna nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel raggiungere lasostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la giustizia e la pace, eper la gioiosa celebrazione della vita».
208. È sempre possibilesviluppare una nuova capacità di uscire da sé stessi verso l’altro. Senza diessa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, noninteressa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacitàdi porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che cicirconda. L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo lacoscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ognicura per gli altri e per l’ambiente, e fa scaturire la reazione morale diconsiderare l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale aldi fuori di sé. Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si puòeffettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile uncambiamento rilevante nella società.
II. EDUCARE ALL’ALLEANZATRA L’UMANITÀ E L’AMBIENTE
209. La coscienza dellagravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini.Molti sanno che il progresso attuale e il semplice accumulo di oggetti opiaceri non bastano per dare senso e gioia al cuore umano, ma non si sentonocapaci di rinunciare a quanto il mercato offre loro. Nei Paesi che dovrebberoprodurre i maggiori cambiamenti di abitudini di consumo, i giovani hanno unanuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano inmodo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto dialtissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altreabitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa.
210. L’educazioneambientale è andata allargando i suoi obiettivi. Se all’inizio era moltocentrata sull’informazione scientifica e sulla presa di coscienza e prevenzionedei rischi ambientali, ora tende a includere una critica dei “miti” dellamodernità basati sulla ragione strumentale (individualismo, progressoindefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole) e anche a recuperarei diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con sé stessi,quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi,quello spirituale con Dio. L’educazione ambientale dovrebbe disporci a farequel salto verso il Mistero, da cui un’etica ecologica trae il suo senso piùprofondo. D’altra parte ci sono educatori capaci di reimpostare gli itineraripedagogici di un’etica ecologica, in modo che aiutino effettivamente a crescerenella solidarietà, nella responsabilità e nella cura basata sulla compassione.
211. Tuttavia, questaeducazione, chiamata a creare una “cittadinanza ecologica”, a volte si limita ainformare e non riesce a far maturare delle abitudini. L’esistenza di leggi enorme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti,anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica producaeffetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri dellasocietà l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondouna trasformazione personale. Solamente partendo dal coltivare solide virtù èpossibile la donazione di sé in un impegno ecologico. Se una persona, benché leproprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più,abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò supponeche abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla curadell’ambiente. È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato conpiccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace dimotivarle fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione allaresponsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hannoun’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’usodi materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare irifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare concura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividereun medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luciinutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa,che mostra il meglio dell’essere umano. Riutilizzare qualcosa invece didisfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto diamore che esprime la nostra dignità.
212. Non bisogna pensareche questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un benenella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare,perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi,a volte invisibilmente. Inoltre, l’esercizio di questi comportamenti cirestituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad una maggiore profonditàesistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questomondo.
213. Gli ambitieducativi sono vari: la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, lacatechesi, e altri. Una buona educazione scolastica nell’infanzia enell’adolescenza pone semi che possono produrre effetti lungo tutta la vita. Madesidero sottolineare l’importanza centrale della famiglia, perché « è il luogoin cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta controi molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze diun’autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, lafamiglia costituisce la sede della cultura della vita». Nella famiglia sicoltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempiol’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistemalocale e la protezione di tutte le creature. La famiglia è il luogo dellaformazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamenterelazionati tra loro, della maturazione personale. Nella famiglia si impara achiedere permesso senza prepotenza, a dire “grazie” come espressione di sentitoapprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità,e a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male. Questi piccoli gesti disincera cortesia aiutano a costruire una cultura della vita condivisa e delrispetto per quanto ci circonda.
214. Alla politica ealle varie associazioni compete uno sforzo di formazione delle coscienze. Competeanche alla Chiesa. Tutte le comunità cristiane hanno un ruolo importante dacompiere in questa educazione. Spero altresì che nei nostri seminari e nellecase religiose di formazione si educhi ad una austerità responsabile, allacontemplazione riconoscente del mondo, alla cura per la fragilità dei poveri edell’ambiente. Poiché grande è la posta in gioco, così come occorronoistituzioni dotate di potere per sanzionare gli attacchi all’ambiente,altrettanto abbiamo bisogno di controllarci e di educarci l’un l’altro.
215. In questo contesto,«non va trascurata [...] la relazione che c’è tra un’adeguata educazioneestetica e il mantenimento di un ambiente sano». Prestare attenzione allabellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando nonsi impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ognicosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli. Allo stesso tempo,se si vuole raggiungere dei cambiamenti profondi, bisogna tener presente che imodelli di pensiero influiscono realmente sui comportamenti. L’educazione saràinefficace e i suoi sforzi saranno sterili se non si preoccupa anche didiffondere un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla societàe alla relazione con la natura. Altrimenti continuerà ad andare avanti ilmodello consumistico trasmesso dai mezzi di comunicazione e attraverso gliefficaci meccanismi del mercato.
III. LA CONVERSIONEECOLOGICA
216. La grande ricchezzadella spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personalie comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo dirinnovare l’umanità. Desidero proporre ai cristiani alcune linee dispiritualità ecologica che nascono dalle convinzioni della nostra fede, perchéciò che il Vangelo ci insegna ha conseguenze sul nostro modo di pensare, disentire e di vivere. Non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattuttodelle motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare unapassione per la cura del mondo. Infatti non sarà possibile impegnarsi in cosegrandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza «qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà sensoall’azione personale e comunitaria».151 Dobbiamo riconoscere che non sempre noicristiani abbiamo raccolto e fatto fruttare le ricchezze che Dio ha dato allaChiesa, dove la spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla naturao dalle realtà di questo mondo, ma piuttosto vive con esse e in esse, incomunione con tutto ciò che ci circonda.
217. Se «i desertiesteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventaticosì ampi», lacrisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttaviadobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti allapreghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fannobeffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidonoa cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversioneecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenzedell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere lavocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale diun’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno unaspetto secondario dell’esperienza cristiana.
218. Ricordiamo ilmodello di san Francesco d’Assisi, per proporre una sana relazione col creatocome una dimensione della conversione integrale della persona. Questo esigeanche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi dicuore, cambiare dal di dentro. I Vescovi dell’Australia hanno saputo esprimerela conversione in termini di riconciliazione con il creato: «Per realizzarequesta riconciliazione dobbiamo esaminare le nostre vite e riconoscere in chemodo offendiamo la creazione di Dio con le nostre azioni e con la nostraincapacità di agire. Dobbiamo fare l’esperienza di una conversione, di una trasformazionedel cuore».
219. Tuttavia, non bastache ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto complessa comequella che affronta il mondo attuale. I singoli individui possono perdere lacapacità e la libertà di vincere la logica della ragione strumentale efiniscono per soccombere a un consumismo senza etica e senza senso sociale eambientale. Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con lamera somma di beni individuali: «Le esigenze di quest’opera saranno cosìimmense che le possibilità delle iniziative individuali e la cooperazione deisingoli, individualisticamente formati, non saranno in grado di rispondervi.Sarà necessaria una unione di forze e una unità di contribuzioni ». Laconversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamentoduraturo è anche una conversione comunitaria.
220. Tale conversionecomporta vari atteggiamenti che si coniugano per attivare una cura generosa epiena di tenerezza. In primo luogo implica gratitudine e gratuità, vale a direun riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre, cheprovoca come conseguenza disposizioni gratuite di rinuncia e gesti generosianche se nessuno li vede o li riconosce: «Non sappia la tua sinistra ciò che fala tua destra [...] e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt6,3-4). Implica pure l’amorevole consapevolezza di non essere separatidalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo unastupenda comunione universale. Per il credente, il mondo non si contempla daldi fuori ma dal di dentro, riconoscendo i legami con i quali il Padre ci haunito a tutti gli esseri. Inoltre, facendo crescere le capacità peculiari cheDio ha dato a ciascun credente, la conversione ecologica lo conduce a svilupparela sua creatività e il suo entusiasmo, al fine di risolvere i drammi del mondo,offrendosi a Dio «come sacrificio vivente, santo e gradito» (Rm 12,1).Non interpreta la propria superiorità come motivo di gloria personale o didominio irresponsabile, ma come una diversa capacità che a sua volta gli imponeuna grave responsabilità che deriva dalla sua fede.
221. Diverse convinzionidella nostra fede, sviluppate all’inizio di questa Enciclica, aiutano adarricchire il senso di tale conversione, come la consapevolezza che ognicreatura riflette qualcosa di Dio e ha un messaggio da trasmetterci, o lacertezza che Cristo ha assunto in sé questo mondo materiale e ora, risorto,dimora nell’intimo di ogni essere, circondandolo con il suo affetto epenetrandolo con la sua luce. Come pure il riconoscere che Dio ha creato ilmondo inscrivendo in esso un ordine e un dinamismo che l’essere umano non ha ildiritto di ignorare. Quando leggiamo nel Vangelo che Gesù parla degli uccelli edice che «nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio» (Lc 12,6),saremo capaci di maltrattarli e far loro del male? Invito tutti i cristiani aesplicitare questa dimensione della propria conversione, permettendo che laforza e la luce della grazia ricevuta si estendano anche alla relazione con lealtre creature e con il mondo che li circonda, e susciti quella sublimefratellanza con tutto il creato che san Francesco d’Assisi visse in manieracosì luminosa.
IV. GIOIA E PACE
222. La spiritualitàcristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita, eincoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioireprofondamente senza essere ossessionati dal consumo. È importante accogliere unantico insegnamento, presente in diverse tradizioni religiose, e anche nellaBibbia. Si tratta della convinzione che “meno è di più”. Infatti il costantecumulo di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzareogni cosa e ogni momento. Al contrario, rendersi presenti serenamente davantiad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilitàdi comprensione e di realizzazione personale. La spiritualità cristiana proponeuna crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritornoalla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, diringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò cheabbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitarela dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri.
223. La sobrietà,vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassaintensità, ma tutto il contrario. Infatti quelli che gustano di più e vivonomeglio ogni momento sono coloro che smettono di beccare qua e là, cercandosempre quello che non hanno, e sperimentano ciò che significa apprezzare ognipersona e ad ogni cosa, imparano a familiarizzare con le realtà più semplici ene sanno godere. In questo modo riescono a ridurre i bisogni insoddisfatti ediminuiscono la stanchezza e l’ansia. Si può aver bisogno di poco e viveremolto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e sitrova soddisfazione negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a fruttoi propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nellapreghiera. La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che cistordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offrela vita.
224. La sobrietà el’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di una positiva considerazione.Quando però si indebolisce in modo generalizzato l’esercizio di qualche virtùnella vita personale e sociale, ciò finisce col provocare molteplici squilibri,anche ambientali. Per questo non basta più parlare solo dell’integrità degliecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vitaumana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori. Lascomparsa dell’umiltà, in un essere umano eccessivamente entusiasmato dallapossibilità di dominare tutto senza alcun limite, può solo finire col nuocerealla società e all’ambiente. Non è facile maturare questa sana umiltà e unafelice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita Dio eil nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività adeterminare ciò che è bene e ciò che è male.
225. D’altra parte,nessuna persona può maturare in una felice sobrietà se non è in pace con séstessa. E parte di un’adeguata comprensione della spiritualità consistenell’allargare la nostra comprensione della pace, che è molto più dell’assenzadi guerra. La pace interiore delle persone è molto legata alla curadell’ecologia e al bene comune, perché, autenticamente vissuta, si riflette inuno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce allaprofondità della vita. La natura è piena di parole d’amore, ma come potremoascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione permanente e ansiosa,o al culto dell’apparire? Molte persone sperimentano un profondo squilibrio chele spinge a fare le cose a tutta velocità per sentirsi occupate, in una frettacostante che a sua volta le porta a travolgere tutto ciò che hanno intorno asé. Questo incide sul modo in cui si tratta l’ambiente. Un’ecologia integralerichiede di dedicare un po’ di tempo per recuperare la serena armonia con ilcreato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, percontemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda, e la cuipresenza «non deve essere costruita, ma scoperta e svelata».
226. Stiamo parlando diun atteggiamento del cuore, che vive tutto con serena attenzione, che sarimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza stare a pensare a ciò cheviene dopo, che si consegna ad ogni momento come dono divino da vivere inpienezza. Gesù ci insegnava questo atteggiamento quando ci invitava a guardarei gigli del campo e gli uccelli del cielo, o quando, alla presenza di un uomoin ricerca, « fissò lo sguardo su di lui» e «lo amò» (Mc 10,21). Lui sìche sapeva stare pienamente presente davanti ad ogni essere umano e davanti adogni creatura, e così ci ha mostrato una via per superare l’ansietà malata checi rende superficiali, aggressivi e consumisti sfrenati.
227. Un’espressione diquesto atteggiamento è fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti.Propongo ai credenti che riprendano questa preziosa abitudine e la vivano conprofondità. Tale momento della benedizione, anche se molto breve, ci ricorda ilnostro dipendere da Dio per la vita, fortifica il nostro senso di gratitudineper i doni della creazione, è riconoscente verso quelli che con il loro lavoroforniscono questi beni, e rafforza la solidarietà con i più bisognosi.
V. AMORE CIVILE EPOLITICO
228. La cura per lanatura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e dicomunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e chequesto ci rende fratelli. L’amore fraterno può solo essere gratuito, non puòmai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quantosperiamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa stessagratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché nonsi sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di una fraternitàuniversale.
229. Occorre sentirenuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo unaresponsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di esserebuoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendocigioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato ilmomento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco.Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col mettercil’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere dinuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera culturadella cura dell’ambiente.
230. L’esempio di santaTeresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a nonperdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasipiccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anchedi semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza,dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato èal tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma.
231. L’amore, pieno dipiccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta intutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per lasocietà e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, cheriguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche «macro-relazioni,rapporti sociali, economici, politici». Per questo la Chiesa ha proposto almondo l’ideale di una « civiltà dell’amore ». L’amore sociale è la chiave di unautentico sviluppo: « Per rendere la società più umana, più degna della persona,occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello, politico, economico,culturale facendone la norma costante e suprema dell’agire ». In questo quadro,insieme all’importanza dei piccoli gesti quotidiani, l’amore sociale ci spingea pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientalee incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società.Quando qualcuno riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con glialtri in queste dinamiche sociali, deve ricordare che ciò fa parte della suaspiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e sisantifica.
232. Non tutti sonochiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla societàfiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore delbene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, sipreoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumentoabbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare oabbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperanolegami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si liberadall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identitàcomune, una storia che si conserva e si trasmette. In tal modo ci si prendecura del mondo e della qualità della vita dei più poveri, con un senso disolidarietà che è allo stesso tempo consapevolezza di abitare una casa comuneche Dio ci ha affidato. Queste azioni comunitarie, quando esprimono un amoreche si dona, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali.
VI. I SEGNI SACRAMENTALIE IL RIPOSO CELEBRATIVO
233. L’universo sisviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare inuna foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero. L’ideale nonè solo passare dall’esteriorità all’interiorità per scoprire l’azione di Dionell’anima, ma anche arrivare a incontrarlo in tutte le cose, come insegnavasan Bonaventura: «La contemplazione è tanto più elevata quanto più l’uomo sentein sé l’effetto della grazia divina o quanto più sa riconoscere Dio nelle altrecreature».
234. San Giovanni dellaCroce insegnava che tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze delmondo «si trova eminentemente in Dio in maniera infinita o, per dire meglio,Egli è ognuna di queste grandezze che si predicano». Non è perché le cose limitatedel mondo siano realmente divine, ma perché il mistico sperimenta l’intimolegame che c’è tra Dio e tutti gli esseri, e così «sente che Dio è per luitutte le cose». Se ammira la grandezza di una montagna, non può separare questoda Dio, e percepisce che tale ammirazione interiore che egli vive devedepositarsi nel Signore: «Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti,belle, graziose, fiorite e odorose. Come quelle montagne è l’Amato per me. Levalli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque.Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricreano edilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenziooffrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me».
235. I Sacramenti sonoun modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata inmediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati adabbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colorisono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode. Lamano che benedice è strumento dell’amore di Dio e riflesso della vicinanza diCristo che è venuto ad accompagnarci nel cammino della vita. L’acqua che siversa sul corpo del bambino che viene battezzato è segno di vita nuova. Nonfuggiamo dal mondo né neghiamo la natura quando vogliamo incontrarci con Dio.Questo si può percepire specialmente nella spiritualità dell’Oriente cristiano:«La bellezza, che in Oriente è uno dei nomi con cui più frequentemente si suoleesprimere la divina armonia e il modello dell’umanità trasfigurata, si mostradovunque: nelle forme del tempio, nei suoni, nei colori, nelle luci e neiprofumi». Per l’esperienza cristiana, tutte le creature dell’universo materialetrovano il loro vero senso nel Verbo incarnato, perché il Figlio di Dio haincorporato nella sua persona parte dell’universo materiale, dove ha introdottoun germe di trasformazione definitiva: «Il Cristianesimo non rifiuta lamateria, la corporeità; al contrario, la valorizza pienamente nell’attoliturgico, nel quale il corpo umano mostra la propria natura intima di tempiodello Spirito e arriva a unirsi al Signore Gesù, anche Lui fatto corpo per lasalvezza del mondo ».165
236. Nell’Eucaristia ilcreato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi inmodo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fattouomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine delmistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso unframmento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stessomondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza,ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vitainesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto ilcosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amorecosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altaredi una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altaredel mondo». L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetratutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui ingioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa versola divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatorestesso». Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per lenostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tuttoil creato.
237. La domenica, lapartecipazione all’Eucaristia ha un’importanza particolare. Questo giorno, cosìcome il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazionidell’essere umano con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo. Ladomenica è il giorno della Risurrezione, il “primo giorno” della nuovacreazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazionefinale di tutta la realtà creata. Inoltre, questo giorno annuncia «il riposoeterno dell’uomo in Dio». In tal modo, la spiritualità cristiana integra ilvalore del riposo e della festa. L’essere umano tende a ridurre il riposocontemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così sitoglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato.Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva egratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altramaniera di agire che fa parte della nostra essenza. In questo modo l’azioneumana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenatavoracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivobeneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dallavoro nel settimo giorno, «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuoasino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero » (Es 23,12).Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscerei diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia,diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra lacura della natura e dei poveri.
VII. LA TRINITÀ E LARELAZIONE TRA LE CREATURE
238. Il Padre è la fonteultima di tutto, fondamento amoroso e comunicativo di quanto esiste. Il Figlio,che lo riflette, e per mezzo del quale tutto è stato creato, si unì a questaterra quando prese forma nel seno di Maria. Lo Spirito, vincolo infinitod’amore, è intimamente presente nel cuore dell’universo animando e suscitandonuovi cammini. Il mondo è stato creato dalle tre Persone come unico principiodivino, ma ognuna di loro realizza questa opera comune secondo la propriaidentità personale. Per questo, «quando contempliamo con ammirazione l’universonella sua grandezza e bellezza, dobbiamo lodare tutta la Trinità».
239. Per i cristiani,credere in un Dio unico che è comunione trinitaria porta a pensare che tutta larealtà contiene in sé un’impronta propriamente trinitaria. San Bonaventuraarrivò ad affermare che l’essere umano, prima del peccato, poteva scoprire comeogni creatura «testimonia che Dio è trino». Il riflesso della Trinità si potevariconoscere nella natura «quando né quel libro era oscuro per l’uomo, nél’occhio dell’uomo si era intorbidato». Il santo francescano ci insegna che ognicreatura porta in sé una struttura propriamente trinitaria, così reale chepotrebbe essere spontaneamente contemplata se lo sguardo dell’essere umano nonfosse limitato, oscuro e fragile. In questo modo ci indica la sfida di provarea leggere la realtà in chiave trinitaria.
240. Le Persone divinesono relazioni sussistenti, e il mondo, creato secondo il modello divino, è unatrama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio diogni essere vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in senoall’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che siintrecciano segretamente. Questo non solo ci invita ad ammirare i molteplicilegami che esistono tra le creature, ma ci porta anche a scoprire una chiavedella nostra propria realizzazione. Infatti la persona umana tanto più cresce,matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da sé stessaper vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature. Cosìassume nella propria esistenza quel dinamismo trinitario che Dio ha impresso inlei fin dalla sua creazione. Tutto è collegato, e questo ci invita a maturareuna spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero dellaTrinità.
VIII. LA REGINA DI TUTTOIL CREATO
241. Maria, la madre cheebbe cura di Gesù, ora si prende cura con affetto e dolore materno di questomondo ferito. Così come pianse con il cuore trafitto la morte di Gesù, ora ha compassionedella sofferenza dei poveri crocifissi e delle creature di questo mondosterminate dal potere umano. Ella vive con Gesù completamente trasfigurata, etutte le creature cantano la sua bellezza. È la Donna «vestita di sole, con laluna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo» (Ap 12,1).Elevata al cielo, è Madre e Regina di tutto il creato. Nel suo corpoglorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tuttala pienezza della sua bellezza. Lei non solo conserva nel suo cuore tutta lavita di Gesù, che «custodiva» con cura (cfr Lc 2,19.51), ma ora anchecomprende il senso di tutte le cose. Perciò possiamo chiederle che ci aiuti aguardare questo mondo con occhi più sapienti.
242. Insieme a lei,nella santa famiglia di Nazaret, risalta la figura di san Giuseppe. Egli ebbecura e difese Maria e Gesù con il suo lavoro e la sua presenza generosa, e liliberò dalla violenza degli ingiusti portandoli in Egitto. Nel Vangelo apparecome un uomo giusto, lavoratore, forte. Ma dalla sua figura emerge anche unagrande tenerezza, che non è propria di chi è debole ma di chi è veramenteforte, attento alla realtà per amare e servire umilmente. Per questo è statodichiarato custode della Chiesa universale. Anche lui può insegnarci ad avercura, può motivarci a lavorare con generosità e tenerezza per proteggere questomondo che Dio ci ha affidato.
IX. AL DI LÀ DEL SOLE
243. Alla fine ciincontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1 Cor 13,12)e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, cheparteciperà insieme a noi della pienezza senza fine. Sì, stiamo viaggiandoverso il sabato dell’eternità, verso la nuova Gerusalemme, verso la casa comunedel cielo. Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5).La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamentetrasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveridefinitivamente liberati.
244. Nell’attesa, ciuniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciòche di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo. Insieme a tuttele creature, camminiamo su questa terra cercando Dio, perché «se il mondo ha unprincipio ed è stato creato, cerca chi lo ha creato, cerca chi gli ha datoinizio, colui che è il suo Creatore ».172 Camminiamo cantando! Che le nostrelotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioiadella speranza.
245. Dio, che ci chiamaalla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cuiabbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane semprepresente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non cilascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suoamore ci conduce sempre a trovare nuove strade. A Lui sia lode!
***
246. Dopo questaprolungata riflessione, gioiosa e drammatica insieme, propongo due preghiere,una che possiamo condividere tutti noi che crediamo in un Dio creatore e padre,e un’altra affinché noi cristiani sappiamo assumere gli impegni verso il creatoche il Vangelo di Gesù ci propone.
Preghiera per la nostraterra
Altissimo Signore,
chesei presente in tutto l’universo
e nella più piccola delle tue creature, Tu checircondi con la tua tenerezza tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza deltuo amore affinché ci prendiamo cura
della vita e della bellezza.
Inondaci dipace,
perché viviamo come fratelli e sorelle senza nuocere a nessuno.
Padre deipoveri,
aiutaci a riscattare gli abbandonati
e i dimenticati di questaterra
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Risana la nostra vita,
affinchéproteggiamo il mondo
e non lo deprediamo,
affinché seminiamo bellezza
e noninquinamento e distruzione.
Tocca i cuori
di quanti cercano solo vantaggi
aspese dei poveri e della terra.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
acontemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti con tuttele creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita. Grazie perché seicon noi tutti i giorni. Sostienici, per favore, nella nostra lotta
per lagiustizia, l’amore e la pace.
Preghiera cristiana conil creato
Ti lodiamo, Padre, contutte le tue creature, che sono uscite dalla tua mano potente. Sono tue, e sonocolme della tua presenza e della tua tenerezza.
Laudato si’!
Figlio di Dio, Gesù,
date sono state create tutte le cose.
Hai preso forma nel seno materno di Maria,ti sei fatto parte di questa terra, e hai guardato questo mondo con occhiumani. Oggi sei vivo in ogni creatura
con la tua gloria di risorto.
Laudatosi’!
Spirito Santo, che conla tua luce
orienti questo mondo verso l’amore del Padre e accompagni il gemitodella creazione,
tu pure vivi nei nostri cuori
per spingerci al bene.
Laudatosi’!
Signore Dio, Uno eTrino,
comunità stupenda di amore infinito,
insegnaci a contemplarti
nellabellezza dell’universo,
dove tutto ci parla di te.
Risveglia la nostra lode ela nostra gratitudine per ogni essere che hai creato.
Donaci la grazia disentirci intimamente uniti con tutto ciò che esiste.
Dio d’amore, mostraci ilnostro posto
in questo mondo
come strumenti del tuo affetto
per tutti gliesseri di questa terra,
perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te. Illuminai padroni del potere e del denaro perché non cadano nel peccatodell’indifferenza, amino il bene comune, promuovano i deboli,
e abbiano cura diquesto mondo che abitiamo.
I poveri e la terra stanno gridando:
Signore, prendinoi col tuo potere e la tua luce, per proteggere ogni vita, per preparare unfuturo migliore,
affinché venga il tuo Regno
di giustizia, di pace, di amore edi bellezza. Laudato si’!
Amen.
Dato a Roma, presso SanPietro, il 24 maggio, Solennità di Pentecoste, dell’anno 2015, terzo del mioPontificato.
INDICE
Uniti da unastessa preoccupazione [7-9]
SanFrancesco d’Assisi [10-12]
Il mioappello [13-16]
Capitoloprimo: quello che sta accadendo alla nostra casa [17-61]
I. Inquinamentoe cambiamenti climatici [20-26]
Inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto [20-22]
Il clima come bene comune [23-26]
II.La questione dell’acqua [27-31]
III.Perdita di biodiversità [32-42]
IV.Deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale [43-47]
V. Inequità planetaria [48-52]
VI. La debolezza dellereazioni [52-59]
VII. Diversità diopinioni [60-61]
Capitolo secondo: ilvangelo della creazione [62-100]
I. La luce che la fedeoffre [63-64]
II. La sapienza deiracconti biblici [65-75]
II. Il mistero dell’universo[76-83]
IV. Il messaggio di ognicreatura nell’armonia di tutto il creato [84-88]
V. Una comunioneuniversale [89-92]
VI. La destinazionecomune dei beni [93-95]
VII. Lo sguardo di gesù[96-100]
Capitolo terzo: laradice umana della crisi ecologica [101-136]
I. La tecnologia: creativitàe potere [102-105]
II. La globalizzazionedel paradigma tecnocratico [106-114]
III. Crisi e conseguenzedell’antropocentrismo moderno [115-136]
Il relativismopratico [122-123]
La necessità di difendere il lavoro [124-129]
L’innovazione biologica a partire dalla ricerca [130-136]
Capitolo quarto: un’ecologiaintegrale [137-162]
I. Ecologia ambientale, economicae sociale [138-142]
II. Ecologia culturale[143-146]
III. Ecologia della vitaquotidiana [147-155]
IV. Il principio delbene comune [156-158]
V. La giustizia tra legenerazioni [159-162]
Capitolo quinto: alcunelinee di orientamento e di azione [163-201]
I. Il dialogo sull’ambientenella politica internazionale [164-175]
II. Il dialogo versonuove politiche nazionali e locali [176-181]
III. Dialogo etrasparenza nei processi decisionali [182-188]
IV. Politica ed economiain dialogo per la pienezza umana [189-198]
V. Le religioni neldialogo con le scienze [199-201]
Capitolo sesto: educazione
espiritualità ecologica [201-246]
I. Puntare su un altrostile di vita [203-208]
II. Educare all’alleanzatra l’umanità e l’ambiente [209-2015]
III. La conversioneecologica [216-221]
IV. Gioia e pace[222-227]
V. Amore civile epolitico [228-232]
VI. I segni sacramentalie il riposo celebrativo [233-237]
VII. La trinità e larelazione tra le creature [238-240]
VIII. La regina di tuttoil creato [241-242]
IX. Al di là del sole[243-246]

Incredibile. L'autore di questo articolo, ospitato con evidenza dal "quotidiano comunista", è tra quelli che hanno votato lo "sblocca Italia", uno dei peggiori delitti contro la "casa comune" che il governo pieddino di Matteo Renzi abbia compiuto. Vedi i riferimenti in calce. Il manifesto, 19 giugno 2015

Molti hanno sot­to­li­neato la forza e l’importanza della scossa che viene dall’enciclica «Lau­dato si’» di Papa Fran­ce­sco sui temi dell’ambiente e dei muta­menti cli­ma­tici e, più in gene­rale, sullo svi­luppo umano. Una visione e una capa­cità di con­net­tere temi e cul­ture che sem­bra, fran­ca­mente, man­care alla poli­tica. A me inte­ressa sot­to­li­neare che que­sta idea di eco­no­mia a misura d’uomo, che sta in campo usando meno ener­gia e meno mate­rie prime, senza lasciare indie­tro nes­suno — senza lo «scarto» — può par­lare, come in parte già parla, ita­liano. Se guar­diamo l’Italia con occhi meno pigri e distanti da quelli delle agen­zie di rating, privi di lenti ideo­lo­gi­che aprioristiche.

Men­tre la crisi sem­bra final­mente allen­tare la sua presa sul Paese, è ancora più impor­tante avere un’idea di futuro. Non se ne può uscire allo stesso modo in cui siamo entrati. Alle spalle abbiamo i mali sto­rici dell’Italia: il debito pub­blico, le disu­gua­glianze sociali, la disoc­cu­pa­zione, l’illegalità, una buro­cra­zia spesso oppri­mente, il Sud che perde contatto.

Se guar­diamo avanti, invece, vediamo i nostri punti di forza: la bel­lezza, la qua­lità dei pro­dotti, i ter­ri­tori, la green eco­nomy, la cul­tura, la crea­ti­vità. Que­sti ele­menti, parte inte­grante del Dna del nostro Paese, si evol­vono in valore e nuova occu­pa­zione soprat­tutto quando incon­trano tes­suti sociali coesi e soli­dali. L’identità, le rela­zioni e i saperi delle nostre comu­nità danno vita­lità all’economia «green» che ruota attorno alla valo­riz­za­zione e all’innovazione delle risorse ter­ri­to­riali. Lo stesso vale al con­tra­rio: que­ste filiere, a loro volta, sti­mo­lano coe­sione sociale e dinamicità.

La green eco­nomy, quindi, con­tri­bui­sce a cam­biare il modello di svi­luppo in chiave soste­ni­bile, difen­dendo al con­tempo ambiente e diritti, con­su­mando sem­pre meno mate­rie prime e meno ener­gia e orien­tan­dosi verso modelli di eco­no­mia cir­co­lare e sha­ring eco­nomy. È l’unica via per uscire dalla crisi e ci sem­bra la stessa strada trac­ciata da Papa Fran­ce­sco con la sua enci­clica che segna un punto di svolta epo­cale nella con­ce­zione del rap­porto fra uomo, natura ed economia.

Non è pen­sa­bile far ripar­tire il Paese inse­guendo i bassi salari e azze­rando le tutele sociali. I numeri dicono esat­ta­mente il contrario.

Sono quei set­tori dove c’è qua­lità, di pro­du­zione e di pro­dotto, che mostrano segni di ripresa. Nel solo 2014 in Ita­lia si sono avute 234mila assun­zioni nei green jobs. Tra il 2011 e il 2014 la richie­sta dei pro­dotti made in Italy è aumen­tata del 22% nel mondo. Siamo il quinto paese per sur­plus mani­fat­tu­riero die­tro a giganti come Ger­ma­nia, Cina, Giap­pone e Corea. Il sistema cul­tu­rale «ci dà da man­giare», come dicono i dati del rap­porto «Io Sono cul­tura» di Sym­bola e Union­ca­mere, con 84 miliardi di euro, il 5,8% dell’economia nazio­nale, che arri­vano a 226,9 miliardi con­si­de­rando l’intera filiera culturale.

Chi ha inve­stito in crea­ti­vità ha visto il pro­prio fat­tu­rato salire del 3,2% in un anno.

Pos­siamo dire che nei nostri pae­saggi, tra i ter­ri­tori, nelle rela­zioni sociali, esi­ste una matrice di bel­lezza che feconda tutte le atti­vità, dall’arte all’artigianato, alla mani­fat­tura evo­luta. Ma non è una risorsa garan­tita per sem­pre, è un capi­tale umano e sociale su cui pun­tare per affron­tare le sfide del futuro con pro­po­ste con­crete e poli­ti­che attive.

Il nostro paese, forte anche del mes­sag­gio di Papa Ber­go­glio che parla della neces­sità di un «nuovo pro­getto comune» per l’uomo e per il pia­neta, può gio­care un ruolo da pro­ta­go­ni­sta anche in vista della con­fe­renza COP21 che si terrà a Parigi in autunno.

Con­tro la crisi ce la pos­siamo fare, ma l’Italia deve fare l’Italia.

Riferimenti

Vedi Sblocca Italia:Realacci, perché hai votato si?; nonché i numerosi articoli, riportati su eddyburg, dedicati alla legge Realacci sul consumo di suolo. Tra i quali, sul manifesto, quello di Paolo Maddalena e, su Repubblica, quello di Salvatore Settis.

LAUDATO SI’ è la prima enciclica interamente ascrivibile alla paternità di papa Francesco, un’enciclica dedicata all’ecologia o, meglio, come recita il sottotitolo, alla “cura della casa comune”. Su questo tema il papa intende “entrare in dialogo con tutti”, non solo con i membri della sua chiesa cattolica. La Repubblica, 19 giugno 2015 (m.p.r.)

Francesco si rivolge a tutti, come fece Giovanni XXIII, papa santo e profeta, con la Pacem in terris quando la emanò dedicandola «a tutti gli uomini di buona volontà». Così delinea un parallelo tra la tragica minaccia della guerra all’inizio degli anni Sessanta, «mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare», e il «deterioramento globale dell’ambiente» che stiamo provocando, “degradazione” già denunciata come “drammatica” e foriera di una possibile “catastrofe ecologica” da Paolo VI nella sua Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971. Ci troviamo cioè di fronte a una minaccia per l’umanità paragonabile alla catastrofe nucleare: per questo il suo monito risuona accorato e urgente.

Anche la modalità con cui papa Francesco ha costruito l’enciclica e lo stile assunto fanno parte dell’insegnamento stesso. Francesco non è un papa autoreferenziale che citi solo il magistero suo o dei papi precedenti: certo, come in tutti i documenti pontifici c’è innanzitutto la Sacra Scrittura che risulta ispirante, ci sono i padri della Chiesa e il magistero precedente, dal concilio ai papi dell’ultimo secolo, a volte però con scelte e discriminazioni eloquenti. Ma nella Laudato si’ troviamo citati anche documenti degli episcopati di tutto il mondo: dalle Americhe all’Oceania, dall’Africa del Sud all’Asia fino all’Europa. Il papa attinge anche al magistero episcopale, come capo del collegio cui spetta il discernimento e la conferma nella fede.
Accanto a questo respiro collegiale ci sono anche dati assolutamente nuovi e sorprendenti. È la prima volta che in un’enciclica papale vengono citati testi di cristiani appartenenti ad altre Chiese: due paragrafi presentano il pensiero e l’azione infaticabile del Patriarca ecumenico Bartholomeos, chiamato nel mondo il “patriarca verde” per la sua costante attenzione all’ecologia. Bartholomeos è un grande amico e fratello di Francesco, che condivide con lui una forte convergenza di sensibilità e «la speranza della piena comunione ecclesiale». Ma, tra gli autori citati nell’enciclica, si deve ricordare la presenza di un filosofo, peraltro protestante, Paul Ricoeur e i numerosi rimandi a pensatori cattolici come Romano Guardini e il “sospettato” Teilhard de Chardin. Una sorpresa ancor più grande in questo senso è trovare il rimando a «un maestro spirituale, Ali-Khawwas», mistico musulmano sufi del XV secolo.
Così l’enciclica ha un autentico respiro cattolico, ecumenico e capace di riconoscere la ricerca e la sapienza delle genti della Terra. Papa Francesco non solo rilegge le pagine della Genesi che narrano la creazione di tutto il cosmo ad opera di Dio, ma lo fa da cristiano, attraverso il Nuovo Testamento, e comprende la creazione come opera trinitaria, ossia come opera di Dio compiuta attraverso il Figlio, la Parola, nella forza del suo compagno inseparabile, il soffio, lo Spirito. L’universo non solo è opera di Dio, ma è abitato dalla presenza di Dio, è destinato alla salvezza, alla divinizzazione. Solo in questa “sovraconoscenza” della realtà della creazione in Cristo, attraverso Cristo e in vista di Cristo è possibile comprendere la vocazione umana e la vocazione di tutto il cosmo che attende redenzione e trasfigurazione.
Questa ripresa cristiana di una teologia della creazione è abbastanza rara, per lo più sconosciuta ai credenti, eppure decisiva per poter, come dice Agostino, “adorare la terra” come sgabello della signoria di Dio. Certo, l’ebraismo e il cristianesimo hanno liberato l’uomo dall’idolatria, dall’alienazione agli elementi celesti e terrestri, hanno demitizzato la natura, ma non hanno mai cessato di guardare ad essa non come a un semplice scenario per l’uomo, ma come a una comunità di creature che Dio aveva giudicato realtà “buona e bella”, creature che l’uomo deve custodire, ordinare, proteggere perché la vita fiorisca e la convivenza sia foriera di pace e di felicità.
Ma su questo fondamento teologico papa Francesco fa emergere due esigenze: consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza della situazione-limite in cui i nostri comportamenti hanno condotto “nostra madre terra”; consapevolezza dell’irreversibilità di certi processi ormai innescati, della necessità di fare fronte comune per fermare il degrado e invertire la rotta. Consapevolezza, anche, della spirale perversa avviata dalla «tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi ». E responsabilità: verso il bene comune, innanzitutto. Verso le creazione che è stata affidata all’essere umano «perché la coltivasse e la custodisse». Non quindi perché la dominasse da padrone assoluto, ma la gestisse da “amministratore responsabile”. Il messaggio di Francesco è urgente e chiaro: per salvarci dobbiamo salvare la terra. Da anni ripeto a me stesso un comandamento che accosto a quelli biblici: ama la terra come te stesso.

«Le comunità cristiane per essere comunità alternative al Sistema dominante devono vivere nelle loro scelte quotidiane le dimensioni della giustizia sociale e ambientale. Purtroppo è proprio quello che manca alle nostre comunità cristiane: la capacità di legare fede e vita.». Il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2015 (m.p.r.)

Finalmente, la prima enciclica totalmente dedicata al problema dell’ambiente e della grave crisi ecologica che minaccia il pianeta Terra e gli impoveriti. Ne avevamo bisogno a livello mondiale e nazionale, ma soprattutto ecclesiale, dove la difesa della nostra casa comune non è ancora percepita come impegno etico. E questo grazie a Francesco che si ispira a san Francesco d’Assisi, un appassionato dei poveri e del creato. In lui, scrive lo stesso papa, si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura e per la giustizia verso i poveri. È questo l’aspetto più originale dell’enciclica: Francesco ha voluto unire il “grido dei poveri” al “grido della terra”. Lo afferma lui stesso: «Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri».

È questo duplice grido che oggi interpella i cristiani e «ogni persona che abita questo pianeta», cioè i destinatari dell’enciclica. «Fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che ‘geme e soffre le doglie del parto’». Francesco offre una devastante descrizione di quanto sia malato il Pianeta: «Se la tendenza attuale continua questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi». Gli scienziati dell’Onu per i cambiamenti climatici (Ipcc), nel novembre 2014, a Copenaghen, hanno dichiarato in maniera perentoria I) che il riscaldamento globale esiste ed è causato dall’uomo, II) che gli effetti sono già visibili, come lo scioglimento dei ghiacciai ed eventi molto estremi, e III) che il peggio deve ancora arrivare perché le emissioni globali, invece che diminuire, sono aumentate.
Gli scienziati dell’Ipcc (tutti scelti dai governi!) affermano che, se il Sistema continuerà a utilizzare petrolio e carbone al ritmo attuale, a fine secolo avremo fra i 3,5 e i 5,4 gradi in più. Gli esperti ci ricordano che già 2 gradi in più costituiscono un dramma per il nostro Pianeta. Questo dramma sarà pagato da tutti, ma soprattutto dagli impoveriti. Lo afferma lo stesso Francesco: «Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui ‘paesi in via di sviluppo’. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. […] I più poveri si vedono obbligati a migrare, con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli».
È un grido immenso quello dei rifugiati climatici, conseguenza diretta del surriscaldamento del Pianeta a opera dell’egoismo umano. Il fatto è che il 20% della popolazione mondiale consuma da sola il 90% dei beni prodotti, a una velocità incredibile (Francesco la chiama “rapidacón“): «Un 20% della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere». Questo sistema permette che i 92 uomini più ricchi al mondo possiedano più dei tre miliardi di esseri umani più poveri. Questo in barba a un miliardo di persone che fanno la fame e ai tanti milioni che muoiono di fame ogni anno. Tanti di questi impoveriti si trovano nel Sud-est asiatico e soprattutto in Africa, luoghi dove si sentiranno di più le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Se l’attuale consumo di idrocarburi continuasse così fino alla fine del secolo, l’Africa potrebbe avere un incremento di temperatura di 7 gradi. Tre quarti dell’Africa potrebbero essere non abitabili verso la fine del secolo. Dove andranno i milioni di rifugiati climatici? L’Onu parla già di 250 milioni di rifugiati climatici. Una tragedia a cui stiamo già assistendo, con centinaia di migliaia di profughi africani che tentano di attraversare il deserto e poi il Mediterraneo per arrivare fino a noi. Molti di questi sono “profughi climatici”, anche se l’Onu non li riconosce come tali. […] Francesco viene a dirci che non ci può essere una giustizia sociale senza una giustizia ambientale. Ritengo fondamentale che Francesco abbia riportato l’attenzione delle comunità cristiane sull’ecologia integrale, cioè sulla giustizia sociale legata alla giustizia ambientale.
Le comunità cristiane per essere comunità alternative al Sistema dominante devono vivere nelle loro scelte quotidiane le dimensioni della giustizia sociale e ambientale. Purtroppo è proprio quello che manca alle nostre comunità cristiane: la capacità di legare fede e vita. È come se la fede avesse a che fare con il culto in Chiesa e la vita quotidiana seguisse i dettami di un Sistema che ci sta portando alla morte. È questa schizofrenia tra fede e vita che papa Francesco vuole contrastare in Laudato si’. E lo fa per le comunità cristiane specialmente nel VI capitolo: “Educazione e spiritualità ecologica”. Su questo ci giochiamo tutto, e la nostra stessa fede. Noi proclamiamo che Dio è il Dio della vita e vita in abbondanza, come dice il Vangelo di Giovanni.
Il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2015 (m.p.r.)

«Non mi sorprende questo eccidio di stampo razziale a Charleston, non solo perché nel sud degli Stati Uniti l'odio dei bianchi nei confronti dei neri è una realtà quotidiana, ma anche perché il Sud è rimasto secessionista e non digerisce le imposizioni delle istituzioni centrali». Roberto Minervini, regista del potente docufilm Louisiana, molto applaudito dalla critica a Cannes, vive negli Usa da 15 anni e da tempo si è trasferito nel Sud, in Texas «perché lì è come stare in prima linea. Tutti i problemi dell'America sono presenti e ampliati». Il regista marchigiano, che avrebbe voluto fare il reporter di guerra, in Louisiana a mostra la vita dei cosiddetti white trash, i bianchi spazzatura, molto spesso veterani dell'Afghanistan e Iraq, che vivono dentro roulotte e passano il tempo bevendo, drogandosi di metanfetamina e sparando con armi d'assalto durante esercitazioni tra mangrovie e acquitrini.

«Gli Stati Uniti sono avvelenati dalla disparità sociale, dalla lobby delle armi e da quella farmaceutica, visto che le droghe sintetiche sono derivate dai farmaci venduti senza ricetta. Questo mix ha stimolato negli anni la crescita di un grande ceto bianco povero, frustrato, razzista, violento e distrutto dalla droga. La colpa di questo degrado la attribuisco alle politiche dei vari presidenti e del Congresso. In Louisiana c'è una sequenza in cui un gruppo paramilitare mitraglia, fino a farla saltare, una macchina dietro il cui finestrino c'è la maschera del presidente Obama. Durante tutto il documentario sia la comunità di tossici e alcolisti sia i paramilitari, alcuni dei quali imparentati, insultano i neri, specialmente il presidente per non aver fatto nulla per migliorare la loro condizione economica e aver tentato di regolarizzare il mercato delle armi».
«Purtroppo - conclude Minervini - alla fine anche lui non ce l'ha fatta, segno che non solo i repubblicani ma anche i democratici non possono permettersi di fare a meno dei voti e dei soldi della potentissima industria delle armi. La gente inoltre, specialmente nel sud, si sente minacciata dallo Stato centrale ed è per questo che i paramilitari dicono che a Washington vogliono cancellare le libertà sancite dalla Costituzione, il secondo emendamento in cui viene autorizzato il possesso di armi. Queste milizie ore sono diventate scomode ma lo Stato le aveva usate per compiere il lavoro sporco come sparare ai migranti messicani che cercavano di entrare negli Usa». In questo clima di anarchia armata e miseria, la guerra che i bianchi poveri, in senso economico e culturale, hanno ingaggiato nei confronti dei neri ancora più poveri, era inevitabile. «I bianchi in miseria sono in aumento e si trovano a vivere sempre più di frequente in periferia vicino ai ghetti dei neri».
La Repubblica, 17 giugno 2015

Uno spettro minaccia la collezione Torlonia. La raccolta di 620 sculture e pitture romane, la più ampia ancora in mano ai privati, è entrata nel mirino di un gruppo di uomini d’affari d’Oltreoceano. Attraverso i loro legali italiani, hanno bussato alla porta di villa Albani offrendo al principe Alessandro e ai nipoti una cifra da capogiro per gli affreschi della Tomba François , per le perle della collezione che fu dei Giustiniani, per la galleria di 107 busti che ripercorrono la storia di Roma. Per entrare in possesso dei capolavori conservati nei depositi del palazzo di famiglia di via della Lungara, trasformato nel 1999 dai proprietari da museo a infilata di mini appartamenti, ma anche nelle stanze di Palazzo Giraud di via della Conciliazione, le sirene Usa hanno soffiato nelle orecchie dei Torlonia una cifra ben maggiore dei 125 milioni che Silvio Berlusconi avrebbe offerto nel 2003 per entrarne in possesso.

Il business immaginato dagli uomini d’affari passa per la proposta di mostre all’estero, e a rotazione, di lotti della collezione allestita nel corso dell’Ottocento dai banchieri che diedero la propria villa sulla Nomentana a Mussolini. I Torlonia non confermano i contatti con il sedicente trust americano. Ma dell’affaire è venuta a conoscenza Italia Nostra, che ha allertato il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. L’associazione rivela che il ministero ha confermato la «concretezza delle voci sull’offerta di alienazione» della collezione. Ma che ha anche annunciato che «prenderà tutte le contromisure» affinché il piano naufraghi. Quelli che autorevoli fonti del Collegio romano definiscono “faccendieri senza scrupoli”, avrebbero «millantato rapporti con la fondazione Getty di Malibu, di cui si spacciano come referenti, pur di convincere i Torlonia ». Il ministero è convinto che gli stessi proprietari non sarebbero disposti a cedere alle lusinghe della milionaria offerta di vendita, impossibile da contrastare in sede di diritto di prelazione. Ma per non correre rischi gli uffici legali del ministero già sventolano il vincolo al territorio italiano.

Italia Nostra chiede ora al ministro Franceschini che «lo Stato entri in possesso della collezione a titolo di risarcimento del più grave danno perpetrato, nei confronti del patrimonio archeologico del Paese, da parte degli eredi Torlonia», ossia la trasformazione illegale negli anni Settanta in appartamenti del palazzo di via della Lungara. La strategia del ministero per blindare il tesoro è quella, invece, di permetterne finalmente la fruizione. L’apertura al pubblico, magari in un palazzo dello Stato o del Comune, della raccolta principesca ancora, e per sempre, nelle mani dei suoi proprietari, metterebbe questi ultimi al riparo dallo strumento dell’esproprio. In alternativa, e per convincerli a condividere la loro ricchezza, lo Stato può far valere un altro strumento: il ricovero coatto delle opere, previsto dall’articolo 43 del Codice dei beni culturali.

Quello che dovrebbe essere lo scenario normale dopo che la maggioranza assoluta dei cittadini italiani si è espressa in modo preciso, in realtà è un sogno ad occhi aperti. Il governo Renzi ha deciso di aprire un nuovo grande ciclo di privatizzazione e finanziarizzazione del servizio idrico e di tutti i servizi pubblici locali. Il manifesto, 13 giugno 2015 (m.p.r.)

Sono passati 4 anni dalla straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011 sull'acqua pubblica. In tutto il Paese si è proceduto a ripubblicizzare il servizio idrico, mediante l'uscita dei privati dalle aziende che gestiscono il servizio stesso che sono state trasformate in aziende speciali, soggetti di diritto pubblico, le tariffe sono diminuite, gli investimenti, a partire da quelli finalizzati ad abbattere le perdite d'acqua, sono stati incrementati, l'occupazione nel settore si è accresciuta per effetto degli investimenti aggiuntivi, la qualità dell'acqua è migliorata grazie a nuovi controlli. Tutto ciò grazie ad una legislazione nazionale che ha recepito l'esito del pronunciamento referendario, sostanzialmente mutuata da quella di iniziativa popolare promossa ancora nel 2007 dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua e sostenuta all'epoca da più di 400.000 firme.

Questo, che dovrebbe essere lo scenario normale dopo che la maggioranza assoluta dei cittadini italiani si è espressa in modo preciso, in realtà è un sogno ad occhi aperti. Anzi, contraddetto da una sorta di incubo, che è ciò che sta concretamente avvenendo. Il governo Renzi ha deciso di aprire un nuovo grande ciclo di privatizzazione e finanziarizzazione del servizio idrico e di tutti i servizi pubblici locali: la cornice legislativa per realizzarlo è rappresentata dallo SbloccaItalia, dall'ultima legge di stabilità e dal disegno di legge delega Madia sulla Pubblica Amministrazione, il «braccio armato» dalla 4 grandi multiutilities quotate in Borsa (A2A, Iren, Hera e Acea). A queste ultime è affidato il compito, grazie agli incentivi definiti nelle suddette leggi, di ridurre ulteriormente il ruolo della proprietà pubblica ed espandersi assorbendo le aziende di dimensioni medio-piccole che gestiscono i servizi pubblici locali, con l'idea che, alla fine, le stesse formeranno definitivamente l'oligopolio del «mercato» dei servizi pubblici, peraltro orientato dal primato della finanza e della quotazione in Borsa.
I fatti di questi ultimi mesi sono, a proposito, eclatanti e inquietanti e tutti in una direzione contraria a quanto realizzato a Napoli, che continua a rimanere l'unico esempio positivo di effettiva ripubblicizzazione. Acea annuncia l'intenzione di accaparrarsi le aziende del servizio idrico in Toscana e Umbria, Hera ha deciso, alla fine di aprile, che la proprietà pubblica scenderà dall'attuale 57% al 37%, sancendo per la prima volta che essa diventerà minoritaria. Ancor più grave è la vicenda in corso a Reggio Emilia. Lì, a fine 2011, è scaduta la concessione del servizio idrico affidata a Irea. Si è iniziato, dopo la vittoria referendaria, in una città che ha visto una partecipazione molto alta a quel voto, un percorso importante che, su spinta del Comitato dell'acqua pubblica di Reggio Emilia, ha visto dar vita al Forum provinciale per l'acqua, promossa dall'allora Provincia, con il concorso dei Comuni, dei movimenti, delle associazioni economiche e sociali.
Il Forum ha lavorato per più di tre anni e, dopo un approfondita discussione e dopo aver esaminato anche le condizioni di sostenibilità economica e finanziaria, è arrivato alla conclusione di poter costruire a Reggio Emilia una società a totale capitale pubblico per la gestione del servizio idrico, scelta che a noi non soddisfa pienamente, perché ancora troppo poco coraggiosa rispetto ad una compiuta ripubblicizzazione, ma che ha il grande pregio di sancire una soluzione per cui si sottrae la gestione ad Iren e alla sua logica assolutamente privatistica. Ebbene, a pochi giorni dal voto con cui il Consiglio comunale dovrebbe definitivamente sancire con il voto tale scelta, arriva il vergognoso voltafaccia del Pd, che in una riunione della sua direzione provinciale «decide», con assoluto spregio delle procedure istituzionali, che costituire una SpA pubblica è troppo oneroso e insostenibile per le casse dei Comuni del territorio. Si accampano ragionamenti forzati e pretestuosi per non dichiarare esplicitamente che ci si è piegati agli interessi dei poteri forti, in questo caso di Iren.
Il Pd, con questa vicenda, scioglie ogni sua residua ambiguità e diventa a tutti gli effetti il partito della privatizzazione dell'acqua, dopo che, nei mesi scorsi, lo abbiamo visto, con la scelta del contratto a «finte tutele crescenti», e ultimamente con il provvedimento contro la scuola pubblica, iscriversi compiutamente al campo dell'abbattimento dei diritti del lavoro e del Welfare. Il movimento per l'acqua pubblica continua la sua battaglia per opporsi a queste scelte e affermare la prospettiva del rispetto coerente dell'esito referendario: lo faremo domani in molte piazze del Paese, lo faremo anche a Reggio Emilia con una manifestazione forte e colorata e con un «acampada» che durerà fino a lunedì, giorno in cui è prevista la riunione del Consiglio Comunale per discutere di questi temi.
Diremo con chiarezza al Pd e anche ai soggetti politici suoi alleati che non intendano dissociarsi dalla sua «decisione», con le necessarie conseguenze, che il negare il risultato referendario costituisce non solo un profondo «vulnus» democratico, ma alimenterà ulteriormente il solco con il popolo democratico e di sinistra che il renzismo ha già provocato e che è destinato ad approfondirsi sempre più. Soprattutto ci sentiremo impegnati per rilanciare le nostre ragioni, per far vivere l'idea che i beni comuni non possono essere consegnati alla finanza e al mercato. Con una nuova consapevolezza, e cioè che difendere i beni comuni, tutelare e dare diritti alle varie forme del lavoro, rilanciare il ruolo dello Stato sociale e dell'intervento pubblico, a partire dalla scuola e dalla sanità, sono ormai facce della stessa medaglia e fanno parte di un medesimo obiettivo. Quello di battere il renzismo, fedele interprete nazionale della linea neoliberista dominante in Europa, e di costruire un processo di unificazione sociale e di relazione con i tanti soggetti che pensano che sia il tempo di un nuovo modello produttivo e sociale.

Una trasformazione inaccettabile: ridurre un grande e bel giardino dedicato alla memoria e alla natura, del quale persone grandi e piccole possano godere, in un qualsiasi parco pubblico, peraltro assai bruttino . Un appello da sottoscrivere in tanti

È motivo d’orgoglio per Milano e per l’Italia che esista al Monte Stella, parco pubblico apprezzato dagli abitanti del quartiere QT8 e meta verde di tutti i cittadini, il Giardino dei Giusti. Qui il richiamo alla memoria ben si sposa con la serenità del luogo e con la storia e lo spirito da cui ha avuto origine il Monte Stella: un sacrario civile costituito dalle macerie della città devastata dai bombardamenti. Il progettista, Piero Bottoni, lo ha pensato come oasi di pace, monito contro l’orrore della guerra. Ed è per la preziosità e il senso profondo di questo luogo che esprimiamo al Comune di Milano allarme per un progetto che, sotto la definizione fallace di riqualificazione, rischia di compromettere questi valori che ben si integrano con la bellissima iniziativa del Giardino dei Giusti.

Come risulta dal rendering allegato, l'impatto sarebbe violento: verrebbero costruiti muri, totem, pareti metalliche e un anfiteatro, tradendo la natura stessa del giardino, fatto di alberi e di cippi, togliendo armonia al suo inserimento nel contesto e aprendo la strada a usi impropri e a un possibile degrado.

Sullo stravolgimento del luogo ha già espresso parere negativo, tramite una lettera inviata a due assessori della Giunta, la Sovrintendenza alle Belle Arti e Paesaggio. Una presa di posizione che oltretutto è in linea con la richiesta di un Vincolo ambientale per il QT8 e il Monte Stella, avanzata alla Soprintendenza dallo stesso Comune di Milano.

Ci appelliamo al Sindaco e alla Giunta di Milano perché il Giardino dei Giusti non diventi un ingiusto giardino, ma conservi il suo spirito e senso più veri.

Giancarlo Consonni, condirettore dell'Archivio Bottoni del Politecnico di Milano
Graziella Tonon, condirettore dell'Archivio Bottoni del Politecnico di Milano
Lodovico Meneghetti, già ordinario di urbanistica, Politecnico di Milano
Jacopo Gardella, architetto, Italia Nostra
Giuliana Parabiago, direttrice di Vogue Bambini e Vogue Sposa
Vivian Lamarque, poetessa
Anna Steiner, architetto
Franco Origoni, architetto
Erminia dell’Oro, scrittrice
Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale
Alberto Mioni, già ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano
Paolo Berdini, urbanista, membro del Consiglio nazionale del Wwf
Cesare De Seta, già ordinario di Storia dell’architettura, Università Federico II di Napoli
Salvatore Settis, accademico dei Lincei
Emanuele Banfi, presidente della Società Linguistica Italiana
Fulvio Papi, emerito di Filosofia, Università di Pavia
Edoardo Salzano, direttore di Eddyburg
Carlo Bertelli, già soprintendente per i beni artistici e storici
Francesco Borella, architetto, progettista e ex direttore del Parco Nord Milano
Piero Bevilacqua, ordinario di Storia contemporanea, Università La Sapienza di Roma

Angelo Proserpio, presidente dell’associazione Uomo e Territorio
Maristella Casciato, storico dell’architettura
Massimo Fortis, ordinario di Composizione architettonica, Politecnico di Milano
Sergio Brenna, ordinario di urbanistica, Politecnico di Milano
Giorgio Muratore, ordinario di Storia dell’Architettura, Università La Sapienza di Roma
Daniele Vitale, ordinario di Composizione architettonica, Politecnico di Milano
Maria Cristina Gibelli, già professore di Urbanistica, Politecnico di Milano
Pellegrino Bonaretti, ordinario di Composizione architettonica, Politecnico di Milano
Mario Fosso, ordinario di Composizione architettonica e urbana, Politecnico di Milano
Enrico Bordogna, ordinario di Composizione architettonica, Politecnico di Milano
Vezio De Lucia, presidente della Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli

Per aderire inviare un messaggio a Enrico Fedrighini
enrico.fedrighini@polimi.it

E per comprendere com'è lo stravolgente progetto guardate un po' l'abominevole rendering degli autori

Il Tirreno, 12 giugno 2015

Piano del paesaggio. Tutta fatica sprecata? «Ancora è presto per dirlo. Sicuro è però che il governo si sta muovendo purtroppo a prescindere dai piani paesaggistici con la conseguenza di svuotarne almeno in parte l'interesse e l'efficacia», racconta preoccupata l'assessore all'urbanistica uscente Anna Marson. Sembra lontano anni luce l'accordo di co-pianificazione firmato l'aprile scorso dal presidente Rossi assieme al ministro della cultura Franceschini. E le manovre in corso nella capitale e il rallentamento del turnover in Regione potrebbero far evaporare nel nulla le lunghe notti del precedente consiglio regionale, del governatore e dell'assessore Maison per trovare un accordo sull'atto centrale della legislatura.

Più semplice costruire

L'assessore però ci tiene a precisare che «razionalizzare e in parte anche semplificare le procedure di autorizzazione paesaggistica è importante e auspicabile, purché sia condizionato alla presenza di piani paesaggistici elaborati insieme al Ministero peri beni culturali. In assenza dei piani, ben vengano le semplificazioni per i soli interventi privi di rilevanza paesaggistica. Ma potrebbero essere semplificate le procedure perla costruzione di impianti geotermici. La realizzazione della centrale di Casole d'Elsa potrebbe ripartire. E si parla anche di maggiori facilitazioni per realizzare porte-finestre negli edifici dei centri storici.

La modifica dei Titolo V

C'è poi l'altra grana della modifica al Titolo V della Costituzione, arrivata alla terza lettura in Parlamento, dunque a buon punto. «Rendere tutte le leggi regionali- dice Maison - soccombenti rispetto alle norme statali in materia, perché lo Stato torna ad essere l'unico decisore nel governo del territorio scalzando le Regioni.«Si tratta di una prospettiva che, oltretutto, rischia di svilire gli importanti percorsi di concertazione che in Regione Toscana hanno portato ad esempio all'approvazione della legge 65/2014 in materia di governo del territorio, che sul consumo di suolo è l'unica a prevedere finora misure di serio contrasto».

II blocco dei turn-over


Ma è in pericolo anche l'applicazione quotidiana del piano paesaggistico. Molti Comuni hanno in pancia dei regolamenti urbanistici che consentono l'espansione dell'edificabile. Tutti piani che vanno rivisti. Per questo i funzionari comunali dialogano con quelli regionali, ma questo procedimento Ë a rischio. «Nei prossimi mesi - dice l'assessore molti degli attuali dirigenti e funzionari che hanno lavorato alla redazione del piano andranno in pensione. Mi auguro che la Regione intenda garantire un'adeguata dotazione di personale e risorse istituendo finalmente anche l'Osservatorio per il paesaggio». Ma i tagli al personale del piano Rossi e il rallentamento del turnover vanno nella direzione opposta.

Riferimenti:
Per connessione di materia leggi l'articolo de Lucia Tozzi sulle cave e quello di Paolo Baldeschi sull'"intelligenza del PD"

Ai bei tempi di Pablo Escobar e del Cartello di Medellín la coca si esportava con aerei, motoscafi, sottomarini e persino tunnel faraonici sotto la frontiera Mexico-USA. Poi, con Bush Senior, è arrivata la War on Drugs e il narcotraffico è diventato una materia molto più complessa. Da allora è stato necessario inventarsi metodi sempre nuovi per nascondere tonnellate di droga nei carichi di frutta, verdura, lastre di vetro, prodotti e materiali di ogni genere. Uno dei migliori era e resta il marmo, o ancora meglio il granito, come racconta Luca Rastello in Io sono il mercato. «Qual è la regola? Lavora con i materiali più preziosi. Se scegli il marmo non usare un Carrara bianco, da cessi: dentro ci guarda chiunque – parla uno di quei geni della logistica che ha progettato un’infinità di viaggi miliardari dal Sudamerica – Il migliore è il Bahía Azul, può costare anche 600 euro al metro cubo. Chi va mai a pensare che rovini sta meraviglia per imbottirla?».

Il contrabbando è solo il più marginale e pittoresco dei lati oscuri del ciclo della pietra. L’economia estrattiva è notoriamente fondata sullo sfruttamento semigratuito di risorse comuni – non a caso “estrazione” è una metafora ricorrente nelle descrizioni del capitalismo contemporaneo, estesa alla sfera della conoscenza e dei beni immateriali –, ma pone anche problemi di inquinamento delle falde e dell’aria, implica una trasformazione radicale del paesaggio, crea vuoti che possono essere riempiti nei modi più rischiosi e inopportuni. Più in architettura si fa ricorso alla pietra per le sue qualità estetiche e naturali, più si inasprisce la battaglia sugli effetti della sua produzione.

Certo, oramai è impossibile non cogliere la bellezza lunare delle cave dismesse di tufo o di travertino, o non citare progetti spettacolari come lo stadio di Souto de Moura incastonato in un’ex cava a Braga e le prospettive autostradali di Bernard Lassus sulle cave di Crazannes, oppure i tanti parchi e teatri all’aperto, come quello di Fantiano a Grottaglie progettato dallo studio Donati-D’Elia Associati. E anche i più reazionari dovranno riconoscere che per paesaggio non si intende oggi solo quello forgiato dalla Natura matrigna, ma anche quello antropizzato, manipolato dall’uomo e dall’industria. Ma i bei progetti e i siti incantati sono una minoranza rispetto al numero totale delle cave dismesse. E in un paese come l’Italia, dove esistono 5600 cave attive e 16000 fuori uso, sarebbe impensabile ricorrere in modo massiccio a delle soluzioni così sofisticate e individualizzate: sarà meno sexy agli occhi di architetti e paesaggisti, ma per il momento garantire uno standard di puro recupero ambientale (bonifica, riempimento, rinaturalizzazione o ripristino dell’attività agricola) è di gran lunga più urgente.

La qualità estetica del paesaggio di cava dipende dalla posizione geografica, dalla tecnica di estrazione e molto dal tipo di materiale estratto: è più probabile che le coltivazioni di pietre ornamentali offrano una vista migliore. In Italia solo il 6,6% delle cave appartiene a questa categoria. Il resto (80 milioni di metri cubi l’anno) è quasi tutto calcare, sabbia e ghiaia, e segue il ciclo brutale del cemento, che aggredisce colline e pianure, paga canoni di concessione irrisori e rivende a prezzi altissimi: il rapporto tra le due cifre su scala nazionale è 35 milioni contro un miliardo di euro, il 3,5%. In un campo come questo l’estetica e l’ecologia sono tenuti in nessun conto, e nelle regioni dove i controlli sono meno stretti o le leggi meno definite non viene quasi mai fatto il minimo intervento di ripristino ambientale o bonifica. E il fenomeno più grave è la quasi totale assenza di riciclo dei materiali: gli altri paesi Europei riciclano dal 30 al 90% dei materiali inerti, l’Italia butta il 90% in discarica, appesantendo il già emergenziale sistema dei rifiuti.

Tuttavia la differenza tra la Cementir che sventra i monti Tufatini nel Casertano e i cavatori di Carrara o del Veneto è meno rilevante di quello che potrebbe sembrare, e ha a che fare più con lo storytelling che con la sostanza. Le favolette su Michelangelo, sul rapporto equilibrato uomo-pietra, sull’azione paziente e metodica che il lavoro produce sul paesaggio, quasi lo modellasse in scultura, sull’indotto della lavorazione artigianale, coprono una realtà che erode le montagne, taglia le vette, concentra i profitti nelle mani di pochissimi privati, rende pochissimo alle istituzioni pubbliche, e di lavoro ne offre ormai poco e niente, un decimo rispetto agli anni Sessanta. Gli stessi lobbisti del settore ammettono che la pressione del mercato cinese e mediorientale ha sballato i prezzi e convoglia i blocchi grezzi verso porti lontani, dove la lavorazione costa molto meno. Il recente passaggio del 50% della proprietà di una parte consistente delle cave carraresi nelle mani della famiglia Bin Laden mette in chiaro che i soldi finiscono più all’estero che sul territorio, secondo un modello comune a molte piantagioni intensive sudamericane o miniere africane, per intendersi.

Nella selva legislativa che governa le cave italiane, dove ogni regione si regola in un modo diverso e l’ultima legge unitaria risale a un decreto regio del 1927, la battaglia appena conclusa per l’approvazione del Piano paesaggistico della Toscana rappresenta un passaggio fondamentale. Il piano prevede dei vincoli precisi, come il divieto ad aprire nuove cave oltre i 1200 metri per non alterare lo skyline delle Apuane, il raddoppio dei canoni di concessione e l’obbligo di lavorare in loco una certa percentuale di marmo, per incentivare la filiera produttiva. Ha preso politicamente in carico le istanze degli abitanti e dei comitati presenti sul territorio, e per questo motivo è stato violentemente attaccato dalle lobby dell’industria estrattiva.

«Nel caso del piano paesaggistico le “imboscate” non sono derivate da un conflitto fra ambiente e sviluppo, come molti hanno sostenuto, ma tra interessi collettivi e interessi privati» dichiara con una chiarezza sconcertante Anna Marson, assessore all’urbanistica e paladina del Piano. È eccezionale che un politico, che avrebbe potuto incassare la vittoria e tacere, si sia invece fermato a denunciare la propaganda sviluppista e la sua ragion d’essere, cioè la difesa di un’economia di rapina a danno della collettività. Perché è proprio su questo fronte, quello del discorso, che bisogna continuare a combattere in Toscana – dove la battaglia non è di sicuro finita – e in tutti i luoghi del mondo che si trovano in una situazione analoga: nessuno oggi sembra più disposto a bersi un’idea di sviluppo così grezza, tranne un ceto politico che – guarda caso – si gode proprio in questi anni la crisi della rappresentanza democratica.

Corriere della Sera, ed. Roma, 9 giugno 2015

Il Colosseo fa sempre notizia. Ma è certamente una “notiziona”, come si dice in gergo, che il ministro Dario Franceschini sia riuscito a raspare, in un bilancio massacrato da anni di tagli, 20 milioni per il ripristino nell’Anfiteatro Flavio dell’arena che tante fantasie suscita (persino di cristiani dati ai leoni lì dentro, palese falso storico). Venti milioni - mentre chiude l’Opificio delle Pietre Dure, archivi e biblioteche non hanno i soldi per le bollette, non ci sono fondi per le missioni - per un’opera molto discussa e discutibile per diversi motivi. A partire da quelli strutturali. Sotto il Colosseo infatti c’è un flusso poderoso di acque che invano dall’800 si cerca di imbrigliare e che, ad ogni alluvione, diventa inarrestabile: nel 2010, non secoli fa, l’acqua è salita sino al primo piano del monumento. Se ci fosse già stata la costosa copertura dell’arena, sarebbe saltata senza rimedio. E’ una priorità - questa dell’idraulica sotterranea - invocata dalla direttrice del Colosseo Rossella Rea, dall’architetto Piero Meogrossi che vi ha lavorato da architetto per decenni e da Adriano La Regina indimenticato soprintendente che curò nel ’92 il vero restauro strutturale dell’Anfiteatro. Quanto costa da sola quest’opera idraulica mai realizzata e, essa sì, decisamente utile?

Il Colosseo viaggia già ora ben oltre i 6 milioni di visitatori l’anno contro i 300.000 soltanto di un circuito di Musei strepitosi quali ex Collegio Massimo, Terme di Diocleziano, Palazzo Altemps, Crypta Balbi e contro i 269.000 appena delle fascinose Cecilia Metella, Villa dei Quintili, Terme di Caracalla. E’ davvero sensato, anche turisticamente, concentrare 20 milioni sull’arena del Colosseo anziché dare a questi siti i mezzi per uscire dall’inedia, fare promozione vera, attrezzarsi in modo completo? O anziché fare dell’Appia Antica un maestoso Parco Archeologico e Naturalistico Nazionale capace di battere coi propri mezzi il vergognoso, quotidiano abusivismo (ora è inserita in un Parco “naturalistico” regionale ovviamente insufficiente)? E fuori di Roma, nella mirabile Magna Grecia, nel Sud abbandonato, cento ferite sono aperte: la mitica Sibari imprigionata dalle alluvioni ricorrenti, come Metaponto coi suoi gioielli, il Parco delle Mura greche di Taranto costato qualche miliardo di lire e rimasto lì, quello di Saturo, approdo miceneo, mai realmente valorizzato o l’Antiquarium di Canne chiuso per gran parte dell’anno e l’altro di Siponto aperto solo “per appuntamento”?
No, tutto al Colosseo, per spettacolarizzare l’archeologia. Domani al Circo di Massenzio per il quale il FAI stesso, mio dio, annuncia “tornei e spettacoli”. Centurioni, moltiplicatevi! Gladiatori, accorrete! Si va per cominciare.

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